La Crisi, la Storia, la Scienza, la Psicologia. Husserl

47
Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604] Monografie vol. I, «Krisis» 1 La crisi, la storia, la scienza, la filosofia, la psicologia. Husserl Filippo Silvestri La storia. L’intento che regge questo lavoro è discutere di “crisi” muovendo dalla Crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale di Husserl. Le analisi che seguono non si discostano per tanto dall’impianto fondamentale dell’opera husserliana. Ragioneremo sulla crisi del rapporto tra la filosofia e la scienza, dove la filosofia resta esclusa, mentre una nuova filosofia, la psicologia va dietro alla fisica, perdendo la misura della sua umanità. Sullo sfondo di questo scenario critico alcuni filosofi, gli scettici per eccellenza, decretano il non senso della filosofia, siccome poco scientifica, mai all’altezza dei suoi tempi. Dunque e per entrare subito nella questione, come mai secondo Husserl si è arrivati ad una crisi della relazione tra filosofia, psicologia e scienza? Perché questa crisi ha coinvolto tutti? Solo a leggere il titolo della prima parte – La crisi delle scienze europee quale espressione della crisi radicale dell’umanità europea si comprende come la Crisi sia una critica trascendentale all’epistemologia moderna, ma ancora come la questione abbia per Husserl evidenti risvolti antropologici e politici su cui non si può soprassedere. Husserl vive la crisi tipica di un certo momento storico della filosofia, di uno scetticismo da intendere in senso lato. “Non credo che la filosofia abbia senso. A che serve studiare filosofia”? Ma come non dire anche che è la crisi che si vive in ragione di una guerra trascorsa solo da alcuni anni, ma viva nella Germania di Hitler, una crisi politica, esistenziale ed umana, drammatica. Husserl vive la crisi di un filosofo di fronte ai giovani del suo tempo, esigenti di fronte alla crisi generata dalla Prima guerra mondiale, una crisi che pone alla scienza domande pressanti, rispetto alle quali il filosofo della scienza Husserl non si sottrae:

Transcript of La Crisi, la Storia, la Scienza, la Psicologia. Husserl

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

1

La crisi, la storia, la scienza, la filosofia, la psicologia. Husserl

Filippo Silvestri

La storia. L’intento che regge questo lavoro è

discutere di “crisi” muovendo dalla Crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale di Husserl. Le analisi che seguono non si discostano per tanto dall’impianto fondamentale dell’opera husserliana. Ragioneremo sulla crisi del rapporto tra la filosofia e la scienza, dove la filosofia resta esclusa, mentre una nuova filosofia, la psicologia va dietro alla fisica, perdendo la misura della sua umanità. Sullo sfondo di questo scenario critico alcuni filosofi, gli scettici per eccellenza, decretano il non senso della filosofia, siccome poco scientifica, mai all’altezza dei suoi tempi.

Dunque e per entrare subito nella questione, come

mai secondo Husserl si è arrivati ad una crisi della relazione tra filosofia, psicologia e scienza? Perché questa crisi ha coinvolto tutti? Solo a leggere il titolo della prima parte – La crisi delle scienze europee quale espressione della crisi radicale dell’umanità europea – si comprende come la Crisi sia una critica trascendentale all’epistemologia moderna, ma ancora come la questione abbia per Husserl evidenti risvolti antropologici e politici su cui non si può soprassedere.

Husserl vive la crisi tipica di un certo momento storico della filosofia, di uno scetticismo da intendere in senso lato. “Non credo che la filosofia abbia senso. A che serve studiare filosofia”? Ma come non dire anche che è la crisi che si vive in ragione di una guerra trascorsa solo da alcuni anni, ma viva nella Germania di Hitler, una crisi politica, esistenziale ed umana, drammatica. Husserl vive la crisi di un filosofo di fronte ai giovani del suo tempo, esigenti di fronte alla crisi generata dalla Prima guerra mondiale, una crisi che pone alla scienza domande pressanti, rispetto alle quali il filosofo della scienza Husserl non si sottrae:

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

2

Le mere scienze di fatti creano meri uomini di fatto. Il rivolgimento dell’atteggiamento generale del pubblico fu inevitabile, specialmente dopo la guerra, e sappiamo che nella più recente generazione esso si è trasformato addirittura in uno stato d’animo ostile. Nella miseria della nostra vita – si sente dire – questa scienza non ha niente da dirci. Essa esclude di principio proprio quei problemi che sono i più scottanti per l’uomo, il quale, nei nostri tempi tormentati, si sente in balia del destino; i problemi del senso e del non-senso dell’esistenza umana nel suo complesso.1

Non c’è nessun riferimento esplicito al nazismo

(Husserl scrive di tempi tormentati, e di un essere in balia del destino), ma l’anno di pubblicazione della prima parte della Crisi è il 1935.2 Quindi per quanti dubbi ci possano essere, in realtà i dubbi sono pochi (Husserl era stato radiato dall’Università di Friburgo due anni prima, all’età di 74 anni, nel 1933, nello stesso anno in cui il nazismo conquista il potere in Germania).

Ma lasciamo stare la questione politica ed avanziamo da subito un’ipotesi che provi a spiegare che cosa Husserl pensa si debba fare di fronte a questa crisi esistenziale e politica, di cui ritiene responsabili trascendentali la scienza contemporanea e quindi la psicologia del suo tempo, che scimmiotta la scienza, imitandola in modo naturalistico.

Husserl pensa ad una fenomenologia della Lebenswelt. Ma cosa significa Lebenswelt? Al di là delle estreme complicazioni teoretiche dell’espressione “mondo della vita” e dei suoi risvolti in particolare sintetico-passivi ed antepredicativi nella fenomenologia husserliana, crediamo nella Crisi si possa attribuire all’espressione un significato “umano” ovvero che le espressioni mondo e vita debbano essere assunte come “vita della coscienza” e mondo che le corrisponde ed ancora vita della coscienza nel mondo. Ovvero vita della coscienza contro mera scienza di fatto della coscienza, ovvero la fenomenologia della vita della coscienza di Husserl di contro alla scienza e

1 E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie, Nijhoff, den Haag, 1959; tr. it. di E. Filippini, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore (EST), Milano 1997, p. 35. Di qui in poi al testo in questione faremo riferimento con la sola espressione Crisi. Per un’introduzione alla Crisi, cfr. G. Brand, Mondo Io Tempo. Nei manoscritti inediti di Husserl, Bompiani, Milano 1968. 2 Sulla vicenda editoriale della Crisi, cfr. l’introduzione di W. Biemel in Crisi, pp. 21-28.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

3

alla psicologia come scienza fisica della vita della coscienza. Il punto in questione, come in tutta la fenomenologia husserliana, non è tanto il mondo e la sua vita, in una loro presunta autonomia ontologica rispetto agli occhi della coscienza che li guarda, quanto piuttosto “la vita della coscienza”, in un senso concreto e umano, dove la “concretezza” è alla Husserl ovvero intenzionale e eidetica, essenziale nel suo essere intenzionale.

Quindi e per riassumere una tesi nota: bisogna secondo Husserl mostrare come sia la scienza che la psicologia, nella loro presunta autonomia epistemologica rispetto alla filosofia, siano espressioni storiche di un oggetto (scienza, psicologia) e di un soggetto (filosofia) scientificamente e storicamente separati (il titolo della seconda parte discute il problema dell’Origine del contrasto moderno tra obiettivismo fisicalistico e soggettivismo trascendentale) e come questa separazione si sia consumata a partire da Galileo, con la collaborazione in senso storico e filosofico di Cartesio, Locke, Hume e Kant. Tutto consiste nel ricondurre i dati di fatto scientifici di fisica, geometria, matematica e psicologia, non tanto ai singoli scienziati storicamente collocati, quanto ad una soggettività trascendentale (comune a tutti gli uomini) viva e che vive intenzionalmente la sua vita.

La vita di questa soggettività è fatta soprattutto del modo in cui vive il suo tempo, la sua coscienza interna del tempo. Sebbene non siano molte le pagine dedicate al tempo, alla ritenzione e alla memoria, il tempo è una tra le questioni trascendentali della Crisi, nel senso che dalla storia fenomenologica della scienza europea, ricostruita da Galileo in poi, attraversata dalle filosofie di Cartesio, Hobbes, Locke, Hume e Kant, si deve risalire fino alla coscienza interna del tempo comune a tutti gli uomini, seguendo poi a partire da questa piattaforma mobile (la coscienza interna del tempo) il diverso dispiegarsi dell’intenzioni della coscienza3 che la conducono a scelte scientifiche, che alla lunga si rivelano riduttive e critiche, nel senso della crisi che interessa le scienze europee e che 3 Raggiunta questa piattaforma mobile temporale, al suo interno Husserl può storicamente e fenomenologicamente ricostruire come si sia passanti, nel corso del tempo, dalla coltivazione dei campi alla loro organizzazione politica e come questa organizzazione si sia incrociata con il problema della “misurazione” delle cose, fino alla genesi della geometria, della matematica, della fisica in quanto scienze universali. La terza appendice alla Crisi è, come noto, il luogo in cui Husserl discute la questione: cfr. Crisi, pp. 380-405. Per una sua lettura, cfr. J. Derrida, Introduzione a Husserl. L’origine della geometria, Jaca Book, Milano 1987.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

4

coinvolge l’umanità, fino alla disperazione dei totalitarismi.

I problemi da cui Husserl parte e che vive in prima persona sono il motivo che lo induce a scrivere di una crisi: le guerre, i totalitarismi (della scienza, delle nazioni), la psicologia come scienza e quindi la crisi della filosofia in ragione della sua fine, perché non serve più a nulla. La crisi di cui scrive Husserl è delle scienze e dell’umanità europea, ma anche della filosofia ridotta ad esistenzialismo, irrazionalismo. Bisogna lottare contro questa crisi e la lotta è contro le non filosofie (irrazionalismo, esistenzialismo, logica formale, storicismo), perché è una questione di fede, di un crederci ancora, credere ancora ad una filosofia che sia “viva”, perché fa del mondo della vita il suo oggetto-soggetto di analisi. Il compito è politico e Husserl lo scrive in modo esplicito:

Noi non possiamo rinunciare alla fede nella

possibilità della filosofia come compito, nella possibilità di una coscienza universale. Noi sappiamo di essere chiamati a questo compito in quanto vogliamo essere seriamente filosofi. […] Noi siamo riusciti a comprendere, anche se soltanto nelle linee più generali, come il filosofare umano e i suoi risultati non abbia affatto il significato puramente privato o comunque limitato di uno scopo culturale. Noi siamo dunque – e come potremmo dimenticarlo? -, nel nostro filosofare, funzionari dell’umanità. La nostra responsabilità personale per il nostro vero essere di filosofi, nella nostra vocazione interiore personale, include anche la responsabilità per il vero essere dell’umanità […].4

Di qui un passo indietro, un passo storico5, per capire

da Galileo, da Cartesio in poi come la ragione europea abbia vissuto le sue crisi, i suoi successi illuministici, le sue nuove crisi, quelle positiviste e scettiche. Di fronte un irrazionalismo scettico, che non crede alla capacità auto-normativa della ragione, in cui hanno creduto i Greci, che ancora credevano, come Cartesio, nella possibilità di una “metafisica” (una filosofia universale). In gioco la fiducia in una ragione, quella umana, nella sua capacità di darsi delle

4 Crisi, p. 46. 5 «Cercheremo di penetrare attraverso la crosta dei “fatti storici” esteriori della storia della filosofia, indagandone, provandone, verificandone il senso intimo, la nascosta teleologia», ivi, p. 47.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

5

regole da sola, senza che siano la fisica e con lei una psicologia del comportamento a spiegare in senso naturale (causale) il suo modo altrimenti libero di comportarsi.

Ma è bene ricordare, di là da queste considerazioni politiche ed epistemologiche come fare filosofia per Husserl in un momento di crisi significhi ancora scrivere un’autobiografia filosofica. Husserl, introducendo il suo lavoro, scrive:

Io cercherò di ripercorrere le vie che io stesso

ho percorso, non di addottrinare; cercherò semplicemente di rilevare, di descrivere ciò che io vedo. Io non ho nessun’altra pretesa se non quella di poter parlare, innanzitutto di fronte a me stesso e quindi di fronte agli altri, con conoscenza di causa e in piena coscienza, come uno che ha vissuto in tutta la sua serietà il destino di un’esistenza filosofica.6

Essere filosofi significherà allora agire di fronte alla

crisi della filosofia, che soffre per il successo delle scienze naturali (successo strumentalizzato in senso politico e aberrante dal nazismo), tra l’impazienza ansiogena dei giovani. Per questo studiare filosofia significa in quegli anni “agire”. Husserl: «Questo nuovo compito e il suo terreno apodittico universale rivelano la possibilità pratica di una nuova filosofia: di una filosofia che va attuata attraverso l’azione»7. Sui contenuti esistenziali di questo agire filosofico, Husserl sarà esplicito nella seconda parte della Crisi, quando riassumendo parte del suo lavoro fin lì svolto, scriverà:

[…] le nostre riserve, le nostre critiche (che noi,

in quanto uomini attuali occupati a riflettere nella nostra attualità, non abbiamo potuto tacere) hanno una loro funzione metodica, che è quella di servire a preparare quei concetti e quei metodi, che poco a poco prenderanno forma negli esiti della nostra riflessione e che dovranno servire a liberarci. Qualsiasi considerazione che abbia uno sfondo «esistenziale» è per sua natura critica. Non eviteremo tuttavia di dare una forma riflessiva anche al senso di principio

6 Ibid. 7 Ibid. Su questa azione, crediamo non ci siano dubbi, essa coincide con lo studio rigoroso filosofico, in un confronto continuo con le scienze del tempo.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

6

dell’andamento delle nostre considerazioni e del tipo particolare della nostra critica.8

Dunque da una parte una critica da intendere in

modo kantiano come analisi delle facoltà umane per uno studio del loro funzionamento. Ma critica anche rivolta agli uomini di scienza, per contestare loro il modo in cui procedono, chiedendo perché si comportano in un certo modo. In gioco c’è la libertà di chi scrive, Husserl, dei suoi contemporanei: una questione politica, umana, esistenziale. La critica husserliana avrà i caratteri di una «auto-riflessione», sarà una fenomenologia che guarderà in modo riflessivo dentro la coscienza interna del tempo e lungo le intenzioni che la muovono: l’oggetto di studio per Husserl non è il mondo delle verità assolute senza coscienza, ma la coscienza che intenzionalmente produce fatti, verità, mondi, riflessione che è auto-considerazione, analisi di sé e del proprio modo di fare filosofia, nella responsabilità di un rigore delle indagini che non può e non deve dare nulla per scontato. Per questo Husserl nella Crisi è un fenomenologo, uno psicologo, un filosofo della scienza, uno storico della scienza.

La scienza. Entriamo nella discussione, affrontando

uno dei temi centrali della Crisi, ovvero la ricostruzione storica e critica fatta da Husserl del rapporto tra scienza e filosofia in età moderna, per capire le loro rispettive crisi, per comprendere come per Husserl le une filosofiche dipendano dalle altre scientifiche. Perché queste crisi? Dipendono dalla qualità del rapporto tra scienza e filosofia?

Per Husserl la filosofia in ogni tempo è strettamente legata alla scienza contemporanea. La scienza come la

8 Ivi, p. 88. In realtà è tutta la Crisi ad essere disseminata di espressioni che poco concedono al rigore scientifico di altre opere husserliane, cosa che si può solo in parte giustificare con la circostanza editoriale, per cui la Crisi è il risultato di una serie di conferenze tenute da Husserl, quindi di un’esperienza intellettuale compiuta dal vivo e nel vivo di una crisi politica europea. Si legga ad esempio quanto scrive Husserl, nella seconda parte della Crisi, quando giustificando il suo modo di procedere a zig zag nelle ricostruzioni storiche che fa da Galileo a Kant: «Non ci resta altro: dobbiamo procedere e retrocedere, a “zig zag”; nel giuoco delle prospettive ogni elemento deve contribuire al chiarimento dell’altro. Il relativo chiarimento di un aspetto deve illuminare l’altro, e viceversa. Adottando questo modo di considerazione storica e di critica storica che, partendo da Galileo (e subito dopo da Cartesio), deve risalire lungo la successione delle epoche, siamo costretti a fare dei salti storici, i quali, dunque, non sono digressioni ma necessità; necessità se noi, come abbiamo detto, ci addossiamo quel compito di auto-considerazione che ci è imposto da una particolare situazione, dal “crollo” del nostro tempo, dal “crollo della scienza” stessa», ivi, p. 87. Non crisi, ma “crollo” ovvero il crollo delle scienze europee e dell’Europa.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

7

filosofia ha infatti una prerogativa che è quella di essere universale, cioè di affermare cose che valgono per tutti, senza eccezioni. A questo compito non si sottrae la filosofia, fin dai greci, da Platone, Aristotele fino ad Euclide.9 Scienza e filosofia sono intrecciate in un dialogo sull’universale. Cosi Cartesio con Galileo: alle scoperte scientifiche di Galileo risponde Cartesio, le meditazioni guardano alla scienza galileiana.

Alla filosofia spetta il compito critico di ragionare in modo universale sulle proposte universali della scienza. Il filosofo deve misurarsi con i limiti, le ragioni, le ipotesi che la scienza gli propone. Tutto quanto viene detto scientificamente “vero” deve essere oggetto di un’analisi critica. Pertanto se la scienza parla di spazio, tempo, cause ed effetti, di qualcosa che ha “valore”, sempre di nuovo e all’infinito, il filosofo deve interrogarsi sul senso di queste verità, di queste espressioni.

E’ questo che fa Husserl nella Crisi: una storia critica delle verità della scienza, siano esse tempo, spazio, cause, effetti o ancora qualcosa detto come vero all’infinito, sempre di nuovo. Il confronto con gli scienziati è difficile, perché i tecnici della scienza e della fisica, a cui si chiede del senso delle loro ricerche, del senso degli esperimenti che fanno, delle formule che adottano per algebrizzare i risultati, rispondono che domandarsi di questo senso significa essere “metafisici”, accusa questa reiterata e mai risolta, vero spartiacque del confronto tra scienza e filosofia. Di qui Husserl parte nella Crisi per una ricostruzione del dialogo scienza-filosofia, guardando a Galileo e poi a zig zag verso Cartesio, Berkeley, Hume, Kant.

Fatta questa introduzione al problema, l’analisi

teoretica che qui ci proponiamo deve convergere sugli snodi problematici del rapporto in questione. Quanto segue è una lettura di alcuni punti trattati da Husserl nella Crisi in termini di filosofia della scienza.

Quindi e per iniziare, che cosa significa lo immer wieder della scienza e che peso ha nel suo assetto complessivo? Il sempre di nuovo della scienza è lo stesso della geometria, della matematica, modelli scientifici di un

9 Molti i riconoscimenti fatti da Husserl alla geometria euclidea ad inizio seconda parte. Difficile non vedervi una filosofia in senso razionale e universale, quale quella che Husserl ancora cerca. Cfr. ivi, p. 51.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

8

sempre di nuovo che è ripetizione sempre di nuovo di un certo modello di indagine, che si è rivelato utile e quindi veritiero. Il sempre di nuovo delle scienze positive è ripetibilità, iterabilità di un modello di ricerca e dei risultati che garantisce. E’ il sempre di nuovo di un ragionamento deduttivo: le cose stanno così, perché abbiamo dimostrato che stanno così e le cose dimostreranno di essere così, come le abbiamo descritte, perché abbiamo provato e dimostrato che stanno così, sempre di nuovo. Nulla di nuovo, perché sempre di nuovo, immer wieder così. Nulla in comune con lo immer wieder husserliano, ripreso da Merleau-Ponty, un sempre di nuovo che risponde alle novità dell’esperienza antepredicativa. Nell’ordine del discorso scientifico ogni cosa resta nella rete di una continua introduzione di “infinità” scientifiche, una surrettizia intromissione di infinità induttive causali all’interno dell’esperienza antepredicativa: un infinito che è il sempre di nuovo delle scienze, che sempre di nuovo ripetono la stessa soluzione dei problemi, adottando sempre di nuovo e all’infinito gli stessi mezzi per la misurazione causale dei fenomeni a disposizione. Quest’infinito causale, introdotto impropriamente in una dimensione spirituale, quella della coscienza, come ancora tra le cose naturali, è una tendenza insita nell’uomo ad «anticipare» l’andamento delle cose:

[…] per parlare in termini globali: esiste una

causalità universale e concreta. In essa si anticipa necessariamente il fatto che il mondo intuitivo può essere intuitivo soltanto in quanto è un mondo disposto in un orizzonte infinitamente aperto, e che quindi l’infinita molteplicità delle causalità particolari non è data essa stessa, bensì soltanto anticipata nella dimensione dell’orizzonte. In ogni modo siamo dunque certi a priori che il lato complessivo delle forme del mondo corporeo non soltanto esige in generale un lato di plena che attraversa tutte le forme, ma che ogni mutamento, sia che investa il momento delle forme oppure il momento dei plena avviene secondo certe causalità - causalità immediate o mediate che appunto lo richiamano10.

Husserl farà fenomenologia di questa «anticipazione»,

parlando di «protensioni» della coscienza nel suo spingersi

10 Ivi, p. 65.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

9

temporalmente in avanti, alla ricerca di una conferma delle sue tipicizzazioni antepredicative, da chiudere nelle sfere dei giudizi apofantici. L’infinito non è un infinito religioso ma epistemologico ed è l’infinito del “sarà sempre così”, perché così abbiamo calcolato che sia.

Dunque la scienza fa ragionamenti che “valgono” all’infinito. Ma quale scienza? La geometria, la matematica. Ma cosa sono per Husserl le infinite geometria e matematica? Da dove ha origine il loro immer wieder infinito, scientifico e garantito, vero? Qual è la loro genesi? Come sono nate? La risposta di Husserl in Crisi è che geometria e matematica sono antepredicativamente “agrimensura”, ovvero organizzazione della comunità nella divisione della terra disponibile, per un suo sfruttamento adeguato, perfezionabile. Geometria e matematica sono essenzialmente tecniche pratiche di misurazione delle cose. Sono misurazioni.

La misurazione è il luogo semiotico e teoretico per eccellenza di fondazione della scienza nella Crisi. Misurare significa prendere le misure, fare delle misurazioni in senso fisico, nel senso della scienza fisica. E ancora solo e semplicemente misurare le cose, capire quanto sono grandi e come si possono dividere: dividere i campi, per stabilire le proprietà o anche cosa si coltiva da una parte, cosa da un’altra. Misurare significa dare una misura come acquisizione arbitraria di un segno universale di condivisione. Misurare significa misurare la consistenza concreta dei corpi, per stabilire rapporti proporzionali tra gli stessi. Sulla genesi antepredicativa di questa misurazione, quindi sulla concretezza dell’origine di certe forme scientifiche (geometriche, matematiche) condivise intersoggettivamente, Husserl scrive:

La misurazione scopre praticamente la

possibilità di scegliere come misura certe forme fondamentali empiriche, che sono concretamente definite su corpi che di fatto sono generalmente disponibili ed empirico-rigidi, e, mediante i rapporti che esistono (e che devono essere scoperti) tra queste misure e le altre forme corporee, cerca di determinare intersoggettivamente e in modo praticamente univoco queste forme – dapprima in sfere ridotte (ad es. nell’agrimensura) poi per nuove sfere di forme.11

11 Ivi, p. 57.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

10

Ma che cosa si misura? A partire da cosa si prendono delle misure? Nella terza appendice alla Crisi, Husserl formula la sua ipotesi sull’origine della misurazione:

Nelle forme delle cose vengono rilevate innanzitutto

le superfici – più o meno, «lisce», più o meno perfette; gli spigoli: più o meno grezzi o, a modo loro, più o meno «piani», in altre parole: linee più o meno pure, angoli, ecc. – punti più o meno perfetti; poi, tra le linee, si prediligono in modo speciale le linee rette; tra le superfici, le superfici piane: per es. – per motivi pratici – le tavole determinate da superfici, da rette, da punti, mentre le superfici curve, curve completamente o singoli punti, sono indesiderate in seguito a certi interessi pratici12.

Non ci sono dubbi sull’origine pragmatica di certe

misure: la genesi trascendentale della misurazione viene individuata in una serie di scelte rivolte ad oggetti che si prestano più di altri ad essere misurati in ragione della facilità pratica di approccio alle forme, alle superfici e agli spigoli che costituiscono la loro forma corporea, che presto diventano piani ed angoli di una misura geometrica.

Matematica e geometria, con le loro misurazioni, sono inoltre strumentali ad un’induzione causale, formale, introdotta nell’esperienza delle cose materiali, di cui si fa continua misura per approssimazione, per arrivare ad una forma perfetta in sé e per sé, sganciata dall’empiria. La misurazione delle cose è lo sforzo compiuto da geometri, matematici, fisici per sottrarsi al loro essere approssimativo: è eliminazione della gradualità con la quale ci si “approssima” al reale. La misurazione è emendamento della gradualità e dell’approssimazione, delle vaghe tipicità con le quali si fa esperienza antepredicativa del mondo. La misurazione è la simbolica di una logica formale che non è più vicina alle cose, perché ne ha compreso le cause e non le interessa l’inessenziale delle loro singole differenze concrete.

L’estensione di matematica, geometria e quindi fisica a modelli unici di scienza si deve poi a due diverse circostanze. In primo luogo per ammissione di un unico mondo, perché non si riconoscono diversi mondi possibili, ma uno solo che si riduce a sistema geometrico. Quindi

12 Ivi, p. 402.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

11

l’universalità di queste scienze si realizza storicamente in ragione di una scelta semiotica esclusiva in favore di un certo modo di misurare il mondo. A ben vedere, le condizioni di cui si dice sono riducibili ad una, perché l’unicità del mondo dipende dall’unica semiotica, geometrica, in favore della quale si opta e con cui ci si esprime. Husserl:

Noi abbiamo soltanto una forma universale del

mondo, e non due, disponiamo soltanto di una e non di una duplice geometria, disponiamo di una geometria delle forme ma non di una geometria dei plena. I corpi del mondo empirico intuitivo, conformemente alla struttura che gli inerisce a priori, sono articolati in modo tale che ogni corpo ha – per parlare astrattamente - una propria estensione; ma tutte queste estensioni sono forme dell’unica, totale, infinita estensione del mondo. In quanto mondo, in quanto configurazione universale di tutti i corpi, esso ha dunque una forma totale che abbraccia tutte le forme, e questa forma è idealizzabile e dominabile attraverso la costruzione, appunto nel modo che è stato analizzato.13

Ma quali sono i fattori essenziali fatti valere nella

misurazione? Come misurano le cose geometria, matematica, fisica? Per Husserl la formalizzazione del rapporto con il mondo dipende da tre fattori: spazio, tempo, causalità. Date queste forme ai “plena”, si acquisiranno quelle qualità che rientrano in queste coordinate essenziali. Accanto alla forma spazio-tempo si possono poi ammettere delle “forme fattuali”, che nulla tolgo a quella organizzazione generale di cui si è detto. Lo “stile d’essere generale” del mondo che viene intuito è spaziale, temporale, causale.

Sull’estensione indiretta e universale ad ogni cosa (compresi gli uomini) di tempo, spazio e causa come chiavi epistemologiche per una lettura del loro “essere”, si fondano le rappresentazioni e le ovvietà scientifiche da discutere criticamente, come ancora le acquisizioni di senso che sbandano il pensiero fuori della sua disponibilità critica e dal suo attaccamento al concreto e alla vita. Bene dirlo, secondo Husserl: per nessuno scienziato, nemmeno per il primo in età moderna (Galileo) la distanza dai plena

13 Ivi, p. 64.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

12

è cosa banale, come non lo è per ogni logica formale che sappia cogliere la sua differenza intenzionale dall’esperienza trascendentale su cui si fonda.

E tuttavia, detto di queste estensioni infinite e indirette di forme epistemologiche, cos’è la scienza moderna che sulle stesse si fonda? Come nasce? La risposta di Husserl è netta: la scienza in prima battuta è solo un’ipotesi che ha bisogno di infinte verifiche. Galileo sperimentando, faceva solo “previsioni” in modo provvisorio ed avventuroso. Fare di queste previsioni ipotetiche la verità del mondo è presuntuoso, scorretto: ipotizzo che le cose stiano così, non che questa sia la verità. La presunzione e la protervia di questa dimenticanza, del fatto che si stava avanzando solo delle ipotesi, apre lo spazio della crisi delle scienze europee, quando si perde il concreto e non si riconosce più un’ipotesi, ma la si spaccia per una verità, che non dice più nulla di concreto. Husserl su Galileo:

[…] l’idea galileiana è un’ipotesi, e un’ipotesi di

un genere sorprendente. Sorprendente: perché, nonostante la verificazione, l’ipotesi rimane un’ipotesi, e lo rimane per sempre; la verificazione (l’unica possibile) è un seguito infinito di verificazioni. E’ appunto questa l’essenza propria della scienza naturale, l’a-priori del suo modo d’essere: quello di essere un’ipotesi e una verificazione infinite.14

Se si vuole la cosa che manca, secondo Husserl, è la

verificazione infinita dell’ipotesi. L’ipotesi non viene più verificata, perché è stata verificata, nel senso che non è più un’ipotesi ma una verità, una verità espressa in formule algebriche, che sono calcolo lontano dai plena, lontano dai suoi significati originari, dai suoi referenti, dall’esperienza delle verificazioni infinite, che meriterebbero sempre di nuovo di essere perseguite. Husserl scrive a questo proposito di un allontanamento dalla dimensione reale, che si determina in ragione di un’aritmetizzazione della geometria, con una perdita progressiva delle “grandezze” a favore di un tutto “simbolico”, che non ha più il senso di un riferimento materiale e significativo a qualcosa di reale, nemmeno indiretto. Husserl:

14 Ivi, p. 71.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

13

Questa aritmetizzazione della geometria porta da sé, in certo modo, a uno svuotamento del suo senso. Le idealità realmente spazio-temporali, così come si rappresentano originariamente nel pensiero geometrico sono il titolo corrente di “intuizione pure”, si trasformano per così dire in pure forme numeriche, in formazioni algebriche. Nel calcolo algebrico, il significato geometrico passa da sé in secondo piano, anzi cade completamente; si calcola, e soltanto alla fine ci si ricorda che i numeri stanno a significare grandezze. Certo non si calcola «meccanicamente» come nel comune calcolo numerico: si pensa, si scopre, eventualmente si fanno anche grandi scoperte – ma con un senso “simbolico” inavvertito e sottinteso. Più tardi ciò si trasforma in un cosciente spostamento metodico – avviene cioè un passaggio metodico, per es. dalla geometria all’analisi pura, che viene considerata una scienza autonoma, e i cui risultati vengono poi applicati alla geometria.15

Il passaggio epistemologico, di metodo e di scrittura si

compie dunque a discapito della geometria e delle sue “grandezze”, in un sistema algebrico che è semiotica pura, che non ha più del “simbolo”, perché non c’è più un simbolo che rimanda ad una grandezza concreta. Un trionfo dell’algebra e delle sue scoperte autonome, su cui si costruisce l’idea del “qualcosa in generale” e delle “molteplicità definite”, su cui il qualcosa in generale grava, fondandosi come una gabbia unica. Husserl:

Questo processo di trasformazione del metodo,

che nella prassi teoretica, avviene a un livello istintivo-riflessivo, comincia già all’epoca di Glielo e, procedendo in un movimento incessante, porta ad un gradino più alto insieme a un eccesso di «aritmetizzazione», a una «formulazione» compiuta universale […] Leibniz intravide per primo, e in anticipo sul suo tempo, l’idea universale e in sé conclusa di un pensiero algebrico estremo, di una «mathesis universalis», come egli la chiamò, e la pose come un compito per il futuro […]. Nel suo senso pieno e completo, essa non è altro che una logica formale onnilaterale (che cioè deve essere promossa all’infinto nella sua totalità propria ed essenziale), una scienza delle forme di senso del «qualcosa in generale»,

15 Ivi, pp. 73-74.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

14

costruibili attraverso il pensiero puro nella loro vuota e formale generalità e, su questa base, delle «molteplicità» da costruire sistematicamente e in sé senza contraddizioni […]. Le «molteplicità» sono dunque in sé delle totalità compossibili di oggetti in generale, che sono pensate come «certe» soltanto nella generalità formale vuota, cioè come definite attraverso determinate modalità del qualcosa-in-generale16.

Dati questi presupposti fare scienza è come giocare a

scacchi:

Si opera con lettere dell’alfabeto, con segni di collegamento e di relazione (+, x, =, ecc.) e secondo le regole del gioco della loro coordinazione; si procede in realtà in un modo che non è sostanzialmente diverso da quello del giuoco delle carte o degli scacchi.17

Questo perché alla fine si dispone di una cattiva

coscienza interna del tempo, che non sa usare i segni di cui dispone, mentre dimentica i loro significati, elidendo il rapporto con eventuali referenti esterni ovvero con l’esperienza che in senso genetico potrebbe spiegare perché si disegnano rombi, quadrati, ovvero dei rettangoli e non dei triangoli, per poi fare una serie di calcoli, che sono dimentichi di quelle stesse grandezze geometriche, che se non altro iconicamente rimandano per somiglianza alle intuizioni concrete, alle esperienze, alle percezioni che li hanno ispirati, quando sono stati disegnati la prima volta. Husserl:

Il pensiero originario, che conferisce

propriamente un senso a questo procedimento tecnico e una verità ai risultati ottenuti conformemente alla regola (sia pure soltanto la “verità formale” propria della mathesis universalis formale), è qui escluso […]18.

Quello che Galileo ha escluso, perché lo ha

dimenticato e con lui tutti quelli che sono venuti dopo, è quanto avevano già dimenticato i Greci. Husserl:

16 Ibid. 17 Ivi, p. 75 18 Ibid.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

15

A suo modo anche l’antica geometria era già una , remota dalle sorgenti originarie dell’intuizione realmente immediata e dal pensiero originariamente intuitivo, a cui la cosiddetta intuizione geometrica, l’intuizione operante mediante idealità, aveva attinto il suo senso. La geometria delle idealità era stata preceduta dall’agrimensura pratica, la quale non conosceva alcuna idealità. Ma questa operazione pre-geometrica aveva costituito il fondamento di senso della geometria, il fondamento della grande invenzione dell’idealizzazione: ivi inclusa la scoperta del mondo ideale della geometria, cioè della metodica di una determinazione obiettivante delle idealità attraverso costruzioni capaci di produrre l’«esistenza matematica». Fu una deplorevole omissione il fatto che Galileo non interrogò quell’operazione che costituiva l’originario conferimento di senso, la quale, in quanto idealizzazione attuata sul terreno originario della vita teorica o pratica – del mondo immediatamente intuitivo (e qui, in particolare, del mondo corporeo empiricamente intuitivo) – produce le formazioni geometriche ideali. Più precisamente egli non considerò con attenzione il fatto che una libera riplasmazione fantastica di questo mondo e delle sue forme produce soltanto forme possibili empirico-intuitive e non forme esatte; non si chiese quali motivazioni e quali nuove operazioni fossero propriamente richieste dall’idealizzazione geometrica. Per il metodo geometrico ereditato queste operazioni non erano più effettive e viventi, tanto meno erano presenti riflessivamente alla coscienza teoretica in quanto interni metodi costitutivi del senso dell’esattezza.19

Ma se si vuole ricordare quello che si è escluso, allora

bisogna fare epoché della matematica e della geometria, per scoprire alle fine di tutte le “sospensioni” un modo di vivere della coscienza, che è essenzialmente induttivo. La coscienza che vive il mondo prima di fare scienza, fa induzioni, previsioni, avanza delle ipotesi, fa esperienza del mondo in modo approssimativo, elaborando tipologie provvisorie, antepredicative. Husserl:

Sulla previsione, possiamo dire, sull’induzione

si fonda tutta la vita. Benché in modo grezzo, già la certezza d’essere di qualsiasi esperienza è un’induzione. Le cose «viste» sono già sempre qualcosa

19 Ivi, p. 78.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

16

di più di ciò che di esse «realmente e propriamente» vediamo. Vedere, percepire significa per essenza avere-in-persona e insieme progettare (Vorhaben), pre-sumere (Vormeinen). Qualsiasi prassi, con tutti i suoi progetti, implica induzioni.20

Ma la scienza è chiusa nei suoi giudizi. La genesi

antepredicativa delle sue formule gli è estranea. Guarda all’esperienza che fa attraverso la lente semiotica dei suoi giudizi apofantici e delle algebre che compongono le sue rappresentazioni. Non conosce il fondamento trascendentale antepredicativo (mondo della vita) dei suoi giudizi. Si è dimenticata del suo Urteilen, che è un tagliare, tranciare giudizi sulla base delle esperienze fatte. Il salto dimenticato dall’induzione antepredicativa alla deduzione logico-formale dei giudizi è il passo falso compiuto dalle scienze, ciò che genera la loro crisi, rendendo necessaria una fenomenologia trascendentale. La tipicizzazione dell’esperienza antepredicativa è il trascendentale critico e concreto dell’induzione scientifica e la scientificità psicologica della fenomenologia husserliana si fonda sulla consapevolezza critica di questo vivere induttivo mai concluso: bisogna tenere separati esperienza e giudizio, induzione e deduzione, senza chiudere tutto in un’epistemologia delle cause naturali, che disconosce la sua matrice antepredicativa, induttiva, aperta. Essere scientifici, veramente scientifici, significa per Husserl riguadagnare in senso psicologico il piano antepredicativo dell’esperienza, analizzando il modo pre-scientifico di fare induzione tipico della coscienza. Il trascendentale della scienza risponde ad una fenomenologia dell’induzione.

A nostro avviso il passaggio è cruciale. Husserl non contesta gli inizi induttivi della scienza fisica, perché sono naturali, umani, antepredicativi, di tutti e quindi legittimi e in continuità con il mondo della vita. Le contesta il mascheramento deduttivo, il «ben confezionato abito ideale»21, che la scienza cala sulle esperienze concrete e magari diverse rispetto alle previsioni che essa fa, le contesta il salto nel sistema chiuso delle deduzioni per formule, una sorta di strappo e di chiusura della fase

20 Ivi, p. 80. 21 Ibidem. Tutto viene vestito di un abito ideale, sotto il quale il corpo concreto perde le sue forme, nell’ovvietà del taglio formale di un’unica moda ideale, formale, fattiva, che costringe a scambiare per vero quanto è solo un metodo, quasi che per essere veri, bisogna essere metodici e fedeli alla causa.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

17

sperimentale, un attaccamento a certi meccanismi che di-mostrano solo fenomeni causali. Per Husserl la spiegazione causale è solo un’ipotesi con la quale ci avventuriamo oltre il lato visibile delle cose, ipotizzando che anche ciò che non si vede si muova, reagisca, agisca in modo causale. L’errore critico è partire da una visione “finita” della cosa dandone una spiegazione “infinita”, per sempre, di tipo causale, applicando questo schema causale non solo alle cose ma anche alla mens umana.

E’ fin troppo evidente come ad uno schema del genere si debba opporre un’analisi intenzionale e teleologica della coscienza: bisogna guardare non tanto alle cose, ma al modo in cui l’uomo guarda alle cose, intenzionalmente, secondo ragioni che sono proiettive, prevedenti e previdenti, con certi fini, al cui servizio mette, quando può, tra le altre anche spiegazioni causali. Altrimenti ci si comporta non solo con gli altri, ma anche con se stessi, come se tutto quello che uno fa, fosse motivato da una causa necessitante, alla quale non si può sfuggire intenzionalmente, liberamente, volontariamente22.

Ma dove nascono invece le scienze umane che non

sono scienze? Dove nasce la psicologia nel corso della storia moderna? Per Husserl tra le maglie delle indagini del padre della scienza moderna, Galileo, nei suoi distinguo discriminanti in senso epistemologico. Il fenomeno naturale per Galileo possiede un nucleo essenziale che può essere osservato e descritto. Gli esperimenti conducono al riconoscimento di una serie ordinata di risultati essenziali. Le cose si comportano naturalmente, agendo e reagendo tra loro in modo causale. Tutte le differenze non importanti e poco qualificanti gli esperimenti sono elementi inessenziali. Di più, tutto ciò che avanza e che non è essenziale dal punto di vista sperimentale, le variabili che sembrano essere caratterizzate da una certa discontinuità non regolare, non è che non abbiano una spiegazione: hanno invece una loro giustificazione, non misurabile, non quantificabile, da ricondurre a ciascuno come al suo proprio. A ciascuno il suo. Insomma, ognuno vede le cose a

22 Per certi versi Husserl non contesta nemmeno fino in fondo la spiegazione causale delle cose, se questa viene utilizzata per darsi una ragione di quello che succede nel mondo naturale. Ciò che non accetta è lo scivolamento della filosofia in un’inutile metafisica senza pretese scientifiche, contestuale ad una crescita di credibilità di una scienza psicologica, che applica allo studio dell’uomo uno schema comportamentale causale.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

18

modo suo. Lo dicevano gli scettici nell’antica Grecia23, lo si ripeterà sempre e sotto diverse circostanze: per come vedi le cose, questo dipende dal modo in cui vedi le cose, tu, mentre io le vedo diversamente. Ebbene, questo dialogo ha poco di scientifico, perché fondato su quelle che Galileo aveva chiamato le qualità specificamente sensibili.

Le qualità specificamente sensibili sono soggettive, fenomenali. Ora, secondo Husserl, in questa fenomenicità delle qualità specificamente sensibili si apre lo spazio per uno studio del soggetto e delle sue prerogative soggettive, comunque di tutto quello che per Galileo non è vero in assoluto. Questo è lo spazio giusto per la psicologia, per le evidenze cartesiane, per l’empirismo di Locke, lo scetticismo di Hume, la critica kantiana, uno spazio diverso da quello delle scienze naturali: quanto si dà d’altra parte rispetto a ciò che è oggettivo (obiettivismo) è lo spazio dell’umano, delle scienze umane, del soggettivismo trascendentale. Soggettivo vs. obiettivo. Husserl:

Dall’interpretazione matematizzante della

natura da parte di Galileo derivarono anche erronee conseguenze riguardanti un ambito che andava al di là di quello della natura, conseguenze tanto ovvie che dominano tutti gli sviluppi della considerazione del mondo fino ad oggi. Alludo alla celebre dottrina galileiana della mera soggettività delle qualità specificamente sensibili, che subito dopo fu conseguentemente ripresa da Hobbes e diventò la dottrina della soggettività di tutti i fenomeni concreti della natura sensibilmente intuibile e del mondo in generale. I fenomeni sono soltanto nei soggetti; sono in essi soltanto in quanto conseguenze causali dei processi che hanno luogo nella vera natura, processi che dal canto loro esistono soltanto nelle proprietà matematiche.24

Stabilita questa differenza tra soggettivo ed oggettivo,

nella storia della scienza e della filosofia si assiste ad un passaggio di consegne: Galileo fa le sue considerazioni, avanza le sue ipotesi, fa le sue previsioni. Cartesio, Locke, Hume, Kant ragionano di conseguenza e si infilano nella “mera soggettività”, limitandosi ad una sua “dottrina”. I fenomeni sono nei soggetti, non nella natura vera delle cose e sono l’effetto di una causa esterna al soggetto, una

23 Il riferimento a Gorgia è evidente, ma lo discuteremo di qui a breve. 24 Crisi, pp. 82-83.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

19

causa naturale. Ma se da una parte delle cose si può fare matematica delle loro cause, per quel che concerne gli effetti, che le cause naturali producono nei soggetti, non è possibile scienza, perché quegli effetti sono molto soggettivi. Le posizioni per Husserl sono capovolte: non dal soggetto intenzionalmente verso gli oggetti, ma dagli oggetti attivi in senso causale verso il soggetto, che a sua volta è una tabula rasa ricoperta dei segni impressi dalle cause naturali, unici veri agenti. Di fronte alla scienza la filosofia è costretta ad abdicare, rinunciando ad essere una scienza, perché china davanti ai risultati matematici delle scienze naturali, subendo il bando scientifico infertole da Galileo. La patina sensibile delle cose, che nessuno afferra nelle mani della verità scientifica, è spazio antesignano della psicologia non scientifica della coscienza umana (la filosofia), scienza umana che non regge il passo con quelle naturali, sebbene, qualora fosse intenzionalmente intesa, risulterebbe studio rigoroso di quella coscienza originaria che fa scienza delle cose, disegnando geometrie, scrivendo algebre, sperimentando fisicamente.

La filosofia. Ricostruiti i punti cruciali della critica

trascendentale husserliana alla storia della scienza europea moderna, passiamo ad analizzare l’altro versante della crisi, quello filosofico, studiando alcuni tra i protagonisti di questa storia del pensiero (Cartesio, Locke, Hume, Kant) così come li vede Husserl, nell’attribuire loro una serie di responsabilità, che sono pari a quelle scientifiche e che sono causa della crisi che si consuma nel novecento scientifico e filosofico europeo.

E’ bene precisare come la storia critica delle idee proposta da Husserl in Crisi sia rivolta in senso fenomenologico ad un recupero delle intenzioni originarie della coscienza trascendentale, occultate dai risultati scientifici acquisiti come veri, mentre Husserl tenta contestualmente una spiegazione trascendentale dell’alienazione di senso, di cui è affetta la scienza contemporanea, persa nelle continue algebre delle esperienze ormai mancate. Quella di Husserl è un’indagine sull’origine dello spirito moderno:

Le riflessioni storiche in cui ci siamo inoltrati

per giungere a un’auto-comprensione che nella nostra situazione attuale è altamente auspicabile, esigono

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

20

una grande chiarezza attorno all’origine dello spirito moderno e perciò – data l’importanza, che non sarà mai sottolineata abbastanza, della matematica e delle scienze naturali matematiche – attorno all’origine di queste scienze.25

Di qui procede il modo storico di indagare di Husserl

andando a zig zag, da Galileo a Cartesio e questo è il solo modo critico in cui è possibile fare una storia trascendentale della scienza e della filosofia, una storia che sappia recuperare il pensiero originario del soggetto trascendentale26. Da premettere che il confronto che riassume il senso della storia della filosofia moderna per Husserl si riduce ad una contrapposizione tra oggettivismo e soggettivismo trascendentale:

Tutta la storia della filosofia, a partire dalla

comparsa della “teoria della conoscenza” e dei seri tentativi di una filosofia trascendentale, è la storia di poderose tensioni tra la filosofia obiettivistica e la filosofia trascendentale, è la storia dei tentativi di preservare l’obiettivismo e di riplasmarlo in forme nuove e, d’altra parte, dei tentativi del trascendentalismo di venire a capo delle difficoltà che l’idea della soggettività trascendentale e il metodo che essa esigeva portavano con sé.27

Come abbiamo visto con la scienza moderna del

Galileo che scopre ed occulta28 si apre storicamente uno spazio degradato e degradante per la filosofia: a lei spetta uno studio della soggettività, una soggettività sensibile e fenomenale e in questo si impegneranno Cartesio, Locke, Hume, Kant. Ma prima di iniziare la rassegna storico-filosofica husserliana alcune precisazioni sono ancora necessarie. La scienza moderna che si presenta agli occhi del primo, cioè di Cartesio distingue due piani diversi di analisi. Da una parte le cose della natura sembrano essere regolate da rapporti di causa ed effetto, ma questi rapporti sono scoperti progressivamente e quindi le leggi che si

25 Ivi, p. 86. 26 Qui l’origine non è teologica ma soggettiva e trascendentale, sebbene per Husserl l’uomo che fa scienza sia un uomo che cerca Dio, ovvero un uomo che cerca sé all’infinto, insieme con la sua felicità razionale. L’infinito divino è l’infinito del continuo progresso umano, infinitamente lontano; l’infinito divino è l’uomo nella sua ricerca infinita della sua felicità razionale. Dio è fenomenologicamente l’orizzonte infinito dell’infinita ricerca della felicità. Cfr. ivi, p. 95. 27 Ivi, p. 98. 28 Cfr. ivi, p. 81.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

21

possono elaborare sul loro conto sono solo a posteriori, rispondendo a ragionamenti induttivi (causali) suscettibili di essere smentiti. Diverso il discorso matematico, geometrico, algebrico. Le leggi che sistemano queste scienze sono a priori e sono patrimonio genetico della mens umana. Husserl:

Per quanto riguarda la forma spazio-temporale

della natura noi possediamo appunto la facoltà, che (come si dirà più tardi) ci è «innata» di riconoscere in modo determinato il vero essere-in-sé in quanto essere nell’idealità matematica (prima di qualsiasi reale esperienza). Implicitamente, dunque, essa ci è innata.

Non così con la concreta e universale legalità naturale, per quanto anch’essa sia completamente matematica. Essa è accessibile «a posteriori» e induttivamente a partire dalle datità fattuali dell’esperienza. E’ lecito supporre che esse si distinguono rigorosamente l’una dall’altra: da un lato la matematica a priori delle forme spazio-temporali, dall’altro la scienza naturale induttiva – che tuttavia applica la matematica pura. In altre parole la relazione puramente matematica di causa ed effetto si distingue rigorosamente da quella della causa e dell’effetto reali, cioè da quella della causalità naturale29.

Di qui deriva la prima separazione in seno alla

filosofia tra verità di fatto e verità di ragione, che né Leibniz né Kant riusciranno ad avvicinare, come anche una matematizzazione della mens umana: la mente non vive di intenzioni di senso (troppo soggettive, inafferrabili, invisibili), ma di capacità intuitive matematiche e proprietà operative innate funzionali all’elaborazione di quelle intuizioni. Questa caratterizzazione in senso matematico e geometrico della mens umana giungerà al suo culmine con Kant, quando questi farà di matematica (tempo) e geometria (spazio) i modi estetico-trascendentali in cui il soggetto della conoscenza dà forma all’esperienza antepredicativa delle cose (quanto di più lontano dalle posizioni di Husserl sul tema).

Fatta questa premessa torniamo alla storia della filosofia moderna così come la ricostruisce Husserl. Dunque ciò che Cartesio trova in quanto eredità scientifica

29 Ivi, p. 83.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

22

lasciatagli da Galileo è una netta separazione di res cogitans (capace di intuire matematicamente e geometricamente) e res exstensa (capace solo di fare induzioni di tipo causale, inciampando sempre in bastoni spezzati nell’acqua che tali non sono). Quanto ci interessa e interessa Husserl è tuttavia il lascito psicologico di Galileo: c’è una res cogitans, che fatta astrazione dalle sue sensibilità, appare come una sfera trascendentale soggettiva in grado se non altro di non sbagliare un calcolo, un disegno geometrico, una volta che ha attivato le sue capacità innate a contare, a disegnare figure geometriche30.

Dunque con Cartesio la spaccatura è già compiuta: da una parte il corpo delle induzioni fallaci (dei bastoni spezzati), dall’altra la mens che intuisce matematica e geometria. Corpo e mente, separati. E’ tuttavia è proprio questa mens ad essere al centro delle meditazioni cartesiane ed è noto come Husserl riconosca a Cartesio la paternità di questa intuizione trascendentale soggettiva, pur nei limiti tipici della filosofia dello stesso Cartesio che si riassumono nel aver fatto di questo ego non un trascendentale, ma un’anima attaccata ad un corpo e come questo sottomessa alle leggi naturali della causalità e alla teologia di un Dio che ne deve garantire la certezza d’esistenza, insieme alla bontà delle sue intuizioni, dubitanti prima e matematiche e geometriche poi.

Ora quella cartesiana è una scoperta che in senso storico Husserl nelle lezioni di Filosofia prima del 1923 aveva a più riprese riconosciuto agli scettici, a Gorgia in particolare. Il merito degli scettici secondo Husserl consisteva nella loro propensione ad una sospensione del credito di fiducia nei confronti delle verità professate come vere e nella loro riconduzione alla soggettività del soggetto che le professa. Il tributo allo scetticismo in Filosofia prima è aperto:

Sulla base di questi sviluppi, possiamo anche

dire: il senso profondo della filosofia moderna consiste nel fatto di essere costantemente messa in moto, sia pure oscuramente, dall’impulso determinato dal compito, cresciuto nel suo interno, di rendere vero in un senso più alto il soggettivismo radicale della tradizione scettica.31

30 Cfr. ivi, pp. 88-89. 31 E. Husserl, Storia critica delle idee, Guerini e Associati, Milano 1989, p. 77.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

23

Ma quale soggettività propone Gorgia? Non una

universale ma quella singolare di ogni singolo, da cui l’impazzimento relativista e l’inferno di una Gorgia che non crede nella verità di nulla. Ma la strada della scepsi è giusta, perché apre alla filosofia come analisi soggettiva delle scienze esatte, come studio del soggetto che è origine di ogni modo di fare scienza. Il limite di Gorgia è se si vuole, secondo Husserl, quello di Leibniz32, con tutti i distinguo necessari ovvero la sua scepsi è una monadologia solipsista: l’epoché di Gorgia è un agnosticismo, per cui nulla esiste, mentre il cielo di una filosofia razionale resta precluso33.

Spostiamoci con Husserl in epoca moderna. Lasciamo il primo filosofo delle sospensioni soggettive, Gorgia e torniamo a Cartesio34. Cartesio per Husserl è un fenomenologo ante litteram, se inizia con il dubbio, cercando una fondazione assoluta nella soggettività dell’ego cogito, ego sum. La profondità della sua scepsi è radicale, senza precedenti perché pone in discussione il mondo e l’esperienza sensibile tutta35, che Husserl in quegli anni chiama esperienza antepredicativa.

Ma qual è il suo limite? Intanto e in primo luogo l’aver postulato due sostanze distinte e separate, una cogitans e l’altra estesa e poi aver messo di mezzo Dio, per giustificare e fondare l’esistenza del mondo fuori della coscienza, mondo assunto per altro come vero, solo se conosciuto matematicamente (matematica anch’essa garantita da un Dio buono e non ingannatore: insomma tutta una delega a Dio, con poche concessioni all’ego cogito, ego sum). A Cartesio manca un approfondimento dell’intuizione trascendentale dell’ego cogito: non ne fa un “punto archimedico”, non lo attraversa come una “porta” per accedere a tutte le cogitazioni della res cogitans, compresa quella che percepisce il mondo e che non si inganna se vede un bastone spezzato nell’acqua, perché questo è un fenomeno che merita una fenomenologia del modo in cui l’ego percepisce il mondo (spezzato nell’acqua).

32 Ivi, p. 87. 33 Cfr. Crisi, p. 105. 34 Cfr. ivi, pp. 101-111. 35 Cfr. ivi, p. 104.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

24

Cartesio ha commesso ancora altri errori. Il primo e il più grave è stato quello di aver detto che quell’ego cogito, ego sum era un’anima,36 un io psichico37, un tema tra gli altri temi nel mondo38, descrivendo questo ego-anima-psiche come un pezzo oggettivo di mondo che si può descrivere matematicamente, concedendo così alla matematica delle scienze esatte del suo tempo il titolo di uniche vere, perché le sole in grado di descrivere in modo obiettivo l’ego. Quella di Cartesio non è una fenomenologia trascendentale ma una “teoria della conoscenza”39 (matematica), una conoscenza matematica che “trascende metafisicamente l’ego”40. Husserl nelle lezioni di Filosofia prima era netto nel giudizio su Cartesio:

Le sue oscurità, i suoi problemi apparenti, la

sua assurda teoria delle due sostanze, sullo sfondo di una non meno assurda fondazione delle scienze matematiche, determinano e confondono il futuro. Tanto poco Descartes diventò il fondatore di una filosofia edificata sul terreno trascendentale, sull’ego cogito, e dunque di una filosofia realmente trascendentale, che egli rimane del tutto impigliato nel pregiudizio obiettivistico. Tutto il suo apparato di una metodologia della meditazione filosofica serve infine a salvare il mondo obiettivo, il sostrato delle scienze obiettive e queste stesse scienze dagli attacchi della scepsi; in particolare egli intende attribuire alla matematica e alla scienza naturale matematica, nella forma e secondo il metodo nel quale esse ricevevano un nuovo sviluppo, la legittimazione di una validità assoluta e il ruolo di prototipo per tutte le scienze autentiche.41

Come appare evidente l’accusa è precisa e

circostanziata: giustificazione infondata della matematica, proposta come modello ideale ed assoluto di scienza. Niente filosofia dell’aritmetica, nessuna fenomenologia dell’algebra e delle sue operazioni. A Cartesio manca un’analitica dell’ego e delle sue intenzioni matematiche e geometriche. La differenza sostanziale della filosofia husserliana, se si vuole e per quanto lo stesso Husserl

36 Cfr. ivi, p. 108. 37 Ivi, p. 109. 38 Ivi, p. 110. 39 Ivi, p. 111. 40 Ibidem. 41

Storia critica delle idee, p. 88.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

25

sostiene, rispetto a Cartesio e al suo discorso sul metodo, sta nella fenomenologia non di un ego privo di contenuti, ovvero un’anima con un corpo da lei separato, ma di un ego pieno di contenuti, che sono fenomeni e che dipendono da una serie articolata di intenzioni. Per Husserl questi fenomeni-contenuti42 sono il mondo della vita del soggetto, il suo tempo, i modi in cui percepisce e giudica, desidera e vuole, immagina, mentre sta in relazione con gli altri, fenomeni-contenuti che sono tutti momenti essenziali dell’essere della coscienza, pezzi e momenti che concorrono alla costituzione del suo intero.

Dopo Cartesio e in una linea fenomenologica di ricostruzione storica la “critica dell’intelletto” di Locke rappresenta per Husserl un passo trascendentale determinante. Il problema di Locke è dare una fondazione alle “scienze obbiettive” senza ricorrere a Dio. Per far questo Locke “alla Husserl” sposta la sua attenzione gnoseologica sulla “auto-esperienza interna” di cui è capace la coscienza: il mondo esterno resta escluso. Ma la sua scivolata è nell’uso improprio di una psicologia fisiologica: per Locke la psiche è natura. La sua psicologia sensualista costituisce così il preludio alla “bancarotta” della ragione obbiettiva che si compie con Hume, perché i dati sensuali nella psiche per Locke vanno e vengono, senza che nulla di essenziale si riveli come struttura essenziale della mens, lasciata in balia del suo essere naturale incostante, dove non si salva nemmeno un’intuizione geometrica o matematica. Da un estremo all’altro: dal dogma matematico alla scepsi sensualista. Husserl: «La psiche è un reale chiuso in sé come il corpo; nella prospettiva di un ingenuo naturalismo l’anima viene intesa come uno spazio per sé. Per usare la celebre similitudine di Locke: l’anima diventa una tavoletta di cera sulla quale i dati psichici vanno e vengono» 43. Comunque a Locke, in senso scettico, Husserl riconosce che molto ha fatto in direzione di un vero trascendentale, almeno rispetto alla discussione critica della verità delle scienze. Un Husserl che fa parlare Locke, scrive:

Un certo interesse riveste anche il fatto che la

scepsi di Locke di fronte all’ideale razionale della 42 Sulla controversa questione teoretica di questi “contenuti” della coscienza rispetto alle intenzioni che a loro danno senso, cfr. R. Lanfredini, La teoria dell’intenzionalità, Laterza, Roma-Bari 1994. 43 Crisi, p. 113.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

26

scienza, la sua limitazione della portata delle nuove scienze (che pure devono mantenere la loro legittimità) portano ad un agnosticismo di nuovo tipo. […] La nostra scienza umana si fonda esclusivamente sulle nostre rappresentazioni e sulle nostre formazioni concettuali, mediante le quali noi possiamo sì trarre conclusioni riguardanti il trascendente, ma non possiamo, di principio, attingere vere e proprie rappresentazioni delle cose in-sé, rappresentazioni che ne esprimano adeguatamente l’essenza. Soltanto della nostra sfera psichica abbiamo rappresentazioni e conoscenze adeguate.44

Laddove si poteva aprire un varco verso un

trascendentale soggettivo, ancora una volta la cosa non avviene e l’analisi del soggetto trascendentale prende una paradossale svolta idealista. L’empirismo lockiano è idealismo: se è possibile indagare la sola sfera psichica allora siamo idealisti, sebbene l’esperienza di sé, dei dati immanenti non sia idealista ma sensualista ed incostante, perché nella coscienza tutto è sensibile, nulla di trascendentale.

La “bancarotta” del soggetto si compie, come anticipato, con la filosofia di Hume. Con Hume la chiusura della ricerca nell’immanenza della psiche è completa: tutto quello che ci appare all’esterno, scientifico o non che sia, è una “finzione”. Ogni cosa ha origine nella psiche, che fa associazioni e inventa relazioni tra idee. La stessa identità di un albero non è vera, perché ciò di cui uno dispone è solo una “complessione di dati” (sensibili) che vengono associati. Conseguenza, causalità, identità: finzioni. Etica e scienza: finzioni. Hume è solo: la sua filosofia è il trionfo del solipsismo e dalla “sfera immanente” non si esce.45 La sua è una filosofia discutibile eticamente, mentre lo scetticismo, che professa, è solo accademico46 e dagli esiti contraddittori: la fondazione soggettiva della matematica e della geometria nel pieno della loro fioritura si traduce, infatti, in una soluzione scettica, non in un’ipotesi trascendentale. Un controsenso, perché se la matematica e la geometria sembrano essere così salde, non si capisce perché il soggetto che le produce non debba esserlo altrettanto. Invece nulla: la sua psiche è una continua 44 Ivi, p. 114. 45 Cfr. ivi, p. 115. 46 Cfr. ivi. 116.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

27

finzione. E come se uno apprezzasse un’opera e poi gli si dicesse dell’autore e allora diventasse di nuovo brutta, solo perché di quell’autore. Husserl:

Quale paradosso! Nulla poteva paralizzare la

forza delle scienze esatte in piena fioritura e inopinabili nelle proprie operazioni, né la fede nella loro verità. E tuttavia appena si cercava di tener conto del fatto che esse sono operazioni della coscienza compiute da soggetti conoscitivi, la loro evidenza e la loro chiarezza si trasformavano in un controsenso incomprensibile.47

Ma nonostante questi paradossi, a ben vedere, scrive

Husserl, la messa in discussione delle verità assolute delle scienze con Hume finalmente emerge:

Non veniva in luce in queste riflessioni un modo

completamente nuovo di giudicare l’obiettività del mondo nel suo complessivo senso d’essere e, correlativamente, quella delle scienze obiettive; un giudizio che non investiva la loro specifica legittimità, bensì le loro pretese filosofiche, metafisiche: la loro pretesa di un’assoluta verità?48

Hume si accorge della surrettizia introduzione di una

causalità nell’esperienza e di un’imposizione necessaria di questa causalità al mondo sensibilmente intuito, ma poi non fa fenomenologia della percezione perché le sovrappone una serie di dati sensibili. Non sospetta nemmeno che dietro quei dati ci possa essere una “nascosta operazione spirituale”, un’esperienza antepredicativa. Quello che a Hume manca è una fenomenologia dell’esperienza, che rivelerebbe come facendo esperienza delle cose, la coscienza percettiva arriva in sede antepredicativa ad elaborare un senso di quello che vede, che poi può essere sistemato dalla logica formale del giudizio. Infatti, scrivendo di percezione ovvero di quella “nascosta operazione spirituale”, che dà un senso all’esperienza pre-scientifica49, nella Crisi Husserl afferma:

47 Cfr. ivi, p. 117. 48 Ivi, pp. 117 - 118. 49 E’ noto come lo studio di questo passaggio stesse in quegli anni impegnando Husserl e Landgrebe nella stesura definitiva di Erfahrung und Urteil. Per uno studio dell’estetica trascendentale husserliana, cfr. V. Costa, L’estetica trascendentale fenomenologica, Vita e Pensiero, Milano 1999.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

28

Essa [la nascosta operazione spirituale,

insomma l’esperienza antepredicativa] deve pur essere un’operazione che renda l’esperienza pre-scientifica capace di essere conosciuta mediante la logica, mediante la matematica, mediante le scienze naturali matematiche, in una validità obiettiva, cioè in una necessità vincolante che possa essere ammessa da chiunque.50

In ogni caso con Hume l’obiettivismo è

definitivamente demolito (almeno in sede teoretica-filosofica) e questa eredità soggettiva spetta al Kant risvegliato dal sonno dogmatico51. Ma Kant devia dal compito trascendentale che gli spetta, perché non è su un asse che viene da Cartesio, ma su uno che muove attraverso Leibniz e Wolff, un asse razionale.

Cartesio per certi versi aveva lottato per dare dignità ad una psicologia le cui verità fossero almeno pari a quella della natura: vera la mens come è vera la natura. Ma queste verità entrambe vere finivano dualmente per essere due e chiuse l’una rispetto all’altra, sebbene avessero in comune l’essere trattate in modo matematico. Il razionalismo, a cui si accoda Kant e che conseguiva da quella dualità, è logico-matematico, non trascendentale in senso soggettivo. La logica che Kant fa propria, è solo una metodica pratica delle leggi che regolano la vecchia logica formale, l’aritmetica, la matematica analitica pura52. A loro garanzia, Dio.

Il Kant razionalista ammette inoltre da una parte una facoltà del pensiero puro a priori e dall’altra una facoltà della sensibilità, dell’esperienza interna ed esterna, che se attesta l’esistenza delle cose all’esterno (affezione), ha poi bisogno delle norme logiche innate della ragion pura (formale, aritmetica, matematica e analitica) per arrivare alla “verità” delle cose. Kant si avvede di questo salto dai sensibili alle verità della ragion pura e capisce quanto sia difficile spiegare il modo in cui la mens razionale processi in modo logico i dati sensibili trasformandoli in verità matematiche e analitiche. Il focus della sua attenzione

50 Crisi, pp. 121-122. 51 Su Husserl lettore di Kant, cfr. E. Husserl, Kant e l’idea della filosofia trascendentale, Il Saggiatore, Milano 1990; V. De Palma, Il soggetto e l’esperienza. La critica di Husserl a Kant e il problema fenomenologico del trascendentale, Quodlibet, Macerata 2001; per un confronto Husserl-Kant, cfr. I. Kern, Husserl und Kant, Nijhoff, den Haag 1964. 52 Crisi, p. 120.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

29

secondo Husserl si sposta allora in direzione di una “quasi-logica” (la “nascosta operazione spirituale” di Hume), la quale secondo certi modi a priori logicizza i dati della sensibilità53. Lo studio di Kant viene descritto così da Husserl:

[…] se l’esperienza nel suo complesso

dev’essere veramente esperienza di oggetti naturali, di oggetti disposti in un’obiettiva verità, e quindi secondo l’essere o il non essere, seconde certe loro strutture, e se quindi devono poter essere conosciuti sistematicamente, allora il mondo che appare intuitivamente deve già essere un prodotto della facoltà dell’«intuizione pura» e della «ragion pura», di quelle stesse facoltà che si esprimono nel pensiero esplicito della matematica e della logica.54

Il passaggio decisivo è l’ultimo ovvero quello in cui

Husserl mostra come Kant riduca la facoltà della sensibilità alle stesse facoltà razionali pure che fondano la matematica e la logica. La facoltà della sensibilità è matematica e geometrica. La logica matematica è l’a priori anche della facoltà della sensibilità e questa sua onnipresenza spiega la continuità tra verità di ragione e verità di fatto. Da una parte auto-dispiegandosi la ragione fa matematica, perché il suo modo naturale di procedere è matematico. Ma anche quando percepisce, lo fa in modo matematico, “razionalizzando” tutti i dati sensibili per utilizzarli poi in modo scientifico. Kant, come Hume, non fa fenomenologia della quasi-logica, che non è matematica ma antepredicativa, con un suo senso disposto per una lettura apofantica.

D’altra parte nella sua filosofia ci sono le cose in sé che “affettano” il soggetto, ma sono inaccessibili e la causa della loro “molteplicità di fatto” è inspiegabile perché non dipende dall’intelletto o dalla sensibilità umane. I presupposti (le cose in sé) della conoscenza oggettiva (scientifica) non si possono spiegare: sono un buco nero nell’assetto epistemologico moderno, un altro mitologicamente inaccessibile, un mondo che ci sta di fronte e che non riusciamo a raggiungere. Dualità di io-soggetto e mondo delle cose in sé. Così per Kant (letto da Husserl) da una parte sta la scienza obiettiva e dall’altra la

53 Ivi, p. 122. 54 Ibidem.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

30

sua teoria filosofica, criticamente consapevole dell’impossibilità per la scienza che la stessa conosca la natura così come è (in sé). Dualità: scienza, natura in sé55, ma anche fenomeno e noumeno e quindi dal lato del fenomeno, a ben vedere, una filosofia trascendentale-soggettiva (una teoria filosofica) mancata da Kant che concede ancora troppo all’oggetto nella sua trascendenza.

Il noumeno è un inciampo imperdonabile. Per questo Husserl riconosce a Berkeley (sul versante delle scienze naturali) e a Hume (in senso trascendentale) di essere stati più profondi in senso trascendentale di quanto non lo sia stato Kant. Hume in particolare ha saputo ricondurre l’ovvio della scienza e del quotidiano al soggetto e alle sue capacità costitutive, senza ragionare su noumeni duali rispetto all’ego cogito, ego sum cartesiano. Le ingenuità e le ovvietà della scienza vanno ricondotte al trascendentale della “vita”56: sono “formazioni della vita”. Bisogna fare una filosofia che coincida con un soggettivismo radicale, trascendentale. Il problema di Hume è quello di Husserl e della crisi che sta descrivendo:

Ma come afferrare questo soggettivismo

radicale, che rende soggettivo il mondo stesso? L’enigma del mondo nel senso ultimo e più profondo, l’enigma di un mondo il cui essere è essere in virtù di un’operazione soggettiva, e che lo è in un’evidenza tale che non è possibile pensarne un’altra – questo, e nessun altro, è il problema di Hume.57

Kant è un razionalista rispetto a Hume, perché si

muove dando per scontati troppi “presupposti” (il mondo quotidiano, le scienze come fatti culturali, gli scienziati e le loro teorie), e poi non ha preso in considerazione il corpo proprio del fungere egologico con le sue cinestesi (corpo cinestesico per eccellenza antepredicativo, primo genetico in senso percettivo), non ha studiato le affezioni, gli interessi, la tendenza a tematizzare caratteristica dell’ego fungente e ancora non ha analizzato l’esplicitazione osservativa, il trarre delle conclusioni, lo stabilire relazioni, identificazioni, distinzioni. Non è stato a sufficienza trascendentale nelle sue analisi, non è stato antepredicativo, non è stato Husserl, non ha fatto

55 Cfr. ivi, p. 123. 56 Cfr. ivi, p. 124. 57 Ibidem.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

31

fenomenologia. Ma forse la filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero ed a Kant Husserl certe cose non le doveva chiedere, né rimproverargliele.

La psicologia.58 Una volta decostruita la storia della

filosofia, letta a partire dalla sua genesi scientifica, come si fa secondo Husserl vera scienza filosofica? Il progetto fenomenologico coincide con il suo manifesto filosofico. I temi da trattare sono quelli dell’ultimo Husserl, di Logica formale e trascendentale, delle Meditazioni cartesiane, dei lavori in corso di Esperienza e giudizio: oltre le algebre delle scienze esatte, con le loro semiotiche a posteriori rispetto al mondo della vita della coscienza, bisogna studiare il corpo con le sue cinestesi, la capacità intuitiva antepredicativa della coscienza insieme alla sua fenomenologia fatta di sintesi passive e attive, guardando poi al modo in cui la coscienza fissa il suo interesse e la sua attenzione sulle cose (fenomenologia antepredicativa dell’interesse), per arrivare ad una logica trascendentale (antepredicativa) dell’intersoggettività.

Nelle pagine che compongono la terza parte della Crisi Husserl vira su una fenomenologia dell’intuizione intesa appunto come esperienza antepredicativa, . Buona parte del mondo della vita coincide proprio con quest’esperienza e dunque concentrando il proprio studio su questa fenomenologia della coscienza è possibile secondo Husserl attraversare il varco esistenziale, vitale, concreto che porta oltre Kant, oltre la superficie delle cose, verso la “terza dimensione”, verso la “quasi-logica” non afferrata nemmeno da Hume. Husserl:

Il primum reale è l’intuizione «meramente

soggettivo-relativa» della vita pre-scientifica nel mondo. Certo, per noi, il «meramente» ha una sfumatura di spregio che esprime la diffidenza tradizionale per la . Ma nella vita pre-scientifica stessa questa sfumatura scompare; qui il «meramente» sta ad indicare una sicura verificazione, un complesso di conoscenze predicative controllate e di verità precisamente definite secondo le esigenze imposte dai progetti pratici della vita, i quali ne determinano il senso. Lo spregio con cui tutto ciò che è «meramente

58 Per tutta la terza parte di Crisi si veda un confronto con la seconda parte di Erste Philosophie (1923/24) Zweiter Teil: Theorie der Phänomenologischen Reduktion, Nijhoff, den Haag 1965; tr. it. di A. Staiti, cura di V. Costa, Filosofia prima. Teoria della riduzione fenomenologica, Rubbettino, Catanzaro 2007.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

32

soggettivo-relativo» viene trattato dagli scienziati moderni al servizio di un ideale di obiettività non cambia assolutamente nulla al suo modo d’essere, come del resto non cambia nulla il fatto che agli scienziati stessi questo elemento deve essere di comodo, visto che vi ricorrono tanto spesso e inevitabilmente.59

Certo, il mondo della vita è molto più che sola ,

perché comprende qualsiasi intenzione (tempo, esperienze, giudizi, immaginazioni, parole, incontri intersoggettivi, volontà, etc.). E tuttavia, se si vuole essere trascendentali, allora si deve iniziare dalla doxa, che si articola per presentificazioni, ricordi, anticipazioni: il punto di partenza è l’intuizione evidente ed apodittica di un’esperienza seguita da un giudizio nella coscienza interna del tempo di un ego cogito trascendentale. La doxa è la stessa che vive lo Einstein soggettivo e relativo60, una dimensione di cui nessuna scienza fisica può materialmente sbarazzarsi. Non è scientifico per Husserl disinteressarsi di questo ego relativo che fa esperienze trascendentali, che vive un tempo, che esprime giudizi secondo una logica apofantica, affidando il tutto agli studi psicologici61: di qui bisogna invece partire, perché questa è l’evidenza a cui si giunge, sospese le scienze, all’evidenza di una coscienza che intuisce le cose in modo antepredicativi.62

Oltre le scienze esatte bisogna fare fenomenologia dell’esperienza antepredicativa, come anche dell’a priori logico-obbiettivo delle intenzioni di giudizio (ma in separata sede). L’epistemologia delle scienze esatte, fattuali e naturali, manca la differenza intenzionale tra la sfera del giudizio e quella trascendentale-fondativa dell’esperienza. Lo scienziato avverte questa differenza, la vive nella storia moderna nelle forme del contrasto tra soggettivismo e obbiettivismo, ma non comprende la

59 Ivi, p. 154. 60 Cfr. ivi, pp. 154-155. 61 D’altra parte è quest’affidamento ad essere in questione. I genitori adottivi, gli psicologici, sono affidabili? 62 «Per poterci arrivare, a quell’intuizione, è necessaria un’epoché, una sospensione professionale del proprio quotidiano, un’epoché parallela a quella che compiono nel loro campo lo scienziato, il soldato, quando fanno il mestiere che fanno. Scienziati, soldati, filosofi. Quella del filosofo è tuttavia un’epoché speciale, perché così egli si apre ad un tempo professionale con esiti esistenziali, per una sorta di “conversione religiosa». Cfr. ivi, p. 166. Sulla professione del filosofo, cfr. E. Husserl, Manoscritti K III 28, K III 29, Teleologie in der Philosophiegeschichte, Husserliana XIX, tr. it. a cura di N. Ghighi, La storia della filosofia e la sua finalità, Città Nuova, Roma 2004.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

33

possibilità di una riconduzione di quel dualismo alla sfera unica del cogito che fa esperienze ed esprime giudizi. L’ego cogito con i suoi cogitata è il “punto di Archimede” e la sua importanza ontologica merita una psicologia (filosofia) che non sia schiacciata sulla fisica causale dei comportamenti: c’è bisogno di una psicologia rigorosa che sia lettura intenzionale delle differenti intenzioni di senso, nel loro intreccio costitutivo del mondo, dei “valori” in cui crede la coscienza media.

Ma come si arriva a quell’ego cogito? Come lo si afferra? Bisogna fare epoché di tutto. Fare epoché significa dahinleben, vivere direttamente nella propria coscienza intenzionale, perché questa è il prius ontologico che precede le fenomenologie delle singolarità e delle molteplicità logiche. I passaggi di questa sospensione della fede scientifica sono noti: messa tra parentesi delle scienze, passaggio al mondo della vita e da qui al soggetto trascendentale, che vive di «orizzonti» che sono nell’oscillazione continua di un implicito e di una sua esplicazione.63 Questa sequenza di passaggi può risultare a qualcuno “disumana”, ma l’umanità è solo un fenomeno, un oggetto storicamente determinato del soggetto trascendentale. Husserl:

Ma l’epoché e lo sguardo puro che mira al polo

egologico fungente, e quindi alla totalità concreta della vita e delle sue formazioni intermedie e finali, non rivelano eo ipso nulla di umano, né l’anima, né la vita psichica, né gli uomini reali psicofisici – tutto ciò rientra nel «fenomeno», nel mondo in quanto polo costituito.64

Non si può negare, scrive Husserl, che alla fine delle

epoché si possa avvertire un senso di vuoto, ma è il vuoto intuito dell’origine e della genesi della coscienza e coincide con il luogo teoretico di un possibile passo falso, che si compie tutte le volte in cui si crede di iniziare dall’inizio, ma si è fermi ad una tappa intermedia della storia trascendentale della coscienza.

Il vuoto a cui si può arrivare è anche quello della solitudine del filosofo, che se critica il mondo della scienza,

63 Cfr. ivi, p. 177. 64 Ivi, p. 210. L’umanità che passa per la maggiore è quella scientifica, quella è la vera umanità, un’umanità che sa dire di un fenomeno, quali sono le cause che lo animano. Per Husserl evidentemente questa non è la sola umanità possibile.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

34

sa di trovarsi poi solo con la sua “metafisica” dei costumi intenzionali, senza poter disporre della coscienza della comunità intersoggettiva, che si fonda sul linguaggio che lui condivide, linguaggio anch’esso sospeso per le sue ragioni semiotiche, altre rispetto alla genesi antepredicativa che si cerca. Ma la solitudine del filosofo è metodica e non deve essere temuta perché necessaria, se si vuole essere professionisti della filosofia. Husserl: «L’epoché crea una singolare solitudine filosofica, che è l’esistenza metodica fondamentale di una filosofia realmente radicale».65 I rapporti con gli altri vengono dopo, in senso genetico, dopo il rapporto che ciascuno di noi stabilisce con sé, se fa fenomenologia della sua coscienza:

È questo che in realtà insegna l’auto-

esplicazione filosofica nell’epoché. Essa mostra come l’io, che rimane sempre unico, nella vita originale e costitutiva che scorre in lui, costituisca una prima sfera oggettuale, la sfera oggettuale «primordiale», e come a partire da essa compia un’operazione motivata e costitutiva, in virtù della quale una modificazione intenzionale di se stesso e della sua primordialità perviene alla validità d’essere sotto il titolo di «percezione dell’estraneità», percezione dell’altro, di un altro io, che, per se stesso è un io come io sono per me.66

Dunque vengo prima io, poi un altro, quindi con lui

posso mettermi d’accordo su cosa sia scientifico, vero, ovvio. Prima della scienza delle cose c’è un io che intende se stesso nella solitudine della sua progressiva costituzione. L’altro viene dopo, è un essere che mi somiglia e che sembra gesticolare, comportarsi come se fosse mosso dalle stesse intenzioni che muovono me, quando mi muovo come si muove quell’altro. Empatia e semiotica.

Al di là della sua solitudine la coscienza trascendentale husserliana non è vuota ed è viva: vive intenzionalmente senza soluzioni di continuità. La coscienza originaria, intuita alla fine dell’epoché, è piena di fenomenologie che portano ad oggetti fenomenali quali la molteplicità, la relatività, il tempo, l’intersoggettività e si tenga conto che nelle pagine che compongono la terza

65 Ivi, p. 210. 66 Ivi, p. 211.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

35

parte della Crisi torna spesso l’espressione “molteplicità” (di contro ad “unità”), laddove questa molteplicità è da intendere in senso epistemologico ed intenzionale, ovvero: l’unità della verità scientifica è risultato ultimo della molteplicità intenzionale della coscienza, delle diversità delle diverse fenomenologie intenzionali, che concorrono alla costituzione di una verità scientifica, che viene fatta poi valere come unità-unicità. La stesse molteplicità intenzionali sono la vita della coscienza come residuo fenomenologico di tutte le epoché. Husserl:

Accanto alla verità obiettiva può esisterne

un’altra, una verità soggettiva? Naturalmente la risposta è: proprio questo è l’esito sorprendente ma insieme evidente, che ora andrà chiarito delle nostre indagini dall’interno dell’epoché: la constatazione che la vita obiettiva e naturale nel mondo è soltanto un modo particolare della vita trascendentale, della vita che costantemente costituisce il mondo: perciò, fintanto che la soggettività trascendentale vive in questo modo particolare, naturale, non può diventare cosciente degli orizzonti costitutivi, e non potrà mai penetrarli. Essa vive, per così dire, nell’«occlusione» (verloschlossen) puntata sui poli di unità, senza penetrare le molteplicità costitutive che ineriscono loro in via essenziale; ma questa penetrazione esige appunto un totale cambiamento di atteggiamento e la riflessione. La verità obiettiva rientra esclusivamente nell’atteggiamento della vita naturale umana nel mondo. Essa sorge originariamente dalla esigenza della prassi umana, dal proposito di garantire l’essente semplicemente dato (il polo oggettuale anticipato come permanente nella certezza d’essere) contro le possibili modalizzazioni della certezza.67

E come se la scienza fosse attaccata alle sue certezze,

facendo di tutto un oggetto-oggettivo, protesa ad anticipare ogni cosa per garantirsi una sorta di quieto vivere, molto spaventata dalle “modalizzazioni” a cui invece il soggetto trascendentale è costretto, in un aggiustamento delle sue certezze: non c’è nulla di certo che non venga attraversato da negazioni, dubbi, aggiustamenti, illusioni, domande sul senso di quello che uno vive, tutte fenomenologie della vita, della vita trascendentale della coscienza che prima di esprimere giudizi matematici e geometrici, fa esperienza

67 Ivi, p. 202.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

36

antepredicative delle cose e di se stessa, in un’oscillazione fluttuante dei suoi pensieri, che alla Gorgia le fa credere di essere sola, che tutti sono soli, che ognuno vede le cose a modo suo, perché tutto è soggettivo. Ma la vita è proprio questa: certezze, dubbi, domande, anticipi, dimenticanze, ricordi, tentazioni di chiudere il cerchio, continui aggiustamenti, modalizzazioni dell’esperienza antepredicative delle cose. Chi ha paura di queste crisi, in crisi ci andrà comunque, quando quello che dice essere ‘vero’ non gli basterà più, perché non gli restituirà più il senso di vivere, non avrà nulla da dirgli di vitale.

Ma quanto detto non toglie l’enigma: come si arriva da una parzialità soggettiva ad una totalità ermeneutica?68 Come si passa dalla doxa all’episteme, dal soggettivo all’oggettivo, dal relativo all’assoluto? La risposta è nella possibilità di un taglio deduttivo-apofantico (il giudizio), che interrompe il flusso induttivo tipico dell’esperienza, taglio dell’Urteilen sorretto dalla scrittura, che trasmessa storicamente, crea a sua volta la dimenticanza del referente concreto della rappresentazione apofantica, come anche la rimozione dello strato intenzionale e vitale che anima in modo “primordiale” ogni chiusura deduttiva nel gioco degli scacchi algebrico.

Ma torniamo con Husserl ad «intuire» oltre i tagli apofantici, nell’esperienza pre–scientifica delle cose. Che cosa intuiamo? L’attualità della nostra coscienza, il nostro vivere attualmente, ora, adesso69. L’attualità della coscienza fenomenologica coincide con il suo essere presso la cosa stessa della coscienza (auto-riflessione), un essere presso che la fenomenologia deve rincorrere, se vuole tenere il passo della sua critica alla psicologia contemporanea. Essere attuali significa essere davanti alla propria coscienza, descrivendola per come si atteggia intenzionalmente verso il mondo, percependo, ricordando, anticipando sul tempo le cose. Così l’attualità che studia Husserl non è quella di un confronto filosofico con le scienze del suo tempo, ma è l’attualità viva e concreta di

68 O ancora e nella Crisi delle scienze europee: come si può accettare una certa “umanità” come unica moda possibile in senso antropologico? La parzialità dell’umanità dipende dalla parzialità della stessa intenzionalità intersoggettiva, una tra le altre della coscienza ed in senso genetico, successiva rispetto a quella intuitiva antepredicativa della coscienza primordiale, per la prima volta “sola” di fronte al mondo, quando intuisce la sua presenza. 69 L’attualità è la sfera primordiale della coscienza, è “l’attualità” di una coscienza, il suo presente, che se ha poco della nobile inattualità di altre filosofie, non meno di quelle deve fare i conti con l’inattualità epistemologica del suo progetto “metafisico”.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

37

una coscienza analizzata nel suo primordiale fluire temporale, percettivo e giudicante, immaginativo.

Ma è facile intuire questa attualità? Come si fa? C’è un metodo diverso da quello scientifico (da quello cartesiano), diverso da quello adottato dalla psicologia contemporanea (behaviorista), che osserva e descrive i comportamenti umani? Per Husserl si tratta di venire in chiaro su questo metodo, su questo metodo fenomenologico (è la sua filosofia ad essere in discussione), insomma su quello che lui chiama “metodo interno” con cui egli guarda in modo auto-riflessivo dentro la propria coscienza. Entrare dentro la propria coscienza significa avere a che fare con la propria coscienza interna del tempo. La fenomenologia di questa coscienza interna è l’evidenza articolata, attiva e passiva, cui giunge l’epoché fenomenologica nella sua indagine storica in un tempo di crisi: la fenomenologia della coscienza interna del tempo è lo spettro trascendentale attraverso il quale è possibile spiegare la genesi storica della crisi della scienza e della filosofia. Seguendo un metodo interno di analisi si scopriranno ad esempio nella coscienza tutta una serie di meccanismi ritentivi e dimenticanti, congeniti perché a priori, che giustificano gli slittamenti di senso che vanno dal coltivare i campi in modo ordinato fino al fare geometria e algebra di quella geometria.

Coscienza interna del tempo, fatta di ritenzione e protensioni, quindi coscienza interna del tempo dello stesso Husserl, che fa epoché nel tempo della sua coscienza. E se qui nel suo tempo Husserl dimenticasse qualcosa, lasciando inesplicato qualche orizzonte della soggettività trascendentale che studia? E’ possibile un’epoché che si compia in un colpo solo o la stessa non deve essere ripetuta continuamente, in ragione dello scorrere del tempo (questione di “metodo” interno)? Domande queste che non hanno soluzione e di cui Husserl è consapevole, perché comunque la si voglia intendere l’epoché, insieme a tutti i suoi limiti temporali (e alle sue mancanze scientifiche), è per Husserl un mettersi “sopra” il mondo, il quotidiano, quello che è comunemente accettato, con tutti i rischi che la cosa comporta perché un’analisi del genere può portare ad una mitologia metafisica. Facendo epoché si può perdere l’essenziale. Husserl:

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

38

Com’ è possibile delimitare grazie a quest’epoché la soggettività nel suo operare, nella sua «vita di coscienza» trascendentale, che s’insinua fin dentro i sottofondi più occulti, nei modi determinati in cui essa «allestisce» (zustandebringt) in sé il mondo in quanto senso d’essere – com’è possibile portarla alla luce in piena evidenza, e non inventarla, non costruirla miticamente?70

Il compito è difficile, perché:

“La” cosa è propriamente ciò che nessuno ha visto realmente, perché è continuamente in movimento, continuamente e per chiunque; per la scienza, è l’unità della molteplicità aperta e infinita delle mutevoli esperienze proprie e altrui e delle cose dell’esperienza.71

Fenomenologia dunque di un invisibile, dell’invisibile

della cosa in sé kantiana, delle cose in continuo movimento e quindi invisibili, perché fotografate e sfumate (perché in movimento).72 Invisibili le cose, perché mai determinate e finite nelle forme di una rappresentazione geometrica, da cui una fenomenologia di un invisibile condiviso con altri, a loro volta invisibili, per tutta quella parte che li riguarda e che non si offre ad una visione piena ed evidente, da tutti i lati, a me che li guardo. La fenomenologia husserliana è essenziale ed evidente nella descrizione di questi modi dell’invisibile, di un non pieno, di un vuoto, del nascosto, del non ancora manifesto, tutte caratteristiche a loro volta proprie della stessa coscienza del fenomenologo che si auto-osserva, riflettendo su se stesso (mettendosi sopra se stesso),73 un se stesso a sua volta invisibile.

70 Ivi, p. 180. 71 Ivi, p. 191. 72 Di fronte a quest’invisibile non c’è spazio alcuno per dispute oziose, per filosofemi che sanno di letteratura e di chiacchiera quotidiana. Bisognerebbe davvero fare come fanno i biologi, i fisici, i matematici: collaborare ad un’unica scienza filosofica. Invece tocca constatare altro. Husserl: «Dato questo frammentarsi delle filosofie e della letteratura che si occupa di esse, è ancora possibile considerale seriamente frammenti di un’unica scienza, valutarle criticamente e intravedere l’unità del loro lavoro? Esse fanno un certo effetto, ma non è forse giusto dire che si limitano, appunto, a suscitare impressioni, a “stimolare”, che commuovono l’animo con composizioni poetiche, che suscitano “presentimenti” – ma tutto ciò non lo fa forse anche (ora in uno stile di un certo livello, ora, disgraziatamente, anche in uno stile più banale) la produzione letteraria quotidiana?», ivi, p. 221. 73 Contro la scienza come tecnica (cfr. ivi, p. 222), versus la filosofia come irrazionalismo, la filosofia come fenomenologia ha il compito e il dovere di essere una scienza universale radicalmente fondata, che non abbia paura dell’invisibile della coscienza con cui si deve confrontare. La fondazione radicale è il punto decisivo: ci vogliono radici che siano ben fondate, profonde, rigorose.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

39

Fenomenologia dell’invisibile e non ansia da costruzione. La differenza tra la fenomenologia husserliana e la critica kantiana è quella che passa tra costituzione e costruzione. Si deve fare fenomenologia genetica e costitutiva delle costruzioni date come ovvi punti di partenza, perché quelle costruzioni, con i concetti che le sorreggono, sono arti e tecniche costruite secondo fini che devono essere indagati, riconducendoli alle loro intenzioni costitutive di senso (percepire, giudicare, immaginare, dimenticare, anticipare, intuire, etc. e di conseguenza costruire). La distanza da Kant, Husserl la marca sempre con una certa decisione:

Kant non riuscì a produrre un vero inizio che

fosse radicalmente libero da tutta la tradizione scientifica e pre-scientifica. Egli non riuscì a scoprire la soggettività costitutiva del senso e della validità dell’essente, né il metodo per raggiungerla nella sua apoditticità, per interrogarla e per esplicitarla apoditticamente […]. Tutti i concetti trascendentali di Kant, quelli dell’io dell’appercezione trascendentale, delle diverse facoltà trascendentali, della «cosa in sé» (che sta a fondamento dei corpi come delle anime), sono concetti costruttivi che si oppongono di principio ad un chiarimento ultimo.74

Ricerca del senso della costituzione delle cose e non

adagio delle costruzioni, senza fondi archeologici. Lo studio filosofico è faticoso. Agire in modo filosofico implica lottare contro la propria pigrizia, il proprio accontentarsi di quanto ovvio non è. La cosa può risultare difficile, ma per Husserl «Nessun uomo sensibile alla filosofia si è mai spaventato di fronte alle difficoltà»75: se sono un filosofo allora non mi accomodo sulle misurazioni algebriche e geometriche. Se si vuole di nuovo tutta la fatica che comporta una nuova agrimensura filosofica, disposta a dissodare i terreni sommersi della coscienza, per riaprire i canali “occlusi” che portano alle sorgenti “vitali” (intenzionali) del mondo. Il primo passo si compie a partire dall’occlusione del proprio vivere quotidiano. Il primo è un passo che si realizza, in modo autoriflessivo, quando si decide di dedicare parte della propria giornata alla

74 Ivi, pp. 223-224. 75 Ivi, p. 225.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

40

professione del filosofo, con tutte le difficoltà e le fatiche che questo lavoro comporta.

Fare per professione (di fede) il filosofo è tanto impegnativo quanto fare il padre di famiglia oppure il soldato. Per Husserl è proprio di questo che si tratta: sospendere una parte della giornata, mettendo da parte il ruolo di padre, soldato, per fare il filosofo in modo professionale, sospendendo le comodità acquisite, ovvie, occludenti, mortificanti, alienanti che la scienza garantisce, scendendo nel profondo della coscienza, mettendosi “sopra” tutto e mettendo sopra tutto la filosofia, accettando la solitudine che ciò comporta, nella convinzione che questa “conversione religiosa” possa essere vitale, nella rinnovata liberazione del respiro intenzionale della propria coscienza.

Molto faticoso. Si perde in spontaneità, si perde l’ingenuità che altrimenti ci farebbe dire che tutto è abbastanza ovvio (trionfo scettico dell’ovvio, del non c’è più niente da dire, nulla da scoprire). E’ come si dovesse fare grammatica e logica sintattica di un articolo di giornale, mentre lo si legge, ma non per un gusto sintattico, ma per la riscoperta di un’intenzione che spieghi perché il quotidiano è pieno di cause naturali, che spiegano tutto e che tutto condannano alle necessità genetiche-biologiche delle proprie spiegazioni. La fatica è grande, genera crisi, non c’è riposo: è un inferno di sospensioni di fiducia e credibilità.

Smontare l’appercezione universale del mondo76, piena di occlusioni e dimenticanze, non è affar di poco. Il sedimento, la sedimentazione di senso sono l’interramento archeologico delle funzioni trascendentali, che va scavato, per togliere le occlusioni intenzionali che non lasciano respirare l’uomo-oggetto della scienza naturale psicologica, che si contenta di empirie di cui fa scienze, opponendo la giusta epistemologia delle sue osservazioni verificabili alle elucubrazioni filosofiche, metafisiche.

Per scavare nel profondo bisogna lottare con il proprio e l’altrui einströmen77, che è assorbimento nella “lingua comune” europea, luogo semiotico per eccellenza di tutte le sedimentazione appercettive, fondazione di un

76 Cfr. ivi, pp. 232-233. 77 Cfr. ivi, p. 233. Su questo einströmen, cfr. anche E. Husserl, Die Idee einer philosophischen Kultur, in Erste Philosophie, pp. 8-17; 203-207; tr. it. a cura di R. Cristin, Crisi e rinascita della cultura europea, Marsilio, Venezia 1999.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

41

common sense carico di rischi critici in senso vitale. Se si saprà andare oltre l’einströmen europeo, la ricerca fenomenologica significherà da una parte la perdita dell’ingenuità nella relazione a sé e al mondo, ma anche un arricchimento trascendentale per me, come per gli altri, che si può spendere immediatamente nella propria vita di funzionario, di padre di famiglia, di soldato, a condizione che si disimpari la lingua parlata da tutti.

A fronte di questa lotta, la psicologia resta nella prospettiva husserliana un rischio costante per la filosofia, quello di uno slittamento nelle maglie di una considerazione empirica di “anime” anziché di ego trascendentali. La psicologia è il titolo di ogni possibile inciampo della filosofia, una scivolata fuori dal rigore di uno studio, che si accontenta di anime che si comportano secondo certi modi osservabili, secondo andamenti causali iterabili, una psicologia che imita le scienze naturali, che mancano a loro volta del rigore necessario, che sappia dire del senso delle tecnologie di cui professano la certezza d’uso.

Ma quale psicologia desta il sospetto di Husserl? Qual è il suo grave difetto? Husserl punta il dito contro le psicologie che poggiano sul mito scientifico della “descrizione”: la psicologia è una scienza, dicono, perché si limita a descrivere ciò che osserva. Dilthey e Brentano sono per lui vittime di questa pretesa epistemologica, che si smarcherebbe dalla non scientificità delle scienze umane (come la filosofia) ancora legate ad esplicazioni metafisiche. Descrizione contro esplicazione, sebbene entrambe intenzioni della coscienza, con differenti coefficienti di senso, che non andrebbero contrapposte, ma solo distinte e analizzate. D’altra parte il dualismo descrizione-esplicazione è ancora una volta un riflesso delle dicotomie soggettivo-oggettivo, anima-corpo, veri malintesi della storia moderna. Husserl:

Così anche lo schema: scienza descrittiva e scienza

teoreticamente esplicativa rimase uno schema ovvio – per quanto riguarda la psicologia lo ritroviamo infatti, fortemente accentuato, anche in Brentano e in Dilthey […]. Abbiamo già rilevato come una psicologia «esatta», analoga alla fisica (cioè il parallelismo delle realtà, dei metodi, delle scienze) sia un controsenso. Perciò non può esistere nemmeno una psicologia descrittiva analoga alla scienza naturale descrittiva. In nessun modo, e quindi nemmeno mediante lo schema «descrizione-esplicazione», una scienza delle anime può

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

42

lasciarsi guidare dalle scienze naturali, accettarne i suggerimenti metodici.78

Lo psicologo contro cui si ferma Husserl è ancora

quello delle sensazioni, se si vuole quello che si fa descrivere le sensazioni dal suo paziente ovvero quello che guarda la persona, le persone che gli stanno di fronte e alla fine non può fare a meno di ragionare in termini di cause ed effetti, di oggetti con certe caratteristiche sensibili, empiriche perché percepibili. Lo psicologo che apre le crisi e merita delle critiche è un ricercatore che si affida al solo senso esterno, alla percezione trascendente. Egli in prima persona non compie nessuna auto-riflessione, mentre sovrappone percezione esterna e interna, a discapito della seconda: osserva il comportamento degli uomini come superfici antropologiche di una sequenza causale di reazioni chimiche interne che reagiscono a degli stimoli esterni, neuroni specchio di un comportamento non dissimile dal comportamento animale, chimico, fisico. Lo psicologo che esce dagli istituti di psicologia negli anni trenta in Germania osserva i comportamenti, fa medie, lavora di induzioni: va alla cieca, secondo Husserl, perché non studia il suo ego trascendentale. D’altra parte analizzare un altro è difficile, perché mi è inaccessibile, lo vedo solo per come si comporta, disponendo, io psicologo, solo del suo comportamento esteriore. Null’altro.

Ma allora come si fa, se anche Husserl ha avuto i suoi problemi con l’intersoggettività79? Intanto dicendo che l’osservazione del comportamento altrui e la sua descrizione behaviorista costituiscono solo il primo passo che si deve compiere sulla strada delle epoché. Il successivo, che si realizza nella sospensione del mondo e della coscienza singola, già muove verso il soggetto trascendentale. In questo soggetto bisogna cercare le

78 Ivi, pp. 244-245. 79 Si tenga conto che in molte parti della Crisi il problema dell’altro (e della relazione intersoggettiva che a lui mi lega) è affrontato in termini temporali, ricondotto com’è ad una genesi analoga a quella dell’alter ego dell’ego cogito, che si confronta con un altro se stesso, diverso dal suo attuale, perché collocato nella sua memoria ad una certa distanza di tempo: l’altro sta a me, come io presente sto a me passato (magari remoto). Com’è l’altro descritto nella Crisi? E’ un riflesso analogico dell’ego cogito primordiale costruito su un modello mnemonico. Io mi so come presente, ma anche come altro ovvero come io passato-trascorso. Il rapporto al mio passato, alla memoria di quello che sono stato, porta ad una mia de-presentificazione: ovvero io mi protendo fuori del mio presente e mi costruisco una rappresentazione di me passato analoga a quella di me presente. Questo passaggio nel mio altro trascorso-passato, posso poi ripeterlo in senso entropatico nella relazione con l’altro. L’altro non è il mio passato, ma è un ‘mio io altro’, a cui mi rapporto analogicamente in una rappresentazione che è de-presentificazione del mio ego attuale. Cfr. ivi, p. 212.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

43

intenzioni che empatizzano intersoggettivamente con il comportamento dell’altro e le altre che fanno semiotica delle espressioni (comportamentali) altrui.

Empatia e semiosi sono snodi problematici di cui si deve fare fenomenologia, se si vuole una psicologia rigorosa: auto-analisi del soggetto trascendentale che empatizza e fa semiosi. Insomma, forte la tesi delle Meditazioni Cartesiane, bisogna fare semiotica del comportamento altrui, intenderlo come significante di un pensiero diverso dal mio, che va a sua volta ricondotto al mio incontro empatico con lui. Andare oltre Hume significa fare fenomenologia delle intenzioni empatiche, delle intenzioni semiotiche, dei rapporti di somiglianza, della coscienza interna del tempo, 80 oltre la superficie comportamentale dell’altro, oltre il modo in cui ci sembra all’esterno lui si stia comportando. Husserl, ragionando sui gradi progressivi che bisogna attraversare per arrivare al nucleo trascendentale dell’ego cogito intenzionale, scrive riferendosi al behaviorismo:

Ma già per il primo grado, in cui si è ancora

atteggiati verso il singolo soggetto, e in cui le operazioni delle scienze psico-fisiche e biologiche sono problemi in sospeso, occorre localizzare accuratamente il suo senso, che non è senz’altro rivelato dalle riduzioni behavioristiche con cui si è necessariamente cominciato.81

E in nota aggiungerà:

Prescindo naturalmente dalle esagerazioni dei behavioristi, i quali operano in generale soltanto con l’aspetto esteriore dei comportamenti, come se così il comportamento non smarrisse il suo senso, quello che gli è appunto conferito dall’entropatia, dalla comprensione dell’«espressione».82

80 Dal comportamentismo bisogna dunque spostarsi verso le semiotiche empatiche delle coscienze, altrimenti nulla di profondo si guadagna nelle analisi, mentre si resta sulla superficie dei comportamenti, mai ponendosi al di sopra delle successioni causali, dove per Husserl conta davvero fare del comportamento un segno da decostruire fenomenologicamente verso l’intenzione empatica, come principio intersoggettivo di una relazione: ai confini di questo passaggio intersoggettivo ed entropatico sta la semiotica come interpretazione delle espressioni dell’altro. Altrimenti quale altro ponte si darebbe per scavalcare sé verso l’alter ego, oltre i suoi comportamenti esterni osservabili e descrivibili? 81 Ivi, p. 267. 82 Ivi, p. 293

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

44

Ovvero e detto come lo abbiamo inteso: nella descrizione psicologica di un altro, dobbiamo partire dal suo comportamento esteriore. Certamente non si dovrebbe lasciare da parte quanto la nostra osservazione sia condizionata dalle nozioni di biologia e fisica di cui disponiamo. Ma come si fa a non analizzare la circostanza essenziale per cui noi quando osserviamo un altro, nel momento in cui descriviamo e interpretiamo il suo comportamento, stabiliamo con lui un’empatia? Ovvero ci rappresentiamo l’altro come uno che ci assomiglia, facciamo semiotica delle sue espressioni, perché empatiziamo con lui. Fatta salva la mancata semiosi di questo comportamento dell’altro, possiamo noi psicologi trascendentali non studiare il nostro rapporto empatico con gli altri, sulla base del quale facciamo le nostre considerazioni behavioriste? Alla psicologia behaviorista manca un momento di auto-riflessione metodologica e di più, una fenomenologia del proprio rapporto empatico con gli oggetti-soggetti che studia. Le manca un piano soggettivo-trascendentale di auto-analisi.

Il problema di un confronto di Husserl con gli psicologi contemporanei sembra così riassumersi in alcune pagine della Crisi in una polemica con i behavioristi83, perché la posta in gioco è il teatro dell’esteriorità del comportamento altrui in quanto unico scenario possibile per fare descrizioni scientifiche. Ma come si accede alla psicologia dell’altro, osservando il suo comportamento esteriore? E come si accede all’interno della propria psiche? Come si entra dove si vuole entrare? Come si passa da una percezione esterna ad una interna? Uno come si percepisce, mentre percepisce? Come si guarda un uomo che non è un oggetto, senza ridurlo all’oggetto del mio sguardo? Empatizzando con lui. Ma come si empatizza? Come funziona l’empatia? Quanto empatizza uno psicologo con il suo “oggetto” d’analisi? Gli studi che ha fatto quanto lo condizionano?

Nessuna fenomenologia dell’empatia. Sembra negli anni trenta in Germania si sia fermi a Galileo, a Cartesio: esterno ed interno, scienza e psicologia, obiettivismo e soggettivismo, dialettica e scepsi, dualismo di psiche e corpo. Percezione esterna del corpo, percezione interna (metodo interno) della mente, scienza e filosofia: io sono

83 Cfr. ivi, pp. 250-280.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

45

uno scienziato perché guardo, osservo e descrivo quello che vedo, quello che percepisco. Non faccio filosofia, non ragiono in modo scientifico su quello che non vedo, perché ad ognuno spetta la sua “percezione interna” che è soggettiva. Vero, da Galileo in poi. E Cartesio, Locke, Hume, Kant? Tutti filosofi (ma a ben vedere, molti di loro anche scienziati o comunque psicologi ben informati sui progressi della scienza contemporanea, forse troppo, avrebbe detto Husserl).

Di fronte a questa psicologia dell’esteriore per Husserl bisogna insistere su l’auto-riflessione come unica via d’accesso per comprendere la genesi diversa di percezione interna ed esterna, per distinguerle fenomenologicamente. Nulla toglie a questa distinzione, il fatto che essa poi debba essere ricondotta alla stessa soggettività autoriflettente. D’altra parte per Husserl l’uno soggettivo è l’unico luogo possibile per una descrizione rigorosa, l’unico reale che si offra ad un accesso evidente, ovvero il solo originario. A questo uno-soggettivo non si deve applicare la categoria di “sostanza”, cosa, quella di atomo o di neurone-specchio, perché sono tutti correlati di un’intenzione scientifica categoriale, logica e apofantica, che è traduzione ultima e intenzionale di un’esperienza antepredicativa di corpi, che sono interi fatti di frazioni e momenti, interi-corpi che spettano in senso affettivo alla coscienza, in un’intuizione immediata, sempre ancora da esplicare.

Fare fenomenologia significherà allora saper “astrarre” da tutte le scienze, sebbene “astrazione” sia un’espressione ambigua, equivoca, se si considera come le stesse scienze, che non vanno all’essenziale del problema, non lo fanno, perché “astraggono”. Astraggono da cosa? Dal senso complessivo della coscienza da cui “astraggono”, astraendo solo una certa prospettiva sulla cosa, non considerando tutte le altre. La crisi è fatta di indebite astrazioni dal concreto delle cose, che andrebbero assunte nella loro complessa concretezza intenzionale, astraendo dalle ovvietà della scienza, da quanto essa dà per scontato (com’è scontato che si dia per ovvio che tutto ha una causa che spiega il suo comportamento). Il feticcio dell’evidenza apodittica deve essere sottratto alla scienza: l’evidenza è un fascio intenzionale di sensi, che reso in una sintesi, è un

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

46

senso fatto di più sensi; l’evidenza è un senso ovvero una sintesi di sensi84.

Chi sa astrarre si arricchirà: tornare al proprio essere al mondo, nell’enigmatica correlazione soggetto relativo vs mondo oggettivo, significa arricchirsi in una scoperta trascendentale soggettiva, che è scoperta ogni volta di una nuova area della coscienza e di una nuova determinazione del mondo. Il trascendentale è scoperta di nuovi “orizzonti” della coscienza, di nuove genesi intenzionali delle cose.85

In questa direzione gli idealisti Hegel, Fichte e Schelling hanno saputo andare oltre il naturalismo, verso la relatività della soggettività trascendentale, relatività alla fenomenologia di un soggetto trascendentale, che guarda le cose per orizzonti mai conclusi, percettivi e trascendenti, temporali ed immanenti. Per paradosso idealisti furono Hume, Berkeley, Kant86, sebbene tutti manchevoli quando si trattò di essere all’altezza delle difficoltà implicate nello studio della coscienza che intende in presa viva (attuale) il proprio scorrere intuitivo, ritenente e protendente. Tutti, idealisti o meno, anteposero a questa “attualità” difficile, costruzioni intellettuali successive in senso temporale rispetto ad una genesi che si compie continuamente nell’attualità, che non è quella della cosa in sé kantiana, ma quella dell’intuizione temporale, da assumere nella sua puntualità articolata di un presente che si ritiene e si protende per esperienze in prima istanza antepredicative.

Husserl non è stato un idealista, nemmeno un razionalista alla Kant: la sua è la fenomenologia di una ragione che conosce87, a cui si accede attraverso un socratico-cartesiano “conosci te stesso” (che conosci), un conoscere che ha i suoi risvolti pragmatici, perché è liberazione della coscienza, nel riconoscimento a lei dovuto di una serie di responsabilità critiche, che essa deve assumersi autonomamente.88 La fenomenologia husserliana è allora un razionalismo auto-riflessivo

84 Il tributo che Husserl si fa, rimandando alla Quinta e alla Sesta ricerca logica è nella Crisi esplicito: l’evidenza è quel fascio di intenzioni percettive, logiche, immaginative, che fin dalle Ricerche Logiche è stato al centro dei suoi studi. Cfr. ivi, p. 255. 85 Si veda come Husserl in queste pagine riconosca al solo William James una certa sensibilità teoretica per il problema genetico degli “orizzonti” della coscienza. Cfr. ivi, p. 282. 86 Cfr. ivi, pp. 286-287. 87 Senza alcun dubbio quella husserliana è stata una fenomenologia della coscienza che conosce e dunque una fenomenologia del razionale. Ma nella Crisi il richiamo ad essere razionali ha evidenti significati politici. 88 Cfr. ivi, p. 287.

Biblioteca husserliana [Rivista di fenomenologia; ISSN 1826-1604]

Monografie vol. I, «Krisis»

47

all’altezza della relatività delle prospettive soggettive che indaga.

La Crisi lascia in eredità alle future crisi il paradosso di una coscienza che è sola, relativa, non sorretta dalle scienze, di fronte agli infiniti orizzonti che gli si aprono in ragione del suo essere viva. Bene intendersi: il mondo della vita, tema husserliano di molte pagine della Crisi, è rispetto all’ordine del discorso della scienza, la vita della coscienza, la sua vita relativa perché limitata, ma infinita nel suo essere intenzionale. Relatività e infinito sono caratteri della coscienza, della sua vita, all’inizio come alla fine, relatività e infinito entrambi apodittici-evidenti, entrambi soggettivi, trascendentali.