La democrazia contesa. Garanzia ed esecuzione della Costituzione in Carl Schmitt e Hans Kelsen

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L’ACROPOLI rivista bimestrale diretta da Giuseppe Galasso 6/novembre 2007 Anno VIII Rubbettino Editore L’ACROPOLI 6/novembre 2007 Rubbettino 8,00 Editoriale Un sommesso richiamo [G.G.] 653 Saggi Giuseppe Galasso, Europa: la via dei trattati 657 Sandro Petriccione, La geopolitica del gas 662 Maurizio Ambrogi, Perché serve il Partito Democratico 668 Dialoghi Fabio Ciaramelli - David Webb, Heidegger: tra diffe- renza ontologica e problema della politica 672 Rassegne Fabrizio Mastromartino, La democrazia contesa: ga- ranzia ed esecuzione della costituzione in Carl Schmitt e Hans Kelsen 685 Appunti e Note Dario Ippolito, Beccaria, la pena di morte e la tentazio- ne dell’abolizionismo 701 Alessandro Pierno, La valutazione del libro antico 716 Rendiconti Giulio Sodano, Il vescovo Vittore Soranzo tra storia e storiografia 722 Daniela Piemontino, La censura sulla stampa nell’età delle riforme e delle rivoluzioni (1750-1820) 730 Gian Luigi Capurso, Il Giano bifronte di società e isti- tuzioni 737 Opinioni Sossio Giametta, Croce e l’abate Galiani 744 Indice dell’annata VIII (2007) 752 Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 1, DCB CMP Lamezia Terme - Poste Italiane - Spedizione in A.P. Tabella B - Autorizzazione DCB/CZ/87/2004 - Valida dal 01/04/04 Rubbettino

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L’ACROPOLIrivista bimestrale diretta da Giuseppe Galasso

6/novembre 2007

Anno VIII Rubbettino Editore

L’AC

ROPO

LI 6/novembre 2007

Ru

bbettino

€ 8,00

Editoriale

Un sommesso richiamo [G.G.] 653

Saggi

Giuseppe Galasso, Europa: la via dei trattati 657Sandro Petriccione, La geopolitica del gas 662Maurizio Ambrogi, Perché serve il Partito Democratico 668

Dialoghi

Fabio Ciaramelli - David Webb, Heidegger: tra diffe-renza ontologica e problema della politica 672

Rassegne

Fabrizio Mastromartino, La democrazia contesa: ga -ranzia ed esecuzione della costituzione in Carl Schmitt e

Hans Kelsen 685

Appunti e Note

Dario Ippolito, Beccaria, la pena di morte e la tentazio-ne dell’abolizionismo 701

Alessandro Pierno, La valutazione del libro antico 716

Rendiconti

Giulio Sodano, Il vescovo Vittore Soranzo tra storia estoriografia 722

Daniela Piemontino, La censura sulla stampa nell’etàdelle riforme e delle rivoluzioni (1750-1820) 730

Gian Luigi Capurso, Il Giano bifronte di società e isti-tuzioni 737

Opinioni

Sossio Giametta, Croce e l’abate Galiani 744

Indice dell’annata VIII (2007) 752

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Irivista bimestrale

diretta da Giuseppe Galasso

ANNO VIII - n. 6novembre 2007

Rubbettino

L’ACROPOLI

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LA DEMOCRAZIA CONTESA: GARANZIA ED ESECUZIONE DELLA CO-STITUZIONE IN CARL SCHMITT E HANS KELSEN

1. Azzariti e la democrazia identitaria

Non è certo nuova la denuncia delle inefficienze strutturali della democrazia rap-presentativa. Così come è ormai un dato acquisito – quasi un luogo comune a tutti no-to – la diagnosi apparentemente inequivocabile circa l’inedita crisi che oggi attraver-sano lo Stato moderno e il complesso dei suoi organi di funzionamento: il metodo elet-torale, la rappresentanza politica e la struttura e la dinamica del sistema parlamenta-re: la contestazione dei meccanismi elettorali proporzionali, ritenuti – non importa sea torto o a ragione – la principale causa della frammentazione parlamentare; il pro-gressivo svuotamento della rappresentanza, della perdita di radicamento dei partitipolitici nella società e della conseguente erosione della loro capacità rappresentativa;infine, i riflessi che gli elementi suddetti producono sul sistema parlamentare: da unlato, il deficit di rappresentanza – e quindi di legittimità – di cui è investito l’organolegislativo; dall’altro, la perdurante sfiducia dell’opinione pubblica (quella italiana,per esempio) nella capacità di governo di coalizioni plurali, variegate, frammentate,per molti versi paradossalmente divise, che si avvicendano al potere. Tutti temi fintroppo noti. Tanto presenti nell’odierna cultura della crisi – che nostalgicamente ri-porta alle ragioni profetiche della migliore filosofia (soprattutto tedesca) dell’iniziodel secolo scorso – da costituire questioni quotidianamente dibattute non soltanto neicircoli accademici e negli ambienti politici, ma anche entro la più ampia sfera genera-le dell’opinione pubblica.

La registrazione dello stato di crisi della democrazia rappresentativa, sfondo delnostro tempo sul quale si appuntano i nuovi scenari aperti dalla globalizzazione e daiprocessi di integrazione regionale, si salda con la critica, talvolta anche sprezzante, del-l’elemento sul quale si erige il sistema democratico: il parlamentarismo; quel modellointeso a realizzare i principi di rappresentanza (dell’elettorato) e di maggioranza (inrapporto alla volontà, prima elettorale e poi parlamentare del popolo) senza i quali lastessa forma democratica dello Stato verrebbe senz’altro meno. La crisi della demo-crazia rappresentativa è, insomma, crisi del parlamentarismo: messa in discussione ra-dicale delle prerogative del parlamento, della sua efficienza e, in ultimo, della sua ri-levanza materiale.

Una crisi che è comunemente ritenuta palese per la conclamata incapacità dimo-strata dall’organo legislativo nel regolare questioni sociali e strategiche di lungo perio-do che trova le sue ragioni innanzitutto nella frammentazione parlamentare – fattore,peraltro, strutturale del pluralismo politico delle società complesse – e, in secondo luo-go, nella discontinuità di governo favorita dal regime dell’alternanza. Questi elementifavoriscono un atteggiamento di generale diffidenza in rapporto al parlamento, al cuisistema, sempre più integrato con i poteri economici nazionali e transnazionali e spes-

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so colluso con la rete dei rapporti clientelari costruiti a beneficio degli interessi privatidi parti minoritarie della società, viene opposto il potere dell’organo deputato al con-trollo giurisdizionale sulla costituzionalità delle leggi, investito di un ruolo di garanziache si crede spesso salvifico e compensativo della corruzione (patologica) e delle inef-ficienze e delle inadempienze (entrambe fisiologiche) dell’organo legislativo.

Su questi temi, di evidente attualità politica e di indubbio rilievo teorico, intervie-ne il recente libro di Gaetano Azzariti, Critica della democrazia identitaria1. Già autoredi importanti contributi sulle tematiche connesse al pluralismo, al parlamentarismo ealla giurisdizione costituzionale2, Azzariti, nel testo in oggetto, affronta i nodi della cri-si della democrazia rappresentativa secondo una visuale articolata e originale, incen-trata sul pensiero di una della figure più controverse del secolo scorso: il giurista e teo-rico politico Carl Schmitt che, dopo essere stato per lungo tempo ostracizzato, anchein Italia, dalla cultura giuridica e politica a causa della sua collaborazione con il nazio-nal-socialismo, e soltanto in anni recenti recuperato, tradotto e studiato, è oggi ritenu-to uno dei massimi epigoni della tradizione politologica tedesca del Novecento.

La teorica schmittiana disegna un modello di democrazia (rappresentativa e costi-tuzionale) per molti versi “estremo”, essendo certamente il prodotto di una lettura“parziale” poiché indirizzata alle particolari circostanze del periodo in cui esso fuideato: la logorante crisi di quell’eccezionale laboratorio della democrazia che fu laRepubblica di Weimar. Un modello, dunque, orientato alle specifiche, ed evidente-mente irripetibili, condizioni di un contesto sociale e politico che oggi ci appare enor-memente lontano, certo non soltanto per via della distanza temporale che da esso cisepara. Profondamente distante, eppure, per altro verso, a noi tanto prossimo quan-to notevole è il lascito che da quell’esperienza hanno ereditato le nostre odierne de-mocrazie.

Weimar ha segnato indelebilmente l’inizio della vicenda del costituzionalismo del’900. Nella sua costituzione, entrata in vigore nel 1919, sono, infatti, già presenti glielementi che caratterizzeranno le costituzioni avanzate del secondo dopoguerra: ac-canto alla tradizionale parte del testo costituzionale consacrata alla definizione dei di-versi poteri in cui è articolato lo Stato, delle competenze dei suoi organi, così comedelle procedure formali che questi devono osservare nell’esercizio delle proprie fun-zioni, nella seconda parte della Costituzione sono elencati, per la prima volta in mo-do dettagliato e completo, i principi di indirizzo dell’ordinamento, i contenuti nor-mativi cui il Parlamento è tenuto a orientare la produzione legislativa; tale vincolo ma-teriale (e non già esclusivamente formale), cui sono sottoposti tutti i poteri statali, è,inoltre, rafforzato dalla predisposizione di una procedura aggravata per la revisionedella Costituzione e dalla previsione di forme di controllo giurisdizionale dell’attivitàlegislativa (che furono tuttavia istituite solo in parte).

Oltre che per il suo carattere fortemente innovativo nel panorama politico nove-centesco, il contesto di Weimar, la sua graduale dissoluzione verso il totalitarismo na-zista, costituisce ancora oggi un esempio emblematico della fenomenologia della de-mocrazia e del rischio incombente della sua crisi, della sua sempre possibile tragica fi-ne, da cui possono trarsi, pertanto, importanti insegnamenti per rispondere alle diffi-coltà che le nostre democrazie costituzionali sono oggi chiamate a superare. Del re-

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1 Roma-Bari, Laterza, 2005.2 Si vedano almeno: Forme e soggetti della democrazia pluralista. Considerazioni su continuità

e trasformazioni dello Stato costituzionale, Torino, Giappichelli, 2000 e Interpretazione e teoria deivalori: tornare alla Costituzione, in Aa.Vv., L’interpretazione della legge alle soglie del XXI secolo,a cura di A. Palazzo, Napoli, Esi, 2001.

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sto, come già si è avuto modo di osservare, la crisi della democrazia ha tuttora il suocentro nei nodi irrisolti formati dal parlamentarismo e dal meccanismo della rappre-sentanza politica, che della democrazia (appunto rappresentativa e parlamentare) co-stituiscono i principali elementi strutturali.

Ma la discussione del modello schmittiano, cui è in gran parte specificamente de-dicato il libro di Azzariti, appare altresì proficua per ragioni che nulla hanno a che ve-dere con il contesto storico in cui fu elaborato. La teorica di Schmitt in rapporto allademocrazia è per molti versi illuminante e suggestiva e per alcuni aspetti senza dubbioprofetica. Inoltre, si nutre delle linee di continuità, e soprattutto delle radicali diver-genze, con la concezione antagonista, e appunto per certi versi antitetica, di un altro il-lustre teorico del diritto e della politica: Hans Kelsen, il cui alto spessore pubblico e leidee rivoluzionarie, ma al contempo realistiche, sul piano dell’elaborazione del dirittohanno ispirato e largamente informato la svolta costituzionalistica della seconda metàdel ’900. Proprio il confronto tra queste due concezioni alternative della democrazia edella costituzione (la cui ricostruzione è svolta nei prossimi due paragrafi di questa no-ta) offre, da un lato, un’articolata chiave di lettura della crisi odierna del parlamentari-smo e, dall’altro, importanti elementi che appaiono utili non tanto ad impostare vere eproprie soluzioni quanto ad immaginare margini di interpretazione attraverso cui in-quadrare i nodi principali della crisi nonché la direzione verso la quale deve orientarsila prospettiva critica alla ricerca delle sue eventuali linee di soluzione.

Infine, la concezione della democrazia identitaria ricavabile dalla produzione teo-rica di Schmitt, delineando un modello che (come sarà illustrato) pone alla base del-la democrazia l’unità politica del popolo, la volontà generale della nazione, la comu-nanza di alcuni irrinunciabili interessi primari da parte dei cittadini che, per esempio,si riconoscono in una precisa forma di governo dello Stato, può essere utilmente ac-costata alle odierne forme della democrazia, fondate, per mezzo delle carte costitu-zionali, sui principi della sovranità popolare e dell’inviolabilità dei diritti fondamen-tali, che, insieme, costituiscono di essa le principali fonti di legittimazione. Tanto piùladdove si guardino le costituzioni come cataloghi di principi e diritti, informati a va-lori specifici, che quindi esprimono una visione del mondo relativa e parziale, cifraidentitaria del nostro particolare modello democratico.

2. Schmitt: la democrazia identitaria e la conservazione dell’unità dello Stato

Nella ricostruzione della teorica schmittiana, in relazione agli argomenti qui af-frontati, due sono le tematiche che appaiono più rilevanti e sulle quali vale la pena sof-fermarsi brevemente: la natura identitaria del modello di democrazia elaborato daSchmitt e il contributo del giurista tedesco al dibattito che si svolse durante gli anni’20 e ’30 nel contesto di Weimar in rapporto alla questione circa come assicurare lagaranzia della Costituzione. Se il primo tema appare espressione di un modello pre-valentemente astratto e fortemente dipendente da alcuni assunti teorici basilari, il se-condo tema è invece strutturalmente connesso al contesto in cui viene affrontato, al-la situazione concreta che ne motiva, peraltro, la discussione. Lo schema della demo-crazia identitaria delineato da Schmitt è un modello, per certi versi, “puro”, sebbenenon manchino elementi di evidente richiamo allo specifico contesto in cui fu elabora-to. Al contrario, la soluzione offerta da Schmitt al problema della garanzia della co-stituzione risponde palesemente alle difficoltà politiche sollevate dalla terribile crisidel parlamentarismo che sconvolse all’inizio degli anni ’30 il già fragile equilibrio del-la democrazia di Weimar.

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Nella visione organicistica di Schmitt, l’idea di democrazia è imperniata sull’ipo-statizzazione dell’unità politica del popolo e sull’assolutizzazione del principio mag-gioritario. Secondo una visuale ideale, democrazia è la forma di governo in cui vi è«identità […] dei governanti e dei governati»3. Questa identità tra Stato e popolo, os-serva Schmitt, permea anche la specifica versione in cui si è sviluppata la democraziaa partire dalla cesura rivoluzionaria. La «finzione» della rappresentanza, infatti, si pre-senta come un meccanismo «esistenziale» che ha la funzione di riprodurre proprioquesta identità, per così dire «rendendo visibile» il popolo, la sua volontà, la sua«unità politica»4. Essa assume una forma definita nello Stato, che appare a Schmittnient’altro che lo «status politico di un popolo»5, la cui unità si costruisce per mezzodell’applicazione del criterio amico/nemico secondo cui il nemico è ciò che estraneoall’unità del popolo, «è semplicemente l’altro, lo straniero»6. A definire la forma e laspecie dell’unità politica è la costituzione, in quanto «decisione politica fondamenta-le»7 della volontà generale. In essa si esprime l’identità organica del popolo, il quale,con la statuizione del testo costituzionale, esercita il proprio inappellabile potere co-stituente.

Ora, che questa natura identitaria del popolo, e conseguentemente della costitu-zione e dello Stato, sia il prodotto di una costruzione teoretica appunto organicistica,e non il risultato di un accertamento empirico circa la presunta unità politica reale delpopolo, emerge in tutta chiarezza. Ma è certo ancor più evidente se l’unità postulatada Schmitt, idealmente presupposta alla base dell’organizzazione dello Stato, viene ac-costata ai tratti strutturalmente pluralisti, e, pertanto, disomogenei, che caratterizza-no le società complesse. Il conflitto insanabile tra il modello ideale, che ipostatizza ar-tificialmente l’unitaria identità politica del popolo (in realtà inesistente e priva di al-cuna sostanza) e la concreta diversità plurale delle società complesse, e in specie delcontesto politico e sociale di Weimar, costringe Schmitt semplicemente a negare larealtà del pluralismo, a sconfessare i principi fondanti della democrazia e a delegitti-mare il suo principale strumento di funzionamento: il parlamento.

Eppure Schmitt non è affatto ignaro del carattere non certo omogeneo della so-cietà in cui vive. Egli è ben consapevole che il processo di modernizzazione e lo svi-luppo economico hanno creato le condizioni per una diversificazione sociale e cultu-rale (la cui espressione più acuta e allarmante è il conflitto di classe) irreversibile e da-gli effetti, pertanto, dirompenti e imprevedibili sugli equilibri che avevano caratteriz-zato l’organizzazione degli interessi della borghesia nella formazione dello Stato di di-ritto ottocentesco. E anzi inquadra il pluralismo con indiscutibile lucidità quando af-ferma che esso «indica il potere di più gruppi sociali sulla formazione della volontàstatale»8. L’organizzazione politica della società è descritta come uno «Stato dei par-titi»9. Questi, riconosce Schmitt, sono, per un verso, il principale strumento attraver-so cui si realizza la formazione della volontà statale, ma, per altro verso, rappresenta-

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3 In C. Schmitt, Verfassunglehre, 1928, trad. it. a cura di A. Caracciolo, Dottrina della costi-tuzione, Milano, Giuffrè, 1984; p. 307.

4 Ivi, p. 277.5 In C. Schmitt, Begriff des Politischen, 1932, trad. it. a cura di P. Schiera, Il concetto del ‘po-

litico’, in Le categorie del ‘politico’, cit.; p. 101.6 Ivi, p. 108.7 Idem, Dottrina della costituzione, op. cit. p. 41.8 In C. Schmitt, Der Hüter der Verfassung, 1931, trad. it. a cura di A. Caracciolo, Il custode

della costituzione, Giuffrè, Milano, 1981, p. 113.9 Ivi, p. 136.

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no il motore primario del processo di frammentazione dell’unità politica del popolo,la ragione decisiva della frantumazione dell’identità dello Stato.

In questo contesto, ad accrescere il già enorme potere dei partiti è, secondo Sch-mitt, il sistema elettorale proporzionale, che egli critica aspramente poiché in contra-sto con la presunta natura identitaria del popolo e dello Stato. Ne risulta un sostan-ziale svuotamento del principio maggioritario, trasformato in mero strumento di ade-sione delle minoranze alla volontà della maggioranza, e conseguentemente dei valorifondanti della democrazia. In continuità con il principio di identità alla base del suomodello di democrazia, Schmitt arriva infatti a sostenere che

Si distrugge il presupposto fondamentale di ogni democrazia, se si abbandona l’assioma chela minoranza risultata in minoranza voleva soltanto il risultato elettorale (non la sua volontàparticolare) ed abbia perciò aderito alla volontà della maggioranza come alla sua propriavolontà10.

Ecco che in questo modo la minoranza (senza la quale, peraltro, il concetto stessodi maggioranza non ha alcun senso) viene a perdere di qualsiasi rilevanza. Là dove co-stituisca poi un gruppo qualitativamente diverso rispetto al popolo organicamente in-teso essa diventa un tratto «anormale» entro la nazione, un elemento che, se minaccial’omogeneità del popolo, deve essere «eliminato», «annientato», in quanto irrimedia-bilmente eterogeneo in rapporto al carattere identitario dello Stato11.

Ma non è necessario considerare questo caso estremo e, per certi versi, ecceziona-le per verificare la distanza che sussiste tra questa visione schmittiana e i fondamentidella democrazia rappresentativa. È sufficiente, piuttosto, guardare a come Schmittriduce, fino ad azzerarlo, il peso della minoranza entro il sistema parlamentare e co-stituzionale. Perfino la procedura aggravata per la revisione della costituzione, secon-do cui per intervenire sul testo costituzionale è necessaria una maggioranza qualifica-ta, una maggioranza, in altri termini, che risulti da un’intesa tra la maggioranza di go-verno e una parte della minoranza, è declassata a strumento incompatibile con il prin-cipio democratico (dell’identità)12.

Anche in parlamento, la minoranza finisce per non rivestire alcun ruolo, non po-tendo far valere la propria volontà sulla soverchiante volontà della maggioranza. Af-finché la minoranza possa recuperare una determinante capacità di incidere sulle de-cisioni politiche, ad essa è lasciata la sola possibilità, una volta che saranno convoca-te nuove elezioni, di diventare a sua volta maggioranza13. È così che il parlamento è ri-dotto a un simulacro di democrazia in attesa di una nuova consultazione elettorale,unico momento in cui a tutti i membri del popolo, siano essi espressione della mino-ranza o della maggioranza, è consentito di far valere la propria individuale volontà.Ne deriva una radicale critica del parlamentarismo, rispetto al quale l’analisi schmit-tiana appare pesantemente condizionata dall’esame della situazione concreta della cri-si politica del contesto di Weimar.

Da un punto di vista ideale, afferma Schmitt, il parlamento dovrebbe essere «il tea-tro di un processo di mutamento, in cui la molteplicità dei contrasti, degli interessi edelle opinioni sociali, economiche, culturali e confessionali si trasformano nell’unità

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10 Ivi, p. 134.11 Cfr. G. Azzariti, Critica della democrazia identitaria, cit., p. 18. 12 Cfr. C. Schmitt, Legalität und Legitimität, 1932, trad. it., Legalità e legittimità, in Le catego-

rie del ‘politico’, cit., p. 238.13 Cfr. Ivi, pp. 236, 239 e 241.

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della volontà politica»14. La situazione concreta è però molto diversa. Il parlamentonelle società complesse, come la Germania di Weimar, diviene, aggiunge il giurista te-desco, «un ritratto fedele della divisione pluralistica dello Stato»15.

Da teatro di una discussione libera e costruttiva dei liberi rappresentanti del po-polo, da trasformatore degli interessi partitici in una volontà sovrapartitica il Parla-mento diventa il teatro di una divisione pluralistica delle forze sociali organizzate16.

E la divisione costringe a procrastinare la decisione, paralizzando di fatto i lavoriparlamentari e congelando il ruolo politico del parlamento, la cui inerzia, secondo ilpunto di vista decisionistico, appare direttamente proporzionale alla rilevanza asse-gnata alla funzione dibattimentale, alla dialettica tra maggioranza e minoranza. Sullafalsariga di Donoso Cortés, il giurista tedesco imputa alla classe borghese e alla suaideologia politica liberale la responsabilità di aver ridotto la democrazia parlamenta-re a un freddo compendio di regole e procedure, eretto sul principio di legalità la cuiapplicazione, afferma Schmitt, comporta che la politica statale venga a «consiste[re]nel fatto che alla fine non si governa o comanda più, poiché vengono fatte valere sol-tanto norme impersonalmente vigenti»17.

Per quanto tale ricostruzione consegua in gran parte dai presupposti teorici cheinformano il modello della democrazia identitaria elaborato dal giurista tedesco, nonsi può negare che la radicale critica schmittiana del parlamentarismo trovi gran partedelle sue ragioni (pragmatiche quindi e non già teoretiche) nell’aspra polemica con-tro l’ingovernabilità dello Stato tedesco risultata dall’effettiva impasse politica in cuiversava la Germania nei primi anni ’30, prima che Hitler conquistasse il potere. Cosìcome è del tutto evidente che la delegittimazione schmittiana del parlamento, in rap-porto al concreto contesto di Weimar, appaia come una registrazione di quanto stavaaccadendo in quegli anni turbolenti, una cronaca disincantata del crollo del regimedemocratico-parlamentare della Germania repubblicana.

È in questi termini, con lo sguardo dell’osservatore politico più che del teorico diprofessione, che Schmitt nel 1931 interviene nel dibattito sugli strumenti di garanzia del-la costituzione, ossia su chi deve essere (o più semplicemente chi è di fatto nella situa-zione concreta) il custode della costituzione. Già di per sé, spiega Schmitt in aperturadel suo contributo, la richiesta avanzata dalla società circa la difesa della costituzione èun «indizio di condizioni costituzionali critiche»18. Essa, pertanto, richiede rispostecommisurate allo stato eccezionale in cui versa la situazione politica: che appaiano, quin-di, efficacemente realizzabili e che siano capaci concretamente di venire in soccorso al-l’inefficienza ormai patologica e apparentemente irreversibile del Parlamento.

In questa situazione, con un organo legislativo palesemente incapace di governarea causa dell’effettiva impossibilità di comporre una maggioranza formata interamenteda partiti non eversivi rispetto al quadro costituzionale, il presidente del Reich apparea Schmitt l’unico in grado di proteggere la Costituzione. Sin dall’inizio degli anni ’30la massima carica dello Stato, il maresciallo Hindenburg, per compensare l’inattivitàforzata del Parlamento, dovuta anche alla crescita esponenziale del partito nazista e del-le altre forze anti-sistema, (nelle elezioni del settembre del 1930, prima, e soprattuttonelle tre consultazioni elettorali indette durante il 1932), aveva fatto ampio ricorso ai

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14 Idem, Il custode della costituzione, cit. p. 136.15 Ivi, p. 138.16 Ivi, p. 139.17 Idem, Legalità e legittimità, cit., p. 212.18 Idem, Il custode della costituzione, p. 9.

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poteri straordinari, attribuiti al Presidente nel quadro di una grave emergenza nazio-nale, previsti dalla Costituzione (soprattutto ex art. 48, in applicazione del quale il Pre-sidente in pratica si sostituiva al Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni).

Davanti a questo scenario, Schmitt avalla apertamente l’uso dei poteri straordina-ri da parte di Hindenburg, riconoscendo al Presidente il ruolo di unico custode dellaCostituzione, espressione di un potere che Schmitt considera «neutrale»19, capace nonsoltanto di operare delle scelte perentorie ed efficaci entro i limiti delineati dal qua-dro costituzionale, ma, peraltro, personalità rappresentante dell’unità politica delloStato in quanto organo eletto direttamente dal popolo.

Nel contesto del collasso della democrazia di Weimar, per Schmitt la legittima esi-genza della protezione e della garanzia della Costituzione non richiede per la sua ef-ficace implementazione alcun organo giurisdizionale di controllo dell’operato del po-tere legislativo. Ciò che, invece, appare necessario è che un organo dello Stato, che ab-bia ricevuto democraticamente un’investitura popolare, sia messo nelle condizioni digovernare al posto del Parlamento. La soluzione della domanda circa la difesa dellaCostituzione, pertanto, non rimanda ad alcun organo realmente terzo e imparziale cuisia attribuita la funzione di contrapporsi ai poteri dell’organo legislativo, contenen-doli e vincolandoli al dettato costituzionale. Il Parlamento doveva apparire a Schmittormai del tutto irrilevante: in quegli anni, non vi era più materialmente alcun potere(politico) da controllare per via giurisdizionale. Piuttosto, concludeva Schmitt,

La soluzione non si trova […] in un’oggettività non politica, ma in una politica capace diassumere decisioni, che tiene presente l’interesse dell’insieme e che è oggettivamente infor-mata20.

È a questa soluzione presidenziale, a questo tentativo disperato di difendere l’as-setto democratico e costituzionale, che Schmitt consegna il destino della stabilità edella durata della Repubblica di Weimar.

3. Kelsen: la difesa della minoranza e la garanzia della costituzione

Analogamente rispetto all’analisi svolta nel paragrafo che precede, nel ricostruirel’impianto teorico kelseniano ci si soffermerà ad esaminare rapidamente gli elementistrutturali del modello di democrazia rigorosamente pluralista elaborato dal giuristaaustriaco e i commenti critici di Kelsen relativamente alla soluzione sostenuta da Sch-mitt del problema della difesa e della garanzia della costituzione. Questa ricostruzio-ne speculare consentirà di poter utilmente impostare un confronto tra i due autori(svolto nel paragrafo successivo) dal quale trarre qualche appunto conclusivo (anno-tato nell’ultimo paragrafo) sulla odierna crisi del parlamentarismo costituzionale.

Come Schmitt, Kelsen condivide l’idea che «la democrazia significa identità di go-vernanti e di governati»21. Secondo una visuale ideale, essa, insieme al suo elementofondante: il principio maggioritario, costituisce una sintesi delle idee di libertà e dieguaglianza: della libertà politica (della libera auto-determinazione dell’individuo) e

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19 Cfr. Ivi, pp. 176 e 203.20 Ivi, p. 176.21 In H. Kelsen, Vom Wesen und Wert der Demokratie, 1929, trad. it. a cura di G. Melloni,

Essenza e valore della democrazia, in Idem La democrazia, a cura di M. Barberis, Bologna, Il Mu-lino, 1998, pp. 57-58.

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del riconoscimento dell’eguale dignità delle espressioni di tale libertà. La forma con-creta in cui questa concezione si realizza, la democrazia indiretta (cioè rappresentati-va) e parlamentare, trasforma l’assoluta autonomia politica dell’individuo nel princi-pio, peraltro relativo, di maggioranza: un sistema in cui «la volontà generale direttivanon è formata che da una maggioranza di eletti dalla maggioranza dei titolari dei di-ritti politici»22. In questa forma, la democrazia appare a Kelsen come «un metodo par-ticolare di selezione dei capi»23, un sistema di procedure inteso a restituire, attraver-so la «finzione»24 della rappresentanza, l’espressione della libera auto-determinazio-ne degli individui, della loro generale volontà collettiva.

L’idea della democrazia presuppone che la pluralità degli individui che formanouna comunità politica costituisca un’unità, una volontà, appunto, generale che resti-tuisca l’originaria identità organica del popolo. Questa presunta unità, che abbiamovisto essere fondante del modello schmittiano, per Kelsen non è altro che «un postu-lato etico-politico»25 che soltanto l’ideologia democratica assume come reale: un«ideale giusnaturalistico»26 cui non è associato alcun riferimento empirico. Piuttosto,di unità «politica», afferma Kelsen, si può parlare, in rapporto al popolo, soltanto inun senso normativo, in virtù del quale esso si presenta come un «sistema di atti indi-viduali»27 che indica la «sfera personale di validità»28 dell’ordinamento giuridico: inaltri termini, un insieme di individui che possono essere guardati, oltre che nella loroparticolare singolarità, come un’entità compatta e uniforme soltanto se consideratisotto il profilo dell’«oggetto del potere»29, ossia come soggetto passivo (destinatariodi norme) del sistema politico. Ma, osserva Kelsen, in un senso meno formalistico ilpopolo viene ad esistenza se e nella misura in cui assume un ruolo attivo, cioè quan-do è inteso come vero e proprio soggetto del potere: esercitando, all’origine del regi-me politico, il proprio potere costituente e, in un sistema già costituito, i propri dirit-ti politici nelle consultazioni elettorali. In entrambi i casi per mezzo dell’implementa-zione del principio di maggioranza, il quale, essendo un concetto strutturalmente re-lazionale, agisce come strumento di relativizzazione dell’auto-determinazione politi-ca e di traduzione della (presunta) unità politica del popolo nella volontà (material-mente) parziale della maggioranza.

Nel regime democratico-parlamentare, la creazione della volontà della maggioran-za avviene per via «indiretta», attraverso la mediazione della rappresentanza. Questa,afferma Kelsen, pur essendo dichiaratamente una «finzione»30, funziona comunque dafonte di legittimazione del parlamento, sotto il profilo della sovranità popolare, e con-sente il confronto, nel luogo deputato al dibattito parlamentare, tra opinioni divergen-ti, spesso in conflitto, rappresentative della volontà individuale degli elettori.

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22 Ivi, p. 72.23 Ivi, p. 132.24 Così per esempio Kelsen, General Theory of Law and State, 1945, trad. it. a cura di S. Cot-

ta e G. Treves Teoria generale del diritto e dello Stato, Milano, Etas, 1994, p. 296. 25 In H. Kelsen, Wer soll der Hüter der Verfassung sein?, 1931, trad. it. a cura di C. Geraci, Chi

dev’essere il custode della costituzione?, in Idem, La giustizia costituzionale, Giuffrè, Milano, 1981,p. 273.

26 Ivi, p. 288.27 In Kelsen, Essenza e valore della democrazia, cit., p. 59.28 In Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, cit., p. 238. 29 In Kelsen, Essenza e valore della democrazia, cit., p. 60.30 Ivi, pp. 75-76 e Idem Das Problem der Parlamentarismus, 1924, trad. it. a cura di B. Fleury Il

problema del parlamentarismo, in La democrazia, cit; p. 159 e p. 160.

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Nella teorica kelseniana, il parlamento è il luogo del «compromesso»31, il contestoistituzionale in cui è portato a compimento il processo di integrazione politica avvia-to dalla formazione dei partiti e dalla scelta dei rappresentanti nelle consultazioni elet-torali. Sul piano teorico, l’organo parlamentare è il risultato dell’idea della libertà po-litica e del principio della divisione del lavoro, necessitato dalla complessità delle so-cietà avanzate dove non è evidentemente possibile ricorrere alle forme dirette di de-mocrazia. Sul piano pratico, il parlamento ha la funzione di comporre in decisioni ine-vitabilmente più o meno compromissorie gli interessi contrapposti di cui sono rap-presentanti la maggioranza di governo e la minoranza parlamentare, mediante l’itera-zione di procedure dialettico-contraddittorie intese a consentire una «sintesi» (una«risultante» 32) delle direzioni espresse dalle forze sociali in reciproca competizione.

In virtù del carattere strutturalmente pluralistico delle società complesse, il parla-mentarismo appare a Kelsen una via senza alternative se si intende rimanere in un qua-dro politico democratico dove il mantenimento della pace interna costituisce il princi-pale fine a legittimazione dell’organizzazione politica della società. Perciò, dichiaraKelsen, «la condanna del parlamentarismo è al tempo stesso la condanna della demo-crazia»33 ed equivale a una conclamata sconfessione del valore fondativo della pace.

«Compromesso» nella visione kelseniana significa «reciproca tolleranza»34, via dimezzo tra gli interessi rappresentati dalla maggioranza e quelli di cui è depositaria laminoranza: risultato di un confronto che si svolge in uno sfondo relativista in cui nonvi è alcuna verità assoluta da conseguire mediante le decisioni legislative, le quali, piut-tosto, per la loro intrinseca fallibilità, possono essere (e di fatto sono) modificate dal-le intese che si producono in momenti successivi. «Il relativismo», in questo senso, «èquella concezione del mondo che l’idea democratica suppone»35. È il presupposto ne-cessario di ogni democrazia.

Ed è soltanto in questo quadro scevro da dogmi e da principi assoluti e incontro-vertibili che la minoranza acquista una sua propria legittimità e assume una rilevanzapolitica essenziale per lo svolgimento effettivamente dialettico del sistema democrati-co: una funzione tanto importante e insostituibile da legittimare l’adozione di stru-menti giuridici e giurisdizionali che consentano di proteggere la minoranza dalla ten-denziale onnipotenza della maggioranza.

Innanzitutto la previsione costituzionale di un insieme di diritti e di libertà fonda-mentali posto a garanzia dei principi, di eguaglianza e di libertà, fondanti dell’ordina-mento, intesi alla tutela degli interessi di tutti, governanti e governati. Poi la predispo-sizione di una procedura aggravata per la revisione della costituzione, da Kelsen signi-ficativamente chiamata di «minoranza qualificata»36, che assicura che le decisioni di ri-lievo costituzionale siano condivise dalla maggioranza di governo e da una parte con-siderevole della minoranza. Infine, la protezione della costituzione, e dunque anchedella minoranza, rivelatisi inefficaci questi due strumenti di garanzia, è affidata al si-stema dei controlli giurisdizionali sulla costituzionalità delle leggi, il quale vincola l’or-gano legislativo a conformarsi al dettato (formale e sostanziale) della costituzione.

È proprio a quest’ultimo (non certo per importanza) strumento di garanzia cheKelsen rimanda nell’impostare il suo personale contributo sulla questione della dife-

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31 Cfr. Ivi, p. 179 e Essenza e valore della democrazia, cit., p. 105 e p. 106.32 Ibidem.33 In Idem, Il problema del parlamentarismo, cit., p. 157.34 Ivi, p. 178.35 Idem, Essenza e valore della democrazia, cit., p. 149.36 Ivi, p. 102.

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sa della costituzione negli anni della crisi della democrazia di Weimar. Non prima peròdi aver avvertito che la gravità della situazione di quegli anni avrebbe dovuto dissua-dere dal prendere posizione in un momento così delicato e incerto per la conserva-zione stessa del regime democratico. Sarebbe stato forse più opportuno, osservavaKelsen, rimandare il dibattito a un momento successivo. Ciò nondimeno, il giuristaaustriaco sentì la necessità di intervenire nella discussione soprattutto per cercare didemolire gli argomenti schmittiani che, riconoscendo la legittimità non soltanto co-stituzionale, ma anche politica, della prassi invalsa in applicazione dell’art. 48, costi-tuivano, agli effetti pratici, un avallo autorevole della sostituzione, di fatto, del Presi-dente del Reich al Parlamento nell’esercizio delle sue proprie funzioni.

Il commento del giurista austriaco delle tesi di Schmitt è serrato, tagliente e tal-volta apertamente sprezzante. Per Kelsen, l’intervento schmittiano è confuso, spessocontraddittorio e soprattutto fuori tema: all’espressione «custode della costituzione»Schmitt associa un significato che mai potrebbe applicarsi a un organo giurisdiziona-le, e che, piuttosto, è evidentemente ritagliato per indicare l’attività di un organo cuisono affidate funzioni politiche. Afferma sarcasticamente Kelsen che

Il contrapporre il presidente ad un tribunale costituzionale ha tanto poco senso quanto af-fermare che, poiché l’esercito è la miglior difesa dello Stato, non abbiamo bisogno di ospe-dali37.

L’unico senso che può avere l’espressione «custode» entro la ricostruzione sch-mittiana è non già quello di garante o di difensore del testo costituzionale, bensì di«esecutore della costituzione»38, in quanto «organo che svolge la funzione vicaria»39

del parlamento. «Se la funzione politica della costituzione», osserva Kelsen, «è quel-la di porre limiti giuridici all’esercizio del potere» cui pertanto tutti i poteri sono vin-colati, e «garanzia della costituzione significa certezza che questi limiti non sarannooltrepassati», il controllo sugli atti degli organi politici (del governo, del parlamentoe dello stesso capo dello Stato) non può certo essere lasciato agli stessi organi di cuigli atti sono da controllare.

Nessun organo è meno idoneo a tale compito di quello cui la costituzione affida – in tuttoo in parte – l’esercizio del potere e che ha a portata di mano le occasioni giuridiche e gli sti-moli politici per violarla. Nessun altro principio tecnico-giuridico viene infatti tanto condi-viso quanto il principio per il quale nessuno può essere giudice in causa propria40.

Se si vuole introdurre un sistema di controllo della costituzionalità delle leggi, con-clude Kelsen, sarebbe piuttosto opportuno istituire un organo veramente terzo che siamesso nelle condizioni di svolgere la propria specifica funzione senza interferire neldominio delle competenze proprie degli organi politici. In condizioni politiche nor-mali, certo molto diverse dalla situazione di crisi in cui versava la Repubblica di Wei-mar, aggiunge, infine, Kelsen, «le istituzioni di controllo sono una condizione di esi-stenza [della democrazia]»41.

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37 Ivi, p. 274.38 Idem, Chi dev’essere il custode della costituzione?, cit., p. 282. 39 Ivi, p. 287.40 Ivi, p. 232. 41 Idem, La garantie jurisdictionnelle de la Constitution (La justice constitutionnelle), 1928,

trad. it. La garanzia giurisdizionale della costituzione (La giustizia costituzionale) a cura di C. Ge-raci, in La giustizia costituzionale, cit., p. 201.

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La democrazia senza controllo è, a lungo andare, impossibile. Essa, infatti, senza quell’au-to-limitazione che rappresenta il principio della legalità [costituzionale], si autodistrugge42.

4. Due opposte concezioni della democrazia al banco di prova del pluralismo

I due modelli della democrazia, il primo di natura identitaria, l’altro di caratterepluralista, rappresentano vere e proprie concezioni alternative delle costituzioni de-mocratiche del ’900. Essi, lo abbiamo visto, sono informati a visioni teoretiche e ideo-logiche radicalmente diverse e per molti versi opposte.

Schmitt ragiona sulle situazioni estreme, eccezionali43, come quella del contestodella Repubblica di Weimar degli anni ’30; per Kelsen, al contrario, l’unità di riferi-mento per l’osservazione sociale e politica della realtà è ciò che costituisce la norma,la condizione di normalità dello status organizzativo di una società. Del resto, se Sch-mitt può ritenersi un teorico dell’ordinamento concreto, della situazione giuridica fat-tuale di una società organizzata, Kelsen è il massimo teorico della dottrina pura del di-ritto, prospettiva normativistica intesa ad analizzare il sistema giuridico espungendoqualsiasi riferimento al dato sociale e politico secondo un atteggiamento rigorosa-mente avalutativo e neutrale. Il modello schmittiano è fortemente dogmatico, essen-do l’espressione di una visione complessiva inquadrata in un sistema teoretico che lostesso Schmitt chiama «teologia politica»; il modello kelseniano, per il suo caratteremarcatamente pluralista, si ispira, all’opposto, a una visione radicalmente relativisti-ca, nella quale forse l’unico dogma è proprio l’idea che non esista alcun dogma. Lateorica di Schmitt, inoltre, avanza per dicotomie, per coppie di opposti, attraverso iparadossi e le incongruenze che da queste conseguono; l’impianto teorico kelsenianoè, invece, vincolato a un rigido e coerente formalismo metodologico che non lasciaspazio a invenzioni dialettiche né ad aporie concettuali. La visione schmittiana, infi-ne, appare ispirata a un radicato pessimismo antropologico di cui la teorica realisticadi Schmitt è evidentemente espressione; atteggiamento del tutto diverso assume, in-vece, Kelsen, il quale, alla realtà sociale spesso negativa e scoraggiante, oppone un fie-ro ottimismo normativo che consegna al diritto e alle tecniche giuridiche di garanziail compito di migliorare e far avanzare il sistema politico e sociale.

Ma al di là di queste differenze, cui qui si può solo accennare, ciò che va subitoevidenziato in queste considerazioni conclusive è che il primo modello, incentrato sul-l’idea della presunta «unità politica» del popolo e dello Stato, è risultato storicamen-te perdente, tanto da essere riconsiderato soltanto in tempi recenti ormai lontani dal-l’esperienza nazional-socialista che di esso ha rappresentato la maggiore ragione di de-legittimazione. Il modello di Kelsen, al contrario, ha superato il banco di prova dellastoria, affermandosi come espressione vincente del connaturato pluralismo delle so-cietà complesse, nonché come fonte di ispirazione del processo politico costituziona-listico del ’900. Un successo per molti versi scontato, incoraggiato dall’affermazione

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42 In Idem, Essenza e valore della democrazia, p. 123.43 Si ricordi questo suggestivo passaggio di Schmitt al riguardo: «Solo una filosofia della vi-

ta concreta non può ritrarsi davanti all’eccezione e al caso estremo, anzi deve interessarsi ad es-so al più alto grado. Per essa l’eccezione può essere più importante della regola […]. L’ecce-zione è più interessante del caso normale. Quest’ultimo non prova nulla, l’eccezione prova tut-to; non solo essa conferma la regola: la regola stessa vive solo dell’eccezione»; in C. Schmitt Po-litische Teologie, 1934, trad. it. a cura di P. Schiera, Teologia politica, in Le categorie del ‘politi-co’, cit., p. 41.

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oggi incontrastata della forma di governo democratico-parlamentare sugli altri regimipolitici. Come bene osserva Azzariti:

L’unità politica, che non può essere l’espressione di un’unità del popolo reale, può esseresolo il prodotto di una forzatura di una parte della collettività […]. È dunque in base aiprincipi di esclusione e di autorità che si impone una unità, addirittura una Costituzione.Una costruzione che si regge su una forza in-fondata, cioè priva di fondamento nella realtàdella struttura sociale e nella sua effettiva composizione, una costruzione che non potevache venire travolta dalla forza fondata del pluralismo44.

La distanza tra la concezione schmittiana del popolo, della costituzione e dello Statoe il modello odierno del costituzionalismo democratico, imperniato saldamente sullarealtà pluralista delle società complesse, è evidente e non ha bisogno di essere ulterior-mente tematizzata. Anche per questa ragione, la visione di Schmitt appare ancora oggicomplessivamente inutilizzabile, sebbene in essa non manchino elementi utili ad analiz-zare i limiti strutturali del parlamentarismo e a cogliere i tratti tendenzialmente identitaricomuni alle nostre costituzioni. D’altro lato, la visione kelseniana, ormai entrata mate-rialmente nei nostri sistemi costituzionali che, come si è detto, ad essa sono largamenteinformati, offre una prospettiva teorica comunque insufficiente ai fini dello studio dei pro-blemi che oggi le democrazie parlamentari sono chiamate a superare. La questione prin-cipale delle nostre democrazie costituzionali è il problema dei loro contenuti, delle poli-tiche espresse dalla legislazione in attuazione del dettato costituzionale. Questione in rap-porto alla quale entrambi i modelli appaiono, per ragioni diverse, inadeguati e carenti.

Schmitt, ponendo in rilievo l’elemento fondante della decisione e ad esso asse-gnando una precedenza originaria sulle procedure che devono essere osservate nelprocesso deliberativo, sorvola sulla questione, che viene ridotta a mero problema dicompetenza: ciò che è importante, in ultima analisi, è che si decida; pertanto, il pro-blema fondamentale è comprendere chi è investito, nella situazione concreta, della re-sponsabilità della decisione45. Kelsen, per altro verso, sottolineando la rilevanza dellatecnica parlamentare e incentrando la ricostruzione della dinamica giuridica dell’or-dinamento prevalentemente sulla dimensione formale, e non già sostanziale, della nor-ma, riduce la questione al problema della conformità, appunto formale, delle decisio-ni dell’organo legislativo in rapporto alle procedure tecniche che regolamentano laproduzione giuridica: ciò che rileva, secondo questa concezione, è, in altri termini, co-me si decide, il modo in cui si perviene alla decisione.

Se la concezione schmittiana evoca certamente un’ideologia di tipo autoritario poi-ché descrive l’organo legislativo come un luogo ove la discussione e il confronto tra lamaggioranza di governo e la minoranza parlamentare non sono che impacci per l’e-spressione “politica” della decisione, vincoli illegittimi che ostacolano l’organo cui insituazioni eccezionali è rimesso il compito di decidere; il modello kelseniano, valoriz-zando, all’opposto, l’importanza della discussione parlamentare e l’osservanza del si-stema procedurale che regolamenta le modalità attraverso cui deve svolgersi il dibat-tito politico, finisce per suggerire una visione eccessivamente orientata a un’ideologiarelativistica che troppo concede alle forme e poco pretende dalla sostanza delle deci-sioni: un modello teorico-giuridico che appare adeguato al vecchio Stato di diritto le-gislativo ma insufficiente rispetto al carattere strutturalmente costituzionale delleodierne democrazie parlamentari.

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44 G. Azzariti, Critica della democrazia identitaria, cit. p. 127.45 Cfr. C. Schmitt, Teologia politica, cit., p. 58.

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Quel che infatti oggi più rileva, lo si è detto, riguarda cosa si decide, ossia qualicontenuti normativi vengono tratti dal “contenitore” costituzionale. Questo possiedeun carattere marcatamente identitario che si rivela in modo decisivo ogni volta che ivalori cui è informata la costituzione condizionano l’attività legislativa intesa all’at-tuazione dei principi costituzionali posti al vertice dell’ordinamento. Se, in questo sen-so, sostiene Azzariti, la costituzione rappresenta il luogo più alto di unificazione poli-tica, il contesto in cui più basso dovrebbe essere il livello dello scontro tra i partiti, ilcompito dell’integrazione politica, della composizione degli interessi divergenti delleparti di cui è composta la società, spetta evidentemente al parlamento, in quanto stru-mento di garanzia dell’artificiale unità politica del popolo. È il parlamento, dunque,l’organo centrale della democrazia, l’istituzione dello Stato cui è assegnata la funzio-ne di interpretare i valori inscritti nella costituzione, mediante il dispiegamento rap-presentativo e dialettico della matrice strutturalmente pluralista cui sono informatiprima la società e poi il sistema parlamentare.

5. La democrazia tra garanzia ed esecuzione della costituzione

Ma se questo è il ruolo che riveste l’organo legislativo, come possiamo interpreta-re l’esigenza della garanzia della costituzione? E soprattutto qual è, secondo questaprospettiva, l’istituzione cui è affidata questa fondamentale funzione? In altri termi-ni, quale rapporto intercorre tra la costituzione e gli organi, politici e giurisdizionali,dello Stato?

Per rispondere a queste domande, dobbiamo tornare alle soluzioni avanzate daSchmitt e da Kelsen al problema della garanzia della costituzione negli anni del tra-collo del regime di Weimar. In Schmitt, abbiamo visto, il problema della garanzia del-la costituzione rimanda alla necessità, nel contesto critico di quegli anni, di affidare aun organo politico diverso dal parlamento, ma anch’esso legittimato democratica-mente e capace di assumerne le funzioni, il potere di produrre diritto. Nella ricostru-zione schmittiana, la legislazione di emergenza prodotta dall’attività del Presidente delReich, compensativa della sostanziale immobilità del Parlamento, costituisce una for-ma di custodia della costituzione: l’unica percorribile, secondo Schmitt, in quella con-creta situazione di crisi. Ma essa rappresenta una forma di garanzia della costituzionesoltanto in senso lato. Si dovrebbe, piuttosto, parlare di “esecuzione” della costitu-zione, come già rilevava Kelsen, o di attuazione del testo costituzionale per via auto-ritaria, poiché condotta da un singolo organo monocratico senza la mediazione delParlamento. Il contributo di Schmitt appare, insomma, più una pallida «apologia delprincipio di continuità dello Stato»46, orientata alla conservazione dello status quo edegli squilibri istituzionali che vigevano in quegli anni, che un intervento inteso pro-priamente ad analizzare il problema della garanzia della costituzione. Questo tema,che rimanda necessariamente alla funzione di controllo dell’attività politica dello Sta-to affidata a un sistema di tipo giurisdizionale, in Schmitt è invece sostanzialmente ine-vaso, o tutt’al più affrontato semplicisticamente in pochi ed elusivi passaggi.

Da questi si desume, comunque, un netto rifiuto del controllo di costituzionalitàdelle leggi, in ragione del carattere, secondo Schmitt, smaccatamente politico del com-pito che un organo giurisdizionale, cui fosse assegnata questa funzione, si troverebbeinevitabilmente a svolgere. Funzione, osserva Schmitt, ben diversa da quella assoltadai tribunali giudiziari e amministrativi. Questi, infatti, applicano, nelle loro decisio-

46 Così M. Fioravanti, Costituzione, Bologna, Il Mulino, 1999, p. 150.

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ni, leggi che, diversamente da alcune parti del testo costituzionale, possiedono un con-tenuto tendenzialmente tassativo e inequivoco. Il problema, in altri termini, non è tan-to di per sé nell’articolazione di un potere giurisdizionale che controlli l’organo legi-slativo, quanto nelle norme e nei principi (della costituzione) che i giudici di un orga-no siffatto avrebbero la funzione di interpretare e di applicare nel sindacato di costi-tuzionalità delle leggi. Vale la pena riportare direttamente le parole di Schmitt al ri-guardo:

La seconda sezione della costituzione [di Weimar] (alla quale specialmente si riferisconomolti dubbi e divergenze d’opinione) assai spesso, pur nella variopinta molteplicità dellesue dichiarazioni di principio e disposizioni costituzionali singolari, non contiene una soladecisione, neppure una decisione di compromesso, ma soltanto formule ambigue, da cui ladecisione deve esser tratta, tenendo conto di punti di vista differenti, disparati e spesso ad-dirittura contraddittori. […] Quando in questa materia una corte giudiziaria prende deci-sioni, essa diventa chiaramente legislatore costituzionale in alta funzione politica47.

Kelsen, da parte sua, non disconosce affatto le obiezioni di Schmitt. Anzi ne am-mette parzialmente il valore, riconoscendo che la funzione e le attività di un tribuna-le costituzionale abbiano «un carattere politico assai più marcato di quell[e] degli al-tri tribunali»48. E ciò dipende in effetti, come sostiene anche Schmitt, dal quadro nor-mativo che il tribunale ha il compito di applicare. Secondo Kelsen, infatti:

In ogni sentenza giudiziaria è presente, in varia misura, un elemento decisorio, una dose diesercizio del potere. Il carattere politico della giurisdizione è tanto più marcato quanto piùampio è il potere discrezionale che la legislazione, generale per sua natura, le deve necessa-riamente lasciare49.

Ma questo, ad avviso del giurista austriaco, non comporta affatto l’inopportunitàdell’istituzione del controllo di costituzionalità delle leggi, in ragione dell’inevitabileconflitto tra organi dello Stato che dall’attività del tribunale costituzionale potrebbederivare. Piuttosto, occorre trarre le dovute conseguenze dal fatto che le costituzioni,oltre a regolare gli organi e le procedure della produzione giuridica, determinano an-che «il contenuto delle leggi future», prescrivendo o escludendo certi specifici conte-nuti.

Nel primo caso [aggiunge Kelsen], il più delle volte, esiste solo una promessa solenne diemanare certe leggi, dato che per ragioni tecnico-giuridiche non si può agevolmente colle-gare una sanzione al fatto che non si siano emanate delle leggi di un contenuto prescritto.Con maggior efficacia si possono invece impedire per mezzo della costituzione le leggi diun contenuto determinato50.

A questo fine, lo strumento migliore è, appunto, un sindacato di costituzionalitàdelle leggi cui siano affidate le funzioni di verificare la coerenza delle norme emanatedall’organo legislativo con i principi e lo spirito complessivo della costituzione, e, incaso di accertata incompatibilità della legge rispetto al testo costituzionale, di elimi-

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47 In C. Schmitt, Il custode della costituzione, cit., p. 78.48 In H. Kelsen, Chi dev’essere il custode della costituzione?, cit., p. 244.49 Ivi, p. 242.50 In Idem, Reine Rechtslehre. Einleitung in die rechtwissenschaftliche Problematik, 1934,

trad. it. a cura di R. Treves Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino, Einaudi, 2000, p. 105.

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nare dall’ordinamento, o comunque di rendere non applicabile, la norma incostitu-zionale. In questo modo, il tribunale costituzionale è investito di due funzioni, distin-te ma, al contempo, inestricabilmente connesse tra loro: per un verso, alla Corte è af-fidato, in linea con il suo carattere strutturalmente giurisdizionale, il compito di in-terpretare il dettato del testo costituzionale; per altro verso, l’applicazione della leg-ge, in virtù dei poteri conferiti alla Corte, determina, nei casi di accertata incostitu-zionalità, decisioni irrevocabili (che contrastano con la volontà espressa dall’organolegislativo) attraverso le quali, non si può negare, avverte Kelsen, che la Corte agiscada «legislatore negativo»51, quale supremo organo di controllo sulla legge dello Stato.

Analogo ragionamento ci sembra svolgere Azzariti, nelle pagine conclusive del li-bro in oggetto, in rapporto alle funzioni del parlamento. La produzione del diritto,così come la sua applicazione da parte del giudice costituzionale, afferma Azzariti, nonconsiste in una meccanica attuazione della costituzione, in una fredda esecuzione del-le norme e dei principi inscritti nel testo costituzionale. Al contrario, essa richiede unlungo processo interpretativo delle norme di cui si intende dare attuazione con l’e-manazione della legge. Un processo che è tanto più complesso quanto articolata e va-riegata è la composizione politica dell’organo legislativo.

L’interpretazione della costituzione, che quindi non è affatto di competenza esclu-siva del tribunale costituzionale, è affidata, pertanto, primariamente al parlamento,che ne dispone in tutte le fasi del processo deliberativo. È proprio questa funzione,spesso adombrata dalla sua attribuzione esclusiva ai tribunali in virtù del loro carat-tere giurisdizionale, a fare del parlamento l’organo dello Stato che più di tutti parte-cipa alla creazione della «costituzione materiale»52, poiché, nella realizzazione dei va-lori che informano la costituzione, di questi contribuisce, in modo più decisivo ri-spetto alle altre istituzioni dello Stato, a modificare il senso e il contenuto normativo.

Il parlamento, dunque, non soltanto è «una delle istituzioni del pluralismo»53, ben-sì rappresenta, a tutti gli effetti, l’organo centrale del regime democratico-costituzio-nale. Ad esso, cui è affidata sia l’interpretazione dei principi costituzionali, condotta at-traverso il confronto dialettico tra le parti politiche, sia la loro realizzazione legislativa,nella cui fase decisionale quanto più gravi e importanti per l’ordinamento sociale sonoi temi regolamentati dall’intervento legislativo tanto più rilevante appare il processo de-liberativo in cui si dispiega il pluralismo parlamentare, è assegnato un ruolo primarionel quadro della definizione della «costituzione materiale». Accanto al parlamento, ri-spetto al quale la «legislazione negativa» attribuita alla giurisdizione costituzionale nonpuò che apparire secondaria, un ruolo marginale, ma comunque rilevante, assumono,aggiunge Azzariti, altri attori politici e sociali: le imprese, i media, le autorità e i poteritecnici, nonché le comunità di Stati, le organizzazioni internazionali e intergovernativee il complesso delle forze organizzate (associazioni e ONG innanzitutto).

Tra questo articolato insieme di agenti sociali e politici il parlamento conserva lapropria piena centralità nella dinamica del sistema costituzionale. Una centralità chenon può essere offuscata, se non secondo ragioni avventate e parziali, dalla funzionedi controllo dell’attività dell’organo legislativo affidata al tribunale costituzionale.Non ha alcun senso, infatti, prendere parte per l’uno o per l’altro potere facendo diquesto o di quello l’unico «padrone del diritto»54, il custode esclusivo della costitu-

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51 Idem, Chi dev’essere il custode della costituzione?, cit., p. 258.52 Si veda il classico contributo di C. Mortati, La costituzione in senso materiale, Milano,

Giuffrè, 1940.53 Cfr. G. Azzariti, Critica della democrazia identitaria, cit., p. 139.54 L’espressione è di G. Zagrebelsky. In Idem, Il diritto mite, Torino, Einaudi, 1992, p. 213.

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zione. Occorre piuttosto distinguere. Sottolineando che il parlamento in un sistemademocratico-rappresentativo assolve a una funzione cui deve associarsi un primato,non già ideologico bensì semplicemente ontologico, rispetto al compito assegnato altribunale costituzionale. Una funzione la cui superiore rilevanza dipende, in ultimaanalisi, dalla priorità del momento, per così dire, “positivo” della legislazione, dell’e-secuzione della costituzione mediata da un processo di interpretazione dei suoi prin-cipi e delle sue norme nel quadro di un confronto aperto e plurale condotto in sedeparlamentare, sul momento “negativo” della legislazione entro il quale interviene lagiurisdizione costituzionale cui è affidata, in via analogamente esclusiva, la garanzia,la protezione, la difesa ma non l’esecuzione della costituzione, dominio riservato al-l’organo parlamentare.

Fabrizio Mastromartino

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