La dimensione pubblica della religione in al-Ghazali

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Michele Nicoletti Tiziana Faitini Francesco Ghia Gian Luigi Prato Andrea Colli Dante Fedele Lorena Cebolla Sanahuja Milena Mariani Debora Spini Sandro Chignola Roland Meynet Lugi Franco Pizzolato Massimo Perrone Massimo Campanini Francesca Forte Enrica Fabbri Massimo Giuliani Silvano Zucal Roberto Gatti Andrea Aguti 35,00 POLITICA E RELIGIONE 2012/2013 ISSN 2239-6098 annuario di teologia politica / yearbook of political theology 2012/2013 Parrhesia e dissimulazione La verità di fronte al potere ISBN 978-88-372-2712-8 POLITICA E RELIGIONE Cop. Politica 2013_ 1-4.indd 1 05/12/14 15:42

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Michele NicolettiTiziana Faitini

Francesco GhiaGian Luigi Prato

Andrea ColliDante Fedele

Lorena Cebolla SanahujaMilena Mariani

Debora SpiniSandro ChignolaRoland Meynet

Lugi Franco PizzolatoMassimo Perrone

Massimo CampaniniFrancesca Forte

Enrica FabbriMassimo Giuliani

Silvano ZucalRoberto GattiAndrea Aguti

€ 35,00

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2012

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ISSN 2239-6098

annuario di teologia politica / yearbook of political theology

2012/2013

Parrhesia e dissimulazioneLa verità di fronte al potere

ISBN 978-88-372-2712-8

POLITICA E RELIGIONE

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POLITICA E RELIGIONEannuario di teologia politica / yearbook of political theology

anno 2012/2013

direttore responsabile: Michele Nicoletti (Trento)[email protected]

comitato di redazione: Massimo Campanini (Trento) - Giancarlo Caronello (Berlino) - Massimo Giuliani (Trento) - Silvano Zucal (Trento)

comitato scientifico:Andrea Aguti (Urbino) - Fausto Arici (Bologna) - Ernst-Wolfgang Böckenförde (Freiburg i.B.) - Philippe Cheneaux (Paris-Roma) - Hamid Dabashi (Columbia, NYC) - Paolo De Benedetti (Milano) - Klaus Dethloff (Wien) - Carlo Fantappiè (Urbino) - Giovanni Filoramo (Torino) - Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz (Dresden) - Maurizio Giangiulio (Trento) - Hassan Hanafi (Il Cairo) - Vittorio Hösle (Notre Dame, IN) - Robert Krieg (Notre Dame, IN) - Roberto Lambertini (Macerata) - Hans Maier (München) - Nestore Pirillo (Trento) - Hermann J. Pottmeyer (Bochum) - Gian Luigi Prato (Roma) - Paolo Prodi (Bologna) - Diego Quaglioni (Trento) - Marco Rizzi (Milano) - Michael A. Signer (Notre Dame, IN) † - Natalino Valentini (Urbino)

segreteria di redazione: Omar Brino (Roma) - Tiziana Faitini (Trento)

coordinamento: Francesco Ghia (Trento)[email protected]

referente per l’editrice morcelliana: Sara Bignotti (Brescia)[email protected]

«Politica e Religione» è una rivista del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Trento ed è pubblicata con il contributo del MIUR, progetto 2010/2011

in preparazione

La politica del Magnificat. Questioni di mariologia politica

Gli scritti proposti per la pubblicazione sono peer reviewed

L’I.V.A. è assolta dall’editore ai sensi dell’art. 74 lett. C DPR 633/72Aut. Tribunale di Trento n. 41/2011 del 6-12-2011© 2014 Editrice Morcelliana SrlVia Gabriele Rosa 71 - 25121 BresciaStampa: LegoDigit srl - Via Galileo Galilei 15/1 - 38015 Lavis (TN)

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Politica e Religione (2012/2013) 291-310

MassiMo CaMpanini - FranCesCa Forte

LA DIMENSIONE PUBBLICA DELLA RELIGIONE IN AL-GHAZĀLĪ*

1. Al-Ghazālī intellettuale musulmano: la dialettica tra interiorità ed esteriorità

La problematica teologico-politica che si desume dall’episodio di Naaman il Siro non è reperibile, per quanto ne sappiamo, nell’islam. E ciò per la buona ragione che il Libro dei Re non viene considerato in islam parte della Scrittura, non ha alcun valore sacrale o parenetico. L’islam riconosce che agli ebrei è stata rivelata la Torah, ma la Torah che gli ebrei rivendicano non è secondo i musulmani l’autentica Torah, essendo stata sottoposta a un processo di «falsificazione» (tahrīf) che ha poi reso necessaria la rivelazione coranica. Ciò che di biblico è au-tentico lo si trova, in linea generale, secondo i musulmani, nel Corano: le storie dei profeti e della rivelazione sono state rinnovate nel Corano, per cui non vi è alcun bisogno di accedere alle fonti ebraiche. Tanto meno se queste fonti non godono di un valore sacrale proprio, come appunto può essere il Libro dei Re. E il Corano non accenna affatto a Naaman il Siro.

Eppure l’episodio tratta di un problema che può essere considerato caratteristico dell’ideologia islamica e della sua visione del mondo: il problema del rapporto tra dimensione pubblica e dimensione privata della religione e del culto. E ciò, da una parte, perché l’islam è notoria-mente, come l’ebraismo, religione di legge; e, dall’altra, perché il ca-rattere globalmente secolare della religione islamica la protende a occu-parsi di problemi sociali e politici, ad essere ad un tempo dīn wa dunyā (religione e mondo) e in subordine dīn wa dawla (religione e politica).

Per cogliere e comprendere la portata di questa caratteristica della ideologia islamica non vi è studio più idoneo della figura e del pen-

* Il paragrafo 1 è di Massimo Campanini; il paragrafo 2 di Francesca Forte.

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siero di Abū Hāmid al-Ghazālī (1058-1111), la «prova dell’islam», il celebre teologo, giurista, mistico e filosofo che ha rappresentato, nel cosiddetto Medio Evo, il prototipo dell’intellettuale musulmano1. Il fatto di essere stato a un tempo teologo, giurista, mistico e filosofo sembra denunciare un certo eclettismo del pensiero di al-Ghazālī che, certamente, non fu un teorico sistematico. Ma l’eclettismo non implica nulla di negativo, quanto la dimostrazione di come l’islam possa essere plurale e fecondamente sincretico, capace di ridurre a sintesi, per lo meno nell’opera (e nella vita) di al-Ghazālī, tutte le scienze e i saperi.

Peraltro, l’interpretazione del pensiero di al-Ghazālī non ha sempre opportunamente valutato la pluralità e la sintesi, preferendo qualche volta insistere e rilevare aspetti monotematici. Così J. Obermann ri-teneva che in al-Ghazālī la vera religione non risiedeva nell’apparte-nenza esteriore all’islam, né nell’implementazione oggettiva dei suoi precetti e dei suoi insegnamenti, ma nella purezza e limpidezza sogget-tiva dell’anima2. Wensink insisteva nel rilevarne gli aspetti neoplatoni-ci enfatizzandone lo gnosticismo3. È bensì vero che altri autori hanno sottolineato la necessità di non trascurare le circostanze politiche che hanno individuato le svolte biografiche, ma anche intellettuali della vita di al-Ghazālī4, qualche volta a rischio di impoverirne l’ispirazione spirituale e religiosa e di giustificare il suo pensiero e la sua opera alla luce di un’esclusiva preoccupazione teologico-politica, la lotta contro gli Ismā‘īliti-bātiniti5.

Ma è soprattutto vero che al-Ghazālī per tutta la sua vita insistet-te nel sottolineare la necessità di correlare e intrecciare il cuore e la mente, l’esteriore e l’interiore, il pratico e il teorico, lo spirituale e il giuridico, il superno e l’inferiore. La sua opera maggiore, la Rina-scita delle scienze religiose in quaranta volumi, e il magistrale sunto

1 W.M. Watt, Muslim Intellectual, a Study of al-Ghazālī, Edinburgh University Press, Edin-burgh 1963.

2 J. Obermann, Der philosophische und religiose Subjectivismus Ghazalis, Wien und Leipzig 1921; e cfr. H. Laoust, La politique de Ghazālī, Geuthner, Paris 1970, p. 10.

3 A. Wensink, La pensée de Ghazālī, Maisonneuve, Paris 1940.4 J.M. Abd El-Jalil, Autour de la sincérité de al-Ghazzālī, in Mélanges Louis Massignon,

Damasco 1956, tomo i, pp. 57-72.5 Si vedano i lavori di F. Jabre di cui ci limitiamo a ricordare qui La notion de certitude selon

Ghazālī dans ses origines psychologiques et historiques, Vrin, Paris 1958.

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della stessa in arabo, il Libro dei quaranta princìpi della religione o Kitāb al-arba‘īn fī usūl al-dīn, che sarà in particolare preso in esame in queste pagine, costituiscono una dimostrazione oggettiva di questo sovrumano tentativo di rispecchiare la terra in cielo e il cielo in terra, soprattutto attraverso l’esempio del profeta Muhammad e del suo pe-dagogico comportamento, la sunna. Basterà citare un lungo brano del Libro dei quaranta princìpi della religione che si è altre volte proposto:

«Sappi che la chiave della felicità è seguire la sunna e adeguarsi all’esempio dell’inviato di Dio – che Dio lo benedica e lo salvi! – in tutto ciò che ha fatto e ha detto, fin nei minimi particolari: come si muoveva e come stava fermo, come mangiava e come si comportava, come dormiva o parlava. E non mi riferisco soltanto ai comportamenti negli atti del culto (‘ibādāt), poiché, rela-tivamente ad essi, è inconcepibile essere trascurati nel seguire la sunna, ma a tutti i gesti abitudinari della vita, ché da essi risulta il perfetto adeguamento (al modo di essere del Profeta). Ha detto Iddio – sia lode a Lui! –: “Se veramente amate Dio, seguite me [qui si intende il Profeta] e Dio vi amerà” (Q. 3: 31); e ancora: “Quel che vi darà il Messaggero, prendetelo, e quel che vi vieterà, astenetevene” (Q. 59: 7).Perciò, stando seduto devi coprirti le brache e, stando in piedi, devi calzare il turbante; con la destra devi infilarti le scarpe e con la destra prendere il cibo; le unghie devono essere tagliate a cominciare dal dito indice della mano destra e l’anello deve essere infilato al pollice; per quanto riguarda il piede, bisogna cominciare (a tagliare le unghie) a partire dal mignolo destro e infilare gli anelli (a partire) dal mignolo sinistro. Ciò vale per tutti i gesti che compi in movimento o da fermo. Ricorda che Muhammad Ibn Aslam non mangiava cocomeri perché non gli era stato tramandato come li mangiasse l’Inviato di Dio – che Dio lo benedica e lo salvi! –; e se qualche volta, per distrazione, si infilava le scarpe con la sinistra, faceva ammenda (donando ai poveri) un kurr di grano. Non bisogna essere negligenti in queste cose e dire: Non hanno nulla a che fare con il culto! Oppure: Non ha senso seguirle!, ché, anzi, (la negligenza) ti chiude una delle porte della felicità.Ora, forse tu desideri sapere le ragioni che rendono desiderabile l’adeguarsi a questi comportamenti, e credi del tutto inverosimile che essi siano talmente importanti da giustificare la reprensione severa di una trasgressione. Ma, no-nostante sia troppo lungo per gli scopi di questo libro soffermarsi sul signifi-cato di ognuno di quei comportamenti, sappi che è comunque indispensabile sapere che la sunna racchiude dei segreti.Riguardo al primo segreto, ti ammoniamo a considerare la relazione che esi-ste tra il mondo inferiore (mulk) e il mondo superno (malakūt), fra gli organi

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corporei e il cuore, e come il cuore sia influenzato dagli atti del corpo. Infatti, il cuore è come uno specchio e non risplendono in esso le verità delle cose se prima non viene levigato, illuminato e raddrizzato. Per quanto attiene la levigatezza, essa consiste nell’eliminazione dei piaceri smodati e dei compor-tamenti biasimevoli. Per quanto attiene all’illuminazione, essa consiste nelle luci del dhikr e della gnosi (ma‘rifa), e a ciò deve tendere il culto sincero se si vuole compiere perfettamente il servizio di Dio secondo quanto è richiesto dalla sunna. Per quanto attiene al raddrizza mento (ta‘dīl), esso consiste nel seguire in tutti i movimenti del corpo la regola giusta (qānūn al-‘adl), poiché la mano non influisce positivamente sul cuore finché non assume una cor-retta disposizione e fintantoché non si realizza in essa un preciso equilibrio, privo di storture. Perciò si deve amministrare il cuore partendo da una giusta disposizione nei comporta menti e negli atti corporei; perciò il mondo terre-no è il campo fertile da cui deve germogliare il mondo dell’Oltre; perciò la paura della morte è più forte prima dell’emendazione – proprio per il fatto che la morte sbarra la via all’emendazione, tagliando i legami tra il cuore e il corpo. E non solo i moti delle membra, ma anche quelli dell’animo debbono essere bilancia ti (mawzūna) secondo una giusta regola in modo che nel cuore si realizzi una disposizione retta e armonica, atta a ricevere le verità superiori (haqā’iq) in modo adeguato, così come uno specchio non deformato è ade-guato a ricevere immagini nitide, prive di storture. Infatti, il senso della giu-stizia (‘adl) è di porre le cose al loro giusto posto. Per esempio, tra le quattro direzioni dello spazio, la più nobile è la qibla [la direzione della Mecca], ed è giusto rivolgersi ad essa in tutti i momenti di rammentazione del nome di Dio, di adorazione e di abluzione rituale, mentre è opportuno volgersi altrove durante il soddisfa cimento di un bisogno o quando si hanno le parti intime scoper te...Così si comportava l’Inviato di Dio...Invero, se tu ti abitui a cura-re la giusta disposizione di ogni minimo particolare del comportamento, la correttezza e la rettitudine si impiante ranno nel tuo cuore in modo armonico e lo appresteranno a ricevere la felicità. Ha detto Dio Altissimo: “Quando l’avrò modellato e gli avrò soffiato dentro del mio Spirito” (Q. 15:29), (in-tendendo che) lo spirito (rūh) di Dio, che è la chiave della porta della felicità, non può essere insufflato in un uomo se non dopo che (l’uomo ha acquisito) un’armonica conformazione (taswiya) ed è ritornato a una giusta disposizione (ta‘dīl)”»6 (KA, 102-105).

Questo brano costituisce una dimostrazione lampante di come per garantirsi la felicità sia necessario armonizzare l’interiorità e l’esterio-

6 Kitāb al-arba‘īn fī usūl al-dīn, già cit. in M. Campanini, Introduzione, a al-Ghazālī, Le perle del Corano, bur Rizzoli, Milano 2000, pp. 29-30.

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rità, l’aspetto corporeo e quello spirituale, onde realizzare quella “giu-stizia” che è retta disposizione ed equilibrio. In altri termini si potrebbe dire che vi è impossibilità di raggiungere la salvezza senza una corret-tezza del comportamento pubblico ed esteriore, così come il comporta-mento pubblico ed esteriore, per essere veramente idoneo, deve essere intenzionato al perseguimento della salvezza.

La medesima tensione può essere individuata sul piano metodologi-co oltre che su un piano comportamentale. Per esempio, nella celebre opera mistica La nicchia delle luci al-Ghazālī osserva che «colui che isola il senso apparente è un grossolano letteralista; colui che isola il senso nascosto è un interiorista, mentre colui che unisce le due cose è un interprete perfetto». Colui che si limita alla lettera del Corano man-ca il senso dell’ispirazione profonda; colui che trascura la lettera però ha un atteggiamento limitato e monodimensionale; il vero ermeneuta è colui che tiene nel medesimo conto l’esteriorità e l’interiorità. Ecco come commenta questo passo uno storico recente:

«[al-Ghazālī] richiama qui una regola ermeneutica che ingloba la prescrizione legale (poiché si tratta esplicitamente del Libro [sacro]) e il suo aspetto simbo-lico. In altri termini, riunire i due significati implica aderire all’indissociabile relazione tra la Legge (sharī‘a) e la realtà esoterica (haqīqa). Egli cita nume-rose volte un detto sūfī: “L’uomo perfetto è colui presso il quale la luce della conoscenza non estingue quella della pietà scrupolosa”. Le opere pie prescrit-te dalla Legge sono altrettanto importanti della luce della sapienza attinta dal cuore. La saggezza consiste nell’andare al di là della lettera del senso senza, peraltro, fare a meno della lettera»7.

In che senso questa predisposizione intellettuale e morale ha rica-dute “politiche” incidendo sui rapporti tra dimensione pubblica e pri-vata del culto e della religione, coinvolgendo e determinando l’aspetto sociale e pratico della religione? È evidente che la dottrina politica di al-Ghazālī debba essere reperita soprattutto in quei testi in cui affronta il problema della legittimità del califfato abbaside contro le minacce ismā‘īlite (il Mustazhirī); oppure il problema dell’imamato nel quadro del kalām teologico (nel Giusto mezzo della credenza); oppure il pro-

7 M.C. Zine, L’Interprétation symbolique du verset de la lumière chez Ibn Sīnā, Ghazālī et Ibn ‘Arabī, in «Arabica» lvi (2009), pp. 543-595; qui p. 575.

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blema del bene comune nel quadro dell’analisi dei fondamenti del fiqh (il Mustasfà). È notevole però ricordare che anche nelle opere etiche come La bilancia dell’azione, dove alcuni capitoli sono dedicati alla discussione di tematiche politiche, emergono spunti che esplicitamente connettono la dimensione interiore, quella dell’anima nello specifico, alla dimensione esteriore, quella della gestione della città. Si conside-rino per esempio i seguenti passi:

«L’anima nel corpo umano è tal quale un re nella sua città e nel suo regno. Le forze fisiche e le membra corporee corrispondono agli artigiani e agli operai; l’intelletto speculativo è pari a un saggio consigliere o a un ministro sagace; le passioni sono come schiavi ribelli incaricati dell’approvvigionamento di vet-tovaglie e cibi; l’irascibilità è pari a un capo di polizia. Lo schiavo incaricato del vettovagliamento è un furfante, ingannatore e maligno, che però sa farsi passare per un buon consigliere, mentre sotto i suoi buoni uffici [si nasconde] la malattia incurabile e il male peggiore. È sua abitudine leticare col ministro sulla conduzione degli affari e non cessa un istante di contestare e di opporsi alle idee di lui. Se il re, chiedendo consiglio al ministro sulla conduzione dello stato, vuole tralasciare i suggerimenti dello schiavo malvagio poiché, prese le opportune informazioni, si è reso conto che la verità sta nell’opinione esatta-mente contraria; se invita il capo della polizia a mettersi agli ordini del mini-stro che poi investe della sua autorità onde possa efficacemente opporsi allo schiavo malvagio, ai suoi seguaci e contribuli, e lo ridimensioni da reggitore a subordinato, da organizzatore e comandante a soggetto e comandato; se tutto ciò avviene, l’ordine si instaura nel paese e tutto sarà ben organizzato, a causa del ristabilirsi della giustizia».

«Così l’anima, quando chiede aiuto all’intelletto e ordina all’irascibilità di scatenare la propria energia contro le passioni per poi servirsi [dell’intelletto] contro la stessa [irascibilità], sia bilanciando la fierezza e l’orgoglio col fasci-no e la lusinga del piacere, sia reprimendo e dominando la passione con l’arma dell’ira e dello sdegno e sopprimendone le esigenze con la rabbia [morale], quando fa ciò, l’anima raggiunge l’equilibrio delle sue forze e il carattere si addolcisce».

E ancora:

«L’uomo, quanto alle sue caratteristiche proprie, è come un grande cosmo in un piccolo involucro. Il suo corpo rassomiglia a una città, e l’intelletto al so-vrano che la governa; le sue capacità percettive sensoriali, interne ed esterne,

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rassomigliano a degli eserciti o a delle guardie del corpo; le membra sono come i sudditi; l’anima che inclina a cattive qualità come la concupiscenza e la violenza è simile ai nemici che disputano il regno al sovrano e cercano di far strage dei sudditi. Essendo il corpo come una fortezza o un castello, l’anima è come la guarnigione che vi è acquartierata. Se essa lotta contro i suoi nemici, li fa arrendere e ne diventa il signore, come è suo dovere, meriterà la lode quando si presenterà all’Altissimo, come è detto: “Dio ha esaltato d’un grado coloro che combattono sulla via di Dio dando i beni e la vita, sopra quelli che se ne restano in casa. A tutti Iddio ha promesso il Bene supremo” (Q. 4:95). Ma se, al contrario, perde il castello e lascia fuggire i sudditi, meriterà la condanna e subirà tremenda punizione allorché si incontrerà con l’Altissimo. Secondo una Tradizione, nel giorno del Giudizio, Dio dirà: “O cattivo pasto-re! Hai mangiato la carne e bevuto il latte, ma non hai reintegrato [la pecora] smarrita né le hai curato l’osso fratturato! Oggi, mi vendicherò di te”»8.

La corrispondenza dell’anima e dell’intelletto al re e sovrano di una città bene ordinata è significativa di un ordine interiore che corrispon-de e si connette all’ordine cosmico.

In generale, dunque, non bisogna dimenticare che uno dei mo-tivi ispiratori della prassi religiosa di al-Ghazālī è stato il movente politico. Nella celebre autobiografia spirituale, accostabile alle Con-fessioni di Agostino, la Salvezza dalla perdizione, o, secondo una traduzione più accurata, il Libro che preserva dall’errore9, al-Ghazālī racconta il suo itinerario conoscitivo e intellettuale che lo spinse, al fine di ricercare la vicinanza e il contatto di Dio, ad abbandonare agi e ricchezze, un’invidiata posizione di docente e di uomo pubblico a Baghdad per ritirarsi nell’occultamento a praticare la via dei mi-stici sūfī, l’allontanamento dal mondo e il gusto della meditazione diuturna sui testi sacri. Dopo oltre dieci anni di occultamento, però, al-Ghazālī tornò alla vita pubblica e all’insegnamento spinto dal de-siderio di rinnovare e rifondare la religione. Egli vedeva intorno a sé la corruzione e la protervia dei potenti, la corruzione e l’imprepara-zione degli ‘ulamā’, la tiepidezza della fede delle masse, i pericoli

8 Cfr. al-Ghazālī, La bilancia dell’azione e altri scritti, a cura di M. Campanini, utet, Torino 2005, cap. x, pp. 143 e 145; per altri commenti si veda la relativa “Introduzione”.

9 Si veda la traduzione in al-Ghazālī, Scritti scelti, a cura di L. Veccia Vaglieri - R. Rubinacci, utet, Torino 1970; e in al-Ghazālī, Le luci della sapienza, a cura di M. Campanini, Mondadori, Milano 2012.

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del settarismo rappresentato soprattutto dagli Ismā‘īliti, il pericolo di un eccesso di razionalismo (filosofico) che minacciava i fondamen-ti rivelati della religione, e si prefisse, proprio attraverso il ritorno alla vita pubblica, di raddrizzare tutti questi difetti. Il progetto fallì e al-Ghazālī dovette nuovamente ritirarsi a vita privata, ma dimostra come il nostro autore vedesse sempre di fronte a sé la necessità di impegnarsi in un’opera che non fosse puramente astratta, ma almeno pedagogicamente e socialmente utile.

Nella Rinascita delle scienze religiose e nel Libro sui quaranta princìpi della religione, vediamo articolato il tessuto della vita religio-sa, nelle sue molteplici dimensioni di teologia, culto, comportamenti lodevoli e biasimevoli e finalmente tappe di raggiungimento a Dio nel-la via mistica, appunto in quaranta fondamenti, suddivisi a loro volta in quattro rub‘ o “quarti”. Ecco in sinossi il primo quarto (dieci princìpi) che attiene a quello che con molta approssimazione potremmo definire teologia (che in islam non è studio dell’essenza di Dio, ma dei suoi atti e analisi prevalentemente legale del culto):

Rinascita delle scienze religiose Libro dei quaranta princìpiLa scienza L’essenza di DioI fondamenti della fede La santità di DioI misteri della purezza La potenza di DioLa preghiera rituale La conoscenza di DioL’elemosina legale La volontà di DioIl digiuno di Ramadan L’udito e la vista di DioIl pellegrinaggio Il verbo di DioLa recitazione del Corano Gli atti di DioLa rammentazione del nome di Dio L’ultimo giornoLe preghiere supererogatorie La profezia

Il secondo quarto estende la teologia al comportamento che eviden-temente ha ricadute sociali e antropologiche nel rapporto che si instau-ra tra i credenti e nella necessità, cui è vincolato ogni musulmano, di lottare per far trionfare il bene e sconfiggere il male.

Rinascita delle scienze religiose Libro dei quaranta princìpiDel retto comportamento a tavola La preghiera

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Il matrimonio L’elemosina legaleLe buone maniere per acquisire Il digiuno di Ramadanbeni profittevoli Il lecito e l’illecito Il pellegrinaggio alla MeccaLa vita in comune e i rapporti sociali La recitazione del CoranoLa vita ritirata e la frequentazione La menzione del nomedegli uomini di DioDelle buone maniere in viaggio Il lecito e l’illecitoLa musica e l’estasi I diritti dei musulmaniL’ordinare il bene e il proibire il male L’ordinare il bene e il proibire il maleLa vita e i caratteri del Profeta (la sunna) Il seguire la sunna del Profeta

Come si vede, parte delle regole cultuali trattate nel primo quarto della Rinascita delle scienze religiose compaiono nel secondo quarto del Libro dei quaranta princìpi. Tuttavia, tutto il secondo quarto della Rinascita è devoluto ai comportamenti sociali, così come gli ultimi elementi del secondo quarto del Libro dei quaranta princìpi trattano dei medesimi comportamenti sociali e delle relative prescrizioni giuri-diche su ciò che ai musulmani è lecito o interdetto. Dunque, ancora una volta interiorità ed esteriorità si intrecciano; ancora una volta il culto è una faccia di una medaglia di cui l’altra faccia è l’agire pubblicamente in società.

Convergono in larga misura gli elementi dell’ultimo quarto che rap-presentano la vetta della ricerca e del comportamento spirituale:

Rinascita delle scienze religiose Libro dei quaranta princìpiIl pentimento Il pentimentoLa pazienza e la riconoscenza Il timore di DioIl timore e la speranza L’ascesiLa povertà e l’ascesi La pazienzaL’unicità di Dio e l’abbandono a Lui La riconoscenzaL’amore e l’accontentarsi del decreto La sincerità e il culto sincerodi Dio L’intenzione e la sincerità L’abbandono a DioIl controllo e l’esame di coscienza L’amoreLa meditazione L’accontentarsi del decreto di DioLa morte e l’aldilà Il ricordo della morte

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Se dunque le tappe della via mistica sono pienamente stabilite e individuate da al-Ghazālī in modo omogeneo nelle due opere, le tappe del comportamento lodevole si legano a quelle del culto e dell’analisi teologica: la dimensione pubblica dell’agire religioso è un’estensione e un completamento dei princìpi teologici e cultuali.

2. Il Libro dei quaranta principi della religione e la dimensione pubbli-ca della religione nel pensiero di al-Ghazālī

La dialettica tra “esteriore” e “interiore” appare il fil rouge che attraversa gran parte del pensiero ghazaliano e rappresenta la cifra delle sue opere teologiche ed etiche più importanti. Tale dialettica si incarna nelle coppie dicotomiche di culto pubblico e religiosità priva-ta, messaggio esoterico ed essoterico della religione, scienze profane e scienze religiose ecc. Come si è accennato tuttavia questa dialettica non appare mai come una contrapposizione tra elementi inconcilia-bili, un “aut-aut”: si tratta piuttosto di una costante ricerca di equili-brio tra tendenze opposte che non vanno eliminate, ma “moderate” in vista del raggiungimento della giustizia intesa come lontananza da ogni eccesso.

2.1. La politica e il diritto

Risulta particolarmente interessante considerare la definizione della politica nell’epistemologia ghazaliana: il ruolo che ad essa viene asse-gnato nella classificazione delle scienze elaborata dal grande teologo nella Rinascita delle scienze religiose dimostra da un lato l’importanza delle scienze della praxis rispetto a quelle puramente speculative e, dall’altro, rappresenta un ulteriore esempio della dialettica generale che attraversa la riflessione ghazaliana10.

Al-Ghazālī riprende e sistematizza la classica divisione delle scien-ze in religiose (‘ulūm shar’iyya) e razionali (‘ulūm ‘aqliyya) o profane

10 Per un’analitica classificazione delle scienze in contesto islamico si veda il classico L. Gardet - G.C. Anawati, Introduction à la Théologie Musulmane. Essai de théologie comparée, Vrin, Paris, 1948.

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(ghayr sharīʽa)11 e nella Rinascita sottolinea che la politica necessita innanzi tutto delle scienze religiose. La politica (syāsa) viene infat-ti definita dalla sua funzione: si tratta di una scienza indispensabile all’uomo perché gli fornisce i mezzi per vivere in società bene ordinate e solo una vita in società permette all’uomo di creare le premesse per la salvezza nell’aldilà. Questa definizione della politica e dell’uomo come animale sociale appare in aperta polemica sia con le dottrine fi-losofiche sia con la tendenza all’isolamento dal mondo di parte del misticismo che sembra prefigurare un percorso di salvezza esclusiva-mente individuale12.

Anche le scienze religiose si distinguono in scienze relative a que-sto mondo (dunyā) e scienze escatologiche che sono relative alla sal-vezza dell’anima nell’aldilà; all’interno delle prime il fiqh13 – il dirit-to – riveste un’importanza particolare per la politica: esso riguarda la dimensione pubblica e sociale della religione, gli atti di culto esteriori che regolano la vita del credente e il suo comportamento sociale, i rap-porti tra musulmani.

Ma il fiqh come scienza religiosa rappresenta anche «un’attitudine dello spirito e un metodo che appartiene alla scienza detta dei fon-damenti del diritto (usūl al-fiqh) di fissare le regole, assegnando alla ragione la sua funzione e i suoi limiti»14. Sia la funzione sociale del fiqh (che assicura le regole fondamentali per il buon vivere sociale) sia la sua funzione epistemologica di porre un limite alla ricerca razionale e indipendente dell’uomo, ponendo le basi di un’etica condivisa costrui-ta sulla Parola di Dio15, rendono questa scienza il principale fondamen-

11 Cfr. H. Laoust, La politique de Ghazālī, cit., p. 195. 12 Si pensi alle utopie filosofiche degli autori andalusi Avempace e Ibn Tufayl che nelle loro

opere prefigurano percorsi di formazione o realizzazione puramente individuali; cfr. Ibn Bājja, Il regime del Solitario, a cura di M. Campanini - A. Illuminati, bur, Milano 2002; o a quello del mae- stro di Averroè, Ibn Tufayl, Epistola di Hayy Ibn Yaqzān. I segreti della filosofia orientale, a cura di P. Carusi, Rusconi, Milano 1983. Per ragioni cronologiche e geografiche quando al-Ghazālī si confronta con le teorie dei falāsifa ha in mente le opere di Avicenna e, per quanto riguarda le dottrine etiche, le dottrine dei teologi muʽtaziliti.

13 La scienza del diritto ha come oggetto la conoscenza delle legge sacra (sharīʽa). Nei trattati di fiqh si trovano le regole relative agli atti del culto (‘ibādāt) e quelle relative alle muʽāmalāt, ossia le regole riguardanti i rapporti tra gli uomini (contratti, matrimoni, illeciti, ecc.).

14 Cfr. H. Laoust, op. cit., p. 196.15 Al-Ghazālī pone una parola definitiva al dibattito sull’etica islamica che aveva interessato i

teologi muʽtaziliti da un lato e quelli ‘ashariti dall’altro: mentre i primi sostenevano l’oggettività

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to della politica. Sebbene dunque le scienze religiose che riguardano direttamente la salvezza dell’anima nell’aldilà siano assiologicamente superori, il fiqh come scienza religiosa che riguarda il mondo terreno e contingente (dunyā) risulta fondamentale come premessa a qualsia-si prospettiva escatologica: crea infatti le condizioni per un’ordinata vita sociale, unico contesto in cui è pensabile un percorso di salvezza, senza contare che è la dimensione comunitaria della umma – quindi una dimensione sociale e politica – a guidare quasi tutta la riflessione ghazaliana.

Nel Libro dei quaranta princìpi della religione (Kitāb al Arbaʽīn fī usūl al-dīn)16 riguardo al rapporto tra escatologia e atti del culto si trova la metafora che descrive tale relazione come quella tra forma e contenuto: una delle differenze tra il mondo ultraterreno e il mondo ter-reno (il mondo dell’inganno) riguarda la corrispondenza tra apparenza e realtà, tra esteriore e interiore; mentre nel primo forma e contenuto si corrispondono perfettamente ed è possibile conoscere le cose così come sono e appaiono, nel nostro mondo spesso l’apparenza delle cose nasconde contenuti diversi.

«E così vedrai la tua anima dopo la morte, poiché il significato nel mondo ultraterreno produce le forme e non è loro subordinato. E così ogni cosa si raffigura in modo parallelo al suo significato (corrispondenza tra forma e con-tenuto). I superbi vengono radunati nei buchi delle formiche e sono schiac-ciati quelli che vengono e vanno mentre gli umili sono rispettati. E invece per quanto riguarda questo mondo, il mondo dell’inganno, si trova il contenuto del maiale e del cane nella forma dell’uomo ma tu non farti ingannare da ciò. E questo si scoprirà nel giorno del giudizio»17.

Nell’aldilà forma e contenuto tornano a corrispondersi perfettamen-te e così i superbi vengono puniti e gli umili rispettati. La vera fede fa

dell’etica, basata sui concetti razionali di bene e male, gli Ashʽariti come Ghazālī sostenevano una concezione soggettivistica dell’etica per cui è buono solo ciò che Dio giudica tale, indipendente-mente dal giudizio dell’uomo. Sull’etica islamica in generale si veda M. Fakhry, Ethical Theories in Islam, Brill, Leiden 1994; si veda anche D. Burrel, Al Ghazālī: Faith in Divine Unity and Trust in Divine Providence, Four Courts Press, Dublin 2001.

16 Abū Hāmid Al-Ghazālī, Kitāb al Arbaʽīn fī usūl al-dīn, a cura di M.M. Abū’l-ʽAlā, Makta-bat al-Jindī, Cairo 1970.

17 Al-Ghazālī, Kitāb al Arbaʽīn, cit., p. 57.

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corrispondere il comportamento esteriore con il sentimento interiore e rappresenta l’unica strada possibile verso la salvezza nel giorno del giudizio18.

2.2. La via mediana tra misticismo e filosofia

L’importanza dell’aspetto esteriore e sociale della religione, così come la priorità della dimensione etico-pratica su quella speculativa si fondano su una precisa visione antropologica ripresa principalmente dal testo sacro e dalla sunna. Si è altrove definita l’antropologia di al-Ghazālī come un’antropologia «divina», poiché il desiderio di Dio deve necessariamente tradursi nel perfezionamento dell’uomo che a Dio aspira, e al contempo un’antropologia «coranica», poiché il testo è il punto di riferimento obbligato tanto della meditazione quanto della condotta pratica del credente19. Egli riesce a far convergere nella sua antropologia elementi diversi e apparentemente inconciliabili come l’aspirazione a Dio propria del mistico (sete mistica del divino) e il necessario rispetto delle pratiche esteriori che si traduce anche nella salvaguardia di un dato ordine sociale; questa sintesi tenta di superare la dualità tra la legge esteriore e la legge interiore. La retta bilancia del comportamento etico si equilibra grazie ad entrambe le dimensioni e la prospettiva della salvezza, così come la tensione mistica non annullano affatto il valore delle relazioni sociali.

Lo stesso vale per quanto riguarda le dottrine filosofiche (Avicenna e al-Fārābī) relative alla contemplazione e alla congiunzione con l’In-telligenza Agente come scopo della vita speculativa20: sottolineando

18 Non rappresenta tuttavia una garanzia di salvezza: per al-Ghazālī e in genere per gli Ashʽariti Dio non è vincolato ad alcun obbligo di giustizia, quindi nemmeno a premiare o punire i buoni con il Paradiso e i malvagi con l’Inferno; tuttavia al-Ghazālī sottolinea la prevedibilità del comportamento divino (l’uomo non può essere tanto folle da temere che il sole non illumini più la terra). L’obiettivo polemico dell’autore sono soprattutto i teologi muʽtaziliti e l’idea di un’etica oggettiva che vincola il comportamento divino limitandone l’assoluta libertà e onnipotenza.

19 Cfr. l’introduzione di Campanini a Abū Hamīd al-Ghazālī, La bilancia dell’azione e altri scritti, cit.

20 L’etica filosofica è fondamentalmente oggettivistica e vede nel raggiungimento della feli-cità mentale lo scopo della vita dell’uomo. Esistono tuttavia due modi di intendere la relazione tra etica e vita politica nelle dottrine filosofiche islamiche: la prima, sostenuta da al-Fārābī e in parte da Averroè, vede il raggiungimento della congiunzione con l’Intelligenza Agente perseguibile

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il valore assoluto e insostituibile del rispetto delle pratiche del culto (‘ibādāt) per tutti i credenti, al-Ghazālī intende descrivere una società in cui la convivenza si basa sul rispetto delle regole codificate dal fiqh e in cui nessuno può sentirsi esente da questo dovere. La dimensio-ne fortemente comunitaria dell’islam determina in al-Ghazālī il rifiuto dell’idea di un particolarismo della grazia: la felicità mentale dei filo-sofi e quella spirituale dei mistici risultano inaccessibili ai più e pre-scindono dallo stato in cui si trova la comunità (umma), per questo non è possibile esaurire nell’una o nell’altra le possibilità di una condotta di vita virtuosa.

L’aspetto normativo della sharīʽa è dunque quello prevalente nel discorso etico ghazaliano, rispetto sia a quello razionale sia a quello mistico; per questo la dimensione religiosa autentica è quella dell’a-zione conforme alla legge di Dio e della retta condotta della vita, più che la dimensione puramente astratta delle dispute dialettiche o filoso-fiche sull’essenza di Dio. Nella dialettica tra scienza e azione prevale dunque la seconda, intendendo con ciò l’importanza della dimensio-ne etico-pratica rispetto agli eccessi del razionalismo filosofico e del misticismo. D’altra parte, l’etica ghazaliana è un’etica di equilibrio e di bilanciamento in cui una dimensione non esclude mai l’altra: per questo la dimensione esteriore del culto e la dimensione interiore si corrispondono e si completano a vicenda. Da qui la necessità di agire bene verso i musulmani come strada maestra per il perfezionamento interiore. I diritti dei musulmani come doveri sociali si trovano trattati nel Libro dei quaranta princìpi della religione: la benevolenza verso i deboli, l’equità verso i figli e la generosità nei confronti dei fratelli di fede, doveri da cui né il mistico né il filosofo possono esimersi, avendo degli obblighi nei confronti di coloro che li circondano.

Tra i numerosi esempi di doveri sociali che si possono trovare nel Libro dei quaranta princìpi della religione alcuni appaiono particolar-mente significativi in questo senso poiché sottolineano il valore asso-luto dell’unità della comunità dei credenti:

nell’ambito di una società politica ideale, d’altra parte la tendenza che individua lo scopo dell’e-tica nella ricerca della felicità attraverso l’isolamento è caratteristica di pensatori andalusi come Ibn Baājja (Avempace) e Ibn Tufayl, nelle cui opere il filosofo solitario persegue una perfezione spirituale che non può essere condivisa dal volgo.

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«[e tra queste cose vi è] che tu ti affretti a fare la pace con ogni musulmano e tenda lui la mano, così da avere il vantaggio di avere iniziato. Ha detto l’in-viato di Dio – Dio lo benedica e gli dia eterna salute – se due pii musulmani si incontrano e si tendono la mano, sono divise tra loro settanta misericordie, 69 [delle quali] al più pio dei due».

E ancora si legge

«E tra queste cose vi è che si rispettino i vecchi e si abbia pietà verso i fanciul-li. Ha detto – su di lui la pace – “non è dei nostri chi non ha pietà verso i nostri piccoli e chi non rispetta i nostri vecchi”, ha anche detto: “Fa parte dell’onore verso Dio altissimo il rispetto verso gli anziani musulmani”»21.

Riguardo al primo punto è chiaro il valore fondamentale che viene dato da al-Ghazālī alla pace sociale tra credenti e all’unità della comu-nità, all’interno della quale, come dimostra il secondo punto, è neces-sario rispettare l’ordine delle relazioni sociali, al fine di garantire una buona convivenza tra musulmani.

2.3. L’etica ghazaliana e la bilancia dell’azione

In questo contesto appare importante anche il riferimento, già fatto nel primo paragrafo, al testo della Bilancia dell’Azione dove la scienza della bilancia (‘ilm al-nizām) guida il comportamento etico lontano da ogni tipo di eccesso: l’etica dell’equilibrio di cui parla al-Ghazālī è l’etica coranica che presuppone una condotta attiva alla ricerca di un equilibrio tra l’interiorità e l’esteriorità, tra dimensione spirituale e pra-tica, dal momento che i comportamenti esteriori sono lo specchio della fede interiore. Il principio fondamentale è dunque la ricerca del “giusto mezzo”, di una via mediana (iqtisād), caratteristica del pensiero ghaza-liano, che riguarda l’individuo, ma anche la comunità politica che deve essere regolata in base al precetto «dell’ordinare il bene e proibire il male» (al-amr bi’l-maʽrūf wa an-nahy ‘an al-munkar)22. Questo impli-

21 Al-Ghazālī, Kitāb al Arbaʽīn, cit., pp. 58-59. 22 Si tratta di un principio che si trova più volte nel Corano stesso, si veda ad esempio (Q, 2:

143, Q, 3: 104 e 110); cfr. M. Cook, Commanding right and forbidding wrong in Islamic thought, Cambridge University Press, Cambridge 2000.

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ca la necessità per il musulmano di correggere i torti e propagandare il messaggio dell’islam, attraverso lo sforzo sulla via di Dio (jihād), ma soprattutto il dovere di combattere gli eccessi dell’animo umano (il grande jihād che si contrappone al piccolo jihād combattuto con le armi)23. Nella sunna del Profeta si trovano sostanzialmente riaffermati i principi dell’etica coranica e la visione dell’islam come dīn wa dunyā, religione e mondo, integrazione ed equilibrio tra gli aspetti religiosi, spirituali e cultuali, e la concretezza dei rapporti sociali. Alla bilancia (mīzān) dell’aldilà, su cui Dio peserà le azioni dell’uomo, corrisponde, in questo mondo, la bilancia della Legge (sharīʽa).

È la giustizia (‘adl) il principio ispiratore dell’etica ghazaliana e la giustizia nell’islam richiama l’idea di equilibrio e di bilanciamento, di lontananza da ogni forma di eccesso: il giurista tunisino Yadh Ben Achour ha scritto che nell’islam non esiste una «passione per la giusti-zia», poiché la giustizia del diritto implica la lontananza dall’eccesso delle passioni24. Un’idea che si trova perfettamente chiarita e svilup-pata nelle opere ghazaliane dove l’equilibrio tra le parti deve essere la cifra tanto dell’amministrazione pubblica della città così come della condotta di vita individuale.

2.4. Corrispondenze: l’anima e la comunità politica

Si arriva dunque a un ulteriore aspetto della dialettica esteriore-in-teriore: la corrispondenza, sottolineata in precedenza, tra microcosmo e macrocosmo, tra individuo e comunità politica. Si trovano nel Libro dei quaranta princìpi della religione diverse metafore relative alla re-lazione tra governo dell’anima e governo della città come equilibrio tra forze e spinte contrapposte. Così come all’uomo corrisponde una doppia natura (per metà angelo e per metà bestia25) che si esplica nella relazione tra le diverse parti dell’anima (razionale e concupiscibile), la società è formata da diverse componenti che vanno equilibrate e am-

23 Cfr. A. Morabia, Le gihad dans l’Islam médiéval, Albin Michel, Paris 1993 e R. Peters, Jihad in Medieval and Modern Islam, Brill, Leiden 1977.

24 Cfr. Y. Ben Achour, L’idea di giustizia naturale nel pensiero giuridico sunnita, in «Dai-mon» 4 (2004), pp. 225-242.

25 H. Laoust, op. cit., p. 215.

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ministrate secondo una direzione precisa. All’interno dell’anima l’in-telletto deve guidare e tenere a freno gli eccessi della parte passionale dell’anima, così come il cavaliere nella caccia deve saper controllare l’istinto del cavallo e del cane che lo accompagnano, metafora, questa, utilizzata nel Libro dei quaranta princìpi della religione:

«Così tu considerando la tua rabbia [istinto aggressivo] sei un cane, conside-rando il tuo desiderio sei un animale – come il cavallo ad esempio, conside-rando il tuo intelletto sei un re e tu devi fare giustizia tra loro, difendere i loro diritti [dar loro quel che gli spetta] ed aiutarli, per ottenere servendoti di loro la gioia perenne»26.

L’anima umana è dunque terreno di una lotta continua tra religione (dīn) e passione (hawā): il rispetto delle pratiche del culto (la religio-sità esteriore) rappresenta una conditio sine qua non per intraprende-re un percorso di approfondimento spirituale, d’altra parte la purezza dell’intenzione è ciò che rende un atto di culto gradito a Dio, ma solo Dio potrà giudicarla. Per questo, alla scienza dello svelamento interio-re (mukashafa) praticata dal misticismo, al-Ghazālī oppone lo sforzo umano nella pratica (muʽāmala) del bene che necessita comunque di una ricerca spirituale come fondamento, ma che si traduce in una prassi esteriore con un valore sociale.

È possibile individuare i tratti di un’etica specificatamente mistica, l’etica dei sūfī che in parte ritroviamo negli scritti ghazaliani, data an-che la sua personale esperienza biografica sopra richiamata: si tratta di una morale sostanzialmente ascetica e di rinuncia al mondo che però non esclude completamente la dimensione dei rapporti sociali. L’etica dei sūfī è una pratica di vita in vista del contatto con Dio, ma, a differen-za del “misticismo intellettuale” dei filosofi “solitari” che ricercano la congiunzione con l’Intelligenza Agente attraverso un perfezionamento intellettuale, il mistico è un uomo di azione che ricerca l’esperienza del contatto con Dio, esperienza assolutamente incomunicabile ad altri.

Al-Ghazālī non esclude dal suo orizzonte la pratica mistica, tan-to più che egli stesso si ritirò in isolamento per diversi anni, sebbene da questa esperienza di ricerca interiore deduca che la dimensione di

26 Al-Ghazālī, Kitāb al-‘arbaʽīn, cit., p. 57.

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vita comunitaria sia sempre preferibile al ritiro ascetico. Al linguag-gio mistico appartiene il riferimento al cuore (qalb), non tanto come organo corporeo, ma come sede dello spirito (rūh) e come realtà sot-tile (latīfa), divina (rabbāniyya) e immateriale che costituisce la vera essenza dell’uomo. Alla fede del cuore si affianca allora la fede della lingua (lisān), la fede pronunciata verso l’esterno: alla dimensione in-teriore corrisponde l’aspetto esteriore e sociale della fede, altrettanto importante, e i due devono corrispondersi.

Che sia dunque un percorso di ascesi mistico-spirituale o di perfezio-namento intellettuale, la vita puramente contemplativa non rappresenta per al-Ghazālī lo scopo dell’uomo né realizza la sua vera essenza27.

Si legge nel Libro dei quaranta princìpi della religione:

«quanto ai negligenti [nei confronti dei doveri della fede], ci si guardi da loro. Ha detto l’inviato di Dio – su di lui la pace – la solitudine è migliore della catti-va compagnia e la compagnia dell’uomo onesto è migliore della solitudine»28.

Questo riferimento al hadīth profetico indica l’importanza della di-mensione sociale e comunitaria: l’uomo è necessariamente un animale politico per al-Ghazālī e in tutte le sue opere si trovano numerose me-tafore che descrivono le corrispondenze tra il governo di se stessi e il governo della città; l’intelletto per l’uomo è come un re che governa la città-anima ed equilibra le sue diverse componenti. All’ordine interiore deve corrispondere l’ordine esteriore.

«Lo scopo di ogni politica, che sia per l’uomo la politica della sua condotta personale, della direzione e amministrazione della famiglia, della città o della nazione, è di prepararsi e preparare gli altri alla felicità ultraterrena, la sola che conta e di cui solo la rivelazione, attraverso la mediazione del profetismo e l’aiuto della ragione, può farci conoscere condizioni e mezzi. “La legge ri-velata è per l’uomo ciò che sono per un re o un governante, il loro consigliere e il loro vizir: il primo lo illumina con i suoi consigli e il secondo lo aiuta nell’amministrazione degli affari”»29.

27 Come invece era per i filoosofi; si vedano gli studi di M. Abu’l-Quasem sull’etica ghza-liana, in particolare cfr. M. Abu’l-Quasem, Al-Ghazālī’s Rejection of Philosophic Ethics, «Isla-mic Studies» 12 (1974), pp. 111-127; Id., Al-Ghazālī’s Conception of Happiness, «Arabica» 22 (1975), pp. 153-162.

28 Al-Ghazālī, Kitāb al-‘arbaʽīn, cit., p. 61.29 H. Laoust, op. cit., pp. 227-228.

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Un accenno a parte merita la discussione rispetto al cosiddetto quie-tismo politico di al-Ghazālī: se la preoccupazione principale dell’auto-re è la salvaguardia dell’equilibrio della comunità politica come con-dizione per la salvezza spirituale, risulta chiaro che anche il discorso sul potere politico e la sua legittimità ne è condizionato. Combattendo le dottrine ismā‘īlite30 sulla necessità storica dell’imamato infallibi-le, l’autore sottolinea che il potere del califfato (o imamato supremo) non è giustificabile razionalmente, ma è prescritto dalla Legge sacra ed è dunque un dovere religioso. Il potere politico è stabilito da Dio e opporsi a esso significa opporsi alla volontà di Dio. D’altra parte al-Ghazālī riconosce anche la legittimazione data dall’uso della forza militare detenuta dai sultani e la sua appare ancora una volta come una posizione di equilibrio tra due estremi: le pretese del califfato come potere supremo e spirituale di tutta la comunità religiosa e la forza militare dei vari sultani che esercitavano de facto il controllo ammini-strativo nelle diverse regioni del mondo islamico.

2.5. Conclusioni

In definitiva, nello sviluppo del pensiero di al-Ghazālī si può evi-denziare un perenne richiamo al valore etico-pratico della conoscenza e alla necessità di indirizzare la scienza all’azione. Al-Ghazālī sembra riuscire a sintetizzare in modo esemplare ed equilibrato le diverse de-clinazioni della cultura islamica: il forte richiamo al legalismo giu-ridico non esclude il ricorso e la legittimazione dell’argomentazione filosofica e si combina con la ricerca mistica del contatto con Dio. La dimensione della praxis risulta dunque prevalente, sebbene non esclu-siva, e questo vale anche considerando la relazione tra culto pubblico e religiosità intima.

L’analisi delle opere ghazaliane e, in particolare, il richiamo al Li-bro dei quaranta princìpi della religione a cui si è fatto riferimento evidenziano dunque una costante tensione dialettica presente nelle opere del grande teologo, tensione tra l’aspetto esteriore e interiore della fede, tra il messaggio essoterico e quello esoterico della Rivela-

30 Cfr. nota 6.

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zione, tra ricerca spirituale e azione sociale, tra individuo e dimensione comunitaria. Come si è cercato di chiarire, il tentativo ghazaliano tende alla conciliazione tra i due estremi opposti in una costante ricerca di equilibrio che tenga conto dell’aspetto interiore e spirituale all’interno del contesto sociale.

Appare tuttavia evidente che, combattendo soprattutto quelle che ai suoi occhi apparivano estremizzazioni del misticismo e del razionali-smo filosofico nella svalutazione dell’aspetto esteriore della fede e del culto in favore di una ricerca spirituale e individuale compiuta attraver-so la contemplazione e la ragione, al-Ghazālī sottolinei maggiormen-te l’importanza della dimensione pubblica della religione e del valore delle pratiche cultuali, dando loro una sorta di priorità sulla ricerca interiore: questo perché la fede del cuore non potrà giudicarla che Dio, mentre la fede espressa attraverso le pratiche del culto assicura l’ordine e la pace sociale necessari alla comunità. Per questo la politica deve innanzi tutto trovare i suoi fondamenti nel fiqh, nel diritto islamico, testimoniando una volta di più che l’islam è prima di tutto religione di legge e orto-prassi più che ortodossia.

Abstract

The episode of Namaan the Syrian is not referred to in the Qu’ran, but regards a problem that can be considered characteristic of Isla-mic ideology: that of the relationship between the public and priva-te dimensions of religion and worship. An analysis of the figure and thought of Abu Hamid al-Ghazālī (1058-1111), considered one of the pillars of Sunni doctrine and practice, appears particularly relevant to this question. His most important work, the 40 volume Rebirth of the Religious Sciences, and its Arabic summary, the Book of the 40 Religious Principles or Kitab al-arba’in fi usul al-din, which this pa-per examines in particular, are an actual demonstration of this at-tempt to mirror the earth in the heavens and the heavens on earth, through, above all, the example of the prophet Mohammed and his exemplary behaviour, the sunna.

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