La Difesa Comune Europea: Informazione e Opinione Pubblica

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Opinione pubblica, sicurezzae difesa europeaa cura di Maria Luisa Maniscalco

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Sommario

Introduzione p. 7(di Maria Luisa Maniscalco)

Capitolo primo Legittimazione funzionale e coscienza cosmopolita: l’Europa e la co-mune politica di sicurezza e difesa(di Francesco Antonelli)

L’Europa e le appartenenze politico culturali – p. 21 – Il senso di appartenenza e l’or-goglio di essere italiano – p. 22 – Il senso di appartenenza e la patria – p. 24 – Il sensodi appartenenza all’Europa – p. 30 – La questione della doppia cittadinanza – p. 31 –Un grappolo di identità – p. 33 – Presenti o assenti? Istituzioni italiane ed europee aconfronto – p. 33 – Impatto percepito delle istituzioni italiane – p. 34 – Impatto perce-pito delle istituzioni europee – p. 35 – Il futuro ruolo politico dell’Europa: un alto pro-filo? – p. 38 – Le priorità politiche dell’Europa – p. 41 – Il ruolo futuro dell’U.E. – p.41 – Le politiche istituzionali p. 41 – Le decisioni relative alla politica di sicurezza e di-fesa – p. 44 – Le decisioni sull’invio delle truppe europee all’estero – p. 45 – Decisionie visioni istituzionali – p. 47 – Le metafore dell’Europa: l’emergere del cosmopolitismo– p. 48 – Legittimazione funzionale e coscienza cosmopolita: l’Europa e la comune po-litica di sicurezza e difesa. – p. 52 –.

Capitolo secondo Società del rischio, pace e sicurezza(di Alessia Zaretti)

La società del rischio – p. 55 – Minacce e rischi per la sicurezza: le opinioni rilevate –p. 56 – Genere, età, appartenenza politica e percezione del rischio – p. 61 – Una possi-bile tipologia dei rischi – p. 63 – La ‘sindrome’ delle minacce e i livelli operativi per fron-teggiarle – p. 65 – Tipologia dei rischi, produttori di sicurezza e genere – p. 70 – Tipo-logia dei rischi, produttori di sicurezza ed appartenenze politiche – p. 70 – Strategie estrumenti per la pace e la stabilità – p. 72 – Genere, appartenenze politiche e strumen-ti per la pace e la stabilità – p. 75 – Dissuasione versus deterrenza – p. 76 – Appartenen-za politica, deterrenza e cooperazione allo sviluppo – p. 78 – Genere, età e ancora ap-

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partenenza politica – p. 79 – L’immagine della pace – p. 80 – La metafora delle stagio-ni – p. 84 – Corpi civili e sicurezza – p. 85 – Corpi civili disarmati e Forza Armata eu-ropea – p. 87 – Nuovi scenari di rischio ed equilibri per la pace – p. 89 –.

Capitolo terzo Forze Armate Italiane, Forze Armate Europee(di Maria Luisa Maniscalco)

Nuovi scenari internazionali e ruolo delle Forze Armate – p. 95 – I compiti delle ForzeArmate italiane: opinioni e valutazioni – p. 98 – Immagini delle Forze Armate secondole aree politiche – p. 101 – ‘Nuovi’ e ‘vecchi’ compiti per le Forze Armate – p. 102 – LaForza di Reazione Rapida europea – p. 105 – La Forza di Reazione Rapida europea: l’a-rea del consenso – p. 107 – Forza di Reazione Rapida europea e NATO – p. 108 – Coo-perazione o integrazione? Modelli a confronto – p. 112 – Nuove forme di cooperazio-ne militare – p. 113 – L’Europa con un’unica Forza Armata – p. 116 – Le Forze Arma-te europee: immagini a confronto – p. 117 – Forze Armate italiane e Forze Armate eu-ropee: alcune considerazioni conclusive – p. 121 –.

Capitolo quarto La Difesa Comune Europea: informazione e opinione pubblica(di Giulia Aubry)

Informazione e conoscenza: la costruzione sociale della realtà – p. 125 – I mezzi di infor-mazione italiani e la Difesa Comune Europea – p. 126 – Mezzi di comunicazione di mas-sa e issues politiche italiane ed europee – p. 129 – L’informazione sulla costituzione diuna Forza Armata europea – p. 131 – Il dibattito su tematiche europee e politica di di-fesa europea – p. 131 – Accesso e fruizione a quotidiani e telegiornali – p. 132 – Con-clusioni – p. 134 –.

Riferimenti bibliografici 135

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IntroduzioneMaria Luisa Maniscalco

Le tematiche affrontate in questa ricerca sociologica riguardano diversiaspetti dell’integrazione europea, con particolare riguardo alla politica comu-ne nei settori della sicurezza e della difesa; queste tematiche, sulle quali datempo si sono sviluppati riflessioni, studi e accesi dibattiti, risultano non an-cora sufficientemente approfondite nel versante soggettivo delle percezioni,opinioni e aspettative, dimensioni sulle quali si è invece concentrata la ricer-ca. Infatti se è vero che gli individui e le culture elaborano cognitivamente edemotivamente in maniera diversa il binomio sicurezza/insicurezza – ancheperché le relative componenti sono molteplici e variamente connesse su scalalocale, nazionale, regionale e internazionale – è fondamentale analizzare, a dif-ferenti livelli e con un approccio comparativo, le relative percezioni, le imma-gini in cui queste vengono sintetizzate, gli atteggiamenti conseguenti e le rela-tive spiegazioni che le persone e i gruppi sociali forniscono al riguardo.

Rischi e minacce, sicurezza e difesa non sono solo risultati di eventi ‘og-gettivi’, esterni, e meri effetti di decisioni politiche e di procedure specialisti-che, ma anche dati di rappresentazioni collettive; l’emergere e l’escalation del-le crisi, i rischi, la loro trasformazione e la loro gestione, le radici dell’instabi-lità e delle minacce, le strategie e le politiche per contenerle interagisconoprofondamente con la difesa e la sicurezza anche nella loro dimensione di be-ni simbolici collettivamente elaborati (ma anche prodotti e sostenuti) e sog-gettivamente fruiti.

Un tipo di analisi che parta dalle percezioni, dagli atteggiamenti, dalleopinioni e dalle immagini che i soggetti si formano al riguardo è quindi di fon-damentale supporto per la comprensione delle complesse dinamiche che at-traversano questo aspetto oggi più che mai centrale per la civile e pacifica con-vivenza; rappresenta inoltre un punto di partenza irrinunciabile per la costru-zione di un linguaggio comune tra istituzioni e cittadini, cioè per una comu-nicazione politica ed istituzionale priva di equivoci e di fraintendimenti, a suavolta indispensabile elemento per ogni elaborazione progettuale che impegnila responsabilità reciproca nel quadro di comuni regole condivise.

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La profonda trasformazione subita dal quadro dei rischi ha prodotto unmutamento di tipo qualitativo; non si tratta semplicemente dell’intensificarsidei pericoli di natura ‘tradizionale’, ma di una nuova configurazione della ‘mi-naccia’, per fronteggiare la quale si richiedono strumenti di diversa natura e ilcoinvolgimento di settori che fino ad oggi sono restati marginali o estranei al-le problematiche della sicurezza e della difesa. Le politiche internazionali disicurezza sono oggi politiche di crescente complessità, con una forte correla-zione tra azioni socioeconomiche di riequilibrio, strumenti giuridici rinnova-ti, ricerca di soluzioni negoziali e dialogiche a diversi livelli; ad esse si accom-pagnano interventi militari che devono essere efficienti ed efficaci nei confron-ti degli obiettivi che si pongono.

Il tempo dell’irrilevanza delle insicurezze parziali è definitivamente tra-montato; divenuto globale il nostro mondo si presenta come un reticolo di in-terconnessioni strettamente interdipendenti per cui la défaillance di un soloelemento – fosse anche molto piccolo – può compromettere la ‘tenuta’ dell’in-sieme. Ma non solo; i rischi sono oggi globalizzati, nel senso che si declinanosu scala planetaria. Soprattutto i problemi ecologici, il terrorismo internazio-nale, i collassi economici che destabilizzano intere regioni, la proliferazionedelle armi batteriologiche, chimiche e nucleari, ponendo in evidenza la per-meabilità delle frontiere, hanno messo in crisi la dimensione esclusivamentestatuale (politico-diplomatica e militare) della sicurezza e della difesa.

La sicurezza, di conseguenza, è oggi un concetto complesso, polisemico;se in termini generali e piuttosto tradizionali può essere definita una sorta di‘protezione dell’identità’, in termini specifici interessa dimensioni articolate supiù livelli tra loro interconnessi che possono partire dalla sicurezza interna, mainteressano quella nazionale, quella collettiva di area e giungono fino all’am-bito globale e viceversa.

La trasversalità dei rischi e delle minacce necessita di un approfondito ri-pensamento della tutela delle popolazioni secondo linee del tutto nuove chevanno al di là delle tradizionali impostazioni geostrategiche e giuridiche. È sta-ta superata la visione tipica del periodo della guerra fredda che riduceva il con-cetto di sicurezza ai suoi aspetti militari e strategici (la sicurezza nazionale e diarea); quel security complex che sanciva l’interdipendenza tra due alleanze checondividevano, pur nella reciproca ostilità, interessi comuni in termini di sicu-rezza ha ceduto il passo all’emergere di nuove nozioni: la sicurezza è divenutamultidimensionale e multifunzionale. Nell’accezione della human security (chepone una forte enfasi sulla difesa dei diritti dell’uomo, delle minoranze e so-prattutto dei soggetti vulnerabili, sulla condanna dei crimini contro l’umanità,ma riguarda anche un ventaglio molto ampio di aspetti tra cui non ultimi l’eco-

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nomia e la difesa della salute e dell’ambiente) rappresenta uno dei principi fon-damentali a cui si ispira la politica degli Stati. L’affermarsi della human securitynell’accezione ampia di freedom from want e non solo di freedom from fear edella cosiddetta responsability to protect ha operato il passaggio per le pubbli-che istituzioni da una sovranità di controllo ad una di responsabilità.

Tutte queste trasformazioni pongono al cuore del problema alcune do-mande fondamentali sull’esistenza, la natura e la costruzione sociale della mi-naccia e sui modi in cui la sicurezza viene praticata; ci si muove da una nuovaconsiderazione del degrado ambientale, dei rischi alimentari e delle epidemie,della crescita demografica differenziale e delle conseguenti migrazioni incon-trollate, della criminalità, del terrorismo internazionale, delle guerre ‘domesti-che’ e non. Vengono meno le classiche distinzioni tra sicurezza interna edesterna, nazionale e internazionale.

Le Forze Armate nei nuovi scenari internazionali

In questo contesto anche il ruolo del ‘militare’ va profondamente riconsi-derato; le Forze Armate rappresentano l’istituzione massima per la sicurezza el’indipendenza delle collettività in un sistema di Stati nazione concepiti essen-zialmente come potenziali belligeranti. Cosa succede a questo strumento quan-do alla minaccia esterna, compatta e chiaramente individuabile, si sostituisco-no altre minacce, minacce diffuse, pervasive, ‘senza frontiere‘? Quali sfide de-vono oggi fronteggiare le istituzioni politiche e le Forze Armate nell’accompa-gnare la trasformazione dello Stato nazione e le sue nuove priorità? Come tu-telare la sicurezza senza che le sue esigenze ledano le espressioni della demo-crazia e della libertà? Come elaborare una linea di difesa e di sicurezza che siain grado di assumere la complessità dei rischi e di coniugarla coerentementecon dimensioni transnazionali e sovranazionali? Quali modelli di sicurezza e didifesa sono culturalmente e socialmente sostenibili per una data società?

Lungo quest’ultima direzione si è mossa la politica europea; lo sforzo com-piuto dal trattato di Maastricht è stato di spostare l’idea di sicurezza da una pre-cedente dimensione nazionale ad un nuovo piano sopranazionale e di articolar-la in maniera più complessa; la cultura della pace e della sicurezza di dimensio-ne europea si è andata così sviluppando a partire da una nuova concezione del-la sicurezza in cui i cittadini, singolarmente intesi, si sostituiscono allo Stato, co-me titolari di diritti di sicurezza nazionale e internazionale. Non si tratta più sol-tanto di una difesa comune nei confronti di un nemico esterno, ma della molti-plicazione delle dimensioni della sicurezza (legate allo sviluppo dei diritti umani

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fino alle loro ultime generazioni) all’interno della quale la difesa militare viene acollocarsi, acquistando una centralità diversa, meno scontata e più negoziata.

Issue considerata di fondamentale rilevanza fin dalle prime tappe dellarealizzazione dell’integrazione europea, la costruzione di una comune politi-ca di sicurezza e difesa – e di uno strumento militare in grado di supportareadeguatamente le scelte europee in politica estera – ha incontrato moltepliciostacoli e ripetuti fallimenti. Ciononostante la questione si ripropone periodi-camente, ed oggi con urgenza crescente, data la necessità di affrontare, in ma-niera decisa e unitaria, sfide globali.

Molti fattori operano a favore dello sviluppo di una policy di sicurezza e di-fesa comuni; già da qualche anno le costanti trasformazioni della situazione geo-strategica internazionale hanno sicuramente rappresentato, a livello europeo, unpotente stimolo in tale direzione. L’evento iniziale più rilevante è stato rappre-sentato dai conflitti nei Balcani che hanno profondamente segnato l’Europa, ac-celerando la ricerca di una più coerente politica estera e di sicurezza. La crisi delKosovo, dopo quella bosniaca, ha costituito un preoccupante segnale nel far re-gistrare la perdurante inadeguatezza dei sistemi di sicurezza comuni nel gestire,soprattutto in termini di tempestività, complesse situazioni di crisi, con una con-flittualità diffusa, elevata e radicata. Fino ad allora, concetti come quelli di ‘pre-venzione attiva dei conflitti’ e di ‘gestione remota della conflittualità’ – tesi adevitare che problemi locali si amplificassero fino ad innescare conflitti regiona-li potenzialmente capaci di mettere a rischio la stabilità dei singoli Stati e dellaComunità nel suo insieme – non avevano ancora trovato una piena risposta or-ganizzativa e procedurale e tanto meno in una dimensione regionale europea.L’attentato terroristico dell’11 settembre 2001 e, più recentemente la guerra inIraq, hanno nuovamente testimoniato la tendenza dei singoli Stati a muoversidel tutto autonomamente rispetto all’Europa e quindi l’urgenza di delineare po-litiche comuni, pena un indebolimento e una marginalità a livello geopolitico in-ternazionale. Solo con la ricerca concorde e collettiva di un ruolo più responsa-bile l’Unione Europea potrebbe operare in modo da far superare lo squilibriotra il suo essere da una parte un protagonista dell’economia, ma dall’altra un sog-getto di scarsa rilevanza nella politica internazionale.

L’Europa e i problemi della sicurezza collettiva

A fronte delle molteplici sfide vecchie e nuove, pur con molti problemi, con-trariamente a quanto è avvenuto nel passato, la difesa europea è divenuta un te-ma centrale e concreto nel dibattito sul futuro dell’Unione in quanto logico pro-

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seguimento lungo il percorso di affermazione e di riconoscimento della propriaidentità e sovranità; in vista di ciò il pensiero strategico e l’impostazione tattica inmateria di difesa di molti Stati membri sono stati profondamente rinnovati.

Nuove responsabilità sembrano attendere l’Europa che dovrà accettarle, pe-na vedere il totale azzeramento della sua influenza. Da più parti si è auspicato diimprontare lo sviluppo della difesa e della sicurezza europee secondo il tipico per-corso di integrazione indicato da Jean Monnet, per il quale prima si stabilisce unasolidarietà di fatto – in questo caso in rapporto alle nuove istituzioni di sicurezzae difesa e alla nuova Forza di Reazione Rapida varata ad Helsinki nel 1999 persvolgere le cosiddette missioni di Petersberg già stabilite nel 1992, ma di fatto pres-soché inattuate per la mancata acquisizione delle capacità necessarie – e solo suc-cessivamente si affronta la questione della finalità strategica di tutto il progetto. Daciò deriva il convincimento secondo cui sarà proprio lo sviluppo della dimensio-ne della difesa e della sicurezza comuni a favorire l’emergere, nel medio o nel lun-go periodo, di una più concreta identità politica europea, che consentirà all’Unio-ne di svolgere pienamente il ruolo che le compete sulla scena internazionale.

Come per l’euro si è proceduto gradualmente attraverso varie fasi di in-tegrazione economica, coronata dall’introduzione della moneta unica, ancheper la sicurezza e la difesa è necessario procedere attraverso passaggi interme-di, attendere che si consolidino per poi avanzare verso livelli di maggiore in-tegrazione. D’altra parte proprio il mutamento del concetto di sicurezza, il suoassumere dimensioni più orizzontali e democratiche dovrebbe facilitare lafuoriuscita da un ambito strettamente nazionalistico verso un livello identita-rio più ampio, legato essenzialmente alla percezione di un destino comune, adun’uguaglianza che si declina in termini di nuove vulnerabilità e di nuove so-lidarietà di fronte a rischi dagli incommensurabili effetti

La questione sta divenendo ogni giorno più urgente; essa è ormai presen-te non solo nell’agenda dei politici e all’interno delle istituzione militari deipaesi membri, ma anche nei dibattiti sui mass media, vivacizzati da interventidi intellettuali prestigiosi e presso l’opinione pubblica; una politica estera co-mune di difesa e di sicurezza è considerata una meta importante, anche se leposizioni al riguardo sono piuttosto differenziate e rimane ancora basso l’in-teresse per Forze Armate europee.

Gli Italiani e la comune difesa europea

Sullo sfondo di questo contesto piuttosto contraddittorio, la ricerca di cuiqui vengono presentati i risultati ha inteso approfondire la complessa archi-

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tettura delle immagini collettive, delle opinioni, dei timori, delle speranze, del-le valutazioni e delle aspettative di un campione rappresentativo dell’opinio-ne pubblica italiana su un ampio spettro di tematiche con a fulcro la sicurez-za e la difesa in ambito nazionale ed europeo e il conseguente ruolo delle For-ze Armate.

Gli Italiani da sempre, come è noto, sono in maggioranza favorevoli alprocesso di integrazione europea e alle istituzioni europee; il sostegno alla de-voluzione di attribuzioni anche in aree, come la difesa e la politica estera, dicompetenza tipica degli Stati – e che ne sono state parte integrante e caratte-rizzante fin dal sorgere dello stato moderno – rappresenta senza dubbio un’ul-teriore conferma di europeismo convinto. Si pensa infatti di sottrarre allo Sta-to quelle che sono le sue funzioni più peculiari e per le quali c’è stata e anco-ra permane la maggiore resistenza a gestirle in una dimensione comune, comeha ampiamente testimoniato la lunga impasse in materia durante tutti questianni.

A fronte di un favore indiscusso da parte dell’opinione pubblica italiana,come attestano molti sondaggi, la questione però potrebbe, al momento dellasua concreta realizzazione, essere meno semplice; la carenza generale di infor-mazioni sull’Unione Europea, sulle sue istituzioni e sui processi che ne hannofino ad oggi caratterizzato la storia, diventa vera e propria totale disinforma-zione per quegli argomenti, come la difesa, tradizionalmente poco conosciutie poco seguiti nel nostro Paese. Manca per esempio ai nostri cittadini la cono-scenza dell’imprescindibile nesso tra creazione di Forze Armate europee, per-seguimento dell’armonizzazione e dell’interoperabilità tra le diverse compo-nenti nazionali e relative risorse di bilancio.

In effetti, come e più di quanto è successo per altri processi dell’Unione eu-ropea, la gran massa dei cittadini è rimasta finora al margine di questa lenta maprogressiva trasformazione; non sufficientemente informati, né sufficientemen-te coinvolti, solo distratti spettatori. Hanno giocato in questo ultimo caso la dif-ficoltà tecnica dell’argomento, noto solo agli addetti ai lavori, la scarsa attenzio-ne dei mass media, la cautela dei vertici politici dei paesi membri e, infine, l’a-bituale disinteresse degli Italiani per i problemi della difesa e della sicurezza mi-litari. Come per il più generale europeismo degli Italiani, sorge spontaneo l’in-terrogativo sul valore di un’eventuale massiccia adesione a questa dimensionedell’integrazione che appare però basata su una scarsa conoscenza dei vantaggie degli svantaggi concreti e non supportata da forti sentimenti di appartenenza-identità verso l’Europa che, ovviamente, sono ancora tutti da sviluppare.

Rimane profonda l’esigenza di trovare una maggiore legittimazione pub-blica e democratica al progetto della comune difesa europea, una legittimazio-

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ne che non sia quella di massima attribuita dagli Italiani ad ogni tipo di pro-cesso integrativo nell’Unione. La questione è rilevante onde evitare esiti incer-ti e una continua rimessa in discussione del problema, sia in ordine al caratte-re fortemente impopolare degli aumenti del bilancio nel settore degli arma-menti, sia in rapporto ai meccanismi prettamente intergovernativi della PEDSche escludono dal processo decisionale le assemblee parlamentari. Se occorreraggiungere parametri di convergenza anche per la difesa e la sicurezza e sequesto obiettivo rappresenta un onere per la spesa pubblica è giusto che i cit-tadini siano adeguatamente informati e in grado di valutare alla luce di un di-battito democratico costi e benefici.

Questo anche perché, a loro volta, le Forze Armate dei paesi europei peroperare unitariamente ed efficacemente non devono solo saper svilupparesentimenti di fiducia reciproca, ma hanno anche l’esigenza di poter contaresull’appoggio delle popolazioni che riconoscano inequivocabilmente in esse iproduttori di una stabilità democratica condivisa. Oggi le Forze Armate sonochiamate da una parte a rispondere positivamente in termini di efficacia e diefficienza ai mutati contesti strategici, dall’altra a non distaccarsi dai valori di‘fraternità umanitaria’ diffusamente presenti nella società civile. Mentre ècambiato il quadro di riferimento esterno, con l’affermarsi di nuove e diverseminacce, si sono anche trasformati i valori e i bisogni della società civile; l’or-ganizzazione militare deve così essere in grado di fronteggiare la fluidità dellanuova situazione – un ambiente internazionale non più definibile attraverso letradizionali dicotomie guerra/pace, amico/nemico – senza perdere però ilconsenso dei contesti sociali nazionali e internazionali, dal momento che ilrapporto tra Forze Armate e società civile si va configurando come sempre piùintrecciato. L’ampliamento dello spettro degli interventi con il relativo nuovoruolo per il militare (che non è più soltanto colui che fa la guerra, ma anchecolui che agisce per salvaguardare o per riportare la pace o anche per contri-buire al suo consolidamento) necessita di processi di legittimazione partico-larmente complessi in cui confluiscono valutazioni politiche, giudizi da partedell’opinione pubblica e test di controllo dell’efficienza/efficacia delle profes-sionalità messe in campo.

Le dimensioni della sicurezza e della difesa comuni si presentano, comee forse più di altre sfide, dagli esiti ambivalenti: da una parte possono rappre-sentare per le Forze Armate italiane una preziosa aggiuntiva occasione per in-trecciare ancora più saldamente i legami con la popolazione, dall’altra ri-schiano invece di allontanarle, qualora venissero avvertite come segmentospecialistico di una struttura percepita distante e non ‘governabile’ da partedei cittadini.

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Caratteristiche, obiettivi e limiti della ricerca

La ricerca, con le riflessioni che l’accompagnano, offre un primo contri-buto orientativo in tal senso. A partire dall’ascolto e dalla ricostruzione dellerappresentazioni collettive, ha inteso individuare tendenze di lungo periodoche foggiano le visioni della realtà e che permangono al di là degli effetti ‘con-giunturali’ prodotti da avvenimenti ed eventi che agitano la coscienza collet-tiva solo momentaneamente.

La forza di questo lavoro non risiede nell’essere una ‘fotografia’ dell’opi-nione pubblica italiana nell’estate 2002, ma nel proporsi come primo passo ver-so l’individuazione delle ‘immagini’ che sottostanno alle opinioni e che opera-no da polo di riferimento di tendenze e di comportamenti. L’immagine dell’Eu-ropa, del suo ruolo in un mondo turbolento e globalizzato, quella delle sue isti-tuzioni – e in particolar modo quelle militari – e delle funzioni che dovrebbe-ro svolgere si configurano come sintesi del reale in cui si compongono, conframmenti di esperienza elaborati riflessivamente, proiezioni, aspettative, valo-ri. Le immagini infatti oscillano tra ideale e reale, tra comprensione/rappresen-tazione dei fenomeni e relativa valutazione, anche in base a prefigurazioni, ste-reotipi, costrutti ideologici. Esse operano come riduttori di complessità, facili-tando l’orientamento all’azione e, pur mantenendo una certa stabilità e consi-stenza nel tempo, possono modificarsi. Le immagini della realtà, infine, contri-buiscono a loro volta a crearla, secondo il noto processo della profezia che siautoavvera. Compito dell’analisi sociologica è indagare l’origine di questi sche-mi e le eventuali condizioni di esperienza che tendono a modificarli, producen-do una dissonanza cognitiva tra immagini e realtà.

La ricerca presentata in questo volume si presta ad una duplice lettura: dauna parte ha il valore di un sondaggio in quanto registra le opinioni e le valu-tazioni su un ventaglio di questioni rilevanti sul tema, dall’altra è un’analisi so-ciologica che ha cercato di sistematizzare in configurazioni dotate di senso idati quantitativi emersi dalle interviste condotte sulla base di un questionario,combinandoli con i risultati dei focus group e delle interviste in profondità.

Le opinioni, le valutazioni e più in generale le immagini delle Forze Ar-mate italiane e europee vengono analizzate sullo sfondo di un contesto defini-to in continua correlazione con altre importanti dimensioni; le opzioni a favo-re di una integrazione nel settore della sicurezza e della difesa acquistano il lo-ro significato sullo sfondo del più generale europeismo degli Italiani, delle rap-presentazioni della società del rischio, con i timori che suscitano negli Italianile minacce nuove e quelle di sempre, dell’immagine della pace e delle strate-gie considerate ottimali nel perseguirla.

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Un po’ di storia di questa ricerca può facilitare la comprensione degliobiettivi e dei limiti che si è posta; l’indagine è nata dall’esigenza di condurreun’analisi comparata approfondita delle opinioni dei Francesi, degli Italiani edei Tedeschi sulle tematiche della sicurezza e della difesa. Per far fronte a que-sta esigenza il gruppo di ricerca del Cemiss da me diretto ha lavorato con glialtri due gruppi di ricerca (rispettivamente facenti capo al Centre d’Etudes enSciences Sociales de la Defence di Parigi e al Sozialwissenschaftliches Institut derBundeswehr di Berlino) in diversi incontri, prima a Roma e poi a Parigi, du-rante la primavera del 2002 per mettere a punto un questionario in comuneper le rispettive rilevazioni. I risultati delle indagini sono stati discussi insiemein diversi incontri durante il 2003 e sono raccolti in una pubblicazione collet-tanea in lingua inglese.

Il gruppo di ricerca italiano ha però ritenuto opportuno utilizzare questaopportunità per condurre uno studio ancora più approfondito; infatti sulleopinioni, le valutazioni, gli atteggiamenti degli Italiani nei confronti del nuo-vo modello di politica di sicurezza e difesa comuni non esistono ricerche so-ciologiche vere e proprie, ma esclusivamente dati di sondaggi che, come è no-to, necessitano di essere supportati da indagini condotte con altre metodolo-gie se si vuole superare un livello meramente informativo dotato di poca signi-ficatività sociologica. Ciò che manca infatti non sono certo i dati, ma è inveceil riferimento teorico e il dato adeguato al riferimento teorico; ingenti quan-tità di informazioni restano infatti al di fuori dei modelli interpretativi elabo-rati alla luce della teoria generale e, in quanto tali, vedono ridotta la loro fun-zione euristica.

La ricerca, non potendo contare su lavori empirici precedenti sull’argomen-to, ha inteso inaugurare una sociologia sull’Europa basata sull’ascolto delle opi-nioni dei cittadini e sulla ricostruzione dei modelli e delle immagini che le orien-tano. Dopo un accurato studio preliminare sui profondi mutamenti dello scena-rio internazionale, si è proceduto ad integrare il gruppo degli item comuni conle indagini francese e tedesca attraverso altre domande, sia ampliando le tema-tiche investigate (aggiungendo, per esempio, una sezione del questionario dedi-cata alla pace e alla difesa civile non armata e un’altra rivolta all’informazionesulle tematiche della sicurezza e della difesa europea, con particolare riferimen-to ai mass media) sia inserendo ‘domande aperte’, sia infine ricorrendo all’usodi alcune metafore. Attraverso queste integrazioni, si è cercato anche di ‘stem-perare’, il carattere fortemente tecnico di molte domande, cercando di formu-lare i quesiti in maniera che fossero il più possibile vicini all’esperienza di vitadei soggetti. La realizzazione di alcuni focus group precedentemente alla stesuradel questionario si è rivelata di notevole importanza in tal senso.

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La rilevazione dei dati inoltre non è stata affidata a nessuna società di son-daggi (che solitamente opera attraverso l’intervista telefonica) ma curata dalgruppo di ricerca stesso che ha impiegato venticinque intervistatori di altaprofessionalità debitamente istruiti attraverso una serie di briefing e successi-vamente riascoltati alla consegna dei relativi questionari. Il processo della rac-colta dei dati era infatti molto delicato: da una parte ha richiesto agli intervi-statori un ruolo particolarmente attivo – anche nel fornire qualche indicazio-ne su aspetti tecnici delle problematiche che risultavano meno note agli inter-vistati – e una spiccata abilità nel ricondurre la conversazione nel linguaggioquotidiano, riproducendo l’ambiente naturale in cui nascono e si strutturanole opinioni e le immagini, dall’altra una particolare cura nel cercare di rende-re minimo l’effetto intervistato/intervistatore.

Per la ricerca è stato utilizzato un campione ragionato per quote di 1600persone; il numero degli intervistati è cospicuo, ma non così ampio rispetto al-la popolazione italiana da consigliare l’adozione di soluzioni campionarie ditipo probabilistico che in questo caso avrebbero rischiato di creare distorsio-ni, conducendo a generalizzazioni errate. Al contrario si è ritenuto che uncampione ragionato – riproducente in proporzione le caratteristiche della po-polazione italiana supposte rilevanti per l’indagine (sesso, età, livello di istru-zione, localizzazione territoriale) – fosse più in linea con l’approccio metodo-logico scelto e con gli scopi complessivi dell’indagine.

Gli intervistatori hanno condotto le interviste (che hanno avuta una du-rata dai 45 minuti alle 2 ore circa a secondo del livello di cultura, ma anchedella personalità dell’intervistato) sulla base del questionario, ma lasciandoanche spazio alla discussione e annotando ulteriori informazioni, nonché le lo-ro impressioni sull’intervista in un documento a parte successivamente unitoal questionario compilato. Questi protocolli aggiuntivi hanno testimoniato lospiccato interesse da parte della maggioranza degli intervistati per le temati-che investigate. Un cospicuo gruppo di interviste sono state svolte personal-mente dagli autori dei saggi che seguono.

La rilevazione dei dati – che ha interessato tutta l’Italia – dati i vincoli de-gli incontri con gli altri partners europei non è potuta iniziare prima del 15giugno 2002; inoltre ha richiesto un periodo più lungo del previsto terminan-do agli inizi di settembre.

I risultati della ricerca: alcune considerazioni

Sui risultati conseguiti, che sono oggetto di analisi nei saggi che seguono,mi sembra utile avanzare alcune considerazioni.

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Ad oltre dieci anni dal dissolvimento dell’impero sovietico gli Italiani han-no sicuramente elaborato una nuova visione delle relazioni internazionali; ap-pare evidente che dopo la caduta del muro di Berlino la minaccia si sia dislo-cata: non viene più dall’Est, ma presenta nuovi fronti più articolati e comples-si. Ai pericoli bellici di tipo tradizionale – percepiti come piuttosto residuali,ma non del tutto insignificanti – si aggiungono nuovi rischi, la cui diversa po-lisemica natura lascia un certo margine di varianza nell’interpretazione sogget-tiva. La differenziazione in proposito riscontrata all’interno del campione sicompone però nella diffusa percezione di una elevata vulnerabilità sistemica,in una piena consapevolezza di vivere nella ‘società del rischio’.

Questa sentita consapevolezza non conduce però verso ‘sindromi securi-tarie’, in direzione del cosiddetto paradosso del ‘fondamentalismo della sicu-rezza’, processo per cui le stesse misure a tutela di una tranquilla vita colletti-va nella loro enfasi applicativa sarebbero in grado di ledere le tradizionali li-bertà delle società democratiche. Appare chiaro agli intervistati che le politi-che della sicurezza sono politiche complesse che vanno oltre l’emergenza; ne-cessitano di interventi che legano aspetti giuridici, economici, sociali, cultura-li e presuppongono oggi un ripensamento delle relazioni internazionali nelladirezione anche di una maggiore sensibilità etica.

Nell’insieme del nostro campione appare ampiamente diffuso quello chepotremmo definire, con Urlich Beck, un ‘cosmopolitismo globale’, cioè uncomplesso di valori per i quali l’inclusione di identità diverse non solo può es-sere possibile, ma è anche auspicabile e la sicurezza viene ricercata attraversoil negoziato e il dialogo.

Per quanto riguarda la concezione dell’Europa merita di essere segnalatoun atteggiamento di ambivalenza: se da una parte appare ancora molto distan-te dalla vita quotidiana dei cittadini, dall’altra si presenta, più dell’Italia, co-me luogo di protezione e come mezzo per rafforzare la sicurezza collettiva; ildiffuso favore per una maggiore integrazione nel campo delle politiche istitu-zionali di sicurezza e difesa si fonda quindi anche sulla convinzione di una fra-gilità nazionale, unitamente all’idea che la globalizzazione delle sfide e dei ri-schi necessita di risposte che superino le singole capacità di paesi come l’Ita-lia. Nella sua dimensione di progetto collettivo auspicabile l’Unione invece as-sume presso molti intervistati una precisa identità fortemente caratterizzata inuna dimensione di ‘cura’: politiche di welfare all’interno e di cooperazione epacificazione all’esterno, in una logica alternativa alla tradizionale politica dipotenza. In questa visione complessiva del ‘progetto Europa’ è contenuta an-che un’affiorante consapevolezza dei differenti interessi geostrategici e cultu-rali nei confronti degli Stati Uniti, consapevolezza che a volte, ma soltanto a

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volte, si tinge di sfumature di anti-atlantismo. Possiamo così iniziare a consi-derare il buon livello di consenso alla cooperazione militare europea registra-to come articolabile a diversi livelli; è sostenuto sia dall’esigenza di far frontealle fragilità istituzionali nazionali, sia dalla convinzione che l’Unione Euro-pea, come ‘potenza’ pacifica, possa giocare – se più forte – un importante ruo-lo stabilizzatore delle relazioni internazionali, sia infine dall’intento di unamaggiore autonomia dagli Stati Uniti.

Nel suo complesso la dimensione dell’integrazione europea appare am-piamente ‘metabolizzata’ in molti suoi aspetti (a cui oggi si va unendo anchequello politico-militare) come percorso scelto e perseguito in base a ragione-voli motivazioni e su considerazioni ritenute ‘oggettive’. Proprio questo atteg-giamento in un certo senso privo di dimensioni affettive – tranne che, come sidiceva, per la futura Europa ‘immaginata’ dove il contenuto valoriale è fortee coinvolgente – dà conto della tenuta nel tempo dell’europeismo degli Italia-ni, ma dovrebbe far riflettere sul fatto che se una diversa definizione della si-tuazione – per esempio la caduta della percezione della funzionalità dell’Eu-ropa o una sua diversa connotazione valoriale – dovesse radicarsi nella co-scienza collettiva potrebbero affiorare richieste di riappropriazione della so-vranità nazionale.

Nei riguardi delle Forze Armate va segnalato che alcuni compiti godonodi una stabilizzata, condivisa legittimazione sociale e di un consenso diffuso.Soprattutto il peacekeeping, oltre ai più tradizionali impieghi di sostegno uma-nitario in caso di disastro e di rimpatrio dei cittadini da zone di conflitto, ap-pare di consolidata accettazione. Il suo multilateralismo, la frequente legitti-mazione da parte delle Nazioni Unite rassicurano la gran parte degli Italianicirca un impiego della Forza Armata non aggressivo e non contrario alle istan-ze pacifiche, quando non pacifiste, che sono presenti in larga parte dell’opi-nione pubblica del nostro Paese. Sembra che gli Italiani condividano le sceltepolitiche che negli ultimi anni hanno configurato l’Italia come un significati-vo punto di riferimento per le missioni internazionali di pace, ma non abban-donino mai una spiccata sensibilità nei confronti di ogni evoluzione nel corsodelle singole missioni e della situazione internazionale nel suo complesso.

Per il resto, esistono diverse ‘anime’ all’interno dell’opinione pubblica ita-liana con differenti atteggiamenti nei confronti delle Forze Armate. Alcuni nu-trono profonda fiducia nello strumento militare e considerano le Forze Arma-te importanti istituzioni e indispensabili strumenti per la stabilità internazio-nale. Per altri invece l’istituzione militare è vissuta come una sorta di argomen-to tabuizzato, poco conosciuto e affrontabile solo attraverso idee precostitui-te. La ricerca ha messo in luce che le opinioni politiche hanno un certo peso

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in proposito e che certi tipi di cultura politica influenzano sensibilmente leopinioni e le valutazioni. Ma, al di là delle specifiche differenziazioni emerse,permangono presso l’opinione pubblica italiana sia una difficoltà culturalepiuttosto diffusa nel confrontarsi con le tematiche legate all’idea di un conflit-to armato, sia una ricorrente perplessità sulle dimensioni del ‘militare’.

In sintesi la ricerca ha permesso di mettere in chiaro – e i saggi che seguo-no lo testimoniano ampiamente – importanti dimensioni che sottostanno alleopinioni espresse dal campione, dimensioni di cui occorrerebbe tener contoin un dibattito che si spera possa realmente e approfonditamente svolgersi alivello nazionale. Infatti è necessario un pieno, maturo coinvolgimento dellepopolazioni in questa nuova emergente dimensione dell’integrazione europeaper conoscerne le modalità e soprattutto – è questo un punto di notevole rile-vanza – condividere le nuove sfide che attendono le Forze Armate; solo a que-ste condizioni l’Europa della difesa e della sicurezza sarà un’ulteriore occasio-ne per far crescere l’Europa della democrazia.

Roma, maggio 2003

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Capitolo primo

Legittimazione funzionale e coscienza cosmopolita:l’Europa e la comune politica di sicurezza e difesaFrancesco Antonelli

L’Europa e le appartenenze politico-culturali

La società complessa è caratterizzata da una condizione singolare in cuisi trova l’individuo: da una parte egli sembra sempre più ‘sradicato’ dalle co-munità e dai grandi gruppi sociali (classe, nazione ecc.) a cui nella prima mo-dernità apparteneva, dall’altro alcune forme identitarie localiste, forti e tota-lizzanti, sembrano affacciarsi – o riaffacciarsi – sulla scena della Storia.

Nel tentativo di razionalizzare e comprendere la crescente complessità so-ciale, la sociologia più recente e attenta, ha posto l’accento sul concetto di in-dividualizzazione; con questo concetto si fa riferimento a quel processo me-diante il quale, a più livelli sociali (politico, economico, familiare ecc.), l’indi-viduo si slega sempre più dai condizionamenti, dalle costrizione, ma anche –come contraltare – dalla sicurezza dei grandi legami sociali, divenendo auto-nomo arbitro e artefice del suo destino, della sua biografia e delle sue scelte divita. Questo è un processo duplice: da un lato, a livello microsociale, è di tipoprevalentemente cognitivo, per cui l’individuo tende a credere – o è ideologi-camente indotto a farlo – che le conseguenze della proprie azioni risiedanonelle sue sole scelte (responsabilizzazione individuale); dall’altro, a livello ma-crosociale, si afferma e viene continuamente rafforzata una tendenza genera-le alla de-responsabilizzazione delle istituzioni sociali e politiche: il compito dichi governa, e degli apparati istituzionali e organizzativi, si afferma, è sempli-cemente ‘minimale’ e ‘residuale’, cioè volto a garantire un contesto formalecorretto (diritti di libertà, sicurezza, difesa) nel quale gli individui possanoesprimere la propria autonomia liberi da vincoli ma anche, sempre più, dallegaranzie sociali; così nelle parole di Beck, l’individualizzazione ‘è la soluzioneindividuale a contraddizioni sistemiche’, il risultato della fine della società diclasse con caratteristiche cetuali.

Se ciascuno è estraneo in un mondo di estranei, arbitro ed artefice di sestesso, anche l’identità diviene un fatto prevalentemente ‘elettivo’: essa allora

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dovrebbe essere definita come ‘auto-identità’ ed ‘auto-definizione del Sé’. Inquesto senso la nostra società individualizzata è anche una società multicul-turale, in un accezione del termine che va ben al di la del suo essere sinoni-mo di multietnicità.

Le identità politiche non sfuggono alle logiche sopra descritte, in quan-to parte integrante della categoria delle identità sociali. Molteplici indizi in-fatti, sembrano suggerire che i percorsi della individualizzazione delle appar-tenenze e delle identità politiche conducano non tanto o non solo alla fram-mentazione dell’asse destra/sinistra, quanto alla sovrapposizione, scissione ericostruzione dei grandi referenti socio-politici, in primis lo Stato, all’internodi percorsi nuovi e fortemente individuali.

Un senso di appartenenza ad una comunità costituisce uno degli elemen-ti più importanti di ogni identità politica; ora, quello riferito alle grandi co-munità politiche era caratterizzato prevalentemente in senso esclusivo. Que-sto era vero sia se per grandi comunità politiche si intendono gli Stati-nazio-ne, sia se si intendono le grandi religioni politiche del ventesimo secolo: il sen-so del Noi esclude automaticamente l’appartenenza contemporanea a comu-nità diverse che si collochino al medesimo livello – chi è francese non può an-che essere italiano – e spesso anche a livelli diversi – in uno Stato, il centrodeve prevalere sulla periferia –; ma la destrutturazione dello Stato ed il tra-monto delle tradizionali religioni politiche, pongono fine a queste dramma-tiche alternative: il formarsi di sensi di appartenenza e di identità politichesovrapposte e spesso ambigue divengono una realtà largamente diffusa. An-che il senso di appartenenza allora si declina al plurale e viene sostituito daisensi di appartenenza (Bauman 2002; Beck 2000; Giddens 1994; Melucci,2000).

Un’indagine sull’Europa non può che partire proprio da questi elemen-ti, che costituisco il quadro complessivo all’interno del quale situare ogni da-to e considerazione sulla costruzione di una comune politica di sicurezza edifesa. Nello specifico, la nostra analisi sulle identità non può non incomin-ciare dal senso di appartenenza all’Italia.

Il senso di appartenenza e l’orgoglio di essere italiano

Nella ricerca, la domanda ‘Quanto si sente orgoglioso di essere italia-no?’, costituiva un indicatore della componente affettiva del senso di appar-tenenza all’Italia, di cui l’orgoglio rappresenta la manifestazione più evidenteed intelligibile.

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I risultati hanno evidenziato una prevalenza della modalità ‘molto’ (49%),seguito da ‘abbastanza’ (35%) e dalla modalità ‘poco’ (10, 3%); quasi irriso-rio il dato relativo al valore ‘per niente’ (1, 4%) [fig.1]:

Sebbene, come è evidente, i risultati ci spingono ad affermare che il sen-timento d’orgoglio sia ampiamente diffuso presso gli intervistati, la composi-zione dell’opinione in base all’area politica consente di giungere a conclusio-ni più articolate:1. La modalità ‘molto’ risulta formata in netta prevalenza da intervistati di de-

stra (42%), seguiti da quelli di sinistra (28,6%), mentre quasi eguali sono i va-lori relativi al centro (13,9%) e a nessuna appartenenza politica (15,5%);

2. Per la modalità ‘abbastanza’, i risultati si dimostrano simmetrici rispetto aiprecedenti, con una prevalenza degli intervistati di sinistra (45,7%), segui-ti da quelli di destra (26,6%); ancora una volta, molto simili appaiono i va-lori relativi al centro (11,5%) e a nessuna appartenenza politica (16,2%);

3. Nettissima è la composizione politica delle modalità ‘poco’ e ‘per niente’.La prima risulta essere composta in grandissima maggioranza da intervista-ti di sinistra (64,2%), seguiti a molte lunghezze di distanza da intervistati didestra e con ‘nessuna appartenenza politica’ (entrambi al 16%), mentre so-no quasi assenti gli intervistati di centro (3,7%);

4. In una direzione ancora più chiara si muove la composizione per area poli-tica della modalità ‘per niente’, con l’esclusiva presenza di intervistati di si-nistra (63,6%) e che non si riconoscono in alcuna area politica (36,4%).

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Fig. 1: quanto si sente orgoglioso di essere italiano?

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In generale dunque, il senso di appartenenza all’Italia appare diffuso e ra-dicato nella coscienza degli intervistati: la collettività nazionale quindi, comegruppo di appartenenza e di riferimento positivo, sembra tenere.

I fattori politici, tuttavia, sembrano agire ‘da filtro’ e ‘matrice’ nella co-struzione sociale di questo sentimento, generando modi ‘politicamente tipici’di viverlo; è questo un fatto, di estremo rilievo: infatti, ciò potrebbe indicareuna persistenza dell’ideologizzazione e del crinale destra-sinistra all’internodella società italiana; in particolare – stando a questi primissimi risultati – sem-brerebbe che: • la sinistra presenti una gamma più ampia di posizioni, che ricoprono tutto

lo spettro della scala, risultando perciò, più ‘lacerata’ al suo interno; il sen-timento di orgoglio che prevale è più misurato e (forse) contrastato rispet-to a quello tipico della destra. Come si vedrà, queste caratteristiche apronola strada, alla possibilità di appartenenze multiple e maggiormente univer-saliste.

• La destra invece, risulta ampiamente soprarappresentata nelle prime duemodalità, finendo per sembrare più compatta sul terreno dell’affettività na-zionale; il sentimento di orgoglio che prevale allora, sembra più intenso e(forse) ‘acritico’ rispetto a quello tipico della sinistra.

Il senso di appartenenza e la patria

Tramite il quesito ‘Quale considera la sua patria?’ avevamo invece inten-zione di individuare quale fosse la principale collettività politico-culturale diriferimento degli intervistati.

I risultati hanno evidenziato una netta prevalenza della modalità ‘Italia’,considerata la propria patria dal 64,6% degli intervistati; segue poi, in manie-ra da noi del tutto inaspettata, il ‘mondo’, con un sorprendente ‘15,4%; di si-curo rilievo anche il risultato conseguito dalla ‘città dove sono nato-a o vivo’con ben 11,1%; una sorpresa assoluta è stato poi il risultato della modalità‘Europa’, con solo il 4,9%; infine, estremamente basso il risultato relativo ‘al-la regione dove sono nato\a o vivo’ con solo il 2% [fig. 2]:

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Questi risultati sembrano suggerire che Il senso di appartenenza – pur es-sendo nella maggior parte delle persone radicato nella propria patria di nasci-ta (l’Italia) – risulti oggi più complesso e sfumato, in grado di manifestarsi ver-so collettività diverse, non necessariamente inconciliabili fra loro; in altre pa-role, il processo d’identificazione si frammenta in percorsi diversi, il cui cen-tro e trait d’union risulta essere l’attore sociale con la sua possibilità di sceltae di aggregazione di frammenti identitari diversi: un senso di appartenenzaaperto e in continuo farsi ne diventa la manifestazione più evidente. Quest’e-lemento, che ribadisce la tendenza alla individualizzazione dell’identità poli-tico-sociale comporta, come conseguenza, la diffusione di sensi di appartenen-za tipicamente postmoderni, che si rivolgono verso collettività di prossimità(la città) o lontane e per molti versi puramente ideazionali (il mondo).

In questo contesto, l’Italia si conferma il ‘paese delle cento città’, con unlocalismo che si esprime prevalentemente su base comunale e cittadina, a svan-taggio di connotazioni regionaliste; ciò è per molti versi il risultato di una lun-ga sedimentazione storica: mentre le città sono percepite come comunità dota-te di una lunga tradizione e di una propria identità, di cui volentieri si fa parte,le regioni risultano essere mere ‘entità amministrative’, create artificialmente esolo da poco entrate a far parte della nostra vita. All’autenticità della dimensio-ne cittadina dunque, sembra contrapporsi l’inautenticità della dimensione re-gionale, che non appare sostenuta da alcun radicato senso di appartenenza.

Sulla base di queste considerazioni saranno analizzate qui di seguito lequattro modalità principali – ‘la città dove sono nato-a o vivo’, ‘l’Italia’, ‘l’Eu-

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Città Regione Italia Europa Mondo

Fig.2: "quale considera la sua patria?"Fig. 2: quale considera la sua patria?

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ropa’ ed il ‘mondo’, mentre la modalità ‘la regione dove sono nato/a o vivo’sarà tenuta presente solo in sede di analisi conclusiva – con lo scopo di com-prendere quali dimensioni socio-politiche siano sottese a ciascuna di esse.

A) La città dove sono nato/a o vivo

La ‘città’, presenta un’interessante composizione dal punto di vista dell’a-rea politica e del sesso. Iniziando l’analisi dalla prima dimensione, in preva-lenza risultano gli intervistati di destra (34,1%), seguiti dalla sinistra (28,4%)e dall’area ‘nessuna appartenenza politica’ (23,9%); più limitato il dato relati-vo al centro (13,6%) [fig.3]:

Come risulta da una pur superficiale interpretazione dei dati, la compo-sizione politica dell’opinione, è dispersa, con una leggera prevalenza della de-stra.

Altro dato molto interessante – come detto – è quello relativo al sesso: ledonne, infatti, risultano presenti al 60,2% ed i maschi solo al 39,7%.

Combinando questo dato con la composizione politica precedentementevista, risulta che:• la prevalenza della destra è assicurata da una maggior quota di maschi

(13,6%) rispetto a quella della sinistra (8%), essendo perfettamente identi-

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appartenenza

Destra

Centro

Sinistra

Fig.3: composizione per area politica della modalità "Città"

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Nessunaappartenenza

Fig. 3: composizione per area politica della modalità “Città”

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ci i dati relativi alle donne di destra e di sinistra (20,5%); per quanto riguar-da l’area ‘nessuna appartenenza politica’, essa risulta composta in leggeramaggioranza dai maschi (13,6% contro il 10,2% delle femmine).

Sulla base di questi risultati, è quindi possibile affermare che in linea ditendenza:• le donne più degli uomini – indipendentemente dall’area politica – sembra-

no essere localiste (localismo di genere);• La forte incidenza dell’area ‘nessuna appartenenza politica’, indica proba-

bilmente la presenza di un tipo di localismo non politico (localismo apoli-tico).

Uno dei risultati più importanti che emerge da questi dati allora, è rap-presentato dalla possibilità – tutta concettuale – di costruire due tipi (o mo-delli) di localismo (tabella 1), che con buona approssimazione sembrano pre-senti in Italia.

Il primo tipo di localismo, può essere definito – in modo forse un po’ im-proprio – di genere; esso sembra basarsi essenzialmente su dati culturali e ri-sulta trasversale alle aree politiche. In questo ambito, sembra dominare la cul-tura dell’attaccamento alla propria terra, alle sue tradizioni e alla sua cultura.Diverso è il caso del localismo apolitico; Quest’ultimo, per la sua connotazio-ne ‘politica post-politica’, sembra inscriversi su una tipica matrice culturale da‘trionfo del privato sul pubblico’, della prossimità sulla distanza, della chiusu-ra sull’apertura; in questo contesto allora, la città come patria, viene vissuta ocome un ‘mondo locale’ (Cotesta, 2000; Geertz, 1999) dotato di un’intrinsecapositività che si oppone alle minacce esterne e all’ordine politico dominante;oppure come una identità tipicamente postmoderna, rilevante e significativaperché fornisce un’appartenenza forte e vicina, che consente all’individuo dinon sentirsi sradicato ed estraneo; come tale, essa non è necessariamente incontrapposizione con altre fonti d’identità e collettività.

Tab. 1: tipi emergenti di localismo

Nell’era della globalizzazione, la forza del localismo – comunque lo si vo-glia interpretare – sembra confermare che la diversità ed il senso della comu-nità, lungi dal venir meno e si rafforzino e quasi si nutrano della spinta all’o-

Tipi emergenti di localismo

Localismo apolitico Localismo di genere

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mogeneizzazione e alla mondializzazione della sfera economico-strumentale(Touraine 1998; Antonelli 2002a).

B) L’Italia

La terza modalità della domanda presenta un interessante composizionedal punto di vista dell’area politica, mentre, è privo di interesse il dato relati-vo al sesso.

In particolare, questa modalità risulta scelta in prevalenza da intervistatidi destra (39,1%), seguiti da quelli di sinistra (33,1%). Questa composizionedella modalità in questione, suggerisce, a conferma del risultato emerso a pro-posito della domanda 6.2 che:• Gli intervistati di destra, si identificano più di quelli di sinistra con l’Italia,

intesa quale patria e collettività politico-culturale di riferimento.

C) L’Europa

Questa modalità, assume senz’altro un rilievo particolare per la presentericerca; essa presenta, ancora una volta, un’interessante composizione dalpunto di vista dell’area politica, con una netta prevalenza della sinistra (50%),seguita dall’area ‘nessuna appartenenza politica’ (31,3%); i dati relativi alladestra (12,5%) e al centro (12,5%) sono invece molto esigui.

La composizione della modalità in questione, appare di grande interesse:da una parte, infatti, gli intervistati di sinistra risultano essere quelli che mag-giormente si identificano con l’Europa come collettività politico-culturale diriferimento; dall’altra, sono massicciamente presenti anche quelli che non siidentificano con nessuna area politica; questo potrebbe indicare l’emergere didue modi diversi di sentire l’Europa come referente della propria identità: ilprimo, appare ancorato ad una matrice politica specifica che ne costituisce laconnotazione distintiva (europeismo politico forte) e ne fa quasi un segno spe-cifico di essa; il secondo modo, più ‘leggero’, indica l’emergere di un sentirsieuropeo al di fuori di ogni schema politico; così, se anche in questo caso si puòparlare di segno distintivo, lo si deve fare sottolineando che l’Europa come pa-tria sembra essere, per questa categoria d’intervistati, una collettività differen-ziata dalle logiche politiche ed ideologiche dello Stato-Nazione, una colletti-vità post-nazionale e più universale.

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D) Il mondo

In quest’ultima modalità, la composizione per area politica, risulta total-mente sbilanciata a favore della sinistra (67,5%), seguita a grande distanza dal-l’area ‘nessuna appartenenza politica’ (17,1%); molto bassi, infine, i valori re-lativi alla destra (10,6%) e al centro (4,9%).

Per quanto riguarda la composizione per sesso, questa non risulta tantorilevante in sé, quanto combinata con i dati relativi all’area politica preceden-temente visti; attraverso quest’incrocio ulteriore, infatti, preponderante risul-ta la presenza delle donne di sinistra (37,4%) rispetto ai maschi della stessaarea (30,1%), e di quelle rispetto alle donne degli altri schieramenti politici[fig.4]:

Pur essendo, in generale, gli intervistati di sinistra quelli che maggiormen-te considerano il ‘mondo’ come loro principale patria (universalismo), all’in-terno di quest’area, significativa è la differenza tra donne e uomini, con la con-seguenza che ‘l’appartenenza universalista’ assume una connotazione duplice:di genere e politica. In alcuni segmenti della società allora, si può ipotizzarel’affermarsi una sorta di senso di ‘responsabilità globale’, un sentirsi parte del-l’umanità, che trascende i confini – ideologici e fisici – dello Stato-nazione. In

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Fig.4 : composizione per sesso ed area politica della modalità "Mondo"

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Fig. 4: composizione per sesso ed area politica della modalità “Mondo”

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particolare, l’enfasi sul ‘mondo’ come patria elettiva, indica quanto il discor-so sulla società globale – al di là del semplice globalismo economico – si vadaradicando nella nostra cultura politica trasportando, su un piano sociale gene-ralizzato, quella coscienza cosmopolita che in passato era stata caratteristicadi ristrette élite culturali. Ciò riflette probabilmente i cambiamenti politici edeconomici verificatisi negli ultimi venti anni che mettono profondamente incrisi l’idea dello Stato-nazione quale centro del potere ed aprono la strada atendenze volte al suo superamento.

Il senso di appartenenza all’Europa

Con la domanda ‘Si sente europeo?’ siamo entrati in modo diretto nelcuore della ‘questione’ europea; in sostanza, qui si voleva indagare il modo ela dimensione del senso di appartenenza all’Europa come tale.

I risultati hanno evidenziato una certa dispersione fra le prime tre moda-lità, rispettivamente con valori pari al 19,1% per ‘molto europeo’, 32,6% per‘piuttosto europeo’ e 35,4 per ‘un po’ europeo’, che risulta la modalità piùscelta; la modalità ‘per niente europeo’ presentava invece un valore relativa-mente basso pari al 7,9% [fig. 5]:

Quindi, mentre molti sondaggi rappresentano l’Italia come paese euro-peista per eccellenza, la realtà emersa dalla nostra ricerca si dimostra molto

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Fig.5: "quanto si sente europeo?"

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Fig. 5: quanto si sente europeo?

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più complessa e sfumata; in particolare, al di là di affermazioni superficiali, ciòche emerge è un senso di appartenenza all’Europa molto meno diffuso di quel-lo che si crede e assai più contrastato.

Anche in questo caso, per una migliore comprensione del problema, sem-bra fondamentale la discriminante destra/sinistra, con la netta prevalenza diquest’ultima (52,9%) nella prima modalità (‘molto europeo’) e della destra(44,3%) nell’ultima (‘per niente europeo’).

Tale distribuzione in particolare, ci consente di affermare che:• Il senso di appartenenza all’Europa è più presente nella sinistra che nella

destra; dunque, volendo generalizzare, tanto più ci si muove nello spazio po-litico (italiano) da destra verso sinistra, tanto più cresce il senso di appartenen-za all’Europa.

D’altra parte, questi risultati arricchiscono quanto precedentementeemerso a proposito del senso di appartenenza ad una patria specifica; l’Euro-pa, infatti, non sembra caratterizzarsi come un identità forte e radicata, ma su-perficiale e debole, schiacciata da altre identità più consolidate e soprattuttoemotivamente più vicine. In questo contesto, il dichiararsi – più che il sentir-si – europeo acquista una connotazione marcatamente ideologica: chi è di si-nistra, sembra fare dell’europeismo una specie di segno esteriore della propriaappartenenza politica, mentre chi è di destra assume un comportamento inparte opposto. Quanto questo sia il risultato delle vicende politiche che han-no caratterizzato l’ingresso dell’Italia nell’euro è difficile a dirsi; certo, appareincontrovertibile il totale ribaltamento del significato politico-ideologico chel’Europa ha subito nel contesto italiano; mentre infatti, per quasi tutta la sto-ria della sua integrazione, l’Europa è stata contestata nel suo modo di realiz-zarsi dalla sinistra, oggi appare proprio quest’area politica quella maggiormen-te favorevole ad essa.

La questione della doppia cittadinanza

In questo contesto di ambiguità e complessità del modo di essere degli at-tori sociali rispetto alle appartenenze, la ‘questione della doppia cittadinanza’e della doppia appartenenza all’Italia e all’Europa assumono una fondamen-tale importanza. La domanda ‘Secondo lei, è possibile sentirsi contempora-neamente cittadini italiani ed europei?’ è stato l’indicatore mediante il qualequesto problema è stato indagato.

I risultati hanno evidenziato la prevalenza delle prime due modalità, ri-spettivamente il 48,4% per la prima (‘si, naturalmente’) e il 35,5% per la se-

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conda (‘si, ma non è la stessa cosa’), mentre la terza (‘penso sia difficile’) si è at-testata al 10,1% e la quarta (‘no, non è possibile’) solo al 2%.

Ancora una volta si dimostra interessante la composizione politica delle mo-dalità, che ci aiuta a comprendere meglio questi risultati; in particolare, verrà pre-sa in considerazione la composizione delle prime tre, considerata la limitatezzadel dato relativo alla quarta; così:• La prima modalità (‘si, naturalmente’) risulta composta in prevalenza da inter-

vistati di sinistra (47,8%), seguiti a grande distanza da quelli di destra (25,3%),di centro (13,3%) e che non si riconoscono in alcuna area politica (13,6%).

• Opposta invece, è la composizione per area politica della seconda modalità (‘si,ma non è la stessa cosa’), con la prevalenza della destra (39,6%), seguita dallasinistra (29,7%), dall’area ‘nessuna appartenenza politica’ (17,7%) e dal cen-tro (13,1%).

• Meno netta, infine, la composizione della terza modalità (‘penso sia difficile’),pur nella prevalenza della destra (38%), seguita a breve distanza dalla sinistra(32,9%), dall’area ‘nessuna appartenenza politica’ (24,1%) e dal centro(5,1%).

L’idea della doppia cittadinanza, pur nelle diverse sfumature, è allora accet-tata dalla grande maggioranza degli intervistati: la sinistra, però, si dimostra piùentusiasta della destra.

In particolare, confrontando i risultati con quelli relativi alle precedenti do-mande, emerge l’apparente contraddizione tra una contrastata – se non rifiutata– idea dell’Europa come patria esclusiva e la contemporanea accettazione dell’i-dea della doppia cittadinanza. Tuttavia, questo dilemma è solo apparentementetale; esso, infatti, si risolve se si pone mente da una parte al progressivo svinco-larsi – anche per opera dello stesso processo di costruzione dell’Europa – dell’i-dea di cittadinanza da quella di nazione; e dall’altro, se ci si riferisce alla divisio-ne del lavoro politico fra livelli diversi di governo. La doppia cittadinanza allora,diviene un quid aggiuntivo – e non alternativo – di diritti, un estensione deside-rata delle proprie garanzie ed opportunità: l’Europa cioè, riacquista una valenzapositiva se intesa in senso funzionale e strumentale ai propri interessi.

Il doppio cittadino quindi è sostanzialmente un avente diritto (Burdeau,1979), uno che più che aderire al progetto politico ideale dell’Europa, ne cogliesolo i possibili vantaggi. Non a caso, la stragrande maggioranza del nostro cam-pione indica come valore prioritario (domanda 6.1) ‘la tutela della libertà e deidiritti umani’ (41,4%) e come valore secondario l’azione volta a ‘rendere la so-cietà un luogo libero dove ognuno possa esprimere la sua personalità’ (17,4%) etra gli ultimi ‘dare alle persone maggior potere decisionale nel lavoro e nella co-munità’: una chiara indicazione di come si verifichi una frattura generalizzata fra

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una richiesta di diritti sempre più ampi e la partecipazione, tra l’adesione mora-le ed emotiva ad una comunità ed il fruire dei suoi vantaggi. In questo contestoquindi, non può e non deve stupire l’idea di una doppia cittadinanza non soste-nuta da un senso forte dell’appartenenza all’Europa.

Un grappolo d’identità

A conclusione di queste prime analisi, è possibile affermare che mentre dauna parte la ‘tradizionale’ identità italiana tiene, dall’altra, il campo culturale del-le appartenenze si allarga sempre più, includendo gradualmente identità che sistrutturano secondo percorsi diversi rispetto a quelli della prima modernità.Queste ‘nuove’ identità sembrano costruite su un complicato intreccio di elemen-ti eterogenei, come le aree politiche, le culture di genere, i sensi d’insoddisfazio-ne e i desideri di superamento dell’esistente.

L’italiano, infatti, nel costruire la sua gamma d’identità, sembra più un me-diatore che cerca un trait d’union fra vecchio e nuovo, fra identità ascritte per na-scita e tipiche della prima modernità (l’Italia), ed identità che seguono percorsidiversi (la città, il mondo). In questo quadro, l’Europa esce ‘sconfitta’ se la con-sideriamo come patria, ma probabilmente vincente se la consideriamo come en-tità strumentale ai bisogni dell’individuo: così, essa sembra legittimarsi più sullabase della sua funzionalità che di un autonomo sostrato ideologico e culturale.

Questo fatto è fondamentale per comprendere quali sono gli spazi di legit-timazione su cui presumibilmente l’Europa può contare – al di là delle contin-genti questioni del consenso – anche per le sue politiche di sicurezza e difesa. Percontrollare quest’ipotesi occorre però prendere in considerazione altre tre di-mensioni fondamentali: l’impatto percepito delle istituzioni europee sulla vita deicittadini – comparato con quello delle istituzioni italiane – le aspettative ed il ruo-lo che i nostri intervistati attribuiscono all’Europa nel futuro – soprattutto nelcampo della sicurezza e difesa – ed infine, i meccanismi decisionali ritenuti piùidonei per porre in essere queste politiche.

Presenti o assenti? istituzioni italiane ed europee a confronto

Mediante il quesito ‘Rispetto alle seguenti istituzioni può indicarci il livel-lo di impatto che ritiene abbiano sulla sua vita?’ volevamo individuare il livellod’impatto che una serie di istituzioni europee ed italiane hanno sulla vita del-la gente. In particolare, lo scopo della domanda consisteva nel comprendere

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la percezione che gli italiani hanno delle istituzioni politiche (europee ed ita-liane), colte nella dimensione dell’incidenza – o influenza – della loro azionesulla vita quotidiana. L’assunto di base è che le istituzioni siano anche elemen-ti cognitivi di cui gli attori sociali tengono conto nell’orientare i propri com-portamenti e atteggiamenti; così:• più cresce l’impatto percepito di un’istituzione sulla vita della gente, più

quest’istituzione diventa, nelle società complesse, responsabile per il buo-no o – più spesso – cattivo andamento degli affari sociali, politici ed econo-mici; il consenso verso di essa allora, deve essere continuamente rinegozia-to e la sua attività diventa bersaglio usuale di critica.

L’analisi e la comparazione dei dati relativi all’impatto percepito, consen-te di costruire una sorta di mappa delle istituzioni. Nel nostro specifico caso,questa mappa ci consente di valutare il grado in cui le istituzioni europee so-no entrate nella coscienza della gente e se e quanto ne sono uscite quelle ita-liane. In sostanza, con tale strumento, si è inteso ancora una volta valutare –dal punto di vista istituzionale – l’interazione fra la dimensione europea e quel-la italiana.

I risultati hanno evidenziato una forte differenza fra la percezione delleistituzioni italiane ed europee; le prime, infatti, vengono giudicate – con la si-gnificativa eccezione delle FF.AA. – come molto rilevanti nel loro impatto, sul-la vita quotidiana; al contrario, le istituzioni europee – con la significativa ec-cezione della Banca Centrale Europea – sono considerate a medio/basso im-patto.

Impatto percepito delle istituzioni italiane

L’analisi dei dati relativi al gruppo italiano, evidenziano una netta polariz-zazione in direzione del valore ‘alto impatto’ per tutte le istituzioni proposte.

Fra queste, un ruolo assolutamente preminente, lo occupa il ‘Governo’,considerata dal 75,2% degli intervistati l’istituzione a più alto impatto sulla vi-ta; segue poi il ‘Parlamento’ con il 71,4%, il ‘Sistema di Giustizia’ con il 62,7%e la ‘Banca d’Italia’ con il 55,4%; infine, troviamo le ‘Forze Armate’ con soloil 27,2% degli intervistati che le attribuiscono un alto impatto.

Il sistema di governo parlamentare allora, risulta essere largamente assi-milato nella coscienza degli italiani come principale sistema della vita pubbli-ca; non di meno, i dati segnalano che gli italiani accordano al suo interno unapreminenza al governo, giudicato come l’istituzione cardine di tutto il sistema,il principale responsabile ‘dell’andamento delle cose in Italia’; d’altronde,questa percezione risulta coerente con l’evoluzione istituzionale in corso.

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Vistosa è invece la perdita d’importanza della Banca d’Italia, come con-seguenza, probabilmente, dell’introduzione dell’euro.

Infine, il dato relativo alle FF.AA., per essere compreso, richiede un mag-gior approfondimento circa la composizione per area politica delle tre moda-lità aggregate. In particolare, mentre gli intervistati di destra si sono divisi frale modalità ‘alto’ e ‘medio’, quelli di sinistra si sono invece concentrati in grannumero nella modalità ‘basso’.

Impatto percepito delle istituzioni europee

L’analisi del dato relativo al gruppo europeo invece, evidenzia una mar-cata polarizzazione in direzione del ‘basso impatto’ per tutte le istituzioni pro-poste, senza che vi sia una significativa differenza fra di esse; l’unica, rilevan-te eccezione, è quella della Banca Centrale Europea [Fig.6].

L’anomalia – rispetto alle caratteristiche generali del campo istituzionaleconsiderato – della ‘Banca Centrale Europea’, letta assieme al dato relativo al-le altre istituzioni, sottolinea come l’euro, se ha contribuito a diffondere pres-so la gente l’idea dell’importanza della B.C.E., non è però servito a rafforzarel’idea dell’Europa come entità politica che incide direttamente sulla vita quo-tidiana; la moneta unica dunque, ha veicolato il messaggio che la sovranitàeconomica è stata ceduta, in parte, ad un’entità sovranazionale, ma non harappresentato il segno di una complessiva maggior integrazione in un’entitàsovranazionale: limitate sono state le ricadute positive della moneta a favoredi una maggior legittimazione delle altre istituzioni europee.

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30

40

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100

Consiglio

d'Europa

Parlamento

Europeo

Commissione

Europea

Corte di giustizia

Europea

Banca Centrale

Europea

Fig. 6: livello d’impatto percepito delle istituzioni europee

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Istituzioni europee ed italiane a confronto

Confrontando i risultati relativi ai due gruppi, o campi istituzionali, si puòdire che:• Le istituzioni italiane mantengono la loro centralità nella percezione della gen-

te; le istituzioni europee invece, complessivamente intese, risultano più distan-ti dalla quotidianità. Questo fatto è coerente con quanto detto a proposito delsenso di appartenenza degli italiani, per cui l’Europa, non risulta essere eleva-ta nella coscienza collettiva al rango di ‘patria’; al contrario, pur tra molte dif-ficoltà, l’Italia mantiene il suo ruolo di ‘patria di riferimento’ per la gran mag-gioranza degli italiani.

Coerentemente con questa visione complessiva, gli italiani percepiscono ilgoverno ed il parlamento italiano come sedi del potere politico e delle decisioni,mentre, così come risulta dalla comparazione dei dati relativi alla Banca d’Italiae alla B.C.E., si sta affermando l’idea che la sede del potere economico sia altro-ve, e cioè in Europa.

In questo senso, la natura marcatamente economicista dell’U.E., sembraaprire la strada a due scenari alternativi.

Il primo, più positivo, comporta la riacquisizione cognitiva del referente eco-nomico da parte della gente comune (l’Europa), con una conseguente riappro-piazione di quella parte della realtà sociale – l’economia – che sembra, sotto laspinta della globalizzazione, divenuta del tutto autoreferente ed incontrollabile,accomunabile al destino o al caso.

Il secondo, fortemente negativo, comporta un assimilazione fra la distanzache gli individui avvertono nei confronti delle altre grandi forze economiche del-la globalizzazione e l’Europa; la moneta unica rischierebbe in questo caso, di ac-centuare la scissione – anche cognitiva – fra sfera economica e sfera sociale tipi-ca di questa fase storica, anziché ridurla. Così, in prospettiva, si potrebbe giun-gere ad un pericoloso gap percettivo fra la iper-responsabilizzazione del governoe della politica italiana da una parte, e la de-responsabilizzazione dell’economiae della finanza dall’altra. La conseguenza di questo può essere duplice: l’accen-tuarsi della ‘crisi di governabilità’ del nostro paese da una parte, e la conseguen-te richiesta – probabilmente anche caratterizzata da un alto grado di violenza –di riappropiazione della sovranità economica dall’altra.

Il futuro ruolo politico dell’Europa: un alto profilo?

Proprio a fronte di questo medio-basso impatto percepito delle istituzionieuropee, è importante verificare le aspettative verso l’Europa ed il ruolo comples-sivo che ne deriva; questi aspetti sono stati indagati in tre dimensioni:

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• La prima è la dimensione concernente le aspettative sulle policy che in futurol’Unione è chiamata a porre in essere.

• La seconda concerne le aspettative complessive sul ruolo politico dell’U.E.• La terza, infine, è la dimensione riguardante nello specifico la costruzione del-

le politiche istituzionali della sicurezza e difesa.

Le priorità politiche dell’Europa

La domanda di apertura del questionario è stata: ‘Secondo lei, dopo lamoneta unica, l’Unione Europea che tipo di priorità dovrebbe dare alle se-guenti questioni?’; con questa domanda, intendevamo misurare il grado d’im-portanza che gli intervistati assegnavano a ciascuna delle dodici policy presen-ti nel questionario.

I risultati, hanno evidenziato la generale polarizzazione dell’opinione pertutte le iusses in direzione dei valori ‘molto alta’ ed ‘alta’, (tabella 2):

Tab. 2: priorità politiche dell’Europa

37

Molto alta Alta

Sicurezza alimentare 39,8 40,3

Occupazione 59 32,6

Politica sociale 30,3 42,6

Protezione dell’ambiente 51,8 34,9

Difesa 22,9 30,4

Sicurezza pubblica 38,5 37

Sanità 57,5 29,5

Cultura ed educazione 38,3 38,8

Politica estera 21 42,1

Ricerca scientifica 35 41,3

Politica agricola comune 20,1 32,5

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La forte polarizzazione, sembra indicare un alto livello di preoccupazio-ne per l’attuale momento sociale, politico ed economico, che si traduce in unadomanda generalizzata di attenzione per tutte le problematiche: il quadroquindi, è quello tipico della società del rischio, ove l’orizzonte di aspettativedei cittadini è fortemente influenzato dal senso dell’insicurezza. (Su questopunto, si veda il saggio di Zaretti).

Come conseguenza, aumenta la richiesta d’intervento delle istituzioni po-litiche nella società, specie in quegli ambiti di assoluta centralità per il benes-sere individuale; infatti, le policy maggiormente prioritarie – considerando ivalori relativi alla modalità ‘molto alta’ – appaino essere, nell’ordine, ‘l’occu-pazione’, ‘la sanità’ e ‘la protezione dell’ambiente’.

Questi risultati, a mio giudizio, vanno letti unitamente a quelli relativi al-le istituzioni europee: essi si spiegano a vicenda.

Ciò che gli intervistati sembrano voler dire con le loro risposte, i loro com-menti, è che l’Unione Europea risulta essere, così com’è, distante dalla vitaquotidiana (dimensione dell’essere) ma che ha tutte le carte in regola per in-tervenirvi in modo più incisivo (dimensione del dover essere), specie in que-gli ambiti che più direttamente hanno un influenza sul benessere e la qualitàdella vita degli individui; il quadro – ancora una volta – sembra proprio quel-lo dell’avente diritto (Burdeau, 1978), rispetto al quale l’Europa – a fronte diun basso grado d’identificazione – appare un mero strumento d’azione, seb-bene ritenuto particolarmente efficace.

Inoltre, questa domanda di un maggior intervento nella società, sembrauna specie di richiesta a rivitalizzare lo Stato sociale, collocato però, in unacornice sovranazionale; questa non costituisce un problema; anzi proprio perla sua caratteristica di distanza, di terzietà rispetto agli Stati, l’Europa sembrapiù adatta e più efficace nel perseguire quei compiti che lo Stato-nazione nonassolve più. Insomma, a prevalere è la richiesta di una sorta d’intervento dal-l’esterno a favore dell’integrazione sociale e della sicurezza, in un quadro peròdi rigenerazione delle istituzioni comunitarie.

Il ruolo futuro dell’U.E

La domanda ‘In futuro lei auspicherebbe per l’Unione Europea:’ è stataconsiderato un indicatore sulle aspettative degli italiani nei riguardi del futu-ro ruolo politico dell’Unione Europea. I risultati hanno evidenziato una pola-rizzazione dell’opinione verso i valori ‘totalmente d’accordo’ e ‘parzialmented’accordo’ per tutti gli items (tabella 3):

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Tab.3: aspettative sul futuro ruolo politico dell’U.E

Questa polarizzazione sembra indicare l’elevato carico di aspettative chegli italiani ripongono nell’U.E. e l’auspicio diffuso che questa, in futuro, pos-sa affermare in modo più incisivo il proprio ruolo.

Tale auspicio è senz’altro ancora vago e confuso, magmatico ed ambiguo;in altre parole, sebbene il bisogno di un alto profilo dell’Europa – tanto nelmondo quanto al suo interno – appaia esteso, le sue forme concrete, le sue mis-sions, la sua stessa identità, stentano ancora ad affermarsi in modo chiaro.

Per esprimere un giudizio più articolato su questo aspetto, occorre co-struire una graduatoria dei diversi items che ci consenta di individuare leaspettative maggiormente sentite dagli intervistati; il grafico seguente – rica-vato attraverso l’aggregazione delle prime due modalità – ci consente una pri-ma analisi in questo senso [fig.7]:

Totalmented’accordo

Parzialmente d’ac-cordo

Un aumento di potere politico ed econo-mico 53, 6 31, 3

Una maggiore attenzione al livello di vitadelle sue popolazioni 77, 9 17, 8

Una leadership politica ed economicamondiale 39 31

Un ruolo più incisivo di mediazione deiconflitti internazionali 63, 9 24, 9

Una leadership nei processi di pacifica-zione mondiale 61, 8 26, 1

Una maggiore autonomia dagli Usa 60, 3 21, 3

Una maggiore attenzione ai problemidella propria sicurezza 65, 6 23, 5

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Dal grafico, appare evidente che le due aspettative più interessanti sonola prima (‘una maggiore attenzione al livello di vita delle sue popolazioni’) el’ultima (‘una leadership politica ed economica mondiale’); infatti, mentre ilconsenso espresso nei confronti di una caratterizzazione dell’Unione in sensomarcatamente ‘welfarista’ è quasi unanime – come c’era da attendersi – essoscende in modo (relativamente) forte nei riguardi di quell’item che più riman-da ad un ruolo internazionale di tipo ‘realista’.

Questo conferma ciò che era emerso in precedenza: la scelta netta degli in-tervistati a favore di un ruolo ‘forte’ dell’Europa nella promozione del benes-sere individuale e sociale; di fronte a questa, qualunque altra esigenza è messain secondo piano, compresa quella di dare all’Unione un ruolo più incisivo nel-l’arena internazionale. Tuttavia, se messe di fronte ad una scelta in merito, lepersone sembrano optare per una caratterizzazione ideale e pacifista dell’Eu-ropa e molto meno per un ‘profilo da potenza’. Anzi, si può affermare che ilruolo (interno) welfarista sia simmetrico a quest’ultimo ruolo esterno. L’ideache ne deriva, è quella di un’Europa impegnata su due fronti strettamente le-gati, portatrice di pace e benessere sia al suo interno che all’esterno, quasi chela distanza percepita nei confronti delle sue istituzioni le attribuiscano una sor-ta di carisma particolare. In sostanza, in uno sforzo di sintesi teorica, è possibi-le affermare che a fronte di una situazione quale quella della società italiana per-

40

Fig. 7: graduatoria delle aspettative sul futuro ruolo politico dell'U.E.

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

Una maggiore attenzione al livello di vita delle sue

popolazioni

Una maggiore attenzione ai problemi della propria

sicurezza

Un ruolo più incisivo di mediazione dei conflitti

internazionali

Una leadership nei processi di pacificazione

mondiale

Un aumento di potere politico ed economico

Una maggiore autonomia dagli Usa

Una leadership politica ed economica mondiale

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corsa da molteplici tensioni ed insicurezze l’intervento dall’esterno, dall’alto,venga non solo percepito con grande favore ma addirittura auspicato come ne-cessario; una tale situazione sembra perfettamente in linea con una cultura po-litica fortemente statalista ed interventista, nel cui ambito la realizzazione del-la propria soggettività, non sembra essere una condizione da difendere in op-posizione allo Stato, ma da realizzare grazie ad esso. In questo quadro, il sensodella distanza e dalla lontananza delle istituzioni europee, anziché chiudere glispazi dell’intervento e dell’ampliamento dei loro poteri li apre, nell’auspicioche un nuovo Stato sociale, più forte perché esterno e transnazionale, possa es-sere realizzato; in questo senso allora, l’Europa sembra legittimarsi proprio sul-la base della sua funzionalità e strumentalità.

Le politiche istituzionali

Se le analisi precedenti ci hanno permesso di ricostruire l’orizzonte diaspettative degli intervistati sulle policy che l’Unione è chiamata a porre in es-sere e sul suo ruolo politico futuro, quella sulle politiche istituzionali ci con-sente di ricostruire le specifiche aspettative sul processo di integrazione euro-peo nel campo della sicurezza interna ed esterna.

L’opinione sulle politiche istituzionali è stata quindi rilevata attraverso ilquesito: ‘rispetto alle seguenti affermazioni può indicarci quanto si trova d’ac-cordo?’; seguiva poi una lista di quattro politiche istituzionali. Mentre le primetre (‘L’U.E. dovrebbe avere una politica estera comune’, ‘L’U.E. dovrebbe ave-re una politica comune di sicurezza e difesa’, ‘L’U.E. dovrebbe avere una solaForza Armata’) costituiscono il secondo pilastro di Maastricht – relativo allacooperazione nel campo della sicurezza esterna – la quarta (‘L’U.E. dovrebbeavere una politica comune di sicurezza interna e giustizia’) concerne il terzo pi-lastro, relativo alla cooperazione nel campo della giustizia e sicurezza pubblica.

Per la prima e la seconda politica istituzionale (‘L’U.E. dovrebbe avereuna politica estera comune’ e ‘L’U.E. dovrebbe avere una politica comune disicurezza e difesa’) si è verificata una netta polarizzazione verso il valore ‘to-talmente d’accordo’, rispettivamente pari al 55% e al 60,1%; questo sembraindicare con chiarezza che l’esigenza d’integrazione nel campo della sicurez-za e difesa, nonché in quello della politica estera, è ampio e diffuso. Da ciò de-riva che nell’opinione degli italiani e con una forte trasversalità politica, di ge-nere e d’età, esiste uno stretto legame fra integrazione nel campo della sicu-rezza e in quello della difesa: l’una sembra sostenere e rafforzare l’altra, coe-rentemente con la grossa insicurezza che domina nella società italiana.

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Per la terza politica (‘L’U.E. dovrebbe avere una sola Forza Armata’) inve-ce, la polarizzazione è stata meno netta; infatti, pur nella prevalenza dei valori‘totalmente d’accordo’ (30,8%) e ‘parzialmente d’accordo’ (29,9%) – valori cheesprimono un giudizio positivo dell’intervistato rispetto all’item proposto – re-lativamente alta è stata la percentuale dei rispondenti ‘indifferente’ (13,6%),‘parzialmente in disaccordo’ (12,6%) e ‘totalmente in disaccordo’ (12,6%); que-sto risultato assume un significato particolare se letto alla luce della composizio-ne per area politica dell’opinione, l’unico fattore che sembra di una qualche ri-levanza nella spiegazione del dato relativo a questa domanda. Considerando lemodalità aggregate, infatti, è possibile individuare una relativa differenza fra de-stra e sinistra: mentre le modalità ‘d’accordo’ ed ‘indifferente’ sono formate inprevalenza da intervistati di sinistra – rispettivamente, 39,9% della sinistra con-tro il 28,7% della destra e 50% della sinistra contro solo il 27,7% della destra –la modalità ‘in disaccordo’ è formata in prevalenza da intervistati di destra –40% della destra contro il 30% della sinistra – [fig. 8]:

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Fig. 8: composizione per area politica (destra/sinistra) delle modalità aggregate

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40

50

D'accordo Indifferente In disaccordo

Sinistra

Destra

Da questi dati, tenendo conto dei pesi specifici di ogni modalità, si rica-va che pur essendoci un ‘accordo’ politicamente trasversale fra destra e sini-stra sulla necessità di avere un’unica FF.AA., sono presenti all’interno di cia-scuna area, delle minoranze d’opinione che problematizzano questa politicaistituzionale.

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Nella sinistra, il gruppo di minoranza risulta essere composto in prevalen-za da intervistati che si dichiarano indifferenti rispetto alla costruzione diun’unica FF.AA.; nella destra invece, tale gruppo è composto in larga preva-lenza da intervistati che si dichiarano in disaccordo.

Questi risultati possono essere spiegati se si fa riferimento al più alto ‘ran-go ideologico’ – cioè come segno della propria identità politica – che la sini-stra attribuisce alla costruzione europea e alla maggiore diffidenza della destrain materia. Di conseguenza, anche quando si verifica da parte di specifici grup-pi interni alle due aree la problematizzazione di una politica di rafforzamentodell’integrazione europea, questa viene mediata dal corrispondete quadro diriferimento: il giudizio anche critico della sinistra allora, tende ad essere in ge-nerale più benevolo di quello della destra.

Un altro importante elemento da tenere presente è la maggior diffidenzache la sinistra, rispetto alla destra, sembra nutrire nei confronti delle FF.AA.italiane; questo fatto, come dimostrano anche altri risultati, ha un grande pesosulla strutturazione dell’opinione in merito alla costruzione della FF.AA. euro-pea: i significati negativi che la sinistra tende ad attribuire più della destra almondo militare italiano, vengono completamente ribaltati in una dimensioneeuropea; al contrario, per la destra, più nazionalista (lato sensu) e tradizionali-sta della sinistra, la costruzione di una FF.AA. europea, sembra comportare laperdita di un’indispensabile pezzo di sovranità nazionale.

Se poi si fa riferimento ai commenti degli intervistati, questa visione risul-ta arricchita di significato: per la sinistra, infatti, lo strumento militare euro-peo viene spesso interpretato come un passo indispensabile per realizzare unasorta d’affrancamento della tutela americana, sebbene raramente una tale po-sizione scivoli in un anti-atlantismo radicale ed estremo; per la destra invece,abbastanza ampia si dimostra la fascia di intervistati che concepiscono lo stru-mento militare europeo come semplice mezzo per rafforzare la sicurezza ita-liana.

Infine, passiamo ad analizzare la quarta politica (‘L’U.E. dovrebbe avereuna politica comune di sicurezza interna e giustizia’); qui la polarizzazione è sta-ta meno netta rispetto ai dati relativi alle prime due; infatti, pur nella prevalen-za dei valori ‘totalmente d’accordo’, con il 39%, e ‘parzialmente d’accordo’, conil 36,9%, relativamente più alto appare il valore della modalità ‘parzialmente indisaccordo’ con il 9,9% [fig. 32]. Se confrontiamo questi dati con quelli relati-vi alla seconda politica (‘L’U.E. dovrebbe avere una politica comune di sicurez-za e difesa’) risulta che, in generale, mentre l’integrazione fra sicurezza e difesaviene concepita come logica e conseguente, entro certi limiti, maggiore sembrala problematizzazione del legame fra integrazione nel campo della sicurezza edin quello della giustizia: ciò indica che la domanda specifica dei cittadini si rivol-

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ge verso un completamento parallelo nell’integrazione delle politiche di sicu-rezza piuttosto che su un loro arricchimento mediante l’integrazione nel cam-po della giustizia. L’enfasi, quindi, sta prevalentemente sul momento esecuti-vo, a discapito della ‘chiusura istituzionale’ del sistema.

Alla luce di questi dati, appare fondamentale prendere in considerazionegli aspetti decisionali relativi alle politiche di sicurezza e difesa.

Le decisioni relative alla politica di sicurezza e difesa

Con la domanda ‘Secondo lei, le decisioni riguardo la politica di sicurez-za e difesa Europea dovrebbero essere prese da’ volevamo individuare il mec-canismo che nell’opinione degli italiani dovrebbe essere adottato nella presadelle decisioni concernenti la sicurezza e difesa europea.

Ogni meccanismo decisionale proposto, sottende una diversa visione isti-tuzionale:• il primo (‘un voto a maggioranza degli stati membri dell’U.E.’) veicola una

visione confederale, dato che l’enfasi è qui sui singoli Stati, mentre le istitu-zioni europee sono sullo sfondo;

• Il secondo (‘un voto a maggioranza del consiglio dell’U.E.’) veicola una vi-sione federale, dato che l’enfasi è qui su una istituzione comunitaria, men-tre gli Stati sono sullo sfondo;

• Il terzo (‘NATO’) veicola una visione atlantista, che esclude alcuna possibi-lità per l’Europa di intraprendere un’autonoma politica di sicurezza e dife-sa al di fuori del consolidato quadro del patto atlantico;

• Il quarto (‘Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite’) veicola una visione‘universalista’, che sottende l’auspicio che le questioni di sicurezza e difesavengano affrontate al livello di ONU; questa alternativa ‘roosveltiana’ sot-tende una forte carica utopica, e cioè che attraverso il coinvolgimento di tut-ti – in particolare delle maggiori potenze – si possa realizzare una sorta dikantiana ‘pace perpetua’.

I risultati hanno evidenziato la prevalenza del primo meccanismo (‘un vo-to a maggioranza degli stati membri dell’U.E.’) con il 51,5% delle risposte, se-guito dal secondo (‘un voto a maggioranza del Consiglio dell’U.E.’) con il26,4% e, dal quarto (‘Consiglio di sicurezza dell’O.N.U.’) con ben il 10,6%;ultima la ‘NATO’, con solo il 2,9%.

La visione confederale allora, sembra prevalere sulle altre, sebbene nonin maniera netta; estremamente interessanti sono poi i dati relativi alla visione‘atlantista’ – inaspettatamente basso – e a quella ‘universalista’ – inaspettata-mente alto.

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In generale, risulta affermata la coscienza di un’Europa che deve seguireda sé ed in piena autonomia, la propria politica di sicurezza e difesa, sebbene leconcrete modalità mediante le quali questo debba avvenire, non sono condiviseda tutti; in particolare, attualmente, risulta maggioritaria l’opzione ‘confederale’.

La soluzione ‘atlantista’ invece – nonostante la presenza ultra decennaledella NATO – risulta dotata di uno scarsissimo consenso. Ciò, probabilmen-te, indica un diffuso bisogno di superamento degli attuali meccanismi di ge-stione della sicurezza in Europa. Così, l’unica alternativa ad una gestione au-tonoma della politica di sicurezza e difesa da parte dell’Europa, sembra esse-re quella ‘universalista’, con il ricorso al consiglio di sicurezza dell’ONU.

Questi dati, risultano arricchiti nel loro significato, dall’analisi della com-posizione per sesso delle tre modalità più scelte, in un quadro ove le differen-ziazioni politiche sono poco significative; mentre, infatti, le visioni ‘confedera-le’ e ‘federale’ risultano scelte quasi equamente dagli uomini e dalle donne, lavisione ‘universalista’ risulta scelta in ampia misura (60%) dalle donne [fig. 9]:

Questo dato ci consente di dire che le donne risultano portatrici di unacultura più universalista nel modo di affrontare le questioni della sicurezza edifesa; questo dato, peraltro, risulta perfettamente coerente con il senso di ap-partenenza al ‘mondo’ che assume proprio connotazioni di genere.

Le decisioni sull’invio delle truppe europee all’estero

Tramite la domanda ‘Secondo lei, le decisioni sull’invio delle truppe eu-ropee all’estero dovrebbero essere prese da’ – simile dalla precedente nellaformulazione, ma diversa nell’oggetto – volevamo individuare il meccanismoche nell’opinione degli italiani dovrebbe essere adottato per l’invio fuori areadelle truppe europee.

0 10 20 30 40 50 60 70

Un voto a maggioranza

delgi Stati

Un voto a maggioranza

del consiglio

Consiglio di sicurezza

ONU

Femmine

Maschi

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Fig. 9: composizione per sesso

degli

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Ciascuna delle tre modalità proposte, prevede un diverso grado e tipo diistituzionalizzazione e rinuncia ad una piena sovranità statale:a) La prima modalità (‘i governi nazionali secondo le loro leggi’) sottende un

grado molto basso di istituzionalizzazione ed un alta quota di sovranità na-zionale, e si potrebbe definire “pre-istituzionale”; in questo assetto, la re-sponsabilità della politica in questione è tutta dei governi nazionali, che agi-scono ciascuno secondo il proprio interesse e al di fuori di qualunque vi-sione condivisa. Ogni collaborazione quindi, è affidata alla volontà delleparti ed è contingente.

b) La seconda modalità (‘gli Stati membri europei con voto unanime’) sotten-de invece un grado intermedio di istituzionalizzazazione e si potrebbe de-finire “istituzionale debole”; in questo assetto, i governi nazionali debbo-no confrontarsi fra loro per prendere una decisione nell’ambito di un con-sesso stabile. Tuttavia, il diritto di veto di cui ciascuno dispone fa sì che gliStati in quanto tali, giochino sempre un ruolo fondamentale: l’istituzioneallora, è un semplice “contesto obbligato” nel quale le decisioni debbonoessere prese, ma le parti continuano a prevalere sul tutto.

c) La terza modalità (‘gli Stati membri europei con voto a maggioranza’) sot-tende invece un alto grado di istituzionalizzazione e si potrebbe definire“istituzionale forte”; come nel meccanismo precedente, le decisioni deb-bono essere prese in un consesso stabile, ma in questo caso, tutti si impe-gnano a rispettare le decisioni della maggioranza. L’istituzione allora, nonè solo contesto ma fonte stessa della legittimazione della decisione: il tuttoin questo caso, prevale sulle singole parti, così come avviene nell’ambitodei moderni parlamenti democratici.

I risultati, hanno evidenziato una certa dispersione degli intervistati nelletre modalità proposte; il terzo meccanismo (‘gli Stati membri europei con vo-to a maggioranza’) ha ottenuto la maggioranza relativa con il 46%, seguito dalsecondo (‘gli Stati membri europei con voto unanime’) con il 33,3% e dal pri-mo (‘i governi nazionali secondo le loro leggi’) con il 12,8%.

Come deve essere interpretato questo risultato? Sebbene quella che ab-biamo definito visione istituzionale forte prevalga, la somma delle altre duealternative dà un risultato esattamente eguale (46,1%) a questa; ne consegueche sulla tematica dell’invio delle truppe europee in missioni all’estero – cheimplica il rischio di perdere vite umane e comporta precise scelte nel perse-guimento degli interessi nazionali ed europei – l’opinione sembra spaccatafra chi è favorevole ad un multilateralismo istituzionale compiuto e chi è con-trario, sebbene per diversi motivi. Mentre non significativi appaiono i datirelativi all’età ed all’area politica, estremamente interessante risulta quellorelativo al sesso; decisa, infatti, è la ‘femminilizzazione’ della dimensione

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pre-istituzionale (‘i governi nazionali secondo le loro leggi’) con il 60% didonne ed il 40% di uomini, e una più contenuta ‘maschilizzazione’ di quel-la istituzionale forte (‘gli Stati membri europei con voto a maggioranza’) conil 53% di uomini ed il 47% di donne; l’andamento generale allora, indica unaumento (tendenziale) della quota di donne in ciascuna modalità mano a ma-no che ci si sposta dalla soluzione ‘istituzionale forte’ a quella ‘pre istituzio-nale’, ed un andamento contrario per gli uomini [fig. 10]:

Questo risultato, in parte stridente con quelle relativo alla precedente do-manda, può essere spiegato se si fa riferimento anche ai risultati dell’analisiqualitativa sui commenti degli intervistati; in particolare, su un tema qualequello dell’invio di truppe in missioni all’estero – che può comportare la per-dita di vite umane – le donne sembrano assegnare un maggior peso agli Statinazionali o comunque alle istituzioni più vicine e controllabili, in virtù di unasorta di ruolo tradizionale rispetto al mondo militare, che ha visto la donna,madre, moglie o figlia in attesa del ritorno ‘dell’uomo dal fronte’.

Decisioni e visioni istituzionali

Da un punto di vista più generale, i risultati relativi a queste due doman-de, sembrano abbastanza coerenti con quanto emerso precedentemente; inparticolare, se viene ribadita l’esigenza per l’Europa di dotarsi di autonomiorgani di gestione delle politiche di sicurezza e difesa, il ruolo degli Stati

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

Governi nazionali secondo

le loro leggi

Voto unanime degli stati

UE

Voto a maggioranza degli

Stati UE

Maschi Femmine

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Fig. 10: composizione per sesso

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continua ad essere considerato importante; così, quando le decisioni riguar-dano l’impiego di soldati, si tende ad accentuare il peso e l’autonomia delsingolo Stato nazionale nel processo decisionale: in quest’ottica di maggio-re responsabilizzazione e controllo, si muove in particolare l’opinione delledonne.

Tutto ciò sembra aprire la strada a soluzioni istituzionali di tipo ‘confede-rali’, ispirate a criteri di mediazione fra la dimensione nazionale e quella so-vranazionale. In questo quadro, la vera alternativa all’integrazione europea nelcampo della sicurezza e difesa, viene considerata l’ONU piuttosto che la NA-TO; le donne, ancora una volta, sembrano portatrici di questa alternativa ‘uni-versalista’.

Le metafore dell’Europa: l’emergere del cosmopolitismo

La metafora è una costrutto olistico che in sé, contiene la rappresentazio-ne di un certo oggetto colto al livello immediato, totale ed emozionale. Nellametafora, gli attori sociali proiettano i propri desideri e le proprie aspettativead un livello pre-razionale e inconscio, combinando elementi percettivi ed im-maginativi. In quanto dotate di queste caratteristiche, le metafore sembranocostituire un valido punto di sintesi sul modo in cui l’Europa, complessiva-mente intesa, viene vissuta. Il quesito ‘Se pensa all’Unione Europea quale del-le seguenti immagini userebbe per raffigurarla?’ intendeva rilevare proprioquest’aspetto.

Da un punto di vista metodologico, le metafore proposte agli intervistatisono state individuate attraverso dei focus group effettuati in sede di prepara-zione del questionario, mentre il loro significato specifico è risultato dall’ana-lisi svolta sulle risposte fornite alla domanda (aperta) sul perché gli intervista-ti avessero scelto proprio quell’immagine.

Facendo riferimento a tali dati, le metafore risultano dividersi in due ca-tegorie: le immagini che rimandano alla pluralità e alla molteplicità (immagi-ni a struttura plurale) e le immagini che rimandano all’unicità e all’unitarietà(immagini a struttura unitaria).

Fanno parte della prima categoria tre metafore: ‘la città caotica e traffica-ta’, ‘la piazza dove i cittadini si incontrano e discutono’ e ‘la sfera di mille co-lori’; fanno invece parte della seconda le restanti tre: ‘un castello misterioso’,‘un computer potente e rapido’ e ‘una torre su una collina’.

Cominciando dal primo gruppo, si può dire che l’immagine relativa alla‘città’, sia portatrice di un senso di disordine e di affollamento. L’accento è sul-la pluralità dei soggetti, intesi come indistinti e forse minacciosi.

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L’immagine della ‘piazza’, invece, veicola significati partecipativi, con unevidente accento sull’incontro ed il confronto fra una pluralità di soggetti di-versi; in questa immagine l’enfasi è sul dialogo come tale e non sul suo risul-tato, evidentemente aperto e non scontato.

L’immagine, della ‘sfera’, infine, veicola un senso della differenza cultura-le ricomposta nell’unità; ancora una volta, l’accento cade sulla pluralità, inte-sa però come diversità delle persone e delle culture.

Per quanto riguarda la seconda categoria, si può dire che l’immagine relati-va al ‘castello’ sia portatrice di un senso di chiusura e di inquietudine di fronte aqualcosa che si può osservare solo superficialmente. Il castello misterioso quin-di, rimanda all’idea dell’oggetto che incuriosisce e affascina, respinge e attira.

L’immagine del ‘computer’ invece, veicola l’idea dell’efficienza, della ra-pidità e dell’ordine, ma anche della fredda distanza che una macchina, perquanto perfetta, sempre ispira.

Infine, l’immagine della ‘torre’ rimanda al senso della distanza e della lon-tananza fine a se stessa, cioè che non attira ma respinge.

I risultati hanno evidenziato una certa dispersione delle risposte, pur conla prevalenza della quinta metafora (‘una piazza dove i cittadini si incontranoe discutono’) con il 35,6% delle preferenze; seguono poi, la seconda (‘una cittàcaotica e trafficata’) e la sesta metafora (‘una sfera di mille colori’), rispettiva-mente al 19% e 17,3%; molto più bassi i valori relativi alla prima (‘un castel-lo misterioso’) e alla quarta metafora (‘un computer potente e rapido’), rispet-tivamente al 8,8% e al 7% [fig. 11]:

Sulla base di questi dati, è allora possibile affermare che:

0 5 10 15 20 25 30 35 40

Città

Piazza

Sfera

Castello

Computer

Torre

49

Fig. 11: metafora dell’Europa

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• nessuna singola metafora predomina sulle altre; in questo panorama co-munque, il gruppo delle immagini plurali risulta maggioritario. Ciò indicauna diffusa percezione dell’U.E. come un ‘crogiolo di differenze’ che inte-ragiscono fra loro senza però confondersi (mantenimento della propriaidentità); un tale modo di vedere l’Europa ribadisce la maggiore importan-za che gli intervistati danno ad altre collettività come gruppi di riferimentoe di appartenenza politico-culturali (patrie), primo fra tutti l’Italia.

Per meglio comprendere ed interpretare questi risultati occorre metterliin relazione con i fattori socio-politici; il più rilevante in questo caso, è l’areapolitica – da cui cominceremo l’analisi – anche se il sesso e la classe d’età, ri-sultano particolarmente importanti per alcune specifiche immagini.

Cominciando dalla composizione per principali aree politiche (sinistra,destra, nessuna appartenenza politica) delle immagini plurali, si può afferma-re che nella ‘sfera’ e nella ‘città’ predominante sia la presenza della sinistra –con, rispettivamente, il 47,7% ed il 45,2%; notevole è nella composizione perarea politica della ‘sfera’, anche la presenza della area ‘nessuna appartenenzapolitica’, con il 20%. Nel caso della ‘città’, invece, la presenza della destra ten-de a salire notevolmente e ad attestarsi su valori vicini a quelli della sinistra(35,1% della destra contro il 37,7% della sinistra).

Passando ad analizzare le immagini unitarie, in queste, al contrario diquelle appena viste, notevole è la presenza della destra; così, nel caso della ‘tor-re’, abbiamo una presenza della destra che si attesta al 44,4% e nel caso del‘computer’ al 43,9%; più equa la composizione nel caso del ‘castello’, ove lapresenza della destra, comunque maggioritaria, è al 36,2%, quella della sini-stra al 26,1% e quella relativa a ‘nessuna area politica’ a ben il 21,7%.

Riflettendo sui risultati relativi all’analisi della composizione politica del-le immagini, si può affermare che: • due fra le immagini plurali, risultano ‘dominate’ dalla sinistra: ‘la piazza’ e

‘la sfera’; questo rimanda ai significati sottesi a queste immagini: la sinistratende cioè a vedere nell’Europa un mezzo per comporre positivamente ledifferenze culturali e storiche, ma anche un modo per allargare la cittadi-nanza. La terza immagine plurale invece (‘la città’), risulta composta quasiequamente, dalla destra e dalla sinistra; questo fatto ci induce a pensare cheun certo scetticismo verso l’Europa sia diffuso trasversalmente nella società;la sinistra allora risulta divisa fra una componente largamente maggiorita-ria di individui che guardano all’Europa in termini positivi ed una parte, mi-noritaria, che è insoddisfatta.

• La destra è largamente maggioritaria nelle immagini unitarie; in esse l’enfa-si è sul tutto piuttosto che sulle singole parti. I significati veicolati da que-

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ste immagini sono molteplici, ma tutti esprimono un senso di distanza e didisagio verso l’Europa.

Questo risultato riguardante l’area politica, è arricchito nel suo significatodalle indicazioni che provengono dall’analisi dei dati riguardanti la composizio-ne per sesso ed età delle immagini proposte; in particolare è soprattutto nell’a-rea politica della sinistra che sembrano intervenire significativamente questi fat-tori.

Per quanto concerne il sesso infatti, mentre in quasi tutte le immagini vi èun certo equilibrio fra uomini e donne, preponderante appare la presenza diquest’ultime nella ‘sfera’ (63%).

Un tale dato, indica con chiarezza che la visione dell’U.E. come crogiolodelle differenze e delle identità – veicolata dall’immagine della ‘sfera’ – è appan-naggio quasi esclusivo delle donne – in particolare di sinistra –, le quali assegna-no quindi, una maggiore importanza degli uomini alla diversità, all’identità ri-conoscibile delle parti, alla pluralità delle culture e delle tradizioni che però siricompongono.

L’analisi delle immagini per classi d’età, indica che nel caso della ‘piazza’ e,ancora una volta, della ‘sfera’ – che si ricordi sono immagini prevalentemente disinistra –, si ha una composizione ‘complementare’: mentre la prima risulta com-posta per il 55% da intervistati al di sotto dei 40 anni, la seconda è scelta per il60% da gente sopra i 40 anni; in tutte le altre immagini, è presente invece unacomposizione abbastanza equilibrata.

Questo fatto, indica che la metafora politica e dialogica (‘la piazza’) colpi-sce molto più l’immaginario di quella generazione vissuta e socializzata negli an-ni del trionfo della politica partecipativa cioè gli anni sessanta e settanta; al con-trario, le generazioni più giovani – vissute e cresciute in un mondo ove la politi-ca e la partecipazione hanno molto meno valore – prediligono una metafora più‘culturale’ e ‘sociale’ come quella della ‘sfera’; ad una metafora dell’uomo come‘animale politico’ allora, sembra contrapporsi l’immagine di un uomo ‘animaleculturale’. Allo stesso tempo, la contrapposta caratterizzazione ‘anagrafica’ del-la ‘sfera’ e della ‘piazza’, sembrano ribadire l’incidenza dell’ideologia e della cul-tura politica nello strutturare le rappresentazioni dell’Europa.

A conclusione di questo paragrafo, si può affermare che il senso della di-stanza e dell’estraneità – più rilevante nella destra – e quello della differenza edel dialogo – più rilevante nella sinistra – sembrano essere i due elementi domi-nanti dell’immaginario sull’Europa. Volendo estremizzare in uno sforzo di ri-flessione teorica, è possibile formulare alcune considerazioni.

In particolare, il senso della distanza, sembra rimandare ad un’Europa i cuisignificati politico-ideali sono ancora da ‘scoprire’. In questo senso, la destra

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più che la sinistra – come già emerso – sembra trovare difficoltà ad attribuireuna valenza progettuale di largo respiro alla costruzione europea; così, la ten-denza è quella ad appiattirsi quasi totalmente sulla funzionalità e sulla stru-mentalità, senza altro orizzonte.

Anche la sinistra, come visto nel corso di questo capitolo, condivide unatale visione; ma il porre anche l’accento sugli aspetti di un cosmopolitismo‘aperto’ – inteso come incontro e dialogo fra le diversità – le conferisce un oriz-zonte politico-ideale di più ampio respiro. In questo ambito – tenendo in con-siderazione anche quanto emerso nel paragrafo dedicato alle identità – sem-bra riscontrarsi il nucleo di quello che Appiah ha definito ‘patriottismo co-smopolita’ cioè un “cosmopolitismo con radici, legato alla sua patria, con lesue particolarità culturali, ma contento della presenza di persone diverse dasé” (cit. in Kaldor, 1999:101). Quanto questi elementi siano frutto del proces-so di costruzione europeo, degli specifici avvenimenti politici che hanno con-dotto all’ingresso dell’Italia nell’euro oppure delle caratteristiche delle speci-fiche culture politiche, è difficile dirlo; certamente, è presumibile che ognunodi questi elementi abbia avuto un peso specifico sulla formazione di questi mo-di di sentire l’Europa. Ciò che è certo comunque – come sembrano indicare idati – è che essi non sono affatto consolidati e tipici di un’unica casa politica,né di un unico genere o classe d’età; al contrario, essi risultano alquanto di-spersi fra le varie classi e categorie sociali, cosa che induce a pensare che av-venimenti futuri ed orientamenti specifici delle classi di governo e delle éliteculturali, possano modificarli.

Legittimazione funzionale e coscienza cosmopolita: l’Europa e la politica co-mune di sicurezza e difesa

A conclusione di questo capitolo, si può affermare che due sono i fattorifondamentali attorno ai quali tendono a strutturarsi la percezione dell’Euro-pa e la possibilità-necessità di costruire una politica comune di sicurezza e di-fesa: la visione funzionale e una coscienza politica cosmopolita; i due fattorisono strettamente legati fra loro e rimandano entrambi all’identità europea de-gli italiani.

In particolare, il primo fattore rinvia alla fondazione stessa dell’azione po-litica europea, che trova la sua legittimità, il suo prestigio, la sua stessa ragiond’essere nell’utilità direttamente apportata al benessere degli individui; il qua-dro è quello dell’avente diritto (Burdeau, 1978) che, nell’ambito di una societàpercorsa da molteplici tensione cerca un quid aggiunto di garanzie e benefici;

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egli sembra volere recuperare, in un quadro europeo, ciò che ha perso al livel-lo nazionale, trasportando desideri, inclinazioni e anche specifici retroterraculturali, su base transnazionale: a prevalere nella legittimazione dell’Europae nella costruzione della sua visione, è dunque una sorta di ‘logica dello spec-chio’, in cui la situazione italiana viene riflessa in ambito europeo. A questedomande ed esigenze tuttavia, non sembra corrispondere un’eguale richiestadi maggior partecipazione, né un coinvolgimento emotivo verso l’Europa co-me se questa fosse una ‘nuova patria’: ciò che conta è semplicemente la fun-zionalità e l’efficacia della sua azione. In quanto strumento allora, l’Europaconta se messa al servizio di valori (etici o politici) ed ideali ‘esterni’ ad essa(pace mondiale), ma non sembra dotata di un valore di per sé: essa si giustifi-ca solo come un mezzo al servizio di finalità ‘eterodirette’ o di collettività piùradicate ed emotivamente ‘calde’. Tutto ciò ha notevoli conseguenze per il per-seguimento di un’autonoma politica di sicurezza e difesa; infatti, una tale po-litica sembra possa essere costruita dall’Europa solo in base a riferimenti ester-ni: come mezzo per meglio garantire la sicurezza (dell’Italia) o per realizzarequalche valore ideale ‘universalistico’.

Questa visione sembra coinvolgere un po’ tutti i segmenti, le categorie ele classi sociali. Tuttavia, vi è una differenza fondamentale – e probabilmentepeculiare del caso italiano – che passa per il crinale destra/sinistra: mentre nel-l’ambito della prima, la visione dell’Europa si ferma tendenzialmente a questoruolo puramente strumentale, nella seconda si intravede anche il nucleo di unatensione ideale all’Europa, sotto forma di una sorta di cosmopolitismo ‘aper-to e dall’alto’ (Kaldor, 1999). Questo secondo fattore porta a concepire l’Eu-ropa non come una patria in costruzione, ma come uno spazio di differenzeculturali in dialogo ed interazione fra loro, una sorta di apertura positiva al-l’Altro, senza dimenticare la propria specificità. Questa visione tende a so-vrapporsi a quella strumentale, dotando l’Europa di un significato – cultura-le prima che politico – in linea con il modo in cui l’attore sociale individualiz-zato costruisce e sceglie il proprio grappolo d’identità; in un simile quadro,l’Europa trova posto soprattutto come un’arena di confronto, ove quest’ulti-mo è giudicato pieno di valore e significato.

Tutto ciò ha notevoli conseguenze per il perseguimento di una comunepolitica di sicurezza e difesa, aprendo lo spazio a soluzioni incrementaliste; in-fatti, una tale politica sembra potersi costruire solo in base a riferimenti ester-ni: come mezzo per meglio garantire la sicurezza (dell’Italia) o per realizzarequalche valore ideale ‘universalistico’, ma senza pretendere un’autonoma fon-dazione. Un interesse europeo da difendere anche con la forza e una politicadi sicurezza ‘completa’ e completamente istituzionalizzata non sembra al mo-

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mento desiderata, mentre è probabilmente auspicato l’intervento dell’Europaa favore della pace, dello sviluppo e della tutela dei diritti umani nel mondo.Anzi, è questo il ruolo internazionale che le persone sembrano maggiormenteauspicare; come tale, esso si caratterizza per le alte finalità politiche e le solu-zioni istituzionali e collaborative di ‘mezzo’, tese a coprire solo un settore delcomplesso ambito della sicurezza; la Forza di Reazione Rapida, concepita pro-prio per realizzare queste missioni, sembra una di tali soluzioni. Così, specchiquasi fedeli delle evoluzioni in corso e della società italiana, le visioni, le aspet-tative e le percezioni dell’Europa, sembrano riprodurre al livello di opinionepubblica le soluzioni incrementaliste sin qui adottate nella costruzione del-l’Europa.

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Capitolo secondo

Società del rischio, pace e sicurezzaAlessia Zaretti

La società del rischio

La riflessione sociologica (per es. Bauman, 1999; Beck, 2000; Giddens1994) ha da tempo individuato il rischio tra gli elementi che in maniera più si-gnificativa delineano la fisionomia della società contemporanea. Le nuove mi-nacce, scaturite da profondi cambiamenti a livello internazionale e generateda un complesso di fattori politici, economici, tecnologici, sociali e ambienta-li non sono più riconducibili ad un solo ‘grande nemico’, ma si dispiegano inmaniera diffusa, pervasiva, orizzontale, alterando la percezione stessa del fu-turo e influenzando sensibilmente le strategie di azione.

Ormai è da più parti riconosciuto che gli Stati e i loro cittadini si devonoconfrontare con un ventaglio molto ampio di pericoli: l’inquinamento am-bientale, l’esaurimento delle risorse naturali, le epidemie, l’alterazione nel ci-clo di produzione degli alimenti rappresentano rischi globali al pari dei con-flitti armati, del terrorismo e della criminalità internazionali, della prolifera-zione delle armi nucleari, chimiche e batteriologiche, della precarietà econo-mica e delle migrazioni incontrollate.

Gli anni che hanno seguito la ‘caduta del muro’ hanno rivelato che leaspettative di un lungo periodo di pace e di stabilità sono state totalmente di-sattese; infatti la rottura degli equilibri che hanno caratterizzato l’arco di tem-po che va dal secondo dopoguerra al ‘crollo’ dell’impero sovietico ha dato se-guito a molteplici turbolenze, a rivendicazioni di natura diversa, a crisi daimolteplici aspetti. Alla cesura storica rappresentata dal crollo dell’ordine bi-polare se ne è poi sommata un’ulteriore – costituita dagli eventi che hanno se-guito l’11 settembre – che ha incrementato le condizioni di incertezza e di am-biguità nel sistema internazionale e in quello interno. In risposta a turbolenzedi dimensioni globali, oggi ci si sta muovendo da un tipo di difesa statico, in-centrato su alleanze militari in vista di una minaccia esterna facilmente indivi-duabile e ‘misurabile’, verso un sistema più dinamico fondato sul principio

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della sicurezza collettiva. Al momento il disegno della sicurezza internaziona-le è assai complesso e risente di molteplici repentini mutamenti alcuni già av-venuti altri ancora in fieri.

La ‘minaccia asimmetrica’ – che è tipica dei nostri giorni – è quella chenon può essere valutata solo in base ai reali danni che potrebbe produrre, maconsiderando anche l’impatto, cioè la risonanza, che può avere sulle valutazio-ni e sulle percezioni riguardo la sicurezza, la stabilità e il benessere delle po-polazioni. Infatti la percezione della sicurezza, dal momento in cui tende a tra-dursi in rappresentazioni, non si risolve in un mero riflesso soggettivo di unarealtà esterna, ma risulta ‘costruita’ socialmente in un contesto che vede leinformazioni e la comunicazioni svolgere ai vari livelli un ruolo fondamenta-le. La leadership politica innanzitutto tende a definire che cosa significhi esat-tamente essere sicuri, ponendo l’accento sulle diverse issues interne e interna-zionali – per esempio la lotta alla criminalità, la difesa del territorio, la ridu-zione della disoccupazione, la lotta al terrorismo; i mass media a loro voltacontribuiscono alla definizione dell’ ‘agenda dei rischi’ sia per la popolazione,sia nei riguardi del sistema politico; infine le informazioni che i cittadini rice-vono – e che ricercano – trovano nelle comunicazioni interpersonali il luogoin cui le percezioni, le opinioni e le valutazioni si assestano, si definiscono e sicompongono in rappresentazioni ed immagini coerenti. Il processo ovviamen-te non è lineare, né unidirezionale, ma presenta un andamento circolare o ci-clico; è soggetto a pause, interruzioni, rapidi sovvertimenti, accelerazioni, cri-si. La dimensione mediatica delle minacce e delle politiche per contrastarle as-sume, a sua volta, un rilievo di notevole importanza.

Minacce e rischi per la sicurezza: le opinioni rilevate

Nel disegno della ricerca la percezione delle minacce, e del loro livello dipericolosità, è stata considerata un importante elemento in quanto contribui-sce alla definizione della situazione di vita delle popolazioni in termini di sta-bilità, rischi, benessere; la sua rilevazione e la sua adeguata analisi costituisco-no, a loro volta, un presupposto indispensabile per la comprensione delle di-verse opinioni rispetto alle strategie utilizzate o utilizzabili per contrastarle eai mezzi (compresi, ovviamente, quelli militari) da impiegare a tal fine. Le ideeche gli individui si fanno dei rischi e delle minacce che caratterizzano la lorovita quotidiana rappresentano inoltre una componente fondamentale del si-stema di orientamento e di azione. Giddens (1994), per esempio, individuaquattro atteggiamenti di base come risposta individuale ai rischi che sfuggo-

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no non solo al controllo dei singoli, ma anche a quello degli Stati e delle orga-nizzazioni internazionali: l’accettazione pragmatica (cioè la concentrazione del-l’attenzione sui problemi e sugli impegni quotidiani, in una sorta di rimozio-ne dell’ansia), l’ottimismo sostenuto (cioè la perdurante fede nelle capacità del-la ragione e della scienza di offrire risorse di sicurezza), il pessimismo cinico(cioè un modo di affrontare le ansie basato sull’umorismo, unito ad un atteg-giamento da carpe diem, o al tedio della vita) e l’impegno radicale (cioè una mo-bilitazione di protesta contro le fonti dei pericoli). Si tratta ovviamente diquattro strategie che nella realtà si possono presentare non in maniera antago-nistica, nel senso che a seconda delle contingenze, delle tipologie dei rischi edella situazione personale, l’individuo può attivare o l’una o l’altra.

Nella nostra ricerca la rilevazione della percezione/valutazione delle mi-nacce alla sicurezza è stata affidata alla domanda ‘Rispetto alle seguenti minac-ce alla sicurezza può indicarci la sua opinione riguardo il loro livello di peri-colo?’ costruita su uno spettro assai ampio e articolato di pericoli, individuatisulla base delle più recenti indicazioni in argomento dei documenti internazio-nali e della letteratura scientifica. La rilevazione ha riguardato le tradizionali di-mensioni dei pericoli bellici provenienti da nemici esterni e quelle più recentiattribuibili al terrorismo e alla proliferazione delle armi di distruzione di mas-sa, ai problemi legati alla criminalità e alle migrazioni incontrollate, ma ancheai rischi ecologici, a quelli alimentari, alle epidemie, agli incidenti ‘nucleari’, al-le crisi economiche e così via. Il fine era quello di ottenere una ‘mappa’ dellepreoccupazioni degli Italiani, con la relativa intensità e gravità attribuite. Solocon un’attenzione al loro insieme è possibile rilevare da una parte la percezio-ne collettiva del livello di sicurezza e dall’altra, attraverso l’indicazione dei li-velli di rischio dei diversi pericoli, individuare i più temuti. Questa prima ana-lisi rappresenta un punto di partenza irrinunciabile per la comprensione delleopinioni e degli atteggiamenti nei riguardi delle politiche di sicurezza e difesae delle relazioni fiduciarie verso le istituzioni relative.

La domanda è stata costruita in modo da ottenere un’indicazione del gra-do di pericolosità attribuita ai diversi rischi e minacce, prevedendo una misu-razione scalare basata sulla richiesta di posizionarsi lungo una scala di cinquelivelli articolata dal ‘molto alto’ al ‘molto basso’.

Le risposte nel loro complesso hanno innanzitutto evidenziato un profon-do e diffuso senso di pericolo: solo per quanto riguarda la possibilità di unaguerra convenzionale in Europa l’opinione che il rischio sia ‘molto alto’ è sce-so sotto il 10% (precisamente l’8%) per raggiungere però il 30% cumulandole indicazioni ‘alto’ e ‘molto alto’. La risposta in un certo senso potrebbe stu-pire se si pensa alla diffusa e persistente conflittualità nei Balcani. È probabi-

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le però che gli intervistati nel dare questa risposta, si siano indirizzati preva-lentemente ad una idea di Europa come Comunità e non l’abbiano intesa insenso geografico, oppure che non abbiano considerato – e a ragione – i con-flitti interni agli Stati della ex Jugoslavia guerre in senso tradizionale.

Venendo ai rischi che gli Italiani temono di più, al primo posto troviamola ‘minaccia asimmetrica’ per eccellenza, l’attacco terroristico. Questo rischioè considerato ‘molto alto’ per il 60,1% e ‘alto’ per il 27,5%, mentre l’eventua-lità che nel nostro paese si verifichi un simile evento è ritenuto bassa solo peril 2,5% e molto bassa dallo 0,3%. Il terrorismo internazionale e transnaziona-le, nelle sue più recenti espressioni, preoccupa per l’assoluta novità della mi-naccia – che ne rende difficile la comprensione all’interno degli schemi usua-li di riferimento anche per una popolazione che per decenni si è confrontatacon problemi interni di eversione terroristica – e per la vertigine che produceil suo senso profondo di ‘guerra’ di individui contro individui.

Le indicazioni di questo item sono fortemente indicative di come l’ideadell’incombenza di un pericolo venga socialmente costruita in un processocomplesso in cui paradossalmente le stesse misure di prevenzione, come peresempio quelle contro il terrorismo o le esercitazioni per contrastare le armidi distruzione di massa, e gli eventuali successi delle forze dell’ordine (si pen-si allo smantellamento di una rete terroristica) entrando nel circuito amplifi-cativo dei media diventano indicatori di rischi. Infatti, secondo il noto para-dosso dell’assicurazione-eccitazione (Otway e Wynne 1989), si genera abitual-mente una contraddizione tra la necessità di comunicare l’efficacia e l’efficien-za dei sistemi di sicurezza e il messaggio che richiama l’attenzione e rende pa-lese il rischio. Quanto più le contromisure appaiono rilevanti, tanto più il ri-schio è percepito elevato dalla collettività.

Il terrorismo si conferma come minaccia asimmetrica per eccellenza nel-la misura in cui nella relativa percezione di pericolosità entrano componentilegate alla spettacolarità dell’evento e alla relativa divulgazione mediatica, inun processo in cui il timore ha un effetto moltiplicatore sulla valutazione del-le probabilità di accadimento del fatto. L’asimmetricità entra anche nella de-finizione del rischio, in cui elementi proiettivi di timori ne possono alterareuna valutazione più realistica.

Continuando nell’analisi dei dati, nella graduatoria della pericolosità deirischi, seguono la proliferazione di armi nucleari, batteriologiche e chimiche(49,8% di livello di pericolo ‘molto alto’, 34,3% ‘alto’) e i disastri ambientali(49,4% e 35,9%). Si tratta di una tipologia di rischi molto diversi tra loro, maaccomunabili per la caratteristica di apparire subdoli, difficili da individuarepreventivamente e assolutamente incontrollabili da parte dei singoli cittadini.

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Essi hanno conosciuto nell’ultimo decennio un incremento di pericolosità. Laprima minaccia si è notevolmente intensificata sia per la divisione dell’arsena-le strategico termonucleare dell’ex Unione Sovietica, sia per lo sviluppo tec-nologico che facilita l’accesso alla produzione e al possesso di armi batteriolo-giche e chimiche anche a piccoli gruppi criminali; valga per tutti il caso dellasetta giapponese Aum Shinrikyo (Maniscalco, 1998). I disastri ambientali,frutto di conseguenze devastanti dell’industrializzazione e della modernizza-zione, minacciano e degradano le basi naturali della vita; secondo gli intervi-stati essi accadono con sempre maggiore frequenza e stanno rendendo il mon-do un posto sempre meno sicuro. Entrambi i tipi di rischio si presentano le-gati alla conoscenza scientifica e alla relativa razionalità, ne sono ‘effetti colla-terali’; sono quindi molto ansiogeni dal momento che mettono in discussioneuno dei pilastri della modernità: la fiducia nella scienza. È probabile che que-sta loro caratteristica abbia influenzato negli intervistati, come già nel caso delterrorismo, la relativa percezione di elevatezza nel rischio.

Al contrario la tipologia delle minacce militari tradizionali, rappresenta-te da tre tipi di conflitti armati che direttamente o indirettamente potrebberointeressare il nostro paese, hanno fatto registrare indicazioni di livelli di ri-schiosità più bassi. Di una guerra convenzionale in Europa si è già detto, men-tre le risposte relative ad una guerra mondiale hanno fatto registrare il 22% dipossibilità molto alte e il 15,9% alte; il conflitto nucleare fa crescere le preoc-cupazioni: il 39,8% ritiene il rischio relativo ‘molto alto’ e il 20,1% ‘alto’. Ilfantasma dell’olocausto nucleare aleggia ancora nell’immaginario collettivodella maggioranza degli Italiani; è più presente nelle fasce di età più avanzate,ma è comunque rilevante anche per i più giovani. Rispetto agli incidenti, lecentrali nucleari sono considerate più a rischio delle armi; infatti per il lancioaccidentale di un missile nucleare il 21,3% degli intervistati ritiene ‘molto al-to’ il livello di rischio e il 19,9% ‘alto’, a fronte di rispettivamente 26,6% e29,4% per gli incidenti in centrali nucleari. Il ricordo di Chernobyl ha lascia-to un segno indelebile nella memoria collettiva.

Nel dopo ‘guerra fredda’ la minaccia militare nel suo complesso è dive-nuta quindi meno diretta e più vaga, mentre pericoli diversi si sono affacciatiall’orizzonte. La democrazia non appare più sfidata dal socialismo reale, mamessa invece alla prova da una serie di rischi complessi e destabilizzanti a piùlivelli. I nuovi conflitti intrastatali, per esempio, indirizzano la violenza controle popolazioni civili con il fine di un loro sradicamento dal territorio; ne deri-vano flussi migratori internazionali in grado di destabilizzare intere regioni. Lacoscienza collettiva sembra registrare puntualmente questo cambiamento nel-le dinamiche mondiali: infatti le migrazioni non controllate sono considerate

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I TIMORI DEGLI ITALIANI

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

Terrorismo

Disastri Amb.

Criminalità

Prolif. Armi

Rischio Alim.

Migrazioni

Crisi Econom.

Conflitto Nucl.

Inc.Centr.Nucl.

Epidemie

Lancio Missile

Guerra Mondiale

Guerra Europea

un pericolo ‘molto alto’ per il 33,4% e ‘alto’ per 33,6%; si teme che possanoalterare il tessuto socioeconomico e produrre un ‘collasso’ nei servizi. A suavolta anche il crimine organizzato preoccupa notevolmente gli intervistati: il43,6% lo considera un pericolo ‘molto alto’ e il 41,6% ‘alto’. Frequentemen-te l’aumento della criminalità viene collegato anche – ma non esclusivamente– a flussi migratori non controllati. È risultata elevata anche la percezione deirischi alimentari (30,6% ‘molto alto’ e 36,1% ‘alto’) e dei pericoli di epidemieper il 23,8% e il 30,3%; quest’ultimo dato è interessante se si considera la da-ta di svolgimento dell’indagine, cioè l’estate del 2002. Queste ultime tipologiedi rischi coinvolgono emotivamente poiché insidiano il cittadino nel suo stes-so mondo vitale, mettendo a repentaglio lo svolgersi ordinato della vita socia-le e alterandone la qualità. Infine la crisi economica, un pericolo vecchio enuovo allo stesso tempo, continua a preoccupare gli Italiani, facendo registra-re il 25,5% di indicazioni ‘molto alto’ e il 37% di ‘alto’.

La figura n. 1 rappresenta sinteticamente la percezione del rischio cumu-lando le percentuali delle due prime indicazioni.

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Fig. 1: I timori degli italiani

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Riassumendo quindi, la guerra (mondiale e in Europa) e il lancio acciden-tale di un missile sono considerati con minore frequenza rischi elevati (con me-no del 40% degli intervistati che assegna valori ‘molto alto’ e ‘alto’); seguonola guerra nucleare, le epidemie, le migrazioni, il rischio alimentare e la crisieconomica (con circa il 60% che assegna ad essi valore ‘alto’ o ‘molto alto’);infine la proliferazione di armi di distruzione di massa, l’attacco terroristico,il crimine organizzato e il disastro ambientale hanno ricevuto valori ‘molto al-to’ o ‘alto’ da oltre l’ 80% degli intervistati.

In altri termini, la società mondiale del rischio (Beck, 2000) è ben pre-sente nella rappresentazione della realtà degli intervistati che hanno piùvolte sottolineato nei commenti alle domande del questionario e nei focusgroup che pressoché tutti i rischi oggi si presentano globali, sia nel sensodella loro intensità, tale da minacciare la sopravvivenza stessa del pianeta,sia per la loro ampiezza che tende a coinvolgere un numero sempre mag-giore di persone.

Genere, età, appartenenza politica e percezione del rischio

Se consideriamo la percezione dei rischi e delle minacce rispetto alla di-mensione del genere, si rileva che le donne hanno manifestato una percezio-ne più diffusa di pericolosità rispetto a tutto lo spettro dei rischi prospetta-to, con una maggiore incidenza per le minacce belliche: l’oscillazione rileva-ta rispetto alla componente maschile del campione è di circa 10 o 15 puntipercentuali, come, per esempio, per rispettivamente ‘conflitto nucleare’ (F.64,7%; M. 54,9%) e ‘guerra mondiale’ (F. 45,5%; M. 30,6%). Le donnequindi sembrano continuare a manifestare – come nel passato – una tenden-ziale maggiore estraneità nei confronti dello strumento bellico e, forse perquesto motivo, a temerne con più frequenza la minaccia. Per i rimanenti ri-schi, solo l’indicazione ‘disastri ambientali’ presenta un’inversione di ten-denza, ma di livello minimo (M. 86,7%; F. 85,3%).

Anche la differenziazione in classi di età (suddivisa con a spartiacque i40 anni) ha fatto registrare qualche significativo scostamento; quanti sonopiù avanti negli anni si sono manifestati tendenzialmente più sensibili ai ri-schi che sono in un certo senso più vicini alla vita quotidiana; in special mo-do sono più frequentemente preoccupati per le epidemie e i rischi alimenta-ri, con rispettivamente il 62,4% e il 74% contro il 49% e il 64,5% dei piùgiovani. Anche le migrazioni non controllate sono temute maggiormente dachi è avanti negli anni (71%) rispetto ai più giovani (64,5%) forse più socia-

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lizzati alla società multietnica. Infine il ‘nucleare’ in ogni suo aspetto (con-flitto o incidenti di vario tipo) preoccupa con più frequenza le classi di etàpiù avanzate, con un chiaro effetto di ‘memoria storica’ del nucleare comela ‘minaccia’ per eccellenza.

I giovani appaiono percentualmente più ottimisti, tranne che in alcuni ca-si. Così nella percezione dei rischi di attentati terroristici e della proliferazio-ne delle armi di distruzione di massa, item nei quali superano invece di circaun punto percentuale gli ‘over 40’; inoltre la differenza nelle frequenze aumen-ta percentualmente quanto più giovane è l’età. Anche rispetto alla percezionidi un più elevato grado di rischio per una guerra in Europa le frequenze deipiù giovani superano quelle dei più anziani; in questo caso la differenza è im-putabile alla convergenza di più elementi: la diversa valutazione dei conflittinei Balcani (da alcuni da considerare conflitti europei e da altri no) e la me-moria della seconda guerra mondiale che ha agito quale sorta di rimozione nel-le fasce di età più avanzate.

Rispetto all’area politica è stato rilevato un pessimismo leggermente piùdiffuso negli intervistati che non si sono riconosciuti in nessuna area e in mo-do specifico per quei tipi di rischi nettamente imputabili alle disfunzioni isti-tuzionali quali crisi economica, rischio alimentare, epidemie, incidente in unacentrale nucleare. La distanza dal mondo politico espressamente dichiarata daquesti intervistati appare così collegabile alla sfiducia verso le istituzioni, pre-sumibilmente ritenute espressione di un sistema politico-amministrativo nonin grado di rispondere ai bisogni reali dei cittadini.

Ancora per le differenze in base all’area politica va segnalato un notevo-le scarto percentuale tra ‘destra’ e ‘sinistra’ su due importanti dimensioni:quella ‘dell’attacco terroristico’ che vede gli appartenenti alla sinistra percen-tualmente meno preoccupati, anzi i meno preoccupati in assoluto (comunquecon una percentuale rilevante, pari all’81,3%), mentre nella destra l’indicazio-ne sale al 93,6% e quella delle ‘migrazioni non controllate’. In questo caso ladifferenza è più marcata con il 56,9% della sinistra a fronte del 78,1% delladestra. I disastri ambientali sono invece indicati con più frequenza dagli ap-partenenti all’area di sinistra (89,7% contro l’81,5% per la destra). La crimi-nalità organizzata fa riscontrare percentuali pressoché identiche (86% per ladestra e 85,7% per la sinistra). Comunque, al di là delle differenze segnalate,è emersa una fascia notevole di opinione pubblica omogenea, trasversale ai va-ri schieramenti politici e segnata da una rilevante preoccupazione per la mol-teplicità e la pericolosità dei rischi che minacciano la società italiana. I risulta-ti ottenuti ci consentono innanzitutto di confermare l’ipotesi di partenza cir-ca la ‘costruzione sociale’ del rischio, il cui profilo si definisce attraverso un

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complesso processo all’interno del quale confluiscono memorie e nuove co-noscenze, esperienze, informazioni, valori, visioni del mondo e appartenenzepolitiche; tutti questi elementi si combinano a loro volta con componenti qua-li l’età e il genere per i chiari effetti dei percorsi di socializzazione differenzia-ti. Inoltre è possibile sottolineare che all’interno del campione esistono degliorientamenti per cui:

a) le donne sono percentualmente più pessimiste e più degli uomini temo-no le minacce belliche, anche le più tradizionali;

b) i più giovani sono più sensibili alle minacce asimmetriche (terrorismointernazionale e armi di distruzione di massa) forse anche perché più media-tizzate, più ‘nuove’ e perché, in un certo senso, presuppongono una capacitàdi concepire con facilità le interdipendenze di una realtà globale;

c) i più anziani restano ancorati maggiormente ai contesti di vita quoti-diana, al loro habitat più circoscritto; sono più attenti alla qualità della vita eai rischi che la minacciano; temono inoltre più frequentemente i rischi – bel-lici e non – legati al nucleare;

d) per la destra la società del rischio è più connotata attraverso la minac-cia del terrorismo e delle migrazioni non controllate, mentre la sinistra mettei disastri ambientali al primo posto. Entrambe considerano la criminalità or-ganizzata una grave minaccia per lo svolgersi di una serena vita quotidiana perla società italiana.

Una possibile tipologia dei rischi

A voler tentare una riflessione di approfondimento, va subito detto che larappresentazione sociale dei rischi che ne emerge è forte e dinamica; essa cioffre un profilo di una società vulnerabile, con una relativa percezione dellapropria sicurezza come precaria dal momento che si sente permeabile ad unamolteplicità di minacce endogene ed esogene, delle quali molte si dispieganoa livello internazionale, come d’altronde è internazionale la società del rischio.Gli Italiani oggi non temono molto i rischi bellici tradizionali (compresi gli in-cidenti), ma non per questo ritengono il loro habitat sicuro; forte appare lapreoccupazione rispetto alle nuove e più subdole minacce socio-politico-cul-turali ed ambientali – quali il terrorismo, il crimine organizzato, le migrazioninon controllate e i disastri ecologici – che destabilizzano e, portandolo al col-lasso, possono disintegrare il sistema sociale; subito dopo sono impauriti da-gli effetti degenerativi del sistema stesso quali le crisi economiche, gli inciden-ti ad una centrale nucleare, i rischi alimentari.

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La società del rischio elaborata dagli intervistati si organizza intorno a tretipologie di minacce: i rischi militari di natura più o meno tradizionale, carat-terizzati dal nemico visibile e dichiarato, dall’eccezionalità della situazione (laguerra) e dalla sua facile individuazione e due tipici rischi postmoderni, cioèpresenti nella quotidianità, inattesi, subdoli, invisibili perché mescolati con il‘familiare’. Essi operano sia per ‘decomposizione’ o implosione del sistema, siaper aggressioni da parte di forze esterne. I primi – quelli di natura militare tra-dizionale – fanno meno paura, appaiono più noti e meno probabili e forse piùcontrollabili da parte dei cittadini e delle istituzioni. L’elevata rischiosità attri-buita agli altri testimonia, oltre che una sfiducia nelle capacità di prevenzionee di controllo istituzionali, anche la proiezione di quell’immaginario catastro-fico serpeggiante nel cuore dell’Occidente, da cui non sono immuni nemme-no i cittadini italiani.

Fig. 2: tipologia dei rischi

Nell’immagine di questa ‘società del rischio’ convergono elementi diesperienza diretta – o quasi –, ma soprattutto proiezioni, timori, immagini del-la realtà veicolate dai media e definizioni dei rischi prodotte dalla comunica-zione pubblica ed istituzionale in un mix difficilmente quantificabile. D’al-tronde il campione degli intervistati è apparso fortemente esposto ai media –con il 66% circa che vede più di un telegiornale al giorno e con il 24% circache ne vede uno al giorno – che da una parte contribuiscono fortemente allacostruzione sociale della realtà e dall’altra sono uno dei principali veicoli del-la comunicazione politica e pubblica.

Dai risultati ottenuti il campione mostra un profilo decisamente pessimi-stico, in un coacervo di preoccupazioni concrete e di ansie enfatizzate da unavisione talvolta catastrofica della realtà. Questi risultati rappresentano la di-mensione speculare di un grande bisogno di sicurezza personale e sociale.

Tipologia dei

rischi

Rischi bellici Rischi sistemico degenerativi Rischi sistemico disintegrativi

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La ‘sindrome’ delle minacce e i livelli operativi per fronteggiarle

A fronte di un siffatto cupo scenario è particolarmente interessante riflet-tere sui risultati della domanda ‘Rispetto a ciascuno dei seguenti rischi, qua-le livello operativo considera più importante?’ che per ogni tipologia di ri-schio/minaccia ha operato un confronto di utilità/efficacia tra l’Italia, l’Euro-pa, la NATO e l’ONU e ha richiesto risposte mutuamente esclusive. Lo sco-po evidente è stato rappresentato dall’individuazione del grado di fiducia/af-fidabilità rispetto alle diverse istanze istituzionali e delle relative tendenze na-zionalistiche, regionalistiche (differenziate tra europeiste ed ‘atlantiste’) e uni-versalistiche. A questo è possibile accostare un secondo fine, quello cioè di ri-salire alle caratteristiche che vengono attribuite al campo istituzionale di rife-rimento per ogni tipologia di rischio. Secondo Luhmann (1989), la fiducia vamessa in relazione con il rischio, e l’attribuzione relativa presuppone una scel-ta tra possibili alternative; applicata al nostro caso la scelta significa contem-plare modalità di intervento differenziato e valutare alcune più efficaci di al-tre: si tratta quindi di capire il perché della scelta e dell’attribuzione preferen-ziale di fiducia.

La tabella n. 1 illustra i risultati ottenuti, dai quali emergono alcune signi-ficative indicazioni. Va preliminarmente sottolineato che, a differenza dell’an-damento complessivo registrato in tutte le domande del questionario, questoitem ha visto una discreta scelta per l’indicazione ‘nessuna opinione’, con unapercentuale oscillate tra circa il 6% e l’8% con due punte massime di 14,5%e di 13,6% per rispettivamente ‘lancio accidentale di un missile nucleare’ e ‘in-cidente in una centrale nucleare’. Queste scelte sono sicuramente imputabilialla difficoltà oggettiva di individuare con chiarezza il referente istituzionaleper la protezione da certi tipi di rischi.

Analizzando i risultati della domanda emerge innanzitutto lo scarso rilie-vo dato alle capacità del ‘sistema Italia’ di fronteggiare i rischi che minaccia-no la popolazione; le indicazioni per il livello operativo italiano risultano sem-pre di gran lunga inferiori a quelle per l’Europa e solo nel caso del crimine or-ganizzato si presentano lievemente maggiori delle preferenze date all’ONU.Superano invece le indicazioni per la NATO per quanto riguarda il crimineorganizzato, le migrazioni non controllate, i disastri ambientali, i rischi alimen-tari e la crisi economica.

Il dato – che sottostima la funzione dell’Italia di assicurare con efficaciala sicurezza dei propri cittadini – conferma la bassa autostima che gli Italianihanno mostrato in tante rilevazioni; per esempio i dati di Eurobarometro n.55 del 2001 collocano l’Italia nel livello più basso di fiducia verso le proprie

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istituzioni e strutture politiche e amministrative, con solo il 25% che si espri-me positivamente verso di esse.

Tab. 1: rischi e livelli operativi ritenuti più efficaci

Considerando insieme l’elevato e diffuso senso della minaccia riscontra-to e la percezione di scarse capacità del ‘sistema Italia’ di fronteggiarla, va sot-tolineato che ci troviamo di fronte ad una rappresentazione della sicurezza edella difesa connotate da timori e sfiducia; di questa rappresentazione occor-re tener conto nel valutare gli altri risultati della ricerca.

Inoltre se si considerano congiuntamente i dati delle due domande si puòavanzare l’ipotesi che la rappresentazione amplificata del rischio sia pure dacollegare ad una percezione di estrema vulnerabilità a sua volta imputabile al-l’idea di una carenza assoluta di protezione istituzionale, dovuta all’inefficien-

Italia Europa NATONazioniUnite

Conflitto nucleare % 1,4 7,0 41,6 41,8

Guerra in Europa % 2,3 42,1 26,6 20,6

Guerra mondiale % 1,1 4,5 36,4 50,0

Lancio di missile nucleare % 2,8 9,0 34,8 36,4

Proliferazione di armi % 1,6 10,8 31,6 46,8

Epidemie % 5,0 24,4 11,9 48,3

Attacco terroristico % 6,8 19,9 28,9 36,1

Crimine organizzato % 22,9 36,9 8,8 20,6

Incidente centrale nucleare % 5,3 30,5 15,4 32,4

Migrazioni non controllate % 17,6 44,5 5,3 22,4

Disastri ambientali % 13,8 31,4 7,6 37,6

Rischio alimentare % 11,6 38,9 6,6 34,4

Crisi economica % 9,3 44,9 6,4 29,0

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za del nostro sistema di difesa e di sicurezza inteso in senso lato; da questa an-golazione l’attrazione verso l’Europa potrebbe apparire più come una ‘fuga’emotiva dal vuoto istituzionale e amministrativo nazionale – con l’aspettativae la speranza che le istituzioni europee possano svolgere quelle funzioni di cuiè ritenuta incapace l’amministrazione italiana – che una scelta ponderata inbase a considerazioni di utilità o a valori.

Ovviamente sorge pure l’interrogativo circa la coerenza di questo datocon l’elevata percentuale degli Italiani che si sentono ‘molto’ (49%) o ‘abba-stanza’ (35%) orgogliosi di essere italiani. L’interpretazione più attendibile èpresumibilmente quella che fa operare una distinzione tra, per utilizzare un’e-spressione anglosassone, we the people e le istituzioni. L’orgoglio di essere ita-liano appare allora radicato in altre più profonde dimensioni: la storia, la cul-tura, le opere d’arte, il riconoscersi italiano inteso come categoria antropolo-gica, dimensione etnica. Questo permette di considerare le istituzioni attualicome meri epifenomeni temporanei rispetto al lungo corso della storia e del-la cultura e di gestire così l’ambivalenza.

La tabella permette la formulazione di ulteriori importanti osservazioni:a) innanzitutto l’elevata considerazione per l’ONU, vissuta come livello

supremo, massimo consesso internazionale, la cui immagine risulta costruitain base a valutazioni ideali, di principio, e a istanze proiettive più che a valu-tazioni oggettive. L’ONU infatti ha mostrato spesso notevoli limiti istituziona-li (Consiglio di Sicurezza) e operativi (strumento civile-militare). Ritorna inquesto caso la sovrapposizione tra immagine ideale e realtà già segnalata pre-cedentemente (vedi saggio di Antonelli), sovrapposizione che porta ad affida-re la sicurezza non all’efficienza/efficacia delle misure oggettivamente attiva-bili, ma al coinvolgimento di quanti più attori possibili su un terreno comune.Una certa vena utopica a volte affiora negli atteggiamenti e nelle opinioni diuna parte non insignificante del campione.

b) Per l’Unione Europea e per la NATO le risposte sembrano orientarsiin base ad immagini maggiormente orientate ad un principio di realtà: la pri-ma risulta indicata con più frequenza per i rischi della vita quotidiana nei ter-ritori dell’Unione (con particolare riguardo alla crisi economica e con un chia-ro effetto generato dall’introduzione dell’euro) e per la guerra convenzionalein Europa, la seconda viene chiamata in causa per specifici pericoli militari(con il punteggio più alto per il conflitto nucleare).

Nel complesso la domanda 1. ha fatto risaltare come nell’orientare le ri-sposte e le valutazioni convergono esperienze (ovviamente per lo più media-te), conoscenze, proiezioni, aspettative, prefigurazioni; ne deriva che le imma-gini delle sedi di ‘produzione’ della sicurezza vengono elaborate attraverso

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processi complessi e differenziati, in cui le conoscenze sugli eventi e sui pro-cessi in corso e la riflessività relativa si mescolano a proiezioni di valori idealie di paure, a definizioni politicamente orientate degli attori che operano nel-lo scenario internazionale, mentre la ‘costruzione’-definizione dei rischi costi-tuisce una sorta di struttura sottostante.

Innanzitutto si nota un processo di attrazione verso la dimensione più am-pia e in un certo senso considerata ‘sovraordinata’ con un andamento che con-sidera l’Europa più importante dell’Italia, ma a sua volta meno importantedell’ONU. Che la configurazione non sia del tutto ideologica, ma costituiscaun mix di proiezioni di desideri e di valutazioni realistiche emerge chiaramen-te, oltre che dalle indicazioni provenienti dai dati qualitativi della ricerca, an-che da alcuni confronti interni agli stessi risultati dell’item in questione; men-tre la devoluzione verso il livello europeo presenta un andamento costante, se-condo la nota attrazione per l’Unione manifestata dagli Italiani, nei confrontidell’ONU è possibile registrare alcune indicazioni contrarie, frutto di un’ap-propriata riflessione. Come si è già detto, per la ‘guerra convenzionale in Eu-ropa’ viene privilegiato il livello europeo, mentre per il ‘crimine organizzato’Italia ed Europa sono considerate più adatte delle Nazioni Unite.

Per l’Alleanza Atlantica valgono altre considerazioni; innanzitutto va evi-denziato come il campione abbia manifestato una piena consapevolezza dellanatura militare dell’organizzazione – la cui mission oggi appare però meno chia-ra con la fine dell’ordine bipolare e il suo allargamento –, e della leadership sta-tunitense. Non a caso, come si vedrà, il 17% degli intervistati che vorrebbe laForza di Reazione Rapida Europea considerata più importante della NATO èformato per oltre la metà (51%) da quanti si autodefiniscono appartenenti al-l’estrema sinistra o alla sinistra, intervistati che si sono connotati per un certo an-ti-atlantismo. Questo risultato si collega al più generale problema del rapportotra europeismo e appartenenza politica; oggi, con un ribaltamento rispetto aglianni cinquanta e sessanta quando il maggiore europeismo si collocava nel cen-tro e nel centrodestra, perché l’Europa era in gran parte una scelta filo -occiden-tale, emerge un europeismo di sinistra, talvolta nutrito di antiamericanismo, chefa apparire come più euroscettici coloro che si collocano nel centrodestra.

A prescindere da queste considerazioni più generali, alla NATO vengonodemandati i compiti esclusivamente militari, con una maggiore concentrazio-ne, come si è detto, sul conflitto nucleare, mentre l’attrazione per l’ONU èprobabilmente imputabile sia al suo preponderante pacifismo, sia al suo uni-versalismo, elementi su cui poggia la sua legittimazione. D’altronde però, vaanche valutato il fatto che non esiste a livello planetario un’alternativa univer-sale comparabile.

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In sintesi nel rapporto tra le minacce e la relativa tutela operano nei con-fronti delle istanze sopra analizzate due tipologie di immagini: la prima (cheriguarda l’Italia e le Nazioni Unite) risulta costruita in base ad elementi pre-valentemente emotivi-proiettivi, anche se di segno contrario (nel senso di uneccesso di ottimismo per l’ONU e di pessimismo per l’Italia), la seconda (perL’Europa e la NATO) su contenuti più riflessivo-cognitivi. Ovviamente nonmancano nell’immagine dell’Europa e della NATO dimensioni emotive-proiettive e viceversa elementi riflessivi-cognitivi in quelle dell’Italia e dell’O-NU, ma il problema non è quello di definire con estrema accuratezza il pesodei relativi elementi; è semmai importante verificare se questa linea di tenden-za emerge anche riguardo ad altre dimensioni dell’indagine.

Fig. 3: tipologie di immagini dei produttori di sicurezza

Immagini a prevalente contenuto emotivo-

proiettivo

Italia ONU

Immagini a prevalente contenuto cognitivo-

riflessivo

Europa NATO

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Tipologia dei rischi, produttori di sicurezza e genere

Una differenziazione secondo il genere fa risaltare alcune specificità econferma elementi già in parte registrati: innanzitutto le donne appaiono piùdisorientate degli uomini nell’individuare il livello operativo adeguato per lasicurezza (sono maggiori le indicazioni per ‘nessuna opinione’) e più pessimi-ste nei confronti del sistema italiano. Mentre per i rischi che abbiamo defini-to degenerativi non appaiono significative differenze rispetto al genere, perquelli disintegrativi (e tra i quali è ricompreso l’attacco terroristico) si nota perda parte delle intervistate una minore indicazione percentuale a favore dellaNATO e dell’Italia; la prima è imputabili alle maggiori aspirazioni pacifiste daparte delle donne, la seconda alla sfiducia verso le istituzioni italiane e all’au-gurio che la responsabilità di fronteggiare minacce così rilevanti sia assunta allivello più ampio possibile.

Per i rischi bellici veri e propri l’atteggiamento maschile resta impronta-to ad un maggiore realismo, mentre la componente femminile si riconfermasostenitrice di una cultura più universalista e pacifista nell’affrontare qualun-que questione riguardante i problemi della sicurezza e della difesa. Le intervi-state, più timorose per quanto riguarda i pericoli di una guerra, e più frequen-temente portatrici di sensi di appartenenza universalisti, sembrano esorcizza-re le loro paure attraverso la scelta per le Nazioni Unite. Certo sarebbe inte-ressante verificare con quale peso i timori dei pericoli e la percezione della fra-gilità del sistema Italia operino su questo pacifismo di genere e quanto invecesia una proiezione di valori.

Tipologia dei rischi, produttori di sicurezza e appartenenza politica

Anche l’incrocio con l’appartenenza politica offre lo spunto per osserva-zioni significative. In linea generale:

a) viene riconfermato il ruolo che ancora oggi l’orientamento politico dibase svolge nella formazione delle opinioni – anche quelle che apparentemen-te sembrerebbero più tecniche – e nell’offrire una sorta di bussola per consi-derazioni generali – e meno – circa il quadro geostrategico internazionale,operando quale dispositivo semplificatore. Questo ruolo appare evidente nel-l’indirizzo espresso dalle diverse scelte operate dagli intervistati di sinistra e didestra (decisamente più filo-ONU i primi e più filo-NATO i secondi), mentresi potrebbe attribuire proprio alla relativa carenza la maggiore incapacità diesprimere la propria opinione registrata negli intervistati che non si sono rico-nosciuti in nessuna area politica;

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b) all’interno dell’asse sinistra/destra risulta ribadito il maggiore europei-smo della sinistra; l’opzione europeista è indicata infatti con maggiore fre-quenza nella sinistra in tutte le tipologie di rischi, anche se con incidenza di-versa;

c) le preferenze per il livello italiano si presentano alternativamente conpiù indicazioni nelle diverse aree; va segnalata la maggiore fiducia nel sistemadifesa italiano da parte degli intervistati che si sono autocollocati al centro;

d) per i pericoli bellici appare forte l’indicazione NATO da parte della de-stra e del centro, mentre per l’ONU le maggiori indicazioni sono della sinistrae di coloro che non si sono riconosciuti in nessuna area.

Un’altra osservazione che offre un’ulteriore, sia pure parziale, confermadella linea interpretativa suddetta può essere avanzata a proposito delle indi-cazioni sui rischi di un attacco terroristico e sul livello operativo più adegua-to per fronteggiarli. Disaggregati per area di appartenenza politica fanno risal-tare una differenza di rilievo: mentre 4 intervistati su 10 di quelli che si sonoautocollocati a destra indica la NATO, questo succede solo per 2 su 10 di ap-partenenti alla sinistra; per l’ONU la situazione è in parte speculare e in par-te diversa: in questo caso sono 4 su 10 degli appartenenti alla sinistra a darequesta indicazione, ma per la destra sono più di 3 su 10. Questo risultato, uni-to anche ad altri dati emersi dalla ricerca, meriterebbe un approfondimento:infatti l’asse destra/sinistra polarizza solo parzialmente le posizioni. All’inter-no della sinistra, come della destra, il campione presenta una parte, a volte co-spicua a volte meno, di opinioni e di immagini trasversali. In altri termini, l’ap-partenenza politica orienta e definisce solo una frazione degli intervistati.

Nel complesso potremmo sintetizzare, affermando brevemente che dai ri-sultati di questa domanda l’Italia appare con un ruolo di produttore di sicu-rezza e di difesa molto ridimensionato. Se si considerano unitamente questaopinione (molto e trasversalmente diffusa nel campione) con l’altra (altrettan-to diffusa) dell’alto impatto attribuito alle istituzioni italiane sulla vita quoti-diana si comprendono le radici di una certa disaffezione e la criticità versoun’architettura politica e decisionale che sembra pesare molto sui cittadini, mache è valutata non in grado di tutelare un sereno svolgersi della vita civile. Tut-to il pessimismo e la bassa autostima degli Italiani, già rilevati in altre indagi-ni, sembrano condensarsi in questa dimensione; il dato attesta che l’Italia nonha ancora superato quel deficit storico di identificazione con le istituzioni sta-tuali che fa del caso italiano un’anomalia all’interno del contesto europeo.Non c’è da stupirsi che le Forze Armate – che per essere obiettivamente con-siderate devono potersi inserire in un senso adeguato di cittadinanza e in uncontesto di stima e sostegno per il Paese – si imbattano in una ricorrente vi-

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schiosità che impedisce una valutazione del loro ruolo formulata in base ad unprincipio di realtà e al di fuori di stereotipi positivi o negativi.

L’Europa a sua volta si afferma, con un chiaro effetto prodotto dall’intro-duzione dell’euro, come sede del potere economico, cioè essenzialmente co-me potenza economica e finanziaria pacifica. All’Unione Europea si indirizza-no le aspettative di tutela dalle crisi economiche di poco meno della metà delcampione.

L’ ONU e la NATO rispondono con prevalenza rispettivamente ad istan-ze universalistiche e ad esigenze di efficacia/efficienza, spesso influenzate daorientamenti politici che a loro volta entrano, come si è visto, quale strutturalatente sottostante anche nello stesso processo di definizione dei rischi.

Strategie e strumenti per la pace e la stabilità

Per far fronte alle molteplici sfide alla pace e alla stabilità a livello mon-diale, cioè per una governance globale, la comunità internazionale ha a dispo-sizione una pluralità di strategie da implementare, in base alle scelte politiche,con diversi mezzi, con protagonisti diversificati, secondo differenti regole econ specifiche modalità di realizzazione; fondamentalmente si tratta di azionidiplomatiche di vertice, di misure militari che prevedono anche l’uso coerci-tivo della forza armata, di interventi strutturali a sostegno dello sviluppo e dimisure ‘altre’ che si potrebbero etichettare ‘politico-dialogiche’. A livello de-cisionale, nelle organizzazioni internazionali, regionali ecc., nella scelta valgo-no criteri essenzialmente di natura politica, anche se oggi non è più concepi-bile nelle società democratiche non tenere in debito conto l’opinione pubbli-ca. A livello della gente comune la preferenza per alcune misure in luogo di al-tre riflette le maniere differenti di concepire e definire i problemi internazio-nali e le diverse valutazioni circa le strategie per la loro risoluzione; costitui-sce, quindi, un buon indicatore sulle opinioni e sulle loro ‘visioni della realtà’.

Il disegno della ricerca prevedeva una serie di domande interessate alla ri-levazione delle opinioni e delle valutazioni degli intervistati sulle strategie e glistrumenti per la stabilità e la pace internazionali. Fondamentalmente si tratta dinove domande; le prime due erano dirette rispettivamente alla valutazione del-l’efficacia dei diversi strumenti e alla individuazione dei processi ‘stabilizzatori’delle relazioni internazionali ritenuti ottimali, le seconde due hanno interessatoi corpi civili di pace e le ultime, infine, suggerivano di definire la pace, sceglien-do tra diverse metafore, con lo scopo approfondire i relativi atteggiamenti e leimmagini al riguardo. Come precedentemente per i rischi, anche le domande

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sulla pace e la stabilità internazionali hanno mirato a costruire una mappa coe-rente delle opinioni del campione, nell’intento di far emergere diverse concezio-ni della sicurezza nazionale e globale. Nell’insieme hanno rappresentato unoscenario senza il quale è difficile orientarsi adeguatamente all’interno delle ri-sposte alle singole domande.

Iniziamo con la domanda ‘Pace e stabilità sono messe a repentaglio dadiversi rischi e minacce. Rispetto a questa situazione come valuta i seguentistrumenti politici e militari?’ che ha chiesto agli intervistati di dare la loro per-sonale valutazione sull’efficacia di diversi strumenti nel far fronte alle minac-ce; il quesito è stato costruito in modo di non permettere agli intervistati di as-sumere una posizione intermedia, ma di esprimersi chiaramente in proposito,posizionandosi lungo una scala di valutazioni dall’indispensabile al dannoso.Le risposte ottenute sono illustrate nella tabella 2, che non presenta le indica-zioni ‘nessuna opinione’.

Tab. 2: valutazione di efficacia degli strumenti nel mantenere pace e stabilità

Indispensabile Utile Inutile Dannoso

Misure militari coercitive per tute-la diritti umani % 16,8 40,3 27,0 12,8

Azioni diplomatiche % 48,6 39,4 9,3 0,4

Supporto ai processi di democra-tizzazione % 40,4 44,3 11,3 0,4

Peacekeeping militare % 25,3 52,8 13,5 2,3

Controllo dell’immigrazione ai con-fini % 27,1 36,3 29,9 3,9

Maggiori aiuti ai paesi meno svi-luppati % 48,3 37,6 11,5 1,1

Deterrenza di potenziali aggressori% 21,4 44,0 23,2 3,1

Guerra per ragioni legittime % 11,1 23,0 35,1 25,0

Lotta al terrorismo con mezzi mi-litari % 23,0 31,9 27,7 13,3

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La tabella così strutturata permette una lettura di sintesi, se si confronta-no cumulate le due prime indicazioni (positive) con le seconde due (negative).Questo procedimento ci consente innanzitutto di dire che:

a) la diplomazia (ritenuta indispensabile da circa la metà del campione e uti-le da circa 4 intervistati su 10) e il sostegno economico (indispensabile percirca la metà del campione e utile per più di 3 su 10 intervistati) vengonoindicati come gli strumenti principali per il perseguimento della pace e del-la stabilità da una parte decisamente cospicua del campione, con rispetti-vamente l’88% e l’85,9% delle risposte; segue nelle indicazioni il suppor-to ai processi di democratizzazione con l’84,7%;

b) se si cumulano quindi le indicazioni ‘indispensabile’ e ‘utile’, possiamo af-fermare che la capacità di mediazione a livello di vertice, la lotta alla po-vertà e la democrazia sono considerate le migliori misure per assicurareuna governance globale efficace da circa, quando non oltre, l’85% degli in-tervistati. Presumibilmente, anche a loro insaputa, gli intervistati sembrano condi-

videre quella che è stata definita l’egocentrica illusione, cioè la convinzione tut-ta occidentale di pensare che i propri modelli di organizzazione politico-so-ciale possano essere ovunque validi e che sviluppo economico e democrazia,in presenza di un atteggiamento dialogico da parte dei paesi più ricchi, rap-presentino un valido ostacolo alla bellicosità. Soprattutto sono da notare lepressoché inesistenti posizioni critiche nei confronti delle indicazioni per ladiplomazia e per il sostegno ai processi di democratizzazione.

Continuando nell’analisi dei risultati, segue un altro gruppo di misure chesi muove, sempre cumulando le indicazioni ‘indispensabile’ e ‘utile’ da un con-senso di circa il 78% (è il caso del peacekeeping militare) ad uno di circa 65%(per la deterrenza aggressori) e ancora del 63% (per il controllo delle migra-zioni ai confini). Si tratta di strategie che prevedono in ogni caso un uso dellaforza molto limitato, si potrebbe dire quasi meramente ‘simbolico’.

È questo il tipo di uso del militare preferito dal campione degli intervi-stati, come si vedrà anche da altre domande. Infatti con il passaggio ad atti-vità che prevedono un impiego tradizionale dell’uso della forza armata il con-senso continua a decrescere: circa il 58% nel caso delle misure coercitive perla protezione dei diritti umani (il dato è veramente interessante se si conside-ra che i diritti umani e la tutela della libertà sono stati i valori più ricorrente-mente indicati dagli intervistati, con circa il 41% che li ha scelti al primo po-sto) e scende ulteriormente al 55% circa per la lotta al terrorismo con mezzimilitari.

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Cade poi a picco nel caso della ‘guerra per ragioni legittime’; in questa ri-sposta anzi si registra un ribaltamento delle posizioni con circa il 60% che re-puta questa misura inutile e dannosa. Il dato in un certo senso potrebbe sor-prendere, trattandosi di ‘ragioni legittime’, ma non è certo una novità per ilnostro paese. Infatti diversi sondaggi effettuati in sede europea a partire daglianni ottanta hanno visto l’Italia collocarsi tra i paesi con meno giovani sensi-bili alla difesa della patria, distanziandosi in maniera decisa da altri grandi pae-si europei (Cartocci e Parisi, 1997). Questa tendenza a partire dagli anni no-vanta è cambiata, ma non in maniera tale, almeno da quanto risulta dai datidella nostra ricerca, da giungere ad accettare una guerra che non sia puramen-te di difesa del territorio nazionale. La concezione sulle questioni della difesae della sicurezza e le valutazioni circa l’istituzione militare si collegano quindia movimenti di profondità poco sensibili ad effetti congiunturali e mostranotutta la complessità e l’intreccio dei fattori che condizionano le rappresenta-zioni collettive. Di questi elementi occorre tenere conto per comprendere ilsenso di molti altri risultati della ricerca.

Genere, appartenenze politiche e strumenti per la pace e la stabilità

Se analizziamo le preferenze in base al genere, considerando accorpate lemodalità ‘indispensabile’ e ‘utile’ e cumulando da una parte le indicazioni ot-tenute per tutte le misure politico-dialogiche e dall’altra per quelle coercitivo-militari e da solo il peacekeeping militare, emerge una maggiore propensionefemminile per le misure politico-dialogiche e maschile per quelle coercitivo-militari, mentre il peacekeeping militare incontra pressoché lo stesso favore. Seperò andiamo ad analizzare la composizione interna di questo risultato, dinuovo emergono differenze che vanno nel senso sopra indicato: il peacekee-ping militare è ritenuto indispensabile dal 28% degli intervistati contro il 24%delle donne, mentre viceversa è ‘utile’ per il 56,1% dei maschi contro il 52,2%delle femmine. Nel complesso però i risultati sottolineano il buon ‘posiziona-mento’ del peacekeeping nell’opinione pubblica che ha imparato a conoscerequesto nuovo utilizzo dello strumento militare e sembra apprezzarlo; ma so-prattutto, e il dato è rilevante, va osservato che è in grado di distinguerlo daaltri tipi di intervento delle Forze Armate più coercitivi per i quali il consen-so è meno diffuso nel campione.

Decisamente più incisive appaiono le differenze tra gli intervistati se ana-lizziamo le risposte disaggregandole in base all’appartenenza alle diverse areepolitiche; precisamente possiamo notare che:

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a) il massiccio rilievo dato da tutto il campione alle misure politiche e dialo-giche si esprime con una percentuale più elevata per il centro e la sinistra;

b) il diffuso, già notato, apprezzamento per le missioni di peacekeeping trovai maggiori sostenitori negli intervistati di centro, mentre quelli di sinistraappaiono percentualmente meno convinti di quelli di destra. La spiegazio-ne è in linea con tutti gli altri risultati della ricerca: si tratta anche nel casodelle missioni di peacekeeping di un impiego delle Forze Armate che ven-gono considerate con una certa criticità dagli appartenenti a questa areapolitica;

c) le misure coercitive e militari incontrano i più frequenti fautori negli inter-vistati di destra, seguiti da quelli di centro; ultima la sinistra.

Per concludere va osservato che questo item ha fatto emergere da una par-te una omogeneità nel campione su alcune tematiche e dall’altra una polariz-zazione significativa tra ‘destra’ e ‘sinistra’ essenzialmente per quanto riguar-da le opinioni e le valutazioni dello strumento militare. Questa polarizzazionesi qualifica ulteriormente scomponendo la valutazione positiva tra ‘indispen-sabile’ ed ‘utile’ e tenendo anche presente le indicazioni negative ‘dannoso’.Alcuni esempi possono meglio illustrare il profilo di queste differenze: le mis-sioni militari coercitive per la tutela dei diritti umani sono considerate indi-spensabili dal 24% degli intervistati di destra e dal 7,7% da quelli di sinistra,utili rispettivamente dal 48,6% e dal 35,2%; a reputarle dannose invece sonoil 23,2% degli appartenenti alla sinistra e il 5,6% alla destra. Un andamentopiuttosto simile è registrabile per le indicazioni riguardo alla lotta al terrori-smo con mezzi militari, mentre il divario aumenta ulteriormente circa la valu-tazione sulla ‘guerra per ragioni legittime’. Questa modalità ha fatto registra-re le seguenti indicazioni: la ritengono indispensabile il 3,9% degli intervista-ti di sinistra e il 22% di destra, utile rispettivamente il 16,5% e il 28%, men-tre è dannosa per il 39,7% della sinistra e il 13,6% della destra.

Dissuasione versus deterrenza

I risultati dell’item sopra commentato ricevono un’ulteriore confermadalle risposte alla domanda ‘Secondo lei, per avere una pace duratura è ne-cessario’ che, come si è detto, cercava di individuare i processi ‘stabilizzatori’di lungo periodo ritenuti più efficaci a livello internazionale, mettendo in uncerto senso a confronto atteggiamenti ‘realistici’ che vedono una sicurezza ga-rantita dalla difesa militare collettiva, da un’altra idea di sicurezza più amplia-ta e inclusiva che potremmo definire di tipo cooperativo. Rispetto alle diver-

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se strategie indicate nella domanda, gli intervistati dovevano posizionarsi sca-larmente, qualificando la loro valutazione da una posizione di totale accordoad una di totale disaccordo.

Anche da questo item è emersa un’indicazione forte circa il fatto che leminacce alla pace e alla stabilità internazionali possono essere meglio fronteg-giate con strategie cooperative e discorsive, instaurando rapporti di reciprocorispetto tra i popoli, piuttosto che militarmente, cioè quindi più con la dissua-sione che con la deterrenza. Infatti, i risultati ottenuti, che vengono illustratinella tabella 3, fanno innanzitutto risaltare una irriducibile fiducia nel dialo-go, nella comunicazione, sia quando questa viene gestita dai vertici, secondoprocedure e saperi tecnici (‘adeguate pressioni diplomatiche’), sia quando ge-nericamente si parla di dialogo tra i popoli.

Tab. 3: grado di accordo sulle strategie per assicurare una pace duratura

Rispetto all’item precedente questa domanda permette però ulteriori ri-flessioni. Così, per esempio, se ci soffermiamo solo sulle indicazioni di un ac-cordo totale risalta immediatamente una polarizzazione sugli aspetti societa-

Totale Acc. Parziale Acc. Indifferente Parziale dis. Totale dis.

Potenziale militaredeterrente % 27,1 35,9 8,0 12,5 13,1

Pressioni diploma-tiche % 60,1 29,3 3,4 4,0 1,3

Mix incentivi/san-zioni econ. % 39,6 38,6 6,6 8,9 3,4

Rispetto e dialogotra i popoli % 79,3 16,5 2,9 0,3 0,1

Eliminare disug.econ. % 59,6 25,5 5,1 3,6 2,6

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ri-umanitari e sulle dimensioni orizzontali e non verticistiche degli stabilizza-tori delle relazioni internazionali. La sola eccezione riguarda l’azione diploma-tica che vede riconfermata la sua piena legittimazione, anche se risulta secon-da a circa 20 punti percentuali in meno rispetto alla modalità ‘impostare i rap-porti tra i popoli al rispetto e al dialogo’.

Sul versante delle misure militari circa 1 intervistato su 4 è in parziale ototale disaccordo sull’efficacia di un adeguato potenziale militare da usare ascopo di deterrenza, in sintonia con il dato già registrato circa la scarsa pro-pensione per l’utilizzo di strumenti che tradizionalmente richiamano la guer-ra. Comunque va segnalato ancora una volta la capacità di riflettere sugli ar-gomenti dimostrata dal campione, trattandosi di deterrenza – e non quindi diun impiego attivo o aggressivo – la percentuale di accordo (totale e parziale)sale al 63%.

Nel complesso le preferenze espresse riguardo alle strategie per la pace ela stabilità internazionali inclinano verso attività che non utilizzano la forza mi-litare (se non in modo, tutto sommato, piuttosto marginale) ma usano stru-menti politici, diplomatici, economici, influenzando attraverso il dialogo e lacomunicazione gli interlocutori, cercando la cooperazione e l’incontro. Rima-ne però una fascia di poco meno del 30% convintamente a favore della deter-renza armata, percentuale che raggiunge, come si è visto, il 63% cumulandole indicazioni di totale e di parziale accordo. Il campione quindi, pur prefe-rendo gli strumenti non bellici, non esclude che una adeguata potenza milita-re possa rappresentare una buona garanzia per la pace, nel senso di funziona-re come dissuasione per eventuali, potenziali, aggressori.

Appartenenza politica, deterrenza e cooperazione allo sviluppo

Un confronto interessante ad ulteriore conferma di come l’appartenenzapolitica formi e sostenga una costellazione di valori che a loro volta orientanole opinioni può essere fatto riflettendo su due modalità di risposta alla doman-da e analizzandone la struttura interna. Si tratta cioè di vedere l’influenza del-l’articolazione per appartenenza politica su coloro che, al fine di conseguireuna pace duratura, si sono dichiarati totalmente d’accordo e parzialmented’accordo (frequenze cumulate): a) di avere un potenziale militare adeguato ascopo di deterrenza; b) di eliminare le disuguaglianze economiche. Per il pri-mo caso le opinioni più favorevoli sono più frequenti a destra, per il secondola situazione è speculare; va però evidenziato che mentre nell’area di sinistrasi registra uno scarto percentuale veramente rilevante (oltre il 44%) tra misu-

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re militari e interventi a sostegno dell’economia, nella destra, invece, le per-centuali sono simili. In altri termini, gli intervistatori di questa area attribui-scono un’uguale importanza alla deterrenza militare e agli interventi di soste-gno allo sviluppo. Nelle altre due aree va segnalato per il centro la seconda po-sizione a favore della deterrenza con poco più di 5 punti percentuali in menodella destra e un livello alto di frequenze per il sostegno all’uguaglianza eco-nomica e per coloro che non si riconoscono in nessuna area politica una situa-zione intermedia. Nel complesso è però importante sottolineare l’elevato con-senso presente in tutto il campione per gli interventi su scala globale tesi a pro-durre una migliore distribuzione delle risorse.

Tab. 4: per una pace duratura, deterrenza o eliminazione delle disuguaglianze economiche?

Genere, età e ancora appartenenza politica

Ulteriori interessanti considerazioni possono essere formulate attraversoalcune disaggregazioni del campione:a) nella componente femminile emerge una preferenza (sia pure non molto

marcata) per le misure ‘altre’ rispetto a quelle militari, ad aggiuntiva con-ferma del maggior pacifismo delle donne;

b) i più giovani sono più convinti sostenitori dell’efficacia degli incentivi edelle sanzioni economiche, mentre i più anziani sottolineano maggiormen-te l’importanza dell’eliminazione delle disuguaglianze economiche; rispet-to alle misure militari la differenza è minima;

c) la distribuzione nelle diverse aree conferma nel complesso la differenza giàevidenziata destra/sinistra.

Potenzialemilitare

di deterrenza

Eliminazionedisuguaglianze

economiche

Sinistra % 52,1 96,4

Centro % 71,1 87,6

Destra % 76,5 76,2

Nessuna % 61,1 83,9

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In sintesi gli intervistati hanno mostrato di sapersi orientare con compe-tenza nell’indicare strumenti e strategie di lungo periodo per il mantenimen-to della pace e della stabilità, manifestando una netta preferenza per le dimen-sioni dialogico-cooperative. Il consenso all’utilizzo dello strumento militare,nelle sue varie modalità, è più frequente negli uomini che nelle donne e in co-loro che si autocollocano a destra o al centro.

Le opinioni espresse dagli intervistati nel campo della difesa e della sicu-rezza nazionale e internazionale sono articolate e complesse; esse rispecchia-no i mutamenti avvenuti in ampi settori dell’opinione pubblica mondiale chesi configura sempre più attenta e partecipe sulle tematiche della pace e dellasicurezza. Emerge un processo di crescente sensibilizzazione a problemi untempo delegati all’élite politica; si sta maturando l’opinione che, caduti i con-fini tra sicurezza interna e sicurezza esterna, è oggi necessario ripensare ade-guatamente le strategie relative. Il campione della nostra ricerca ha espressouna chiara, decisa inclinazione verso una concezione di sicurezza ampliata,cooperativa e inclusiva piuttosto che verso una sicurezza garantita esclusiva-mente da una difesa collettiva. Non esclude l’importanza di una deterrenzaadeguata, che non evolva però verso configurazioni di stato-fortezza, ma si ac-compagni invece ‘con discrezione’ alle strategie di intervento dialogiche e coo-perative.

L’immagine della pace

La ricerca ha inteso dedicare una sezione dell’indagine all’idea di pace ealla difesa civile, tematiche non presenti nelle indagini francese e tedesca, maritenute utili dall’équipe italiana dopo le interviste in profondità e i focus groupcondotti nella primavera del 2002 durante la fase preliminare. Infatti questasezione risponde bene alle aspettative culturali degli Italiani che si confronta-no meglio con temi militari, della difesa e della sicurezza se possono ancheesprimere la propria idea sulla pace e sugli strumenti per conseguirla e perproteggerla; inoltre con l’inserimento dello strumento metodologico della me-tafora (presente anche in altre sezioni del questionario) si è inteso alleggerirel’elevato grado di tecnicità (elevato almeno nella percezione degli intervistatiin fase di collaudo) di molte domande.

Alcuni brevi riferimenti concettuali possono essere utili per introdurrel’argomento e meglio far risaltare il senso degli item inseriti in questa sezione.

L’interpretazione del concetto di pace in senso statico e negativo, cioè co-me assenza di guerra, appare oggi largamente superato (per es. Galtung, 2000;

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Howard, 2001). Da una parte la pace viene attualmente intesa come un pro-cesso attivo e continuativo che vede il convergere degli sforzi di tutte le com-ponenti della società internazionale – istituzionali e non; dall’altra è proprio lacaratteristica di alcune delle nuove emergenti minacce (come il terrorismo e learmi di distruzione di massa) a rendere difficoltosa la classica distinzione tratempo di pace e tempo di guerra, tra pericoli di guerra e pericoli di pace. An-zi è lo stesso concetto di guerra, tradizionalmente inteso, ad apparire inade-guato per molti conflitti armati e ancor più per molti pericoli che dipendonoda armi subdole, ma non per questo di minore distruttività; tutto ciò ha pro-dotto notevoli slittamenti anche semantici nel concetto di ‘guerra’ che si con-figura ‘senza limiti’ (Qiao Liang e Wang Xiangsui, 2002), da condurre su sca-la globale anche con armi ‘non armi’. Con il dissolvimento dei dualismi dellaprima modernità, tra cui anche quello di pace e di guerra, le odierne ‘defini-zioni’ della pace coprono uno spettro assai ampio di dimensioni; in essa con-vergono processi interni ed esterni, livelli emotivi e livelli cognitivi, esperien-ze e prefigurazioni, proiezioni e valori, che la allontanano, almeno in parte,dalle dimensioni militari e guerresche delle quali solitamente ha rappresenta-to il referente di segno contrario (Zaretti, 2002).

Ma la ‘pace’, straordinario oggetto di amore collettivo, quando lascia il si-curo terreno definitorio della sua concettualizzazione in negativo, si trasformain un’immagine laboriosa, opaca, ridondante di ricchezza evocativa e persino,per certi aspetti, ineffabile rispetto al discorso diretto della ragione e alla sec-chezza denotativa del suo linguaggio. Per questo motivo il questionario ha af-fidato la rilevazioni dell’idea di pace anche alle metafore. La metafora è un uti-le mezzo per comprendere un elemento della nostra esperienza riferendoci aitermini di un altro elemento; essa facilita la ricostruzione delle rappresenta-zioni dei soggetti e permette di scorgere dimensioni che con altri strumentitendono a rimanere occultate. La metafora, come la favola, racconta l’espe-rienza del soggetto, ma è meno contaminata della favola da esigenze narrati-ve; non ha un’architettura del prima, del dopo, del perché, dell’allora. Le sueforme espressive, come quelle dell’analogia, appartengono all’area del mito,cioè di ciò che si racconta in contrapposizione al logos, che è ragionamento,ciò che si espone.

Nella nostra ricerca per meglio delineare il profilo dell’idea di pace sonostati utilizzati due tipi diversi di metafore, inseriti sia con lo scopo di ridurrela complessità delle rappresentazioni entro schemi piuttosto semplici, sia conquello opposto di assumere complessità, lasciandola esprimere liberamente.In altri termini, ci si è mossi da una riduzione di complessità ad un suo am-pliamento; si è cercato cioè da una parte di ricondurre l’idea di pace entro im-

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magini già predefinite (‘giardino incantato’, ‘duro lavoro’, ‘equilibro preca-rio’, ‘frutto di buona volontà’) o di riportarla alle rappresentazioni delle sta-gioni, e dall’altra di farne ‘esplodere’ la complessità grazie ai molteplici e piùvariegati significati che gli intervistati potevano esprimere attraverso il ricor-so agli animali. L’articolazione delle stagioni riduce e guida le opzioni di scel-ta, mentre la metafora degli animali (i cui risultati per l’eccessiva complessitànon vengono qui presentati) offre uno spettro di indicazioni decisamente piùampio e con maggiore spazio proiettivo anche per dimensioni occulte e menotrasparenti. Entrambe le metafore naturalistiche – quella delle stagioni e quel-la degli animali – sono di natura affettiva ed espressiva e la scelta relativa è sta-ta interpretata in base alle risposte ad un’ulteriore domanda che chiedeva ilperché della scelta.

La prima metafora ha fatto risaltare una maggiore indicazione per l’idea di‘duro lavoro’ (con il 37,1%), seguita da ‘una condizione che si può raggiunge-re con un po’ di buona volontà’, ‘equilibrio precario’ e ‘giardino incantato’ conrispettivamente il 28,8%, il 20,3% e il 12,5%. La figura 4 rappresenta grafica-mente i risultati ottenuti.

Fig. 4: metafore della pace

Un’interpretazione di sintesi dei risultati ottenuti fa emergere nel campio-ne la consapevolezza che la pace sia uno scopo importante da raggiungere conun forte impegno e attraverso un processo di costruzione continua, perchémolte sono le forze che operano in senso contrario. È diffuso tra gli intervista-

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0 5 10 15 20 25 30 35 40

Giardino Incantato

Duro Lavoro

Equilibrio

Precario

Frutto di Buona

Volontà

Frutto di buonavolontà

Equilibrioprecario

Duro lavoro

Giardino incantato

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ti un atteggiamento proattivo (con il 65,9% ottenuto cumulando le frequenzedelle due indicazioni ‘frutto di buona volontà’ e ‘duro lavoro’), con al suo in-terno il prevalere di un realismo piuttosto incline al pessimismo (37,1% di in-dicazioni ‘duro lavoro’). Gli atteggiamenti passivi sono del 32,8% (risultatodalle frequenze cumulate delle due indicazioni ‘equilibrio precario’ e ‘giardi-no incantato’), con solo il 12,5% di ottimisti. La figura 5 sintetizza graficamen-te queste dimensioni.

Fig. 5: atteggiamenti rispetto alla pace

Gli atteggiamenti sopra rappresentati hanno fatto registrare una signifi-cativa articolazione secondo l’area politica di appartenenza, con per esempiola sinistra con un atteggiamento proattivo-volontaristico per il 72,7% (fre-quenze cumulate), contro il 62,7% della destra. La destra inoltre è quella chesi connota per la minore fiducia nelle possibilità di azioni ‘di buona volontà’a favore della pace. Si tratta comunque di scarti percentuali significativi, manon eclatanti, a conferma di una omogeneità nel campione su certe tematichedi fondo.

La tabella 5 illustra i risultati in tutte le loro articolazioni.

Atteggiamento Atteggiamento

proattivo passivo

Ottimismo

Pessimismo

Giardino incantato

Equilibrio precario

Frutto di buona volontà

Duro lavoro

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Tab.5: Immagini della pace secondo l’area politica

Rispetto al genere le differenze riscontrate sono minime con una leggerapropensione all’ottimismo per le donne.

La differenziazione di età fa risaltare invece negli ‘over 40’ un atteggia-mento maggiormente volontaristico e forse un più incisivo idealismo, d’altron-de già segnalato.

La metafora delle stagioni

Per quanto riguarda la rappresentazione della pace attraverso l’utilizzodella metafora delle stagioni va subito notato che la primavera ha rappresen-tato l’indicazione più frequente con il 64,5%, seguita dall’estate con il 20,3%,dall’autunno 6,9% e dall’inverno 6,4%.

Le caratteristiche associate alla primavera si coagulano essenzialmente in-torno all’idea di una ‘rinascita’, di una vita in boccio, della speranza di qual-cosa di bello, di qualcosa di nuovo e di vitale che si impone dopo la pausa, il‘sonno’ dell’inverno; l’esuberanza, i colori, l’allegria e l’abbondanza sono lespiegazioni prevalenti di quanti hanno scelto l’estate. Tempo di riposo e di me-ditazione, di ‘semina paziente’, cioè di lavoro poco appariscente, sono le piùfrequenti argomentazioni di quanti hanno indicato le altre due stagioni. Lametafora naturalistica ha portato a spiegazioni coerenti che sono state di aiu-to per comprendere gli stati d’animo che accompagnano le rappresentazionidella pace. In sintesi ci si muove all’interno di coppie attività/riposo, esplosio-ne/raccoglimento, tempo dell’espressività/tempo della riflessione, pace comemovimento, pace come tranquillità. In tutti però appare forte il legame dell’i-dea di pace con l’idea di vita, mai con quella di una immobile staticità, nem-meno per coloro che hanno preferito l’autunno e l’inverno.

Giardinoincantato

Durolavoro

Equilibrioprecario

Fruttodi buonavolontà

Sinistra % 8,8 40,2 18,5 32,5

Centro % 17,6 35,2 19,8 27,5

Destra % 14,2 34,9 28,5 22,3

Nessuna % 15,9 37,7 13,3 30,1

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Nell’immaginario collettivo degli Italiani appare pienamente portato atermine il processo che, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, hastravolto le regole fino ad allora conosciute, modificando profondamente l’i-dea di guerra e di pace: in una guerra nucleare si annullano le differenze traun eventuale vincitore e il vinto. Ponendosi come probabile suicidio colletti-vo, il ‘conflitto atomico’ azzera ogni funzione oggettiva e soggettiva della guer-ra: essa non è più Eros e Thanatos, è solo Thanatos; non è più festa crudele,prova suprema, estasi sacra che trasfigura il fratricidio (Weber, 2002, II); è so-lo distruzione, ritorno al mondo inorganico. Così l’aspetto vitalistico-dionisia-co, spesso associato al combattimento e alla guerra (Bouthoul, 1961), nell’eradella guerra post-atomica, è traslato alla pace.

Corpi civili e sicurezza

A completamento delle domande sulle strategie per perseguire la pace, ildisegno della ricerca, come si è detto, ha previsto l’inserimento di due doman-de specifiche per analizzare l’opinione del campione sull’utilizzo in alcuni ti-pi di intervento all’estero di un corpo di civili disarmati, i cosiddetti ‘caschibianchi’. L’argomento è di attualità e rilevanza (per esempio, Tullio, 2000); i‘caschi bianchi’, nati quali strumenti di supporto all’attività umanitaria delleNazioni Unite, sono stati istituzionalizzati con il rapporto del 27 giugno 1995del Segretario Generale al Consiglio Economico e Sociale in cui si elencanopure tutte le attività di cui possono essere incaricati. Anche il Parlamento eu-ropeo si è in più riprese occupato di corpi di volontari civili da impegnare nel-le operazioni di pace.

È sembrato perciò importante approfondire l’analisi delle problematicheoggetto della ricerca, allargando l’indagine alla cosiddetta difesa civile (in sen-so lato), quale strumento a cui ricorrere, in una concezione ampliata della di-fesa e della sicurezza, per alcune dimensioni delle missioni di pace o addirit-tura, in alcuni casi, come strumento alternativo per la sicurezza nel sistema in-ternazionale. Il concetto di ‘difesa civile’ in effetti è molto più ampio di quel-lo a cui si riferiscono le domande del questionario; esso arricchisce di una di-mensione importante l’articolazione della protezione dalle minacce, che inquesto caso non è più affidata esclusivamente a corpi specializzati dello Stato,ma allargata al contributo della società civile. Secondo alcuni autori (per esem-pio, Holmes,1990), una difesa civile non violenta sarebbe un’ipotesi da per-correre in direzione di una concezione creativa della sicurezza, arricchita dastrategie alternative. La difesa civile presenta un aspetto esterno e uno inter-

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no; quest’ultimo però non è stato considerato nella nostra rilevazione dei da-ti, per evitare di ampliarne troppo lo spettro, con il rischio di squilibrare il fuo-co dell’indagine.

La prima domanda del questionario in argomento (‘Secondo lei, un cor-po di civili disarmati – i cosiddetti caschi bianchi – in quale delle seguentimissioni potrebbe essere utile e quanto?’) ha così inteso rilevare le opinionial riguardo di una gamma di interventi più limitati e di considerarne la valu-tazione dell’utilità. La tabella sotto riportata illustra i risultati ottenuti.

Tab. 6: valutazione della possibile utilità dei corpi civili di pace in alcune missioni

Una prima analisi dei risultati fa subito risaltare l’individuazione dei ‘ca-schi bianchi’ come i soggetti più adatti per l’assistenza umanitaria o per l’azio-ne di evacuazione di civili, con una sorta di approvazione plebiscitaria(90,4%) se si cumulano le due indicazioni ‘molto utile’ e ‘abbastanza utile’.Ovviamente le indicazioni maggiori di ‘non utilità’ si hanno per le missioni inambito NATO (40,7%, cumulando ‘poco utile’ e ‘inutile’) e per quelle di for-za armata nella gestione delle crisi (45,8%). Nuovamente viene confermata lariflessività del campione e la relativa capacità di operare adeguate distinzioni.

Moltoutile

Abbastanzautile

IndifferentePocoutile

Inutile

Difesa comuneambito NATO % 13,9 22,1 17,0 17,3 23,4

Missione di F.A.per gestione crisi%

12,0 23,1 13,4 18,4 27,4

Missioni di mante-nimento della pace%

41,6 31,9 6,6 8,1 8,0

Missione umanita-rie o evacuazionecivili %

64,9 25,5 2,1 1,3 2,8

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Rispetto all’utilizzo dei caschi bianchi in missioni NATO non si riscontra-no scarti percentuali rilevanti, mentre le frequenze cumulate delle due moda-lità ‘molto utile’ e ‘abbastanza utile’ non raggiungono mai il 40% e non scen-dono sotto il 30%.

Comunque è possibile notare che:a) le donne sono percentualmente più favorevoli degli uomini;b) chi ha più di 40 anni è più favorevole dei più giovani;c) i sostenitori di questo tipo di utilizzo sono più frequenti tra coloro che si

autocollocano a sinistra;Anche per l’utilizzo dei caschi bianchi nelle missioni militari per la gestio-

ne di crisi l’andamento delle risposte è simili; riscontriamo che: a) le donne sono più favorevoli degli uomini;b) chi ha più di 40 anni è più favorevole dei più giovani;c) i meno convinti sono gli intervistati di destra;d) in questo caso la sinistra si colloca in terza posizione, superata dai consen-

si di coloro che si autodefiniscono appartenenti a nessuna area e al centro.Con il passaggio alla valutazione di utilità rispetto all’impiego nelle mis-

sioni di mantenimento della pace, le percentuali fanno registrare un notevoleaumento e qualche cambiamento: a) le donne si confermano sempre più favorevoli degli uomini;b) i giovani superano gli anziani;c) la sinistra rimane in terza posizione dopo chi rifiuta di collocarsi in un’area

politica e chi si autocolloca al centro. Inoltre le differenze percentuali si fanno più marcate in special modo per

la differenziazione secondo le appartenenze politiche, dove tra i più e i menofavorevoli lo scarto è di circa venti punti percentuali.

Per le missioni umanitarie la percentuale dei favorevoli cresce ulterior-mente; inoltre si riscontra:a) la posizione più favorevole delle donne;b) tra le aree politiche l’indicazione più frequente nuovamente a sinistra.

Corpi civili disarmati e Forza Armata europea

L’opinione sul ruolo attribuibile ai corpi civili disarmati si completa conl’analisi della domanda che chiedeva agli intervistati di esprimere la loro opi-nione circa la possibilità della suddetta forza di sostituire una Forza Armataeuropea. La domanda era in un certo senso ‘provocatoria’, nella misura in cuitentava di far proiettare sulle Forze Armate europee istanze favorevoli al di-

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sarmo, evitando il corto circuito delle Forze Armate nazionali. Le rispostehanno visto una piccola minoranza di favorevoli (il 7,4%), contro il 46,3% diassolutamente contrari e il 38,9% di coloro che reputano questo possibile masolo per alcuni casi, cioè per compiti specifici.

Se differenziamo il campione in base al genere, alle classi di età e all’ap-partenenza politica troviamo confermate alcune linee di tendenza già chiara-mente delineatesi nel campione.

Tab. 7: opinione sulla sostituzione con i ‘caschi bianchi’ di una Forza Armata europea secondo ilgenere

Infatti anche dalla tabella 7 emerge un’inclinazione ‘pacifista’ percentual-mente più diffusa presso le donne, mentre la tabella 8 fa risaltare una posizio-ne più possibilista da parte dei più giovani.

Tab. 8: opinione sulla sostituzione con i ‘caschi bianchi’ di una Forza Armata europea secondo leclassi di età

Infine la disaggregazione secondo le diverse aree politiche riconferma lapresenza nell’area di destra di indicazioni più frequenti a favore delle ForzeArmate; è comunque interessante notare che sia pure nella contrapposizionesinistra/destra un cospicuo numero di intervistati di entrambe le aree condi-

SìIn alcuni

casiNo,mai

Noopinione

15 – 40 anni % 6,9 41,6 45,3 6,2

Più di 40 anni % 7,8 35,6 48,9 7,7

SìIn alcuni

casiNo,mai

Noopinione

Maschi % 6,1 35,0 52,0 6,9

Femmine % 8,6 42,9 41,7 6,8

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vide le stesse posizioni. Il dato è già emerso per altre domande e meriterebbeun ulteriore approfondimento.

Tab. 9: opinione sulla sostituzione con i ‘caschi bianchi’ di una Forza Armata europea secondo l’ap-partenenza politica

Nuovi scenari di rischio ed equilibri per la pace

Nel complesso la ricerca per questa parte delle tematiche analizzate ha vi-sto emergere alcuni importanti risultati. Innanzi tutto va evidenziato che lapercezione della minaccia è forte e chiaramente avvertita nell’opinione pub-blica. Non solo riflette fedelmente i profondi cambiamenti intervenuti negliscenari politico-strategici dopo gli attentati dell’11 settembre, ma si radica an-che in un mutamento di lungo periodo che enfatizza i valori ‘ecologici’ dei di-ritti umani, della protezione dell’ambiente e della sicurezza, intesa in sensoglobale e che quindi porta a temere, insieme alle minacce tradizionali, anche i‘nuovi’ rischi.

La società del rischio elaborata dagli intervistati si organizza intorno a tretipologie di minacce: quella militare di natura più o meno tradizionale, carat-terizzata dal nemico visibile e dichiarato, dall’eccezionalità della situazione (laguerra) e dalla sua facile individuazione e due tipologie di rischi postmoder-ni, cioè presenti nella quotidianità, inattesi, subdoli, opachi perché mescolaticon il ‘familiare’. Questi ultimi, con il loro generare una rottura rispetto alleroutine della vita quotidiana producono una diffusa ‘insicurezza ontologica’(Giddens, 1985); sono perciò i più temuti. Vengono imputati sia alla degene-

SìIn alcuni

casiNo,mai

Noopinione

Sinistra % 10,9 43,7 41,2 4,2

Centro % 4,4 39,6 53,8 2,2

Destra % 5,3 31,6 56,3 6,8

Nessuna % 5,6 42,4 36,8 15,2

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razione del sistema stesso per cause endogene (disastri ecologici, criminalità,crisi economiche), sia ad una disgregazione per cause esogene (attacchi terro-ristici, proliferazione di armi di distruzione di massa e loro possesso da partedi Stati fortemente instabili, di gruppi e organizzazioni di varia natura, migra-zioni massicce e incontrollate); rappresentano inoltre le minacce più incisiva-mente mediatizzate e vissute con maggiore partecipazione emotiva.

Nella percezione/rappresentazione dei rischi e delle minacce è apparsoevidente come realtà e dimensione mediatica si presentino fortemente connes-se, per cui alcune minacce sono asimmetriche anche per l’incredibile perdu-rante stato di tensione che producono nell’immaginario collettivo a causa del-la difficoltà di una loro ‘normalizzazione’ e della loro ridondante comunica-zione nei media, anche al di là delle realistiche probabilità di accadimento. Og-gi il più grande pericolo non sembra quindi risiedere nelle probabilità del ri-schio, ma nella sua percezione che agita le fantasie, paralizzando le normali ca-pacità di reazione. È questo un importante dato che appare illustrato dalla ri-cerca.

Altro risultato di rilievo ottenuto, sulla linea di quanto indicato già datempo dall’antropologia sociale (per esempio, Douglas e Wildavsky, 1982), èla conferma che sono la cultura (compresa l’ideologia politica) e la strutturasociale dei gruppi di appartenenza che dotano gli individui dei codici di de-codifica della realtà, per cui il rischio risulta socialmente costruito sulla basedi un processo interpretativo intersoggettivo in buona parte svincolato da va-lutazioni di tipo probabilistico.

All’interno del campione si sono riscontrate interessanti diversificazioni:le donne più degli uomini temono le minacce belliche, anche le più tradizio-nali; l’atteggiamento maschile resta generalmente improntato ad un maggiorerealismo, mentre la componente femminile si riconferma portatrice di una cul-tura più universalistica e pacifista anche nell’affrontare le questioni della sicu-rezza e della difesa. Anche se con margini percentuali piuttosto ridotti, i risul-tati della ricerca sembrano richiamare l’immagine delle donne come hegelia-ne ‘anime belle’ (Elshtain, 1991). I più giovani sono più sensibili alle minacceasimmetriche (terrorismo internazionale e armi di distruzione di massa) forseanche perché più mediatizzate, più ‘nuove’ e perché, in un certo senso, pre-suppongono una capacità di concepire con facilità le interdipendenze di unarealtà globale; i più anziani restano ancorati maggiormente ai contesti della vi-ta quotidiana, al loro habitat più circoscritto; sono più attenti alla qualità del-la vita e ai rischi (per es. epidemie e alterazione dei cibi) che la minacciano.Per la destra la società di rischio si connota prevalentemente attraverso la mi-naccia del terrorismo e delle migrazioni non controllate, mentre la sinistra ten-

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de con più frequenza a mettere i disastri ambientali al primo posto tra i peri-coli; gli intervistati di centro e di sinistra sono i più convinti fautori delle mi-sure politiche e dialogiche, mentre le misure coercitive e militari incontranomaggiore consenso negli intervistati di destra, seguiti da quelli di centro.

La percezione elevata del rischio, diffusa sia pure con sfaccettature diver-se in tutto il campione, risulta in un certo senso amplificata dalla convinzionedi una estrema vulnerabilità collettiva, probabilmente imputabile alle carenzefunzionali attribuite alle istituzioni italiane che raramente vengono chiamatein causa come livello operativo in grado di fronteggiare la minaccia. D’altron-de, però, se il rischio è ‘globale’, è coerente, rispetto alla magnitudine delle sfi-de che si pongono, percepire la fragilità di ogni singolo Stato, compresa, ov-viamente, l’Italia. Comunque sia, ci troviamo di fronte ad una rappresentazio-ne della sicurezza e della difesa connotate da timori e sfiducia; da questa an-golazione l’attrazione verso l’Europa potrebbe apparire più come una ‘fuga’dalla fragilità istituzionale e amministrativa nazionale – con l’aspettativa e lasperanza che le istituzioni europee possano svolgere quelle funzioni di cui èritenuta meno idonea l’amministrazione italiana – che una scelta ponderata inbase a considerazioni di utilità o a valori. Le aspettative di sicurezza di moltiintervistati quando invece si rivolgono alle Nazioni Unite – e questo accadefrequentemente – sono fortemente motivate dal fatto che l’organizzazionesembra essere l’unico garante di una sicurezza globale non disgiunta dalla giu-stizia, l’unico foro della politica mondiale in cui l’idea di diritti internazionalioccupa un posto centrale; in questo caso la domanda di sicurezza si fonda sul-la convinzione ideale che il benessere di tutti è interconnesso e che non si puòavere sicurezza attraverso lo sfruttamento e il dominio di altri.

Per quanto riguarda gli strumenti che la comunità internazionale ha a di-sposizione per il perseguimento della pace e della stabilità, la diplomazia man-tiene un primato assoluto (è ritenuta indispensabile da circa la metà del cam-pione e utile da circa 4 intervistati su 10), seguita dal sostegno economico edal supporto ai processi di democratizzazione. La capacità di mediazione a li-vello di vertice, la lotta alla povertà e la democrazia sono considerate le miglio-ri misure per assicurare una governance globale efficace.

Il quadro si completa in maniera coerente se si considerano i diversi tipidi stabilizzatori delle relazioni internazionali che possono essere di natura ver-ticistico-statalista o orizzontale-societaria. Gli stabilizzatori appartenenti aquesta ultima categoria trovano un grande sostegno presso gli intervistati aconferma del profondo mutamento in atto nella concezione delle relazioni trai popoli che non vengono più esclusivamente affidate ai governanti e alla po-litica estera ufficiale, ma si arricchiscono di una fitta rete di scambi orizzonta-

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li tra le popolazioni. La dimensione societaria-umanitaria nelle relazioni inter-nazionali gode di un ampio apprezzamento nell’opinione pubblica italianaed è sostenuta dalla diffusa convinzione che costituisca un importante stru-mento per la pace e la stabilità. Il risultato viene anche confermato dall’ap-prezzamento verso i corpi civili di pace e per il loro impiego in alcune tipo-logie di intervento.

Nell’insieme le preferenze espresse riguardo alle strategie per la pace ela stabilità internazionali inclinano verso attività che non utilizzano la forzamilitare (se non in un modo tutto sommato piuttosto marginale o residuale),ma usano strumenti politici, diplomatici, economici, influenzando attraver-so il dialogo e la comunicazione gli interlocutori. Gli Italiani rispecchiano alivello di opinione pubblica la tradizionale linea di mediazione e di pruden-za tipiche della politica estera italiana; l’atteggiamento prevalentementeproattivo e volontaristico nei confronti della pace riguarda quindi il suo per-seguimento e il suo mantenimento attraverso misure dialogiche e cooperati-ve. Rimane comunque poco meno di un terzo degli intervistati convintamen-te a favore della deterrenza armata. Nel complesso il concetto di sicurezzaelaborato dagli Italiani risponde alle trasformazioni avvenute nel quadro del-la conflittualità internazionale e coniuga un modo tradizionale di pensare ladifesa con forme nuove e più partecipate di costruzione della sicurezza.

Va pure ricordato il diffuso consenso per le missioni di peacekeeping;questa tipologia di impiego trova i suoi più frequenti sostenitori negli inter-vistati di centro, mentre quelli di sinistra appaiono percentualmente i menoconvinti. La spiegazione è intuibile: si tratta comunque di un utilizzo delleForze Armate che, come è emerso dall’insieme dei risultati della ricerca, vie-ne considerato con una certa criticità dagli appartenenti a questa area poli-tica. In generale però va notato che l’accettazione di operazioni militari dicontingenti nazionali non è mai aprioristica, ma necessita di chiare definizio-ni degli scopi complessivi e degli obiettivi specifici e richiede precise assicu-razioni.

In sintesi il timore diffuso ed elevato per le nuove e le vecchie minaccesembra non portare la popolazione italiana verso una maggiore richiesta diprotezione militare e tanto meno verso derive sicuritarie di tipo illiberale, maalimenta forti aspettative sulle capacità dell’Europa di arginarle. Il ruolo per-manentemente incerto dell’Europa di fronte alle molteplici crisi che si sonosuccedute nell’ultimo decennio sembra non avere un adeguato riscontro nel-le rappresentazioni collettive o, almeno, non aver intaccato la fiducia nellapossibilità di superare la mancanza di coesione nella politica estera e in unavisione strategica comune.

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Resta però l’alea della persistente scarsa informazione istituzionale che la-scia la popolazione in balia dell’interpretazione dei rischi nazionali e interna-zionali effettuata dai media, secondo il loro linguaggio spettacolarizzante.Questo da una parte non facilita la totale fuoriuscita da una ambiance cultu-rale talvolta velleitaria talaltra utopistica, dall’altra può essere di ostacolo allosviluppo di un dibattito democratico, serio e costruttivo sulle enormi sfide checi attendono come italiani e come europei e per le quali sono indispensabilistrategie politiche innovative. Non appare del tutto matura la consapevolezzadel mutamento dei concetti di sicurezza e difesa; nel nuovo scenario geostra-tegico la priorità va alla prevenzione delle crisi: in questo contesto occorrereb-be sviluppare una riflessione adeguata sul rapporto tra un concetto di sicurez-za cooperativa e inclusiva – che sembra attrarre prevalentemente il campione– e quello di sicurezza garantita da un sistema di difesa collettiva.

A poco più di dieci anni dal dissolvimento dell’impero sovietico gli Italia-ni hanno in buona parte elaborato una nuova immagine delle relazioni inter-nazionali, che resta però a volte troppo legata a matrici politico culturali an-cora rilevanti nella nostra società e che, in assenza di un dibattito serio e co-struttivo, rischia di non portare a pieno compimento quella capacità di espri-mere posizioni articolate che pure in altre occasioni manifestano.

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Capitolo terzo

Forze Armate Italiane, Forze Armate EuropeeMaria Luisa Maniscalco

Nuovi scenari internazionali e ruolo delle Forze Armate

Rispetto agli anni del confronto antagonistico tra i due blocchi quando illoro impegno principale era di contribuire, insieme agli alleati della NATO, afermare un’eventuale penetrazione sovietica in occidente, oggi le Forze Arma-te del nostro Paese sono chiamate a far fronte a due compiti fondamentali: ilconcorso al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale e, per ladimensione nazionale, la difesa dell’integrità territoriale e degli interessi italia-ni. Se con la fine della guerra fredda la minaccia militare è sicuramente dive-nuta più vaga e meno diretta, e, come ritiene la maggior parte degli intervista-ti, una guerra convenzionale sul nostro territorio appare poco probabile, essanon è comunque impossibile e la difesa della Patria rimane sempre la missionprincipale delle Forze Armate di ogni paese. Inoltre gli attentati dell’11 set-tembre sembrano aver reso palese una nuova fase in cui è difficile distingueretra sicurezza interna e sicurezza esterna e la vita dei cittadini può essere mes-sa in pericolo da particolari forme di minacce al cui contrasto sono chiamatea contribuire anche le forze militari. Mutano gli scenari della sicurezza; anchelo strumento militare può essere coinvolto nella difesa dei diritti umani e deivalori fondamentali democratici, da sempre centrali nelle politiche dell’Unio-ne Europea.

A ciò va aggiunto che i conflitti – compresi quelli armati – non sono cer-to diminuiti; molto spesso però si sono trasformati nelle ‘nuove’ guerre (Kal-dor, 1999), cioè in quelle contro il ‘nemico domestico’ (Zaretti, 2001), deter-minate per motivi etnici, nazionalistici, religiosi e fortemente segnate da un’e-conomia di guerra criminale. Le Forze Armate dei paesi europei sono già datempo sempre più coinvolte negli impegni multinazionali di supporto alla pa-ce per far fronte alle nuove forme di conflittualità internazionale. Da diversianni infatti l’istituzione più fortemente legata allo Stato-nazione, si è così coin-volta nella collaborazione internazionale che potremmo affermare, con Men-

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dras (2002), che tutte le Forze Armate europee sono oggi post-nazionali. Perfar fronte ai nuovi diversificati impegni l’organizzazione militare ha affronta-to un profondo processo di trasformazione; pur riconoscendo e tutelando lapropria specificità e la particolarità delle sue procedure, si è aperta alla ricer-ca di una professionalità più completa in un accrescimento di complessità(Maniscalco,1995) adeguato alla complessità delle sfide che si trova a fronteg-giare.

Pur considerando le grandi minacce emergenti – terrorismo, criminalitàinternazionale e proliferazioni di armi di distruzione di massa –, sul cui impat-to sull’opinione pubblica si è già detto, gli scenari prevedibili escludono, peri prossimi 10-15 anni, l’ipotesi di una guerra generalizzata che coinvolga l’in-tero continente europeo, mentre appaiono prevedibili crisi sia in aree geogra-ficamente più vicine (Balcani, Mediterraneo, Medio Oriente) sia più lontane(Africa subsahariana, Caucaso, Asia centrale) che potrebbero però comunquecoinvolgere a vario titolo paesi europei singolarmente o l’Unione nel suo com-plesso.

Attualmente (per esempio, Silvestri, 2002) si tende a sintetizzare le ipote-si di utilizzo dello strumento militare entro tre grandi categorie:

a) difesa civile e territoriale (homeland defence) che comprende le missio-ni di protezione e di sorveglianza del territorio, includendo la protezione del-le infrastrutture e delle comunicazioni, e tutte le attività per contrastare o ri-durre i rischi legati alle armi di distruzione di massa;

b) operazioni di sicurezza (stability operations) che comprendono missio-ni umanitarie, di peacekeeping e di peacebuilding, ma anche molte missioni dipeaceenforcement;

c) guerra di proiezione (expeditionary warfare) che comprende le guerreregionali, gli interventi di più alta intensità e importanza, la guerra al terrori-smo internazionale, ecc.

Le categorie sopra richiamate riguardano interventi profondamente di-versi, nella loro natura, nei loro fini e nelle esigenze militari corrispondenti; es-si risultano socialmente legittimabili sulla base di presupposti differenti e pre-sentano livelli di accettabilità da parte dell’opinione pubblica sicuramente di-versificati. In linea di massima possiamo affermare che dal momento che leoperazioni militari odierne si presentano articolate su uno spettro molto am-pio, conseguentemente, anche il consenso dell’opinione pubblica tende ad es-sere articolato e differenziato. In alcuni casi l’utilità e i fini degli interventi ap-paiono evidenti, in altri la distanza tra i fini dell’impiego delle Forze Armate egli interessi immediati e quotidiani dei cittadini rende necessarie complessemediazioni politiche e comunicative.

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Dal momento che la probabilità di una guerra sul territorio nazionale e lapercezione delle minacce regolano le relazioni di base tra Forze Armate e so-cietà (Moskos e Burk, 1998), di tutte queste problematiche si è tenuto contonell’elaborazione del questionario che ha inteso approfondire l’immagine delruolo tecnico e di quello ‘politico’ delle Forze Armate, nonché le relative opi-nioni sulla cooperazione europea nel campo della difesa e della sicurezza. Al-cune domande, infatti, sono state indirizzate a delineare l’opinione/valutazio-ne circa le Forze Armate italiane e i relativi ruoli, considerando questi aspettiquali elementi fondamentali ai fini di una corretta interpretazione degli atteg-giamenti verso la Forza di Reazione Rapida europea e delle eventuali futureForze Armate europee.

Una prima importante considerazione al riguardo pone il problema gene-rale della ‘posizione’ delle Forze Armate nel contesto istituzionale delle demo-crazie mature; infatti un aspetto fondamentale per il buon funzionamento del-lo strumento militare è rappresentato dalla relazione intrattenuta con la so-cietà civile, dal momento che una legittimazione formale è necessaria, ma nonsufficiente. La specificità dello strumento necessita più di altri di un sostanzia-le consenso della collettività. In altri termini che ruolo e che peso hanno oggile istituzioni militari nella complessa architettura delle società avanzate? Qua-li sono le richieste rivolte alle Forze Armate da parte dell’opinione pubblica?Quali le condizioni per il consenso da parte di cittadini, come quelli italiani,fondamentalmente orientati a soluzioni pacifiche delle controversie interna-zionali e sensibili all’opera di mobilitazione dei mass media?

Come si è già visto nella prima parte del volume, solo il 27,2% degli Ita-liani ha considerato alto l’impatto delle Forze Armate italiane sulla propria vi-ta, segno, ovviamente, del lungo periodo di pace, della storia più o meno re-cente del nostro Paese, ma anche di una annosa scarsa attenzione dei media alriguardo e quindi di una sorta di perdurante invisibilità dell’istituzione mili-tare. A ciò si aggiunge una certa strutturata difficoltà dell’opinione pubblicaitaliana di coglierne a fondo gli aspetti di utilità svolta a favore della sicurezzadella collettività (a livello internazionale, ma anche sul territorio) e a sostegnodell’immagine del Paese all’estero, attraverso le cosiddette relazioni militariinternazionali. Segno però, per un aggiuntivo elemento di interpretazione, an-che di una certa incapacità del Paese di agire come sistema. Manca cioè, det-to in altri termini, la consapevolezza che in uno Stato, che si adegui alla situa-zione degli attuali processi economici, politici e geostrategici, le Forze Arma-te, al pari di tutte le altre istituzioni, contribuiscono alla stabilità, al benesse-re, al prestigio e alla sicurezza di un paese, in modo diretto e indiretto, e inquesta maniera hanno un notevole impatto sulla vita dei cittadini. Ma manca

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pure una capacità riflessiva nel considerare come tra gli indicatori principalidel ‘collasso’ di uno stato c’è sempre la decadenza delle Forze Armate regola-ri, con una relativa frammentazione militare; l’esperienza di molti failed Statespost sovietici e africani è indicativa al riguardo.

I compiti delle Forze Armate italiane: opinioni e valutazioni

Sullo sfondo culturale dell’opinione pubblica del nostro Paese che, co-me si è visto, sembra avere un preciso orientamento nei riguardi dei rischi edelle minacce e dei processi di tutela e difesa nazionali, la ricerca, per valuta-re le opinioni circa le funzioni dell’istituzione militare, ha previsto una doman-da così formulata: ‘Rispetto alle seguenti affermazioni sulle Forze ArmateItaliane può indicarci il suo grado di accordo?’. Il fine specifico della doman-da è stato quello di misurare il grado di accordo e di sostegno – e quindi diconsenso – nei confronti delle diverse missions delle Forze Armate italiane.

L’articolazione delle affermazioni nel questionario – per le quali appuntosi chiedeva di esprimere il proprio livello di accordo – ha permesso di misura-re gli atteggiamenti a livello ordinale attraverso una scale che va da ‘totalmen-te d’accordo’ a ‘totalmente in disaccordo’ e ha presentato come sempre la mo-dalità ‘nessuna opinione’.

Una prima analisi dei risultati ottenuti fa emergere come l’indicazione piùelevata circa il ‘totalmente d’accordo’ riguardi l’aiuto al proprio paese in casodi disastro (57,6%), subito seguita dalla difesa del paese e del territorio(52,3%); la funzione di ‘tutela’ delle Forze Armate, nel suo duplice aspetto ci-vile e militare, gode quindi di un consenso pieno da parte della maggioranzadel campione. Segue poi, a decrescere, l’aiuto dato ad altri paesi in caso di ca-lamità (40,0%), cioè un compito umanitario transnazionale; bisogna arrivarein quarta posizione per trovare di nuovo un impiego più consono alle attivitàmilitari, cioè il peacekeeping (39,4%), attività che però, come è noto, non è ti-picamente militare e che, in quanto tale, nonostante una lunga e ormai conso-lidata consuetudine, ancora oggi suscita perplessità nelle Forze Armate di al-cuni paesi come per esempio Gran Bretagna e Stati Uniti (Segal e WechslerSegal, 1995).

La funzione di garanzia e simbolo dell’unità nazionale trova ‘totalmented’accordo’ il 29,5% e quello di difesa di valori quali libertà e democrazia il22,8%, mentre il ruolo più tradizionale di preparare alla guerra e al combat-timento trova ‘totalmente d’accordo’ solo il 18,4% degli intervistati; per i dueruoli tradizionali, tipicamente legati all’idea di Forze Armate di leva, quale la

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capacità di educare i giovani ai valori della disciplina e del rispetto e di aiutar-li ad integrarsi nella società, si ottiene l’indicazione ‘totalmente d’accordo’ ri-spettivamente per il 17,4% e il 7,0%.

L’affermazione di totale dissenso verso l’istituzione militare – ‘le Forze Ar-mate non hanno nessuna utilità’ – trova ‘totalmente d’accordo’ il 6,4% degliintervistati.

Cumulando le due indicazioni ‘totalmente d’accordo’ e ‘parzialmented’accordo’ l’ordine delle priorità non cambia anche se le percentuali aumen-tano sensibilmente arrivando a:

1) 92,6% per l’aiuto al proprio paese in caso di disastro;2) 86,7% per la difesa del territorio;3) 84,6% per gli aiuti in caso di disastro ad altri paesi;4) 79,2% per il peacekeeping;5) 65,9% per la garanzia dell’unità nazionale;6) 63,6% per la difesa di libertà e democrazia;7) 53,5% per la preparazione alla guerra e al combattimento;8) 47% per educare i giovani al rispetto e alla disciplina;9) 35,3% per aiutare i giovani nell’inserimento nella società.Di nuovo sono le ultime due funzioni che ottengono minore consenso,

non raggiungendo la maggioranza del campione; in qualità di agenzia forma-tiva, le Forze Armate vengono giudicate prive di una connessione organica conla società. Il dato segnala una certa perdurante distanza dalle altre agenzie for-mative e dal contesto culturale più generale.

In sintesi possiamo sostenere che l’operato delle Forze Armate italiane siaben apprezzato dall’opinione pubblica; resta però da riflettere su alcuni im-portanti punti: a) le funzioni difensiva e di aiuto umanitario all’interno del territorio sono si-

curamente le più apprezzate e le meno problematiche; seguono come or-dine l’aiuto umanitario agli altri paesi e le missioni di peacekeeping, talvol-ta accomunate nell’immaginario collettivo. Gli interventi umanitari asse-gnano alle Forze Armate un ruolo molto condiviso e facilmente compren-sibile dall’opinione pubblica; anche le operazioni di peacekeeping costitui-scono un impiego di vasto consenso sociale. Entrambi rivalutano abilitàprettamente militari in quanto espressione di una professionalità impiega-bile ad ampio spettro;

b) rispetto alla funzione di integrazione sociopolitica e di difesa dei valoriportanti della nostra comunità, il maggiore grado di accordo va al livellopolitico (‘garanzia e simbolo dell’unità nazionale’ e ‘difesa della libertà edella democrazia’), mentre quella di integrazione sociale (‘aiutano i giova-

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ni ad integrarsi nella società’) e culturale, in questo caso di socializzazionea specifici valori (‘insegnano ai giovani disciplina e rispetto’), riscuote me-no consensi, sia per l’influenza della scarsa valutazione della leva, sia per-ché quest’ultima è ormai in fase di abolizione e l’opinione pubblica èproiettata verso forze solo professionali, sia infine perché ‘rispetto e disci-plina’ sono valori poco considerati e comportamenti poco praticati nellesocietà occidentali contemporanee;

c) solo poco più della metà del campione è d’accordo sulla mission tipica del-le Forze Armate (guerra e combattimento) con una chiara indicazione perl’auspicato ruolo poco aggressivo per le nostre Forze Armate, già presentein altri risultati della ricerca.

Sicuramente, come emerge da molti altri elementi, le Forze Armate italia-ne hanno superato quell’invisibilità che le ha caratterizzate durante il lungoperiodo della Guerra Fredda, come risultato della tensione tra diffidenza (del-la società civile) e chiusura (del mondo militare). Sfumate molte delle causeesterne che rendevano difficile il rapporto con la società civile, nel corso de-gli anni novanta le Forze Armate italiane hanno sperimentato un progressivoampliamento dei loro compiti e ciò ha contribuito a far elaborare e diffonde-re nell’opinione pubblica una immagine nuova del militare, come soggetto ecome organizzazione. Le prove fornite nelle missioni di pace e nelle attività diordine pubblico in concorso con le forze di polizia hanno contribuito a dissol-vere gli stereotipi legati all’idea di un burocratismo esasperato, di isolamentoculturale e di inefficienza; l’operato dell’organizzazione militare gode di sicu-ro apprezzamento presso l’opinione pubblica. L’aumento di consenso e di le-gittimazione sociale è avvenuto però su una immagine della forza armata sbi-lanciata su alcuni aspetti: i militari sono stati apprezzati essenzialmente per leloro funzioni di operatori dell’emergenza, umanitari e come forze di pace. Inaltri termini si tratta di un consenso conquistato sul campo, in base alle fun-zioni svolte e per l’efficienza-efficacia dimostrate, a cui si accompagna – e que-sto è un punto importante – una dimostrazione di affidabilità rispetto a certiparametri di valori – rispetto della vita, solidarietà, empatia – particolarmen-te apprezzati dall’opinione pubblica italiana.

Questi risultati fanno sorgere alcuni interrogativi: nell’immaginario col-lettivo è forse avvenuto una sorta di processo di ‘civilizzazione’ delle Forze Ar-mate, con relativa rimozione delle funzioni tipiche di professionisti dell’impie-go legittimo della forza armata? Quale ruolo internazionale gli intervistati vor-rebbero che il nostro Paese giocasse e con quali mezzi? Quale pensano possaessere l’effetto di una integrazione europea nel campo della difesa e della si-curezza? Il favore alla suddetta integrazione è dettato da un europeismo con-

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vinto o dalla speranza di uno sganciamento dall’alleanza atlantica che è unavera e propria alleanza militare?

A queste domande si cercherà di rispondere attraverso una lettura dei ri-sultati della ricerca.

Immagini delle Forze Armate secondo le aree politiche

Come si è già evidenziato nelle parti prima e seconda del lavoro, gli incro-ci più significativi sono risultati quelli con l’area politica di appartenenza. Lasostanziale tenuta dell’asse destra-sinistra sembra trovare rinnovato vigore sul-le tematiche più prettamente legate al ‘militare’ e alla sicurezza. Il dato ovvia-mente risente della scarsa attenzione e approfondimento a livello di coscien-za collettiva sulle suddette tematiche che risultano così affidate ad interpreta-zioni ideologiche e a forme di pensiero spesso stereotipate.

Così, in sintesi, si può affermare che l’asse dell’area politica orienti signi-ficativamente le opinioni nel senso che:1) nell’area di sinistra si produce una sorta di svuotamento delle funzioni at-

tribuibili alle Forze Armate, con un andamento che assume incidenza mag-giore quanto più ci si allontana dal tradizionale compito di difesa della Pa-tria;

2) la funzione simbolica di rappresentare l’unità nazionale vede la più altapercentuale tra gli intervistati di centro che sono ugualmente quelli piùd’accordo sulla funzione difensiva del Paese;

3) nell’area di destra oltre al sostegno di una diffusa attribuzione di ruoli alleForze Armate, e quindi al relativo riconoscimento quale istituzione fonda-mentale per la vita del Paese, si evidenzia la più alta percentuale di coloroche attribuiscono ad esse capacità di tutela della libertà e della democra-zia.È difficile avanzare una interpretazione approfondita di queste differenti

posizioni; qualche indicazione può essere ricavata dai risultati dei focus group.Si tratta della diversa distanza rispetto all’istituzione militare e delle differen-ti posizioni nei riguardi di scottanti questioni di politica internazionale. Gli in-tervistati che si sono definiti di destra sono più propensi a pensare che le no-stre democrazie possano essere messe in crisi da attacchi destabilizzanti inter-nazionali – quelli che abbiamo definito disintegrativi – e che le Forze Armatequindi siano necessario scudo per libertà e democrazia; coloro che si sono di-chiarati appartenenti all’area della sinistra sono inclini maggiormente versostrumenti di tutela non militari e temono che Forze Armate troppo presenti

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incidano sul clima democratico interno del Paese. Vorrebbero per esse un ruo-lo passivo, in una sorta di ‘assicurazione’ per la sola difesa del territorio, oltreche ovviamente un impegno per compiti umanitari. Purtroppo rimane il dub-bio che entrambe le posizioni risultino elaborate sotto una certa pregiudizia-le del filo o dell’anti atlantismo. Per questo aspetto l’opinione pubblica italia-na sembrerebbe, ad una prima analisi, non aver fatto molti passi avanti rispet-to al periodo della guerra fredda.

‘Nuovi’ e ‘vecchi’ compiti per le Forze Armate

Con il concetto di ‘nuove missioni’ si intendono i ruoli ricoperti e le ope-razioni effettuate dalle Forze Armate che, pur non essendo totalmente nuove,sono oggi molto più frequenti e assumono maggiore rilevanza (Battistelli,1995). Aumenta per tutte le Forze Armate dei paesi sviluppati la vocazionetransnazionale, ma nello stesso tempo rimane irrinunciabile la difesa del terri-torio che non può più essere intesa come contenimento di eventuali attacchiesterni, ma si amplia fino a comprendere tutti gli interventi necessari a preser-vare la comunità da un ampio ventaglio di rischi. Le Forze Armate vengonomobilitate anche per la protezione civile (il più antico dei suoi compiti socia-li), per limitare l’immigrazione clandestina, per scopi di ordine pubblico e nel-la lotta alla criminalità internazionale e al terrorismo. La ricerca ha inteso ana-lizzare il riflesso di tale cambiamento nell’opinione pubblica; in altri termini èin atto nella società contemporanea un mutamento nella rappresentazione del-l’identità del militare?

La domanda ‘Per ciascuno dei seguenti compiti indichi quanto ritieneappropriate le Forze Armate’ ha chiesto agli intervistati di esprimere il pro-prio giudizio sul livello di adeguatezza a proposito di un ampio ventaglio diattività in maniera di poter valutare attraverso uno strumento scalare le opi-nioni al riguardo. Il giudizio sul livello di adeguatezza è stato considerato unbuon indicatore della legittimazione sociale delle attività che le Forze Armatedevono svolgere, cioè in altri termini il loro profilo istituzionale.

Le tabelle n. 1, 2 e 3 illustrano nel dettaglio le frequenze ottenute dalle di-verse modalità, che vengono presentate in tre gruppi: il primo per funzioni ditipo umanitario, il secondo per compiti di polizia nazionale e internazionale,il terzo per compiti più militari (di tipo tradizionale o più recenti).

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Tab.1: Rispetto ai seguenti compiti le Forze Armate sono

Per questa prima tabella rispetto ai compiti umanitari e di emergenza ap-pare netta l’indicazione che è la tutela dei diritti umani quella che suscita piùperplessità, con una chiara eco del dibattito circa i possibili relativi usi stru-mentali per interventi internazionali che superino, attraverso una sorta di esca-motage, la barriera della sovranità dei singoli stati (per esempio, Chomsky,2000).

Tab. 2: rispetto ai seguenti compiti le Forze Armate sono

La tabella n. 2 illustra che, con il passaggio a ruoli più da ‘poliziotto’, il con-senso, sia pure sempre alto, fa registrare una leggera flessione, con l’ordine pub-

Lotta al terrorismo % 31,3 29,6 17,6 10,3 9,3 1,4

Ordine pubblico % 18,6 37,9 16,9 11,8 12,8 1,1

Supervisione ai confini % 26,6 35,9 17.0 9,1 9,5 0,9

Lotta al crimine internaz. % 19,9 30,6 20,3 12,5 13,1 2,3

Assistenza in emergenza % 38,6 48,6 7,8 3,4 1,0 0,4

Emergenza altri paesi % 34,1 50,6 9,1 3,9 1,6 0,1

Protezione dei diritti umani % 17,4 35,9 23,6 10,1 10,0 2,5

Evacuazione cittadini % 39,8 45,9 7,1 3,3 1,6 1,0

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Mol

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prop

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Appr

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Mol

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Del t

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Inap

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riate

No o

pini

one

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blico e la lotta alla criminalità organizzata internazionale che in questo caso ri-scuotono i minori consensi. Il dato attesta l’interesse di parte dell’opinionepubblica a mantenere un profilo identitario preciso per le Forze Armate.

Tab. 3: Rispetto ai seguenti compiti le Forze Armate sono

Per questo ultimo gruppo di attività, la difesa della Nazione e il peacekee-ping fanno evidenziare le percentuali più elevate, ad ulteriore conferma che,accanto alla mission istituzionale e più tradizionale dell’istituzione militare, ladifesa del territorio, della terra dei padri – la patria –, anche le missioni di pea-cekeeping hanno una legittimazione ormai consolidata presso l’opinione pub-blica.

Anche per quanto riguarda questa domanda, come è già emerso in prece-denza, è l’autocollocazione nelle diverse aree politiche a far risaltare le più in-cisive differenze.

In particolare, gli intervistati che si sono autodefiniti di sinistra ritengonomolto meno appropriate le Forze Armate per i compiti di lotta al terrorismo,di cooperazione con la polizia per mantenere l’ordine pubblico e infine per lasupervisione dei confini per il controllo delle migrazioni di quanto lo fa il re-sto del campione.

Tra le diverse aree politiche la distanza diminuisce sensibilmente quandosi passa a ruoli tradizionalmente attribuiti alle Forze Armate come quelli di di-

Peacekeeping % 40,3 37,9 9,9 4,6 2,9 3,6

Peaceenforcement % 34,6 37,5 9,8 5,8 4,9 6,0

Difesa terr.& esig. Nazionali % 42,6 39,4 10,4 4,3 1,6 1,5

Difesa terr & esig. Europei % 29,6 46,3 13,4 6,0 2,5 1,6

Difesa terr. & esig. Alleati % 26,5 44,5 15,1 7,3 3,4 2,1

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Mol

toAp

prop

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Appr

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te

Indi

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Parz

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Inap

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Del t

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Inap

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No o

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fesa; il dato conferma le posizioni già emerse. In questo caso, sono coloro chesi sono dichiarati di nessun orientamento politico a far registrare le frequenzedi accordo più basse.

La Forza di Reazione Rapida europea

Un confronto interessante si può articolare tra i compiti delle Forze Ar-mate nazionali sopra commentati e quelli della costituenda Forza di ReazioneRapida europea; la domanda ‘L’Unione Europea ha deciso di costituire unaForza di Reazione Rapida comune, composta di 60000 soldati provenienti datutti gli stati dell’Unione Europea. Per ciascuno dei seguenti compiti, per fa-vore indichi quanto ritiene che queste Forze Armate Europee possano esse-re appropriate’ formulava un elenco con voci identiche a quelle analizzate nel-le tabelle n. 1, 2 e 3.

Fig. 1: Forze Armate italiane e Forza di Reazione Rapida europea a confronto

La figura 1 sintetizza graficamente i risultati ottenuti, mettendo in evidenza:

0 20 40 60 80 100

Assistenza in emergenza

Emergenza altri paesi

Lotta al terrorismo

Cooperazione in ordine pubblico

Controllo immigrazione

Lotta alla criminalità internazionale

Protezione diritti umani

Evacuazione dalle zone di conflitto

Peacekeeping

Peaceenforcement

Difesa territorio/esigenze nazionali

Difesa territorio/esigenze europee

Difesa territorio/paesi alleati

F.R.R.Europea

F.A. Italiane

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a) la maggiore appropriatezza attribuita per la quasi totalità dei compiti allasuddetta Forza di Reazione Rapida, segno dell’elevato livello delle aspetta-tive che gli Italiani ripongono nei progetti e nelle dimensioni europei;

b) la coerente indicazione di maggiore appropriatezza del livello nazionaleper la difesa del Paese.Con le indicazioni per la Forza di Reazione Rapida europea mutano anche

alcune priorità; la tabella 4 illustra un confronto tra le graduatorie relative.

Tab. 4: Graduatoria nella appropriatezza dei compiti

In sintesi possiamo rilevare che gli intervistati sono stati compiutamentein grado di discriminare tra le diverse missions e di attribuire ad esse una va-lutazione non casuale, sia a livello nazionale sia a livello di Forza di ReazioneRapida europea.

Quest’ultima è correttamente percepita come una forza transnazionale, equindi con priorità leggermente diversificate, ma comunque fortemente se-

Forze Armate Italiane Forza di Reazione Rapida europea

Assistenza in emergenza Assistenza in emergenza

Evacuazione cittadini Evacuazione cittadini

Difesa territorio nazionale Emergenza altri paesi

Emergenza altri paesi Difesa territorio europeo

Peacekeeping Peacekeeping

Difesa territorio europeo Difesa territorio alleati

Difesa territorio alleati Peaceenforcement

Peaceenforcement Difesa territorio nazionale

Lotta al terrorismo Lotta al terrorismo

Supervisione ai confini Protezione diritti umani

Ordine pubblico Lotta crimine internazionale

Protezione diritti umani Supervisione ai confini

Lotta al crimine internazionale Ordine pubblico

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gnate dalle istanze umanitarie che, come si è già notato nel corso dell’analisidei risultati, orientano il campione.

La Forza di Reazione Rapida europea: l’area del consenso

La costituzione di una Forza di Reazione Rapida europea rappresenta unpasso importante verso la realizzazione di Forze Armate postnazionali; non sitratta infatti di coalizioni o di alleanze (sia pure con comandi integrati) ma diun vero e proprio salto qualitativo verso la dimensione dell’integrazione nellapolitica di sicurezza e difesa.

I risultati della ricerca hanno fatto emergere che questa realizzazione in-contra molto favore nell’opinione pubblica italiana, favore che – cumulandol’arco dei consensi articolato dal ‘sono molto d’accordo’ al ‘sono d’accordo’fino al ‘sono abbastanza d’accordo’ – raggiunge l’88% del campione, mentrerimane di poco sotto il 70% per le due prime modalità. La domanda ‘Cosapensa di un contributo dell’Italia a questa Forza di Reazione Rapida euro-pea?’ ha infatti fatto riscontrare meno di circa il 10% di pareri contrari.

All’interno dell’area dei favorevoli, gli intervistati che si sono dichiarati‘molto d’accordo’ rappresentano il 27,8%, mentre il gruppo più nutrito(41,3%) è tra coloro che si dichiarano d’accordo.

Fig. 2: accordo al contributo italiano alla Forza di Reazione europea

Un’analisi più approfondita sull’articolazione interna del sostegno allaForza di Reazione Rapida fa risaltare alcune interessanti differenze.

Molto d'accordo

Abbastanza

d'accordo

Poco d'accordo

Disaccordo

Nessuna

opinione

D'accordo

0 10 20 30 40 50

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Innanzitutto le donne si presentano un po’ meno entusiaste al riguardo,sia nel complesso – con un’area totale di consenso dell’87% contro l’89,2 de-gli uomini – sia per quanto riguarda la qualità del consenso. Sulla modalità dirisposta ‘molto d’accordo’ si trova il 32,6% degli uomini – contro il 23,4%delle donne. In effetti l’influenza del genere sembra agire insinuando una sor-ta di lieve diffidenza per ogni impresa militare che permane sia pure in un am-bito fortemente sostenuto come quello europeo.

L’articolazione per classi di età rende meno evidenti le differenziazioniche fanno comunque registrare un atteggiamento più europeista nelle classi dietà più avanzate.

L’autocollocazione in un’area politica fa registrare alcune differenze piùinteressanti: a) innanzitutto si profila una posizione di maggiore favore negli intervistati di

centro, sia nel complesso (83,5%), sia all’interno nell’area della modalità‘sono d’accordo’ (con il 35,2% di ‘molto d’accordo’);

b) si conferma la diffidenza di parte della sinistra verso lo strumento milita-re, anche quando si dispiega in dimensioni europee di cui la sinistra in que-sto momento storico, come si è visto, è fortemente sostenitrice;

c) risalta nuovamente la maggiore fiducia della destra nello strumento milita-re come mezzo per rafforzare la sicurezza collettiva e quella italiana in par-ticolare, fiducia che sostiene in questo caso l’impegno in Europa, portan-do a superare quella certa diffidenza talvolta riscontrata negli appartenen-ti a questa area politica.

Forza di Reazione Rapida europea e NATO

Tra i nodi da sciogliere per il pieno raggiungimento degli ‘Helsinki Head-line Goals’, cioè degli obiettivi principali di Helsinki, uno dei più importantisul piano politico resta quello dei rapporti tra la Forza di Reazione Rapida ela NATO. Infatti la coscienza e la determinazione politica per una difesa e si-curezza comuni quale necessità per gli Europei mette in campo il grado di au-tonomia di cui questa nuova dimensione militare europea potrebbe o dovreb-be godere. In questo senso è significativa la dichiarazione del dicembre 1999dell’allora segretario di Stato statunitense Madeleine Albright, divenuta notacome la dichiarazione delle tre D: decupling, duplication and descrimination.Secondo questa tesi lo sviluppo di una dimensione europea della difesa, pernon tradursi in un pericolo per l’Alleanza, ma invece per rinforzarne l’effica-cia, avrebbe dovuto rapportarsi al rispetto di tre condizioni fondamentali:

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completare, piuttosto che duplicare, le istituzioni e gli strumenti della NATO;essere collegata, piuttosto che scollata, rispetto alle relative strutture; assicu-rare una partecipazione attiva e paritaria di tutti gli alleati europei, senza di-scriminazioni per quelli che non sono membri dell’Unione.

Al momento della stesura del questionario e della rilevazione dei dati, nonsi era ancora tenuto il vertice della NATO di Praga che ha sancito la forma-zione di una Forza di Reazione Rapida anche in ambito NATO a partire dal2004. L’evento sembra segnalare una certa tensione e preoccupazione da par-te dell’alleato d’oltre oceano per lo sviluppo di una eventuale, sia pure parzia-le, dimensione militare europea autonoma e quindi rende ancora maggiorel’interesse per la domanda che pone agli intervistati il problema degli equili-bri tra la costituenda Forza e la NATO.

La domanda, come si diceva, non ha potuto operare un confronto tra ledue Forze di Reazione Rapida ed è quindi restata a livello più generale; inol-tre ha inteso semplificare la problematica, chiedendo agli intervistati il loro pa-rere circa l’importanza che avrebbero voluto attribuire alla FRRE nei confron-ti della NATO. Facendo riferimento ad un termine piuttosto generico, comequello di importanza, la domanda ha teso a sfumare la tecnicità delle possibi-li opzioni verso la rilevazione di un orientamento di fondo favorevole a tre di-verse soluzioni. Una prima era per il mantenimento dello status quo pluride-cennale di un sistema euroatlantico integrato e gerarchizzato, con al vertice laleadership statunitense; la seconda per la definizione di una policy di difesa eu-ropea come ‘tessera’ di un complesso mosaico nella riorganizzazione del qua-dro gerarchico dell’egemonia americana nella NATO, tessera in grado di svol-gere operazioni di supporto alla pace in maniera autonoma; la terza infine peruna Forza di Reazione Rapida europea come espressione politico-militare di-versa e in grado di differenziarsi dalle scelte geostrategiche degli Stati Uniti.

Come illustra graficamente la figura 3 nell’insieme i risultati della ricercahanno visto convergere la maggioranza degli intervistati (52,8%) sull’indica-zione ‘considerata importante quanto la NATO’, mentre coloro che la vorreb-bero ‘considerata più importante della NATO’ (17%) sono solo di qualchepunto percentuale superiori a chi preferirebbe fosse ‘considerata meno impor-tante della NATO’ (14,4%). Rilevante per questa risposta è il gruppo di colo-ro che hanno dichiarato di non avere opinioni al riguardo (15,4%).

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Anche i risultati di questa domanda, coerentemente con l’insieme delleopinioni emerse dalla ricerca, attestano la forte propensione europeista degliItaliani; più di 5 intervistati su 10 infatti vorrebbero che l’importanza dellaForza di Reazione Rapida europea fosse pari a quella della NATO. Conside-rato la limitatezza dello spettro di azioni della prima e l’incredibile spropor-zione di potenzialità tra le due, l’indicazione va letta come auspicio di pari di-gnità, di autonomia e di emancipazione da ogni forma di tutela americana.Sembrerebbe quindi che, seppure limitata nei compiti e nelle capacità, la For-za di Reazione Rapida europea dovrebbe, nei desideri di molti Italiani, esserela prima, iniziale espressione di una reale autonoma identità europea di sicu-rezza e difesa.

Vediamo ora alcune articolazioni della risposta secondo il genere, le clas-si di età e l’opinione politica.

110

0 10 20 30 40 50 60

Più importante

della NATO

Importante come

la NATO

Importante meno

della NATO

Nessuna opinione

Fig. 3: Importanza FREE versus NATO

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La figura 4 rappresenta graficamente una linea di tendenza che vede ledonne più propense alle posizioni ugualitarie; se però il dato viene letto nelcomplesso – e cioè anche in considerazione della più alta inclinazione di ‘nes-suna opinione’ – si potrebbe avanzare l’ipotesi di una maggiore incertezza digenere che porta a non prendere posizione, per cui l’indicazione di uguaglian-za apparirebbe fortemente connotata da un atteggiamento prudenziale. Gliuomini, infatti, hanno preso con una certa maggiore frequenza le posizioni afavore di una maggiore o minore importanza.

Per le diverse classi di età è possibile riscontrare un favore percentual-mente più alto per una posizione di maggiore importanza da attribuire allaForza europea da parte degli ‘over 40’, con un atteggiamento speculare rispet-to alla NATO da parte dei più giovani.

L’articolazione secondo l’appartenenza politica conferma quanto giàemerso da altre domande del questionario, cioè che l’europeismo della sini-stra è anche, sia pure solo in parte, connotato da significati ‘anti-americani’,nel senso che viene auspicata la via europea come percorso di affrancamentoe di autonomia. L’area di destra si connota come quella in cui vengono espres-

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Più della

Nato

Quanto la

Nato

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Nato

Nessuna

opinione

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Fig. 4: FREE versus NATO secondo il genere

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se con più frequenza opinioni favorevoli alla NATO. Altro elemento già se-gnalato, ma che ritorna in questa domanda, è la tendenza di quanti hanno af-fermato di non appartenere a nessuna area politica a non esprimere la propriaopinione.

Cooperazione o integrazione? Modelli a confronto

La costruzione di una politica di sicurezza e difesa necessita di uno stru-mento militare che ne supporti adeguatamente le scelte. Una serie di doman-de del questionario ha teso ad analizzare quale potesse essere, nelle prefigura-zioni degli intervistati, l’immagine di un’Europa futura integrata anche mili-tarmente, chiedendo sia la personale preferenza su una tipologia di modelli dicooperazione o di integrazione delle istituzioni militari, sia la valutazione del-l’impatto di un’ipotetica Forza Armata europea su alcune dimensioni del si-stema socio politico europeo considerato nel suo insieme; infine, attraversol’utilizzo di alcune immagini, si è cercato di comprendere la rappresentazionedelle future (eventuali) Forze Armate europee. Lo scopo di questo set di do-mande è stato quello di tentare la delineazione di un profilo dell’Europa con

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Più della

Nato

Quanto la

Nato

Meno della

Nato

Nessuna

opinione

15-40 anni

Più di 40 anni

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Fig. 5: FREE versus NATO secondo la classe d’età

© Rubbettino

uno strumento militare comune. In altri termini, un’Europa dotata di ForzeArmate proprie cambierebbe alcune sue fondamentali dimensioni interne edesterne? Quale identità e quale profilo viene attribuito nell’immaginario col-lettivo ad eventuali Forze Armate europee?

Come si è visto nella prima parte del volume (vedi saggio di Antonelli) laconvinzione che sia auspicabile una maggiore integrazione nel campo dellepolitiche istituzionali di sicurezza e di difesa si è però accompagnata con unamaggiore problematizzazione rispetto alla costituzione di un’unica forza ar-mata. A ciò va aggiunto che il campione ha espresso nel complesso un interes-se maggiore per le politiche comuni tese a tutelare il benessere interno dellepopolazioni (occupazione, salute, ambiente) e una minore disponibilità a so-stenere un ruolo internazionale proattivo per l’Unione, anche se non è mai ri-sultato scarso l’appoggio alle dimensioni di mediazione e di pacificazione, af-fidate però per lo più a strumenti dialogici e cooperativi.

Passiamo ora ad analizzare singolarmente le diverse domande.

Nuove forme di cooperazione militare

La domanda‘Guardando al futuro che tipo di Forze Armate preferireb-be?’ ha cercato di far emergere il modello di cooperazione militare a livello eu-ropeo più gradito agli Italiani, presentando una serie di items mutuamenteesclusivi.

Il valore più elevato, 44,4%, è stato in questo caso raggiunto dalla solu-zione di una Forza di Reazione Rapida permanente che si affianchi alle ForzeArmate nazionali; segue con il 25,5% la preferenza per una forza armata uni-ca, integrata. Questa ultima indicazione è inferiore di circa quattro punti al-l’indicazione di ‘totalmente d’accordo’ data alla domanda 1.2 sulle politicheistituzionali dell’Unione dove si chiedeva di esprimere il proprio grado di ac-cordo anche sull’affermazione ‘l’Unione Europea dovrebbe avere una solaForza Armata’. La differenza, non del tutto irrilevante, si spiega sia per unasorta di ‘trascinamento’ subito a causa delle altre politiche istituzionali chehanno riscosso livelli elevati di accordo, sia perché, solo trovandosi di frontead opzioni più numerose, come nel caso della domanda che prevedeva persi-no la possibilità di indicare l’opzione ‘nessuna Forza Armata’, gli intervistatihanno potuto articolare meglio la loro risposta, adattandola alle personali pre-ferenze.

La soluzione di Forze Armate nazionali e una Forza di Reazione Rapidaeuropea creata di volta in volta è risultata un’opzione sicuramente minoritariacon solo il 16,9% di indicazioni; a volere solo Forze Armate nazionali sono il

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2,5% dei rispondenti, mentre una quota non proprio irrilevante, 7,3%, espri-me l’opinione di non volerne nessuna. Il 2,9% del campione non esprime opi-nioni al riguardo.

In sintesi solo 1 intervistato su 4 è disposto rinunciare alle Forze Armatenazionali; per la politica militare dell’Unione in gran parte viene auspicato ildoppio binario Forze Armate nazionali e Forza di Reazione Rapida europeapermanente, con l’intento di utilizzare le prime per i tradizionali compiti di di-fesa del territorio e per i problemi di sicurezza interna e la seconda per gli im-pieghi nei teatri di crisi. Questa soluzione potrebbe sembrare in un certo con-trasto con quanto emerso circa le indicazioni dei livelli operativi per la tuteladei rischi, indicazioni per le quali il sistema Italia è risultato il meno affidabi-le (vedi saggio di Zaretti). Si tratta però di dimensioni diverse e comunque nonpregiudicano la volontà degli intervistati di mantenere le proprie Forze Arma-te, nonostante affiorino criticità e ambivalenze al riguardo.

Una disaggregazione per genere, area politica di appartenenza e classi dietà fa risaltare alcune interessanti differenziazioni.

0 20 40 60 80 100

Una sola F.A.

Europea

Una FRRE e

Forze Nazionali

Forze Nazionali

e FRRE ad hoc

Solo F.A.

Nazionali

Nessuna Forza

Armata

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Fig. 6: le future Forze Armate

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Le donne per esempio sono meno favorevoli ad una delega totale e incli-nano verso una cessione di sovranità limitata; ovviamente questi scarti percen-tuali non sono vistosi (per esempio la Forza Armata europea integrata è scel-ta dal 26,8% degli uomini e dal 24,8% delle donne, mentre queste ultime scel-gono l’opzione Forze nazionali e una Forza di Reazione Rapida europea crea-ta di volta in volta per il 18,1% contro il 15,85 degli uomini), ma confermanoun dato già emerso e segnalato. Si tratta, in questo ultimo caso, delle opinionicirca i meccanismi decisionali per l’invio delle truppe all’estero dove le don-ne, come si è visto, sono disposte a cedere sovranità molto meno degli uomi-ni. Il timore prevalente appare sempre quello che la complessificazione e l’e-stensione delle catene decisionali possano diluire la responsabilità fino a farlascomparire.

La figura 7 illustra graficamente i risultati ottenuti.

L’analisi delle risposte ottenute nelle diverse aree politiche di appartenen-za permette la formulazione di ulteriori interessanti osservazioni. Innanzitut-to viene nuovamente in luce la presenza nell’area della sinistra di una frazio-ne non irrilevante (in questo caso 12,9%) totalmente contraria ad ogni tipo di

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Una sola

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Europea

Una FRRE

e Forze

Nazionali

Forze Naz.

e FRRE ad

hoc

Solo FA

Nazionali

Nessuna

Forza

Armata

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Fig. 7: le future Forze Armate secondo il genere

© Rubbettino

Forza Armata; il confronto con l’area di destra mette in luce una posizionespeculare: per questa parte del campione solo lo 0,8% si è espresso per ‘nes-suna Forza Armata’.

Il maggior europeismo della sinistra in questa domanda appare molto piùsfumato, con la prima opzione, quella cioè con una unica Forza Armata cheottiene il 29,3% di favori a fronte del 28,6% del centro, il 22,3 per ‘nessunaarea politica’, e il 22,1% della destra.

Per quanto riguarda la differenziazione per classi di età appare evidenteil già segnalato maggiore europeismo idealistico da parte di chi ha più di 40anni, mentre per l’opzione contraria ad ogni tipo di Forza Armata non si se-gnalano differenze significative. Come per altre risposte l’età sembra influen-zare scarsamente rispetto a variabili come il sesso e l’appartenenza politica chesvolgono invece una influenza più rilevante.

L’Europa con un’unica Forza Armata

Per approfondire l’analisi della valutazione dell’impatto di un’ipoteticaForza Armata europea su alcune dimensioni del sistema socio politico euro-peo considerato nel suo insieme è stata inserita nel questionario una doman-da (Una Forza Armata Europea renderebbe l’Europa) che chiedeva agli in-tervistati di posizionarsi in uno spazio delimitato da due opposti aggettivi econ al centro una posizione di indifferenza. A seconda della posizione sceltal’intervistato esprime la sua opinione sulla dimensione indagata.

Per questa rilevazione è stata infatti utilizzata una particolare tecnica ildifferenziale semantico, che attraverso coppie di aggettivi contrapposti cercadi delineare una fisionomia dell’immagine. È così possibile cogliere prefigura-zioni e aspettative che sicuramente orientano opinioni, valutazioni e scelte; co-sì per esempio se coloro che sono preoccupati per la sicurezza ritengono cheuna Forza Armata integrata renderebbe più sicura l’Europa e quindi l’Italia èprobabile che si esprimano e sostengano questa scelta in base a queste moti-vazioni. Il differenziale semantico senza porre una domanda diretta aiuta adorientarsi circa le immagini che sottostanno alle opinioni.

Il differenziale semantico del nostro questionario ha inteso verificare l’o-pinione degli intervistati sulle dimensioni della sicurezza (aggettivi: sicura-ri-schiosa e stabile-precaria) della potenza (aggettivi: potente-debole e aggressi-va-non aggressiva) e dell’autoreferenzialità (aggettivi: aperta-chiusa).

La tabella 5 illustra i risultati ottenuti.

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Tab. 5: immagine dell’Europa integrata militarmente

In sintesi una Forza Armata europea, secondo i nostri intervistati, rende-rebbe l’Europa soprattutto più sicura, poi più stabile e solo infine più poten-te. Sicuramente quasi per tutti non più chiusa, ma soprattutto, occorre sotto-linearlo, non aggressiva. Su questa dimensione valoriale infatti il secondo ag-gettivo (non aggressiva) è maggiormente indicato del primo. Nell’immagina-rio degli intervistati la potenza che sicuramente acquisterebbe l’Europa conuna Forza Armata unificata non cambierebbe il tipo di atteggiamento in poli-tica estera, incline al negoziato, alla mediazione, al dialogo. L’Europa, anchese dotata di uno strumento militare suo proprio, mantiene il profilo di poten-za pacifica, il cui ruolo a livello internazionale è esclusivamente quello di pro-muovere la pace e lo sviluppo. Inoltre, è interessante notare come tra gli effet-ti maggiori la stabilità venga messa al secondo posto, subito dopo la sicurez-za, con una forte sottolineatura sul fatto che lo strumento militare comune èun passo importante verso un rafforzamento dell’Unione.

Ancora una volta va sottolineata la coerenza e la riflessività del campione:gli intervistati hanno mostrato di saper discernere con adeguatezza tra le di-verse opzioni e di scegliere sempre in base ad un criterio guida mai casuale.

Le Forze Armate europee: immagini a confronto

Un ulteriore approfondimento di analisi sulle aspettative e sulle proiezio-ni ideali riguardo alle future Forze Armate europee è stato possibile grazie al-la domanda ‘Se pensa alle Forze Armate europee, quali delle seguenti imma-

1° aggettivo % Valore centrale % 2° aggettivo %

Potente/debole 49,3 44,4 2,3

Aggressiva/non aggressiva 16,6 51,1 27,9

Sicura/rischiosa 62,5 28,1 6,0

Stabile/precaria 56,4 34,8 4,8

Aperta/chiusa 40,0 45,8 9,9

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gini userebbe per raffigurarle?’ che chiedeva di scegliere tra cinque differen-ti immagini cariche di valore simbolico. Il fine è stato quello di assumere, at-traverso una rappresentazione di sintesi, il tipo di identità che veniva ad esseattribuita e quindi, conseguentemente, le relative missions.

Le immagini da utilizzare come metafore per definire le future Forze Ar-mate europee sono state articolate in diverse dimensioni; sollecitavano asso-ciazioni sia positive, sia negative, sia di potenza, sia di debolezza, sia di tradi-zione, sia di innovazione e sono state più o meno incentrate su valori tipica-mente ‘guerrieri’. Come nel caso delle altre domande basate sull’utilizzo del-le metafore, la definizione delle metafore è stata effettuata sulla base delle in-terviste in profondità e dei risultati dei focus.

L’immagine più tradizionale di potenza positiva (nobile cavaliere) èquella che viene maggiormente indicata dagli intervistati, 34,1%; essa attri-buisce alla Forza Armata europea il ruolo di un difensore di ideali che si ispi-ra ad un codice di valori e di protettore dei deboli. Segue un’altra immagi-ne positiva (tecno-guerriero, 27,4%) che però sottolinea gli aspetti di com-

0 5 10 15 20 25 30 35 40

Nobile Cavaliere

Killer spietato

Mago saggio

Tecno guerriero

Mendicante

infermo

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Fig. 8: immagini delle Forze Armate Europee

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mistione tra un’identità nuovamente tradizionale (guerriero) e l’efficienzatecnologica tipica delle trasformazioni subite dall’arte della guerra. Al terzoposto, con il 19,5%, troviamo ancora una raffigurazione positiva (mago sag-gio) – ma questa volta priva dell’idea di potenza militare, presente invece siapure con significati differenti nelle due prime immagini – indicativa di unpotere attribuibile alla forza del pensiero e della conoscenza e al prestigioche ne deriva. Le due immagini più negative sia di potenza (killer spietato,5,3%) che di debolezza (mendicante infermo, 4,6%) sono risultate netta-mente minoritarie.

In sintesi, sia pure nelle diverse sfumature, sono state scelte immagini pre-valentemente positive, ad ulteriore conferma delle speranze e dell’ottimismocon cui il campione si orienta nei confronti dell’Europa.

La domanda seguente che chiedeva di motivare la scelta ha visto gli in-tervistati sottolineare, specialmente per la prima indicazione, ma non soltan-to per essa, speranze e aspettative (‘perché spero si comportino con onore’;‘vorrei che fossero come i cavalieri della leggenda … senza macchia e senzapaura!’; ‘perché come i nobili cavalieri dovrebbero difendere i deboli gli op-pressi’; ‘perché credo che saranno efficaci … o almeno lo spero!’; ‘perchévorrei che operassero come un vecchio mago saggio’; ‘la vecchia Europa hamolto da insegnare al mondo, soprattutto come si superano i contrasti!’).

In effetti più che presentare valutazioni basate su aspettative formulate inmaniera più o meno realistica e orientate alle problematiche dell’Unione o del-la politica internazionale, per questa domanda gli intervistati hanno dato vo-ce alla manifestazione delle proprie speranze. Appare ancora una volta chiarocome gli Italiani si indirizzino all’idea di difesa in campo europeo e all’Euro-pa della difesa e della sicurezza prevalentemente con molto idealismo e conun’immagine assolutamente pacifica dell’Unione che viene raffigurata comeincline ad usare strumenti di potere soft come le pressioni diplomatiche e in-diretti come la cooperazione allo sviluppo e gli accordi anche commerciali.Questo atteggiamento influenza anche il modo di concepire l’utilizzo che l’U-nione Europea potrebbe effettuare dello strumento militare.

Passiamo ora ad esaminare alcune differenziazioni all’interno del cam-pione.

Come per le altre domande anche per l’immaginario della futura difesacomune i più giovani appaiono più realisti (in questo caso si potrebbe dire piùpessimisti) rispetto alle Forze Armate europee ed indicano le due immagininegative con una frequenza percentualmente maggiore, sia pure con scarti nonparticolarmente rilevanti (per il killer spietato 7,6% contro il 3,4% dei più an-ziani e per il mendicante infermo 5,6% contro il 4,2).

119© Rubbettino

Il genere fa risaltare differenze poco significative, nel senso che all’internodelle due immagini attive e positive il tecno-guerriero è più indicato dalle don-ne rispetto agli uomini che prediligono la figura del nobile cavaliere, probabil-mente anche per effetto di processi di identificazione. Mendicante e killer ve-dono differenze minime (con rispettivamente il 4,7% dei maschi e il 4,9% del-le femmine per il primo e il 5,8% dei maschi e il 5,2% delle femmine per il se-condo) con una lieve preferenza delle donne per l’immagine di debolezza. Ilmago saggio viene indicato con più frequenza dalle intervistate 21% contro il19,7%; in sintesi, come si diceva, dall’insieme dei risultati non appare chiarauna linea di tendenza rispetto al genere che possa presentarsi rilevante.

Completamente diversa si configura invece la disaggregazione per areepolitiche che si conferma nuovamente come significativo elemento di orienta-mento delle opinioni e delle valutazioni e che fa risaltare nelle risposte un an-damento coerente con i dati emersi in tutta la ricerca.

Innanzitutto risalta l’ottimismo e la fiducia diffusa nel gruppo dei rispon-denti moderati di centro, ottimismo e fiducia che sono testimoniati dalla più al-ta indicazione per l’immagine del nobile cavaliere (42,2%) e per le più basseverso le due immagini negative (killer spietato 2,2% e mendicante infermo1,1%). La destra fa risultare i suoi picchi nelle dimensioni positive e attive conpercentuali quasi simili per il nobile cavaliere (33,9%) e per il tecno-guerriero

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15-40 anni

più 40 anni

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Fig. 9: immagini delle Forze Armate Europee secondo la classe d’età

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(33,1%); in questa area politica si riscontrano per questa ultima modalità le fre-quenze più elevate del campione, con una chiara conferma del maggiore ap-prezzamento del ‘militare’ anche nei suoi aspetti di combattente. Il minore eu-ropeismo risulta confermato dall’indicazione più alta della media del campio-ne (5,7% contro il 4,6%) per la voce ‘mendicante infermo’. La sinistra riaffer-ma da un lato la sua visione più negativa del ‘militare’, con le percentuali piùalte del campione sulle due dimensioni negative (killer spietato e mendicante)che raggiungono entrambe il 6,2%, e dall’altro un maggiore idealismo che lavede seconda con il 35,9% per la scelta dell’immagine del nobile cavaliere.

Forze Armate italiane e Forze Armate europee: alcune considerazioni con-clusive

Nel complesso anche da questa parte della ricerca sono emersi risultati disignificativo interesse. Innanzitutto va segnalata una certa ambivalenza riscon-trabile in gran parte del campione unitamente alla presenza di linee di tenden-za piuttosto ben delineate.

Fig. 10: immagini Forze Armate Europee secondo il genere

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Maschi

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Fig. 10: immagini delle Forze Armate Europee secondo il genere

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Tra queste ultime emerge con chiarezza che le Forze Armate italiane han-no superato quell’invisibilità che le ha a lungo caratterizzate durante il perio-do della Guerra Fredda, come effetto della combinazione da una parte delladiffidenza della società civile e dall’altra della chiusura del mondo militare. L’i-solamento che ne è scaturito ha però di fatto privato la Forze Armate di unaprofonda connessione organica con la società e le ha separate anche sul pianosimbolico e rituale, rendendo difficile una reale comprensione reciproca.

Sfumate molte delle cause esterne che rendevano difficile il rapporto, nelcorso degli anni novanta le Forze Armate italiane hanno sperimentato un pro-gressivo ampliamento dei loro compiti e una profonda riorganizzazione; ciòha contribuito a far elaborare e diffondere nell’opinione pubblica una nuovaimmagine del militare, come professionista e come organizzazione. Le ottimeprove fornite sul campo nelle missioni di pace e nelle attività di ordine pub-blico in concorso con le Forze di polizia hanno contribuito a dissolvere i timo-ri di autoritarismo e la scarsa sfiducia nello strumento militare, dissolvendo glistereotipi legati all’idea di un burocratismo esasperato e di inefficienza. L’or-ganizzazione militare italiana gode oggi di sicuro apprezzamento presso l’opi-nione pubblica del nostro paese, anche se manca una matura consapevolezzache, nell’attuale situazione, politica, economica e geostrategica, le Forze Ar-mate, al pari di tutte le altre istituzioni, contribuiscono alla stabilità, al benes-sere, al prestigio e alla sicurezza di un paese, in modo diretto e indiretto, e inquesta maniera hanno un notevole impatto sulla vita dei cittadini.

L’ambivalenza di cui si diceva si manifesta invece nel fatto che l’operatodelle Forze Armate ha conosciuto sì un aumento di consenso e di legittimazio-ne sociale, ma ciò è avvenuto da una parte su un’immagine piuttosto sbilan-ciata su alcuni aspetti (i militari sono apprezzati essenzialmente come opera-tori dell’emergenza, umanitari e come forze di pace) e dall’altra circoscriven-done i ruoli, arrivando a sottovalutarne persino quelle funzioni che, per esse-re meramente simboliche, non potrebbero implicare un diretto collegamentocon dimensioni aggressive. Si pensi alla problematicità con cui nell’area dellasinistra, ma non solo, ci si è posti rispetto all’affermazione che le Forze Arma-te sono garanzia e simbolo dell’unità nazionale, problematicità che attesta lapermanenza dei segni della lunga frattura tra una consistente parte del Paesee le sue Forze Armate; questa frattura che, come si diceva, risale ai tempi del-la Guerra Fredda – quando l’istituzione militare da una parte della cittadinan-za era vista come l’espressione di un blocco ostile – sebbene per molti aspettiè stata superata, non appare del tutto sanata.

Rispetto a molte posizioni e opinioni, come si è già evidenziato nelle par-ti prima e seconda del volume, si registra la sostanziale tenuta dell’asse

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destra/sinistra che anzi sembra trovare rinnovato vigore sulle tematiche piùprettamente legate al ‘militare’ e alla sicurezza. Il dato ovviamente risente del-la scarsa attenzione e approfondimento a livello di coscienza collettiva sullesuddette tematiche che risultano così affidate ad interpretazioni ideologiche ea forme di pensiero spesso stereotipate.

In sintesi l’area politica orienta significativamente le opinioni nel sensoche: a) nell’area di sinistra si produce una sorta di svuotamento delle funzioni at-

tribuibili alle Forze Armate, con un andamento che assume incidenza mag-giore quanto più ci si allontana dal tradizionale compito di difesa della Pa-tria, inteso in modo statico-passivo;

b) nell’area di destra invece, oltre al sostegno per una diffusa attribuzione diruoli alle Forze Armate, e quindi al relativo riconoscimento quale istituzio-ne fondamentale per la vita del Paese, si evidenzia la più alta percentualedi coloro che attribuiscono ad esse capacità di tutela della libertà e dellademocrazia.Si tratta della diversa distanza rispetto all’istituzione militare prodotta da

forme abitudinarie di pensiero e da differenti posizioni nei riguardi di scottan-ti questioni di politica internazionale. Gli intervistati che si sono definiti di de-stra sono più propensi a pensare che le nostre democrazie possano essere mes-se in crisi da attacchi destabilizzanti internazionali e che le Forze Armate quin-di siano necessario scudo per libertà e democrazia; coloro che si sono dichia-rati appartenenti all’area della sinistra sono inclini maggiormente verso stru-menti di tutela per la pace e la stabilità non militari e temono che Forze Ar-mate troppo presenti incidano sul clima democratico interno del Paese. Vor-rebbero per esse un ruolo passivo, in una sorta di ‘assicurazione’ per la sola di-fesa del territorio, oltre ovviamente i compiti umanitari. Purtroppo affiora ildubbio che entrambe le posizioni risultino talvolta elaborate sotto la pregiu-diziale del filo o anti-atlantismo. Per alcuni aspetti l’opinione pubblica italia-na sembrerebbe, ad una prima analisi, non aver fatto molti passi avanti rispet-to al periodo della Guerra Fredda durante il quale le posizioni rispetto alle no-stre Forze Armate si orientavano non tanto in base a dimensioni interne, macon ad unico referente la politica internazionale. D’altra parte appare com-prensibile che le opinioni/ valutazioni sulle Forze Armate siano politicizzate erisentano del clima politico internazionale, a maggior ragione nei paesi comeil nostro che devono ancora del tutto superare un deficit storico di identifica-zione con le istituzioni pubbliche.

Nonostante la differenziazione risultante dall’influenza dei diversi atteg-giamenti politici, esiste però una gran parte del campione che trasversalmen-

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te condivide opinioni e immagini sul militare. Tra queste opinioni la più dif-fusa è quella che riconosce alle Forze Armate nazionali il compito principaledi difesa dell’integrità del territorio e di tutela della popolazione; di qui la dif-ficoltà a delegare questa missione alla dimensione europea. L’altra opinionefortemente trasversale e condivisa è quella che, come strumento di politicaestera, vuole per le Forze Armate un ruolo di operatori di pace.

Passando alle forme di cooperazione in ambito europeo, l’area del con-senso alla Forza di Reazione Rapida europea è ampio, a chiaro riflesso dell’e-levato livello delle aspettative che gli Italiani ripongono nei progetti e nelle di-mensioni europei. Al riguardo va ricordata la posizione di maggiore favore de-gli intervistati di centro, mentre permane una certa diffidenza della sinistraverso lo strumento militare anche quando si dispiega in dimensioni europee.La fiducia della destra nello strumento militare come mezzo per rafforzare lasicurezza collettiva e quella italiana in particolare, sostiene in questo caso l’im-pegno in Europa, portando a superare quella certa diffidenza verso elevati li-velli di integrazione europea talvolta riscontrata in questa area politica.

Non solo la creazione di una Forza di Reazione Rapida ma anche l’idea diun’Europa integrata militarmente trova molti e diffusi consensi, dal momen-to che una Forza Armata europea secondo i nostri intervistati renderebbel’Europa più sicura, stabile, potente, ma anche, occorre sottolinearlo, non ag-gressiva. L’Europa, anche unificata militarmente, viene vista mantenere il suoprofilo di potenza pacifica; questa dimensione è vissuta come molto rassicu-rante e sostiene il consenso all’Unione.

In sintesi l’europeismo degli Italiani, nutrito di fiducia nella dimensionedella sicurezza comune, si traduce anche in sostegno ai progetti di unificazio-ne militare, nella diffusa convinzione della vocazione pacifica dell’Unione edell’importanza di sedi decisionali multilaterali. Gli Italiani si indirizzano al-l’idea di difesa in campo europeo e all’Europa della difesa e della sicurezza an-che con molto idealismo e con un’immagine assolutamente positiva dell’Unio-ne che viene raffigurata come incline in politica estera ad usare strumenti dipotere soft come le pressioni diplomatiche e indiretti come la cooperazione al-lo sviluppo e gli accordi anche commerciali. Attraverso questa immagine del-l’Europa molti intervistati si sentono rassicurati sia nella dimensione della si-curezza (anche personale) sia nella tutela dei valori di solidarietà e di pacificaconvivenza che appaiono trasversalmente diffusi nel campione.

In nessuna tipologia di atteggiamenti ed opinioni rilevati, l’Italia e le For-ze Armate italiane risultano sminuite, ma anzi sembrano assumere un signifi-cato aggiuntivo nella dimensione europea transnazionale.

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Capitolo quarto

La Difesa Comune Europea: informazionee opinione pubblicaGiulia Aubry

Informazione e conoscenza: la costruzione sociale della realtà

Il ruolo dei mezzi di informazione nel contribuire alla costruzione socia-le della realtà è uno degli elementi teorici condivisi da tutti i principali mediastudies (per esempio, Mc Luhan 1968, Goffman 1997, Mattelart 1998, Wolf1992, Dahrendorf 1990, Luhmann 2000). Per questo una ricerca sull’opinio-ne pubblica non può non tener conto di “quanto, come e dove” i principalimezzi di comunicazione abbiano trattato l’issue attorno alla quale si articola.

Ciò è tanto più vero quando al centro della stessa viene posta una realtàsociale, come può essere quella di una Forza Armata europea, che sfugge alladiretta e immediata esperienza personale dei soggetti intervistati. In situazio-ni di questo tipo, infatti, i mezzi di comunicazione assumono un vero e pro-prio “monopolio come fonti facilmente accessibili di conoscenza” (Wolf 1992:122), confermando così che “ciò che sappiamo della nostra società, e in gene-rale del mondo in cui viviamo, lo sappiamo dai mass media” (Luhmann 2000:15). Per questo si è ritenuto importante accompagnare la ricerca sull’opinio-ne pubblica – condotta attraverso questionari, interviste approfondite e focusgroup –, con una indagine parallela, all’interno dei mezzi di comunicazione piùdiffusi, per comprendere il tipo di informazioni da essi fornita, e per analizza-re l’impatto che queste possono aver avuto sull’audience. Impatto che deve,naturalmente, essere valutato in considerazione del livello di fruizione che ilcampione intervistato possiede rispetto ai principali media. Per questo moti-vo diviene importante non soltanto sapere ciò che è stato detto ma, soprattut-to, se e quanto di ciò che è stato detto è arrivato agli intervistati attraverso icanali informativi più tradizionali dei telegiornali e dei quotidiani.

È però evidente che ridurre l’analisi dell’informazione a una equivalenzatout-court tra contenuti dei media e sistemi di rappresentazione degli indivi-dui, significa abbracciare completamente la tesi dei sostenitori della teoria ipo-dermica, secondo la quale l’opinione pubblica è indifesa dai messaggi che co-

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stituiscono fattori di persuasione. Così facendo si verrebbero a cancellare an-ni di ricerche e di riflessione nello studio della comunicazione di massa, i cuirisultati hanno delineato una sempre maggiore complessità del ruolo svoltodai media nella costruzione sociale della realtà, dal momento che le audiencesmanifestano una “irriducibile soggettività” (Tedeschi 2002: 43).

Proiettando determinate immagini della società e degli eventi i mediahanno, sì, una parte cruciale nelle conoscenze degli spettatori e nella defini-zione del loro stesso immaginario, ma allo stesso tempo guardare la televisio-ne, così come leggere i giornali, ascoltare la radio o navigare in Internet, “nonè un sostituto del vivere in una società civile” (Dahrendorf 1990: 117).

È dunque necessario tener presente le diverse sfere dell’esperienza socia-le, quella diretta delle relazioni interpersonali in cui si articola il nostro viverequotidiano e quella indiretta, mediata dai mezzi di informazione, dove le rela-zioni divengono astratte se non addirittura inesistenti. Perché la nostra imma-gine della realtà sociale si concretizzi in costruzione e conoscenza è dunquenecessario che i due livelli interagiscano in maniera “costante, riflessiva e rou-tinizzata” (Wolf 1992: 117), dal momento che le esperienze personali hannoun senso solo se comprese nella sfera dell’esperienza sociale più ampia e indi-retta, e quest’ultima assume rilevanza solo se ripetutamente rappresentata ne-gli incontri personali, nella vita di tutti i giorni. Affinché una informazione di-venga elemento della costruzione personale della realtà sociale, è così neces-sario che passi attraverso le discussioni di ogni giorno e i confronti dialetticiche si svolgono nelle più ristrette cerchie della famiglia, degli amici, dei colle-ghi e dei semplici conoscenti.

Soltanto tenendo a mente la complessità e la molteplicità che interagisconoe generano gli effetti dei media, è possibile interpretare quanto la presenza, o as-senza di questi ultimi, possa aver pesato sulla conoscenza, la rilevanza e l’atteg-giamento del campione intervistato nei confronti dell’oggetto dell’indagine.

I mezzi di informazione italiani e la Difesa Comune Europea

Per poter valutare il clima informativo all’interno del quale è stata con-dotta la nostra ricerca, è stato svolto uno studio sui due quotidiani italiani amaggiore tiratura, distribuzione e diffusione, «la Repubblica» e il «Corrieredella Sera».

Il periodo scelto per l’analisi della quantità e della qualità dell’informa-zione rispetto alla creazione di una Forza di Reazione Rapida europea, altri-menti definita nei giornali presi in esame “Esercito europeo”, è stato quello

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compreso tra il 20 novembre del 2000 e il 1 settembre 2002. Alla fine del me-se di novembre del 2000, infatti, i mezzi di informazione hanno cominciato ainteressarsi al progetto di riforma delle istituzioni dell’Unione Europea e allastesura di un nuovo trattato (firmato poi a Nizza il 10 marzo 2001), in previ-sione della riunione del Consiglio europeo tenutasi dal 7 al 9 dicembre dellostesso anno e durante la quale sono state affrontate alcune questioni relativealla definizione di una Politica Comune di Sicurezza e Difesa europea.

Ed è proprio il 20 novembre del 2000, a seguito di una riunione prelimi-nare dei ministri della difesa dell’UE a Bruxelles, che i due principali quoti-diani nazionali – utilizzando le stesse parole – hanno annunciato ufficialmen-te: “Nasce l’esercito europeo. Un corpo di centomila uomini”, dedicando al-la notizia, per la prima volta, uno spazio proprio e di dignità pari a quello ri-servato ad articoli relativi a questioni europee generalmente considerate dallastampa italiana più rilevanti, dalla sicurezza alimentare all’allargamento, dallamoneta unica allo sport.

Il 1 settembre del 2002, data scelta come conclusiva nel lavoro di analisidei due quotidiani, coincide con gli ultimi questionari somministrati nell’am-bito della ricerca, e va così a rappresentare l’ultima possibilità da parte dei me-dia italiani di contribuire alla creazione dell’immagine delle Forze Armate eu-ropee nel campione intervistato a riguardo.

Come si può facilmente rilevare dal grafico sopra riportato, i dati quanti-tativi emersi dall’analisi sono molto interessanti in quanto evidenziano l’asso-luta assenza non solo di approfondimenti sulla Politica di Sicurezza e DifesaComune Europea, ma anche delle cosiddette “brevi”, informazioni flash che

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La Repubblica Corriere della Sera

Articoli sull'Unione Europea

Articoli sull'Esercito Europeo

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Fig. 1: confronto articoli UE/Esercito Europeo 20 novembre 2000 - 1 settembre 2002

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avrebbero potuto aggiornare i lettori sullo stato dell’arte della discussione cheha portato al varo del progetto di una Forza di Reazione Rapida Europea com-posta da 60.000 uomini.

Su un totale di 1052 articoli pubblicati su «la Repubblica» e in cui si fa ri-ferimento, – nel titolo e/o nel testo –, a tematiche di carattere europeo, solo35 affrontano, spesso solo con qualche breve accenno, la questione della Sicu-rezza e Difesa Comune.

La percentuale è ancora più significativa per quanto riguarda il «Corrie-re della Sera» dove, su un totale di 2229 articoli, solo 16 contengono riferi-menti e accenni all’Esercito Europeo.

Spesso poi i giornali si occupano dell’argomento Difesa Europea in rela-zione a particolari situazioni di politica interna (come le dimissioni dell’alloraministro degli Esteri Renato Ruggiero dopo l’affaire dell’Airbus europeo e lapolemica sull’europeismo italiano tra il novembre e il dicembre 2001), oppu-re come una delle questioni all’ordine del giorno nel dibattito sulla costituzio-ne unica, oppure in relazione al ruolo dell’Unione nella politica estera inter-nazionale (possibile mediatrice nel conflitto arabo-israeliano, forza autonomanel conflitto in Afghanistan), o, ancora, come supporto alla Protezione Civilenell’ambito della gestione di emergenze come quelle verificatesi nell’estate2002 nel Nord Europa a seguito delle disastrose alluvioni.

Talvolta si possono trovare riferimenti a un “possibile” progetto comuneper una Politica di Difesa europea all’interno di editoriali di personaggi poli-tici piuttosto attivi sullo scenario dell’Unione, come il presidente della Com-missione europea Romano Prodi e il presidente della Convenzione europeaGiscard d’Estaing, oppure di analisti politici italiani come Sergio Romano.

Per trovare articoli il cui focus sia costruito attorno alla costituzione diuna Forza Armata europea bisogna così tornare al novembre 2000 e alla riu-nione ad hoc dei ministri della difesa dell’Unione a Bruxelles, in occasione del-la quale – come abbiamo già avuto modo di sottolineare – i due principali quo-tidiani italiani (e con loro anche i telegiornali nazionali e altre testate giornali-stiche, sia tradizionali sia elettroniche, di particolare rilievo) hanno dedicatoservizi più ampi alla nascita della Forza di Reazione Rapida europea.

A un’analisi qualitativa più attenta di questi ultimi articoli, però, emergeun altro dato che sembra confermare la scarsa rilevanza che la Politica Comu-ne di Sicurezza e Difesa europea ha per i mass-media italiani, oppure denun-ciare la mancanza di una conoscenza approfondita sull’argomento nell’utiliz-zo di una terminologia non sempre appropriata. Infatti gli autori degli artico-li, nella maggior parte dei casi, si sono serviti della definizione di Esercito eu-ropeo – piuttosto generica e imprecisa – al posto di quella di Forza di Reazio-

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ne Rapida che indica un corpo di 60.000 uomini provenienti dai 15 paesi del-l’Unione e immediatamente disponibili in caso di emergenza, secondo quan-to stabilito a Bruxelles il 20 novembre del 2000.

Una simile analisi svolta negli archivi internet di Rai News 24 e del TG-Com, afferenti rispettivamente ai telegiornali della Rai e di Mediaset, ha inol-tre avvalorato l’ipotesi che, anche nella regolare programmazione delle newsquotidiane, servizi specifici relativi alla Forza di Reazione Rapida europea sia-no stati del tutto assenti o di scarso rilievo. Nei rigidi palinsesti dei notiziari enell’ambito di servizi che non vanno oltre il minuto, l’agenda setting televisivaha così deciso di marginalizzare al massimo le tematiche di Politica Comunedi Sicurezza e Difesa europea.

Mezzi di comunicazione di massa e issues politiche italiane ed europee

Con la domanda ‘Secondo lei in Italia i mezzi di comunicazione di mas-sa quanto sono interessati alle seguenti questioni…?’ intendevamo misurarela percezione del campione intervistato rispetto all’interesse che i principalimezzi di comunicazione, attraverso articoli, servizi e approfondimenti, hannomostrato nei confronti di tematiche di carattere politico a livello italiano edeuropeo.

Vista la natura dell’indagine, l’interesse è stato rivolto principalmente al-la politica estera (suddividendola nelle tre dimensioni: generale, europea e ita-liana) e alla politica di sicurezza e difesa (distinta in italiana ed europea), met-tendole a confronto con le questioni europee relative a tematiche politiche piùampie e con quelle di politica interna italiana.

Dai risultati così ottenuti è immediatamente visibile come gli intervistati ri-tengano che i mezzi di comunicazione siano prevalentemente interessati a que-stioni di politica interna italiana. Il 65,4% del campione ha infatti dichiarato chela stampa e la televisione italiane sono molto interessate ai dibattiti parlamenta-ri, agli scontri tra partiti e coalizioni e ai disegni di legge quando questi hannoluogo nel contesto politico nazionale. Se a questa percentuale si aggiunge il25,9% che li ritiene interessati, si arriva a un 91,3% che permette di considera-re assolutamente ininfluente il restante 8,7%, equamente distribuito tra “indif-ferenti”, “poco interessati”, “per niente interessati” e “nessuna opinione”.

Il 78,5% degli intervistati ritiene, poi, che i mezzi di informazione sianomolto interessati (32%) o interessati (46,5%) alle tematiche relative alla poli-tica estera italiana. Seguono a breve distanza le questioni di politica estera ingenerale (73,8% di risposte distribuite tra “molto interessati” e “interessati”),

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le questioni europee (67,4% complessivi) e la politica di sicurezza e difesa ita-liana (65,2% complessivi). È importante sottolineare però che riguardo que-sti ultimi tre item, e come si era già cominciato a evidenziare nella valutazionedell’interesse per la politica estera italiana, il contributo interno alla percen-tuale è decisamente sbilanciato verso l’opzione “interessati”, denotando quin-di una rilevanza sostanzialmente differente rispetto alle tematiche proprie del-la politica interna nazionale.

Se l’interesse dei mezzi di comunicazione italiani è percepito come sem-pre di minor rilievo mano a mano che ci si allontana dalle tematiche naziona-li, il ruolo che le politiche europee nel campo degli affari esteri e della sicurez-za e difesa europea hanno nella stampa e nella televisione, appare agli intervi-stati come decisamente marginale. La percentuale del campione che ritieneche i mezzi di comunicazione di massa siano molto interessati alla Politica diSicurezza e Difesa europea e alla Politica Estera Comune europea scende, in-fatti, rispettivamente al 10,6% e al 10,4%, mentre l’opzione “interessati” è sta-ta scelta dal 32,9% e dal 41,6% degli intervistati. Molto alta, soprattutto seconfrontata con quelle relative agli altri item, la percentuale di intervistati chehanno scelto l’opzione “poco interessati” (25,5% per la Politica di Sicurezzae Difesa europea, 22,6% per la Politica Estera Comune europea) e “per nien-te interessati” (10% e 6,4%).

Va comunque fatto notare che la percezione di un modesto interesse deimedia verso le tematiche proprie dell’Unione Europea comincia a farsi senti-re già nell’analisi dei risultati relativi alle questioni europee da un punto di vi-sta più generale. Già rispetto a questo item, infatti, la percentuale di coloroche hanno scelto l’opzione “molto interessati” scende all’11,1% per poi recu-perare in quella “interessati” scelta dal 56,3% del campione. Tale indicazioneè probabilmente correlata con una forte identificazione, da parte di molti de-gli intervistati, delle questioni europee con le tematiche economiche legate, inparticolare, all’introduzione dell’euro che è stata a lungo al centro dell’interes-se e del dibattito sia sulla carta stampata sia nei servizi della televisione pub-blica e privata.

Appare comunque evidente una disparità di trattamento tra le notizie dicarattere nazionale e quelle di carattere europeo. Tale differenza, come dimo-strato anche dall’analisi dei due principali quotidiani italiani, sembra testimo-niare una scarsa attenzione dei media nei confronti della dimensione politicasovranazionale dell’Unione europea il cui ruolo, proprio a partire dalle issueslegate a economia e sicurezza, sta divenendo sempre più importante per tuttii paesi che ne fanno parte.

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L’informazione sulla costituzione di una Forza Armata europea

Con la domanda ‘Secondo lei l’informazione sulla costituzione di unaForza Armata europea è stata…’ intendevamo misurare la percezione delcampione intervistato rispetto all’informazione fornita dai media e dalle isti-tuzioni pubbliche sulla costituzione di una Forza Armata europea.

Una informazione scarsa o insufficiente è il dato che emerge con maggio-re chiarezza dall’indagine. Il 67,7% degli intervistati, infatti, ritiene di esserestato informato in maniera insufficiente o addirittura scarsa (coloro che han-no scelto questa ultima opzione rappresentano la maggioranza relativa delcampione e si attestano al 34%), il 16,8% in maniera sufficiente, mentre soloil 10,3% considera la quantità e la qualità delle informazioni fornite dai mez-zi di comunicazione buona e appena l’1,9%, percentuale assolutamente inin-fluente ai fini di una costruzione dell’immagine personale e sociale della For-za Armata europea, ottima.

A ulteriore conferma della percezione negativa degli intervistati in rela-zione all’informazione sulla creazione di una Forza Armata europea, va evi-denziato il dato della bassissima percentuale – appena il 3,4% – di coloro chenon hanno espresso opinione in merito. Ciò sembrerebbe dimostrare che, no-nostante dai risultati dell’indagine non emerga un interesse pregresso versouna politica comune di sicurezza e difesa, l’argomento abbia una qualche ri-levanza per le persone intervistate e che, seppure non in maniera esplicita (co-me si vedrà più avanti il 35,5% del campione ha infatti dichiarato di discute-re solo raramente di tematiche relative alla difesa comune europea, mentre il38,4% non lo ha mai fatto), il problema della sicurezza (a livello nazionale, eu-ropeo e mondiale come dimostrano le risposte relative alle domande su “pe-ricoli e minacce”, fortemente influenzate dagli avvenimenti dell’11 settembre2001) è percepito come una priorità nelle esigenze dell’individuo e della so-cietà.

Il dibattito su tematiche europee e politica di difesa europea

Con le domande ‘Discutendo di politica con parenti, amici, colleghi, co-noscenti affronta tematiche europee?’ ‘E in particolare affronta il problemadi una Difesa Comune europea?’ intendevamo analizzare quanto le tematicheeuropee e quelle direttamente connesse alla Difesa Comune in ambito UE sia-no dibattute e, conseguentemente, elaborate all’interno della sfera dell’espe-rienza sociale diretta degli altri e con gli altri.

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Le risposte a queste due domande mostrano chiaramente come le tema-tiche europee non siano considerate delle priorità nelle discussioni quotidia-ne con familiari, amici e colleghi. Il 44,9% degli intervistati ha infatti dichia-rato di discutere “qualche volta” di questioni relative all’Unione Europea, esolo il 17% ha scelto l’opzione “spesso”.

Anche in questo caso, come già nell’analisi dei risultati prodotti dalla do-manda precedente, va sottolineato che molti degli intervistati sono apparsiportati a identificare le tematiche europee con il dibattito, svolto a livello na-zionale e internazionale, sull’entrata in vigore della Moneta Unica. In questosenso i dati riscontrati riguardo la percezione dell’interesse dei media nei con-fronti di questi argomenti (67,4% complessivo tra coloro che hanno sceltol’opzione “molto interessati” e “interessati”) trovano una loro proiezione con-gruente nel 61,9% del campione che ha dichiarato di discutere, almeno inqualche occasione, di tematiche europee.

Analogamente possono essere interpretati i risultati relativi alla discussio-ne su questioni legate alla Politica di Sicurezza e Difesa europea. A fronte diun 43,5% degli intervistati che ha rilevato un interesse medio-alto dei mezzidi informazione nei confronti di tale issue, solo il 26% si è ritrovato a parlar-ne con parenti, amici o colleghi. Ciò sembrerebbe evidenziare che, compliceuna rappresentazione assolutamente marginale delle Forze Armate europeenella sfera indiretta dell’esperienza sociale, il campione intervistato non pos-sedeva, nel periodo di tempo compreso tra l’inizio e la fine dell’indagine, unaimmagine definita o quantomeno elaborata sulla base di informazioni ap-profondite e documentate di tale realtà.

Ciò è tanto più vero se si considera che molti degli intervistatori (sentitinell’ambito di focus group e colloqui immediatamente successivi alla raccoltadei dati) hanno potuto rilevare come lo stesso questionario abbia contribuito,nel suo svolgersi e nel suo divenire, a fornire un’occasione utile per rifletteresulla Politica di Sicurezza e Difesa Comune europea.

Accesso e fruizione a quotidiani e telegiornali

Con le domanda ‘Quante volte a settimana legge un quotidiano?’,‘Quante volte a settimana vede un telegiornale?’ intendevamo misurare il li-vello di esposizione del campione intervistato rispetto all’informazione deiprincipali mezzi di comunicazione italiana.

Le risposte hanno evidenziato come gli intervistati siano particolarmenteinformati, sia attraverso la stampa quotidiana, sia attraverso la televisione.

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Il 35,4% ha infatti dichiarato di leggere almeno un giornale al giorno, etra questi il 17,7% addirittura più di uno. La maggioranza relativa del cam-pione (36,3%) ha poi accesso a un quotidiano più di tre volte alla settimana,una frequenza che può consentire a un lettore medio un discreto approfondi-mento delle tematiche giornalistiche, sia di cronaca sia di politica nazionale edestera. Solo il 7,4% non ha mai occasione di sfogliare un quotidiano, ma diquesti ultimi molti rientrano nella categoria di coloro – il 90,7% del campio-ne totale – che vedono almeno un telegiornale al giorno.

Una simile percentuale può forse apparire in evidente contrasto con letendenze generali della popolazione italiana in relazione alla lettura dellastampa quotidiana. Secondo il “Rapporto sull’industria dei quotidiani in Ita-lia nel 2000” sarebbero infatti 5,9 milioni le copie di giornali vendute in me-dia ogni giorno nel nostro paese. Anche considerando un bacino di lettori perquotidiano di almeno quattro persone, i dati emersi dalla presente indaginepotrebbero apparire eccessivamente discordanti.

A parziale spiegazione di ciò va considerato il fenomeno della stampaquotidiana gratuita, distribuita nelle principali città italiane all’interno dellestazioni dei treni e delle metropolitane e nei bar e locali pubblici più frequen-tati, che ha avuto un notevole impatto sulle percentuali e sull’indagine stessaladdove questa è stata svolta in importanti capoluoghi di regione. Meritereb-be, forse, maggiore spazio un’analisi dei contenuti e degli approfondimentipresenti in questi mezzi di informazione. In questa sede ci limiteremo però asottolineare che si tratta prevalentemente di raccolte di informazioni prove-nienti dalle principali agenzie di stampa che, nella logica di pubblicazione, se-guono le linee generali di tendenza della stampa maggiore.

A questi “nuovi” lettori di quotidiani vanno aggiunti coloro che usufrui-scono di un collegamento internet, per la maggior parte dalle postazioni di la-voro, e possono così accedere ogni giorno a un numero sempre maggiore ditestate di loro interesse.

Di più facile lettura sono i dati relativi alla televisione che, anche in que-sto caso, si rivela essere il principale canale attraverso il quale vengono tra-smesse le informazioni al pubblico più ampio. Se pure si potrebbe discuteresulla qualità di tale fruizione, che può spesso rivelarsi eccessivamente passiva,è evidente che la percezione della realtà passa attraverso le notizie e le imma-gini della televisione. “Ciò che non viene ripreso dalle telecamere non esiste”e, in tal senso, anche un’immagine di una Forza Armata europea, un’idea dipolitica comune per la sicurezza e la difesa dell’Unione stenta ad avere unapropria definizione che non vada oltre un consenso di massima collegato alpiù generale europeismo degli Italiani.

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Conclusioni

In sintesi è apparsa evidente una perdurante difficoltà dei mass media atrattare, in generale, tematiche di politica di sicurezza e difesa in ambito UEe, molto più in particolare, di Forze Armate europee.

Così i nostri intervistati, pur sufficientemente informati a livello di acces-so e fruizione dei principali media e interessati alle tematiche specifiche, han-no potuto dibattere sull’Europa essenzialmente da una angolazione economi-ca-finanziaria. Nonostante ciò, anche in assenza di informazioni precise sulletematiche relative alla Politica di Sicurezza e Difesa europea e sugli strumen-ti necessari a perseguirla, come hanno mostrato i risultati della ricerca, sonostati in grado di orientarsi e di offrire, con coerenza ed efficacia, le loro opi-nioni e i loro orientamenti unitamente alle aspettative e alle speranze con lequali guardano al futuro del loro Paese e dell’Europa.

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Finito di stampare nel mese di marzo 2004da Rubbettino Industrie Grafiche ed Editoriali

per conto di Rubbettino Editore Srl88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)

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Collana Ce.Mi.S.S. – Serie Blu

11 Il reclutamento in Italia (1989) (Autori Vari)(*)12 Storia del Servizio Militare in Italia dal 1506 al 1870, Vol. I (1989) V. Ilari (*)13 Storia del Servizio Militare in Italia dal 1871 al 1918, Vol. II (1990) V. Ilari (*)14 Storia del Servizio Militare in Italia dal 1919 al 1943, Vol. III (1990) V. Ilari (*)15 Storia del Servizio Militare in Italia dal 1943 al 1945, Vol. IV (1991) V. Ilari (*)15/bis Storia del Servizio Militare in Italia – La difesa della Patria (1945-1991) Vol. V

– “Pianificazione operativa e sistema di reclutamento” (1992) V. Ilari (*)15/ter Storia del Servizio Militare in Italia – La difesa della Patria (1945-1991) Vol. V –

“Servizio militare e servizio civile – Legislazione statistiche” (1992) V. Ilari (*) 16 Soppressione della leva e costituzione di Forze Armate volontarie (1990) P.

Bellucci, A. Gori (*)16/a Servizio di leva e volontariato: riflessioni sociologiche (1990) M. Marotta, L.

Labonia (*)17 L’importanza Militare dello spazio (1990) C. Buongiorno, S. Abbà, G. Maoli,

A. Mei, M. Nones, S. Orlandi, F. Pacione, F. Stefani (*)18 Le idee di “difesa alternativa” ed il ruolo dell’Italia (1990) F. Calogero, M. De

Andreis, G. Devoto, P. Farinella (*)19 La “policy science” nel controllo degli armamenti (1990) P. Isernia, P. Belluc-

ci, L. Bozzo, M. Carnovale, M. Coccia, P. Crescenzi, C. Pelanda (*)10 Il futuro della dissuasione nucleare in Europa (1990) S. Silvestri (*)11 I movimenti pacifisti ed anti-nucleari in Italia 1980-88 (1990) F. Battistelli, P.

Isernia, P. Crescenzi, A. Graziani, A. Montebovi, G. Ombuen, S. Scaparra, C.Presciuttini (*)

12 L’organizzazione della ricerca e sviluppo nell’ambito Difesa, Vol. I (1990) P. Bi-sogno, C. Pelanda, M. Nones, S. Rossi, V. Oderda (*)

12/bis L’organizzazione della ricerca e sviluppo nell’ambito Difesa, Vol. II (1990) P.Bisogno, C. Pelanda, M. Nones, S. Rossi, V. Oderda (*)

13 Sistema di programmazione generale finanziaria ed ottimizzazione delle risor-se in ambito Difesa (1990) G. Mayer, C. Bellinzona, N. Gallippi, P. Mearini, P.Menna (*)

14 L’industria italiana degli armamenti (1990) F. Gobbo, P. Bianchi, N. Bellini, G.Utili (*)

15 La strategia sovietica nella regione meridionale (1990) L. Caligaris, K.S.Brower, G. Cornacchia, C.N. Donnelly, J. Sherr, A. Tani, P. Pozzi (*)

16 Profili di carriera e remunerazioni del personale militare e civile dell’Ammini-strazione dello Stato delle qualifiche direttive e dirigenziali (1990) D. Tria, T.Longhi, A. Cerilli, A. Gagnoni, P. Menna (*)

17 La riconversione dell’industria per la Difesa (1990) S. Rossi, S. Rolfo, N. Bel-lini (*)

18 Il trasferimento di tecnologie strategicamente critiche (1990) S. Rossi, F. Bru-ni Roccia, A. Politi, S. Gallucci (*)

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41/bis Sottufficiali delle Forze Armate. Idee propositive per migliorarne il recluta-mento, lo statuto e la carriera. Tomo II (I volontari a ferma prolungata e i Sot-tufficiali) (1993) M. Marotta (*)

42 Strategia della ricerca internazionalistica (1993) L. Bonanate (*)43 Rapporto di ricerca sui movimenti migratori e sicurezza nazionale (1993) G.

Sacco (*)44 Rapporto di ricerca su nuove strutture di sicurezza in Europa (1993) S. Silve-

stri (*)45 I sistemi di comando e controllo ed il loro influsso sulla sicurezza italiana

(1993) P. Policastro (*)46 Le minacce da fuori area contro il fianco Sud della Nato (1993) R. Aliboni (*)47 Approvvigionamento delle materie prime, crisi e conflitti nel Mediterraneo

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Santis, G. Vulpes83 Le operazioni militari all’estero gestite al di fuori del sistema delle organizza-

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zioni internazionali o nel suo ambito: problemi giuridici o organizzativi per leForze Armate italiane (1996) A. de Guttry

84 La difficile scommessa. L’allargamento della NATO ad Est (1997) M. Crema-sco

85 L’embargo e le altre misure economiche come mezzo di gestione e soluzionedelle crisi (1998) G. Pastori

86 La questione sindacale nell’evoluzione delle politiche strategiche della sicurez-za in Italia – Osservazioni storico metodologiche (1998) A. Ciampani

87 Cooperazione dell’Italia con l’Austria, «la Repubblica» Ceka, la Slovenia, laCroazia e l’Ungheria (1998) S. Mazzaroli

88 Elementi di diritto umanitario dei conflitti armati (Diritto italiano di bandiera)(1998) A. Marcheggiano (*)

89 Italia e nucleare francese: attualità e prospettiva (1998) C. Paoletti (*)90 Analisi delle spese per l’investimento dell’Esercito. Esame delle note aggiunti-

ve: previsioni e scostamenti. Valutazioni sulle principali cause degli scostamen-ti (1998) M.T. Fiocca

91 Applicazioni spaziali civili di possibile interesse della Difesa (1998) M. Nones,A. Traballesi

92 Lo Stratega mediatico (1998) P. Visani93 Le prospettive di integrazione tra Unione Europea e Unione Europea Occi-

dentale (1999) E. Letta94 Prospettive di applicazione del D.D.L. di iniziativa governativa riguardante l’i-

stituzione del servizio civile nazionale e della nuova legge sull’obiezione di co-scienza (1999) C. Politi

95 Aspetti politici ed economici della European Security and Defence Identity nelquadro di una integrazione degli eserciti europei (1999) A. Ferranti

96 Le zone di pesca nel Mediterraneo e la tutela degli interessi italiani, (1999) N.Ronzitti

97 Il processo di approvvigionamento degli idrocarburi in situazione di crisi in-ternazionale (1999) N. Pedde e V. Porfiri

98 Albania – (Manuali-Paese) (1999) a cura del Centro per l’Europa Centro-Orientale e Balcanica (*)

99 Bosnia-Erzegovina – (Manuali-Paese) (1999) a cura del Centro per l’EuropaCentro-Orientale e Balcanica (*)

100 Proliferazione missilistica: stato ed evoluzione della minaccia e prospettive perun sistema di difesa antimissile (1999) A. Nativi

101 Il controllo degli armamenti nella ex-Jugoslavia con particolare riferimento al-la Bosnia-Erzegovina (1999) M. Cremasco

102 Peace Dividend. Aspetti teorici ed applicazioni al caso italiano (1999) G. Strep-pi

103 Evoluzione dei rapporti transatlantici nel settore della produzione industrialedella difesa, a fronte della costituzione dell’Europa degli armamenti (2000) A.Traballesi

142 © Rubbettino

104 La geoeconomia delle imprese italiane: riflessi sulla gravitazione degli interes-si geostrategici nazionali (2000) A. Cattaneo

105 Strategic sealift: sviluppo e caratteristiche nazionali di un importante stru-mento di proiezione e di forza nel mediterraneo allargato (2000) G. Mured-du

106 Repubblica di Jugoslavia (Manuali-Paese) (2001) a cura del Centro per l’Euro-pa Centro-Orientale e Balcanica

107 Fyrom: «la Repubblica» di Macedonia (Manuali-Paese) (2001) a cura del Cen-tro per l’Europa Centro-Orientale e Balcanica

108 La corte penale internazionale, i crimini di guerra e le truppe italiane all’este-ro in missione di pace (2001) N. Ronzitti

109 Gli effetti delle sanzioni economiche: il caso della Serbia (2001) M. Zucconi110 Il coordinamento interministeriale per la politica industriale della difesa: valu-

tazione comparata tra la soluzione italiana e quella dei principali paesi europei(2002) M. Nones

111 La difesa europea in ambito alleanza: una sfida per l’industria degli armamen-ti (2002) A. Traballesi

112 I diritti delle donne: le presenti strutture normative nel diritto internazionaleed i loro effetti nei casi di conflitti etnici (2002) P. Brusadin

113 Il legame nazione-esercito: l’abolizione della leva basterà a rendere le forze ar-mate meno impopolari tra i giovani? (2002) T. M. Blasi

114 La logistica degli anni 2000: ricorso a risorse esterne (outsourcing), contratti diservizi, logistica integrata, contratti chiavi in mano. Evoluzione o rivoluzione?(2003) F. Franceschini, M. Galletto, M. Borgarello

115 Cambiamenti organizzativi dell’industria statale della difesa: confronto con lealtre realtà europee, con particolare riferimento agli stabilimenti di manuten-zione navale (2003) R. Stanglini

116 La bonifica umanitaria nel quadro della cooperazione civile e militare (2003)F. Termentini

117 La questione di Cipro (2003) G. Sardellone118 The international role of the European Union (2003) R. Balfour, E. Greco (edi-

zione in lingua inglese)

Collana Ce.Mi.S.S. – Serie Blu – Atti di convegni

• South-Eastern Europe, bridge or border between civilizations (Atti del conve-gno tenutosi a Sofia nei giorni 17 e 18 ottobre 1997)

• The Future of NATO’s Mediterranean Iniziative (1997) (Atti della conferenzaCeMiSS – RAND Corporation – Roma, 10 e 11 novembre 1997) (edizione di-sponibile anche in lingua araba)

• NATO enlargement: situation and perspectives (Atti del convegno tenutosi aBudapest dal 11 al 15 luglio 1998)

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• I reparti multinazionali come strumento della sicurezza regionale (Atti del 1°seminario italo/polacco – Roma, 24 marzo 1999)

• Centralità dell’Italia nello sviluppo delle relazioni Nord-Sud nel bacino delMediterraneo. Quale ruolo per la Sicilia? – Atti del Seminario di studio fra stu-denti dell’Ateneo palermitano ed Istituti di Formazione della Difesa (Palermo,23-25 novembre 1999)

Altre pubblicazioni

• Diritto Internazionale per Ufficiali della Marina Militare (1996) N. Ronzitti(Ristampa della ricerca n. 40 sul supplemento della “Rivista Marittima” del lu-glio 1996)(*)

• Un’intelligence per il XXI secolo (1999) G. Dottori• Il Neo-Terrorismo: suoi connotati e conseguenti strategie di prevenzione e con-

tenimento (2001) V. Pisano

Collana Ce.Mi.S.S. – edizioni Franco Angeli

1520.269 Giovani e Forze Armate (1996) F. Battistelli365.59 L’industria della Difesa. L’Italia nel quadro internazionale (1996) F. Oni-

da, G. Viesti1136.11 Scenari di sicurezza per l’Europa e l’Italia (1996) M. Cremasco1136.13 Società civile e processo di pace in Medio Oriente (1996) D.V. Segre1136.14 Interesse nazionale e interesse globale (1996) P. Portinaro (*)1136.15 La crisi del bipolarismo (1996) S. Romano (*)1136.16 Il pensiero militare nel mondo musulmano (1996) V.F. Piacentini1136.17 Rischio da Sud (1996) C.M. Santoro (*)1136.18 Evoluzione della Guerra (1996) C. Pelanda1136.19 L’invasione scalza (1996) G. Sacco1136.21 Pax Pacifica (1996) M. Dassù (*)365.66 Il Sistema Italia (1996) CeMiSS; (Atti del convegno “Gli interessi nazio-

nali italiani nel nuovo scenario internazionale” Roma, 25-26 giugno 1996)365.66 Integrazione e sicurezza nel Mediterraneo – le opzioni dell’Occidente

(1997) P.C. Padoan1136.23 Russia e sistema di sicurezza Occidentale (1997) M. Cremasco 1550.6 Difesa della Patria e interesse nazionale nella scuola (1997) R. Cartocci, A.

M. L. Parisi1136.24 La logica del disordine (1997) E. Zanoni1136.25 Alla ricerca dell’interesse nazionale (1997) A. L. Pirocchi, M. Brunelli1136.26 La politica di sicurezza tedesca verso il duemila (1997) G. Dottori, S. Ma-

rino

144 © Rubbettino

1136.27 Medio Oriente e Forze di Pace (1997) G. Tappero Merlo1136.28 Armi e Disarmo (1997) F. Calogero, P. Miggiano, G. Tenaglia1136.29 Le missioni delle Forze Armate italiane fuori area (1997) A. de Guttry1136.30 La guerra civile in Rwanda (1997) Umwantisi1136.31 La “questione illirica” (1997) L. Bozzo, C. Simon Belli1550.9 Difesa, Politica e Società (1997) P. Bellucci1136.32 Partenariato nel Mediterraneo (1997) R. Aliboni1136.34 Combattere con le informazioni (1997) F. Pierantoni 1136.35 Il conflitto Etnico (1997) R. Arbitrio1136.36 Geopolitica della salute (1997) B. Arrabito1136.37 Interessi nazionali e identità italiana (1997) F. Corsico1550.10 Missione in Bosnia (1999) T. Ammendola1136.42 Le armi inabilitanti non letali (1999) J. Alhadeff1136.43 L’Italia e l’Islam non Arabo (1999) G. Pastori, R. Redaelli (*)1136.44 Geopolitica della Turchia (1999) R. Aliboni1136.45 Antropologia e Peacekeeping (1999) A. Antoniotto (*)1136.49 Regionalismi economici e sicurezza (1999) L. Troiani (*)1136.50 Asia Centrale: verso un sistema cooperativo di sicurezza (1999) V.F. Pia-

centini1136.51 Macedonia: la nazione che non c’è (1999) L. Bozzo, C. Simon Belli (*)1136.52 Scenari strategici per il futuro (1999) M. Coccia1136.53 The Kosovo Quagmire. Conflict scenarios and method for resolution

(1999) L. Bozzo, C. Simon Belli (*)1136.1.1 Transizioni democratiche (2000) L. Bonanate1136.1.2 La Difesa Civile e il progetto Caschi Bianchi (2000) F. Tullio1136.1.3 La difficile sfida (2001) M. Cremasco (*)1136.1.4 L’Egitto tra Maghreb e Machrek (2001) C. Simon Belli1136.1.5 Le organizzazioni criminali internazionali (2001) M. Giaconi1136.1.6 La questione Kurda (2001) S. Mazzocchi, R. Ragionieri, C. Simon Belli1136.1.7 L’Europa centro-orientale e la NATO dopo il 1999 (2001) F. Argentieri 1136.1.8 Europa – Stati Uniti: un Atlantico più largo? (2001) M. de Leonardis1136.1.9 The Effects of Economic Sanctions: the Case of Serbia (2001) M. Zuc-

coni

Collana Ce.Mi.S.S. – edizioni A & P

1.09 Security Threat perception in South – Eastern Europe (2001) CeSPI and EWI 1.10 La guerra incruenta (2001) F. Pierantoni 1.11 La politica di sicurezza e difesa dell’Unione Europea (2001) F. Attinà, F. Lon-

go, C. Monteleone, S. Panebianco, P. Rosa 1.12 The flexible officer (2001) G. Caforio 1.13 Il documento di Washington: problemi politici e giuridici (2001) N. Ronzitti

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1.14 UMA: Les difficultés d’une reconstruction régionale (1989-1999) (2001) K.Chater

1.15 Peacekeeping: Polizia internazionale e nuovi ruoli militari tra conflitti etnici,terrorismo, criminalità organizzata (2001) R. Bettini

1.16 Il XXI Secolo: Ipotesi e tendenze dei modelli di difesa negli scenari mondiali(2001) C. M. Santoro

1.17 Sociological aspects concerning the relations within contingents of multinatio-nal units: The case of the Italian-Slovenian Hungarian Brigade (2001) G. Ga-sperini, B. Arnejcic e A.Ujj

1.18 Il ruolo della forza europea di reazione rapida: un quadro strategico degli an-ni duemila (2001) M. Cremasco

1.19 Il ruolo delle istituzioni finanziarie internazionali nei processi di peace building(2002) M. Fiocca

1.20 La sicurezza in Europa dopo il Kosovo (2001) R. Menotti e R. Balfour1.21 Il processo di integrazione del procurement militare in Europa (2001) L. Bertini2.22 Towards a European security and defence policy (2002) Ce.Mi.S.S. – C.D.S.2.23 Il ruolo internazionale dell’Unione Europea (2002) R. Balfour – E. Greco2.24 Rapporto dal futuro. 2004: lo Stato dell’Europa e l’Europa come Stato (2002)

L. Bonanate2.25 Changing U.S. defense policy and the war on terrorism: implications for Italy

and for U.S.-Italian relation (2002) Ce.Mi.S.S. – RAND2.26 Il diritto dei trattati nelle attività di interesse delle FF.AA. (2003) N. Ronzitti2.27 Le dinamiche palestinesi nella politica giordana, prospettive per la stabilità di

un pivotal state (2003) R. Storaci2.28 Le cooperazioni rafforzate per la ristrutturazione dell’industria europea degli

armamenti (2003) G. Bonvicini – G. Gasperini

Collana Ce.Mi.S.S. - edizioni Rubbettino

04/1 The Errf and the Nrf – The European Rapid Reaction Force and the NATO-Reaction Force: Compatibilities and Choises (2004) – Ce.Mi.S.S. – C.D.S.

04/2 Transforming Italy’s Military for a New Era: Options and Challenges – (2004)– Ce.Mi.S.S. – RAND

04/3 Globalization, Armed Conflicts and Security (2004) – A. Gobicchi04/4 Verso un concetto di Politica Estera Europea. Le sfide esterne e di sicurezza

per la UE (2004) – R. Balfour e R. Menotti04/5 Comunicazione e politica internazionale. Mutamenti strutturali e nuove strate-

gie (2004) – E. Diodato04/6 La Nato dopo l’11 settembre. Stati Uniti ed Europa nell’epoca del terrorismo

globale (2004) – G. Dottori e M. Amorosi04/7 La dimensione finanziaria del terrorismo e del contro-terrorismo transnazio-

nale (2004) – M. Fiocca e S. Cosci

146 © Rubbettino

04/8 Islamist and Middle Eastern Terrorism: a Threat to Europe (2004) – M. do CéuPinto

04/9 Tra due culture. Le problematiche della famiglia del militare (2004) – M. A.Toscano

04/10 Russia’s Western Orientation after 11th September (2004) – D. Sagramoso04/11 Opinione pubblica, sicurezza e difesa europea (2004) – M.L. Maniscalco

Paper Ce.Mi.S.S.

• L’evoluzione della politica di controllo delle esportazioni di materiali d’arma-mento e di alta tecnologia dual use alla luce della nuova intesa “The WassenarArrangement” (1998) A. Politi, S. Ruggeri

• L’Ucraina nuovo architrave della sicurezza europea (1999) F. Argentieri• L’impatto dell’evoluzione sul futuro campo di battaglia (1999) ISTRID• Disordine, Sicurezza, Stabilità. Il sistema internazionale ed il ruolo per l’Italia

(1999) P. Soave• Research-Papers on Balcans and Caucasus. A Russian Point of View (1999) N.

Arbatova – V. Naumkin• Resources and economic cooperation in the Caspian and Black sea region and

security in south-eastern Europe (1999) N. Behar• Western European Union: operational capabilities and future perspectives

from the national point of view (1999) S. Giusti (*)• Conflict management in Europe on the return of the century (1999) I. Gyarmati• Risks for Russia’s security in the next decade: repercussion on the country’s do-

mestic, foreign and defence policies (2000) I.B. Lada• Central-Eastern Europe and the process of approaching western institutions

(2000) B. Klich, B. Bednarczyk, A. Nowosad, M. Chorosnicki –.Institute forStrategic Studies “Studies and Analyses” – Krakòw (*)

• Institutions and civil society: crucial aspects of a peace process (2000) A. Co-razza Bildt

• Projects of exploitation of the Caspian Sea Central Asia energy resources: im-pact on relations between the states involved and the stability in the region(2000) V. Naumkin

• The CIS Security cooperation: problems and prospects (2000) – A.G. Arbatov,A.A. Pikayev; S. K. Oznobischev; V.E. Yarynich – ISS Mosca;

• Is the establishment of a national security policy for a Bosnia – Herzegovinapossible? (2000) S. Turkovic (*)

• The regional co-operation initiatives in the black sea area and their influenceon security in the Romania-Moldova-Ukraine region (2000) A. Pop

• The regional and circum-regional co-operation initiatives in South-East Euro-pe and their influence on security (2000) Center for National Security Studies– Sofia

147© Rubbettino

• Possible developments in the Balkans in the medium term (2000) E. Kojokine• Catalogo ragionato delle pubblicazioni CeMiSS (1987-1999) (2000) V. Ghiotto• Il controllo della qualità degli approvigionamenti della Amministrazione della

Difesa, con particolare riferimento ai servizi. (2000) Politecnico di Torino• Il futuro delle forze armate nell’era dell’information technology (2000) A. Fer-

ranti• L’evoluzione della minaccia e l’alea di rischio delle nazioni moderne (2000) V.

Porfiri – N. Pedde• The post – Yeltsin Russia: the main trends in domestic and foreign policy evo-

lution (2001) N. Arbatova• European transport corridors and security in south eastern Europe (2001) In-

stitute for Social and Political Studies – Sofia• Società e Forze Armate in Albania (2001) R. Devole• La politica estera e di sicurezza italiana nell’Europa Sud – Orientale e l’inizia-

tiva quadrilaterale (2001) R. Umana • Tendenze dello sviluppo della dottrina militare della Russia (2001) M. Gareev • Maghreb Alaqsa. L’estremo Occidente (2001) M. Giaconi• Le politiche della ricerca militare e duale nei principali paesi industrializzati

(2001) M. Nones, G. Perani, S. Rolfo• La cultura del peacekeeping (2002) T. Bergantini • Ottimizzazione della contrattualistica di Forza Armata (2003) R. Pardolesi

(*) pubblicazione esaurita

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