Il sogno dell’egemonia. L’Italia, la questione jugoslava e l’Europa centrale (1918-1941)

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BIBLIOTECA DI «NUOVA STORIA CONTEMPORANEA» Collana diretta da Francesco Perfetti 46

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BIBLIOTECA DI «NUOVA STORIA CONTEMPORANEA»

Collana diretta da Francesco Perfetti

46

LUCIANO MONZALI

IL SOGNO DELL’EGEMONIA.L’ITALIA, LA QUESTIONE JUGOSLAVA

E L’EUROPA CENTRALE(1918-1941)

Le Lettere

Copyright © 2010 by Casa Editrice Le Lettere - FirenzeISBN 978 88 6087 342 2www.lelettere.it

INTRODUZIONE

Con questo libro abbiamo cercato di analizzare e raccontare un aspet-to importante della storia della politica estera italiana negli anni fra ledue guerre mondiali: il tentativo dell’Italia di affermarsi in Europa cen-trale come Potenza predominante sul piano politico ed economico. LaGrande Guerra produsse un profondo mutamento degli equilibri di po-tere nel Vecchio Continente. In Europa centrale, in particolare, la fi-ne dell’Impero asburgico, la crisi interna russa e l’indebolimento del-la Germania crearono un vuoto di potere vantaggioso per l’Italia usci-ta rafforzata dalla guerra. Il 1918, quindi, inaugurò un’epoca di cre-scente influenza italiana in tutta la regione danubiana. Nella nostra nar-razione abbiamo tentato di delineare un quadro interpretativo genera-le del ruolo dell’Italia in Europa centrale fra il 1918 e il 1941, annodella disgregazione della Jugoslavia monarchica. Grande spazio nel-l’analisi è stato riservato al rapporto dell’Italia con lo Stato jugosla-vo. Ciò si spiega con il fatto che al cuore della politica italiana versol’area danubiana e balcanica vi è sempre stato il rapporto fra l’Italiae i popoli slavi del Sud, che ha fortemente condizionato l’azione delgoverno di Roma verso gli altri Stati di quell’area. Altro aspetto chemerita di essere sottolineato è il fatto che l’azione internazionaledell’Italia fascista può essere pienamente compresa solo tenendo con-to dell’importanza della tradizione della politica estera dell’epoca li-berale. Le aspirazioni e le ambizioni a cui il fascismo cercò di daresoddisfazione, molte idee che animarono le iniziative internazionalidi Roma nel periodo fascista, sono prodotto di quell’affascinante la-boratorio politico ed ideologico che fu l’Italia liberale fra Otto eNovecento.

Va detto che fin dai primi anni Venti le ambizioni italiane di ege-monia esclusiva in Europa centrale si rivelarono più un sogno che unarealtà. In quella parte del continente, accanto all’Italia si delineò for-te e determinata la presenza della Francia, e fra le due Potenze si svi-luppò una forte rivalità politica ed economica che fu uno degli ele-menti caratterizzanti le vicende internazionali europee degli anni Venti.A partire dal 1933 emerse poi l’inquietante presenza della Germania

nazionalsocialista, capace di dare vita ad un’azione di penetrazione po-litica ed economica che la trasformò in pochi anni in Potenza egemo-ne nell’Europa centrale. Fu proprio l’alleanza fra Italia fascista eGermania nazionalsocialista, fondata sulla rinuncia italiana alla dife-sa dell’indipendenza dell’Austria e della Cecoslovacchia, che segnòil paradossale declino e ridimensionamento dell’influenza italiana neiterritori danubiani e balcanici. Il declino dell’influenza italiana fu an-che accelerato dalla crisi della classe dirigente fascista, a partire dal-la fine degli anni Trenta sempre più prigioniera di schemi ideologicidel passato e priva di realismo politico. Esemplificative ed istruttivea tale riguardo sono la confusione e la contraddittorietà che caratte-rizzarono l’azione dell’Italia di fronte alla disgregazione della Jugosla-via monarchica e alla nascita di uno Stato croato indipendente nel1941.

Nella preparazione del libro ho potuto usufruire dell’amicizia diFederico Imperato e Rosario Milano, che hanno letto il testo e mi han-no fornito utili suggerimenti e critiche, di cui sono loro grato. Ringra-zio, poi, Francesco Perfetti per l’attenzione e la disponibilità nei mieiconfronti e per aver accettato di pubblicare questo saggio nella col-lana editoriale da lui diretta.

Modena 22 giugno 2010

Luciano Monzali

INTRODUZIONE4

ELENCO DEI FONDI ARCHIVISTICI, DELLE RACCOLTEDOCUMENTARIE E DELLE ABBREVIAZIONI

ACS: Archivio Centrale dello Stato, Roma.

ADAP: Akten zur Deutschen Auswärtigen Politik 1918-1945, Göttingen,1950-1995.

AF: Ufficio Adriatico-Fiume.

AMAF: Archives diplomatiques du Ministère français des Affaires étrangè-res, Parigi.

AP: Ufficio Armistizio e Pace.

ASMAE: Archivio storico del Ministero degli Esteri, Roma.

BDFA: British Documents on foreign affairs: Reports and Papers from theForeign Office Confidential Print, Washington, 1983-.

CARTE PIETROMARCHI: Carte di Luca Pietromarchi, Fondazione LuigiEinaudi, Torino.

CARTE SALATA: Carte di Francesco Salata, Archivio storico del Ministerodegli Esteri, Roma.

CARTE SFORZA: Carte di Carlo Sforza, Archivio storico del Ministero degliEsteri, Roma.

DDA: Dokumente zur Aussenpolitik der Bundesrepublik Österreich 1918-1938, München, 1993-.

DBFP: Documents on British Foreign Policy 1919-1939, London, 1947-1985.

DDF: Documents Diplomatiques Français 1932-1939, (dal 1987,Documents Diplomatiques Français), Paris e Bern, 1964-.

DDI: I Documenti Diplomatici Italiani, Roma, 1952-.

DDS: Documents diplomatiques suisses/Documenti diplomatici svizzeri/ Di-

plomatische Dokumente der Schweiz 1848-1945, Berna, Benteli Verlag, 1979-.

DGFP: Documents on German Foreign Policy 1918-1945, Washington-London, 1949-

FRUS: Papers on Foreign Relations of the United States, (dal 1932 ForeignRelations of the United States), Washington, 1861-.

GAB: Gabinetto del Ministro.

GAB 1923-43: Carte del Gabinetto del Ministro e della Segreteria Generaledal 1923 al 1943, Archivio storico del Ministero degli Esteri, Roma.

SEBENICO, ARC. ORD.: Archivio del Vice-consolato italiano di Sebenico, ar-chivio ordinario, Archivio storico del Ministero degli Esteri, Roma.

SHS: Serbi, Croati e Sloveni.

Spalato: Archivio del Consolato italiano di Spalato, Archivio storico delMinistero degli Esteri, Roma.

UC: Ufficio di Coordinamento, Gabinetto del Ministro degli Esteri.

WP: The Papers of Woodrow Wilson, Princeton, 1966-1994.

YPD: Yugoslavia. Political Diaries 1918-1965, Slough, 1997.

b.: busta.c.: cartellad.: documento.ediz.: edizione.n.: numerop.: paginapp.: paginerap.: rapportosc.: scatolas.d.: senza datas.n.: senza numeross.: seguentitel.: telegrammavol.: volume

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI6

I

L’ITALIA LIBERALE, LA DISSOLUZIONEDELL’IMPERO ASBURGICO E LA COSTITUZIONE

DEL REGNO DEI SERBI, CROATI E SLOVENI

Lo scoppio della prima guerra mondiale fu l’occasione per la classedirigente italiana per cercare di realizzare un progetto d’espansione cheera stato auspicato da molti decenni1. Va sottolineato che il governodi Roma concluse il Patto di Londra – l’accordo segreto con Francia,Gran Bretagna e Russia che impegnò l’Italia a entrare in guerra a fian-co della Triplice Intesa – ritenendo che, anche dopo l’eventuale vit-toria militare, si sarebbe sostanzialmente preservato l’equilibrio di for-ze vigente in Europa prima del conflitto, con l’esistenza di una forteGermania e la sopravvivenza dell’Impero asburgico e di quello rus-so: il controllo del displuvio alpino in Tirolo e in Venezia Giulia, ilpossesso della Dalmazia e dell’Albania centrale furono rivendicati,quindi, sulla base di una percezione dei futuri equilibri di potere inEuropa ancora fondati sull’esistenza dell’Austria-Ungheria e sulla ne-cessità di assicurare all’Italia una posizione di forza nei suoi confronti.Bisogna rimarcare pure un’importante conseguenza del Patto diLondra sulla politica estera italiana dei decenni futuri: la conclusionedel trattato, prevedendo il controllo italiano di territori balcanici, adria-tici e alpini abitati non solo da italiani2, ma anche da altre nazionalità,

1 Sulla politica estera italiana prima del 1914 rimandiamo a: LUCIANO MONZALI, Italianidi Dalmazia dal Risorgimento alla Grande Guerra, Firenze, 2004; ID., L’Etiopia nella poli-tica estera italiana (1896-1915), Parma, 1996; GIANPAOLO FERRAIOLI, Politica e Diplomaziain Italia tra XIX e XX Secolo. Vita di Antonino di San Giuliano (1852-1914), Soveria Mannelli,2007; ALFRED FRANCIS PRIBRAM, Les traités politiques secrets de l’Autriche-Hongrie 1879-1914, Paris, 1923; LUIGI SALVATORELLI, La Triplice Alleanza. Storia diplomatica 1877-1912,Milano, 1939; LUIGI ALBERTINI, Le origini della guerra del 1914, Milano, 1942-1943, vol. I;FRITZ FELLNER, Der Dreibund. Europäische Diplomatie vor dem Ersten Weltkrieg, in ID., VomDreibund zum Völkerbund. Studien zur Geschichte der internationalen Beziehungen 1882-1919, Salisburgo/Monaco, 1994, pp. 19-81; HOLGER AFFLERBACH, Der Dreibund. EuropäischeGrossmacht- und Allianzpolitik vor dem Ersten Weltkrieg, Wien, 2002.

2 Sulla storia politica delle popolazioni italiane nell’Impero asburgico: MONZALI, Italiani

provocò il progressivo deterioramento dei rapporti fra Italia e Serbiae l’aggravarsi dell’antagonismo nazionale fra italiani, austro-tedeschi,croati, sloveni e serbi3. La guerra obbligò progressivamente la classedirigente italiana a riflettere con maggiore attenzione sul problema del-l’assetto dell’Europa centrale, in gran parte inglobata nello Stato asbur-gico, e sul ruolo dell’Italia nel continente. I principali punti del pro-gramma politico-territoriale del governo Salandra-Sonnino (raggiun-gimento della sicurezza strategica e unione all’Italia della maggior par-te degli italiani d’Austria) riscossero il consenso unanime della clas-se dirigente, ma sorsero dissidi sulle strategie e sulle tattiche da per-seguirsi per raggiungere tali obiettivi finali. Ben presto si delinearo-no anche diversi orientamenti sul futuro dell’Europa danubiana e bal-canica. Vi erano, innanzitutto, i sostenitori di un approccio conserva-tore e prudente verso le questioni nazionali in Europa centro-orienta-le. Questo orientamento, particolarmente presente nella diplomazia,nel liberalismo conservatore e nel cattolicesimo italiano, ebbe il suorappresentante più significativo in Sidney Sonnino, ministro degliEsteri fra il 1914 e il 19194. Sonnino, come molti liberali italiani del-

LUCIANO MONZALI8

di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra, cit.; ID., Italiani di Dalmazia 1914-1924,Firenze, 2007; ID., Antonio Tacconi e la Comunità italiana di Spalato, Padova-Venezia, 2008;JOSIP VRANDEČIĆ, Dalmatinski autonomistički pokret u XIX stoljeću, Zagreb, 2002; ANGELODE BENVENUTI, Storia di Zara dal 1797 al 1918, Milano-Roma, 1944; ARNOLD SUPPAN, DieKroaten, in ADAM WANDRUSZKA, PETER URBANITSCH, a cura di, Die Habsburgermonarchie1848-1918, Wien, 1980, vol. III, tomo 2, p. 626 e ss.; GÜNTHER SCHÖDL, KroatischeNationalpolitik und ‘Jugoslavenstvo’. Studien zu nationaler Integration und regionaler Politikin Kroatien-Dalmatien am Beginn des 20. Jahrhunderts, München, 1990; BENIAMINO SALVI,Il movimento nazionale e politico degli sloveni e dei croati. Dall’Illuminismo alla creazionedello Stato jugoslavo (1918), Trieste, 1971; LUCA RICCARDI, Francesco Salata tra storia, po-litica e diplomazia, Udine, 2001; UMBERTO CORSINI, Problemi di un territorio di confine.Trentino e Alto Adige dalla sovranita austriaca all’accordo Degasperi-Gruber, Trento, 1994;RICHARD SCHOBER, Storia della Dieta tirolese: 1816-1918, Trento, 1987; AMLETO BALLARINI,L’antidannunzio a Fiume. Riccardo Zanella, Trieste, 1995; MARINA CATTARUZZA, L’Italia eil confine orientale, Bologna, 2007.

3 Al riguardo: MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit.; FRANCESCO CACCAMO, IlMontenegro negli anni della prima guerra mondiale, Roma, 2008; DRAGOVAN ŠEPIĆ,Sudbinske Dileme Rađanja Jugoslavije. Italija, Saveznici i jugoslavensko pitanje 1914-1918,Pola-Fiume, 1989, tre volumi (prima ediz. 1970); LEO VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, Milano, 1985 (prima ediz. 1966).

4 Per lo studio del pensiero politico di Sidney Sonnino in politica estera e della sua azio-ne come ministro degli Esteri vi è un’abbondante documentazione edita: SIDNEY SONNINO,Carteggio 1914-1916, Roma-Bari, 1974; ID., Carteggio 1916-1922, Roma-Bari, 1975; ID.,Carteggio 1891-1913, Roma-Bari, 1981; ID., Diario 1866-1922, Roma-Bari, 1972, tre volu-mi; ID., Scritti e Discorsi extraparlamentari 1870-1920, Roma-Bari, 1972, due volumi; ID.,Discorsi parlamentari di Sidney Sonnino, Roma, 1925, tre volumi. Importante è poi la rac-colta I Documenti diplomatici italiani (d’ora innanzi DDI), Roma, 1952-: serie V, vol. 2-11;

L’ITALIA LIBERALE 9

serie VI, vol. 1-2. Fra la storiografia ricordiamo: PAOLA CARLUCCI, Il giovane Sonnino fra cul-tura e politica (1847-1886), Roma, 2002; GEOFFREY A. HAYWOOD, Failure of a Dream. SidneySonnino and the Rise and Fall of Liberal Italy 1847-1922, Firenze, 1999; LUCIANO MONZALI,Sidney Sonnino e la politica estera italiana dal 1878 al 1915, «Clio», 1999, n. 3, p. 397 e ss.;ID., L’Etiopia nella politica estera italiana (1896-1915), cit.; MARIO TOSCANO, Il patto diLondra. Storia diplomatica dell’intervento italiano (1914-1915), Bologna, 1934; ID., La Serbiae l’intervento in guerra dell’Italia, Milano, 1939; ID., Gli accordi di San Giovanni di Moriana,Milano, 1936; LUCA RICCARDI, Alleati non amici: Le relazioni politiche tra l’Italia e l’Intesadurante la prima guerra mondiale, Brescia, 1992; LUIGI ALBERTINI, Venti anni di vita politi-ca, Bologna, 1950-1953, parte II, vol. 1, 2, 3; PIETRO PASTORELLI, Dalla prima alla secondaguerra mondiale. Momenti e problemi della politica estera italiana 1914-1943, Milano, 1997,pp. 13-81; ID., L’Albania nella politica estera italiana 1914-1920, Bari, 1970; VALIANI, Ladissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit.; ROLANDO NIERI, Sonnino, Guicciardini e la politicaestera italiana (1899-1906), Pisa, 2005; CACCAMO, Il Montenegro negli anni della prima guer-ra mondiale, cit.

5 Al riguardo le riflessioni sulla percezione dell’Impero asburgico nella classe dirigenteitaliana che abbiamo svolto nel volume MONZALI, Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento al-la Grande Guerra, cit.

6 Ad esempio: SONNINO, Carteggio 1916-1922, cit., d. 358, Sonnino a Macchi di Cellere,15 ottobre 1918.

la sua generazione5, considerava l’Impero asburgico un fattore di sta-bilità e ordine in Europa centrale, ostacolo a potenziali mire espan-sionistiche della Russia e della Germania nella regione. Nel corso del-la guerra, pur rifiutando ogni idea di pace separata con Vienna,Sonnino evitò ogni iniziativa che facesse della disgregazione dell’Im-pero asburgico un obiettivo centrale della politica estera italiana. Il car-teggio e il diario del politico toscano mostrano il suo timore che il crol-lo degli Asburgo aprisse la strada all’assorbimento dei territori tede-schi dell’Impero da parte della Germania e all’eccessivo rafforzamentodi questa6. Riguardo alla questione jugoslava, Sonnino era favorevo-le ad un ingrandimento della Serbia: nei negoziati interalleati dell’e-state 1915, il ministro degli Esteri dichiarò di essere pronto ad accet-tare la conquista serba della Dalmazia centro-meridionale e dellaBosnia-Erzegovina; ma netto era il rifiuto di uno Stato jugoslavo uni-tario, ritenuto una potenziale minaccia politica e militare: un grandeStato jugoslavo avrebbe ostacolato la desiderata egemonia italiananell’Adriatico e poteva divenire un alleato per la Russia o per laFrancia in funzione anti-italiana. In caso di disgregazione dell’Austria-Ungheria, Sonnino giudicava conveniente per l’Italia l’esistenza di piùStati jugoslavi: una Serbia ingrandita, il Montenegro, la Croazia, in-dipendente o federata all’Ungheria. Gli sloveni non erano ritenuti ingrado di costituire un proprio Stato autonomo ed indipendente, e sipensava sarebbero rimasti parte dell’Austria tedesca o inseriti nello

Stato croato. Con lo svolgimento della guerra l’azione diplomatica diSonnino suscitò crescenti critiche e contestazioni da parte dei fautoridi una politica nazional-democratica, mirante ad alimentare i nazio-nalismi secessionistici in seno all’Impero asburgico al fine d’indebo-lire la resistenza militare austro-ungarica e favorire la vittoriadell’Italia7. Fra i primi sostenitori di questo orientamento, che resu-scitava l’antica politica anti-asburgica di Giuseppe Mazzini, vi furo-no gli storici Gaetano Salvemini8 e Pietro Silva9 e il socialista rifor-mista Leonida Bissolati10. Per Salvemini, Silva e Bissolati, l’Imperoasburgico era un’entità che costituiva una minaccia mortale per gli in-teressi dell’Italia e che quindi andava sostituita in Europa centrale conuna pluralità di Stati nazionali. Fin dalle guerre balcaniche Salveminisostenne la necessità di favorire l’espansionismo serbo e mostrò sim-patia verso la formazione di una grande Serbia, ritenuta naturale al-leata dell’Italia contro l’Impero asburgico. Successivamente lo stori-

LUCIANO MONZALI10

7 Per un’analisi del cosiddetto «interventismo democratico», che noi preferiamo defini-re interventismo «nazionaldemocratico» rimandiamo a: VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit.; OTTAVIO BARIÈ, Luigi Albertini, Torino, 1972, p. 323 e ss.; LUCIANO MONZALI,Albertini, la guerra mondiale e la crisi del dopoguerra, in LUIGI ALBERTINI, I giorni di un li-berale. Diari 1907-1923, Bologna, 1999, p. 155 e ss.; LUCA MICHELETTA, Pietro Silva stori-co delle relazioni internazionali, «Clio», 1994, n. 3, p. 497 e ss.; ANGELO TAMBORRA, L’ideadi nazionalità e la guerra 1914-1918, in Atti del XLI Congresso di storia del Risorgimentoitaliano, Trento, 9-13 ottobre 1963, Roma, 1965, estratto; ROBERTO VIVARELLI, Storia delleorigini del fascismo. L’Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma, Bologna, 1991, I, p.179 e ss.

8 Sul pensiero politico di Gaetano Salvemini manca, a nostro avviso, un’analisi piena-mente soddisfacente. Ricordiamo comunque: VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria,cit.; MASSIMO L. SALVADORI, Gaetano Salvemini, Torino, 1963. Per la comprensione diSalvemini sono fondamentali i suoi carteggi: GAETANO SALVEMINI, Carteggio 1912-1914,Roma-Bari, 1984; ID., Carteggio 1914-1920, Roma-Bari, 1984. Utili pure: GAETANOSALVEMINI, Austria, Italia e Serbia, «L’Unità», 18 dicembre 1914, riedito in ID., Come sia-mo andati in Libia e altri scritti dal 1900 al 1915, Milano, 1963, pp. 414-420; ID., LaDalmazia, in ID., Come siamo andati in Libia, cit., pp. 370-373; ID., Fra la grande Serbia eduna più grande Austria, «L’Unità» 7 agosto 1914, riedito in ID., Come siamo andati in Libia,cit., pp. 344-350. Si vedano anche SALVEMINI, MARANELLI, La questione dell’Adriatico,Firenze, 1918, riedito in GAETANO SALVEMINI, Dalla guerra mondiale alla dittatura (1916-1925), Milano, 1964; ELIO APIH, Gaetano Salvemini e il problema adriatico, in AA.VV.,L’imperialismo italiano e la Jugoslavia, Urbino, 1981, pp. 85-127.

9 PIETRO SILVA, I problemi fatali agli Asburgo. Il problema czecoslovacco. Il problemajugoslavo, Milano, 1918, pp. 62-64. Sulla figura di Pietro Silva: MICHELETTA, Pietro Silvastorico delle relazioni internazionali, cit.; BRUNO GATTA, Pietro Silva, uno scrittore di storia,«Clio», 1985, n. 3, pp. 467-474.

10 LEONIDA BISSOLATI, La politica estera dell’Italia dal 1897 al 1920, Milano, 1923, pp.332-335. Si vedano anche: IVANOE BONOMI, Leonida Bissolati e il movimento socialista inItalia, Roma, 1945; RAFFAELE COLAPIETRA, Leonida Bissolati, Milano, 1958.

co pugliese si dichiarò favorevole alla costituzione di uno Stato ju-goslavo unitario, inglobante sloveni, croati e serbi, che era preferibi-le fosse dominato dall’elemento serbo ortodosso, ritenuto un baluar-do contro l’espansionismo germanico:

L’Italia deve preferire di avere alle spalle di Trieste e dell’Istria, unaSerbia-Croazia-Slovenia invece che l’Austria-Germania. Uno Stato jugosla-vo, infatti, con dodici milioni di abitanti sarebbe un vicino, non solo più de-bole dell’Austria-Germania (80 milioni di tedeschi), e quindi meno perico-loso, ma trovandosi incastrato con la Slovenia fra le provincie adriatichedell’Italia e l’Austria-Germania, sarà interessato, insieme con l’Italia, a in-tercettare ai tedeschi la via dell’Adriatico11.

Questa linea favorevole alla formazione di uno Stato jugoslavo uni-tario assunse forte peso politico in Italia solo quando, a partire dal1917, cominciò ad essere sostenuta anche da esponenti del liberalismoconservatore quali il senatore Luigi Albertini, direttore del principalequotidiano italiano, «Il Corriere della Sera»12. Il crollo della Russia za-rista, il colpo di Stato bolscevico, l’armistizio russo-austro-tedesco mu-tarono radicalmente la situazione politica e militare in Europa13.Albertini contestò la rigidità della politica estera di Sonnino e sotto-lineò l’esigenza di rinnovare l’impostazione dell’azione internazionaleitaliana tenendo conto dell’andamento delle operazioni militari e delmutamento della situazione europea. L’Italia doveva ormai porsi l’o-biettivo della dissoluzione dell’Impero asburgico, e il sostegno alla na-scita della Jugoslavia era parte cruciale di tale direttiva politica.Secondo Albertini, italiani e jugoslavi avrebbero dovuto ricercareun’intesa amichevole sui confini sulla base dell’accettazione jugosla-va del controllo italiano di tutta la Venezia Giulia, di Zara e di alcu-

L’ITALIA LIBERALE 11

11 GAETANO SALVEMINI, Il problema serbo-croato, in ID., Dalla guerra mondiale alla dit-tatura (1916-1925), cit., pp. 73-80.

12 Sul ruolo di Albertini nel dibattito politico sulla questione adriatica nel corso della pri-ma guerra mondiale: ALBERTINI, Venti anni di vita politica, cit., parte II, vol. 1, 2, 3; BARIÈ,Luigi Albertini, cit.; MONZALI, Albertini, la guerra mondiale e la crisi del dopoguerra, inALBERTINI, I giorni di un liberale. Diari 1907-1923, cit., p. 155 e ss.; VALIANI, La dissolu-zione dell’Austria-Ungheria, cit. p. 332 e ss.

13 Sull’atteggiamento italiano verso le due rivoluzioni russe: GIORGIO PETRACCHI, LaRussia rivoluzionaria nella politica italiana. Le relazioni italo-sovietiche 1917-25, Roma-Bari,1982; ID., Da San Pietroburgo a Mosca. La diplomazia italiana in Russia 1861-1941, Roma,1993; RICCARDI, Alleati non amici, cit., p. 436 e ss.; DANIELE VENERUSO, La Grande Guerrae l’unità nazionale. Il ministero Boselli, Torino, 1996, p. 223 e ss.

ne isole dalmate; in cambio l’Italia avrebbe rinunciato alla Dalmaziacontinentale e accettato di concedere alcuni territori dell’Albania set-tentrionale alla futura Jugoslavia. La politica delle nazionalità teoriz-zata da Albertini aveva una finalità fortemente propagandistica, inquanto mirava a indebolire politicamente l’Impero asburgico fomen-tando le spinte secessionistiche. Dopo il tracollo di Caporetto e l’ar-mistizio russo, le tesi di Salvemini e Albertini acquisirono sempre piùconsenso e il governo italiano fu costretto a mutare direttive politicheal fine di sopravvivere nella lotta sempre più dura contro gli austro-tedeschi. La linea di favorire la dissoluzione dell’Impero asburgico edi sostenere politicamente i movimenti di liberazione nazionaledell’Europa centrale fu appoggiata dal nuovo presidente del Consiglio,Vittorio Emanuele Orlando14. Alla fine del 1917 e nei primi mesi del1918, con il consenso della Presidenza del Consiglio, alcuni esponentipolitici e militari italiani iniziarono contatti con i capi del Comitatojugoslavo in esilio, che portarono alla conclusione di un’intesa infor-male sui princìpi che dovevano regolare le relazioni italo-jugoslave(accordo Torre-Trumbić del 7 marzo 1918) e al Convegno dei popolioppressi di Roma nell’aprile 1918, che sancì l’ufficiale sostegno ita-liano alle aspirazioni indipendentistiche dei popoli compresinell’Impero asburgico. Il grave limite della politica jugoslava soste-nuta da Salvemini e Albertini stava nel fatto che l’auspicato accordoterritoriale si dimostrò irraggiungibile in quanto le richieste italianeanche più moderate erano sempre inaccettabili per croati, serbi e slo-veni. La politica delle nazionalità fu comunque un grande successo dipropaganda che rivitalizzò l’immagine internazionale dell’Italia e se-minò discordia in un esercito asburgico, ancora compatto ma semprepiù affamato e scettico sulle prospettive di vittoria. Nel corso del 1918Orlando assunse la guida sostanziale della politica estera italiana, ri-dimensionando il ruolo di Sonnino, ostile alla direttiva filojugoslava:l’azione politica italiana si orientò, quindi, con crescente decisione ver-so il pubblico sostegno alla lotta delle nazionalità cosiddette oppres-

LUCIANO MONZALI12

14 Sulla politica delle nazionalità e il dibattito politico italiano: LUCIANO TOSI, La pro-paganda italiana all’estero nella prima guerra mondiale. Rivendicazioni territoriali e poli-tica delle nazionalità, Udine, 1977, p. 168 e ss.; TAMBORRA, L’idea di nazionalità e la guer-ra 1914-1918, cit.; RENZO DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Torino, 1965;VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo. L’Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma,cit., I, p. 196 e ss.; VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit.; FEDERICO IMPERATO,Roberto Forges Davanzati, il nazionalismo italiano e la politica estera italiana (1911-1918),Alessano, 2006.

se in Austria-Ungheria. Era quella di Orlando, in realtà, una politicaambigua, che, da una parte, alimentava la propaganda anti-asburgica,dall’altra, non disdegnava di coltivare, per il tramite della Santa Sedee del ministro Nitti, contatti segreti con Vienna alla ricerca di un pos-sibile accordo per una pace separata favorevole all’Italia15. Il che nonsorprende, poiché ancora nel 1917-1918 la classe dirigente italiana nelsuo complesso rimaneva condizionata dall’antica percezione dell’Im-pero asburgico quale grande Potenza europea, Stato solido e organiz-zato, più forte militarmente del Regno sabaudo: da qui la convinzionedi molti italiani, amici e nemici degli Asburgo, della possibile sua so-pravvivenza alla guerra e alla sconfitta16.

La rapida disgregazione dell’Impero asburgico nell’autunno 1918sorprese molti in Italia, creando un nuovo scenario politico in Europacentrale, pieno di opportunità per lo Stato italiano, ma anche di peri-coli. Nel corso del 1918, con l’indebolirsi delle prospettive di vittoriadelle Potenze centrali e la crescente crisi interna dell’Impero asburgi-co, la formazione di uno Stato jugoslavo indipendente assunse unaconcretezza politica. La Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti ab-bandonarono le ultime remore e iniziarono a sostenere la costituzio-ne di uno Stato jugoslavo unitario, anche perché ritenuto potenzialecontrappeso alla crescente influenza italiana nei Balcani e al possibi-le risorgere della potenza germanica17. Per molti anni le idee unioni-

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15 ALBERTO MONTICONE, Nitti e la grande guerra (1914-1918), Milano, 1961; FRANCESCOMARGIOTTA BROGLIO, Italia e Santa Sede dalla grande guerra alla Conciliazione. Aspetti po-litici e giuridici, Roma-Bari, 1966; ANTONIO SCOTTÀ, (a cura di), La Conciliazione ufficiosa.Diario del barone Carlo Monti “ incaricato d’affari” del governo italiano presso la SantaSede (1914-1922), Roma, 1997, due volumi.

16 Sull’incertezza della diplomazia italiana circa la possibile sopravvivenza dell’Austria-Ungheria ancora nell’ottobre 1918, si veda il memoriale del segretario generale della Consulta,Giacomo De Martino: SONNINO, Carteggio 1916-1922, cit., d. 355, De Martino a Sonnino,11 ottobre 1918.

17 VICTOR. H. ROTHWELL, British War Aims and Peace Diplomacy 1914-1918, Oxford,1971; KENNETH J. CALDER, Britain and the Origins of the New Europe 1914-1918, Cambridge,1976; FRANÇOIS FEJTÖ, Requiem per un impero defunto. La dissoluzione del mondo austro-ungarico, Milano, 1990, p. 315 e ss.; JACQUES BARIETY, La France et la naissance du Royaumedes Serbes, Croates et Slovènes, 1914-1919, «Relations Internationales», n. 103, 2000, pp.307-327; VICTOR S. MAMATEY, The United States and East Central Europe 1914-1918. A Studyin Wilsonian Diplomacy and Propaganda, Princeton, 1957; HUGH e CHRISTOPHER SETON-WATSON, The Making of a New Europe. R.W. Seton-Watson and the Last Years of Austria-Hungary, London, 1981; ARNO MAYER, Political Origins of the New Diplomacy 1917-1918,New York, 1970 (prima ediz. 1959); ID., Politics and Diplomacy of Peacemaking.Containment and Counterrevolution at Versailles 1918-1919, New York, 1967; FRÉDÉRIC LEMOAL, La France et l’Italie dans les Balkans 1914-1919. Le contentieux adriatique, Paris,

ste jugoslave erano state poco popolari fra le masse slave del sud, mala crisi dell’Impero asburgico provocò un crescente consenso inSlovenia, Croazia, Dalmazia e Bosnia verso i progetti di una Jugo-slavia indipendente. Il 29 ottobre 1918, i principali partiti croati, slo-veni e serbi dell’Austria-Ungheria, riuniti nella Dieta croata, procla-marono l’indipendenza di tutti i croati, serbi e sloveni asburgici e laformazione di un governo autonomo, affidato al Consiglio nazionaledi Zagabria. Nelle settimane successive si svilupparono negoziati frail Consiglio nazionale di Zagabria, il governo di Belgrado e il Comitatojugoslavo di Londra, che portarono alla proclamazione del Regno deiSerbi, Croati e Sloveni (Kraljevina Srba, Hrvata i Slovenaca, d’orain poi SHS), guidato dalla dinastia Karadjordjević e con un’ammini-strazione centralizzata, il 1° dicembre18.

La fine dell’Impero asburgico e la crisi interna russa liberaronol’Italia dalla presenza di antichi rivali nell’area danubiana e balcani-ca e inaugurarono un’epoca di crescente influenza italiana in tutta laregione. L’Italia ottenne dal Consiglio interalleato il riconoscimentodel diritto di occupare i territori promessi dal Patto di Londra19; inol-tre, le truppe italiane, sole o insieme agli Alleati, in rappresentanza deivincitori occuparono gran parte dell’Albania, le coste del Montenegro,nonché vasti territori sloveni e austriaci. Ben presto, però, le ambizioniitaliane di svolgere un ruolo preponderante nell’Europa danubiana ebalcanica si scontrarono con difficoltà e ostacoli. Il vuoto di poterecreatosi in Europa centrale e nei Balcani con la rivoluzione bolscevi-ca, la dissoluzione dell’Impero asburgico e la sconfitta della Germania

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2006; GEORGES-HENRI SOUTOU, Recherches sur la France et le problem des nationalités pen-dant la Première Guerre Mondiale (Pologne, Ukraine, Lituanie), Paris, 1995; JEAN-BAPTISTEDUROSELLE, Clemenceau et l’Italie, in AA.VV., La France et l’Italie pendant la première guer-re mondiale, Grenoble, 1976, p. 492 e ss.

18 Sulla costituzione e le lotte interne dello Stato jugoslavo: IVO J. LEDERER, La Jugoslaviadalla conferenza della pace al trattato di Rapallo 1919-1920, Milano, 1966, pp. 57-67; JOŽEPIRJEVEC, Il giorno di San Vito. Jugoslavia 1918-1992. Storia di una tragedia, Torino, 1993,p. 15 e ss.; IVO BANAC, The National Question in Yugoslavia. Origins, History, Politics, Ithaca,1984; JOHN R. LAMPE, Yugoslavia as History. Twice there was a Country, Cambridge, 2000,p. 101 e ss.; BOSILJKA JANJATOVIĆ, Politički Teror u Hrvatskoj 1918.-1935., Zagreb, 2002;STEVAN K. PAVLOWITCH, Yugoslavia, New York, 1971, p. 53 e ss.; HRVOJE MATKOVIĆ, PovijestJugoslavije 1918-1991, Zagreb, 1998; ALEX N. DRAGNICH, The First Yugoslavia. Search fora Viable Political System, Stanford, 1983; DUŠAN BILANDŽIĆ, Hrvatska Moderna Povjiest,Zagreb, 1999, p. 60 e ss.; ATTILIO TAMARO, Origini e Crisi della Jugoslavia, in ID., La lottadelle razze nell’Europa danubiana, Bologna-Roma, 1923, pp. 157-256.

19 MARIA GRAZIA MELCHIONNI, La vittoria mutilata. Problemi ed incertezze della politi-ca estera italiana sul finire della Grande Guerra (ottobre 1918-gennaio 1919), Roma, 1981.

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20 Sulla politica francese nella regione danubiana si consulti la documentazione pubbli-cata in Documents diplomatiques français du bassin des Carpates 1918-1932, Budapest, 1993e ss., vol. 2. Per un’analisi della politica della Francia verso la questione jugoslava e l’asset-to dell’Europa centrale: LE MOAL, La France et l’Italie dans les Balkans 1914-1919. Le con-tentieux adriatique, cit.; FRANÇOIS GRUMEL-JACQUIGNON, La Yougoslavie dans la stratégiefrançaise de l’Entre-deux-Guerres (1918-1935). Au origines du mythe serbe en France, Bern,1999; MIRO KOVAČ, La France, la création du royaume « yougoslave » et la question croa-te, 1914-1929, Bern, 2001, p. 207 e ss.; PIOTR WANDYCZ, France and her Eastern Allies 1919-1925, Minneapolis, 1962. Si vedano anche PETER PASTOR, The Vix Mission in Hungary, 1918-1919: A re-examination, «Slavic Review», 1970, pp. 481-498; MARIO TOSCANO, L’accordorevisionista franco-ungherese del 1920, in, ID., Pagine di Storia diplomatica contemporanea,Milano, 1963, vol. I, pp. 303-438; ANNE ORDE, France and Hungary in 1920: Revisionismand Railways, «Journal of Contemporary History», 1980, pp. 475-492. Riguardo alla riva-lità italo-francese in Europa centro-orientale rimandiamo a: FRANCESCO CACCAMO, L’Italia ela «Nuova Europa». Il confronto sull’Europa orientale alla conferenza della pace di Parigi(1919-1920), Milano, 2000; FRANCESCO GUIDA, Ungheria e Italia dalla fine del primo con-flitto mondiale al trattato di Trianon, «Storia contemporanea», 1988, n. 3, p. 381 e ss.; LEOVALIANI, La politica estera dei governi rivoluzionari ungheresi del 1918-19, «Rivista StoricaItaliana», 1966, fasc. IV, pp. 850-911; RODOLFO MOSCA, La Missione Tacoli, «Corvina», 1944,n. 1, pp. 5-19; ID., Storia diplomatica delle relazioni italo-ungheresi. La formazione del trat-tato di Trianon, «Corvina», 1940, n. 3, pp. 186-204; ID., L’Italia e la questione dell’Ungheriaoccidentale, in ID., Le relazioni internazionali nell’età contemporanea. Saggi di Storia di-plomatica (1915-1975), Firenze, 1975, pp.119-154; MARIO TOSCANO, Le origini della PiccolaIntesa secondo i Documenti Diplomatici Ungheresi, in ID., Pagine di Storia diplomatica con-temporanea, cit., vol. II, pp. 1-16; ID., Un mancato riavvicinamento ungaro-romeno del 1920,ivi, vol. 2, pp. 17-74. In questi saggi Toscano fece ampio ricorso ai tre volumi della raccol-ta documentaria magiara Papers and Documents relating to the Foreign Relations of Hungary,(d’ora innanzi PDH), Budapest, 1939-1946, tre volumi, ancora oggi utile per lo studio del-la politica estera ungherese tra l’agosto 1919 ed il dicembre 1921.

21 Testo dell’armistizio con l’Austria-Ungheria, firmato il 3 novembre 1918, in ForeignRelations of the United States (d’ora innanzi FRUS), Washington, 1861-, The Paris PeaceConference, 1919, II, pp. 175-182. Sulla genesi dell’armistizio: MELCHIONNI, La vittoria mu-tilata, cit.; LEDERER, op. cit., p. 55 e ss.

22 A titolo d’esempio: DDI, VI, 1, dd. 363,341, 500, 529. A proposito dei rapporti fraItalia e Stato jugoslavo fra la fine del 1918 e l’inizio del 1919: CACCAMO, L’Italia e la «NuovaEuropa», cit.; ID., Il sostegno italiano all’indipendentismo croato 1918-1920, «Nuova StoriaContemporanea», n. 5, 2003, p. 1 e ss.; LEDERER, op. cit., p. 71 e ss.

attirò l’attenzione di altre Potenze rivali dell’Italia. La Francia, in par-ticolare, cercò di affermare la propria influenza in questa parted’Europa, sfruttando con una certa abilità le ostilità che l’espansioni-smo italiano alimentava in alcune nazioni della regione e il suo supe-riore potenziale militare ed economico20. La fine della guerra e l’ap-plicazione dell’armistizio italo-austriaco21 crearono forte tensione fraitaliani, sloveni, croati e serbi22. L’imprevista disgregazione dell’Impe-ro asburgico e la nascita di uno Stato jugoslavo unitario che contestavale rivendicazioni territoriali adriatiche dell’Italia spinsero molti italiania chiedere che si tentasse d’inglobare al Regno sabaudo anche terri-

tori non previsti dal Patto di Londra: il Consiglio nazionale italianodi Fiume, città a maggioranza italiana ma circondata da un retroterracompattamente croato e principale sbocco al mare della Croazia set-tentrionale, chiese l’annessione all’Italia23; nella Penisola molti so-stennero anche la tesi che si dovesse occupare Spalato, principale cittàdalmata con una forte minoranza italiana24. Pure nell’Adriatico meri-dionale si aggravò la tensione fra l’Italia e lo Stato jugoslavo: la ra-pida avanzata serba in Albania e la soppressione del Montenegro in-dipendente25 inquietarono la classe dirigente italiana. Il deterioramentodi rapporti con il Regno SHS portò all’irrigidimento dell’atteggia-mento italiano verso gli jugoslavi, anche da parte di coloro che, comeil presidente del Consiglio Orlando, si erano dimostrati disponibili acercare un’intesa amichevole con i serbi e gli altri politici jugoslavi.Il governo italiano contestò la soppressione dell’indipendenza delMontenegro giudicandola illegale, non riconobbe lo Stato jugoslavoproclamato il 1° dicembre 1918 e cercò d’ostacolare il consolidamentodel nuovo Regno, sostenendo tutte le forze politiche slave del sud se-cessioniste ed anti-unitarie (legittimisti asburgici, movimento conta-dino e partito del diritto croati, indipendentisti montenegrini).

Le sfide che l’esito della guerra mondiale pose all’Italia si evi-denziarono in tutta la loro drammaticità nel corso del 1919-1920, i dif-ficili anni della Conferenza della Pace a Parigi e dell’elaborazione diun nuovo ordine europeo. Per valutare il ruolo e l’azione diplomaticadell’Italia in quegli anni occorre tenere conto della situazione internaitaliana e degli effetti che la guerra aveva avuto su di essa. La guer-ra, la mobilitazione di milioni di uomini, la riorganizzazione dell’e-conomia in funzione del conflitto bellico avevano sconvolto la societàitaliana e i suoi equilibri interni. Lo Stato centrale e la classe dirigen-

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23 Al riguardo: LUIGI ELMO LONGO, L’esercito italiano e la questione fiumana (1918-1921), Roma, 1996, I, p. 18 e ss. Sulla storia dell’italianità fiumana: MARIO DASSOVICH, Ladiaspora fiumana nella testimonianza di Enrico Burich, Udine, 1986; BALLARINI, op. cit.;ESTER CAPUZZO, Dall’Austria all’Italia. Aspetti istituzionali e problemi normativi nella sto-ria di una frontiera, Roma, 1996, p. 7 e ss.

24 Ad esempio: DDI, VI, 1, dd. 419, 426; LUCIANO MONZALI, Un contributo alla storiadegli italiani di Dalmazia. Le carte Ghiglianovich, «La Rivista dalmatica», 1997, n. 3, in par-ticolare p. 206 e ss.; ID., Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit.; ID., Antonio Tacconi e laComunità italiana di Spalato, cit.

25 DDI, VI, 1, dd. 245, 459, 514, 526; ANTONELLO BIAGINI, I rapporti tra l’Italia e ilMontenegro durante la prima guerra mondiale (1914-1918), «Rassegna storica delRisorgimento», 1981, n. 4, p. 443 e ss.; BANAC, The National Question in Yugoslavia, cit.;CACCAMO, Il Montenegro, cit.

te liberale furono incapaci di rispondere alle esigenze delle masse con-tadine, che cominciavano a mostrare un impegno politico intenso e ine-dito, e di mantenere ordine e compattezza in una società sconvolta dalotte sociali ed economiche26. La guerra, in realtà, accelerò processisociali e politici già in atto da tempo in Italia, in particolare la crisi dirappresentanza dell’establishment liberale e l’emergere delle forma-zioni politiche socialista e cattolica. Un Paese diviso e spaccato, scon-volto da sommovimenti sociali, guidato da una classe politica sempremeno rappresentativa: questo fu il quadro della società italiana neglianni del primo dopoguerra. Tutto ciò ebbe un forte impatto sulla po-litica estera dello Stato italiano, inevitabilmente, anche a causa dellacrisi interna, meno efficace ed incapace di pensare e perseguire stra-tegie di lungo termine. La reazione della classe dirigente liberale difronte alla crisi interna fu di puntare sempre più sulla politica esteracome strumento per rafforzare la propria posizione presso l’opinionepubblica. Fra il 1918 e il 1922 i governi liberali, guidati da Orlando,Nitti, Giolitti, Bonomi e Facta, cercarono successi di politica estera alfine di poterli usare a vantaggio delle proprie posizioni di potere27.Altra conseguenza della crisi dello Stato liberale fu il concentrarsi qua-si ossessivo della classe dirigente sui problemi territoriali e politici ita-liani e la frequente rinuncia a svolgere un ruolo internazionale globa-le. Ciò emerse con molta chiarezza nel corso della Conferenza dellaPace, dove la delegazione italiana s’impegnò prevalentemente sulleproprie rivendicazioni politiche, territoriali ed economiche e sugli sce-nari adriatico-balcanico e anatolico, rinunciando spesso a svolgere unruolo attivo in altre aree geopolitiche e in altre questioni trattate allaConferenza (dal problema della Germania al tema dei rapporti con laRussia sovietica, all’assetto dell’Asia orientale, ecc.)28. Riguardo alproblema dell’assetto dell’Europa centrale29, sul piano generale la di-

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26 Rimandiamo qui alle efficaci pagine di GUIDO CRAINZ, Padania. Il mondo dei brac-cianti dall’Ottocento alla fuga dalle campagne, Roma, 2007, p. 147 e ss.; Si veda ancheVIVARELLI, Storia delle origini del fascismo. L’Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma,cit., due vol.

27 LUCIANO MONZALI, La politica coloniale africana di Tommaso Tittoni nel 1919, «Clio»,2003, n. 4, pp. 565-627.

28 LUCIANO MONZALI, Riflessioni sulla cultura della diplomazia italiana in epoca libe-rale e fascista, in GIORGIO PETRACCHI, a cura di, Uomini e Nazioni. Cultura e politica esteradell’Italia del Novecento, Udine, 2005.

29 Sull’atteggiamento italiano verso i problemi dell’Europa centrale alla Conferenza del-la Pace il testo migliore è CACCAMO, L’Italia e la «Nuova Europa», cit. Per un’analisi del-

plomazia italiana accettò e favorì il consolidamento dei nuovi Stati na-zionali successori dell’Impero asburgico, percependo, però, a diffe-renza di altri governi (ad esempio quello francese), che l’esistenza diminoranze allogene troppo numerose all’interno di questi Stati avreb-be potuto costituire una grave minaccia per la loro sicurezza. Da quila convinzione della diplomazia italiana che fosse opportuno frenarele eccessive rivendicazioni nazionalistiche polacche, romene, ceco-slovacche e jugoslave ed evitare draconiane umiliazioni agli Stati scon-fitti. Altro elemento caratteristico dell’azione italiana riguardo l’assettodell’Europa centrale alla Conferenza fu il favore verso lo stabilimen-to di frontiere fondate su fattori strategici e geografici, considerati ele-menti che contribuivano al consolidamento dei confini e alla loro sta-bilizzazione30. In seno alla Conferenza della Pace l’attenzione della di-plomazia italiana si rivolse soprattutto alla questione jugoslava. Il dis-sidio fra Roma e Belgrado sui confini creò un aspro contenzioso fra idue Paesi, alimentato da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, che ve-devano con favore il rafforzamento della Jugoslavia, così come dellaGrecia, in funzione anti-italiana31. La conflittualità latente si trasformò

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l’azione generale dell’Italia alla Conferenza della Pace: LUIGI ALDROVANDI MARESCOTTI,Guerra diplomatica. Ricordi e frammenti di Diario (1914-1919), Milano, 1936; ID., NuoviRicordi e frammenti di Diario, Milano, 1938; SILVIO CRESPI, Alla difesa d’Italia in guerra ea Versailles, Milano, 1937; ANTONIO SALANDRA, I retroscena di Versailles, Milano, 1971;VITTORIO EMANUELE ORLANDO, Memorie (1915-1919), Milano, 1960; RENÉ ALBRECHT-CARRIÉ,Italy at the Paris Peace Conference, New York, 1938; LEDERER, op. cit.; PASTORELLI, L’Albanianella politica estera italiana 1914-1920, cit.; H. JAMES BURGWYN, The Legend of the MutilatedVictory. Italy, The Great Powers and the Paris Peace Conference, Westport, 1993; ITALOGARZIA, L’Italia e le origini della Società delle Nazioni, Roma, 1995; RICCARDI, FrancescoSalata, cit., p. 164 e ss.; PAOLO ALATRI, Nitti, D’Annunzio e la questione adriatica (1919-1920),Milano, 1959; LUCA MICHELETTA, Italia e Gran Bretagna nel primo dopoguerra, Roma, 1999;MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit.

30 CACCAMO, L’Italia e la «Nuova Europa», cit.31 Sulla politica della Gran Bretagna: ROTHWELL, British War Aims, cit., p. 111 e ss.;

HAROLD NICOLSON, Peacemaking 1919, London, 1945, p. 129 e ss.; MICHAEL L. DOCKRILL,J. DOUGLAS GOOLD, Britain and the Peace Conferences 1919-1923, London, 1981, p. 105 ess., 186 e ss.; SETH P. TILLMAN, Anglo-American Relations at the Paris Peace Conference of1919, Princeton, 1961, p. 315 e ss.; PAUL C. HELMREICH, From Paris to Sèvres. The Partitionof the Ottoman Empire at the Peace Conference of 1919-1920, Columbus, 1974; ERIKGOLDSTEIN, Winning the Peace. British Diplomatic Strategy, Peace Planning and the ParisPeace Conference, 1916-1920, Oxford, 1991; MICHAEL LLEWELLYN SMITH, Ionian Vision.Greece in Asia Minor 1919-1922, New York, 1973; MARGARET MACMILLAN, Parigi 1919. Seimesi che cambiarono il mondo, Milano, 2006. Riguardo all’atteggiamento degli Stati Unitiverso la politica estera italiana nel 1918-1919: ALBRECHT-CARRIÉ, Italy at The Paris PeaceConference, cit., p. 35 e ss.; JEAN-BAPTISTE DUROSELLE, Da Wilson a Roosevelt. La politicaestera degli Stati Uniti dal 1913 al 1945, Bologna, 1963; LILIANA SAIU, Stati Uniti e Italia

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nella Grande Guerra 1914-1918, Firenze, 2003; MAYER, Politics and Diplomacy ofPeacemaking, cit.; ID., Political Origins of the New Diplomacy, cit., p. 329 e ss.; DANIELAROSSINI, Il mito americano nell’Italia della Grande Guerra, Roma-Bari, 2000, p. 157 e ss.;DRAGAN R. ŽIVOJINOVIĆ, America, Italy and the Birth of Yugoslavia (1917-1919), Boulder,1972; RAY STANNARD BAKER, Woodrow Wilson and the World Settlement, New York, 1923,vol. 2, p. 127 e ss.; LOUIS JOHN NIGRO JR., The New Diplomacy in Italy. American Propagandaand U.S. – Italian Relations, 1917-1919, New York, 1999.

32 LEDERER, op. cit., p. 143 e ss.33 Il memoriale italiano presentato alla Conferenza della Pace è edito in DDI, VI, 2, d.

787. Si veda al riguardo: RICCARDI, Francesco Salata, cit. p. 194 e ss.34 Sullo scontro fra Wilson e la delegazione italiana alla Conferenza della Pace molto ma-

teriale documentario nelle carte di Wilson: WP, volumi 56, 57, 58, 59, 60. Si vedano anche iverbali delle discussioni del Consiglio dei Quattro: PAUL MANTOUX, Les Délibérations duConseil des Quatre (24 mars-28 juin 1919), Paris, 1955, due volumi. Fra la storiografia:ALBRECHT-CARRIÉ, Italy at the Paris Peace Conference, cit.; DUROSELLE, Da Wilson aRoosevelt. La politica estera degli Stati Uniti dal 1913 al 1945, cit., 1963; LEDERER, op. cit.;GARZIA, L’Italia, cit.; ŽIVOJINOVIĆ, America, Italy and the Birth of Yugoslavia (1917-1919),cit.

ben presto in vero e proprio scontro politico. In occasione delle di-scussioni per la delimitazione delle nuove frontiere in Europa centra-le e meridionale la delegazione jugoslava a Parigi decise di presenta-re rivendicazioni territoriali massimalistiche, chiedendo l’annessionedi Trieste e Gorizia, dell’Istria, della Dalmazia e dell’Albania setten-trionale32. Pure il governo italiano ampliò i propri piani di conquistaterritoriale, chiedendo, oltre ai territori previsti dal Patto di Londra,Fiume e un mandato sull’Albania33. Gli alleati dell’Italia, francesi ebritannici, si dimostrarono freddi e ostili verso le rivendicazioni ita-liane e manifestarono simpatia per gli jugoslavi. Ma, soprattutto, fula delegazione americana, guidata dal presidente Woodrow Wilson, adopporsi apertamente all’Italia. A parere di Wilson, la dissoluzionedell’Impero asburgico e la futura creazione della Società delle Nazionirendevano ingiustificate le paure italiane di essere minacciati militar-mente ad Oriente: era opportuno, quindi, definire un confine italo-ju-goslavo (la cosiddetta linea Wilson) fondato prevalentemente sul prin-cipio etnico, che lasciasse al Regno SHS il controllo della Dalmaziae dell’Istria orientale; per superare il contenzioso su Fiume, invece, ilpresidente americano propose la costituzione di una città libera34.L’opposizione della diplomazia statunitense alle rivendicazioni adria-tiche dell’Italia provocò un’impasse nel contenzioso italo-jugoslavo,che rimase irrisolto per molti mesi. L’atteggiamento dell’Italia versoi problemi della Cecoslovacchia, dell’Ungheria e dell’Austria fuprofondamente condizionato dalla politica italiana verso la Jugosla-

via35. Ispirata da una strategia politica ostile a Belgrado, la delegazioneitaliana si sforzò di frenare l’espansione territoriale jugoslava. Da quiil sostegno italiano alle tesi austriache in Stiria e Carinzia, a quelle ro-mene nel Banato, e la difesa dei diritti nazionali albanesi contro le mi-nacce jugoslave e greche. Notevole fu lo sforzo di aiutare la diplo-mazia romena a realizzare la gran parte delle sue rivendicazioni ter-ritoriali: nel 1919 il governo di Roma considerò la Romania un im-portante partner in Europa centrale, senza però essere contraccambiatonelle attenzioni, in quanto Bucarest preferì privilegiare i rapporti conParigi36. Inizialmente speranzosa di ottenere il sostegno di Parigi sul-la questione adriatica, l’Italia accettò e sostenne i progetti francesi d’in-debolire la Germania concedendo confini occidentali molto vantag-giosi alla Cecoslovacchia e alla Polonia37. In generale la delegazioneitaliana mostrò disinteresse verso le questioni polacche: nel corso del-le discussioni del maggio 1919, però, Sonnino fu ostile alle rivendi-cazioni polacche sulla Galizia orientale e ad un’eccessiva espansioneorientale della Polonia. È in un contesto di antagonismo italo-jugo-slavo e di cattivi rapporti fra Roma e gli alleati dell’Intesa che preselentamente sviluppo una politica di attenzione dell’Italia verso il nuo-vo Stato austriaco38. In Italia molti considerarono utile l’esistenza di

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35 Al riguardo CACCAMO, L’Italia e la «Nuova Europa», cit. Una buona analisi della dif-fidenza di gran parte della classe dirigente cecoslovacca verso l’Italia liberale in FRANCESCOCACCAMO, L’Italia nella corrispondenza tra Masaryk e Beneš all’indomani della prima guer-ra mondiale, «Clio», 1996, n. 3, pp. 489-513.

36 SHERMAN D. SPECTOR, Rumania at the Paris Peace Conference. A study of theDiplomacy of Ioan I. C. Bratianu, New York, 1962; GIULIANO CAROLI, L’Italia e il problemanazionale romeno alla conferenza della pace di Parigi, 1919-1920, «Storia e Politica», 1978,n. 3, p. 453 e ss., saggio riedito in ID., La Romania nella politica estera italiana 1915-1965.Luci e ombre di un’amicizia storica, Milano, 2009, p. 17 e ss.

37 CACCAMO, L’Italia e la «Nuova Europa», cit.; DANIEL PERMAN, The Shaping of theCzechoslovak State. Diplomatic History of the Boundaries of Czechoslovakia 1914-1920,Leiden, 1962.

38 Sulle relazioni italo-austriache nel primo dopoguerra vi è molto materiale inAußenpolitische Dokumente der Republik Österreich 1918-1938, (d’ora innanzi DDA) Wien-München, 1993-, vol. 1, 2, 3. Fra la letteratura si vedano: HANS HAAS, Le relazioni italo-au-striache dall’armistizio di Villa Giusti al trattato di Saint Germani, «Storia e Politica», 1973,pp. 411-428; FEDERICO CURATO, Le relazioni italo-austriache alla Conferenza della Pace, ivi,pp. 429-457; GIORGIO MARSICO, Il problema dell’Anschluss austro-tedesco 1918-1922, Milano,1983; RODOLFO MOSCA, L’Austria e la politica estera italiana dal trattato di St. Germain al-l’avvento del fascismo al potere (1919-1922), in ID., Le relazioni internazionali nell’età con-temporanea, cit., p. 94 e ss.; STEFAN MALFER, Wien und Rom nach dem Ersten Weltkrieg.Österreichisch-italienische Beziehungen 1919-1923, Wien, 1978; ARNOLD SUPPAN,Jugoslawien und Österreich 1918-1938. Bilaterale Aussenpolitik im Europäischen Umfeld,

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Wien-München, 1996; LAJOS KEREKES, Von St. Germain bis Genf: Österreich und seineNachbarn, Budapest-Wien, 1979.

39 RICHARD SCHOBER, Die Tiroler Frage auf der Friedenskonferenz von Saint Germain,Innsbruck, 1982.

40 UMBERTO CORSINI, RUDOLF LILL, Alto Adige 1918-1946, Bolzano, 1988; CORSINI,Problemi di un territorio di confine. Trentino e Alto Adige dalla sovranita austriaca all’ac-cordo Degasperi-Gruber, cit.; ROLF STEININGER, Südtirol 1918-1999, Innsbruck-Wien, 1999.

41 Al riguardo l’analisi di Rodd, ambasciatore britannico a Roma: British Documents onForeign Affairs: Reports and Papers from the Foreign Office Confidential Print, (d’ora in-nanzi BDFA), Washington, 1983- II, F, 4, Rodd a Curzon, 23 giugno 1919, d. 45. Sulla poli-tica estera dei governi Nitti fondamentale MICHELETTA, Italia e Gran Bretagna nel primo do-poguerra. Le relazioni diplomatiche tra Roma e Londra dal 1919 al 1922, cit.

42 MONTICONE, Nitti e la grande guerra, cit.; FRANCESCO BARBAGALLO, Francesco S. Nitti,Torino, 1984; FRANCESCO SAVERIO NITTI, Edizione nazionale delle opere di Francesco SaverioNitti. Scritti politici. Volume V. Diario di prigionia, Meditazioni dell’esilio, Roma-Bari, 1967;ID., Edizione nazionale delle opere di Francesco Saverio Nitti. Scritti politici. Volume VI.Rivelazioni, Meditazioni e ricordi, Roma-Bari, 1963; ID., Edizione nazionale delle opere diFrancesco Saverio Nitti. Volume XVI. Tomo II. Scritti politici. Articoli e discorsi inediti va-ri, documenti, Roma-Bari, 1980.

uno Stato austriaco indipendente, sorta di seconda Svizzera, scudo pro-tettivo e barriera fra la Germania e lo Stato sabaudo. Da qui la deci-sione di rafforzare il nuovo Stato austriaco difendendolo dalle riven-dicazioni jugoslave in Carinzia e Stiria e ostacolando ogni disegno dicreazione di un corridoio territoriale fra Jugoslavia e Cecoslovacchia.Elemento di tensione nei rapporti bilaterali italo-austriaci rimase ov-viamente l’Alto Adige, annesso all’Italia contro la volontà della popo-lazione di lingua tedesca39. Ma, nel primo dopoguerra, la politica del-lo Stato italiano verso i tedeschi dell’Alto Adige non era ancora chia-ra e definita e sembrava possibile addolcire al governo di Vienna la per-dita territoriale tramite la concessione di un regime di larga autonomiaai sudtirolesi40.

La formazione del governo Nitti-Tittoni41 alla fine del giugno 1919spinse la diplomazia italiana a cercare di migliorare i rapporti con gliAlleati e di chiudere rapidamente il contenzioso territoriale con laJugoslavia. L’indebolimento diplomatico e il crescente isolamento in-ternazionale dell’Italia consigliarono al nuovo esecutivo di ridimen-sionare le rivendicazioni in Dalmazia al fine di assicurarsi Fiume e unbuon confine in Venezia Giulia42. Ma, nonostante il ridimensionamentodelle richieste italiane e la mediazione anglo-francese, il governo diBelgrado rifiutò di chiudere in tempi rapidi la questione dei confini.Lo scontro con la Jugoslavia spinse l’Italia liberale a cercare di de-stabilizzare lo Stato vicino intrecciando rapporti con gruppi politici se-

cessionisti croati, montenegrini, kosovari, macedoni43. Nelle destre ita-liane, nel nazionalismo, nel nascente fascismo, ma anche in parte del-le forze armate e degli ambienti liberali governativi si sviluppò unaforte ostilità contro l’esistenza di uno Stato jugoslavo unitario. Questoanti-jugoslavismo fu un fattore centrale dell’azione internazionale delmovimento dannunziano che occupò Fiume fra il 1919 e il 1920 ecercò in tutti i modi di favorire la disgregazione dello Stato jugosla-vo44. Per D’Annunzio e i suoi seguaci la Jugoslavia era uno Stato ar-tificiale, oppressore dei popoli e nemico implacabile dell’Italia.D’Annunzio cercò di conciliare l’espansionismo italiano con la dife-sa dei diritti nazionali dei piccoli popoli balcanici: la distruzione del-la Jugoslavia, a suo avviso, avrebbe consentito non solo la trasfor-mazione dell’Adriatico in un lago italiano ma anche la rinascita delMontenegro, la creazione di una grande Albania, la costituzione di unaCroazia indipendente, amputata dei territori adriatici ma inglobante leterre slovene. La diplomazia e la gran parte della classe dirigente ita-liana favorirono inizialmente i disegni dannunziani e secessionisti so-prattutto per spaventare Belgrado e convincere i serbi ad accettare lerivendicazioni territoriali di Roma. Riguardo alle definizione dei trat-tati di pace con Austria e Ungheria, Nitti e la delegazione italiana s’im-pegnarono per evitare eccessive amputazioni territoriali dell’Ungheriae della Bulgaria e per cercare di raggiungere un’intesa romeno-ma-giaro-bulgara sotto l’egida italiana, che isolasse Belgrado e rafforzassel’influenza dell’Italia nella regione danubiano-balcanica contrastando

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43 MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit.; p. 148 e ss.; GIOVANNI GIURIATI, ConD’Annunzio e Millo in difesa dell’Adriatico, Firenze, 1954; MASSIMO BUCARELLI, «DelendaJugoslavia». D’Annunzio, Sforza e gli “intrighi balcanici” del ’19-20, «Nuova StoriaContemporanea», 2002, n. 6, pp. 19-34; CACCAMO, Il sostegno italiano all’indipendentismocroato 1918-1920, cit.

44 Sul movimento dannunziano e l’impresa di Fiume: RENZO DE FELICE, D’Annunzio po-litico 1918-1938, Roma-Bari, 1978; ID., Sindacalismo rivoluzionario e fiumanesimo nel car-teggio De Ambris-D’Annunzio (1919-1922), Brescia, 1966; FRANCESCO PERFETTI,Fiumanesimo, sindacalismo e fascismo, Roma, 1988; LONGO, L’esercito italiano e la questionefiumana (1918-1921), cit.; FERDINANDO GERRA, L’Impresa di Fiume. Nelle parole e nell’a-zione di Gabriele D’Annunzio, Milano, 1966; PAOLO ALATRI, D’Annunzio, Torino, 1983; ID.,Nitti, D’Annunzio, cit.; MICHAEL A. LEDEEN, D’Annunzio a Fiume, Roma-Bari, 1975;MICHELETTA, Italia e Gran Bretagna, cit.; CACCAMO, L’Italia e la «Nuova Europa», cit.; ID.,Il sostegno italiano, cit.; RICCARDI, Francesco Salata, cit.; BUCARELLI, «Delenda Jugoslavia».D’Annunzio, Sforza e gli “intrighi balcanici” del ’19-20, cit.; MONZALI, Italiani di Dalmazia1914-1924, cit.; ANTONELLA ERCOLANI, Da Fiume a Rijeta. Profilo storico-politico dal 1918al 1947, Soveria Mannelli, 2009.

la presenza della Francia45. L’intesa non ebbe realizzazione, ma indicòun orientamento politico che sarebbe stato presente a intermittenza nel-la politica estera italiana negli anni successivi.

Il contenzioso italo-jugoslavo trovò una sua soluzione solo dopoil tracollo politico di Wilson – causato dal rifiuto del Senato america-no di ratificare il trattato di Versailles e lo statuto della Società delleNazioni –, e il miglioramento dei rapporti italo-francesi seguito al-l’avvento al potere di Giovanni Giolitti. Il governo Giolitti, con CarloSforza ministro degli Esteri46, svolse un’abile strategia diplomaticapuntando a raggiungere un’intesa privilegiata con gli ambienti politi-ci serbi. La decisione italiana di rinunciare al mandato sull’Albania edi riconoscere l’indipendenza albanese (sancita definitivamente con iltrattato di Tirana dell’agosto 1920) e la volontà di chiedere in Dalmazial’annessione della sola Zara, lasciando al regno SHS il controllo delretroterra dalmata, eliminarono gravi contrasti d’interesse fra italianie serbi. Il governo jugoslavo, ormai dominato dalla classe dirigenteserba, si dimostrò pronto a chiudere il contenzioso con l’Italia sacri-ficando le rivendicazioni nazionali slovene e croate47. La difficile si-tuazione interna jugoslava (con un crescente scontro fra croati, desi-derosi di maggiori autonomie regionali e locali, e serbi, difensori diuno Stato centralistico da loro egemonizzato)48 e il permanere di spin-te secessionistiche in Montenegro, Macedonia, Kosovo, Vojvodina eCroazia, rendevano preziosa la creazione di buoni rapporti di vicina-to con l’Italia. Il 12 novembre 1920 i due governi italiano e jugosla-vo firmarono a Rapallo un trattato che chiuse temporaneamente il con-tenzioso confinario fra i due Paesi49. Il governo di Roma ottenne il con-

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45 CACCAMO, L’Italia e la «Nuova Europa», cit.46 Riguardo all’azione internazionale di Carlo Sforza e del governo Giolitti nel 1920-21:

MARIA GRAZIA MELCHIONNI, La politica estera di Carlo Sforza nel 1920-21, «Rivista di stu-di politici internazionali», 1969, p. 536 e ss.; ID., La convenzione antiasburgica del 12 no-vembre 1920, «Storia e Politica», 1972, n. 2, p. 224 e ss., n. 3, p. 374 e ss.; MONZALI, Italianidi Dalmazia 1914-1924, cit.; MICHELETTA, Italia e Gran Bretagna, cit.; GIANCARLOGIORDANO, Carlo Sforza: la diplomazia 1896-1921, Milano, 1987; LIVIO ZENO, Carlo Sforza:ritratto di un grande diplomatico, Firenze, 1999; CARLO SFORZA, L’Italia dal 1914 al 1944quale io la vidi, Verona-Milano, 1944; DDF 1920, II, dd. 109, 146, 212, 454, 467; DDF 1921,I, dd. 77, 83, 100, 290, 300.

47 LEDERER, op. cit., p. 350 e ss.48 Al riguardo: YPD, 1, ALBAN YOUNG, Annual Report on the Serb-Croat-Slovene

Kingdom for 1921, allegato a Young a Curzon, 6 aprile 1922, p. 485 e ss.49 Il testo degli accordi di Rapallo (convenzione antiasburgica e accordo confinario) è

edito in AMEDEO GIANNINI, Documenti per la storia dei rapporti fra l’Italia e la Jugoslavia,Roma, 1934, p. 36 e ss. Vi è una ricca documentazione italiana sul negoziato che portò a que-

trollo di tutta la Venezia Giulia fino al Monte Maggiore e al Nevoso.Rinunciò alla gran parte della Dalmazia a favore di Belgrado, ma siassicurò una presenza italiana sulla costa dalmata con l’annessione diZara e il riconoscimento di alcuni diritti culturali per gli italiani rimastinel Regno SHS e conquistò l’egemonia militare nell’Adriatico cen-tro-settentrionale con il controllo delle isole di Cherso, Lussino,Lagosta e Pelagosa. Il problema di Fiume fu temporaneamente risol-to con la costituzione dello Stato libero fiumano: soluzione che gli ju-goslavi accettarono solo in cambio della promessa italiana lasciar lo-ro in futuro il controllo e l’uso di Porto Baros (promessa contenuta inuno scambio di lettere segreto fra Sforza e il ministro degli Esteri ju-goslavo, Trumbić). In cambio di queste rinunce territoriali il governodi Belgrado ottenne il riconoscimento diplomatico italiano del RegnoSHS, sottraendo così alle forze secessionistiche anti-serbe il loro prin-cipale alleato. Con la contemporanea firma della convenzione anti-asburgica – un accordo con cui le due Potenze s’impegnarono a ri-spettare i trattati di Saint Germain e del Trianon e l’Italia promise d’im-pedire la restaurazione degli Asburgo in Austria e Ungheria50 – il go-verno jugoslavo ottenne un’ulteriore garanzia della propria integritàterritoriale. La questione albanese non venne trattata nell’accordo, maSforza fece capire di volere seguire una politica di collaborazione conBelgrado in tale regione e di essere pronto a tenere conto degli inte-ressi serbi. Il trattato di Rapallo, notevole successo diplomatico del go-verno Giolitti-Sforza, fu ratificato dal Parlamento italiano a stragran-de maggioranza e con il consenso di tutti i capi del cosiddetto inter-ventismo democratico51; lo stesso Benito Mussolini, capo del movi-mento fascista, che aveva strumentalizzato i dannunziani e il movi-mento per la Dalmazia italiana per ritagliarsi un ruolo come leader na-

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sti trattati in Archivio storico del Ministero degli Affari Esteri a Roma (d’ora innanzi ASMAE),Carte di Carlo Sforza (d’ora innanzi Carte Sforza), busta (d’ora innanzi b.) 7, verbali delleriunioni fra le delegazioni italiana e serbo-croata-slovena, 10, 11 e 12 novembre 1920. Si ve-dano anche: CARLO SFORZA, Jugoslavia. Storia e ricordi, Milano, 1948, p. 154 e ss.;MELCHIONNI, La politica estera di Carlo Sforza nel 1920-21, cit., 1969, p. 536 e ss.; LEDERER,op. cit., p. 350 e ss.; RICCARDI, Francesco Salata, cit., p. 264 e ss.; MICHELETTA, Italia e GranBretagna, cit., I; MARIO DASSOVICH, I molti problemi dell’Italia al confine orientale. IDall’armistizio di Cormons alla decadenza del patto Mussolini-Pasić (1866-1929), Udine,1989, p. 197 e ss.; MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit., p. 191 e ss.; ATTILIOTAMARO, Venti anni di storia, Roma, 1971 (seconda ediz.) I, p. 96 e ss.

50 MELCHIONNI, La convenzione antiasburgica del 12 novembre 1920, cit.51 GAETANO SALVEMINI, Il trattato di Rapallo, in ID., Dalla guerra mondiale alla ditta-

tura, cit., p. 637 e ss.

zionalista, accettò il trattato, criticandone solo le clausole relative al-la Dalmazia52. Il trattato di Rapallo venne duramente contestato inItalia dai sostenitori di D’Annunzio, dai nazionalisti italiani, da granparte del movimento fascista, nonché da alcuni capi della minoranzaitaliana in Dalmazia. I nazionalisti e i dannunziani ritenevano che larinuncia alla Dalmazia significasse la mancata conquista dell’egemo-nia nell’Adriatico53. Fra le nazionalità jugoslave il trattato di Rapalloottenne i maggiori consensi fra i serbi: l’Italia rinunciava a sostenerel’indipendentismo montenegrino e accettava quindi l’assorbimento delMontenegro nel Regno SHS; con il controllo della Dalmazia, poi, ve-niva mantenuta tutta la nazione serba in seno allo Stato jugoslavo. Percroati e sloveni, invece, Rapallo segnava una grande sconfitta, con ilpassaggio di territori abitati da centinaia di migliaia di connazionalisotto il dominio dell’Italia. Lo stesso Trumbić, uno dei negoziatori deltrattato, affermò che la revisione dei confini italo-jugoslavi doveva es-sere uno degli obiettivi futuri della nazione croata54.

Con il governo Giolitti-Sforza la politica estera italiana raggiunsei risultati più brillanti nel periodo fra il 1918 e il 1922. Sforza, abilenel conciliare realismo politico e perseguimento di una moderna azio-ne di espansione, svolse una politica europea a tutto campo, tentandodi fare dell’Italia la principale alleata della Francia e di creare un con-dominio italo-francese in Europa centrale. La politica di Sforza giocòin modo convinto e spregiudicato lo spauracchio della restaurazioneasburgica per raccogliere simpatie e consensi fra cecoslovacchi, po-lacchi, romeni e jugoslavi. Sforza si dimostrò favorevole alla costitu-zione della Piccola Intesa fra Romania, Cecoslovacchia e Jugoslavia.Non a caso fra la fine del 1920 e i primi mesi del 1921 i rapportidell’Italia con la Cecoslovacchia conobbero una forte intensificazio-ne, che culminò nell’adesione cecoslovacca alla convenzione anti-asburgica del novembre 192055. La politica estera di Sforza e Giolitti,

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52 DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, cit., p. 636 e ss.53 LUIGI FEDERZONI, Presagi alla nazione. Discorsi politici, Milano, 1925, pp. 177-213;

TAMARO, La lotta delle razze nell’Europa danubiana, cit., p. 157 e ss.; LUCIANO MONZALI,Tra irredentismo e fascismo. Attilio Tamaro storico e politico, «Clio», 1997, n. 2, p. 286 e ss.;ID., Attilio Tamaro, la questione adriatica e la politica estera italiana 1920-1922, «Clio», 2007,n. 2, pp. 229-253.

54 ASMAE, Carte Sforza, b. 7, Intercettazione microfonica n. 5 (salotto jugoslavo), 10novembre 1920.

55 MELCHIONNI, La politica estera di Carlo Sforza nel 1920-21, cit.; ID., La convenzioneantiasburgica del 12 novembre 1920, cit.; FRANCESCO CACCAMO, Italia e Cecoslovacchia ne-gli anni Venti, «Nuova Storia Contemporanea», 2000, n. 2, pp. 59-76.; MICHELETTA, Italia e

però, fu duramente attaccata da nazionalisti e fascisti. Il principaleesperto nazionalista sull’Europa centrale, Attilio Tamaro56, contestòl’azione diplomatica di Sforza, da lui definita come la ricerca del-l’«alleanza con gli Slavi». La ricerca dell’amicizia della Jugoslavia edella Cecoslovacchia da parte di Sforza, a parere dello scrittore trie-stino, aveva attirato sull’Italia l’inimicizia o il sospetto di tutti i po-poli (ungheresi, bulgari, tedeschi, albanesi) che avevano rivendicazionipolitiche e nazionali contro questi Stati. Per mezzo della collabora-zione con la Jugoslavia e la Piccola Intesa Sforza cercava di afferma-re l’influenza dell’Italia in Europa così come il governo di Roma ave-va fatto prima della guerra con l’alleanza con l’Impero asburgico. Mal’alleanza italo-jugoslava aveva un valore politico assai scarso:

Le alleanze del passato costituivano un potente sistema di equilibrio, poi-ché erano conchiuse con Stati formidabili. Il conte Sforza, invece, vuol le-gare oggi l’Italia a due Stati, la Boemia e la Iugoslavia, che come Stati op-pressori hanno ereditato tutto quanto di peggio era nei sistemi austro-unga-rici, e come fattori politici contano pochissimo o nulla, sia perché sono tuttiassediati da nemici, che li odiano mortalmente, sia sono internamente corro-si da incessanti e insolubili lotte nazionali. Ma non basta ancora. Il ministroSforza, che si illude di diventare il padreterno della “Piccola Intesa”, igno-randone l’essenza panslavistica, vuole entrare in quest’alleanza boemo-iu-goslava. Ma nel momento che si propone di fare una politica d’alleanza conla Boemia non solo attira sull’Italia l’odio dei popoli che protestano controil dominio boemo – Tedeschi, Slovacchi e Magiari – ma rende diffidente eostile verso l’Italia la Polonia57.

A parere di Tamaro, l’Italia avrebbe dovuto affermare il suo pre-dominio nell’Europa centrale e e in quella balcanica coordinando «inun sistema da lei controllato tutte le forze antislave che si oppongonoagli sforzi egemonici di quegli Slavi, a nord e a sud del Danubio, chepoi gravitano con le loro forze sull’Adriatico»58. Sulla base di questavisione strategica egli affermava l’esigenza di sostenere le forze anti-

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Gran Bretagna, cit. I, p. 191 e ss.; DONATELLA BOLECH CECCHI, Alle origini di un’amicizia.Italia-Cecoslovacchia 1918-1922, Soveria Mannelli, 2008

56 Sulla figura di Attilio Tamaro, il migliore esperto italiano di problemi dell’Europa cen-trale negli anni Venti: MONZALI, Tra irredentismo e fascismo. Attilio Tamaro storico e politi-co, cit.

57 ATTILIO TAMARO, L’alleanza con gli Slavi, «Politica», 1921, vol. VII, fasc. 20, pp. 151-165, citazione p. 161.

58 Ivi, p. 157.

governative secessioniste in Jugoslavia e in Cecoslovacchia, di ap-poggiare la revisione del trattato di pace del Trianon a favore dell’Un-gheria e di non ostacolare l’unione fra Austria e Germania, unico mo-do per evitare la restaurazione degli Asburgo59.

Con il trattato di Rapallo l’Italia riconobbe l’esistenza dello Statojugoslavo e venne meno tutta la tendenza anti-jugoslava che aveva in-fluenzato l’atteggiamento italiano verso i problemi dell’Europa cen-trale. Agli inizi degli anni Venti sembrò crearsi la possibilità di unacollaborazione fra i due Stati, a cui spingeva pure la natura comple-mentare dei rispettivi sistemi economici. Questa era l’intenzione diGiolitti e Sforza e dei politici serbi. Ma non mancavano gli ostacoli ele difficoltà. In Jugoslavia, come abbiamo visto, la gran parte dei par-titi croati e sloveni contestava i confini creati dal trattato di Rapalloed era ostile al miglioramento dei rapporti bilaterali. In Italia l’asce-sa del movimento fascista riportò in auge il mito della «vittoria mu-tilata» e la polemica sul trattato di Rapallo: fascisti e nazionalisti de-nunciavano strumentalmente ogni concessione politica ed economicaa Belgrado come segno di debolezza dell’Italia. Non a caso il movi-mento fascista raccolse i suoi primi successi politici proprio in VeneziaGiulia puntando sulla propaganda nazionalista e mirando ad aggravarelo scontro italo-jugoslavo con violenze squadristiche60. Il successivorafforzarsi del fascismo in Italia e la sua politica di negazione dei di-ritti politici e culturali delle popolazioni allogene rinfocolarono l’ita-lofobia dei nazionalismi sloveno e croato, che risposero alle azioni fa-sciste con analoghe violenze contro la minoranza italiana nellaDalmazia jugoslava. Le rispettive minoranze furono naturalmente levittime di questo rinfocolarsi di violenze ed ostilità, che contribuivaa rendere difficili i rapporti bilaterali. È quanto constatava nel marzo1921 il ministro plenipotenziario italiano a Belgrado, GaetanoManzoni, invitando il governo di Roma a frenare le iniziative fasci-ste rilevando i danni politici che le violenze contro le istituzioni cul-turali slovene e croate provocavano alle relazioni bilaterali e alle con-

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59 Ivi, pp. 165-166.60 Sull’ascesa del movimento fascista in Venezia Giulia: DE FELICE, Mussolini il rivolu-

zionario, cit., p. 624 e ss; CLAUDIO SILVESTRI, Dalla redenzione al fascismo. Trieste 1918-1922, Udine, 1959; ID., Storia del fascio di Trieste dalle origini alla conquista del potere(1919-1922), in AA.VV., Fascismo Guerra Resistenza. Lotte politiche e sociali nel FriuliVenezia Giulia 1918-1945, Trieste, 1969, pp. 13-99; ELIO APIH, Italia fascismo e antifasci-smo nella Venezia Giulia (1918-1943), Roma-Bari, 1966, p. 113 e ss.; ALMERIGO APOLLONIO,Dagli Asburgo a Mussolini.Venezia Giulia 1918-1922, Gorizia, 2001, p. 279 e ss.

dizioni delle minoranze italiane nel Regno SHS, facilitando reazioninazionaliste in Jugoslavia61. In particolare, il processo d’applicazionedel trattato di Rapallo si dimostrò alquanto travagliato e pesantemen-te condizionato da esigenze di politica interna. Il governo italiano siera impegnato a Rapallo, una volta avvenuta la ratifica del trattato, al-l’immediato sgombero delle parti della Dalmazia occupate fin dal1918. Dopo lo scambio delle ratifiche del trattato fra i due governi, il2 febbraio 1921, vennero attivate le commissioni congiunte italo-ju-goslave che avrebbero dovuto coordinare l’evacuazione dai territorioccupati e la delimitazione dei confini62. Ma la consegna dei territorifu lenta e problematica63. Il governo italiano cercò di usare lo sgom-bero dalla Dalmazia come pedina di scambio per un negoziato conBelgrado che garantisse, oltre alla definitiva soluzione della questio-ne fiumana, una maggiore tutela dei diritti della minoranza dalmataitaliana. Tale impostazione, però, era contestata dalla diplomazia ju-goslava che riteneva lo sgombero un impegno che il governo di Romaaveva già assunto e non più materia di negoziato: se l’Italia voleva ri-solvere le altre questioni esistenti nei rapporti bilaterali, doveva in-nanzitutto ritirarsi dalla Dalmazia64. A fine marzo fu raggiunta un’in-tesa fra Roma e Belgrado, che consentì la consegna della prima zonaoccupata in Dalmazia. Le evacuazioni decise dal governo Giolitti, sen-za aver ottenuto nuove garanzie per i diritti della minoranza italiana,e l’esodo di una parte rilevante degli abitanti italiani di quei territorisuscitarono le proteste dei nazionalisti, dei fascisti e di esponenti del-la destra liberale. Nonostante ciò, Sforza e Giolitti, che ritenevano ilrafforzamento dei rapporti con Belgrado un elemento fondamentaledella politica estera italiana e consideravano ormai il problema diFiume più importante di quello della Dalmazia, decisero di prosegui-re nell’applicazione del trattato di Rapallo. Fra maggio e giugno, i duegoverni intavolarono negoziati al fine di accelerare l’applicazione deltrattato di Rapallo e definire l’assetto di Fiume. Alla fine di maggio

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61 ASMAE, Carte di Gabinetto del Ministro e della Segreteria Generale (d’ora innanziGAB) 1923-1943, Ufficio Adriatico-Fiume (d’ora innanzi AF), b. 23, Manzoni a Ministerodegli Esteri, 8 marzo 1921.

62 MASSIMO BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia (1922-1939), Bari, 2006, p. 17.63 Al riguardo: DANILO MASSAGRANDE, Italia e Fiume, 1921-1924. dal Natale di sangue

all’annessione, Milano, 1982; MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit.64 Ad esempio: ASMAE, GAB 1923-43, AF, b. 9, Nota verbale della Legazione del Regno

SHS al governo di Roma, 11 marzo 1921. Si veda anche: «Novo Doba», 14 gennaio 1921, Ozavlačenju izvršenja Rapalskog ugovora; ivi, 18 gennaio 1921, Demanti iz Beograda.

venne raggiunto un accordo secondo il quale, una volta costituitosi unesecutivo legale fiumano, sarebbero iniziate conversazioni fra i go-verni di Belgrado, Roma e Fiume per la conclusione di un’intesa sul-lo sfruttamento e uso dei porti di Fiume, Susak/Sušak e delle loro di-pendenze, il cui contenuto, però, era già stato concordato fra italianie jugoslavi: si prevedeva la costituzione di un consorzio italo-jugo-slavo-fiumano per lo sfruttamento comune delle strutture portuali e fer-roviarie di Fiume e Porto Baros; ma l’entrata in vigore dell’accordosul consorzio era condizionata dalla richiesta che l’Italia adempissepienamente al trattato di Rapallo:

era […] stabilito – ha ricordato Danilo Massagrande – che se a un mesedalla firma dell’accordo non si fosse costituito il governo legale a Fiume, enon si fosse provveduto alla consegna dei territori di spettanza allo Stato diFiume ed alla Jugoslavia (ciò che voleva dire l’evacuazione della seconda edella terza zona dalmata, e dell’intero settore di Fiume), esso non avrebbepiù avuto alcun valore65.

Per facilitare il negoziato con gli jugoslavi, il governo italiano de-cise di fare un gesto amichevole verso Belgrado, accelerando l’eva-cuazione di tutta la seconda zona occupata della Dalmazia66. Il 12 giu-gno Sebenico fu consegnata all’esercito jugoslavo e gran parte dellapopolazione italiana abbandonò la città67. Nazionalisti, fascisti e de-stra liberale, usciti rafforzati dalle elezioni parlamentari del maggio1921, gridarono al tradimento degli interessi nazionali. Le vicende inDalmazia e l’intesa sul porto di Fiume indebolirono fortemente il go-verno Giolitti. La politica estera di Sforza fu duramente contestata insede parlamentare, mettendo a repentaglio la maggioranza governati-va. Dopo le discussioni parlamentari sulla politica estera Giolitti con-statò la crescente fragilità del suo esecutivo e decise di presentare ledimissioni del suo governo il 27 giugno68.

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65 MASSAGRANDE, op. cit., pp. 38-39.66 È quanto spiegò Contarini al console Rocco il 7 giugno: il governo aveva dovuto, «per

ragioni patriottiche», subordinare la soluzione dei problemi dalmatici alla «soluzione problemaFiume che altrimenti sarebbe stata irreparabilmente perduta»: ASMAE, Archivio del Vice-consolato italiano di Sebenico (d’ora in poi Sebenico), archivio ordinario (d’ora in poi arc.ord.), b. 5, Contarini a Rocco, 7 giugno 1921.

67 MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit., pp. 322-324.68 Sulla crisi del governo Giolitti: RENZO DE FELICE, Mussolini il fascista. La conquista

del potere 1921-1925, Torino, 1966, p. 101; MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit.;NICOLA TRANFAGLIA, La prima guerra mondiale e il fascismo, Torino, 1995, p. 262 e ss.;

Il 4 luglio 1921, Ivanoe Bonomi, socialista riformista, già ministrodella Guerra nell’esecutivo Giolitti, costituì un nuovo governo, fon-dato su una coalizione fra liberali giolittiani, socialisti riformisti, de-mocratico-sociali e popolari69. Bonomi nominò ministro degli EsteriPietro Tomasi Della Torretta70, diplomatico di carriera. A causa dellafragilità della sua maggioranza parlamentare, il governo Bonomi cercòdi raccogliere i consensi delle destre nazionalista e liberale e del fa-scismo. Questa direttiva filo-fascista convinse Bonomi a fare propriealcune posizioni nazionalfasciste nella questione dell’applicazione diRapallo, in discontinuità con la politica di Sforza e Giolitti. Fra le pri-me iniziative del governo Bonomi, infatti, vi fu la temporanea cessa-zione dei lavori di delimitazione dei confini dello Stato di Fiume, de-cisione che, come ha notato Danilo Massagrande, comportò, con il rin-vio della consegna dei territori jugoslavi ancora occupati dall’Italia,la sostanziale sconfessione dell’accordo sul consorzio portuale71. Difronte alle Camere, Bonomi confermò di volere rispettare ed applica-re il trattato di Rapallo, ma mise in dubbio la validità dello scambiodi lettere Sforza-Trumbić su Porto Baros, dichiarando che il governosi sentiva impegnato solo dall’accordo di Rapallo, firmato dai tre ple-nipotenziari italiani e approvato dal Parlamento7. Il nuovo governo,poi, decise di assumere una linea di maggiore durezza negoziale ver-so Belgrado nella questione dalmatica, subordinando di fatto il ritirodalla terza zona dalmata (il retroterra di Zara e le isole vicine) a con-cessioni da parte jugoslava sul piano dei rapporti commerciali ed eco-nomici, nella questione di Fiume e riguardo a nuove garanzie forma-li sui diritti della minoranza italiana in Dalmazia73. Il mutamento del-l’atteggiamento verso la Jugoslavia fu uno dei primi segnali di unanuova direzione della politica estera italiana, non più fondata su un’in-

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EMILIO GENTILE, Storia del partito fascista 1919-1922. Movimento e milizia, Bari-Roma, 1989,p. 208 e ss. Sull’importanza dei problemi della politica estera nella crisi del governo Giolitti:BDFA, II, F, 4, Buchanan a Curzon, 27 giugno 1921, d. 327.

69 DE FELICE, Mussolini il fascista. La conquista del potere 1921-1925, cit., p. 101 e ss.;DANILO VENERUSO, La vigilia del fascismo. Il primo ministero Facta nella crisi dello Statoliberale in Italia, Bologna, 1968, p. 18 e ss.; BDFA, II, F, 5, Buchanan a Curzon, 4 luglio1921, d. 7.

70 Sulla biografia di Della Torretta: MICHELETTA, Italia e Gran Bretagna, cit., II, pp. 405-407; PETRACCHI, Da San Pietroburgo, cit., p. 170 e ss.

71 MASSAGRANDE, op. cit., p. 47.72 «L’Idea Nazionale», 2 agosto 1921, La politica italiana in Adriatico e in Oriente;

MASSAGRANDE, op. cit., p. 47.73 MASSAGRANDE, op. cit.; MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit.

tesa privilegiata con la Francia e su una forte collaborazione con i nuo-vi Stati nazionali dell’Europa centrale (Cecoslovacchia, Polonia,Jugoslavia). Della Torretta, anglofilo e conservatore, desiderava l’al-leanza con Londra e la creazione di una nuova costellazione politicain Europa centrale, egemonizzata da Roma, imperniata sulla strettaamicizia fra Austria, Ungheria e Italia74. Della Torretta progressiva-mente abbandonò le direttive politiche di Sforza, che avevano porta-to alla vicinanza italiana alla Piccola Intesa. Segnali di questa svoltapolitica furono il raffreddamento dei rapporti con la Cecoslovacchiae la Jugoslavia, dovuto anche all’intervento italiano nella questione delBurgenland75, e il disinteresse del russofilo Della Torretta per la con-clusione di un accordo di collaborazione politica con la Polonia, pro-pugnato dal ministro a Varsavia, Tommasini76. Questa strategia italia-na irritò gli jugoslavi e creò diffidenza anche negli ambienti politiciserbi più favorevoli alla collaborazione con Roma. La volontà italia-na di affermare la propria influenza politica in Albania attraverso ladichiarazione della Conferenza degli ambasciatori di Londra del no-vembre 1921 – che confermava l’indipendenza albanese, ma ne affi-dava la tutela all’Italia – contribuì non poco a far risorgere nei circo-li politici serbi l’idea che gli italiani mirassero ad ostacolare gli inte-ressi di Belgrado nella regione77. Il peggioramento delle relazioni ita-lo-jugoslave ebbe come risultato il sostanziale interrompersi di tuttala febbrile applicazione del trattato di Rapallo attraverso la conclusionedi nuove convenzioni che aveva caratterizzato la politica di Sforza neiprimi sei mesi del 1921. In realtà a partire dall’estate 1921 l’azione

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74 MICHELETTA, Italia e Gran Bretagna, cit., II; MOSCA, L’Italia e la questionedell’Ungheria occidentale, cit., in particolare p. 143 e ss.; FRANCESCO TOMMASINI, La risur-rezione della Polonia, Milano, 1925, p. 331 e ss.; Archives Diplomatiques du Ministère desAffaires Étrangères de France, Paris (d’ora innanzi AMAF), Europe 1918-1929, Italie, vol.79, Charles-Roux al ministro degli Esteri, 28 agosto 1921; BDFA, II, F, 5, d. 54, Buchanana Curzon, 9 novembre 1921, d. 54.

75 MOSCA, L’Italia e la questione dell’Ungheria occidentale, cit.; MARTA PETRICIOLI, Laquestione dell’Ungheria occidentale nei documenti diplomatici italiani, in FRANCESCO GUIDA,RITA TOLOMEO, Italia e Ungheria (1920-1960). Storia, politica, società, letteratura, fonti,Cosenza, 1991, pp. 1-30. Il ministro siciliano tentò di dare vita ad un raggruppamento italo-austro-ungherese in funzione anti-jugoslava, progetto che non ebbe grande fortuna. Al riguardovi è interessante documentazione ungherese ed austriaca edita: PDH, 3, dd. 887, 896, 932,947, 1055, 1057, 1058; DDA, 4, dd. 581, 582, 584, 585, 649, 650, 652.

76 TOMMASINI, La risurrezione della Polonia, cit., pp. 250-251.77 Sulla questione albanese nella politica estera italiana nel 1921: MICHELETTA, Italia e

Gran Bretagna, cit., II, p. 413 e ss.

internazionale dell’Italia fu sempre più debole a causa della crisi in-terna, caratterizzata dall’esplosione di una guerra civile fra fascisti esocialisti e dalla crescente volontà del fascismo di affermare con la for-za la propria egemonia politica. Il governo Bonomi, indebolito dallelotte fra fascisti e socialisti e dallo scandalo provocato dal fallimentodella Banca Italiana di Sconto, si dimise il 22 gennaio 192278. Fallitii tentativi di Nitti e Giolitti di formare un nuovo esecutivo, il 26 feb-braio si costituì un governo guidato dal piemontese Facta79, fedelissi-mo di Giolitti, che si appoggiava su un’eterogenea coalizione forma-ta da liberali, popolari e destra salandrina. Per la carica di ministro de-gli Esteri fu nominato Carlo Schanzer, che aveva ottenuto un grandesuccesso diplomatico come delegato alla Conferenza di Washingtongarantendo all’Italia la parità navale con la Francia nel trattato dellecinque potenze80. Schanzer81, desideroso di usare la politica estera perrilanciare il prestigio di un esecutivo molto debole, cercò di rafforza-re il peso internazionale dell’Italia puntando alla creazione di strettirapporti con Londra82. Tentò, in particolare, di sfruttare l’organizza-zione di un’importante conferenza internazionale a Genova, dedicataalla discussione sul modo di favorire la ripresa economica europea ela distensione dei rapporti con l’Unione Sovietica, per fare crescere ilprestigio dell’Italia83. Schanzer e il suo sottosegretario, Tosti di

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78 BDFA, II, F, 5, Graham a Curzon, 3 febbraio 1922, d. 73.79 BDFA, II, F, 5, Graham a Curzon, 24 febbraio e 2 marzo 1922, dd. 86 e 87; VENERUSO,

La vigilia del fascismo. Il primo ministero Facta nella crisi dello Stato liberale in Italia, cit.80 Sulla partecipazione italiana alla Conferenza di Washington: MATTEO PIZZIGALLO,

L’Italia alla Conferenza di Washington, in ID., Disarmo navale e Turchia nella politica ita-liana 1921-1922, Napoli, 2004, pp. 11-84; ALBERTINI, I giorni di un liberale, cit., p. 265 e ss.

81 Per un’analisi della figura di Schanzer: MICHELETTA, Italia e Gran Bretagna, cit., II,p. 595 e ss.

82 MICHELETTA, Italia e Gran Bretagna, cit., II; Documents on British Foreign Policy1919-1939, (d’ora innanzi DBFP) London, 1947-, I, 24, dd. 3, 4, 5, 6, 7. La diplomazia fran-cese fu molto ostile alla politica estera di Schanzer: AMAF, Europe 1918-1940, Italie, vol.80, Barthou al Ministero degli Esteri, 9 maggio 1922; ibidem, Saint Aulaire al ministro degliEsteri, 5 e 7 luglio 1922; ibidem, Barrère a ministro degli Esteri, 9 e 19 luglio 1922.

83 Sulla Conferenza di Genova nella politica europea: CAROLE FINK, The GenoaConference. European Diplomacy, 1921-1922, Chapel Hill-London, 1984; STEPHEN WHITE,The Origins of Détente. The Genoa Conference and Soviet-Western Relations 1921-1922,Cambridge, 1985; CAROLE FINK, AXEL FROHN, JURGEN HEIDEKING, (a cura di), Genoa, Rapalloand European Reconstruction in 1922, Washington-Cambridge, 1991; PETER KRÜGER, DieAussenpolitik der Republik von Weimar, Darmstadt, 1993, p. 155 e ss.; AA.VV., La confe-renza di Genova e il trattato di Rapallo (1922), Roma, 1974; PETRACCHI, La Russia rivolu-zionaria nella politica italiana, cit., p. 214 e ss.; MATTEO PIZZIGALLO, Alle origini della po-litica petrolifera italiana (1920-1925), Milano, 1981, p. 94 e ss.

Valminuta, dedicarono molta attenzione ai rapporti con la Jugoslavia.Schanzer cercò di migliorare le relazioni con Belgrado intavolando unlungo negoziato con gli jugoslavi per regolare e risolvere i dissidi aper-ti circa l’applicazione del trattato di Rapallo e concludere accordi eco-nomici e commerciali ritenuti d’interesse reciproco. Esito di questolungo e travagliato negoziato furono i cosiddetti accordi di SantaMargherita, le cui basi furono gettate nelle settimane della Conferenzadi Genova (aprile 1922), ma che vennero firmati solo il 23 ottobre1922. Con questi accordi si cercò di regolare il problema del regimedoganale e del traffico di frontiera fra Zara e i territori limitrofi ed unaserie di questioni relative alle condizioni della minoranza italiana inJugoslavia e all’applicazione del trattato di Rapallo in Dalmazia84. Incambio di queste concessioni il governo italiano s’impegnò a sgom-berare la terza zona d’occupazione dalmata (il retroterra di Zara e leisole circostanti la città) e a consegnarla al Regno SHS entro dodicigiorni dalla ratifica degli accordi; vi fu poi l’impegno di abbandona-re il territorio di Fiume, occupato dall’esercito italiano dopo il colpodi Stato fascista del marzo 1922, e di operare perché si procedesse al-la delimitazione dei confini e all’organizzazione dello Stato libero diFiume secondo quanto previsto dal trattato di Rapallo. Ma, di frontead opinioni pubbliche sempre più dominate da umori nazionalisti e inun clima caratterizzato da sfiducia e sospetti, la ratifica degli accordidi Santa Margherita e la loro esecuzione rimanevano alquanto incer-te. Due anni erano trascorsi dal trattato di Rapallo: il progetto di unagrande collaborazione politica ed economica fra Italia e Regno deiSerbi, Croati e Sloveni rimaneva un sogno irrealizzato. Alla fine di ot-tobre le dimissioni del governo Facta e l’avvento al potere di BenitoMussolini, capo del fascismo, facevano prevedere a molti la sconfes-sione italiana delle convenzioni di Santa Margherita: giungeva infat-ti al governo dell’Italia il movimento politico che per mesi aveva con-dotto un’aspra battaglia contro la conclusione di questi accordi e chesul piano propagandistico aveva con foga sostenuto il disegno dan-nunziano di disgregare lo Stato unitario jugoslavo.

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84 Una ricostruzione della genesi degli accordi di Santa Margherita in MONZALI, Italianidi Dalmazia 1914-1924, cit., p. 381 e ss. I testi delle convenzioni sono pubblicati in GIANNINI,Documenti, cit., p. 76 e ss.

II

DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ ALLA CREAZIONEDEL DISORDINE. L’ITALIA FASCISTA, LA JUGOSLAVIA

E LA REGIONE DANUBIANA 1922-1936

Per comprendere la politica estera dell’Italia fascista è necessario ave-re ben presente la natura del regime mussoliniano. Il fascismo, movi-mento nazionalista autoritario di massa, per conquistare e mantenere ilpotere fu costretto ad assorbire le più diverse forze politiche e cultura-li e i più svariati interessi sociali ed economici. Il regime fascista1 fusostanzialmente il coagulo di diverse forze e orientamenti, tenuti in-sieme dall’accettazione del potere supremo del capo del fascismo,Benito Mussolini, e dal consenso verso un progetto di riorganizzazio-ne autoritaria della società italiana, che doveva anche consentire unapiù decisa e forte affermazione internazionale dello Stato nazionale. Letradizioni politiche e culturali, le visioni di politica internazionale esi-stenti nella società italiana nell’epoca liberale sopravvissero all’inter-no dell’Italia fascista, in parte evolvendo e interagendo in seno al regi-me. Nella classe dirigente fascista accanto ai teorici dell’imperialismonazionalista e fascista coesistettero i sostenitori di approcci ai proble-mi dell’Europa centrale e balcanica ispirati alla tradizione realista li-berale, all’esperienza dell’interventismo nazionaldemocratico e alla po-

1 Per la comprensione del sistema di potere fascista rimangono fondamentali le opere diRenzo De Felice, in particolare la sua biografia di Mussolini: DE FELICE, Mussolini il fasci-sta. La conquista del potere 1921-1925, cit.; ID., Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, 1974; ID., Mussolini il duce. Lo Stato totalitario 1936-1940, Torino, 1981; eID., Mussolini l’alleato. L’Italia in guerra 1940-1943, Torino, 1990, due tomi. Si vedano an-che gli scritti di Emilio Gentile: EMILIO GENTILE, Il culto del Littorio. La sacralizzazione del-la politica nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 1993; ID., Le origini dell’ideologia fascista(1918-1925), Bologna, 1996; ID., Il mito dello Stato nuovo, Roma-Bari, 1999; ID., La via ita-liana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista, Roma, 1995; ID., La GrandeItalia. Ascesa e declino del mito della nazione nel ventesimo secolo, Milano, 1997. Sul pia-no interpretativo utile l’analisi di DOMENICO FISICHELLA, Totalitarismo. Un regime del nostrotempo, Roma, 1987, p. 166 e ss.

litica estera di Carlo Sforza. Non poche figure di spicco della diplomaziafascista, pensiamo allo stesso Salvatore Contarini, erano stati collabo-ratori di Sforza e partecipi delle sue idee. Possiamo quindi constatareche nel corso degli anni Venti il dibattito interno al regime fascista sul-la politica estera fu caratterizzato dalla coesistenza di due indirizzi. Dauna parte, vi erano coloro che desideravano proseguire una politica distabilizzazione dell’assetto europeo prodotto dalla guerra, puntando al-l’intensificazione della collaborazione con gli Stati usciti vincitori dalconflitto bellico. In questo quadro lo Stato jugoslavo veniva percepitonon come avversario ma come un partner fondamentale per la politicaestera italiana. Dall’altra, vi erano coloro, numerosi nel partito fascista,che predicavano un rinnovamento della politica estera italiana, la qua-le doveva assumere un stile e un orientamento più dinamici e aggres-sivi2, con l’obiettivo di assicurare all’Italia l’espansione nel Mediter-raneo e l’egemonia nell’Europa danubiana e balcanica: questo proget-to egemonico era da perseguirsi svolgendo una politica favorevole aidiritti di alcune nazionalità oppresse e alla revisione dei trattati di pa-ce al fine di conquistare influenza negli Stati insoddisfatti dell’assettopolitico esistente (Austria, Ungheria, Bulgaria, Albania). Per molti fa-scisti, spesso ex dannunziani ed ex nazionalisti, cruciale doveva esse-re l’impegno per favorire la disgregazione dello Stato jugoslavo unita-rio, ritenuto nemico mortale dell’Italia, attraverso il sostegno all’affer-mazione del principio di nazionalità in Jugoslavia.

Essendo noti gli orientamenti esistenti in molti settori del fascismoe del nazionalismo, vari osservatori internazionali assistettero conpreoccupazione alla conquista fascista del potere. In realtà, l’avventoal potere di Benito Mussolini non provocò drammatiche svolte nellapolitica internazionale del governo di Roma e, paradossalmente, eb-be la conseguenza di produrre un miglioramento delle relazioni fral’Italia e il Regno SHS3. Mussolini era un politico cinico e pragmati-

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2 Ricordiamo fra questi Francesco Coppola e Attilio Tamaro: FRANCESCO COPPOLA,L’abdicazione di Losanna, «Politica», aprile 1923, n. XLIII, pp. 23-38; ID., Il Mediterraneoe la politica italiana, «Gerarchia», 1925, pp. 303-312; ATTILIO TAMARO, Una politica italia-na per l’Ungheria, «La Rassegna Italiana», novembre 1922, pp. 712-718.

3 Sulle relazioni italo-jugoslave nel corso degli anni Venti: BUCARELLI, Mussolini e laJugoslavia, cit.; MONZALI, Antonio Tacconi e la Comunità italiana di Spalato, cit., p. 187 ess.; ID., La questione jugoslava nella politica estera italiana dalla prima guerra mondiale aitrattati di Osimo (1914-75), in FRANCO BOTTA, ITALO GARZIA, Europa adriatica. Storia, re-lazioni, economia, Roma-Bari, 2004, p. 24 e ss.; FRANCESCO LEFEBVRE D’OVIDIO, L’Intesaitalo-francese del 1935 nella politica estera di Mussolini, Roma, 1984; ALAN CASSELS,

co: desideroso di successi internazionali per consolidare il suo pote-re interno, il politico romagnolo decise di procedere al miglioramen-to dei rapporti italo-jugoslavi. In questa ottica si spiega il suo proget-to iniziale, poi fallito, di nominare ministro degli Esteri Carlo Sforza,e la conferma di Salvatore Contarini a segretario generale4, entrambisostenitori di una politica di buoni rapporti con Francia e Regno SHS.I primi atti del Duce verso lo Stato jugoslavo furono orientati al mi-glioramento delle relazioni bilaterali. Inviò segnali rassicuranti aBelgrado circa la sua volontà di creare una reale amicizia italo-jugo-slava5, impose ai gruppi nazionalisti e fascisti italiani di non suscita-re incidenti anti-jugoslavi6 e, nel febbraio 1923, presentò gli accordidi Santa Margherita al Parlamento ottenendone la ratifica. Mussolinigiustificò la ratifica degli accordi di Santa Margherita impegnandosia modificarne in futuro i contenuti. Obiettivo della nuova politica ju-goslava di Mussolini era convincere Belgrado a procedere alla spar-tizione dello Stato libero di Fiume, al fine di annettere la città delQuarnero all’Italia e di ottenere così un grande successo di politica

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Mussolini’s Early Diplomacy, Princeton, 1970; GIAMPIERO CAROCCI, La politica esteradell’Italia fascista (1925-1928), Roma-Bari, 1969; ENNIO DI NOLFO, Mussolini e la politicaestera italiana 1919-1933, Padova, 1960; PIETRO PASTORELLI, Italia e Albania 1924-1927.Origini diplomatiche del trattato di Tirana del 22 novembre 1927, Firenze, 1967; DASSOVICH,I molti problemi dell’Italia, cit., I, p. 202 e ss.

4 Riguardo ai primi anni della politica estera fascista e al rapporto Mussolini-Contarini:RUGGERO MOSCATI, La politica estera del fascismo. L’esordio del primo ministero Mussolini,«Studi politici», settembre 1953-febbraio 1954; ID., Gli esordi della politica estera fascista.Il periodo Contarini-Corfù, in AA.VV., La politica estera italiana dal 1914 al 1943, Torino,1963, p. 39 e ss.; ETTORE ANCHIERI, L’esordio della politica estera fascista nei documenti di-plomatici italiani, in ID., Il sistema diplomatico europeo: 1814-1939, Milano, 1977, p. 197 ess.; ID., L’affare di Corfù alla luce dei documenti diplomatici italiani, in ID., Il sistema di-plomatico europeo, cit., p. 217 e ss.; RAFFAELE GUARIGLIA, Ricordi 1922-1945, Napoli, 1949;LEGATUS (ROBERTO CANTALUPO), Vita diplomatica di Salvatore Contarini, cit.; CASSELS,Mussolini’s Early Diplomacy, cit.; MATTEO PIZZIGALLO, Mediterraneo e Russia nella politi-ca italiana (1922-1924), Milano, 1983; PIETRO PASTORELLI, La storiografia italiana del do-poguerra sulla politica estera fascista, «Storia e politica», 1971, p. 575 e ss.; DI NOLFO,Mussolini e la politica estera italiana, cit.; VLASTIMIL KYBAL, Czechoslovakia and Italy: MyNegotiations with Mussolini 1922-1924, «Journal of Central European Affairs», 1953, pp. 352-368, 1954, pp. 65-76; MAC GREGOR KNOX, Il fascismo e la politica estera italiana, in RICHARDJ. B. BOSWORTH, SERGIO ROMANO, La politica estera italiana 1860-1985, Bologna, 1991, pp.287-330; H. JAMES BURGWYN, Italian Foreign Policy in the Interwar Period 1918-1940,London-Westport, 1997, p. 24 e ss.

5 ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1313, LEGAZIONE ITALIANA A BELGRADO, Aide-Memoire, 2 gennaio 1923, allegato a Negrotto a Ministero degli Esteri, 12 febbraio 1923; DDI,VII, 1, dd. 62, 72; LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., pp. 52-55.

6 DDI, VII, 1, d. 6.

estera utilizzabile anche sul piano interno. Gli elementi di pressionesui quali il capo fascista puntava per convincere gli jugoslavi erano lapromessa della restituzione della terza zona dalmata ancora sotto ilcontrollo italiano, nonché la possibilità dell’annessione jugoslava diparte del territorio fiumano (Porto Baros e il Delta) e della conclusionedi un’alleanza fra Roma e Belgrado. Per il governo di Belgrado, gui-dato da Nikola Pašić e dominato dalla classe dirigente serba, accetta-re la spartizione dello Stato di Fiume significava, però, affrontare leire dell’opinione pubblica croata che avrebbe visto in tale atto l’en-nesimo sacrificio di terra croata a vantaggio dell’Italia. Da qui le ine-vitabili resistenze del governo jugoslavo, che per alcuni mesi rifiutòle proposte di Mussolini7. Gli elementi che sbloccarono il negoziatofurono le pressioni su Belgrado del principale alleato dello Stato ju-goslavo, la Francia, desiderosa di rafforzare le relazioni italo-france-si e alla quale la diplomazia italiana promise la futura conclusione diun accordo tripartito italo-franco-jugoslavo8, e la volontà di Re Ales-sandro Karadjordjević di chiudere il contenzioso territoriale con l’Italianell’Alto Adriatico e di consolidare lo Stato jugoslavo, già minato dadure lotte nazionali interne, con un trattato che sancisse l’amicizia conRoma. I trattati italo-jugoslavi firmati a Roma il 27 gennaio 19249 de-terminarono la chiusura del contenzioso confinario fra i due Stati.Nell’accordo concernente Fiume veniva sancita la spartizione delloStato libero: l’Italia annetteva la città e il porto di Fiume mentre ilRegno SHS otteneva la sovranità su Porto Baros, sul Delta e su alcu-ni territori già appartenuti allo Stato fiumano. Contropartita all’accet-tazione jugoslava della dissoluzione dello Stato di Fiume fu la firmadi un patto di amicizia e di collaborazione fra l’Italia e il Regno deiSerbi, Croati e Sloveni. Con questo patto l’Italia di Mussolini soste-neva e accettava l’esistenza di uno Stato jugoslavo unitario.Nell’articolo primo, infatti, le due parti contraenti s’impegnavano aprestarsi reciproco appoggio e a collaborare allo scopo di «mantene-re l’ordine stabilito dai Trattati di pace conclusi al Trianon, a S.

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7 Al riguardo: ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1313, Contarini a Legazione italia-na a Belgrado, 20 luglio 1923.

8 WILLIAM I. SHORROCK, From Ally to Enemy: the Enigma of Fascist Italy in FrenchDiplomacy 1920-1940, Kent, 1988; LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., p. 62 e ss.

9 Sulla genesi dei trattati di Roma del 1924: BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia, cit.;MONZALI, Antonio Tacconi e la Comunità italiana di Spalato, cit., p. 187 e ss.; LEFEBVRED’OVIDIO, op. cit., p. 55 e ss.

Germano e a Neuilly e a rispettare ed eseguire le obbligazioni stipu-late in questi trattati». Nell’articolo secondo, dopo essersi promessereciproca neutralità in caso di attacco subito e non provocato da par-te di una delle due parti contraenti, vi era l’impegno italiano a non so-stenere le forze secessioniste anti-jugoslave. Con gli accordi di RomaMussolini abbandonava l’orientamento anti-jugoslavo che per anni erastato propagandato dai nazionalisti, dai dannunziani e dallo stesso fa-scismo. Nei mesi successivi le relazioni italo-jugoslave s’intensifica-rono e portarono alla conclusione di numerosi trattati. Nel febbraio1924 ebbero inizio a Belgrado i negoziati per la conclusione di accordicommerciali ed economici fra Italia e Regno SHS. Italia e Jugoslaviafirmarono un trattato di commercio e due convenzioni ferroviarie il14 luglio 1924. Il 12 agosto 1924 furono conclusi vari accordi tecni-ci (i cosiddetti accordi di Belgrado), che si riferivano a svariati pro-blemi bilaterali (ad esempio, l’assistenza delle persone a carico dellasanità pubblica, le assicurazioni private, la materia dei fallimenti, larestituzione agli aventi diritto di beni, diritti e interessi sequestrati ousati durante e dopo la guerra negli ex territori asburgici, ecc.)10.Ulteriori accordi italo-jugoslavi furono firmati a Nettuno il 20 luglio192511. Gli accordi di Nettuno consistettero in numerose convenzionitecniche aventi l’obiettivo d’integrare i trattati di Roma del gennaio1924 e certe clausole dei trattati di pace del 1919-1920; in particola-re garantirono una serie di diritti per la minoranza italiana nella Dalma-zia jugoslava.

Insieme alle relazioni con Belgrado furono i rapporti con laCecoslovacchia a conoscere un positivo sviluppo12. Nonostante le di-

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10 I testi di questi accordi italo-jugoslavi sono editi in GIANNINI, Documenti, cit., p. 162e ss. Alcune informazioni su questi accordi in GABRIELE PARESCE, Italia e Jugoslavia dal 1915al 1929, Firenze, 1935, p. 269 e ss.; DASSOVICH, I molti problemi dell’Italia al confine orien-tale. I, cit., p. 212 e ss.; UMBERTO NANI, Italia e Jugoslavia (1918-1928), Milano, 1928, p. 94e ss.

11 Su questi negoziati: ASMAE, Spalato, b. 38, Pezzoli a Umiltà, 29 gennaio 1925; ibi-dem, Umiltà a Ministero degli Esteri e Legazione italiana a Belgrado, 2 febbraio 1925;ASMAE, AP 1919-30, Jugoslavia, b. 1320, MINISTERO DEGLI ESTERI, UFFICIO III, Promemoriaper Sua Eccellenza il Ministro, 21 giugno 1925; DDI, VII, 4, dd. 73, 76. Il testo delle con-venzioni di Nettuno del 20 luglio 1925 è pubblicato in GIANNINI, Documenti, cit., p. 308 e ss.

12 Sulle relazioni italo-cecoslovacche negli anni Venti si veda il pregevole saggio diCACCAMO, Italia e Cecoslovacchia negli anni Venti, cit. Utili anche: KYBAL, Czechoslovakiaand Italy: My Negotiations with Mussolini 1922-1924, cit.; BOLECH CECCHI, Alle origini diun’amicizia. Italia-Cecoslovacchia 1918-1922, cit.; CASSELS, op. cit., p. 175 e ss. Per un qua-dro interpretativo generale sulla politica estera cecoslovacca: PIOTR WANDYCZ, The Foreign

versità ideologiche fra il fascismo italiano e il nazionalismo «demo-cratico» di Beneš e di Masaryk, i buoni rapporti di Mussolini con laFrancia e la Jugoslavia favorirono il riavvicinamento fra Italia eCecoslovacchia nel corso del 1924. Italia e Cecoslovacchia concluse-ro un accordo di commercio il 1° marzo 1924 e un trattato di amici-zia e di collaborazione politica il 5 luglio dello stesso anno. Nel trat-tato di amicizia Roma e Praga s’impegnarono a collaborare in Europacentrale e a difendere lo status quo europeo sancito dai trattati di pa-ce. Occasione per un ulteriore avvicinamento fra l’Italia e i Paesi cen-tro-europei antirevisionisti si creò nel corso del 1925, a causa dei ne-goziati per l’accordo di sicurezza sul Reno. Come ha giustamente ri-levato Francesco Caccamo, la proposta tedesca di un patto che ga-rantisse le frontiere nella regione del Reno ebbe effetti politici desta-bilizzanti in Europa centrale e orientale:

La proposta del patto renano effettuata all’inizio del 1925 dal governo diBerlino con l’appoggio inglese consisteva nella previsione di una specificagaranzia per i confini occidentali della Germania e comportava dunque unadifferenziazione con le altre frontiere tedesche stabilite dal trattato diVersailles, aprendo implicitamente prospettive revisionistiche nella loro di-rezione. Tali prospettive erano destinate a suscitare profonde preoccupazio-ni sia in Italia che in Cecoslovacchia, intuendosi in entrambi i paesi che laconcessione di margini di manovra al revisionismo tedesco avrebbe potutoavere riflessi pericolosissimi tanto sulla questione dell’indipendenza austria-ca quanto sulle minoranze tedesche presenti in Alto Adige e, in misura assaipiù massiccia, nelle terre ceche13.

Per qualche mese il timore delle conseguenze del riavvicinamen-to franco-tedesco spinse il governo cecoslovacco a vedere nell’Italiaun potenziale alleato contro il risorgere dell’espansionismo germani-co. Da parte sua, il governo di Roma considerò negativamente il fat-to che gli accordi di Locarno, garantendo solamente l’assetto territo-riale renano, sancissero una diversità fra le frontiere occidentali dellaGermania e quelle meridionali e orientali. La diplomazia italiana re-putò una grave minaccia politica il risorgere della questione dell’e-ventuale unione austro-tedesca sul piano internazionale. Proprio nel1925 il governo fascista cominciò a pensare ad accordi politici ed eco-

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Policy of Edvard Beneš, 1918-1938, in VICTOR S. MAMATEY, RADOMIR LUZA, A History of theCzechoslovak Republic 1918-1948, Princeton, 1973, pp. 216-238.

13 CACCAMO, Italia e Cecoslovacchia negli anni Venti, cit., p. 66.

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14 PASTORELLI, Italia e Albania, cit., p. 195 e ss.; CACCAMO, Italia e Cecoslovacchia ne-gli anni Venti, cit., p. 69.

nomici fra l’Italia, la Cecoslovacchia, la Jugoslavia e l’Ungheria pertutelare l’indipendenza dell’Austria e rafforzarne l’autonomia econo-mica rispetto alla Germania. A partire dal marzo 1925 si svilupparo-no conversazioni italo-cecoslovacche per delineare una linea comunesulla questione austriaca. Nel settembre Beneš propose a Dino Grandi,sottosegretario italiano agli Esteri, la futura conclusione di un accor-do tra Cecoslovacchia, Italia e Jugoslavia per la difesa degli interessicomuni e per il mantenimento dello status quo in Austria. Ma dopo laconferenza di Locarno nell’ottobre 1925, e l’ottenimento di un nuovotrattato di alleanza franco-cecoslovacco e di un accordo di arbitrato conla Germania, il governo di Praga perse interesse verso questa iniziati-va e verso l’intensificazione dei rapporti con Roma. Fra il 1925 e il1926 Mussolini continuò a cercare di sfruttare l’insoddisfazione chela politica di Francia e Gran Bretagna aveva creato in alcune capitalidell’Europa centrale per rafforzare l’influenza dell’Italia nella regio-ne. A tale fine rispose il progetto di una «Locarno danubiano-balcani-ca», l’idea di un accordo di garanzia politico-territoriale che avrebbeunito un’unica grande Potenza, l’Italia, e i vari Paesi dell’Europa cen-tro-orientale, iniziativa lanciata nel febbraio 192614. Ma l’ostilità fran-cese all’iniziativa di Mussolini e il disinteresse cecoslovacco e jugo-slavo ad aderirvi vanificarono ben presto il progetto.

Peraltro, proprio gli anni 1925-1927, con il riesplodere della ten-sione fra Italia e Jugoslavia a causa dell’Albania, segnarono l’iniziodi una nuova fase della politica estera italiana nell’Europa danubianae balcanica. Dopo il ritiro italiano nel 1920 lo Stato albanese si eralentamente organizzato e si era dato una sua struttura politica.Rimanevano però pesanti incognite sul futuro dello Stato. Innanzituttoi confini con la Grecia e il Regno SHS erano incerti, con vasti terri-tori assegnati dalle grandi Potenze all’Albania nel 1913 ancora sottooccupazione militare serba e greca. Le mire territoriali degli Stati vi-cini contribuivano a alimentare e a influire sulla conflittualità internaalbanese, caratterizzata da un diffuso uso della violenza politica.L’Italia liberale e poi quella mussoliniana si erano impegnate a favo-rire la stabilizzazione dell’Albania difendendone gli interessi controgli Stati vicini. Questa tendenza albanofila della politica italiana ave-va provocato tensioni con la Grecia, sfociate nell’eccidio dell’ufficiale

Tellini, membro della Commissione per la delimitazione dei confinigreco-albanesi15. Il miglioramento dei rapporti italo-jugoslavi avevaportato alla decisione del governo di Roma di perseguire una politicain Albania in accordo con Belgrado. Da qui l’astensionismo italianodalle lotte interne albanesi che nel giugno 1924 provocarono un col-po di Stato che rovesciò il governo di Ahmed Zogolli (più noto in Italiacome Zog), capo del partito progressista, e portò al potere i democra-tici guidati dal vescovo ortodosso di Valona, Fan Noli16. Tuttavia, l’oc-casione di affermare una propria posizione di forza nel Paese schipe-taro si rivelò troppo allettante per Belgrado. Il governo jugoslavo de-cise d’intervenire unilateralmente nella politica interna albanese so-stenendo il tentativo di Zog di riconquistare con la forza il potere: neldicembre 1924 Zog, partendo dal territorio jugoslavo e con il soste-gno finanziario e politico di Belgrado, penetrò in Albania e dopo al-cune settimane di combattimenti rovesciò il governo di Fan Noli17.L’atteggiamento di Belgrado irritò non poco Mussolini, che da quelmomento cominciò ad essere diffidente verso la classe dirigente ju-goslava e a perseguire una politica di supremazia solitaria in Albania.Il mutamento di politica italiana fu favorito dallo stesso Zog, il qua-le, desideroso di preservare la propria autonomia da Belgrado, appe-na riconquistato il potere fece alcune aperture politiche all’Italia. Frail 1925 e il 1928 vennero conclusi fra il governo di Zog e l’Italia fa-scista numerosi accordi18 che crearono una strettissima collaborazio-

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15 LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., p. 21 e ss.16 Circa la situazione interna albanese fra le due guerre: ROBERTO MOROZZO DELLA

ROCCA, Nazione e religione in Albania, Lecce, 2002; MARCO DOGO, Kosovo. Albanesi e Serbi:le radici del conflitto, Lungro di Cosenza, 1992, p. 147 e ss.; ID., I discutibili privilegi del-l’arretratezza: Zog e il caso albanese, in FRANCESCO GUIDA, a cura di, L’altra metà del con-tinente: L’Europa centro-orientale dalla formazione degli Stati nazionali all’integrazione eu-ropea, Padova-Roma, 2003, p. 77 e ss.; BERND J. FISCHER, King Zog and the Struggle forStability in Albania, Boulder, 1984; MICHAEL SCHMIDT-NEKE, Entstehung und Ausbau derKönigsdiktatur in Albanien 1912-1939, München, 1987; EDWIN E. JACQUES, The Albanians.An Ethnic History from Prehistoric Times to the Present, Jefferson-London, 1995, p. 382 ess.; JOSEPH SWIRE, Albania. The Rise of a Kingdom, London, 1929.

17 Al riguardo: DBFP, I, 26, dd. 276, 281, 285, 299, 300, 308; YPD, 1, ALBEN YOUNG,Report on the Serb-Croat-Slovene Kingdom for 1924, allegato a Young a Chamberlain, 12maggio 1925, pp. 637-674, in particolare p. 643 e ss.

18 A proposito dei rapporti italo-albanesi nel corso degli anni Venti e Trenta: PASTORELLI,Italia e Albania, cit.; CAROCCI, op. cit.; BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia, cit.; MOROZZODELLA ROCCA, Nazione e religione in Albania, cit.; ALESSANDRO ROSELLI, Italia e Albania:relazioni finanziarie nel ventennio fascista, Bologna, 1986; PIETRO QUARONI, Valigia diplo-matica, Milano, 1956; DI NOLFO, Mussolini e la politica, cit.; MASSIMO BORGOGNI, Tra con-tinuità e incertezza. Italia e Albania (1914-1939). La strategia politico-militare dell’Italia in

ne fra i due Paesi e affermarono l’egemonia politica ed economica ita-liana in Albania. Con l’accordo del 25 febbraio 1925 il governo di Zogottenne ingenti prestiti e in cambio concesse privilegi economici e pe-troliferi all’Italia. Importante, poi, fu lo scambio di lettere Mussolini-Zog datato 23-26 agosto 1925, un patto segreto di assistenza milita-re, con la promessa, in caso di conflitto, di compensi all’Albania con-sistenti nella futura annessione dei territori jugoslavi abitati da alba-nesi (il Kosovo, il Montenegro meridionale e la Macedonia occiden-tale). La collaborazione italo-albanese si manifestò più compiutamentenei trattati di alleanza del novembre 1926 e del novembre 1927 e nel-la convenzione militare del 31 agosto 1928, atti con i quali l’Italia ac-quisì un alleato che indeboliva non poco la posizione strategica delRegno SHS in caso di eventuale conflitto bellico italo-jugoslavo. Lanuova politica albanese di Mussolini provocò un radicale deteriora-mento dei rapporti bilaterali con Belgrado19. In seno allo stessoMinistero degli Esteri italiano l’influenza degli elementi favorevoli aduna politica di collaborazione con la Jugoslavia s’indebolì con l’al-lontanamento di Salvatore Contarini dalla segreteria generale nel 1926.Nella diplomazia italiana con il declino di Contarini crebbe il peso delpartito fascista (che con Dino Grandi, sottosegretario dal 1925 e poiministro degli Esteri fra il 1929 e il 193220, organizzò una forte fasci-stizzazione della diplomazia con l’immissione in carriera di numero-si politici fascisti e nazionalisti)21, con la sua ostilità ideologica alloStato jugoslavo e la sua simpatia verso il revisionismo. La reazionepolitica del governo di Belgrado allo scontro con l’Italia fu l’ulterio-re avvicinamento alla Francia, che culminò nel patto d’amicizia fran-co-jugoslavo del 1927 e in una crescente collaborazione economica emilitare fra i due Paesi22. Tale mossa preoccupò la classe dirigente ita-

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Albania fino all’operazione «Oltre Mare Tirana», Milano, 2007; SERGIO PELAGALLI, L’attivitàpolitico-militare in Albania tra il 1927 ed il 1933 nelle carte del generale Alberto Pariani,“Storia contemporanea”, 1991, n. 5.

19 Circa la visione britannica della politica italiana in Albania in quegli anni: DBFP, Ia,4, dd. 47, 55, 61, 135, 136.

20 Sulla figura di Grandi: PAOLO NELLO, Dino Grandi. La formazione di un leader,Bologna, 1987; ID., Un fedele disubbidiente. Dino Grandi da Palazzo Chigi al 25 luglio,Bologna, 1993.

21 Al riguardo: MARIO DONOSTI [MARIO LUCIOLLI], Mussolini e l’Europa. La politica este-ra fascista, Roma, 1945, p. 13 e ss.; FABIO GRASSI ORSINI, La diplomazia in AA.VV., Il re-gime fascista. Storia e storiografia, Roma-Bari, 1995, p. 292 e ss.

22 GRUMEL-JACQUIGNON, La Yougoslavie dans la stratégie française de l’Entre-deux-Guerres (1918-1935). Au origines du mythe serbe en France, cit. Sulla politica estera fran-

liana e fece sorgere la paura della Jugoslavia quale possibile braccioarmato della Francia, ossessione che caratterizzò lungamente nume-rosi ambienti politici fascisti23. Ben presto l’Italia mussoliniana iniziòa favorire la disgregazione dello Stato SHS. Consapevole della gravecrisi interna jugoslava – che vedeva la maggioranza della popolazio-ne croata, musulmana, macedone e albanese ostile all’appartenenza aduno Stato jugoslavo unitario dominato dall’elemento serbo e che ob-bligò Re Alessandro ad un colpo di Stato nel gennaio 1929 e alla crea-zione di un governo puramente autoritario –, l’Italia fascista comin-ciò a sostenere attivamente alcuni movimenti secessionisti anti-jugo-slavi. Fra questi vanno ricordati l’Organizzazione rivoluzionaria in-terna macedone, gruppo irredentista macedone che lottava contro lepersecuzioni serbe nei confronti delle popolazioni bulgaro-macedoni,alcuni gruppi albanesi del Kosovo24 e numerosi elementi nazionalisticroati, espressione dell’ala estremista del partito del diritto, molti deiquali, guidati da Ante Pavelić, si rifugiarono in esilio in Italia a parti-re dal 192925.

Nel corso del 1926 e del 1927, svanita la possibilità di coopera-zione con Praga e entrata in crisi l’alleanza con Belgrado, Roma cercòuna collaborazione privilegiata con la Romania. Non a caso versoBucarest la diplomazia italiana compì un grande sforzo di avvicina-mento, sfruttando l’avvento al potere in Romania del generaleAverescu26. Il 16 settembre 1926 fu concluso un trattato di amicizia

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cese verso l’Europa centrale: WANDYCZ, France and her Eastern Allies 1919-1925, cit.; ID.,The Twilight of French Eastern Alliances 1926-1936, Princeton, 1988.

23 LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., p. 147 e ss.; SHORROCK, op. cit.; CAROCCI, La politicaestera, cit., p. 94 e ss.

24 DOGO, Kosovo, cit., p. 161 e ss.25 Sul sostegno italiano ai movimenti secessionisti anti-jugoslavi negli anni Venti e Trenta:

BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia, cit.; BOGDAN KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, Zagreb, 1978;IVO PETRINOVIĆ, Mile Budak. Portret jednog političara, Split, 2002; JAMES J. SADKOVICH,Italian Support for Croatian Separatism 1927-1937, New York, 1987; PASQUALE JUSO, Il fa-scismo e gli Ustascia 1929-1941. Il separatismo croato in Italia, Roma, 1998; CAROCCI, Lapolitica estera, cit., p. 168 e ss.; SRDJA TRIFKOVIC, Ustaša. Croatian Separatism and EuropeanPolitics 1929-1945, London, 1995; MARIO JAREB, Ustaško-domobranski pokret od nastanakdo travnja 1941, Zagreb, 2006; H. JAMES BURGWYN, Il revisionismo fascista. La sfida diMussolini alle grandi potenze nei Balcani e sul Danubio 1925-1933, Milano, 1979, in parti-colare p. 168 e ss.; ERIC GOBETTI, Dittatore per caso. Un piccolo duce protetto dall’Italia fa-scista, Napoli, 2001.

26 Sulle relazioni fra Italia e Romania negli anni Venti e Trenta: CAROCCI, La politica este-ra, cit.; LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., p. 161 e ss.; CASSELS, op. cit., p. 338 e ss.; LUCA RICCARDI,Il trattato italo-romeno del 16 settembre 1926, «Storia delle relazioni internazionali», 1987,n. 1, pp. 39-72; CAROLI, La Romania nella politica estera italiana, cit., p. 77 e ss.

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27 DASSOVICH, I molti problemi dell’Italia al confine orientale, cit., I, pp. 273-275.

italo-romeno, che pose le basi per un’eventuale cooperazione privile-giata fra i due Paesi, mentre nel marzo 1927 l’Italia decise di ratifi-care il protocollo internazionale che sanciva la sovranità romena sul-la Bessarabia. Con queste concessioni Mussolini sperava di facilitarela costituzione di una futura «quadruplice alleanza» fra Italia, Roma-nia, Ungheria e Bulgaria, avente il chiaro obiettivo di isolare politi-camente Belgrado e fare dell’Italia la Potenza mediatrice e riconci-liatrice fra Stati vincitori e Stati sconfitti nell’Europa danubiana e bal-canica. Il progetto mussoliniano si dimostrò ben presto irrealizzabile,anche per l’impossibilità di superare i dissidi esistenti fra Romania,Ungheria e Bulgaria. Nonostante i numerosi tentativi, l’Italia non riu-scì a sganciare la Romania dalla Piccola Intesa e dalla Francia e adattirarla nella propria sfera d’influenza.

Proprio a partire dal 1927 le relazioni italo-jugoslave si deteriora-rono gravemente, provocando la fine dell’alleanza fra Roma eBelgrado: non a caso il governo di Roma decise di non rinnovare gliaccordi italo-jugoslavi del 192427. La crisi fra Italia e Jugoslavia con-tribuì a favorire il forte peggioramento dei rapporti fra Roma e Praga,alleata di Belgrado nella Piccola Intesa e accusata dagli italiani di es-sere lo strumento della politica anti-italiana della Francia in Europacentrale. Nel giugno 1929, avvicinandosi la scadenza dell’accordo ita-lo-cecoslovacco del 1924, Mussolini decise di non rinnovarlo. Era l’i-nizio di un lungo periodo di raffreddamento nei rapporti bilaterali, cheavrebbe non poco indebolito la posizione internazionale dello Statocecoslovacco.

L’incapacità dell’Italia di sostituire la Francia come principale part-ner politico, economico e militare degli Stati anti-revisionisti centro-europei, nonché l’esplodere della rivalità fra Roma e Belgrado spin-sero progressivamente la politica estera italiana a mutare direttive neiBalcani e in Europa centrale. Fallito il disegno originale di Mussolinidi fare dell’Italia lo Stato protettore della Piccola Intesa, la diploma-zia italiana intensificò gli sforzi per conquistare influenza e posizio-ni presso gli Stati revisionisti e insoddisfatti dello status quo, in pri-mis Ungheria e Bulgaria. Fu una politica che ebbe un certo successo,come dimostrò il patto d’amicizia italo-ungherese dell’aprile 1927, conil quale, in uno scambio di lettere segreto, i due Paesi s’impegnaronoa una stretta consultazione politica. Oltre che con l’Albania e l’Unghe-

ria, l’Italia consolidò i suoi rapporti con la Bulgaria, anche sfruttan-do il sostegno italiano all’irredentismo macedone28. Simbolo dell’in-tensificazione dei rapporti bilaterali fu il matrimonio del sovrano bul-garo Boris con la figlia di Vittorio Emanuele III, Giovanna29. Menofelici, invece, furono i tentativi di Mussolini di attrarre Grecia eTurchia nella sfera d’influenza italiana, che portarono alla conclusio-ne di accordi bilaterali nel 1928, senza però ulteriori importanti svi-luppi politici30. A partire dal 1927 molto forte divenne il sostegno pro-pagandistico italiano, chiaramente strumentale, alle lamentele dei go-verni ungherese, bulgaro e albanese, che denunciavano il maltratta-mento dei propri connazionali viventi in Jugoslavia. La pubblicisticaitaliana fu sempre più favorevole al revisionismo, ovvero al muta-mento dei trattati di pace del 1919-1920 in Europa centro-orientale avantaggio delle Potenze sconfitte nella prima guerra mondiale, con l’i-dea che sarebbe stata la Jugoslavia (nuovo nome ufficiale dello StatoSHS dal 1929) la principale vittima di queste modifiche territoriali31.La diplomazia italiana e la classe dirigente fascista mostrarono atten-zione anche verso i conflitti nazionali in Cecoslovacchia, Polonia eUnione Sovietica, ma in questi casi, a differenza della situazione ju-goslava, non vi fu nessun serio appoggio politico e materiale alle mi-noranze e ai gruppi irredentisti o secessionisti32.

La crisi finanziaria ed economica che cominciò a sconvolgerel’Europa all’inizio degli anni Trenta e l’evoluzione politica europea,con l’ascesa elettorale del nazionalsocialismo a partire dal 1930, in-dicarono ai diplomatici e ai politici italiani più avveduti l’esigenza diun approccio attento ai problemi dell’Europa centrale. Non a caso la

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28 STEFAN TROEBST, Mussolini, Makedonien und die Mächte 1922-1930: die „InnereMakedonische Revolutionäre Organisation“ in der Südosteuropapolitik des faschistischenItalien, Köln, 1987. Sulle vita politica bulgara negli anni Venti e l’influenza italiana su di es-sa: RICHARD J. CRAMPTON, A Short History of Modern Bulgaria, Cambridge, 1989, p. 119 e ss.

29 ALFREDO BRECCIA, La politica estera italiana e l’Ungheria (1922-1933), «Rivista distudi politici internazionali», 1980, n. 1, p. 93 e ss.; BURGWYN, Italian Foreign Policy, cit.;CAROCCI, op. cit., p. 78 e ss.; DI NOLFO, Mussolini e la politica estera, cit.; FULVIO D’AMOJA,Italia ed Ungheria. I rapporti nel primo decennio. Considerazioni d’insieme, in GUIDA,TOLOMEO, Italia e Ungheria, cit., p. XIII e ss.

30 LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., p. 168 e ss.31 Sulla pubblicistica revisionista anti-jugoslava in Italia fra le due guerre mondiali:

STEFANO BIANCHINI, L’idea fascista dell’Impero nell’area danubiano-balcanica, in AA.VV.,L’Italia e la politica di potenza in Europa (1938-40), Milano, 1985, p. 173 e ss.; FRANCESCOCASELLA, L’immagine fascista dell’Impero: Quale ruolo all’Adriatico, ivi, p. 187 e ss.

32 CACCAMO, Italia e Cecoslovacchia negli anni Venti, cit.

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33 ENNIO DI NOLFO, I rapporti austro-italiani dall’avvento del fascismo all’Anschluss(1922-1938), «Storia e Politica», 1974, nn. 1-2, pp. 33-81; CAROCCI, La politica estera, cit.,LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit.; CASSELS, op. cit.; DDA, 5, dd. 738, 765, 790, 818, 827.

34 Akten zur Deutschen Auswärtigen Politik 1918-1945 (d’ora innanzi ADAP),Frankfurt/M.-Göttingen, 1950-1995, B, 3, dd. 3, 6, 19, 127; DDA, 5, dd. 822, 825.

35 ADAP, B, 4, dd. 3, 73.36 FEDERICO SCARANO, Mussolini e la Repubblica di Weimar. Le relazioni diplomatiche

tra Italia e Germania dal 1927 al 1933, Napoli, 1996.37 Al riguardo CAROCCI, op. cit.; LAJOS KEREKES, Abenddämmerung einer Demokratie.

Mussolini, Gömbös und die Heimwehr, Wien-Frankfurt, 1966.38 Sulla politica estera austriaca negli anni Venti e Trenta: SUPPAN, Jugoslawien und Öster-

reich, cit.; WALTER GOLDINGER, DIETER A. BINDER, Geschichte der Republik Österreich 1918-1938, Wien, 1992, p. 41 e ss.; RAINER HUBERT, Schober. “Arbeitermörder” und “Hort derRepublik”. Biographie eines Gestrigen, Wien-Köln, 1990, in particolare p. 242 e ss.

questione dei rapporti con l’Austria cominciò a divenire sempre piùimportante nella politica estera italiana. I primi anni di governo fascistaerano stati caratterizzati da cattive relazioni con Vienna33. La politicadi italianizzazione delle popolazioni tedesche dell’Alto Adige impo-sta dal governo di Mussolini suscitò forti ostilità anti-italiane nell’o-pinione pubblica austriaca e in quella tedesca34. Le proteste contro lapolitica fascista in Alto Adige irritavano Mussolini, così come il fa-vore che la gran parte della popolazione austriaca mostrava per l’ideadell’Anschluss. I cattivi rapporti di Roma con la Germania35 pure pe-savano sul quadro delle relazioni italo-austriache36. La reazione fa-scista a tutto ciò fu spesso una pura polemica nazionalista e anti-pan-germanista, prevalentemente ideologica e propagandistica, mirante amostrare lo status di grande Potenza dell’Italia e la sua forza interna-zionale. A partire dal 1927-1928 l’Italia fascista cominciò a ritenereutile rafforzare la propria influenza in Austria intrecciando rapporti conalcune forze politiche, in particolare con il movimento nazionalista-legittimista delle Heimwehren, già finanziato e sostenuto dal gover-no ungherese, e con un capo di queste, Ernest Rüdiger Starhemberg37.Gli stessi governi cristiano-sociali, guidati da Seipel e Schober38, ini-ziarono a cercare un parziale miglioramento dei rapporti con l’Italia,il che portò alla firma del trattato di amicizia italo-austriaco il 6 feb-braio 1930. Il governo fascista era favorevole a che l’Austria intensi-ficasse i rapporti economici e politici con Roma e Budapest per crea-re una sorta di alleanza; contemporaneamente vi furono sforzi perrafforzare il peso politico delle Heimwehren, con il tentativo di spin-gere a destra gli equilibri politici interni austriaci, favorendo un’al-leanza fra Starhemberg e i cristiano-sociali. I tentativi italiani furono

inizialmente fallimentari, poiché, fra il 1930 e il 1931, la diplomaziaaustriaca cercò di reagire alla crescente crisi economica puntando so-prattutto sull’intensificazione delle relazioni con la Germania39.Culmine di questa politica fu la conclusione di un accordo di unionedoganale austro-tedesca il 19 marzo 1931, voluto da Schober, mini-stro degli Esteri nel governo Ender. Il progetto di unione doganale, chefaceva presagire in alcuni capitali europee una possibile unificazioneaustro-tedesca, si rivelò, però, irrealizzabile per l’opposizione dellaFrancia e della stessa Italia.

In generale possiamo notare che, all’inizio degli anni Trenta, la con-trapposizione con la Jugoslavia costituì un elemento di debolezza del-la politica estera italiana in Europa. Le dure e feroci polemiche di stam-po nazionalistico fra i giornali italiani e jugoslavi, i numerosi incidenticoncernenti le rispettive minoranze nazionali nei due Paesi (condan-ne a morte di sloveni responsabili di attentati in Italia40, aggressioni acittadini italiani in Dalmazia, distruzioni di monumenti veneziani aTraù)41 e il sostegno italiano al separatismo croato avvelenarono i rap-porti fra Italia e Jugoslavia. Alcuni politici e diplomatici italiani (adesempio Raffaele Guariglia42 e Carlo Galli43), però, percepivano l’in-teresse dell’Italia ad avere buoni rapporti con la Jugoslavia. CarloGalli, ministro a Belgrado all’inizio degli anni Trenta, riteneva che unpieno accordo con la Jugoslavia avrebbe enormemente rafforzato laposizione strategica e la politica internazionale dell’Italia:

L’accordo italo-jugoslavo […] rafforzerebbe considerevolmente – scri-

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39 SUPPAN, Jugoslawien und Österreich, cit.40 Sulla politica fascista di repressione e snazionalizzazione delle popolazioni slovene e

croate della Venezia Giulia: APIH, Italia fascismo e antifascismo nella Venezia Giulia, 1918-1943, cit., p. 314 e ss.; ROLF WÖRSDÖRFER, Il confine orientale. Italia e Jugoslavia dal 1915al 1955, Bologna, 2009, p. 19 e ss.; RAOUL PUPO, Il lungo esodo, Milano, 2005.

41 Sulle condizioni della minoranza italiana in Dalmazia all’inizio degli anni Trenta:ASMAE, AP 1931-45, Jugoslavia, b. 40, Meriano a Galli, 31 luglio 1933; ivi, b. 45, Tacconial Consolato italiano a Spalato, 24 giugno 1934; DDI, VII, 12, d. 190. Si vedano anche:MONZALI, Antonio Tacconi e la Comunità italiana di Spalato, cit.; MARIO DASSOVICH, I mol-ti problemi dell’Italia al confine orientale. II Dal mancato rinnovo del patto Mussolini-Pasićalla ratifica degli accordi di Osimo (1929-1977), Udine, 1990, p. 40 e ss.; CARLO UMILTÀ,Jugoslavia e Albania. Memorie di un diplomatico, Milano, 1947.

42 GUARIGLIA, Ricordi 1922-1946, cit.43 A proposito di Carlo Galli, uno dei migliori conoscitori italiani della Jugoslavia negli

anni fra le due guerre: MASSIMO BUCARELLI, “Manicomio jugoslavo”. L’ambasciatore CarloGalli e le relazioni italo-jugoslave tra le due guerre mondiali, «Clio», 2002, n. 3, p. 467 e ss.;CARLO GALLI, Diarii e lettere. Tripoli 1911-Trieste 1918, Firenze, 1951.

veva Galli all’inizio degli anni Trenta – la nostra posizione diplomatica neiriguardi della Francia spezzando uno dei tanti denti della tenaglia attorno al-la nostra frontiera; per ragioni analoghe ci rafforzerebbe nelle trattative conla Germania e di fronte a questa, venendo a limitare il peso dell’apporto fran-cese nell’economia generale dei rapporti tra le grandi potenze44.

Pure alcuni settori degli ambienti imprenditoriali italiani giulianie veneti erano favorevoli ad un miglioramento dei rapporti politici frai due Paesi al fine di potenziare le relazioni commerciali45. Nonostantele difficili relazioni politiche fra i due Stati, i rapporti commerciali ita-lo-jugoslavi rimanevano intensi, grazie alla complementarietà delleeconomie e alla vicinanza geografica. Nel 1929 l’Italia costituiva ilprincipale mercato per la Jugoslavia, ricevendo il 24,9 per cento del-le esportazioni jugoslave, di più dell’Austria e della Germania consi-derate congiuntamente; il sistema economico jugoslavo, invece, im-portava soprattutto dai Paesi germanici (33% del totale), ma l’Italiaera la seconda esportatrice in Jugoslavia con il 10,8%46. Dino Grandi,ministro degli Esteri italiano dal 1929 al 1932, si sforzò di migliora-re i rapporti con Belgrado. Ma all’interno del partito e del regime fa-scista forti erano le simpatie verso il separatismo croato. A favore del-la disgregazione della Jugoslavia spingeva, ad esempio, il console aZagabria, Umiltà, convinto della possibilità di trovare un vantaggio-so compromesso territoriale fra l’Italia e la futura Croazia indipen-dente47. Lo stesso Mussolini sembrava essersi convinto della fragilitàdello Stato jugoslavo unitario e della necessità di fomentare le spintesecessioniste croate, magiare e albanesi. Fra la fine degli anni Venti ei primi anni Trenta assistiamo pure ad un crescente disinteresse poli-tico italiano verso la Polonia e la Cecoslovacchia. A tale riguardo si-curamente pesò il deterioramento dei rapporti fra Italia e Francia.Ritenuti Stati fortemente legati a Parigi, la diplomazia italiana percepìPraga e Varsavia come entità prive di autonomia politica internazio-nale e pedine del gioco delle grandi Potenze. Ogni mutamento della

DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ 49

44 BUCARELLI, “Manicomio jugoslavo”. L’ambasciatore Carlo Galli e le relazioni italo-jugoslave tra le due guerre mondiali, cit., p. 499.

45 DASSOVICH, I molti problemi dell’Italia, cit., II, p. 43 e ss.46 LAMPE, op. cit., pp. 181-183. Si veda anche: NICOLA LA MARCA, Italia e Balcani fra

le due guerre. Saggio di una ricerca sui tentativi italiani di espansione economica nel SudEst europeo fra le due guerre, Roma, 1979, p. 41 e ss.; FRED SINGLETON, BERNARD CARTER,The Economy of Yugoslavia, London - New York, 1982, p. 60 e ss.

47 ASMAE, GAB 1923-43, GAB, b. 773, Umiltà a Ministero degli Esteri, 4 gennaio 1933.

loro politica estera era considerato dipendente dall’evoluzione delledirettive internazionali di Parigi. Verso la Cecoslovacchia pesavano an-che le differenze ideologiche. Beneš e Masaryk erano giudicati ita-lofobi e antifascisti48. Da parte cecoslovacca, peraltro, vi fu scarsa at-tenzione all’Italia e al suo ruolo politico in Europa centrale. Beneš ri-teneva di non avere bisogno di buoni e stretti rapporti con il governodi Roma49. Nei confronti della Polonia, regime autoritario nazionali-sta, l’Italia fascista non aveva pregiudizi e ostilità ideologiche. Ma sipercepiva la Polonia come uno Stato fragile, indebolito dall’esisten-za di numerose popolazioni allogene al proprio interno e di gravi con-troversie territoriali con la maggior parte degli Stati confinanti. LaPolonia era un soggetto della politica internazionale poco considera-to dalla diplomazia italiana; le si dava scarsa importanza privilegian-do piuttosto i rapporti politici ed economici con la Germania e con lastessa Unione Sovietica, percepite come le grandi Potenze dell’Europaorientale50.

L’evoluzione della politica europea e mondiale – con l’aggravarsidelle tensioni internazionali a causa della conquista giapponese dellaManciuria e del rafforzamento politico del partito nazionalsocialistain Germania – convinse Mussolini a dimissionare Grandi e ad assu-mere in prima persona la carica di ministro degli Esteri nel luglio 1932.Fu il segnale dell’inizio di una nuova fase della politica estera italia-na, più dinamica e attiva, pronta a sfruttare l’evoluzione degli equili-bri europei a proprio vantaggio. Mussolini scelse come suoi principalicollaboratori a Palazzo Chigi Fulvio Suvich e Pompeo Aloisi, due per-sonalità particolarmente esperte e preparate per incarichi internazio-nali. Il triestino Suvich, ex irredentista di formazione nazionale-libe-rale, già deputato fascista, avvocato legato al mondo delleAssicurazioni di Trieste, esperto di problemi economici e finanziari ebuon conoscitore dell’Europa centrale, fu nominato sottosegretario agliEsteri51, mentre Pompeo Aloisi, ex ufficiale di marina, che aveva vis-

LUCIANO MONZALI50

48 Sulla visione di Beneš riguardo a Mussolini e all’Italia fascista: DDF, I, 2, d. 129.49 Sulle relazioni italo-cecoslovacche alcune interessanti informazioni in DDI, VII, 9, dd.

31, 305; ivi, 10, d. 220; ivi, 12, dd., 45, 46, 49; ivi, 14, dd. 234, 320.50 DDI, VII, 10, dd., 151, 211, 380; ivi, 12, d. 188. Sulle relazioni italo-sovietiche:

PETRACCHI, Da San Pietroburgo a Mosca. La diplomazia italiana in Russia 1861-1941, cit.51 FULVIO SUVICH, Memorie 1932-1936, Milano, 1984; TOMASO DE VERGOTTINI, Fulvio

Suvich e la difesa dell’indipendenza austriaca, in AA.VV., Le fonti diplomatiche in età mo-derna e contemporanea, Roma, 1995. Su Suvich e il suo ambiente politico-culturale di pro-venienza si legga anche: ANNA MILLO, Le elite del potere a Trieste. Una biografia collettiva

suto avventurosamente fra servizi segreti e diplomazia, divenendorappresentante italiano in Albania, Giappone e Turchia, fu scelto co-me capo di gabinetto del ministro52. Nella nuova equipe ministerialefu soprattutto Suvich a guidare con particolare attenzione e sagacial’azione italiana in Europa centrale, sempre nel ruolo di esecutore del-le decisioni del Duce, ma anche dando un contributo personale al-l’elaborazione della politica italiana. A differenza di molti politici ediplomatici italiani, nella visione internazionale di Suvich la questioneaustriaca e il tema dell’assetto dell’Europa centrale erano problemidecisivi e vitali. Per l’ex suddito asburgico, il nazionalsocialismo te-desco con i suoi progetti espansionistici in Europa centrale costitui-va una minaccia mortale per l’Italia e andava contrastato in tutti i mo-di. Per Suvich, a differenza di Mussolini, la difesa dell’indipenden-za austriaca era una battaglia cruciale, riguardo alla quale non eranopossibili compromessi: egli s’impegnò a tale riguardo con determi-nazione e convinzione, sacrificando alla fine la propria carriera po-litica pur di difendere i suoi convincimenti personali. L’origine trie-stina di Suvich, invece, spiega il suo interesse a favorire la ripresaeconomica e commerciale nei Paesi centro-europei e l’atteggiamen-to pragmatico verso la Jugoslavia. Egli era consapevole dell’impor-tanza degli interessi finanziari triestini nella regione e desiderava l’in-tensificazione delle relazioni economiche dell’Italia con gli Statidell’Europa centrale proprio perché la Venezia Giulia ne sarebbe sta-ta la prima beneficiaria.

Il tentativo di creare un’unione doganale austro-tedesca nel 1931fu il segnale che la politica estera italiana doveva perseguire una po-litica più determinata e attiva se voleva preservare la propria influen-za in Europa centrale di fronte al riemergere della presenza germani-ca e ai rischi di destabilizzazione che la recessione economica provo-cava. Non a caso in quegli anni, segnati dalla conquista nazionalso-cialista del potere a Berlino con la nomina di Adolf Hitler a cancel-liere germanico nel gennaio 1933, l’assetto dell’Europa centrale di-venne il tema centrale delle relazioni fra Italia e Germania. Come lastoriografia ha mostrato53, Mussolini assistette con simpatia alla con-

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1891-1938, Milano, 1990; ID., Trieste, le assicurazioni, l’Europa. Arnoldo Frigessi di Rattalmae la Ras, Milano, 2004.

52 Su Pompeo Aloisi: POMPEO ALOISI, Journal (25 juillet 1932-14 juin 1936), Parigi, 1957.53 DE FELICE, Mussolini il duce. Gli anni del consenso, cit.; SCARANO, op. cit.; JENS

PETERSEN, Hitler e Mussolini. La difficile alleanza, Roma-Bari, 1975; HANS WOLLER, I rap-

quista del potere da parte del movimento nazionalsocialista. L’emer-gere della Germania nazionalsocialista metteva in crisi le relazionifranco-tedesche e aumentava il peso internazionale dell’Italia. Il ca-po del fascismo, inizialmente, coltivò il progetto di presentarsi comemediatore fra Potenze occidentali e Germania. Per il Duce la pace inEuropa poteva essere mantenuta solo restituendo alla Germania il ran-go e il ruolo di grande Potenza europea54 e risolvendo per via diplo-matica alcune controversie territoriali particolarmente gravi. A tal fi-ne, nel marzo 1933 Mussolini propose la conclusione di un patto dicollaborazione politica fra Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia(il cosiddetto Patto a Quattro), le cui finalità principali erano la crea-zione di un direttorio delle grandi Potenze che risolvesse alcuni con-tenziosi territoriali e facilitasse l’inserimento della Germania hitleria-na nell’ordine politico europeo55. La lettura della documentazione di-plomatica mostra che il disegno italiano era disinnescare le tensioniin Europa procedendo alla concessione di Danzica alla Germania e al-la restituzione all’Ungheria di alcuni territori persi nel 1918. Il Pattoa Quattro venne parafato nel giugno 1933, ma non entrò mai in vigo-re, a causa dell’ostilità di molti Stati dell’Europa centrale (Polonia,Cecoslovacchia, Romania) all’idea di un direttorio delle grandiPotenze favorevole ad iniziative revisioniste56 e a causa della decisionetedesca di abbandonare la Conferenza del disarmo e la Società delleNazioni. Il fallimento del Patto a Quattro fu seguito dal progressivoesplodere della rivalità italo-tedesca riguardo all’Austria. Il travolgente

LUCIANO MONZALI52

porti tra Mussolini e Hitler prima del 1933. Politica del potere o affinità ideologica, «Italiacontemporanea», 1994, n. 196, p. 491 e ss.

54 Significativo per la comprensione dell’esistenza nel Partito fascista di umori favore-voli ad un’intesa politica con la Germania l’articolo di uno dei più brillanti intellettuali fa-scisti della nuova generazione, Carlo Giglio, nel quale era sostenuta l’opportunità di una di-visione dell’Europa in due sfere d’influenza economica, dominate da Italia e Germania: CARLOGIGLIO, Può la Germania hitleriana spingersi verso Est?, «La Rassegna Italiana», 1934, pp.716-722.

55 Molto materiale documentario sul Patto a Quattro in DDI, VII, 13 e 14. Si vedano an-che: DDF, I, volumi 2, 3, 4. Rimangono importanti: DE FELICE, Mussolini il duce. Gli annidel consenso, cit.; JEAN- BAPTISTE DUROSELLE, Politique étrangère de la France. La déca-dence 1932-1939, Paris, 1979; FRANCESCO SALATA, Il Patto Mussolini. Storia di un piano po-litico e di un negoziato diplomatico, Milano, 1933. A proposito della reazione tedesca al Pattoa Quattro: GERHARD L. WEINBERG, The Foreign Policy of Hitler’s Germany. DiplomaticRevolution in Europe 1933-1936, Chicago, 1970, p. 49 e ss. Sull’atteggiamento sovietico ver-so le iniziative italiane: JAY CALVITT CLARKE III, Russia and Italy against Hitler. The Bolshevik-Fascist Rapprochement of the 1930s, Westport, 1991.

56 DDI, VII, 14, d. 235.

successo politico del nazionalsocialismo tedesco, sostenitore di un pro-gramma pangermanista, ebbe gravi conseguenze in Austria. I cristia-no-sociali austriaci, ostili al nazionalsocialismo, cominciarono a com-battere con più vigore ogni aspirazione all’Anschluss e a vederenell’Italia fascista un importante alleato nella difesa dell’indipendenzacontro il movimento pangermanista hitleriano. Il governo cristiano-so-ciale, guidato da Engebert Dollfuss a partire dal maggio 1932, si orientòcon determinazione a favore di un forte riavvicinamento fra Italia fa-scista e Austria57. Mussolini si dimostrò favorevole ad assurgere al ruo-lo di protettore dell’Austria indipendente, ma pose una serie di condi-zioni. Prima fra tutte la costituzione di un governo di coalizione che des-se largo spazio ai vecchi amici austriaci dell’Italia, le Heimwehren gui-date dal principe di Starhemberg. Il governo di Roma, poi, insistette afavore della creazione di una dittatura autoritaria anti-socialista e anti-nazionalsocialista58. A parere dei vertici della diplomazia fascista, la dit-tatura avrebbe facilitato le relazioni con l’Italia, eliminando l’ostacolocostituito dall’ostilità dell’opinione pubblica austriaca, prevalentemen-te italofoba e in maggioranza favorevole all’Anschluss, alla collabora-zione fra Vienna e Roma. Nel favore verso un’evoluzione autoritaria inAustria giocava ovviamente l’ostilità ideologica del fascismo italianocontro i socialisti austriaci, accusati di essere filocomunisti e anti-ita-liani. Ma va sottolineato che nell’ottica italiana la creazione della dit-tatura era ritenuta soprattutto uno strumento nella lotta contro il nazio-nalsocialismo austro-tedesco: l’evoluzione del governo Dollfuss versoposizioni autoritarie di destra avrebbe tolto spazio e argomenti ai nazi-sti austriaci e la creazione di un regime dittatoriale avrebbe consentitola messa al bando e l’estromissione del nazionalsocialismo dalla vitapolitica59. Dopo non poche resistenze, Dollfuss si convinse a seguire leindicazioni italiane e nel febbraio 1934 procedette alla definitiva eli-minazione del movimento socialista, alla messa al bando del nazional-socialismo austriaco e all’instaurazione di un regime dittatoriale60.Sempre in un’ottica di contenimento anti-germanico, la diplomazia ita-

DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ 53

57 Sulla politica estera dei governi Dollfuss: SUPPAN, Jugoslawien und Österreich, cit.;GOTTFRIED-KARL KINDERMANN, Hitler’s Defeat in Austria 1933-1934. Europe’s FirstContainment of Nazi Expansionism, Boulder, 1988.

58 DDI, VII, 12, dd. 351; DDI, VII, 14, d. 111; LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., p. 342 e ss.59 Ad esempio DDI, VII, 14, d. 585.60 Si veda l’analisi compiuta dal ministro francese a Vienna, Puaux, sull’evoluzione au-

toritaria del governo di Dollfuss: DDF, I, 5, dd. 223, 246, 255, 410. Sull’ostilità britannicaverso l’avvento di un regime autoritario in Austria: DBFP, II, 6, dd. 270, 273, 275, 332.

liana cercò di intensificare le relazioni economiche con Vienna eBudapest61. Fallito il progetto di un’unione doganale italo-austro-un-gherese, ci si accontentò di un approfondimento dei rapporti commer-ciali fra Roma, Vienna e Budapest62. Espressione di questa politica fula conclusione dei cosiddetti Protocolli di Roma nel marzo 1934, inte-se che istituzionalizzavano la periodica consultazione fra i tre governinelle questioni di comune interesse e impegnavano i tre Stati ad un’in-tensificazione delle relazioni economiche sulla base dei preesistenti ac-cordi commerciali63. Fra il 1933 e il 1934, sempre in funzione anti-ger-manica, il governo italiano si dimostrò pronto a considerare favore-volmente il raggiungimento di un accordo economico danubiano, cheincludesse Ungheria, Austria, Cecoslovacchia, Jugoslavia e Romania,da concludersi sotto il patrocinio di Roma e Parigi e con adeguate ga-ranzie per i porti adriatici dell’Italia64.

In questi anni l’Italia conquistò un ruolo di protagonista nelle vicendecentro-europee65. Ma le iniziative italiane si scontrarono con inevitabi-li difficoltà, dalla scarsità di risorse economiche e finanziarie in possessodel governo di Roma alla reticenza di alcuni alleati, ad esempiol’Ungheria, a sposare pienamente le direttive politiche dell’Italia:Budapest era ostile a fare una scelta netta fra Roma e Berlino e spin-geva per la creazione di una stretta collaborazione politica fra Italia,Germania e Ungheria66. Va comunque rilevato che da parte italiana viera la piena consapevolezza della precarietà della situazione austriacae degli equilibri nella regione danubiana. Pur di salvare l’indipendenzaaustriaca, molti diplomatici italiani, in primis lo stesso Suvich, si mo-strarono disponibili a considerare la possibilità della ricostituzione di unoStato austro-ungarico e perfino l’eventualità della restaurazione di unramo degli Asburgo a Vienna67. Tuttavia, a differenza di Suvich e di al-cuni esponenti politici austriaci, Mussolini fu freddo verso l’ipotesi diun ritorno degli Asburgo, accusati di essere anti-italiani e antifascisti68.

LUCIANO MONZALI54

61 DDF, I, 4, d. 77.62 DDI, VII, 12, dd. 389, 408, 414.63 LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit., p. 377 e ss.; PETERSEN, op. cit..64 DDI, VII, 14, d. 231, Appunto del sottosegretario agli Esteri, Suvich, settembre 1933;

ibidem, Memorandum italiano per l’Europa danubiana, 29 settembre 1933, d. 232.65 DDF, I, 2, d. 110.66 GYÖRGY RÉTI, Hungarian-Italian Relations in the Shadow of Hitler’s Germany 1933-

1940, Boulder, 2003; GYULA JUHASZ, Hungarian foreign policy, 1919-1945, Budapest, 1979.67 DDI, VII, 16, dd. 794, 852.68 Ad esempio DDI, VII, 14, d. 802. Il governo italiano accusava gli Asburgo di alimentare

L’intensificazione delle relazioni italo-austriache nel corso del 1933e dei primi mesi del 1934 irritò il governo di Berlino e portò ad unprogressivo deterioramento dei rapporti fra Germania e Italia. Il go-verno germanico, inizialmente, cercò con Göring e von Papen di con-vincere Mussolini a trovare un accomodamento italo-tedesco sul-l’Austria, ma non si riuscì a raggiungere un’intesa a causa della pre-tesa di Hitler di estromettere Dollfuss dalla vita politica austriaca e diassicurare ai nazisti austriaci un netto predominio. Allora Hitler ispiròed organizzò un’azione di forza contro l’esecutivo di Vienna. Il col-po di Stato nazista del luglio 1934 fallì clamorosamente, ma i segua-ci hitleriani riuscirono ad uccidere la guida della resistenza anti-unio-nista, Dollfuss. Il nuovo cancelliere, Kurt von Schuschnigg, fu capa-ce di riorganizzare il governo austriaco, proseguendo la stretta colla-borazione con Roma. La reazione italiana fu netta e chiara a sostegnodell’indipendenza dell’Austria. Gli eventi del luglio 1934 convinseroMussolini che con la Germania, per il momento, non erano possibilitrattative e accordi. La politica estera italiana, quindi, s’orientò con de-cisione a favore di un riavvicinamento alla Francia. L’ascesa del mo-vimento nazionalsocialista in Germania aveva spaventato il governodi Parigi che cominciò ad apprezzare maggiormente l’utilità dell’a-micizia italiana in funzione anti-tedesca.

Il miglioramento dei rapporti con la Francia ebbe ricadute positi-ve anche sulle relazioni italo-jugoslave. Come abbiamo visto, le rela-zioni bilaterali fra Roma e Belgrado erano complicate dal coesisteredi tendenze contraddittorie nella politica italiana verso la Jugoslavia.Da una parte, alcuni esponenti della diplomazia italiana, in primisCarlo Galli ministro a Belgrado, ritenevano che l’avvento di un regi-me dittatoriale monarchico in Jugoslavia facilitasse un possibile av-vicinamento politico italo-jugoslavo sulla base del rispetto dei confi-ni esistenti ed avendo come interlocutore privilegiato Re Alessandroe i militari serbi69. Dall’altra, però, Mussolini e vari dirigenti fascistisembravano convinti della debolezza dello Stato jugoslavo unitario,della prossima sua disgregazione e dell’interesse italiano di alimen-tare le spinte secessioniste croate, magiare, macedoni e albanesi al fi-ne di poterle manipolare e sfruttare a proprio vantaggio. Constatandola crescente debolezza politica della dittatura jugoslava, che si era mac-

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i sentimenti anti-italiani dell’aristocrazia tirolese: DDI, VII, 12, d. 192.69 Ad esempio: DDI, VII, 11, d. 112; DDI, VII, 12, dd. 4, 15, 34; BUCARELLI, Mussolini

e la Jugoslavia, cit.

chiata di innumerevoli atti di violenza contro le opposizioni, i nazio-nalisti croati più radicali ed estremisti (ustaša e pravaši), guidati daAnte Pavelić, progettarono una rivolta in Croazia con il sostegno fi-nanziario dell’Italia, che consentì loro di usare come base logistica lacittà di Zara. Nel settembre 1932 i preparativi dei rivoltosi furono sco-perti dalla polizia jugoslava. I nazionalisti croati, allora, decisero difare iniziare immediatamente la rivolta nella Lika, dove, grazie allasimpatia e al sostegno della popolazione croata locale, la ribellionedurò alcune settimane, per poi essere repressa nel sangue70. La rivol-ta, compiuta con la simpatia e la benevolenza italiane, irritò fortementeil governo jugoslavo, che la considerò un tentativo di distruggere loStato monarchico71. In quei mesi la tensione fra Italia e Jugoslavia rag-giunse livelli altissimi, con i governanti jugoslavi, in primis ReAlessandro, ormai pronti alla guerra contro lo Stato vicino. Ma i ca-nali di comunicazione diretta e riservata fra Roma e Belgrado rima-sero sempre attivi e ciò probabilmente fu la ragione perché la tensio-ne nei rapporti fra i due Paesi non conobbe un’escalation di natura bel-lica. Infatti, sempre in quegli anni, si svilupparono in modo disconti-nuo negoziati segreti per giungere a un chiarimento nei rapporti ita-lo-jugoslavi. Ma la volontà di Mussolini di vedere riconosciuta un’in-discussa supremazia politica dell’Italia in Albania, i sospetti del go-verno di Belgrado verso il sostegno fascista ai separatisti croati e ladifesa italiana dell’indipendenza austriaca72 ostacolarono il successodelle trattative bilaterali73. Con il miglioramento delle relazioni fraRoma e Parigi nel corso del 1934 la diplomazia francese spinse gli ju-goslavi ad accettare l’avvicinamento verso l’Italia, ormai parte dellacoalizione anti-hitleriana. Il movimento separatista croato all’esteropercepì la minaccia che un avvicinamento italo-franco-jugoslavo co-stituiva per le sorti della lotta contro Belgrado. Da qui la decisione disabotare il tutto organizzando il clamoroso attentato di Marsiglia nel-l’ottobre 1934, quando alcuni terroristi legati agli ustascia, uno deiquali in esilio in Italia, uccisero il Re jugoslavo Alessandro e il mini-

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70 BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia, cit.71 DDI, VII, 12, d. 357.72 Sulla simpatia iniziale del governo jugoslavo verso la Germania hitleriana: MASSIMO

BUCARELLI, Gli accordi Ciano-Stojadinovic del 25 marzo 1937, «Clio», 2000, n. 2, p. 327 ess.

73 BUCARELLI, Gli accordi Ciano-Stojadinovic del 25 marzo 1937, cit.; ID., Mussolini ela Jugoslavia, cit.

stro degli Esteri francese Barthou74. Il tentativo dei nazionalisti croa-ti di sabotare i rapporti fra Roma e Belgrado non ebbe successo. Ilmiglioramento dei rapporti italo-jugoslavi continuò, seppur lenta-mente. Il governo fascista reagì duramente all’attentato di Marsigliainviando al confino molti esuli croati e sopprimendo le loro struttu-re politiche e militari in Italia75. Nonostante l’omicidio di ReAlessandro e del ministro degli Esteri francese Barthou, il riavvici-namento italo-francese in funzione anti-hitleriana proseguì culmi-nando nella conclusione degli accordi Laval-Mussolini del gennaio1935, che gettarono le basi per una collaborazione politica fra Romae Parigi al fine di difendere l’indipendenza dell’Austria e lo status quoin Europa centrale76. Una volta migliorati i rapporti con Parigi, l’os-sessione italiana circa il possibile accerchiamento franco-jugoslavocominciò a svanire e Mussolini iniziò a preparare una graduale di-stensione nelle relazioni con Belgrado. A partire dalla fine del 1934,per il Duce la politica estera italiana doveva ormai orientarsi versol’espansione africana; diveniva, quindi, utile un miglioramento deirapporti con Belgrado al fine della stabilizzazione politica dell’Europacentro-orientale mentre l’Italia si preparava a una campagna di con-quista coloniale in Africa orientale. Non a caso, i rapporti fra Italia eJugoslavia, nonostante che lo scoppio della guerra d’Etiopia e il ri-sorgere di tensioni fra Roma e Parigi potessero spingere i due Paesisu posizioni opposte, assunsero un carattere cordiale ed amichevolenel corso del 1935 e del 1936. A ciò contribuì anche la nuova diret-tiva che il governo presieduto dall’economista serbo, MilanStojadinović77, diede alla politica internazionale della Jugoslavia: con-statando il declino della forza della Francia e il disimpegno britan-nico verso i problemi centro-europei, egli cercò di migliorare i rap-porti con la Germania e l’Italia78.

DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ 57

74 BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia, cit., p. 298 e ss.; YPD, 2, Annual Report onYugoslavia for 1934, allegato a Henderson a Simon, 7 gennaio 1935, p. 483 e ss.; JUSO, op.cit., p. 67; DUROSELLE, Politique étrangère de la France. La décadence, cit., p. 112.

75 JUSO, op. cit., p. 81 e ss.76 Sul riavvicinamento italo-francese: DE FELICE, Mussolini il duce. Gli anni del consenso,

cit.; DUROSELLE, Politique étrangère de la France. La décadence 1932-1939, cit., p. 87 e ss.;SHORROCK, op. cit.; LEFEBVRE D’OVIDIO, op. cit.; GIOVANNI BUCCIANTI, Verso gli accordiMussolini-Laval. Il riavvicinamento italo-francese fra il 1931 e il 1934, Milano, 1984;SALVATORE MINARDI, L’accordo militare segreto Badoglio-Gamelin del 1935, «Clio», n. 2, pp.271-300.

77 BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia, cit.; DDI, VIII, dd. 411, 454.78 DDF, II, 5, dd. 43, 89, 100, 235, 240; Documents on German Foreign Policy 1918-

Contrariamente alle aspettative della classe dirigente fascista e del-lo stesso Mussolini, la guerra d’Etiopia sconvolse le direttive della po-litica internazionale italiana, mettendo a repentaglio la stessa soprav-vivenza del regime mussoliniano. Le speranze italiane di un rapido edindolore assorbimento di gran parte dell’Etiopia grazie alla compli-cità e all’aiuto di Francia e Gran Bretagna si rivelarono fallaci. A cau-sa di una manchevole preparazione diplomatica e di un’impostazioneimperialista datata e retrograda, le mire espansioniste italiane susci-tarono una forte opposizione nell’opinione pubblica internazionale ele resistenze della Gran Bretagna. L’impresa etiopica si rivelò più dif-ficile e pericolosa del previsto79. Per alcuni mesi l’Italia, impegnata inun conflitto bellico in Africa orientale, si trovò sostanzialmente allapotenziale mercé delle decisioni di Londra, in grado di bloccare il ca-nale di Suez e di mettere in crisi l’azione militare italiana. Lo scontrodiplomatico con Londra spinse l’Italia in un pericoloso isolamento. Ladocumentazione italiana fra la fine del 1935 e i primi mesi del 1936mostra con chiarezza l’irritazione e la rabbia di Mussolini, il cui po-tere sembrava improvvisamente essere sempre più fragile e precario,contro i francesi e i britannici: i primi erano accusati di non avere man-tenuto i patti, i secondi di essere ingiustamente e irrazionalmente osti-li alle rivendicazioni dell’Italia. In quei mesi nella psiche di Mussolinisi radicò una viscerale irritazione e ostilità verso le classi dirigenti fran-cese e britannica, giudicate irriducibilmente anti-italiane e antifasci-ste, nonché politicamente inaffidabili. Pericolosamente isolato sul pia-no internazionale, sotto la minaccia di uno scontro militare controLondra e il rischio di una crisi interna del regime fascista, nel gennaio

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1945, (d’ora in poi DGFP), London, 1949-, C, 4, dd. 191, 447, 533; DGFP, D, 5, dd. 158,162, 163, 184, 229.

79 Per una ricostruzione degli eventi relativi alla guerra italo-etiopica del 1935-1936 ri-mandiamo a: DE FELICE, Mussolini il duce. Gli anni del consenso, cit.; GEORGE W. BAER, Laguerra italo-etiopica e la crisi dell’equilibrio europeo, Bari, 1970; RENATO MORI, Mussolinie la conquista dell’Etiopia, Firenze, 1978; ID., Delle cause dell’impresa etiopica mussoliniana,«Storia e politica», 1978, p. 664 e ss.; GIORGIO ROCHAT, Militari e politici nella preparazio-ne della campagna d’Etiopia. Studio e documenti 1932-1936, Milano, 1971; FRANKLIN D.LAURENS, France and the Italo-Ethiopian Crisis 1935-1936, L’Aja-Paris, 1967; FRANCESCOLEFEBVRE D’OVIDIO, La questione etiopica nei negoziati italo-franco-britannici del 1935,Roma, 2000; NORTON MEDLICOTT, The Hoare-Laval Pact reconsidered, in DAVID DILKS, a cu-ra di, Retreat from Power. Studies in Britain’s Foreign Policy of the Twentieth Century,London, 1981, vol. I, pp. 118-138; VISCONT TEMPLEWOOD (SAMUEL HOARE), Nine TroubledYears, London, 1954, p. 149 e ss.; LORD VANSITTART, The Mist Procession, London, 1958, p.516 e ss.; ALESSANDRO LESSONA, Memorie, Roma, 1963, p. 149 e ss.

1936 Mussolini decise di riprendere i contatti politici con la Germania,sostanzialmente interrotti dall’omicidio di Dollfuss80. Il 7 gennaio in-vitò a colloquio l’ambasciatore tedesco a Roma, Hassell, al quale co-municò la possibilità di procedere ad un deciso miglioramento dei rap-porti italo-germanici e alla soluzione di alcune gravi controversie,quella austriaca in particolare, esistenti nelle relazioni bilaterali. IlDuce auspicava un miglioramento delle relazioni fra Vienna e Berlinoe non aveva nessuna difficoltà ad accettare un avvicinamento politi-co austro-tedesco: la stessa trasformazione dell’Austria in un «SatellitDeutschlands» era accettabile per l’Italia purché lo Stato austriacomantenesse una formale indipendenza internazionale81. Nei mesi suc-cessivi prese sviluppo la collaborazione italo-tedesca82, mentre con-temporaneamente Mussolini incitava i dirigenti austriaci ad accettarela pacificazione con Berlino. L’avvicinamento alla Germania era la di-rettiva politica chiesta da alcuni esponenti del partito fascista(Farinacci, Balbo)83, dal genero di Mussolini, Galeazzo Ciano, cheaspirava a scalzare Suvich dal Ministero degli Esteri, e dall’amba-sciatore italiano a Berlino, Attolico, fortemente favorevole all’amici-zia con lo Stato nazionalsocialista84. Questa svolta politica filotede-sca, però, venne decisa da Mussolini contro la volontà del suo sotto-segretario, Suvich, ostile all’avvicinamento alla Germania nazional-socialista e favorevole piuttosto alla riconciliazione con francesi e bri-

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80 Sul cattivo stato delle relazioni italo-tedesche nel corso del 1935: MANFRED FUNKE,Sanzioni e cannoni 1934-1936. Hitler, Mussolini e il conflitto etiopico, Milano, 1972;WEINBERG, The Foreign Policy of Hitler’s Germany. Diplomatic Revolution in Europe 1933-1936, cit., p. 232 e ss.

81 ADAP, C, IV, 2, d. 485. Al riguardo: JÜRGEN GEHL, Austria, Germany and theAnschluss, London, 1963; ANGELO ARA, Il problema austriaco nella politica italiana 1936-1938, in ID., Fra Nazione e Impero. Trieste, gli Asburgo, la Mitteleuropa, Milano, 2009, p. 57e ss.

82 DDI, VIII, 3, dd. 275, 282, 384, 614; DE FELICE, Mussolini il duce. Gli anni del con-senso, cit.; MORI, Mussolini e la conquista dell’Etiopia, cit.; PETERSEN, op. cit. Si veda la per-cezione francese dell’avvicinamento italo-tedesco: DDF, II, 1, dd. 121, 135, 209, 211, 360.

83 GIUSEPPE PARDINI, Roberto Farinacci: ovvero della rivoluzione fascista, Firenze, 2007;MATTEO DI FIGLIA, Farinacci. Il radicalismo fascista al potere, Roma, 2007; CLAUDIO G.SEGRE, Italo Balbo, Bologna, 1988; GIORDANO BRUNO GUERRI, Italo Balbo, Milano, 1998.

84 ADAP, C, IV, 2, d. 486; DDI, VIII, 3, dd. 66, 67, 138, 568; MEIR MICHAELIS, Il conteCiano di Cortellazzo quale antesignano dell’Asse Roma-Berlino. La linea “germanofila” diCiano dal 1934 al 1936, «Nuova Rivista Storica», 1977, nn.1-2, p. 132 e ss.; FRANCESCOLEFEBVRE D’OVIDIO, Il problema austro-tedesco e la crisi della politica estera italiana (lu-glio 1934-luglio 1936), «Storia delle Relazioni Internazionali», 1999, n. 2, pp. 3-64, in par-ticolare p. 54 e ss.; ULRICH VON HASSELL, Römische Tagebücher und Briefe 1932-1938,München, 2004, p. 144 e ss.

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85 DDI, VIII, 3, d. 131, Suvich a Mussolini, 29 gennaio 1936. Circa l’ossessione di Suvichche la Germania «ingoiasse» l’Austria: FILIPPO ANFUSO, Da Palazzo Venezia al lago di Garda(1936-1945), Bologna, 1957. Ciano dichiarò ad Hassell che Suvich era antitedesco in quan-to «Halbjude»: VON HASSELL, Römische Tagebücher, cit., p. 167.

86 DDI, VIII, 3, d. 194, Suvich a Mussolini, 7 febbraio 1936.

tannici85. Il politico triestino previde le conseguenze nefaste delle ini-ziative del Duce. A parere di Suvich, sacrificare l’Austria sarebbe sta-to un colossale errore. Innanzitutto, avrebbe significato abbandonareun Paese e un gruppo dirigente che coraggiosamente si erano schie-rati contro Hitler e avevano dimostrato lealtà verso l’Italia. Rinunciarea difendere l’indipendenza austriaca, poi, avrebbe indebolito la posi-zione strategica dell’Italia di fronte alla Germania, anche nella pro-spettiva della ricerca di un’intesa con Berlino:

Sarebbe una illusione pericolosa quella di credere che la Germania arri-vata al Brennero e a Tarvisio, si arresterà su queste posizioni senza tenderlea oltrepassarle. Dico subito che fra le due posizioni quella più pericolosa èla seconda. Bisogna non tener conto della storia tedesca ed ignorare la men-talità del popolo tedesco per pensare che la Germania non farà tutti gli sfor-zi per superare i cento chilometri che la divideranno allora dall’Adriatico. Unpopolo di ottanta milioni di abitanti con l’energia e lo spirito di organizza-zione dei tedeschi, col mito della superiorità della razza, con il bisogno diespansione prepotente e con la spinta tradizionale verso le vie del sud e del-l’oriente – non potrà essere fermato che con una vigile e permanente difesa.Il popolo italiano dovrà essere costantemente in armi contro questa minac-cia. Non ci sarà nessuna provincia baltica e nessuna provincia ucraina chepotrà esercitare il fascino sullo spirito di conquista dei tedeschi come le pro-vincie che gli aprono la strada del mare del Sud e dell’Oriente86.

Il sottosegretario giustamente sottolineò che l’asse fondamentalesu cui si fondava l’influenza italiana in Europa centrale era la strettaalleanza con l’Austria indipendente. Perse le posizioni in Austria a fa-vore della Germania hitleriana, tutto il sistema d’influenza italiano sa-rebbe crollato progressivamente a vantaggio di Berlino:

La Germania a Vienna vuol dire la Germania a Budapest. LaCecoslovacchia sarà allora liquidata. La Rumenia sarà posta nel dilemma didiventare vassalla della Russia o della Germania ed è probabile che scelgaquest’ultima. La Jugoslavia non domanda che di allearsi con la Germania. Glialtri Paesi balcanici per tradizione e per interesse subiranno il fascino e la pre-

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87 Ibidem.88 Per informazioni su questo progetto, sviluppo degli accordi Mussolini-Laval: DDI, VII,

16, dd. 214, 330, 338.89 DDI, VIII, 3, dd. 28, 75, 79; DDF, II, 1, dd. 72, 74, 88, 100.90 DDI, VIII, 3, d. 523; DDI, VIII, 4, dd. 192, 439, 455, 460, 503, 514; RICCARDI,

Francesco Salata tra storia, politica e diplomazia, cit.; PASTORELLI, Dalla prima alla secon-da guerra mondiale. Momenti e problemi della politica estera italiana 1914-1943, cit.;LEFEBVRE D’OVIDIO, Il problema austro-tedesco e la crisi della politica estera italiana (lu-glio 1934-luglio 1936), cit.

91 DDI, VIII, 3, dd. 91, 105, 119; DDF, II, 2, d. 397.92 DDI, VIII, 4, dd. 43, 44, 54, 55, 64, 105.93 DDF, I, 4, dd. 4, 373; DDF, I, 5, dd. 210, 412, 462.

potenza di questa Germania risorta ed invadente. All’Italia saranno irrime-diabilmente recisi tutti i nervi di una sua politica di espansione verso i Balcani.Questa è la vera essenza dell’Anschluss […]87.

Nonostante i moniti di Suvich, che erano condivisi da alcuni di-plomatici italiani della vecchia guardia (Cerruti, Aloisi, Galli, Rosso),Mussolini decise di procedere sulla strada dell’avvicinamento allaGermania e quindi della definizione di una nuova politica austriacadell’Italia non più antagonistica al nazionalsocialismo hitleriano. Sullabase di questa nuova strategia, nel corso dei primi mesi del 1936 l’Italiaabbandonò definitivamente ogni progetto di accordo internazionale perla difesa dell’indipendenza austriaca88, accettò passivamente l’occu-pazione militare tedesca della Renania e si dimostrò ostile ai tentatividi Schuschnigg di migliorare i rapporti dell’Austria con gli Stati dellaPiccola Intesa e con le Potenze occidentali89. Mussolini fece pressioniperché il governo di Vienna accettasse il chiarimento con la Germaniae la progressiva subordinazione alla politica estera hitleriana. La do-cumentazione diplomatica ci mostra con chiarezza le pressioni italia-ne su Schuschnigg per favorire e affrettare la conclusione di un accor-do di riconciliazione austro-tedesca, che aprisse le porte del potere ainazionalsocialisti preservando formalmente la sovranità dell’Austria,trattato che fu poi firmato nel luglio 193690. Non a caso furono defini-tivamente accantonate le ipotesi di restaurazione asburgica, coltivateda Suvich, Starhemberg e Schuschnigg91. Con il rimpasto del governodel maggio 1936 Starhemberg, ormai politicamente inutile per gli ita-liani, fu estromesso dall’esecutivo e la componente anti-hitleriana delgruppo dirigente austriaco venne fortemente indebolita92.

Nel corso del 1936 assistiamo anche alla fine del tenue migliora-mento dei rapporti italo-cecoslovacchi avvenuto a partire dal 193393.

Mussolini accusò il governo di Praga di avere condotto una politicaanti-italiana in seno alla Società delle Nazioni durante la crisi etiopi-ca e promise di ripagare la presunta ostilità dei cecoslovacchi versol’Italia abbandonando completamente la Cecoslovacchia alle mireespansionistiche della Germania94. Non a caso Mussolini non raccol-se le aperture che parte della classe dirigente cecoslovacca, ad esem-pio il presidente del Consiglio Milan Hodža, fece verso l’Italia cer-cando d’intensificare la cooperazione fra i Paesi della Piccola Intesae quelli dei Protocolli di Roma95. La classe dirigente cecoslovacca ri-teneva che vi fossero innegabili coincidenze d’interessi fra Roma ePraga nel difendere lo status quo in Europa centrale e nel frenare ilsorgere della potenza della Germania hitleriana96. Nel 1936 la speranzadei cechi fu che la crisi etiopica si risolvesse rapidamente e che l’Italiaritornasse ad essere parte del blocco anti-hitleriano97. Ma questa nonera più la politica di Mussolini, ormai desideroso di costruire una stret-ta collaborazione con la Germania con l’obiettivo di una futura spar-tizione italo-tedesca dell’Europa.

Le vittorie militari italiane in Etiopia, favorite dalla passività e dal-la connivenza delle grandi Potenze europee, desiderose di chiudere pri-ma possibile la crisi abissina per cercare di reintegrare l’Italia nellacoalizione anti-hitleriana, fecero svanire l’eventualità di un tracollo delregime fascista. Al contrario, il regime mussoliniano sembrò usciredalla guerra rafforzato sia sul piano interno che su quello internazio-nale. Grazie alla guerra d’Etiopia Mussolini si costruì sul piano pro-pagandistico l’immagine di abile e astuto statista, capace di creare ungrande Impero coloniale. In realtà, ad alcuni osservatori realisti e lun-gimiranti98 non sfuggì che la conquista dell’Etiopia avrebbe provoca-to un indebolimento della posizione dell’Italia nel continente europeo,poiché l’avrebbe costretta a dividere ancora di più le sue limitate for-ze e risorse fra Europa e Africa. L’establishment fascista, invece, va-lutò la conquista militare di tutta l’Etiopia e l’avvicinamento verso laGermania in maniera molto positiva. Per consolidare il rapporto con

LUCIANO MONZALI62

94 DDI, VIII, 3, d. 540.95 DDI, VIII, 3, dd. 309, 613.96 DDI, VIII, 4, d. 668, 732.97 DDI, VIII, 4, d. 24.98 Si vedano le riflessioni di un diplomatico sovietico che constatò come la guerra

d’Etiopia avesse provocato il rafforzamento della Germania e l’indebolimento dell’Italia: DDI,VIII, 4, d. 10.

Berlino, nel giugno 1936 il Duce decise di sostituire i suoi due piùstretti collaboratori agli Esteri, Suvich e Aloisi99: il politico triestinoera odiato dai nazionalsocialisti tedeschi, che lo accusavano a ragio-ne di essere stato il più determinato difensore italiano dell’indipen-denza austriaca, mentre di Aloisi era conosciuta la simpatia per laFrancia. Dall’estate del 1936 la conduzione della politica estera ita-liana, avente l’ambizione di trasformare l’Italia in una grande Potenzamondiale e orientata verso l’amicizia con la Germania nazionalsocia-lista, sarebbe stata affidata al giovane delfino del Duce, GaleazzoCiano, nuovo ministro degli Esteri100.

DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ 63

99 Al riguardo si vedano le riflessioni di Hassell: ADAP, C, V, 2, d. 381.100 A tale proposito le considerazioni di François-Poncet, ambasciatore francese a Berlino:

DDF, II, 2, d. 338.

III

MUSSOLINI, CIANO E IL DECLINO DELL’INFLUENZAITALIANA NELL’EUROPA DANUBIANA E BALCANICA

1936-1940.

La conquista dell’Etiopia, il massimo successo politico del fascismo,mutò definitivamente la percezione che Mussolini aveva di sé e delruolo dell’Italia sul piano internazionale. Come ha notato Renzo DeFelice, Mussolini cominciò a sopravvalutare le proprie capacità poli-tiche e a pensare di essere uno statista di statura mondiale. Ormai ri-teneva che il suo destino personale fosse la costruzione di una nuovaciviltà fascista che si doveva diffondere in tutto il pianeta. L’Italia, na-zione giovane e vigorosa, sarebbe divenuta una grande Potenza mon-diale, fondatrice, insieme alla Germania, di un nuovo ordine interna-zionale. Il Duce era convinto dell’inevitabile decadenza delle demo-crazie liberali occidentali: a suo avviso, francesi, britannici e statuni-tensi erano popoli imbelli, corrotti dal benessere e dal liberalismo edo-nista, non più in grado di combattere e di confrontarsi con nazioniguerriere come italiani, tedeschi e giapponesi. Da questa visione delmondo derivò per Mussolini la scelta di una strategia internazionalefondata su una collaborazione preferenziale con la Germania hitleria-na, Potenza simile ideologicamente all’Italia mussoliniana e le cui mi-re espansionistiche rivolte verso l’Europa orientale erano ritenute com-patibili con le ambizioni imperiali italiane nel Mediterraneo e nelVicino Oriente1. A partire dal 1936 la diplomazia fascista puntò a co-

1 Sulla svolta impressa dalla crisi etiopica alla politica estera italiana: DE FELICE,Mussolini il duce. Gli anni del consenso, cit.; ID., Mussolini il duce. Lo Stato totalitario 1936-1940, cit.; ENNIO DI NOLFO, Le oscillazioni di Mussolini: la politica estera fascista dinanziai temi del revisionismo, «Nuova Antologia», 1990, n. 2176, pp. 172-195; PASTORELLI, Dallaprima alla seconda guerra mondiale. Momenti e problemi della politica estera italiana 1914-1943, cit., p. 119 e ss.; FULVIO D’AMOJA, La politica estera dell’Impero. Storia della politi-ca estera fascista dalla conquista dell’Etiopia all’Anschluss, Padova, 1967; ROSARIAQUARTARARO, Roma fra Londra e Berlino. La politica estera fascista dal 1930 al 1940, Roma,1980; LILIANA SENESI, Italia e Stati Uniti: tra collaborazione e diffidenza 1936-1940, Siena,

struire un asse politico con Berlino, considerato la base diplomaticasu cui sviluppare la progressiva espansione economica e politica ita-liana nel Mediterraneo a spese della Francia. Verso la Gran Bretagna,invece, la politica estera fascista oscillò, per alcuni anni, fra la spe-ranza di conquistarne la neutralità di fronte al contenzioso italo-fran-cese e la preparazione ad un scontro finale nel Mediterraneo2.Mussolini giudicava inevitabile una futura guerra contro la Francia,ma non aveva fretta: riteneva che il guadagnare tempo servisse alrafforzamento delle Potenze fasciste e all’ulteriore indebolimento del-le liberaldemocrazie europee; sul breve termine, perciò, evitò di cer-care l’aperto conflitto militare con gli anglo-francesi, preferendo ilsemplice scontro politico e diplomatico, che garantisse il progressivorafforzamento delle posizioni italiane e tedesche a spese degli occi-dentali3. In questo quadro generale, nel quale le ambizioni e le pro-spettive della politica estera italiana si ampliarono a dismisura, con unsempre maggiore interventismo politico a livello mondiale, l’Europacentrale perse nell’azione diplomatica del governo di Roma l’impor-tanza che aveva avuto prima del 1935. Dopo la conquista dell’Etiopiaper Mussolini il fulcro dell’attenzione dell’azione internazionale ita-liana doveva rivolgersi verso i problemi del Vicino Oriente e dell’a-rea mediterranea. L’obiettivo che la diplomazia fascista avrebbe per-seguito nell’Europa danubiana era ormai il semplice mantenimento diun’influenza italiana nella regione, con la rinuncia ad ogni ambizio-ne di egemonia esclusiva a favore di un condominio italo-tedesco4. Al

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1991; ALESSANDRA GIGLIOLI, Italia e Francia 1936-1939, Roma, 2001; MAC GREGOR KNOX,Common Destiny: Dictatorship, Foreign Policy and War in Fascist Italy and Nazi Germany,Cambridge, 2000; PAOLA BRUNDU OLLA, L’equilibrio difficile. Gran Bretagna, Italia e Francianel Mediterraneo (1930-1937), Milano, 1980; FORTUNATO MINNITI, Fino alla guerra: strate-gie e conflitto nella politica di potenza di Mussolini 1923-1940, Napoli, 2000; GIANLUCAFALANGA, Mussolinis Vorposten in Hitlers Reich: Italiens Politik in Berlin 1933-1945, Berlin,2008.

2 DE FELICE, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario, cit., p. 320 e ss., p. 467 e ss.;DUROSELLE, La politique étrangère de la France. La décadence, cit., p. 389 e ss.; GIGLIOLI,op. cit., p. 534 e ss.; DONATELLA BOLECH CECCHI, Non spezzare i ponti con Roma. Le rela-zioni fra l’Italia e la Gran Bretagna dall’accordo di Monaco alla seconda guerra mondiale,Milano, 1986.

3 L’azione italiana in Spagna, che contribuì enormemente al consolidamento della colla-borazione con la Germania, fu un perfetto esempio del modus operandi della diplomazia fa-scista. Al riguardo: DE FELICE, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario 1936-1940, cit.; JOHNCOVERDALE, I fascisti italiani alla guerra di Spagna, Roma- Bari, 1977.

4 Sulla politica estera italiana verso l’Europa centrale dopo il 1936 rimandiamo a:BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia, cit.; JERZY W. BOREJSZA, Il fascismo e l’Europa orien-tale. Dalla propaganda all’aggressione, Roma-Bari, 1981.

governo di Berlino, in ogni caso, a partire dalla primavera del 1936,fu riconosciuta la preponderante egemonia in Austria e fu promessoil disinteressamento circa le sorti della Cecoslovacchia. Il consenso ita-liano all’accordo di amicizia austro-germanico del luglio 1936 con-fermò la serietà delle promesse nei confronti di Berlino. L’accordo fe-ce entrare il nazionalsocialismo nelle stanze del potere a Vienna5. PerMussolini l’accordo austro-germanico era importante perché eliminaval’unica grave controversia esistente nelle relazioni fra Roma e Berlino.Il significato del trattato era chiaro a Roma: nel breve e medio perio-do si auspicava la sopravvivenza di uno Stato austriaco parzialmenteindipendente, seppur allineato alla Germania e ispirato dal nazional-socialismo tedesco; si riteneva, però, inevitabile un progressivo as-sorbimento germanico e nazionalsocialista dell’Austria, sperando checiò avvenisse dopo molti anni. Verso la Cecoslovacchia, la cui sorteera chiaramente legata al futuro dell’Austria, Ciano e Mussoliniespressero un crescente disprezzo e disinteresse. Più volte compare neldiario di Ciano e nelle dichiarazioni dei dirigenti italiani dell’epoca lavisione, caratteristica del cinismo superficiale di molti diplomatici fa-scisti di quegli anni, dei cechi come vittima predestinata di Hitler, po-polo imbelle e debole, nazione nemica dell’Italia, verso i quali non siaveva nessun vincolo e interesse6.

Oltre a sposare con entusiasmo la politica di amicizia con laGermania nazionalsocialista, Ciano cercò di dare un’impronta perso-nale alla sua azione internazionale7 puntando a migliorare i rapporticon la Jugoslavia. Mussolini era ormai da tempo favorevole alla ri-conciliazione con Belgrado e lo fece capire pubblicamente in un di-scorso a Milano nel novembre 1936. I dirigenti di Belgrado erano di-sponibili a rafforzare le relazioni con Mussolini. La vittoria italianain Africa orientale e l’occupazione tedesca della Renania mostraronoalla classe dirigente serba che gli equilibri di potere in Europa stava-no mutando e che fondare la propria politica estera esclusivamente sul-la Piccola Intesa e sull’alleanza con la Francia non era più sufficien-

MUSSOLINI, CIANO E IL DECLINO DELL’INFLUENZA ITALIANA 67

5 Per una realistica interpretazione del significato dell’accordo austro-germanico del lu-glio 1936: DDF, II, 2, dd. 432, 444. Si veda anche: KURT SCHUSCHNIGG, Im Kampf gegen Hitler.Die Überwindung der Anschlussidee, Wien, 1969; LUDWIG JEDLICKA, RUDOLF NECK, a curadi, Das Juliabkommen von 1936. Vorgeschichte, Hintergründe und Folgen, Wien, 1977.

6 Ad esempio le dichiarazioni di Ciano all’ambasciatore statunitense Phillips: FRUS, 1938,1, Phillips al Segretario di Stato, 13 maggio 1938, pp. 53-54.

7 Per un giudizio francese sulla personalità di Galeazzo Ciano: DDF, II, 3, d. 380. Unprofilo biografico di Ciano in GIORDANO BRUNO GUERRI, Galeazzo Ciano, Milano, 1985.

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8 Sulla politica di Stojadinović: MILAN STOJADINOVIC, Jugoslavia fra le due guerre,Bologna, 1970; LAMPE, op. cit., p. 163 e ss.; BUCARELLI, Gli accordi Ciano-Stojadinovic, cit.;ID., Mussolini e la Jugoslavia, cit.; JACOB B. HOPTNER, Yugoslavia in Crisis 1934-1941, NewYork, 1962; ANTONIO TASSO, Italia e Croazia, Macerata, 1967, vol. 1. Si vedano anche: DDF,II, 3, dd. 299, 464; DDF, II, 5, dd. 59, 89, 100, 152, 153, 154, 160, 164, 212, 235.

9 I testi degli accordi del 25 marzo 1937 sono editi in DDI, VIII, 6, d. 340 e allegati.10 La Legazione italiana a Belgrado al Ministero degli Esteri jugoslavo, 25 marzo 1937,

DDI, VIII, 6, d. 340, allegato H.

te a garantire la sicurezza dello Stato. Il presidente del consiglioStojadinović riteneva utile un accordo politico con l’Italia per inde-bolire i movimenti secessionistici croati e bulgaro-macedoni e raffor-zare così la stabilità della Jugoslavia8. Risultato del riavvicinamentofra Italia e Jugoslavia furono gli accordi del 25 marzo 1937, consistentiin un trattato di amicizia, in un accordo commerciale e in alcuni scam-bi di note9. Con il trattato di amicizia l’Italia fascista cessò ogni so-stegno agli ustascia croati e rinunciò ai progetti di disgregazione del-la Jugoslavia: infatti Roma e Belgrado s’impegnarono a rispettare lerispettive frontiere marittime e terrestri e a non ricorrere alla guerracome strumento di politica nazionale e per risolvere conflitti o dissi-di fra i due Paesi. In una nota verbale segreta il governo italiano pro-mise l’internamento dei capi croati in esilio, il possibile invio di al-tri esuli croati nelle colonie africane e la comunicazione di liste allapolizia di Belgrado con i nominativi dei separatisti presenti sul terri-torio italiano e il loro luogo d’internamento e confino10. In un altroscambio di note i due governi promisero di rispettare la sovranità, l’in-dipendenza politica e l’integrità territoriale dell’Albania: l’Italia, inparticolar modo, s’impegnò a non ricercare alcun esclusivo vantag-gio politico od economico che potesse compromettere l’indipenden-za albanese e a non fornire aiuto tecnico o finanziario al governo diTirana per lo sviluppo di fortificazioni esistenti o per la costruzionedi nuove. Negli accordi la diplomazia fascista si disinteressò com-pletamente dei problemi della minoranza italiana in Dalmazia, men-tre si dichiarò pronta a considerare con benevolenza la possibilità delripristino dell’insegnamento privato delle lingue croata e slovena edel loro uso per il culto religioso in Venezia Giulia e a Zara, nonchél’eventualità della pubblicazione di giornali e libri in tali lingue.Nell’accordo commerciale i due Paesi s’impegnarono a riconoscersiun’eguaglianza di trattamento nelle relazioni economiche; l’Italia,poi, concesse alla Jugoslavia ampie facilitazioni finanziarie e a livellodi dazi, simili a quelle riservate a Stati amici come Austria e Unghe-

MUSSOLINI, CIANO E IL DECLINO DELL’INFLUENZA ITALIANA 69

11 Accordo supplementare al trattato di commercio e navigazione del 14 luglio 1924 eagli accordi addizionali del 25 aprile 1932, del 4 gennaio 1934 e del 26 settembre 1936, re-lativo all’ampliamento degli scambi commerciali, attualmente esistenti fra i due paesi, non-ché allo sviluppo dei rapporti economici generali, fra l’Italia e la Jugoslavia, in DDI, VIII, 6,d. 340, allegato L.

12 LAMPE, op. cit., pp. 181-183. Sulla penetrazione commerciale germanica in Jugoslavianegli anni Trenta: JOHANN WUESCHT, Jugoslawien und das Dritte Reich. Eine dokumentier-te Geschichte der deutsch-jugoslawischen Beziehungen von 1933 bis 1945, Stuttgart, 1969,p. 79 e ss.

13 BUCARELLI, Gli accordi Ciano-Stojadinović, cit., p. 390.14 DE FELICE, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario, cit., p. 401 e ss.; BUCARELLI, Gli

accordi Ciano-Stojadinović, cit., pp. 392-4.15 DDI, VIII, 6, d. 345.

ria11: l’obiettivo era riconquistare quell’importante fetta del commer-cio jugoslavo che era stata italiana fino al 1935, ma che era andata per-sa a vantaggio della Germania dopo le sanzioni economiche che laSocietà delle Nazioni aveva imposto all’Italia a causa dell’aggressio-ne all’Etiopia12. Come ha constatato Massimo Bucarelli, gli accordidel marzo 1937 erano un successo della diplomazia jugoslava «che mi-gliorò in generale i difficili rapporti con l’Italia, riuscì a reinserirsi inqualche modo nella politica albanese, ed eliminò uno dei principali so-stegni esterni al separatismo croato, proprio quando il Reggente Paoloe Stojadinović erano alla ricerca di un chiarimento con Maček per farpartecipare il Partito contadino croato alle responsabilità di governoe coinvolgere così la componente croata nella vita politica del Paese»13.L’Italia fascista aveva fatto queste concessioni perché nel nuovo sce-nario della politica estera italiana aperto dalla guerra d’Etiopia, ovverola progressiva crisi della collaborazione con la Gran Bretagna e laFrancia e l’avvicinamento alla Germania hitleriana, l’intesa conBelgrado rafforzava non poco la posizione strategica del regime fa-scista14. Ciano giudicò gli accordi del 1937 un suo grande successo per-sonale, il primo passo verso la creazione di una vera e propria allean-za fra Italia e Jugoslavia, che lui considerava complementare a quellaitalo-tedesca, in quanto serviva a controllare la penetrazione economicae politica della Germania hitleriana nella regione, preservando una for-te influenza italiana nei Balcani occidentali e nella regione adriatica.Era un’alleanza che avrebbe avuto, a suo avviso, un carattere ancheideologico, perché Ciano riteneva Stojadinović non solo un sinceroamico dell’Italia, ma anche un vero leader fascista15, desideroso di crea-re in Jugoslavia un regime simile a quello mussoliniano.

Le speranze fasciste di un duopolio italo-tedesco in Europa cen-

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16 DDI, VIII, 8, dd. 147, 148, 153, 157, 165, 166, 167.17 DDI, VIII, 8, d. 235.18 Ibidem.19 DDI, VIII, 8, dd. 275, 276.20 DDI, VIII, 8, dd. 284, 285, 286, 292, 293, 298. Per un’analisi complessiva

dell’Anschluss rimandiamo a: RUDOLF NECK, ADAM WANDRUSZKA, a cura di, Anschluß 1938,München, 1981.

21 DDI, VIII, 8, d. 296.

trale svanirono rapidamente nel corso del 1938. Hitler non si accon-tentò di un’Austria alleata e amica della Germania, ma volle proce-dere rapidamente all’annessione. Nel febbraio 1938, senza consulta-re l’amico italiano, impose al governo di Vienna dei nuovi accordi chedovevano intensificare la nazificazione dell’Austria16. A Roma si capìche la Germania stava accelerando la sua azione distruttiva dell’indi-pendenza austriaca, ma si decise di non fare nulla per ostacolarla e fre-narla. In un appunto autografo del 27 febbraio, pochi giorni dopo unbellicoso discorso di Hitler al Reichstag, Mussolini affermò che spet-tava in primo luogo all’Austria, piuttosto che all’Italia, «mostrare coni fatti che vuole essere e restare indipendente»17. L’Italia fascista nonera disposta a danneggiare i rapporti con la Germania per frenarel’Anschluss:

È nell’interesse dell’Italia – scrisse Mussolini – che l’Austria resti unostato indipendente: tale interesse però non è tale che meriti di essere difesocon una guerra e nemmeno col capovolgimento delle nostre posizioni politi-che nei confronti della Germania. […] Poiché l’Italia scarta l’eventualità diopporsi colla forza all’Anschluss, è chiaro che se tale evento deve verificar-si, è meglio che non si faccia contro l’Italia18.

Di fronte ai tentativi di Schuschnigg di reagire all’assorbimento for-zato con la proclamazione di un plebiscito19, Hitler fece invaderel’Austria dalle sue forze armate (il 12 marzo 1938) e impose l’annes-sione al Reich germanico20. Dopo aver messo Roma di fronte ad unfatto compiuto, l’unica concessione fatta da Hitler fu l’invio di una let-tera a Mussolini contenente la promessa di considerare chiusa per sem-pre la questione dell’Alto Adige riconoscendone l’appartenenzaall’Italia21. La lettera, però, nonostante le richieste italiane, non fu pub-blicata in Germania. L’Anschluss costituì una dura sconfitta politicaper l’Italia fascista. L’unione dell’Austria alla Germania, pur da tem-po prevista da Mussolini, era un grave scacco per il fascismo presso

l’opinione pubblica italiana, che vedeva risorgere ai propri confini set-tentrionali un grande Stato tedesco22, e diffuse preoccupazione in mol-ti diplomatici ed esponenti fascisti23. Gli eventi austriaci mostraronoche la guerra d’Etiopia aveva fortemente indebolito la posizionedell’Italia in Europa: il gioco di sponda fra Berlino, Londra e Parigiera ormai sempre più difficile per la diplomazia fascista a causa deldeterioramento dei rapporti bilaterali con francesi e britannici provo-cato dal conflitto in Africa orientale, e l’Italia si trovava ormai costrettaa subire le iniziative di Hitler, perdendo peso e forza internazionale24.La reazione della diplomazia fascista alla scomparsa dell’Austria in-dipendente fu consolarsi con la speranza che, dopo l’Anschluss, l’Italiafosse divenuta il primo «grande creditore della Germania nazionalso-cialista»25, e che, quindi, in futuro i tedeschi avrebbero tenuto contodei desiderata italiani. In realtà, osservatori più acuti, come, ad esem-pio, l’addetto militare italiano in Germania, Marras, si facevano po-che illusioni sulle intenzioni dei circoli di Berlino. Il 14 marzo 1938Marras constatò come il successo austriaco avesse galvanizzato il re-gime nazionalsocialista e rafforzato le sue componenti più estremiste.Crescevano la forza e l’influenza della Germania nel bacino danubia-no. Il successo austriaco aveva potenziato l’aggressività della politi-ca estera nazionalsocialista:

I risultati raggiunti confermeranno la Germania hitleriana nella sua lineapolitico-militare. Sviluppare al massimo gli armamenti per profittare con laminaccia della violenza, di ogni possibile occasione. Nuovi obiettivi che sipresentano a scadenza più o meno breve: Cecoslovacchia, corridoio polacco,Memel. Nei nostri riguardi, la lettera del Führer – che i giornali tedeschi nonhanno pubblicato – contiene un’assicurazione esplicita per l’Alto Adige. Sulvalore effettivo di tale dichiarazione non conviene fare molto assegnamento.È caratteristico della mentalità dei tedeschi di torcere con cavilli e sofismi le

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22 DE FELICE, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario, cit., p. 474 e ss.; GALEAZZO CIANO,Diario 1936-1943, Milano, 1990, p. 110 e ss. Al riguardo anche DDF, II, 8, dd. 388, 414, 423,454, 486.

23 Si vedano le dichiarazioni di Magistrati all’ambasciatore statunitense Wilson: FRUS,1938, 1, Wilson al Segretario di Stato, 13 marzo 1938, pp. 434-437. Sulle reazioni italianeall’Anschluss: DDS, 12, dd. 230, 232. Sulla figura di Massimo Magistrati si vedano le me-morie: MASSIMO MAGISTRATI, L’Italia a Berlino, Milano, 1956.

24 Al riguardo le riflessioni del diplomatico statunitense Messersmith: FRUS, 1938, 1,Memorandum by the Assistant Secretary of State (Messersmith) to the Secretary of State, 18febbraio 1938, pp. 17-24.

25 DDI, VIII, 8, Magistrati a Ciano, 12 marzo 1938, d. 305.

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26 DDI, VIII, 8, nota 1 a d. 325, Marras al Ministero della Guerra, 14 marzo 1938.Sull’attività di Marras a Berlino: SERGIO PELAGALLI, Il generale Efisio Marras addetto mili-tare a Berlino 1936-1943, Roma, 1994.

27 DDI, VIII, 8, dd. 308, 310, 323, 353, 406, 407, 509, 523; DDI, VIII, 9, dd. 11, 153,364.

28 DDI, VIII, 9, d. 87. Sul Vallo del Littorio: MALTE KÖNIG, Kooperation als Machtkampf.Das Faschistiche Achsenbündnis Berlin-Rom im Krieg 1940/41, Köln, 2007, p. 238 e ss.

29 MARIO TOSCANO, Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige, Roma-Bari, 1967;LEOPOLD STEURER, Südtirol zwischen Rom und Berlin 1919-1939, Wien-München, 1980;STEININGER, Südtirol 1918-1999, cit.

situazioni e di creare in se stessi una particolare psicosi che li porta ad attri-buire agli avversari l’inosservanza degli accordi. Non si dimentichi che nel-la Feldherrnhalle, la grande loggia degli eroi, di Monaco figura tra gli scudidedicati alle terre irredente anche quello del Süd-Tirol26.

Nelle settimane successive all’Anschluss, la ripresa dell’agitazio-ne politica tedesca in Alto Adige, fomentata dai circoli nazionalso-cialisti tirolesi e austriaci, nonostante la promessa di Hitler di consi-derare il Brennero il confine immutabile fra Italia e Germania, creòulteriore preoccupazione nell’elite fascista27. Mussolini cominciò apensare alla preparazione di grandi fortificazioni militari sulle Alpi (ilcosiddetto «Vallo Littorio») al confine con la Germania28, delle qualiordinò la costruzione nei mesi successivi. La classe dirigente fascista,inoltre, iniziò a riflettere con favore sulle vaghe proposte di trasferi-mento in Germania di gran parte delle popolazioni altoatesine di lin-gua tedesca in passato avanzate da dirigenti nazisti come Göring29.Contemporaneamente, nel Duce maturò il convincimento della ne-cessità della futura conclusione di un formale trattato di alleanza conla Germania, finalizzato a proteggere le spalle dell’Italia in caso discontro militare con la Francia, ma necessario anche per assicurare al-la diplomazia fascista il possesso di uno strumento per controllare evincolare la libertà d’azione di Hitler. I tempi, però, non furono rite-nuti ancora maturi per tale accordo, anche a causa della diversità d’i-dee con i tedeschi circa il contenuto della futura alleanza.

La fine dell’indipendenza austriaca fece crollare rapidamente l’in-fluenza italiana in Europa centrale e aprì la strada all’egemonia ger-manica. Nel corso del 1938 contemporaneamente alla perdita di pesodi Francia e Italia, a lungo Potenze predominanti nell’Europa balcani-ca e danubiana, si assistette all’emergere di un inedito duello politicofra Londra e Berlino, con le due diplomazie in lotta per affermare larispettiva influenza nella regione. La Germania sviluppò una penetra-

zione economica e commerciale in Ungheria, Jugoslavia, Romania eBulgaria che emarginò sempre più l’Italia30. Il governo di Londra, daparte sua, cercò di rafforzare le sue posizioni nei Balcani e nelMediterraneo orientale, intensificando la propria azione in Jugoslaviae Romania, favorendo il miglioramento dei rapporti fra Grecia eTurchia e stimolando la riconciliazione fra Bulgaria, Grecia, Turchia31.Dopo l’Anschluss il governo di Roma si pose l’obbiettivo di compete-re con la crescente influenza della Germania mediante il rafforzamen-to dei rapporti con Ungheria, Romania, Polonia e Jugoslavia. Le spe-ranze di intensificare le relazioni con l’Ungheria si scontrarono con ilcrescente interesse magiaro a collaborare con Berlino per potere par-tecipare all’eventuale smembramento della Cecoslovacchia32. I tenta-tivi di migliorare i rapporti con la Polonia e la Romania pure non die-dero molti risultati: nonostante la propensione del ministro degli Esteripolacco, Beck, e dei leader romeni a mantenere buoni rapporti conRoma, il deterioramento delle relazioni dell’Italia con Francia e GranBretagna rendeva difficile la concretizzazione di un’intima collabora-zione politica ed economica con il governo di Mussolini33. In questocontesto piuttosto inquietante, i buoni rapporti con la Jugoslavia di-vennero ancora più necessari e vitali per l’Italia34. Per Ciano l’avanza-ta della Germania verso il Brennero rendeva urgente l’alleanza italo-jugoslava. Annotò a tale riguardo nel suo diario il 17 febbraio 1938:

Ho parlato con Christich [ministro plenipotenziario jugoslavo a Roma]della situazione austriaca. A cuore aperto: Italia e Jugoslavia sono in un’i-dentica posizione di fronte al pangermanesimo. Loro peggio di noi: perchésono meno forti e perché non hanno una così salda barriera naturale di fron-tiere. […] È indispensabile che i legami tra Roma e Belgrado vengano an-cora rafforzati e conviene tenere sempre presente che anche l’Ungheria e laPolonia si trovano in situazione analoga. Christich era d’accordo. Penso che

MUSSOLINI, CIANO E IL DECLINO DELL’INFLUENZA ITALIANA 73

30 DGFP, D, 5, dd. 154, 155, 159, 166, 181, 201, 250; DDF, II, 11, d. 381. Sulla politi-ca estera tedesca alla fine degli anni Trenta: ANDREAS HILLGRUBER, La distruzione dell’Europa,Bologna, 1991, pp. 133-152, 167-193.

31 DDF, II, 10, dd. 124, 146.32 A proposito della politica estera ungherese nel 1938: RÉTI, Hungarian-Italian Relations

in the Shadow of Hitler’s Germany 1933-1940, cit., p. 115 e ss.; DGFP, D, 5, dd. 149, 173,177, 182, 183, 214, 215, 252.

33 Sui rapporti fra Italia e Polonia: VALERIO PERNA, Galeazzo Ciano. Operazione Polonia.Le relazioni diplomatiche italo-polacche degli anni Trenta 1936-1939, Milano, 1999.

34 DUROSELLE, La politique étrangère de la France. La décadence, cit., p. 325 e ss. ; DEFELICE, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario, cit., p. 454 e ss.

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35 CIANO, Diario, cit., p. 100. Per un’interpretazione delle relazioni italo-jugoslave in que-gli anni: DDS, 12, d. 67 e allegato.

36 Ciano a Mussolini, 2 maggio 1938, DDI, VIII, 9, d. 42.37 DDI, VIII, 8, d. 242.38 CIANO, Diario, cit., p. 137 e ss.39 A proposito dell’atteggiamento italiano di fronte alla crisi dei Sudeti: DDS, 12, dd. 391,

403, 406.40 Al riguardo: DDI, VIII, 10, dd. 4, 12, 24, 30, 56, 101; CIANO, Diario, cit., p. 172 e ss.

bisogna ormai studiare un’alleanza con la Jugoslavia. L’Asse orizzontale po-trà permettere l’esistenza dell’Asse verticale35.

Secondo Ciano, la creazione di stretti rapporti politici con laJugoslavia era ormai così importante da spingerlo, fra il 1938 e l’ini-zio del 1939, a considerare, in caso di occupazione italiana dell’Al-bania, l’eventualità di concedere compensi territoriali agli jugoslavi,o di procedere con loro ad una spartizione del Regno albanese36. Inrealtà il progetto di un’Asse orizzontale, di un’alleanza italo-jugosla-va, non riuscì a concretizzarsi. L’ascesa politica della Germania hi-tleriana e la sua penetrazione economica nell’Europa centro-orienta-le ridimensionarono fortemente l’influenza italiana anche in Jugoslaviae resero la classe dirigente jugoslava restia a legarsi in modo esclusi-vo con l’Italia. Lo stesso Stojadinović, l’uomo su cui si appuntavanotutte le speranze di Ciano, preferiva mantenere un certo equilibrio fraRoma e Berlino. Le vicende cecoslovacche, poi, mostrarono con chia-rezza le crescenti difficoltà dell’Italia in Europa centrale.

Era per molti evidente che l’indipendenza dell’Austria e la so-pravvivenza della Cecoslovacchia erano fortemente collegate e diffi-cilmente potevano disgiungersi37, e che, quindi, dopo l’Anschluss ladislocazione dello Stato cecoslovacco ad opera di Hitler sarebbe av-venuta in tempi rapidi. Ciano e la diplomazia fascista dimostraronodisinteresse verso la questione cecoslovacca38. Sia il Ministero degliEsteri che l’Ambasciata italiana a Berlino pensavano che la Germaniaintendesse agire contro la Cecoslovacchia gradualmente e nel medioperiodo. Solo il 18 agosto 1938, grazie ad una comunicazione del-l’addetto militare a Berlino, Marras, si capì anche a Roma che la spar-tizione della Cecoslovacchia era un obiettivo immediato dellaGermania. L’Italia, comunque, si rivelò impreparata alla crisi ceco-slovacca del settembre 193839, con il governo di Berlino ben attentoa non trasmettere a Roma chiare informazioni sulle proprie intenzio-ni. Mussolini ebbe un atteggiamento incerto ed oscillante40. Da una

parte, dichiarò ai suoi più stretti collaboratori di auspicare lo scoppiodi una guerra europea e di essere pronto a lanciare l’esercito italianoa fianco della Germania nel conflitto contro la Francia. Dall’altra,cercò di ritagliarsi un ruolo nella crisi, presentandosi come colui chedifendeva le richieste di ungheresi e polacchi di partecipare alla spar-tizione dei territori cecoslovacchi e come lo statista pacificatore, ca-pace di mediare fra Berlino, Londra e Parigi41. Ma quella di Mussolinifu un’azione diplomatica incerta e debole42, tutta orientata all’esecu-zione dei desiderata tedeschi, come si vide chiaramente nel corso del-la Conferenza di Monaco. Dopo l’accordo concluso da Francia,Germania, Italia e Gran Bretagna a Monaco, che sancì l’annessionetedesca dei territori cecoslovacchi dei Sudeti, il governo italiano sisforzò di perseguire un’azione diplomatica finalizzata a fare appari-re l’Italia quale grande Potenza che preservava un’influenza decisi-va in Europa centrale. Ciano s’impegnò per favorire la realizzazionedelle rivendicazioni territoriali ungheresi a spese dei cecoslovacchie per attribuire all’Italia il merito di tali mutamenti di confine. Nona caso, l’Arbitrato di Vienna, con il quale Germania e Italia decise-ro i confini fra Cecoslovacchia e Ungheria all’inizio di novembre, fuconsiderato da Ciano un grande successo: l’Arbitrato era, a suo av-viso, «il sigillo sul fatto che ogni influenza franco-britannica è crol-lata per sempre nell’Europa danubiana e balcanica. Un evento gi-gantesco»43. Il favore di Ciano verso il rafforzamento dell’Ungheriaera da lui giustificato con la volontà di costruire un nuovo blocco do-minato da Roma in Europa centrale, composto da Italia, Ungheria eJugoslavia44. Nei mesi successivi, la distruzione dello Stato cecoslo-vacco45 e la violazione degli accordi di Monaco ad opera dellaGermania, iniziative condotte senza consultare preventivamente il go-

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41 Si veda l’analisi di RÉTI, Hungarian-Italian Relations in the Shadow of Hitler’sGermany 1933-1940, cit., p. 128 e ss.

42 Istruttiva, a tale riguardo, è la vicenda dei tentativi di Ungheria e Polonia di creare undiretto contatto territoriale fra i due Paesi (il cosiddetto corridoio ungherese-polacco) attra-verso la conquista magiara della Rutenia subcarpatica. Inizialmente la diplomazia fascista sidimostrò assai favorevole a questo progetto magiaro-polacco; ma appena percepì l’ostilità te-desca alla creazione di un corridoio diretto fra ungheresi e polacchi, Mussolini divenne unavversario del piano magiaro. Al riguardo: DDI, VIII, 10, dd. 59, 60; DDI, VIII, 11, dd. 15,58; DDF, II, 11, dd. 219, 284; DDF, II, 12, dd. 3, 67, 92, 191, 222; CIANO, Diario, cit., p. 196.

43 CIANO, Diario, cit., p. 203.44 CIANO, Diario, cit., p. 226.45 DGFP, D, 4, dd. 202, 222, 225, 227, 228, 229; DBFP, III, 4, dd. 203, 220, 254, 256,

258, 272; DDF, II, 15, dd. 36, 43, 54, 75.

verno di Roma46, indicarono l’erroneità delle valutazioni di Ciano.Nel marzo 1939 l’occupazione germanica della Boemia e Moravia

e l’indipendenza della Slovacchia, posta sotto la protezione dellaGermania, provocarono una grave crisi interna all’establishment fa-scista47. Pure i politici e i diplomatici più filotedeschi, ad esempioAttolico, constatarono l’imprevedibilità e l’inaffidabilità del gover-no nazionalsocialista, e la difficoltà nel gestire in modo proficuo ilrapporto con Berlino48. Fra i politici fascisti si sparse il timore di unpossibile futuro colpo di forza tedesco in Jugoslavia in nome delladifesa dei croati contro il dispotismo serbo. A questo proposito il se-natore dalmata Alessandro Dudan scrisse a Mussolini il 22 marzo1939:

La Germania – se non vi sono contrastanti accordi precisi con l’Italia (epoi: fino a qual punto sarebbero impegnativi?) – può adoperare oggi i croa-ti, come ha adoperato ieri gli slovacchi, per arrivare attraverso le varie gra-dazioni di protettorato, protezione, unione doganale ecc. al dominio sullaSlovenia, sulla Croazia e sulla Dalmazia, cioè sulla costa adriatica militar-mente più importante, da Sussak a Cattaro. La Germania potrebbe agire dasola mettendosi in contatto diretto con Lubiana e con Zagabria […]; oppurepotrebbe agire – il che sarebbe più prudente e storicamente più giustificabi-le – aiutando l’Ungheria a riconquistare la Croazia-Slavonia d’accordo congli stessi Croati49.

Nel dalmata Dudan l’espansionismo germanico risvegliava la pau-ra di una nuova egemonia del mondo tedesco nell’Adriatico, simile aquella avuta dall’Impero asburgico. Per scongiurare questo pericolol’Italia fascista, a suo avviso, doveva conquistare nuovi territori adria-tici: l’ostilità ideologica contro lo Stato unitario jugoslavo e il desi-derio dell’annessione italiana della Dalmazia lo spingevano a consi-gliare a Mussolini di agire per fare sì che fosse l’Italia a provocare ladisgregazione della Jugoslavia e a sostenere l’indipendentismo croa-to. Pure in Mussolini vi era una forte preoccupazione riguardo ad una

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46 Al riguardo: DGFP, D, 4, dd. 187, 224, 239, 460.47 CIANO, Diario, cit., p. 264 e ss.; DE FELICE, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario, cit.

Si veda anche: DDF, II, 15, dd. 10, 30, 44, 86, 190, 211.48 DDI, VIII, 11, d. 340.49 ASMAE, Carte di Francesco Salata (d’ora innanzi Carte Salata), b. 142, Dudan a

Mussolini, 22 marzo 1939, allegato a Dudan a Mussolini, 2 agosto 1940. Sulla figura diAlessandro Dudan: MONZALI, Antonio Tacconi e la Comunità italiana di Spalato, cit.

possibile azione tedesca in Jugoslavia. Il 17 marzo Ciano scrisse nelsuo diario:

Il Duce è soprapensiero e depresso. È la prima volta che lo vedo così.Anche nei momenti dell’Anschluss conservava una maggiore spregiudica-tezza. Lo preoccupa il problema croato: teme che Macek proclami l’indi-pendenza e si metta sotto la protezione tedesca: «In tal caso non ci sono al-ternative – egli dice – tranne queste: o sparare il primo colpo di fucile con-tro la Germania o essere spazzati da una rivoluzione che faranno gli stessifascisti: nessuno tollererebbe di vedere la croce uncinata in Adriatico»50.

Dopo alcuni giorni di dubbi e di incertezza, Mussolini decise dimantenere fermo l’orientamento favorevole all’alleanza con laGermania51, ma impartì la nuova direttiva di puntare al controllo po-litico di quei territori adriatici e balcanici (Dalmazia, Albania) rite-nuti parte della sfera vitale italiana, prima che l’espansione germa-nica nei Balcani fosse inarrestabile. Si decise poi di accelerare la so-luzione del problema del trasferimento di parte dei tedeschi altoate-sini in Germania52. Per cercare di bloccare possibili iniziative ger-maniche in Jugoslavia, la diplomazia italiana chiese a Hitler l’impe-gno di non intervenire a favore dei croati e il riconoscimento dei di-ritti esclusivi dell’Italia fascista sull’Adriatico e sul Mediterraneo53.Il 20 marzo l’ambasciatore germanico a Roma, Mackensen, trasmi-se la risposta rassicurante della Germania alle paure italiane:Mackensen assicurò che la Germania non aveva alcuna mira in nes-suna zona del Mediterraneo, ritenuto «mare italiano», e che si disin-teressava completamente della questione croata. Il governo tedesco,poi, prese nota delle dichiarazioni dell’Italia «che non può disinte-ressarsi di eventuali modificazioni dello status quo in Croazia» e pro-clamò:

Come l’Italia si è disinteressata della questione cecoslovacca che dalla

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50 CIANO, Diario, cit. p. 267.51 Sulla crisi della politica estera italiana nel marzo 1939: MARIO TOSCANO, Le origini

diplomatiche del patto d’Acciaio, Firenze, 1956, p. 159 e ss.; DE FELICE, Mussolini il duce.Lo Stato totalitario, cit., p. 585 e ss.; PASTORELLI, Dalla prima alla seconda guerra mondia-le, cit., p. 132.

52 DGFP, D, 6, d. 143, 163; TOSCANO, Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige,cit.

53 Verbale del colloquio Ciano-Mackensen, 17 marzo 1939, edito in TOSCANO, Le origi-ni diplomatiche del patto d’Acciaio, cit., pp. 162-163. Si veda anche DGFP, D, 6, d. 15.

Germania è stata risolta in rispondenza alle sue necessità ed ai suoi interes-si, così, se sorgerà la questione croata, sarà il turno per la Germania di di-sinteressarsi al cento per cento di tale problema, lasciandone la soluzioneall’Italia54.

Queste dichiarazioni di Mackensen furono confermate da una let-tera di Ribbentrop, ministro degli Esteri tedesco, datata 20 marzo econsegnata il pomeriggio del 21: i due documenti vennero considera-ti dal governo fascista il riconoscimento formale del diritto italiano diincludere i territori croati nella propria sfera d’influenza esclusiva edi disporne a proprio piacimento55.

La fine della Cecoslovacchia segnò definitivamente il declino del-l’influenza italiana in Europa centrale di fronte all’emergere dello stra-potere hitleriano56. A partire dal marzo 1939 l’Italia fascista si rasse-gnò a divenire progressivamente marginale in quella parte dell’Europa,consolandosi con il sogno dell’Adriatico e del Mediterraneo quali zo-ne appartenenti alla sfera d’influenza esclusiva italiana nel futuro si-stema internazionale dominato dalle Potenze fasciste57. La speranzadi Stati come l’Ungheria e la Polonia di trovare nell’Italia fascista unpotenziale partner per frenare la minacciosa e pervasiva influenza del-la Germania hitleriana si rivelò illusoria58, in quanto Mussolini avevaormai di fatto dato carta bianca a Hitler in tutta l’Europa centro-orien-tale pur di assicurarsi alcune future conquiste nei Balcani adriatici enelle regioni mediterranee. È quanto lo stesso Mussolini dichiarò al-l’elite fascista il 21 marzo 1939: l’Italia, ormai, doveva cercare di chiu-dere l’Adriatico alla Germania e concentrarsi sulla creazione di una

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54 Verbale redatto da Ciano, 20 marzo 1939, edito in TOSCANO, Le origini diplomatichedel patto d’Acciaio, cit., p. 169.

55 Ribbentrop a Ciano, 20 marzo 1939, edito in DGFP, D, 6, d. 55 e in TOSCANO, Le ori-gini diplomatiche del patto d’Acciaio, cit., pp. 169-171.

56 Si vedano le dichiarazioni di Ribbentrop ai governanti ungheresi alla fine di aprile 1939:DGFP, D, 6, d. 295.

57 Interessanti a questo riguardo le dichiarazioni di Mussolini ai dirigenti ungheresi nel-l’aprile 1939: GYÖRGY RÉTI, I rapporti italo-ungheresi Aprile-Maggio 1939, «Rivista di StudiPolitici Internazionali», 1994, n. 242, pp. 233-248; ID., Hungarian-Italian Relations in theShadow of Hitler’s Germany 1933-1940, p. 163 e ss. Sui nuovi equilibri nei rapporti italo-te-deschi si vedano i verbali dei colloqui Mussolini-Göring nell’aprile 1939: DGFP, D, 6, dd.205, 211.

58 Al riguardo i colloqui di Mussolini e Ciano con ungheresi e polacchi nel corso del1939: GYÖRGY RÉTI, Relazioni italo-ungheresi Giugno-Agosto 1939, «Rivista di StudiPolitici Internazionali», 1994, n. 244, pp. 531-546; PERNA, Galeazzo Ciano, operazionePolonia. Le relazioni diplomatiche italo-polacche degli anni Trenta, 1936-1939, cit.

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59 DDI, VIII, 11, d. 415.60 DDI, VIII, 11, dd. 153, 156, 162, 182, 198, 199; PIRJEVEC, Il giorno di San Vito, cit.;

LAMPE, op. cit., p. 194 e ss.; STOJADINOVIC, op. cit., p. 299 e ss.; DONALD C. WATT, 1939. Comescoppiò la guerra, Milano, 1939, p. 266 e ss.

61 DE FELICE, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario, cit., p. 320 e ss., p. 467 e ss.;DUROSELLE, La politique étrangère de la France. La décadence, cit., p. 389 e ss.; GIGLIOLI,op. cit., p. 534 e ss.; BOLECH CECCHI, Non spezzare i ponti con Roma. Le relazioni fra l’Italiae la Gran Bretagna dall’accordo di Monaco alla seconda guerra mondiale, cit.; QUARTARARO,Roma fra Londra e Berlino, cit.

62 Sui contatti italiani con il separatismo croato e con il Partito contadino croato: DDI,VIII, 11, dd. 256, 280, 308, 316, 353, 380, 406.

63 CIANO, Diario, cit., pp. 262, 269, 274; JUSO, op. cit., p. 125 e ss.; ALFREDO BRECCIA,Jugoslavia 1939-1941. Diplomazia della neutralità, Milano, 1978.

propria sfera d’influenza esclusiva nel Mediterraneo59. L’evoluzionepolitica interna jugoslava nei primi mesi del 1939 contribuì a favori-re la decisione dell’Italia fascista di riprendere i vecchi disegni espan-sionistici contro Belgrado. Nella classe dirigente serba la volontà diStojadinović di creare un forte legame politico con l’Italia trovò nonpochi critici, sostenitori piuttosto dell’allineamento della Jugoslavia auna delle due sole grandi Potenze europee rimaste, la Germania o laGran Bretagna. Criticato per la sua politica estera, incapace di risol-vere il contenzioso politico con l’opposizione croata, ormai resa piùforte dalle crescenti simpatie tedesche per la sua causa, Stojadinovićvenne destituito dal reggente Paolo all’inizio del febbraio 1939; il nuo-vo governo, più filo-occidentale, fu guidato dal serbo Cvetković60. Lacaduta di Stojadinović fu accolta negativamente a Roma, dove venneinterpretata come una manovra franco-britannica in senso anti-italia-no. I tentativi del principe Paolo di seguire una politica più equidistantefra Roma e Londra crearono diffidenza e sospetti nell’Italia fascista ein Mussolini in particolare, che tornò a considerare lo Stato jugosla-vo un potenziale nemico in caso di conflitto italo-britannico61.Progressivamente le relazioni italo-jugoslave iniziarono a deteriorar-si. Il risorgere del disegno di favorire la disgregazione della Jugoslaviafu confermato dalla ripresa del sostegno italiano al separatismo croa-to62 e dalla fine dell’ostracismo verso i capi del movimento degli usta-scia a partire dal marzo 193963. La speranza dell’Italia era di usare almomento opportuno gli ustascia per provocare una rivolta in Croaziae l’occasione di un intervento militare italiano che portasse al crollodello Stato jugoslavo. Tali speranze, però, risultarono vane perché gliustascia erano deboli e disorganizzati in Croazia, dove la forza poli-tica egemone era il partito contadino guidato da Maček, sostenuto dal-

la Chiesa cattolica, partito che puntava a sfruttare le simpatie italianee tedesche per raggiungere un compromesso croato-serbo che rico-noscesse una larga autonomia ai territori croati all’interno di unaJugoslavia federale e decentralizzata. La conquista italiana dell’Alba-nia nell’aprile 193964, avvenuta senza consultare gli jugoslavi, peg-giorò ulteriormente i rapporti fra Roma e Belgrado. Le mire ostilidell’Italia spinsero il governo fascista a sostenere l’irredentismo al-banese in Kosovo, usato sia per guadagnarsi le simpatie degli alba-nesi recentemente conquistati sia per tenere «un pugnale piantato neldorso alla Jugoslavia»65. La conclusione del Patto d’Acciaio nel mag-gio 193966, alleanza sia difensiva che offensiva fra Italia fascista eGermania hitleriana, indicò la crescente inclinazione italiana a prepa-rarsi ad un ulteriore uso della forza per costruire il proprio spazio vi-tale nell’Adriatico e nel Mediterraneo: Jugoslavia e Grecia erano frai possibili obiettivi di questa espansione. Un elemento di freno alle vel-leità di Mussolini fu comunque la volontà della Germania di non crea-re instabilità nei Balcani in vista del progettato attacco alla Polonia.La Germania aveva ormai conquistato l’egemonia economica e fi-nanziaria in Jugoslavia e preferiva attrarre lo Stato jugoslavo in unacoalizione egemonizzata da Berlino piuttosto che distruggerlo67. Il go-verno jugoslavo cercò di reagire alla crescente minaccia italiana svol-gendo una complessa trama diplomatica che, pur incentrata sulla di-fesa di una posizione di neutralità di fronte al profilarsi dello scontro

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64 BERND J. FISCHER, L’Anschluss italiano. La guerra in Albania (1939-1945), Lecce,2004; FRANCESCO JACOMONI DI SAN SAVINO, La politica dell’Italia in Albania, Bologna, 1965,p. 64 e ss.; ANTONELLA ERCOLANI, L’Italia in Albania: la conquista italiana nei documentialbanesi (1939), Roma, 1999; BORGOGNI, Tra continuità e incertezza. Italia e Albania (1914-1939), cit.

65 CIANO, Diario, cit., pp. 286-287; LUCA MICHELETTA, La resa dei conti. Il Kosovo,l’Italia e la dissoluzione della Jugoslavia (1939-1941), Roma, 2008.

66 Sulla genesi del Patto d’Acciaio: TOSCANO, Le origini diplomatiche del patto d’Acciaio,cit.; DE FELICE, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario, cit.; PASTORELLI, Dalla prima alla se-conda guerra mondiale, cit. Interessante la reazione della Svizzera all’accordo italo-tedesco:DDS, 13, d. 90, Ruegger a Motta, 24 maggio 1939.

67 Al riguardo: BRECCIA, Jugoslavia, cit.; DDI, VII, 12, dd. 68, 98, 115. Sulla politicaestera della Germania hitleriana: KLAUS HILDEBRAND, The Foreign Policy of the Third Reich,London, 1973; ID., Das vergangene Reich: deutsche Aussenpolitk von Bismarck bis Hitler1871-1945, Stuttgart, 1995; ANDREAS HILLGRUBER, La strategia militare di Hitler, Milano,1986; ID., Storia della seconda guerra mondiale. Obiettivi di guerra e strategia delle gran-di potenze, Bari-Roma, 1994; ID., La distruzione dell’Europa, cit.; GERHARD L. WEINBERG,The Foreign Policy of Hitler’s Germany. Starting World War II 1937-1939, New Jersey, 1994(prima ediz. 1980); MARK MAZOWER, Hitler’s Empire. Nazi Rule in Occupied Europe, London,2008.

fra le Potenze occidentali e gli italo-tedeschi, assicurasse il sostegnodella Germania e della Gran Bretagna al mantenimento dell’integritàterritoriale e dell’indipendenza jugoslava68. Sul piano interno, invece,il reggente Paolo e il governo Cvetković cercarono di raggiungere uncompromesso politico con l’opposizione croata, principale minacciaall’unità del Paese. Nel corso del 1939 si svolsero lunghi negoziati frail governo di Belgrado e il partito contadino croato, che ebbero suc-cesso alla fine di agosto. Allarmato dal diffondersi di notizie sulla pos-sibile conclusione di un patto tedesco-sovietico e sui preparativi mi-litari della Germania in vista di un attacco contro la Polonia, il governodi Belgrado decise di fare grandi concessioni ai croati pur di rag-giungere un accordo che evitasse il rischio dell’internazionalizzazio-ne della questione croata e di un possibile intervento militare italianoo tedesco. Nell’accordo fra il governo e il partito contadino croato, si-glato il 23 agosto 1939, fu decisa la creazione di un nuovo esecutivoCvetković con la partecipazione del capo del partito contadino Maček,nominato vicepresidente del Consiglio, e di vari ministri croati; in piùera concessa un’ampia autonomia amministrativa e politica ai territo-ri definiti croati ed organizzati nella cosiddetta Banovina croata, co-stituita da Croazia, Slavonia, Dalmazia ed Erzegovina69. Lo scoppiodella seconda guerra mondiale, quindi, avvenne poco dopo che laJugoslavia, grazie all’accordo con Maček, era riuscita a stabilizzarela propria situazione interna. L’impreparazione militare italiana e l’in-certezza dell’esito della guerra fra tedeschi e anglo-francesi consi-gliarono al governo fascista di rimandare l’intervento nel conflitto bel-lico e quindi resero impossibile al Duce, per il momento, di cercaredi realizzare le sue mire anti-jugoslave.

L’inizio della guerra mondiale nel settembre 1939 ebbe luogo altermine di un processo di progressivo ridimensionamento dell’in-fluenza italiana in Europa centrale a vantaggio di quella germanica.Agli occhi dell’establishment fascista l’ascesa della Germania nazio-nalsocialista e l’avvicinamento dell’Italia a Berlino erano state unagrande opportunità. La trasformazione dello Stato tedesco nella Po-

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68 Sulla politica estera jugoslava fra il 1939 e il 1941 rimane fondamentale il volume diBRECCIA, Jugoslavia, cit. Si veda anche: HOPTNER, op. cit.; WATT, op. cit., p. 373 e ss.;DRAGOLJUB R. ŽIVOJINOVIC, Yugoslavia, in NEVILLE WYLIE (a cura di), European Neutrals andNon-Belligerants during the Second World War, Cambridge, 2002, p. 217 e ss.

69 BRECCIA, Jugoslavia, cit., 182 e ss.; PIRJEVEC, Il giorno di San Vito, cit., pp. 104-147;LAMPE, op. cit., p. 195.

tenza egemone sul continente europeo poteva facilitare la realizzazionedei progetti d’espansione imperialistica nell’area mediterranea e l’af-fermazione dell’Italia quale Potenza mondiale. Di fatto, però, a parti-re dal 1936 l’ascesa della Germania indebolì il peso dell’Italia inEuropa e ridimensionò il ruolo di Roma nell’area danubiana e balca-nica. La risposta di Mussolini al sempre più frenetico attivismo tede-sco fu, da una parte, l’acquiescenza alla crescente preponderanza hi-tleriana in Ungheria, Romania e Bulgaria, dall’altra, la preparazionee la realizzazione di propri disegni d’espansione nei Balcani occi-dentali, poiché anche l’Italia doveva procurarsi la sua «parte di botti-no»70 in Croazia, Dalmazia, Albania e Grecia e costruire la sua sferavitale esclusiva nell’Adriatico e nel Mediterraneo71. Va sottolineato,però, che per l’Italia fascista la scelta dell’espansionismo balcanico do-po il marzo 1939 non era un segnale di forza, ma di crescente debo-lezza. Per Mussolini, vittima della sua strategia diplomatica, l’espan-sione adriatica e balcanica nel 1939 era ormai motivata dall’esigenzadi difendere lo spazio vitale italiano non dagli occidentali ma dall’al-leato tedesco. Nel giugno 1940, di fronte al crollo della Francia, rite-nendo sicura la vittoria della Germania nel conflitto europeo,Mussolini spinse l’Italia in guerra contro Francia e Gran Bretagna perpartecipare alla spartizione delle spoglie dei presunti sconfitti.L’obiettivo dell’intervento in guerra era duplice: realizzare lo spaziovitale italiano nel Mediterraneo e in Africa, ma anche rafforzare di-plomaticamente l’Italia fascista di fronte all’inquietante espansionismogermanico, ricostituendo la piena alleanza fra Roma e Berlino, la cuisolidità si era pericolosamente incrinata nel settembre 1939 con la scel-ta italiana della non belligeranza72.

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70 CIANO, Diario, cit., p. 332.71 Sui progetti italiani di creare uno spazio vitale mediterraneo: DAVIDE RODOGNO, Il nuo-

vo ordine mediterraneo. Le politiche di occupazione dell’Italia fascista in Europa (1940-1943),Torino, 2003; H. JAMES BURGWYN, L’Impero sull’Adriatico. Mussolini e la conquista dellaJugoslavia 1941-1943, Gorizia, 2006.

72 Per una ricostruzione della genesi dell’intervento italiano nella seconda guerra mon-diale: GIANLUCA ANDRÈ, La guerra in Europa (1°settembre 1939-22 giugno 1941), Milano,1964, p. 267 e ss.; DE FELICE, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario, cit., p. 794 e ss.; MACGREGOR KNOX, La guerra di Mussolini 1939-1941, Roma, 1984. Si veda anche LEOPOLDONUTI, I problemi storiografici connessi con l’intervento italiano nella seconda guerra mon-diale, «Storia delle relazioni internazionali», 1985, n. 2, pp. 369-391.

1 Sulle relazioni fra Francia e Potenze italo-tedesche dopo il giugno 1940: DUROSELLE,Politique étrangère de la France. L’abîme, cit, p. 232 e ss.; MASSIMO BORGOGNI, Mussolinie la Francia di Vichy: dalla dichiarazione di guerra al fallimento del riavvicinamento italo-francese (giugno 1940-aprile 1942), Siena, 1991.

2 Riguardo alla situazione militare e politica nell’estate 1940: AA.VV., Germany and theSecond World War. III. The Mediterranean, South-east Europe and North Africa, 1939-1941:from Italy’s declaration of non-belligerence to the entry of the United States into the war,Oxford, 1995; HILLGRUBER, La strategia militare di Hitler, cit.; DE FELICE, Mussolini l’al-leato 1940-1945. I. L’Italia in guerra 1940-1943, cit., tomo 1, p. 111 e ss.

3 CIANO, Diario, cit., p. 450 e ss.; ANDRÈ, op. cit., p. 657; BRECCIA, Jugoslavia, cit. I di-segni anti-jugoslavi di Mussolini avevano il pieno sostegno di molti politici fascisti. Si veda,ad esempio, l’appunto che Dudan inviò al Duce: ASMAE, Carte Salata, b. 142, ALESSANDRODUDAN, Appunto per il Duce: Il Bacino dell’Adriatico, con due allegati: I, il testo del me-moriale di Dudan del 22 marzo 1939, II, il testo del discorso di Dudan alla CommissioneFinanza del Senato il 5 marzo 1940.

4 DDI, IX, 5, dd. 431, 451; CIANO, Diario, cit., pp. 458-59; ANDRÈ, op. cit., p. 659.

IV

LO SPAZIO VITALE. L’ITALIA FASCISTA,LA DISGREGAZIONE DELLA JUGOSLAVIA

E LA NASCITA DELLA CROAZIA INDIPENDENTE

Dopo il crollo militare della Francia, l’Italia fascista si lanciò nel con-flitto bellico nella speranza di una guerra rapida e indolore, che con-sentisse la conquista di un lauto bottino con scarso sforzo. Nell’estatedel 1940 gli armistizi della Francia con le Potenze dell’Asse1 e l’evi-dente difficoltà militare della Gran Bretagna, espulsa dall’Europa con-tinentale2, convinsero Mussolini che la guerra contro i nemici princi-pali fosse ormai al termine e che era giunto il momento di saldare iconti con la Jugoslavia e la Grecia. Dopo aver già dato dal maggio1940 l’incarico a Pavelić di organizzare la rivoluzione in Croazia, inluglio Mussolini ordinò all’esercito di prepararsi alla guerra contro laJugoslavia e la Grecia e a Ciano di parlare ad Hitler «della necessitàdi dislocare la Jugoslavia, tipica creazione versagliesca con funzioneantitaliana»3. In quelle settimane, però, i progetti anti-jugoslavi diMussolini si scontrarono con la contrarietà della Germania ad azioniitaliane nei Balcani4. Il capo del governo fascista, dopo aver pensato

ad una guerra lampo contro Belgrado, decise di rinviare il progetto diattacco contro la Jugoslavia5, per poi scegliere di agire solo contro laGrecia in ottobre6. L’invasione della Grecia e la crisi militare italianasul fronte greco alla fine del 1940 convinsero molti generali e lo stes-so Ciano che fosse urgente migliorare i rapporti con la Jugoslavia7. Labenevolenza jugoslava poteva arrecare importanti vantaggi politici emilitari per l’Italia impegnata in una difficile guerra contro l’esercitoellenico: dalla possibilità di sguarnire i confini italo-jugoslavi e di con-centrare tutte le truppe sul fronte greco e su quello africano, alle even-tuali agevolazioni per il trasporto dei rifornimenti alle truppe inAlbania attraverso il territorio jugoslavo. Nel novembre del 1940 il go-verno italiano propose a Belgrado di concludere un trattato di allean-za bilaterale, un tentativo di ricostituire quella collaborazione fra i duePaesi che era cessata con la caduta di Stojadinović nel 19398.L’iniziativa non ebbe buon esito, ostacolata dall’ostilità tedesca ad ogniazione autonoma dell’Italia nei Balcani e dal disinteresse di Mussoli-ni9. Era ormai la Germania che dettava le direttive della politica este-ra fascista. Nel corso dei primi mesi del 1941 la diplomazia tedescas’impegnò in un intenso sforzo per convincere la Jugoslavia ad entrarenella sfera d’influenza germanica e ad aderire al Patto Tripartito, trat-tato d’alleanza concluso fra Italia, Germania e Giappone nel settem-bre 1940. Il 25 marzo il governo di Belgrado firmò a Vienna un ac-cordo che sancì l’adesione jugoslava al Tripartito: lo Stato jugoslavos’impegnava a collaborare politicamente con l’Asse ma non avrebbepartecipato ad operazioni belliche; al momento della disgregazionedella Grecia la Jugoslavia avrebbe ottenuto il controllo della regionedi Salonicco10.

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5 DDI, IX, 5, d. 467.6 ANDRÈ, op. cit., p. 664 e ss.; DE FELICE, Mussolini l’alleato 1940-1945. I L’Italia in

guerra, cit., 1, p. 296 e ss.; LUCA MICHELETTA, La questione della Ciamuria e l’attacco ita-liano alla Grecia del 28 ottobre 1940, «Clio», 2004, n. 3, p. 473 e ss.; MARIO CERVI, Storiadella guerra di Grecia, Milano, 1972 (terza ediz.); EMANUELE GRAZZI, Il principio della fi-ne. L’impresa di Grecia, Roma, 1946; KÖNIG, Kooperation als Machtkampf, cit., p. 177 e ss.

7 Sulle iniziative militari italiane fra 1940 e 1943: DE FELICE, Mussolini l’alleato 1940-1945. I L’Italia in guerra, cit., 1 e 2; LUCIO CEVA, Guerra mondiale. Strategie e industria bel-lica 1939-1945, Milano, 2000, in particolare p. 53 e ss.; EMILIO FALDELLA, L’Italia e la se-conda guerra mondiale. Revisione di giudizi, Bologna, 1967; PIETRO BADOGLIO, L’Italia nel-la seconda guerra mondiale. (Memorie e documenti), Verona, 1946.

8 BRECCIA, Jugoslavia, cit.9 DGFP, D, 12, dd. 15, 85, 97, 175, 182.10 ANDRÈ, op. cit.; KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., p. 352 e ss.; BRECCIA, Jugoslavia, cit.;

Il risorgere di una tendenza aggressiva italiana contro la Jugoslaviasi ebbe, come noto, su impulso tedesco. Il colpo di Stato filo-ingleseed antitedesco contro il governo del reggente Paolo, avvenuto aBelgrado il 27 marzo 194111, provocò una durissima reazione germa-nica. Nonostante i tentativi di alcuni membri del nuovo governo ju-goslavo di convincere Berlino della volontà di Belgrado di mantene-re fede alle intese prese a Vienna12, Hitler decise di punire i «tradito-ri» jugoslavi con una spedizione militare. L’iniziativa fu decisa auto-nomamente dal governo tedesco, senza alcuna consultazione dell’al-leato italiano. Hitler si limitò a comunicare a Mussolini, il 27 marzo1941, la decisione tedesca di attaccare la Jugoslavia, chiedendoall’Italia di non compiere ulteriori operazioni militari in Albania neigiorni successivi e di rafforzare le proprie truppe ai confini con i ter-ritori jugoslavi13. La risposta di Mussolini fu di adesione all’iniziati-va tedesca. In realtà, al di là della retorica del regime, la partecipa-zione italiana all’invasione della Jugoslavia fu caratterizzata, oltre cheda velleità aggressive contro Belgrado, dalla necessità di collaborarecon la Germania per evitare che essa prendesse controllo di territoriimportanti per gli interessi strategici italiani, portando pericolosamentela presenza tedesca troppo a ridosso del mar Adriatico.

Il 6 aprile 1941 le truppe tedesche invasero la Jugoslavia. Era l’i-nizio della guerra d’aggressione contro lo Stato jugoslavo alla qualeparteciparono pure l’Italia, la Bulgaria e l’Ungheria14. Nel giro di po-

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MASSIMO BUCARELLI, Disgregazione iugoslava e questione serba nella politica italiana, inFRANCESCO CACCAMO, LUCIANO MONZALI, L’occupazione italiana della Iugoslavia (1941-1943), Firenze, 2008, p. 11 e ss.; ADAP, XII, 1, dd. 207, 208.

11 Sul colpo di Stato in Jugoslavia avvenuto il 27 marzo 1941: BRECCIA, Jugoslavia, cit.,p. 571 e ss. A proposito del ruolo della Gran Bretagna: ELISABETH BARKER, British Policy inSouth-East Europe in the Second World War, London, 1976, p. 78 e ss.

12 ADAP, D, XII, 1, dd. 221, 234, 235.13 ADAP, D, XII, 1, d. 224.14 Sulla disgregazione della Jugoslavia: STEVAN K. PAVLOWITCH, Hitler’s New Disorder.

The Second World War in Yugoslavia, New York, 2008. Per giustificare l’aggressione dell’Italiacontro la Jugoslavia, il Ministero degli Esteri italiano diramò una dichiarazione il 6 aprile.La giustificazione per questa nuova «pugnalata nella schiena» del governo fascista verso unoStato vicino fu l’invocare le velleità aggressive ed anti-italiane dello Stato jugoslavo. A pa-rere del governo italiano, gli accordi italo-jugoslavi del 1937 erano stati il tentativo di crea-re una politica di leale collaborazione fra Roma e Belgrado. Ad essi l’Italia era rimasta fe-dele anche dopo l’estromissione dal potere di Stojadinović, nonostante ricomparissero inJugoslavia tendenze a favore di una politica di ostilità verso il governo di Roma. Proprio perassicurare l’avvenire della nazione jugoslava, l’Italia aveva ammesso il governo di Belgradoal Patto Tripartito firmando con esso e la Germania l’accordo di Vienna del 25 marzo, forte-mente vantaggioso per la Jugoslavia. Ma i moti militari di Belgrado, che avevano deposto

chi giorni l’esercito jugoslavo – minato dalle diserzioni dei soldati slo-veni e croati, molti dei quali vedevano nell’aggressione germanica l’i-nizio della loro definitiva emancipazione nazionale – crollò. Fra il 12e il 17 aprile le forze armate italiane occuparono i principali centri del-la Dalmazia. Il 15 aprile la divisione Torino occupò Spalato15. Il 18dello stesso mese le ostilità erano già terminate, con la vittoria delleforze dell’Asse.

Già nei giorni precedenti allo scoppio della guerra, la diplomaziagermanica si era messa in moto per intrecciare rapporti con la classedirigente croata, al fine di raccogliere il consenso di questa alla co-stituzione di uno Stato croato indipendente. I tedeschi puntarono ini-zialmente a creare un rapporto privilegiato con il principale partito po-litico croato, il partito dei contadini, guidato da Maček. Il 31 marzoRibbentrop fece sapere a Maček che i piani tedeschi prevedevano ladisgregazione della Jugoslavia e la creazione di una «selbständigesKroatien»; egli, quindi, consigliò al capo croato di cessare ogni for-ma di collaborazione con i serbi e il governo di Belgrado16. Come no-to17, Maček deluse le aspettative germaniche. Il capo del partito deicontadini croati era favorevole ad evitare ogni coinvolgimento delloStato jugoslavo nel conflitto bellico e cercò di convincere i governantidi Belgrado a mantenere una politica filo-tedesca di adesione al Patto

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con la violenza i ministri e la Reggenza firmatari dell’accordo di Vienna, avevano indicatole velleità aggressive della Jugoslavia contro l’Asse. Secondo il Ministero degli Esteri, dal27 marzo il governo jugoslavo era passato con i nemici dell’Asse, minacciando di guerral’Italia e stringendo intese con lo Stato maggiore britannico e quello greco. Di fronte a que-sta situazione «il Governo italiano ha deciso di agire con le sue forze militari, navali ed ae-ree, in istretta collaborazione con quelle della Germania»: Dichiarazione del ministro degliEsteri italiano, 6 aprile 1941, riprodotta in «Relazioni Internazionali», 12 aprile 1941. Si ve-da anche «Relazioni Internazionali», 12 aprile 1941, Liquidazione jugoslava.

15 Sulla occupazione italiana della Dalmazia e dei territori croati: ODDONE TALPO,Dalmazia una cronaca per la storia (1941), Roma, 1985; MONZALI, Antonio Tacconi e laComunità italiana di Spalato, cit.; ERIC GOBETTI, L’occupazione allegra. Gli italiani inJugoslavia (1941-1943), Roma, 2007; RAOUL PUPO, Le annessioni italiane in Slovenia eDalmazia 1941-1943. Questioni interpretative e problemi di ricerca, «Italia contemporanea»,2006, n. 243, pp. 181-211, riedito in ID., Il confine scomparso. Saggi sulla storia dell’Adriaticoorientale nel Novecento, Trieste, 2007, pp. 43-96; NEVA ŽURIC-SCOTTI, Talijanska okupacijaDalmacije 1941-1943. Godine, Split, 1979, (dissertazione di dottorato); DRAGOVAN ŠEPIĆ,Politique italienne d’occupation en Dalmatie 1941-1943, in Les systèmes d’occupation enYugoslavie 1941-1945, Beograd, 1963, pp. 377-424; DRAGAN S. NENEZIĆ, Jugoslovenske obla-sti pod Italijom 1941-1943, Beograd, 1999; TEODORO SALA, Il fascismo e gli slavi del sud,Trieste, 2008.

16 ADAP, D, XII, 1, dd. 238, 239.17 VLADKO MAČEK, In the Struggle for Freedom, New York, 1957; ADAP, D, XII, 1, dd.

241, 246, 251, 262.

Tripartito, provando ad imporre il ritiro dei militari dalla politica edun massiccio ingresso di personalità croate in un nuovo governo ju-goslavo. Il rifiuto di Maček di accettare la disgregazione violenta del-la Jugoslavia e di collaborare con la Germania aprì la strada del po-tere al partito nazionalista radicale degli ustascia, formazione politi-ca minoritaria in Croazia, ma pronta ad assecondare le direttive diHitler. Già a partire dal 4 aprile, i rappresentanti tedeschi a Zagabriaavevano intensificato i contatti con i gruppi ustascia, capitanati daSlavko Kvaternik, ex ufficiale dell’Impero asburgico, cercando di as-secondare i tentativi di questo di indebolire l’influenza di Maček, spac-cando il partito contadino in nome del disegno della Grande Croaziaindipendente18. Se il governo hitleriano mostrò attenzione verso i croa-ti, manifestò invece disinteresse e disprezzo verso gli sloveni, nono-stante questi fossero desiderosi di allearsi con la Germania al fine diconquistare l’indipendenza. Il 5 aprile, per il tramite della Legazioneslovacca a Belgrado, i politici sloveni Kulovec e Krek fecero sapereal governo di Berlino di essere pronti a collaborare con la Germanianazionalsocialista in cambio di una parziale indipendenza slovena odella costituzione di uno Stato congiunto sloveno-croato19. Ma il go-verno nazionalsocialista, sotto l’influenza dei circoli politici dellaCarinzia e della Stiria, desiderava annettere al Reich gran parte dellaSlovenia settentrionale e procedere ad una rapida e forzata germaniz-zazione di quei territori: da qui il disinteresse verso ogni idea di col-laborazione sloveno-tedesca20.

L’Italia fascista era favorevole all’avvento al potere degli ustasciain Croazia, movimento sostenuto da Roma e il cui leader Pavelić vi-veva in esilio a Siena. Dopo il colpo di Stato in Jugoslavia e dopo ave-re conosciuto le intenzioni di Hitler di attaccare militarmente lo Statojugoslavo, Mussolini decise di giocare la carta ustascia. Invitò Pavelića Roma e lo ricevette a colloquio a Villa Torlonia il 29 marzo. Il Ducecomunicò al politico croato il sostegno del regime fascista a favoredella nascita della Croazia indipendente guidata dal partito ustascia21.Il 10 aprile a Zagabria Slavko Kvaternik, a nome del movimento usta-

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18 ADAP, D, XII, 1, dd. 262, 263, 270.19 ADAP, D, XII, 1, d. 273.20 Sulle vicende della Slovenia dopo la disgregazione della Jugoslavia nel 1941: MARCO

CUZZI, L’occupazione italiana della Slovenia (1941-1943), Roma, 1998; TONE FERENC, Laprovincia “italiana” di Lubiana. Documenti 1941-1942, Udine, 1994.

21 KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., pp. 368-370; ANFUSO, Da Palazzo Venezia al Lago diGarda 1936-1945, cit.

scia, proclamò la nascita dello Stato indipendente croato (NezavisnaDržava Hrvatska)22. Poche ore dopo l’esercito tedesco entrava nellacapitale croata salutato con gioia e simpatia dalla popolazione loca-le23. Il giorno successivo, Kvaternik inviò un telegramma a Hitler rin-graziando la Germania a nome del popolo croato per la protezione ga-rantita e chiedendo il riconoscimento diplomatico del nuovo Stato24.Nei giorni successivi Kvaternik e i dirigenti ustascia di Zagabria ri-badirono alle autorità militari e consolari tedesche presenti in città laloro volontà di collaborare con la Germania chiedendo a questa il so-stegno per la costituzione di un esercito croato e l’appoggio contro lerivendicazioni italiane e ungheresi25. Nel frattempo, dopo aver incon-trato nuovamente Mussolini l’11 aprile, Pavelić e gli ustascia esuli inItalia partirono per Zagabria, dove giunsero il 1526. Il governo tede-sco era naturalmente pronto ad accogliere immediatamente la richie-sta croata di riconoscimento diplomatico del nuovo Stato27. Ma, ini-zialmente, il riconoscimento fu ostacolato dall’Italia. Prima del rico-noscimento dello Stato indipendente di Croazia da parte dellePotenze dell’Asse, Mussolini desiderava che fosse precisato il dirittodell’Italia di decidere liberamente ed autonomamente i propri confi-ni con il nuovo Stato croato28. Per superare tale possibile controver-sia, Filippo Anfuso, capo di gabinetto del ministro degli Esteri, fu in-viato in Croazia per negoziare con il capo degli ustascia a tale propo-sito. Partito la mattina del 14 aprile in aereo, nel pomeriggio dello stes-so giorno, a Karlovac, Anfuso incontrò Pavelić che gli diede sufficientie soddisfacenti rassicurazioni circa la libertà dell’Italia di ottenere iconfini desiderati nella costa adriatica. Dopo una frenetica consulta-zione con la diplomazia germanica29 e ottenuta una modifica del te-sto del telegramma di Kvaternik invocante il riconoscimento (con l’in-serimento, voluto dall’Italia, della frase «I Governi delle Potenzedell’Asse saranno lieti di accordarsi liberamente con il Governo Croatoper la determinazione dei confini dello Stato Croato»), la mattina del15 aprile Germania e Italia riconobbero congiuntamente il nuovo Stato

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22 KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., p. 382 e ss.23 ADAP, D, XII, 2, d. 313.24 Il telegramma di Kvaternik a Hitler riprodotto in ADAP, D, XII, 2, d. 311.25 ADAP, D, XII, 2, d. 324.26 KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., p. 419 e ss.27 ADAP, D, XII, 2, d. 331.28 ADAP, D, XII, 2, d. 336; KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., p. 404 e ss.29 ADAP, D, XII, 2, dd. 337, 338, 345.

croato indipendente30. Nel frattempo, alle ore 3 dello stesso giorno,Pavelić era giunto a Zagabria ed aveva assunto i pieni poteri di capodel governo croato. Il riconoscimento diplomatico delle Potenzedell’Asse rafforzò il prestigio e il potere di Pavelić31, che si presentòall’opinione pubblica nazionale come colui che era stato il più deter-minato e intransigente combattente per l’indipendenza croata32. Il ca-po ustascia fece giungere ad Hitler e a Mussolini i suoi più sentiti rin-graziamenti e manifestò ad alcuni diplomatici tedeschi la volontà diseguire ciecamente il Führer e di dimostrare che i croati non erano sla-vi ma appartenevano al germanesimo33.

La crisi politica e poi l’improvviso crollo della Jugoslavia rinfo-colarono le ambizioni italiane d’espansione territoriale nell’Adriaticoorientale. La disgregazione della Jugoslavia – evento che, nell’aprile1941, era ritenuto, dai più, definitivo e immodificabile insieme allapersistenza futura dell’egemonia tedesca sul continente europeo – da-va finalmente l’opportunità di riaprire la questione adriatica sul pia-no territoriale e di vendicare la presunta «sconfitta» subita dall’Italiain sede di negoziati di pace alla fine della prima guerra mondiale. Apartire dalla fine del marzo 1941, Palazzo Chigi cominciò a riceverememorie e comunicazioni sulla questione jugoslava provenienti daesponenti politici di origine dalmata e giuliana34. Scoppiata la guerra,il senatore Antonio Tacconi35, leader politico della minoranza italianain Jugoslavia, aveva lasciato Spalato insieme agli spalatini in posses-so della cittadinanza italiana. Giunto in Italia, Tacconi si attivò, in col-laborazione con i suoi amici Dudan e Salata36, per convincere il go-

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30 DDI, IX, 6, d. 912; ADAP, D, XII, 2, dd. 346, 348, 349, 356.31 ADAP, D, XII, 2, d. 356.32 Sulla storia dello Stato croato indipendente dominato dal movimento ustascia riman-

diamo a: BOGDAN KRIZMAN, Pavelić između Hitlera i Mussolinija, Zagreb, 1980; ID., Ustašei Treći Reich, Zagreb, 1986, due tomi; JURE KRISTO, Sukob simbola. Politika, vjere i ideolo-gie u Nezavisnoj Državi Hrvatskoj, Zagreb, 2001; HRVOJE MATKOVIĆ, Povijest NezavisneDržave Hrvatske, Zagreb, 1994; NEVENKO BARTULIN, The NDH as a ‘Central EuropeanBulwark against Italian Imperialism’: an assessment of Croatian-Italian relations within theGerman “New Order” in Europe 1941-1945, «Review of Croatian History», 2007, n. 1, pp.49-74.

33 ADAP, D, XII, 2, d. 341.34 Al riguardo qualche notizia in ANFUSO, Da Palazzo Venezia al Lago di Garda 1936-

1945, cit., p. 161.35 A proposito di Antonio Tacconi: MONZALI, Antonio Tacconi e la Comunità italiana di

Spalato, cit.36 Sulla figura del senatore Francesco Salata, nato a Ossero nell’isola di Cherso: RICCARDI,

Francesco Salata tra storia, politica e diplomazia, cit.; ID., Per una biografia di Francesco

verno di Roma a rivendicare l’annessione della Dalmazia. Il 14 apri-le i senatori dalmati allineati al fascismo (Tacconi, Dudan, Salata) ealcuni esponenti delle comunità dalmate italiane inviarono un tele-gramma a Mussolini in cui dichiararono di essere certi che sarebbe sta-ta «ridata agli italiani tutta la Dalmazia da Veglia del Carnaroall’Albania»37. Il 15 aprile, quando era ormai chiaro il trionfo deglieserciti dell’Asse sulla debolissima resistenza jugoslava, Tacconi eDudan prepararono alcuni memoriali su determinati aspetti della que-stione dalmatica, che Salata inviò ad Anfuso con la «preghiera di sot-toporre i tre appunti al Duce e di prenderne gli ordini per i provvedi-menti da adottarsi»38. Interessante era soprattutto il primo appunto in-titolato Dell’estensione delle occupazioni in Dalmazia, che trattava laquestione di quanto territorio dalmata l’Italia avrebbe dovuto occuparemilitarmente. Secondo Tacconi e Dudan, «la Dalmazia, nella sua en-tità territoriale coincidente con la provincia del Regno di Dalmazia giàfacente parte del nesso del cessato Impero austriaco, rappresenta un’u-nità storica, che le varie suddivisioni amministrative, alle quali ven-ne assoggettata durante i 23 anni di dominio jugoslavo, non sono riu-scite ad obliterare». Il governo di Roma, quindi, doveva assumere ilcontrollo di tutta la Dalmazia fino al crinale delle Alpi dinariche.Inaccettabile sarebbe stato occupare solo una parte della Dalmazia epensare a soluzioni quali quelle previste dal Patto di Londra dell’a-prile 1915. L’assetto della Dalmazia concepito dal Patto di Londra –annessione italiana di Zara e Sebenico e dei loro hinterland oltre chedi varie isole – incontrava, secondo Tacconi e Dudan, una forte resi-stenza negli stessi dalmati slavi «perché prevedeva una innaturale spar-tizione della regione. In genere, anche nella attuazione delle occupa-zioni di Dalmazia, si deve prescindere da ogni facile ritorno col pen-siero al Patto di Londra, tanto più che il territorio ivi contemplato rap-presentava la parte minore e meno importante della Dalmazia»39. Nonsi poteva rinunciare neppure all’occupazione d’importanti centridella Dalmazia interna come Signo/Sinj, Imoschi/Imotski e Ver-goraz/Vergorac, né a Ragusa/Dubrovnik e Metcovich/Metković.

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Salata, «Clio», 1991, n. 4, p. 647-669. ID., Francesco Salata, il trattato di Rapallo e la po-litica estera italiana verso la Jugoslavia all’inizio degli anni Venti, «Quaderni giuliani diStoria», 1994, n. 2, p. 75-91.

37 TALPO, Dalmazia 1941, cit., p. 60.38 Salata a Anfuso, 15 aprile 1941, DDI, IX, 6, d. 914.39 ALESSANDRO DUDAN, ANTONIO TACCONI, Dell’estensione delle occupazioni in

Dalmazia, allegato I a, Salata a Anfuso, 15 aprile 1941, cit.

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40 ASMAE, GAB 1923-43, AP b. 25, Appunto compilato dal GABAP il 12 aprile 1941.41 Sulla personalità di Pietromarchi: RUTH NATTERMANN, a cura di, I diari e le agende di

Luca Pietromarchi (1938-1940). Politica estera del fascismo e vita quotidiana di un diplo-matico romano del ’900, Roma, 2009; BRUNA BAGNATO, Introduzione, in I Diari di LucaPietromarchi ambasciatore italiano a Mosca (1958-1961), Firenze, 2002, p. VII e ss.

42 FONDAZIONE LUIGI EINAUDI, Carte Luca Pietromarchi, Luca Pietromarchi, Diario, 15aprile 1941.

In quei giorni al Ministero degli Affari Esteri vennero stilati variappunti sulla questione dalmatica e sul problema jugoslavo in previ-sione dei futuri negoziati confinari con tedeschi e croati. In un appuntosulla questione jugoslava, datato 12 aprile e preparato dall’UfficioArmistizio e Pace del Gabinetto40 (Ufficio presieduto da LucaPietromarchi41, incaricato di occuparsi della questione dalmatica e del-la Croazia, quindi uno degli uomini che doveva elaborare le richiesteterritoriali verso il nuovo Stato croato), si prevedeva la futura annes-sione italiana della Dalmazia, la creazione di una Croazia indipen-dente, la spartizione della Slovenia fra Italia e Germania, la soddisfa-zione delle rivendicazioni nazionali magiare, bulgare, albanesi e ro-mene e la ricostituzione di uno Stato serbo, comprendente quello cherestava della Serbia pre-1914 più alcuni territori bosniaci. Dal diariodi Pietromarchi sappiamo che in quei giorni il Ministero degli Esteriera immerso in continue riunioni, essendo anche destinazione di visi-te di esponenti politici e militari desiderosi di esprimere le loro ideesulla questione dei confini jugoslavi. Pietromarchi si dichiarò favore-vole ad un programma di grandi annessioni territoriali nell’Adriatico,in consonanza con le tesi dei politici ex nazionalisti e giuliano-dalmati.A suo avviso, pure Mussolini era convinto della necessità di evitareogni soluzione rinunciataria:

L’opinione pubblica – scrisse il diplomatico nel suo diario il 15 aprile –è sempre più compatta per la Dalmazia. Si attribuisce limitata importanza al-l’unione con lo Stato croato. Il Duce si è reso conto che occorre dare soddi-sfazione al desiderio generale della Nazione. In un appunto che mi ha fattorimettere Anfuso il Duce ha impartito l’istruzione di considerare la possibi-lità di una grande provincia di Zara che comprenda anche Sebenico42.

In aprile anche il governo di Berlino definì progressivamente leproprie idee circa il futuro assetto dei territori dell’ex Jugoslavia. Fortierano nell’establishment nazionalsocialista le tendenze filo-croate. Inparticolare, negli ambienti politici nazionalsocialisti vi era il deside-

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43 PETER BROUCEK, Ein General im Zwielicht. Die Erinnerungen Edmund Glaises vonHorstenau, Wien, 1988, II, p. 83; KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., p. 439 e ss.

44 ADAP, D, XII, 2, d. 291.45 Ibidem.46 ADAP, D, XII, 2, d. 363.

rio di creare un forte e vasto Stato croato quale possibile baluardo con-tro la penetrazione italiana nei Balcani e nell’Adriatico orientale.L’austriaco nazista Glaise Horstenau, nominato rappresentante del-l’esercito germanico in Croazia, enunciò con chiarezza a Hitler e aicapi nazionalsocialisti la sua contrarietà all’annessione italiana dellaDalmazia. A suo avviso, la Croazia avrebbe dovuto controllare gli stes-si territori costieri della Jugoslavia rinunciando solamente alleBocche di Cattaro a favore dell’Italia43. Hitler, che non voleva umi-liare Mussolini e suscitare sospetti negli italiani, scelse di lasciare ilDuce libero di stabilire autonomamente i confini italiani con la Croa-zia, imponendo, però, all’Italia le decisioni più importanti riguardo alfuturo dell’ex Jugoslavia. Queste trasparivano dalle direttive che Hitlerimpartì a Ribbentrop relativamente alla futura organizzazione dellospazio politico jugoslavo il 6 aprile44. Hitler desiderava che i territorisloveni confinanti con la Stiria e la Carinzia fossero annessi al Reichtedesco, mentre la Croazia sarebbe divenuta uno Stato autonomo, daporsi sotto l’influenza magiara. I territori costieri adriatici settentrio-nali, la Dalmazia e il Montenegro dovevano passare sotto il control-lo italiano, mentre la Bulgaria poteva annettere la Macedonia.L’Ungheria avrebbe conquistato i territori confinanti a nord del Danu-bio, mentre la Serbia, senza la Macedonia, sarebbe stata oggetto di am-ministrazione militare germanica45.

Il 17 aprile Ribbentrop propose a Ciano un incontro bilaterale perdiscutere sul futuro dei territori jugoslavi. Nella lettera di Ribbentropal ministro italiano vi era anche l’annuncio della decisione di Hitler diprocedere alla distruzione definitiva dello Stato jugoslavo unitario edi spingere i confini della Germania a sud fino ad inglobare la Sloveniasettentrionale46. La comunicazione di Ribbentrop accelerò le discus-sioni in seno al Ministero degli Esteri sul programma di rivendicazio-ni territoriali italiane. Una Commissione improvvisata, composta daPietromarchi, dal generale De Castiglioni, dal direttore degli Affarid’Europa e del Mediterraneo agli Esteri, Gino Buti, e da ZenoneBenini, sottosegretario per l’Albania, si era riunita per discutere di que-sti problemi il 16 aprile 1941. L’orientamento della Commissione era

a favore di un programma di massicce annessioni che assicurasseall’Italia il controllo di tutta la costa adriatica orientale da Fiumeall’Albania e portasse i confini di quest’ultima al fiume Vardar.Particolare importanza aveva la questione dei confini in Dalmazia.Pietromarchi, incaricato di presentare alcune proposte al riguardo, an-notò nel proprio diario il 16 aprile:

Nella mattinata Anfuso mi fa chiedere se per il pomeriggio possa far per-venire al Duce un promemoria sulla Dalmazia. Glielo prometto. Mentre gliufficiali dello Stato Maggiore preparano una carta sulla quale saranno ripor-tati i confini dei territori che saranno distribuiti ai numerosi Stati confinanticon la Jugoslavia, io col Prof. Randi preparo il promemoria sulla questionedalmata. Sostengo la tesi massima. Non ho alcuna indicazione su quelle chepossano essere le idee del Duce; mi è stato anzi a più riprese ribadito che oc-corre pensare al domani e alle ripercussioni che una soluzione totalitaria ditale problema potrà avere sui nostri rapporti con la Croazia, ma sempre piùmi convinco che ogni mezza misura non approderebbe a nulla. Comunquenon è possibile chiedere di meno di quello che chiese il Governo nel 1915quando iniziò le trattative per il Patto di Londra. Il nocciolo della questioneè il seguente: se diamo dei porti alla Croazia noi riduciamo gli altri, quellicioè che resteranno in nostro possesso, alla situazione di Fiume, e cioè li pri-veremo di ogni loro funzione, giacché la Croazia, anziché servirsi di essi, in-canalerà i suoi traffici verso i suoi porti. Per evitare tale jattura non c’è cheobbligare la Croazia a servirsi dei porti dalmati e perciò o tutta la Dalmaziaviene a noi o tutta passa ai croati. Non c’è via di mezzo47.

Preparato velocemente il promemoria, Pietromarchi lo consegnòad Anfuso e insieme si recarono a Palazzo Venezia per conferire conMussolini al riguardo il 17 aprile. Il Duce lesse e commentò il pro-memoria di fronte ai due funzionari. Mussolini si dichiarò d’accordocon le proposte di Pietromarchi:

Per la Slovenia [il Duce] osserva – riportò Pietromarchi nel suo diario –che si nominerà un prefetto pur lasciandole la più ampia autonomia. Essa avràcomuni con l’Italia la dogana e la valuta. Sulla Dalmazia il Duce afferma cheper ragioni storiche, geografiche, militari ed economiche essa costituisce untutto inscindibile che deve essere annesso all’Italia. Gli Slavi, osserva il Duce,sono venuti in Dalmazia in gran parte a seguito dell’invasione turca. Essi ri-fluirono verso le terre cristiane che furono loro larghe di ospitalità. A questa

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47 Luca Pietromarchi, Diario, 16 aprile 1941, citato anche in DE FELICE, Mussolini l’al-leato, cit., I, 1, p. 383.

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48 Luca Pietromarchi, Diario, 16 aprile 1941, cit.49 Mussolini dichiarò a Pietromarchi: «[…] I Croati non hanno bisogno di possedere un

tratto del litorale. Essi dovranno servirsi dei nostri porti. “ Non lasceremo loro neppure unastazione balneare. Se vorranno fare dello sport dovranno venire ad Abbazia” mi dice il Duce»(Luca Pietromarchi, Diario, 16 aprile 1941, cit.).

50 Luca Pietromarchi, Diario, 16 aprile 1941, cit.51 Progetto nuove delimitazioni confinarie dell’Italia ad Est, in Mussolini a Ciano, 17

aprile 1941, DDI, IX, 6, d. 923.

stessa causa si deve forse l’immigrazione nel Molise delle sue colonie slaveche tuttora vi esistono. Esse furono forse le estreme punte di questo movi-mento di popolazione. Cause analoghe spinsero nuclei albanesi a venire inItalia e in particolare in Sicilia. Daremo alla Dalmazia un regime autonomo.Potremo chiamarla Reggenza della Dalmazia o Regno Illirico secondo il ri-cordo napoleonico o in altro modo, ma sarà sotto la bandiera italiana. Se ad-diverremo a un’unione personale con la Croazia potremo discutere con essail regime da dare alla Dalmazia. La soluzione, osservo io, sarà analoga a quel-la che la Dalmazia aveva sotto l’Austria. Precisamente – afferma il Duce48.

Mussolini chiarì poi che la Croazia non avrebbe avuto alcun sboc-co al mare49 e che i confini della Dalmazia avrebbero dovuto esseretracciati attenendosi alla linea del crinale delle montagne:

Il Duce mi risponde che non intende andare oltre il crinale. «La nostrapolitica – dice – è sempre stata quella dei crinali e ci ha ottimamente servi-to, come nell’Alto Adige e come sarà nel caso del Canton Ticino»50.

Il 17 aprile 1941 Mussolini inviò a Ciano un appunto sulle modi-fiche territoriali da ottenere in Jugoslavia a favore dell’Italia, da ne-goziare nei prossimi incontri con i capi tedeschi ed i rappresentanticroati. In tale appunto erano previste l’incorporazione della Slovenianel Regno d’Italia, rettifiche territoriali nei dintorni di Fiume, l’an-nessione di tutta la costa adriatica orientale da Segna a Cattaro, la ri-costituzione del Montenegro come Stato autonomo aggregatoall’Albania, il passaggio del Kosovo e dei territori jugoslavi abitati daalbanesi al Regno d’Albania51. Dopo aver tracciato le rivendicazioniterritoriali italiane su carte geografiche, il giorno successivo Pietro-marchi e Anfuso tornarono da Mussolini. Pietromarchi riferì al Ducele preoccupazioni del Ministero della Guerra circa l’eccessiva ristret-tezza che avrebbe avuto il territorio italiano a sud di Fiume «ove sifosse seguito il crinale del Velebit». Per i militari era più opportunoun confine italo-croato che cedesse all’Italia i bacini interni e «che se-

guisse il versante che guarda la Kraina croata». Mussolini osservò cheindubbiamente il confine era irrazionale, poiché riservava all’Italia unlitorale di appena sette chilometri di profondità:

Perciò – dichiarò il Duce – sono d’accordo che il confine almeno sullaparte a sud di Segna fino al canale della Morlacca debba essere fissato nel-l’interno. Questo ci obbliga ad incorporare una zona croata. Se i Croati nefaranno una questione essenziale per addivenire ad una unione con noi po-tremo anche concedere loro questo tratto del litorale52.

Il 19 aprile Ciano partì in treno per Vienna accompagnato daPietromarchi e Anfuso. Giunta a Vienna, la delegazione italiana fu ac-colta alla stazione da Ribbentrop, per poi recarsi in visita da Hitler.Lunedì 21 iniziarono i colloqui politici fra Ciano e Ribbentrop53. Il mi-nistro degli Esteri italiano spiegò al collega germanico le idee diMussolini circa i futuri confini nella ex Jugoslavia. L’Italia avrebbepreso il controllo della parte non germanica della Slovenia. LaDalmazia e la costa adriatica «da Fiume a Cattaro» dovevano essereannesse all’Italia, mentre il Montenegro sarebbe ritornato all’indi-pendenza, in unione personale con la casa regnante italiana54. LaCroazia doveva essere strettamente alleata all’Italia per mezzo di un’u-nione personale. L’Albania avrebbe annesso i territori jugoslavi vici-ni e un pezzo della Grecia settentrionale, mentre l’Italia mirava allaconquista definitiva delle isole Jonie. Ribbentrop, a sua volta, comu-nicò alcune idee di Hitler, che vedeva con simpatia l’annessione un-gherese della Bačka e del Banato e le rivendicazioni bulgare su tuttala Macedonia fino a Ochrida, quest’ultime, però, contrastate dalla di-plomazia italiana. Il ministro tedesco mostrò una certa freddezza ver-so l’intenzione italiana di creare un’unione personale con la Croazia,sottolineando l’importanza di evitare l’imposizione di ciò ai croati55.Affermò poi che i confini dello Stato croato sarebbero stati segnati dal-la Drina e dal Danubio, inglobando la Bosnia, l’Erzegovina e il Sirmio,arrivando fin quasi a Belgrado56. Il primo colloquio fra Ciano eRibbentrop suscitò preoccupazione nei diplomatici italiani. Pietromar-

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52 Luca Pietromarchi, Diario, 16 aprile 1941, cit.53 Al riguardo una dettagliata ricostruzione in KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., p. 445 e ss.54 ADAP, D, XII, 2, d. 378.55 Ibidem.56 Luca Pietromarchi, Diario, 19-22 aprile 1941, cit.

chi scrisse nel suo diario che Ribbentrop non ricordava l’esistenza del-lo scambio di note italo-germaniche sulla Croazia del 1939 e ciò eraun segnale che «evidentemente è contrario a lasciarci mano libera.Devono già essere incominciati gl’intrighi croati ai nostri danni»57. Ildiplomatico italiano era preoccupato dall’atteggiamento germanicoverso l’Italia, minaccioso e accerchiante:

Se si addiverrà, come sembra deciso, allo smembramento della Svizzeraavremo in comune con la Germania un confine lunghissimo, dal MonteBianco ad Idria. Di tale linea il tratto più debole è quello a sud di Tarvisioche occorrerà rafforzare in profondità con la massima attenzione a meno disvalutare le posizioni del Brennero e della Dalmazia. […] È stato riaffaccia-to nei nostri confronti e per limitare le nostre richieste il principio di nazio-nalità. “Si torna” ho osservato al Ministro “al concetto della pace di Versailles,mentre credevamo di essere sul piano dello spazio vitale, che è la negazionedel criterio nazionalitario”. “È evidente” mi ha risposto “che vogliono ap-plicare a noi il principio di nazionalità e attenersi per sé al Lebensraum”. […]È evidente l’atteggiamento tedesco di offrire protezione a tutti i piccoli Stati.[…] È in fondo la solita tattica di tutti i vincitori di indebolire l’alleato a guer-ra finita. Si apre così un’era di pericolosi intrighi58.

Per Pietromarchi, l’Italia si veniva a trovare di fronte allaGermania in una posizione paragonabile a quella del Piemonte dinanzialla Francia di Luigi XIV, «ma senza poter contare sull’appoggio dialtri per equilibrare lo strapotere del suo vicino»59.

Nel pomeriggio del 21 la delegazione italiana si riunì con Ciano, ePietromarchi ricordò al ministro l’esistenza dello scambio di lettere conRibbentrop del marzo 1939, che aveva garantito all’Italia mano liberain Croazia. Ciano si fece portare le lettere, le lesse attentamente emandò l’ambasciatore italiano a Berlino, Alfieri, da Ribbentrop per ri-cordargli gli impegni che aveva preso. Nella serata del 21 Ribbentropfu ricevuto da Hitler per discutere delle problematiche jugoslave.L’indomani, il ministro degli Esteri germanico si incontrò nuovamen-te con Ciano e riferì le direttive del Führer60. Circa la Croazia, Hitleraveva già stabilito i confini croato-germanici e prevedeva la tempora-nea permanenza di truppe tedesche nella Croazia settentrionale. La

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57 Luca Pietromarchi, Diario, 19-22 aprile 1941, cit.58 Luca Pietromarchi, Diario, 19-22 aprile 1941, cit.59 Luca Pietromarchi, Diario, 19-22 aprile 1941, cit.60 ADAP, D, XII, 2, d. 385.

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61 Ibidem.62 Ibidem.63 ADAP, D, XII, 2, d. 389.

Germania confermava il suo disinteressamento politico verso laCroazia: il Duce avrebbe potuto decidere autonomamente, o in collo-qui con i croati, i confini con la Croazia. Secondo Hitler, comunque,lo Stato tedesco aveva grandi interessi economici in Croazia e nellaex Jugoslavia, regione cruciale come fonte di materie prime. Tali in-teressi dovevano essere assicurati attraverso la restituzione dei terri-tori ex tedeschi al Reich e mediante il controllo delle miniere di cro-mo e di piombo in Macedonia e a Mitrovica. Ribbentrop manifestòun forte interesse affinché alla Germania fosse garantito un sicuro uti-lizzo delle miniere di bauxite presenti in Dalmazia. Circa gli altri pro-blemi confinari (Montenegro, Croazia, Dalmazia ecc.) il governo te-desco promise un disinteressamento politico a favore dell’Italia61.Ciano ribadì che, in nomi di ragioni storiche, politiche e militari, e pergarantire all’Italia il proprio Lebensraum, tutta la Dalmazia doveva es-sere annessa allo Stato italiano. Di tali questioni, comunque, ne avreb-be parlato con Pavelić62. I colloqui si conclusero con l’intesa che il go-verno di Roma avrebbe fornito assicurazioni formali a Berlino circala protezione degli interessi economici germanici nei territori che sa-rebbero stati annessi dall’Italia.

Pavelić cercò di guadagnare tempo e di protrarre il negoziato conl’Italia sui confini per ritardare la cessione dei territori dalmati e delQuarnero63. Il governo croato ebbe l’idea di offrire la corona del ri-nato Stato di Croazia a un principe italiano al fine di evitare o ridur-re le cessioni territoriali a favore di Roma. In seno alla classe dirigenteitaliana vi erano due orientamenti circa l’assetto territoriale adriaticoe i futuri rapporti con la Croazia. La maggior parte dei politici, di-plomatici e militari italiani desiderava il definitivo superamento deiconfini stabiliti dopo la prima guerra mondiale, conseguenza della pre-sunta «vittoria mutilata». Spesso uomini che avevano combattuto nel-la Grande Guerra, ritenevano che l’Italia dovesse assicurarsi un do-minio incontrastato ed assoluto sull’Adriatico orientale: da qui la ri-chiesta dell’annessione di tutta la costa adriatica orientale da Fiumeall’Albania, o, perlomeno, di gran parte della Dalmazia. Non tutti,però, in seno alla classe dirigente e alla diplomazia italiana erano d’ac-cordo sull’esigenza di grandi annessioni territoriali nell’Adriatico.Alcuni diplomatici e funzionari statali, più realisti, si dichiararono fa-

vorevoli ad una politica moderata e rinunciataria sul piano territoria-le, che consentisse all’Italia di presentarsi come Potenza amica e pro-tettrice dei croati e garantisse l’inclusione di tutta la Croazia nella zo-na d’influenza economica italiana. Il console italiano a Susak, AmericoGigli, scrisse un rapporto a Ciano invitando il governo ad una politi-ca realistica e moderata verso la Croazia64. Attraverso l’escamotagedi riferire le obiezioni avanzate da alcuni croati, «con una certa obiet-tività di ragionamento», alle aspirazioni territoriali italiane nel retro-terra fiumano e in Dalmazia, Gigli consigliò una politica moderata elungimirante verso i croati:

L’interesse politico lontano dell’Italia dovrebbe portarla ad imporre un mi-nimo di sacrifici territoriali al nuovo Stato, per rendersi definitivamente ma-drina spirituale dello stesso, tanto più che i nuovi Capi di questo sono statimessi in grado di divenire tali soltanto dalla compiacente ospitalità e dal lar-go decennale appoggio dell’Italia. Non solo, ma la longanimità politicadell’Italia […] dovrebbe e potrebbe da lei essere adoperata quale buona mo-neta di scambio per assicurare a se stessa, in forma più sostanziale, anche semeno apparente, quel più ampio respiro economico cui aspira; ne cadrebbe-ro altrimenti i legittimi presupposti egoistici. Infatti: non è ottenendo un piùvasto allargamento dei confini che Fiume potrà vedere realizzata la sua lo-gica aspirazione a ridiventare un grande porto e un grande emporio. Non èannettendo qualche migliaio di chilometri quadrati di territorio in più chel’Italia vedrà risolto il problema di certi suoi rifornimenti e ancor meno rea-lizzato il suo piano di espansione economica in zone a economia sostanzial-mente complementare alla sua65.

A parere di Gigli, l’Italia rinunciando a vaste conquiste territoria-li in Croazia poteva divenire la Potenza protettrice dei croati riuscen-do così ad imporre loro un’unione economica estremamente vantag-giosa per lo Stato italiano. L’Italia poteva risolvere il problema delrifornimento di certi prodotti solo includendo tutti i territori croati nel-la propria sfera economica, «mediante accorgimenti tecnici che po-trebbero giungere sino ad una completa unione doganale e forse an-che monetaria»:

Risultato questo realmente concreto, che, per poggiare su basi certe, do-vrebbe avere per presupposto una sicura continuità di influenza politica. E

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64 ASMAE, GAB 1923-43, AP, b. 28, Gigli al Ministero degli Affari Esteri, 22 aprile 1941.65 Ibidem.

una tale influenza nascerebbe sotto i migliori auspici se, oltre e più che su-gli stretti legami che uniscono all’Italia i Capi del nuovo Stato, poggiasse,non diciamo sulla riconoscenza delle masse, ma sull’assenza di ragioni di at-trito tanto gravide di conseguenza per l’avvenire quanto quella dell’insop-primibile irredentismo di troppe centinaia di migliaia di nuovi cittadini ita-liani. Quella tale complementarietà economica agirebbe allora, e soltanto al-lora, rimossi gli ostacoli politici, da saldo cemento e da sicura garanzia perl’avvenire66.

Idee simili a quelle di Gigli sosteneva Carlo Galli, ex ministro ita-liano in Jugoslavia. Secondo Galli, piuttosto che annettere la Dalmaziaall’Italia sarebbe stato saggio creare uno Stato dalmata autonomo, cheavrebbe valorizzato la specificità culturale della popolazione localerafforzando l’influenza dell’Italia, la quale sarebbe stata tutelata conspeciali accordi economici e politici. Era, poi, importante non umiliarela Croazia, evitando forme d’ingerenza offensive per l’orgoglio na-zionale e puntando a rafforzare l’influenza italiana attraverso una len-ta azione di collaborazione economica e culturale, facilitata da una fu-tura unione doganale e monetaria67.

Ritornato a Roma da Vienna, Ciano cercò di accelerare la conclu-sione di un accordo confinario con la Croazia. Si stabilì un futuro in-contro a Lubiana fra il ministro italiano e Pavelić per il 25 aprile. GinoButi fu incaricato di preparare una bozza di accordo che prevedesseuna stretta collaborazione politica, economica e militare tra i due Paesi.Si rinunciò all’idea dell’unione personale perché, dal momento chePavelić era diventato il capo supremo della Croazia, «non si dovevachiedergli di rinunciare alla sua carica». Per il testo del progetto di ac-cordo fu preso come modello il trattato di protezione che la Germaniaaveva concluso con la Slovacchia nel 1939, sostituendo la parola «pro-tezione» con «garanzia»68. Mussolini «attenuò» il progetto d’accordocon la Croazia, riducendo, ad esempio, la durata dell’alleanza da cin-quanta a venticinque anni. La mattina del 24 Ciano si consultò con al-cuni generali e ammiragli per decidere le basi negoziali per le tratta-tive con i croati. Vi era la speranza di superare le opposizioni dei croa-ti promettendo loro uno sbocco al mare tra Fiume e il canale della

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66 Ibidem.67 BUCARELLI, “Manicomio jugoslavo”. L’ambasciatore Carlo Galli e le relazioni italo-

jugoslave tra le due guerre mondiali, cit., in particolare pp. 505-509.68 Luca Pietromarchi, Diario, 24 aprile 1941 e giorni successivi, cit.

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69 CIANO, Diario, cit., p. 504.70 ADAP, D, XII, 2, dd. 391, 394; KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., p. 457.71 CIANO, Diario, cit., pp. 504-505; Luca Pietromarchi, Diario, 24 aprile e giorni suc-

cessivi 1941, cit.72 KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., pp. 459-460.73 CIANO, Diario, cit., p. 504.74 Luca Pietromarchi, Diario, 24 aprile e giorni successivi 1941, cit.

Morlacca. Vennero quindi preparate due soluzioni: «una territorial-mente integrale da Fiume a Cattaro, una limitata alla Dalmazia stori-ca»69. Nel frattempo Ciano chiese al governo di Berlino di comunica-re con chiarezza ai croati che la Germania sosteneva le rivendicazioniterritoriali italiane e avrebbe accettato i risultati dei colloqui bilateraliitalo-croati. Le pressioni italiane si scontrarono con la ritrosia germa-nica a intervenire direttamente nel contenzioso fra Roma e Zagabria.Ribbentrop ribadì il disinteressamento politico della Germania versola questione croata, ma si limitò a inviare una blanda comunicazionea Zagabria che confermava l’interesse di Berlino a una rapida conclu-sione dei negoziati italo-croati70.

Il 25 aprile, a Lubiana occupata dall’esercito italiano – in una cittàche ai diplomatici italiani non parve ostile alla nuova Potenza occu-pante, talmente forte era il terrore sloveno per il possibile arrivo deitedeschi, che in quei giorni stavano infliggendo un trattamento spie-tato alle popolazioni della Slovenia settentrionale, fatto di «spoliazioni,rapine, uccisioni»71 – ebbe luogo l’incontro fra Ciano e Pavelić. Il mi-nistro degli Esteri espose le richieste territoriali italiane, incentrate sul-la richiesta dell’annessione di tutta la costa adriatica orientale da Fiumea Cattaro72. Pavelić rispose a Ciano che l’applicazione di tali richie-ste avrebbero avuto come conseguenza quella di «farlo cacciar via dalGoverno». Egli fece alcune controproposte, miranti a ridurre le an-nessioni dell’Italia in cambio della firma del trattato d’alleanza: laDalmazia del Patto di Londra, con in più Traù/Trogir, all’Italia, men-tre Spalato e Ragusa con varie isole sarebbero dovute rimanere allaCroazia. Accettava il patto d’alleanza ed era pronto a considerare an-che «l’eventualità di un’unione personale o di una monarchia con unPrincipe Sabaudo»73. Le proposte di Pavelić suscitarono l’opposizio-ne dei militari che accompagnavano Ciano74, piuttosto propenso, in-vece, a trovare una soluzione moderata di compromesso. Il Poglavnikchiese alcuni giorni di riflessione e si mise d’accordo con Ciano perrivedersi successivamente per chiudere la questione dei confini.

Ritornato a Roma, Ciano ebbe un colloquio con Mussolini il 26aprile, al quale riferì le proposte di Pavelić. Di fronte alle pressioni ealle resistenze croate75, Mussolini comunicò a Ciano di avere mutatoparere e di essere disposto a fare concessioni a Pavelić. Ciano annotònel suo Diario che «Mussolini – salvo Spalato – è d’accordo conPavelić, e giustamente ritiene più utile attrarre la Croazia nella nostraorbita politica che prendere un po’ più di terra popolata da croati osti-li»76. Influì su tale evoluzione delle posizioni del governo di Roma laconstatazione della freddezza tedesca nel sostenere le rivendicazioniitaliane77. Lo stesso Alfieri, pur non acuto osservatore della politicatedesca, riferì a Roma che il fatto che la Germania non avesse volutoche i confini della Croazia fossero fissati d’autorità dalle Potenzedell’Asse, apriva la strada a un negoziato italo-croato vantaggioso po-liticamente per Berlino:

Nasce così il dubbio fondato che la Germania, favorendo la creazione diuna grande Croazia e trincerandosi dietro la formula dei rapporti diretti fraItalia e Croazia, lasci a noi la parte più odiosa incoraggiando la Croazia allaresistenza. In seguito a ciò la Croazia dovrà essere grata alla Germania pertutto quello che già ha ottenuto ed otterrà, mentre dovrà serbar rancoreall’Italia per le sue aspirazioni non soddisfatte. La Germania, che ha l’occu-pazione militare del paese, svolge già – se non esteriormente, in profondità– la sua politica, per cui la Croazia fatalmente finirà per cadere in un non lon-tano avvenire nell’orbita tedesca78.

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75 Ricostruzioni del negoziato italo-croato che portò agli accordi del 18 maggio 1941 so-no contenute in: KRIZMAN Pavelić i Ustaše, cit.; PIETRO PASTORELLI, L’esaurimento dell’ini-ziativa dell’Asse. Parte I. L’estensione del conflitto (giugno-dicembre 1941), Milano 1967,p. 171 e ss.; TALPO, Dalmazia 1941, cit.; NADA KISIĆ-KOLANOVIĆ, NDH I Italija: političkeveze i diplomatski odnosi, Zagreb, 2001; LUCIANO MONZALI, La difficile alleanza con laCroazia ustascia, in CACCAMO, MONZALI, a cura di, L’occupazione italiana della Iugoslavia,cit., p. 61 e ss.; STEFANO BIANCHINI, FRANCESCO PRIVITERA, 6 aprile 1941. L’attacco italianoalla Jugoslavia, Milano 1993, p. 53 e ss.

76 CIANO, Diario, cit., p. 505.77 Sulla posizione della Germania riguardo al contenzioso italo-croato e sulle relazioni

tedesco-croate si veda: MONZALI, La difficile alleanza con la Croazia ustascia, cit., p. 108 ess.; HOLM SUNDHAUSSEN, Wirtschaftsgeschichte Kroatiens in nationalsozialistichen Grossraum1941-1945. Das Scheitern einer Ausbeutungsstrategie, Stuttgart, 1983; PASTORELLI,L’esaurimento dell’iniziativa dell’Asse, cit., p. 171 e ss.; KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., p.465 e ss.; LADISLAUS HORY, MARTIN BROSZAT, Der Kroatische Ustascha-Staat 1941-1945,Stuttgart 1964; DE FELICE, Mussolini l’alleato, cit., I, p. 382 e ss.; SRDJAN TRIFKOVIĆ, Rivalrybetween Germany and Italy in Croatia 1942-1943, «The Historical Journal», 1993, n. 4, pp.879-904.

78 DDI, IX, 7, d. 39. Una testimonianza sull’operato dell’ambasciata italiana a Berlino:LEONARDO SIMONI [MICHELE LANZA], Berlino Ambasciata d’Italia: 1939-1943, Roma, 1946.

Lasciata Lubiana, Pavelić ritornò a Zagabria e riunì un Consigliodei ministri. Il rappresentante del Ministero degli Esteri italiano nel-la capitale croata, Raffaele Casertano, riferì che esistevano forti resi-stenze nel governo contro la rinuncia a parte della Dalmazia. Pavelićdichiarò all’incaricato d’affari italiano di sperare con fiducia che il go-verno di Roma avrebbe accettato il minimum di richieste da lui pre-sentato al ministro Ciano. Per il resto il governo croato era pronto afare proprio lo schema del trattato concordato a Lubiana «salvo alcu-ne modifiche che egli si riserva sottoporre al Governo italiano»79. Il28 aprile Pavelić inviò due lettere al governo italiano. In quella diret-ta personalmente a Mussolini, egli confermò la decisione del popolocroato «di offrire la Corona di Zvonimiro del Regno di Croazia ad unPrincipe della Casa di Savoia»80. Nella missiva a Ciano chiese un nuo-vo incontro per concordare definitivamente la delimitazione dei con-fini italo-croati; egli si dichiarò pronto a modificare in parte le richiesteda lui avanzate a Lubiana, concedendo qualche isola in più all’Italia81.Mussolini e Ciano risposero alle lettere del capo degli ustascia con-fermando il loro sostegno e la loro amicizia verso la nuova Croazia einvitando Pavelić a proseguire i negoziati confinari e politici conCasertano a Zagabria82. Le prevedibili resistenze dei croati a cedereSpalato – cuore commerciale della Dalmazia e città in cui abitava unanetta maggioranza croata – e a rinunciare a tutta la costa dalmata, spin-sero Mussolini e Ciano a ridimensionare il programma territoriale ita-liano. Il Duce diede la direttiva a Casertano di accettare l’offerta del-la corona e di insistere per Spalato «ma non al punto di farne una que-stione di rottura»83. Casertano condusse serrati negoziati con il governoustascia per preparare i futuri accordi italo-croati. Il diplomatico ita-liano si scontrò con l’indisponibilità croata di rinunciare a Spalato econ il rifiuto di ogni idea di unione doganale ed economica italo-croa-ta84. Per superare gli ostacoli nel negoziato, dapprima, Casertano mi-nacciò i croati che, in caso di rifiuto delle richieste italiane circaSpalato e l’unione doganale, l’Italia avrebbe proceduto all’annessio-ne unilaterale dei territori adriatici occupati; poi, propose l’idea di un

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Si veda anche FALANGA, Mussolinis Vorposten, cit.79 DDI, IX, 7, d. 14.80 DDI, IX, 7, d. 22.81 DDI, IX, 7, d. 23.82 DDI, IX, 7, dd. 33, 34.83 CIANO, Diario, cit., p. 506. Si veda anche ADAP, D, XII, 2, d. 428.84 DDI, IX, 7, d. 48.

assetto particolare per Spalato: la città e i sobborghi sarebbero passa-ti all’Italia, che, però, riconoscendo la prevalenza etnica croata, avreb-be concesso allo Stato croato l’amministrazione del comune, della po-lizia e delle finanze; le questioni giudiziarie per la minoranza italianasarebbero state amministrate da tribunali misti, mentre una specificaconvenzione avrebbe garantito lo studio della lingua italiana a Spalatoe in tutta la Dalmazia croata85. L’escamotage ideato da Casertano(Spalato italiana con alcune riserve sull’amministrazione cittadina) in-contrò il favore di Mussolini e di Ciano, ma alimentò una certa agita-zione, già esistente da qualche giorno, fra i fautori della soluzione «to-talitaria» della questione dalmatica. I sostenitori della necessità che nonsi rinunciasse nemmeno ad un centimetro di costa in Dalmazia eranoforti e organizzati in Senato, dove agivano i senatori adriatici Dudan,Tacconi e Salata. Quando Dudan seppe del mutamento di direttive insenso filocroato deciso dal capo di governo, ebbe una reazione duris-sima e rabbiosa, che lo spinse a inviare a Mussolini un appunto, data-to 4 maggio 1941. Dudan si proclamò ostile ad ogni rinuncia territo-riale in Dalmazia. Secondo il senatore dalmata, «il giorno che si pro-clama l’annessione all’Italia di Lubiana “etnicamente compatta slove-na” nessuno può pensare alla rinuncia non di Spalato o di Ragusa, manemmeno di una borgata interna della Dalmazia la quale [...] ebbe inin-terrottamente da secoli interamente italiane le amministrazioni provin-ciali e comunali». Germania, Russia, Bulgaria e Ungheria stavano pren-dendosi tutti i territori che volevano, mentre la stessa Croazia si annet-teva l’intera Bosnia Erzegovina; Hitler aveva dato carta bianca all’Italianella delimitazione del confine adriatico: come si poteva giustificare lapiù piccola rinuncia, «se demmo la croce addosso agli Orlando, Nitti eGiolitti, che avevano contro di loro alleati e non alleati?»86. Le prote-ste e invocazioni di Dudan, di alcuni politici e militari87 a favore del-

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85 DDI, IX, 7, d. 54.86 Dudan a Mussolini, 4 maggio 1941, DDI, IX, 7, d. 53.87 Pure molti esponenti della Marina e dell’Esercito non erano favorevoli a rinunce in

Dalmazia e sulla costa adriatica, soprattutto per ragioni strategiche (assicurare la supremaziaassoluta italiana e tenere lontana la Germania dall’Adriatico). Ad esempio, il 30 aprile, l’am-miraglio Riccardi, sottosegretario del Ministero della Marina, ricordò ai vertici politici l’indi-spensabilità del possesso di Ragusa per rafforzare le posizioni italiane a Cattaro: ARTURORICCARDI, Appunto per l’Eccellenza il Ministro degli Affari Esteri, 30 aprile 1941, riprodottoin TALPO, Dalmazia 1941, cit., p. 279, allegato n. 13; STATO MAGGIORE DELL’ESERCITO, UFFICIOSTORICO, Verbali delle riunioni tenute dal Capo di SM generale, Roma, 1983, vol. II, verbaledella riunione tenuta dall’eccellenza il sottocapo di Stato maggiore generale il 17 aprile 1941,p. 33 e ss.

l’annessione italiana di tutta la Dalmazia ebbero alla fine scarso ef-fetto. Mussolini fece cessare l’agitazione pro Dalmazia88 e decise diproseguire sulla strada del compromesso territoriale con la Croaziaustascia.

Le richieste italiane di creare un’unione doganale e di annettereSpalato erano inaccettabili per il governo di Zagabria. Secondo il rap-presentante croato a Berlino, Benzon, l’unione doganale avrebbe pro-vocato il soffocamento dell’indipendenza della Croazia89. Il 5 maggioPavelić fece un nuovo appello a Mussolini, chiedendogli, tenuto con-to della futura vicinanza politica fra Italia e Croazia sancita dalla scel-ta di un Savoia quale sovrano, la rinuncia italiana a Spalato ed un fu-turo colloquio personale90. Mussolini decise di accettare l’idea di unincontro, ma fece sapere che la sovranità italiana su Spalato era un fat-to su cui non era possibile discutere91. Il 7 maggio 1941, alla stazio-ne ferroviaria di Monfalcone, avvenne l’incontro fra Mussolini, Cianoe Pavelić92. Nel corso delle conversazioni la delegazione croata riuscìa convincere Mussolini a rinunciare al progetto dell’unione doganaletra Italia e Croazia, nonostante le insistenze di Ciano sull’importanzadella sua realizzazione, e a ottenere alcuni piccoli miglioramenti con-finari93. La rinuncia all’unione doganale venne spiegata da Pietromar-chi94 con l’interesse primario di Mussolini ad assicurare all’Italia fa-scista un successo di propaganda con l’annessione della città diSpalato. A Monfalcone, al termine dei colloqui, Pavelić e Mussolinisiglarono un documento che descriveva i futuri confini italo-croati95.

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88 CIANO, Diario, cit., p. 509.89 ADAP, D, XII, 2, d. 440.90 DDI, IX, 7, d. 54.91 Al riguardo: DDI, IX, 7, dd. 60, 61, 63.92 Sull’incontro di Monfalcone: DDI, IX, 7, d. 72.93 Luca Pietromarchi, Diario, 6 e 7 maggio 1941, cit.; CIANO, Diario, cit., pp. 509-510;

ADAP, D, XII, 2, d. 473.94 Luca Pietromarchi, Diario, 6 e 7 maggio 1941, cit.95 Il governo croato accettò la cessione di Spalato all’Italia ed in cambio Mussolini ri-

nunciò al controllo totale di tutta la costa dalmata. Il documento siglato prevedeva infatti cheriguardo alla Dalmazia l’Italia annettesse: le isole di Veglia/Krk e Arbe/Rab e tutti gli isolot-ti vicini, nonché tutte le isole davanti a Zara; il retroterra di Zara, le città di Sebenico/Šibenike Traù e i loro hinterland; le isole di Tirona, Solta, Lissa/Vis, Biševo, S. Andrea, Pomo e al-tre minori; la città di Spalato compresi i sobborghi; le isole intorno a Melàda; il distretto com-prendente le Bocche di Cattaro. L’Italia, invece, rinunciava a Lesina/Hvar, a Brazza/Brac, aRagusa ed a tutta la Dalmazia centrale a sud di Spalato, territori lasciati alla Croazia indi-pendente. Per addolcire la pillola agli amici ustascia, era prevista la futura conclusione di con-venzioni che garantissero un regime di autonomia e di tutela dei diritti croati a Spalato.

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96 Luca Pietromarchi, Diario, 6 e 7 maggio 1941, cit.97 CIANO, Diario, cit., p. 510.98 Al riguardo: EGIDIO ORTONA, Diplomazia di guerra. Diari 1937-1943, Bologna, 1993,

p. 141 e ss.

Vennero poi siglati un accordo di garanzia e di alleanza e una cartacon i nuovi confini. Si decise, infine, che la cerimonia per l’offerta del-la corona di Croazia ai Savoia si sarebbe svolta a Roma il 18 maggio.Un’atmosfera amichevole caratterizzò l’incontro di Monfalcone.Pavelić era grato a Mussolini per il sostegno ricevuto grazie al qualeaveva conquistato il potere in Croazia. Durante la colazione al risto-rante, il Poglavnik parlò del pericolo costituito dagli ebrei, racco-gliendo l’approvazione del Duce; dichiarò poi agli amici italiani chele rivendicazioni territoriali croate giungevano fino a Budapest, poi-ché in quell’area, a suo avviso, in passato i croati erano stati l’elementomaggioritario96. In treno, sulla via del ritorno a Roma, Mussolini si di-chiarò soddisfatto dei risultati dei colloqui italo-croati, polemizzando«con coloro che richiedevano una soluzione totalitaria della Dalmaziatrascurando il problema croato»97.

In realtà a Monfalcone non tutti i dubbi sui futuri confini vennerosciolti e non furono superate tutte le ragioni di contrasto. Va, innan-zitutto, sottolineata l’approssimazione che guidò l’azione del Ministerodegli Esteri italiano nel corso del negoziato con la Croazia nei mesidi aprile e maggio98. Il negoziato fu iniziato e condotto da diplomati-ci sostanzialmente ignoranti circa le questioni trattate, senza un ade-guato studio preparatorio dei problemi, e lasciando un ruolo margi-nale a tecnici ed esperti in possesso di un’approfondita conoscenza del-la realtà economica, geografica e etnica della Croazia. L’imprepa-razione italiana provocò una confusa gestione delle trattative: nonavendo un’adeguata conoscenza delle questioni, la diplomazia italia-na delineò con lentezza un programma di richieste economiche e po-litiche da presentare alla controparte croata; si palesò una certa con-fusione anche riguardo alla precisa definizione del tracciato dei con-fini. Solo con ritardo il governo di Roma comprese che i confini con-cordati con Zagabria non avevano senso sul piano economico, strate-gico e storico: lasciavano in mano croata il controllo delle maggiorivie di comunicazione, d’importanti interessi economici italiani (le mi-niere di Monte Promina) e delle principali risorse naturali della re-gione. Nei giorni successivi all’incontro di Monfalcone, Casertanoavanzò richieste di nuove intese economiche e di piccole modifiche

territoriali a vantaggio dell’Italia (spostamento del confine italo-croa-to al fiume Kerka nella regione spalatina, annessione italiana diCurzola/Korčula, ampliamento del territorio italiano delle Bocche diCattaro), provocando dure reazioni da parte del governo di Zagabria:

Non ti nascondo, a questo proposito – scrisse Casertano a Pietromarchiil 10 maggio – che il solo accenno di nuove nostre richieste, come quella peresempio relativa alla “linea dal fiume Kerka a Spalato” e quella della “lineada Cavtat a Dobricevo” (Bocche di Cattaro) suscita qui stupore perché tuttosi ritiene ormai definito con l’incontro di Monfalcone, dove fu tra l’altro si-glata una carta recante un tracciato che il dottor Pavelić si affrettò a segnaree che temo non concordi pienamente col foglio, pure siglato, che è in pos-sesso dell’Eccellenza il Ministro. Quella carta rimase nelle mani del dott.Pavelić stesso, il quale evita in tutti i modi di mostrarmela99.

Pavelić, da parte sua, timoroso della reazione dell’opinione pub-blica croata alla notizia dei confini decisi a Monfalcone, cercò di re-sistere alle nuove richieste italiane e di avanzarne lui a sua volta. L’11maggio chiese a Casertano che l’Italia concedesse alla Croazia la lo-calità di Porto Re, necessaria all’economia croata per avere un portofunzionante100. Di fronte alle domande italiane, Pavelić si difese condichiarazioni drammatiche. Il 13 maggio disse a Casertano che «Italiapuò anche annettersi tutta la Dalmazia ma non pretendere che sia ioa cederla rimanendo al Governo contro volontà popolo. Il mio affet-to per l’Italia costituisce già un atto di accusa miei avversari politicie la propaganda che si va facendo nelle campagne mi definisce tradi-tore come se volessi consegnare il mio paese all’Italia»101. Per non do-vere rimandare la firma degli accordi Casertano consigliò al Ministerodi limitare le richieste italiane alla sola annessione di Curzola e a ret-tifiche di dettaglio, risolvibili in sede di concreta delimitazione dei con-fini. La firma dell’accordo confinario croato-tedesco il 13 maggio, chestabilì la nuova delimitazione delle frontiere fra la Slovenia annessaal Reich e lo Stato croato102, convinse la diplomazia italiana ad acce-lerare i negoziati con Zagabria. Il 14 maggio Casertano ebbe nuovi col-loqui con Pavelić che risultarono decisivi103. Il Poglavnik accettò di

LUCIANO MONZALI106

99 DDI, IX, 7, d. 83.100 DDI, IX, 7, d. 86.101 DDI, IX, 7, d. 93.102 DDI, IX, 7, d. 98; KRIZMAN, Pavelić i Ustaše, cit., p. 467.103 DDI, IX, 7, d. 101.

lasciare l’isola di Curzola alla sovranità italiana e di concludere inte-se che avrebbero in parte soddisfatto la volontà dell’Italia di preser-vare la «unità economica della Dalmazia», ma in cambio chiese l’an-nessione di Porto Re e la concessione di uno statuto speciale per lapopolazione croata di Curzola. Dopo alcune tergiversazioni, la sera del15 maggio Mussolini e Ciano accettarono le richieste croate circa PortoRe e uno speciale regime amministrativo per Curzola. Un ultimo gra-ve momento di tensione nei negoziati si ebbe a causa dei tentativi ita-liani di imporre alla Croazia un’unione monetaria e doganale conl’Italia. Per realizzare tale progetto Donato Menichella, all’epoca di-rettore generale dell’IRI, si recò a Zagabria in quei giorni per dare manforte a Casertano nei difficili negoziati economici104. Ma le richiesteitaliane si scontrarono con le resistenze croate. Casertano riferì chePavelić aveva assunto un atteggiamento temporeggiatore. Il politicocroato – riteneva il diplomatico italiano – non voleva cedere alle ri-chieste di unione doganale per timore di suscitare la suscettibilità ger-manica e di danneggiare gli interessi di Berlino, «tanto più che vi so-no segni manifesti premura tedesca per le risorse questo paese»105. Lavolontà croata di privilegiare i rapporti economici con la Germaniaportarono al fallimento del progetto dell’unione doganale con l’Italia.Il 16 maggio fu portato a termine il negoziato confinario a Zagabria.Casertano eseguì le istruzioni di Ciano e di Mussolini su Curzola ePorto Re, ottenendo alcuni piccoli vantaggi territoriali nelle Bocchedi Cattaro e nel litorale di Ragusa. Il governo croato insistette per ot-tenere un confine più vantaggioso nella Slovenia orientale, ma si scon-trò con il rifiuto di Casertano106. L’opposizione croata alla creazionedi un’unione doganale con l’Italia mostrava lo stato di tensione e didiffidenza esistente fra Roma e Zagabria107. Alla fine Mussolini ri-

LO SPAZIO VITALE 107

104 DDI, IX, 7, d. 108. Per l’Italia la creazione di un’unione monetaria e doganale avreb-be consentito l’assorbimento economico della Croazia, facilitando la sopravvivenza delle nuo-ve province italiane sull’Adriatico orientale. Scrisse a tale proposito Casertano in quei gior-ni: «Tentativo costituire unione doganale e pareggio monetario fra tutta la Dalmazia e terri-torio limitrofo, qualora fosse accettato, potrebbe costituire base logica per riprendere al piùpresto o quando da parte italiana si ritenesse opportuno, nostra originale tesi circa unione do-ganale totalitaria e valutaria. Comunque esso darebbe unità economica alla Dalmazia legan-dovi suo retroterra» (Ibidem).

105 DDI, IX, 7, d. 117.106 DDI, IX, 7, d. 118.107 Un’analisi realista delle difficoltà esistenti nelle relazioni italo-croate fu compiuta da

Donato Menichella in un memoriale datato 17 maggio. Menichella, tornato a Roma dopo laconclusione dei negoziati a Zagabria, comunicò a Mussolini un quadro pessimistico delle pro-

nunciò all’unione doganale italo-croata preferendo garantire all’Italiavaste annessioni territoriali a spese della Croazia.

Concluso il negoziato sui confini e fallito il progetto di trattato sul-l’unione doganale e monetaria, la strada era aperta per la firma degliaccordi fra Italia e Croazia. Già il 14 maggio il Consiglio dei ministricroato decise l’instaurazione della monarchia. Il 17 maggio la dele-gazione croata, guidata da Pavelić, partì da Zagabria per Roma. Lamattina del 18 la delegazione croata si recò al palazzo del Quirinale,dove, alla presenza di Vittorio Emanuele III, offrì la corona di Croazia(corona di Zvonimiro, antico sovrano croato dell’età alto-medievale)a un membro della famiglia regnante italiana. Pavelić, nell’indirizzorivolto a Vittorio Emanuele III, ricordò che la corona di Zvonimiro rap-presentava la sovranità dello Stato indipendente di Croazia e che lasua restaurazione consacrava «la volontà di vita del libero popolo croa-to nella sua millenaria esistenza e ne definisce la struttura statale nelnuovo ordine europeo promosso dalle potenze dell’Asse»108. Il Red’Italia rispose positivamente alla richiesta, ricordando la simpatia ita-liana per le aspirazioni all’indipendenza della nazione croata, e desi-

LUCIANO MONZALI108

spettive delle relazioni italo-croate. L’Italia non aveva forza economica né prodotti per com-petere con la Germania in Croazia: «Pertanto o vi penetriamo per la via chiara ed aperta del-l’unione doganale monetaria o non vi penetreremo mai e al nostro posto vi si instaurerà laGermania che ha larghissimo seguito fra tutti gli uomini di affari di Zagabria vicini ai mini-stri di Pavelić». Menichella si dimostrò critico verso i confini previsti dalle intese italo-croa-te, che spezzavano l’unità economica della Dalmazia e rendevano le fabbriche e le popola-zioni della costa dipendenti dai rifornimenti del retroterra attribuito alla Croazia. Piuttosto chevaste annessioni territoriali in Croazia, per l’Italia era vantaggioso realizzare una forte unio-ne doganale e monetaria italo-croata: «L’Italia non può avere uno spazio vitale che in Croaziae in Dalmazia; o ha questo o dovrà andare a cercarselo soltanto nelle colonie. La Germania,per non parlare del Nord e dell’Ovest europeo, ha l’Ungheria, la Rumenia, la Bulgaria e pren-derà ora anche la Serbia. Se noi non abbiamo la Croazia e la Dalmazia, avremo perduto l’u-nico polmone che ci permette di respirare. I cittadini di Spalato e Sebenico non potranno be-nedire l’Italia se questa li mette nella condizione nella quale ha vissuto sin oggi Zara. […]Duce, comprimete oggi le richieste dei militari, che non hanno giustificazione. Durante ven-ti anni, la Jugoslavia amica e finanziata dalla Francia, non è riuscita a farsi una flotta; è pos-sibile immaginare che in futuro possa farsene una che compete con quella italiana? DiamoCurzola, facciamo ogni altra concessione territoriale se risponde ad esigenze etniche dellaCroazia, ma aboliamo subito le barriere economiche fra l’Italia e la Croazia; ne guadagneràl’Italia, ma ne guadagnerà anche la Croazia (basta per convincersene girare l’Italia e laCroazia). Sul terreno economico vi è una distanza di almeno cinquanta anni; l’unione eco-nomica e monetaria la colmerà in un decennio. L’Italia cresce, l’Italia ha bisogno di mangia-re; l’agricoltura, se industrializzata, sarà un notevole apporto per l’Italia»: (DDI, IX, 7, d. 131,Menichella a Mussolini, 17 maggio 1941).

108 Il testo dell’indirizzo di Pavelić a Vittorio Emanuele III è riprodotto in «RelazioniInternazionali», 24 maggio 1941.

gnò suo nipote Aimone di Savoia-Aosta, duca di Spoleto, quale futu-ro Re di Croazia109. Successivamente, nel corso di una cerimonia aPalazzo Venezia, vennero firmati da Mussolini e Pavelić gli accordiitalo-croati110. Il primo accordo era il trattato per la delimitazione deiconfini fra il Regno d’Italia e il Regno di Croazia. L’Italia annetteva idistretti di Castua, Susak, Čabar e parte di quello di Delnice, le isoledi Veglia e Arbe e tutti gli isolotti vicini, nonché tutte le isole davan-ti a Zara; il retroterra di Zara, le città di Sebenico e Traù e i loro hin-terland. Venivano unite al Regno d’Italia anche le isole di Tirona, Solta,Lissa, Biševo, S. Andrea, Pomo e altre minori, la città di Spalato com-presi i sobborghi, le isole di Curzola e Melàda, il distretto compren-dente le Bocche di Cattaro. Venivano lasciate alla Croazia indipen-dente le isole di Lesina e Brazza, Drniš, Knin, Sinj, Ragusa e tutta laDalmazia centrale a sud di Spalato. Una commissione, composta permetà di delegati italiani per metà di delegati croati, avrebbe avuto l’in-carico di procedere a determinare sul terreno i confini tra il Regnod’Italia, compresa la provincia di Lubiana, e il Regno di Croazia. Unprotocollo stabiliva che, fino alla stipulazione di nuovi accordi, sa-rebbero stati mantenuti in vigore fra Italia e Croazia, per quanto fos-sero applicabili, i trattati conclusi fra il Regno d’Italia e l’ex Regnodi Jugoslavia. Importante per il governo di Zagabria era lo scambiodi lettere relativo al regime amministrativo di Spalato e al trattamen-to delle minoranze. In esso l’Italia ribadiva il suo impegno di prepa-rare in breve tempo il testo di una convenzione con il governo croatoriguardante l’ordinamento amministrativo per il comune di Spalato el’isola di Curzola. Per attenuare le critiche di parte dell’establishmentfascista, che vedeva negli accordi di Roma una nuova «vittoria muti-lata», lo scambio di note prevedeva anche delle garanzie culturali, lin-guistiche e scolastiche per le minoranze italiane nei territori e nelleisole della Dalmazia croata. Fu firmato, poi, un accordo di caratteremilitare riguardo alla zona litoranea adriatica. Il governo croato s’im-pegnava a «non istituire e a non mantenere nelle isole e nella zona

LO SPAZIO VITALE 109

109 Il testo della risposta di Vittorio Emanuele III a Pavelić in «Relazioni Internazionali»,24 maggio 1941. Sulla figura di Aimone di Savoia: ANDREA UNGARI, Casa Savoia e la di-plomazia fascista nei Balcani, in CACCAMO, MONZALI, L’occupazione italiana dellaIugoslavia, cit., in particolare p. 335 e ss.; GIAN NICOLA AMORETTI, La vicenda italo-croatanei documenti di Aimone di Savoia (1941-1943), Rapallo, 1979.

110 I testi degli accordi italo-croati del 18 maggio 1941 sono conservati in ASMAE, GAB1923-1943, UC, b. 52.

compresa tra il mare e la linea riportata sulla carta allegata, che fa par-te integrante del presente accordo, alcuna opera o apprestamento mi-litare terrestre, navale od aeronautico, alcuna base di operazione, al-cuna installazione suscettibile di essere utilizzata a scopi di guerra néalcuna fabbrica o deposito di munizioni e materiale di guerra».L’articolo secondo sanciva l’impegno croato di non avere una marinadi guerra «salvo a disporre di unità specializzate necessarie ad assi-curare i servizi di polizia e di finanza». Un ulteriore accordo avrebbeprecisato le modalità secondo le quali il governo italiano poteva ave-re facoltà di fare transitare le sue Forze Armate sul territorio croatolungo la rotabile litoranea Fiume-Cattaro, la linea ferroviaria Fiume-Ogulin-Spalato e l’eventuale prolungamento fino a Cattaro.

Fondamento dell’alleanza fra l’Italia fascista e la Croazia ustasciadoveva essere il trattato di «garanzia e di collaborazione» fra i duePaesi. Con l’articolo primo del trattato, che sanciva l’ingresso delRegno di Croazia nel «nuovo ordine europeo», l’Italia assumeva «lagaranzia dell’indipendenza politica del Regno di Croazia e della suaintegrità territoriale nelle frontiere che saranno determinate d’accor-do con gli Stati interessati». Il governo croato s’impegnava a non as-sumere impegni internazionali «incompatibili con la garanzia stabili-ta dall’articolo precedente e con lo spirito del presente Trattato», e avalersi della collaborazione italiana per quanto riguardava l’organiz-zazione e l’istruzione tecnica delle sue Forze Armate e la preparazio-ne degli apprestamenti militari nel suo territorio. L’articolo quattro pre-vedeva il futuro potenziamento, «non appena consolidata l’economiadello Stato croato», delle relazioni di carattere doganale e valutario frai due Paesi. A tale scopo i due governi stabilivano la creazione di unaCommissione permanente. I due governi s’impegnavano anche a con-cludere al più presto accordi speciali in materia di traffici ferroviari emarittimi, di trattamento dei cittadini di uno dei due Stati nel territo-rio dell’altro e di relazioni culturali e giuridiche. Concludeva il trat-tato l’articolo sesto, che stabiliva l’entrata in vigore dell’accordo conla sua firma e una sua durata di 25 anni. Il fatto che l’accordo di ga-ranzia e collaborazione prevedesse un’unilaterale protezione italianadello Stato croato, senza reciprocità, sanciva chiaramente lo squilibrioesistente nelle relazioni fra i due governi, con la chiara ambizionedell’Italia fascista di trasformare la Croazia in un protettorato da es-sa controllato. Ma l’incapacità italiana di assicurare la realizzazionedi un’unione monetaria e doganale fra i due Paesi rese sostanzialmentevana la speranza di Mussolini di controllare in modo esclusivo lo Stato

LUCIANO MONZALI110

LO SPAZIO VITALE 111

111 Il 16 maggio il governo croato e quello tedesco firmarono a Zagabria, all’insaputadell’Italia, un’intesa segreta sulle relazioni economiche bilaterali. Il governo croato s’impe-gnò a dare particolare considerazione agli interessi economici tedeschi esistenti in Croazia ea riportare lo scambio di merci al livello esistente prima della guerra. La Germania avrebbepotuto approvvigionarsi di materie prime senza impedimenti e nell’attribuzione di nuovi con-cessioni particolare attenzione sarebbe stata data alle esigenze tedesche. I costi per il mante-nimento delle truppe germaniche in Croazia sarebbero stati a carico dello Stato croato. Il te-sto dell’intesa del 16 maggio 1941 è riprodotto in ADAP, D, XII, 2, d. 526.

112 Opera omnia di Benito Mussolini, Firenze, 1966, vol. XXX, p. 90 e ss., citazione p. 97.

croato. Fin dal maggio 1941, attraverso un accordo economico segreto,la Germania si assicurò il controllo privilegiato delle materie prime edel commercio della Croazia, vanificando le ambizioni egemonicheitaliane nella regione111.

Il 10 giugno, in occasione di un discorso alla Camera dei Fasci edelle Corporazioni dedicato ai problemi della guerra, Mussolini parlòin termini positivi della posizione dell’Italia fascista in campo inter-nazionale e presentò gli accordi italo-croati di Roma come uno dei pri-mi successi concreti prodotti dall’intervento in guerra. Con la distru-zione della Jugoslavia, «Stato mosaico creato artificiosamente aVersaglia in funzione esclusivamente antiitaliana», e il risorgere del-lo Stato croato l’Italia aveva potuto assicurare la propria egemonia nel-la regione balcanica. Gli accordi di Roma garantivano piena soddi-sfazione agli interessi italiani:

Fiume ha oggi un retroterra e con l’occupazione di tutte le isole delCarnaro ha una consistenza che le mancava. Il porto di Fiume ha dinanzi asé sicure prospettive, poiché è destinato a servire il retroterra croato e ma-giaro. Con l’annessione di quasi tutte le isole dell’arcipelago dalmata, conla creazione delle nuove provincie di Spalato e Cattaro e l’allargamento del-la vecchia di Zara, fedelissima, il problema può considerarsi risolto, specietenendo conto che esso deve essere inquadrato nella soluzione della sicu-rezza adriatica, che considero definitiva, e in quello dei rapporti stabiliti frail Regno d’Italia e quello di Croazia, la cui corona è stata offerta a un SavoiaAosta112.

Il politico romagnolo rispose anche a quei critici presenti nell’e-stablishment fascista, che denunciavano gli accordi italo-croati comeuna pace rinunciataria:

Noi avremmo potuto, volendo, spingere i nostri confini dai Velebiti allealpi albanesi, ma avremmo, a mio avviso, commesso un errore; senza conta-

LUCIANO MONZALI112

113 Ibidem.

re il resto, avremmo portato entro le nostre frontiere parecchie centinaia dimigliaia di elementi allogeni, naturalmente ostili. Ora, la storia antica, ma so-prattutto la recente, dimostra che gli Stati devono tendere a realizzare il mas-simo della loro unità etnica e spirituale, in modo da far coincidere a un cer-to punto i tre elementi razza, nazione, Stato. Gli Stati che si caricano di trop-pi elementi alloglotti hanno una vita travagliata. Può essere talvolta inevita-bile di averli, per ragioni supreme di sicurezza strategica. Bisogna adottareverso di essi un trattamento speciale, premesso, beninteso, la loro assolutalealtà di cittadini verso lo Stato. Comunque, quando la etnia non va d’accor-do con la geografia, è l’etnia che deve muoversi. Gli scambi di popolazionie l’esodo di parti di esse sono provvidenziali, perché portano a far coincide-re i confini politici con quelli razziali113.

In realtà, nonostante i proclami di Mussolini, gli accordi di Romas’ispiravano a princìpi ben diversi da quelli di nazionalità e di ricer-ca realistica di sicurezza militare, che erano stati alla base della poli-tica estera dell’Italia prefascista. In un contesto internazionale domi-nato dalla competizione imperialistica, l’Italia liberale aveva perse-guito obiettivi espansionistici nei territori adriatici per garantirsi la si-curezza strategica dei propri confini e l’annessione di terre dove era-no presenti popolazioni di lingua e cultura italiane, limitando, però,l’inclusione di popolazioni allogene: proprio per questa ragione si eradeciso di rinunciare all’annessione di gran parte della Dalmazia dopola prima guerra mondiale. L’Italia fascista abbandonava questo prag-matismo in nome della creazione di uno spazio vitale italiano, privodi precisi contorni e frutto più dei capricci di un dittatore che delle rea-li esigenze della nazione italiana. Gli accordi di Roma e la politica diconquista dell’Italia fascista favorirono l’unione allo Stato italiano dinumerose popolazioni allogene (sloveni della Slovenia centro-meri-dionale, croati dell’hinterland fiumano e della Dalmazia, albanesi delKosovo). Eccetto che in Dalmazia, tutti gli altri territori annessi nel1941 erano privi della presenza di una pur minima popolazione ita-liana. Contrariamente alle aspettative della classe dirigente fascista, gliaccordi di Roma si dimostrarono un’illusoria vittoria politica perl’Italia. Il governo di Roma annesse la Slovenia meridionale, il retro-terra di Fiume, gran parte della Dalmazia, le Bocche di Cattaro e qua-si tutto il Kosovo, ma fu incapace di dare vita a un assetto politico sta-bile in questi territori. La disgregazione della Jugoslavia diede il via

all’esplodere di feroci lotte militari e nazionali fra le popolazioni au-toctone e le forze occupanti e alimentò una guerra civile jugoslava cheavrebbe provocato centinaia di migliaia di vittime. Il sogno della co-stituzione di un Impero adriatico dell’Italia sarebbe tramontato nel gi-ro di pochi mesi e sulle sue macerie si sarebbe costituita la Jugoslaviacomunista guidata da Josip Broz, detto Tito.

LO SPAZIO VITALE 113

APPENDICECartine

INDICE DEI NOMI

Afflerbach Holger, 7nAimone Savoia Aosta, 109 e nAlatri Paolo, 18n, 22nAlbertini Luigi, 7n, 9n, 10n, 11 e n, 12,

32nAlbrecht-Carrié René, 18n, 19nAldrovandi Marescotti Luigi, 18nAlessandro Karadjordjević, Re SHS,

38, 44, 55, 56, 57Alfieri Dino, 96, 101Aloisi Pompeo, 50, 51n, 61, 63Amoretti Gian Nicola, 109nAnchieri Ettore, 37nAndré Gianluca, 82n, 83n, 84nAnfuso Filippo, 60n, 87n, 88, 89n, 90 e

n, 91, 93, 95Apih Elio, 10n, 27n, 48nApollonio Almerigo, 27nAra Angelo, 59nAttolico Bernardo, 59, 76Averescu Alexandru, 44

Badoglio Pietro, 84nBaer George W., 58nBagnato Bruna, 91nBaker Ray Stannard, 19nBalbo Italo, 59Ballarini Amleto, 8n, 16nBanac Ivo, 14n, 16nBarbagallo Francesco, 21nBarié Ottavio, 10n, 11nBariety Jacques, 13nBarker Elisabeth, 85nBarrère Camille, 32nBarthou Louis, 32n, 57Bartulin Nevenko, 89nBeck Jósef, 73Beneš Edvard, 40, 41, 50 e nBenini Zenone, 92

Benzon Branko, 104Biagini Antonello, 16n, 28nBianchini Stefano, 46n, 101nBilandžić Dušan, 14nBinder Dieter A., 47nBissolati Leonida, 10 e nBolech Cecchi Donatella, 26n, 39n,

66n, 79nBonomi Ivanoe, 10n, 17, 30, 32Borejsza Jerzy W., 66nBorgogni Massimo, 42n, 80n, 83nBoris III di Sassonia Coburgo, Zar dei

Bulgari, 46Bosworth Richard J. B., 37nBotta Franco, 36nBreccia Alfredo, 46n, 79n, 80n, 81n,

83n, 84n, 85nBroucek Peter, 92nBroszat Martin, 101nBroz Josip detto Tito, 113Brundu Olla Paola, 66nBucarelli Massimo, 22n, 36n, 38n, 42n,

44n, 48n, 49n, 55n, 56n, 57n, 66n,68n, 69 e n, 85n, 99

Buccianti Giovanni, 57nBuchanan George William, 30n, 31nBurgwyn H. James, 18n, 37n, 44n, 46n,

82nButi Gino, 92, 99

Caccamo Francesco, 8n, 9n, 15n, 16n,17n, 18n, 20n, 22n, 23n, 25n,39n, 40 e n, 41n, 46n, 85n, 101n,109n

Calder Kenneth J., 13nCalvitt Clarke III Jay, 52nCantalupo Roberto, 37nCapuzzo Ester, 16nCarlucci Paola, 9n

Carocci Giampiero, 37n, 42n, 44n, 46n,47n

Caroli Giuliano, 20n, 44nCarter Bernard, 49nCasella Francesco, 46nCasertano Raffaele, 102, 103, 105, 106,

107 e nCassels Alan, 36n, 37n, 39n, 44n, 47nCattaruzza Marina, 8nCerruti Vittorio, 61Cervi Mario, 84nCeva Lucio, 84nCharles-Roux François, 31nChristich/Christić Bochko, 73Ciano Galeazzo, 59, 60n, 63, 65, 67 e

n, 69, 71n, 73, 74 e n, 75 e n, 76 en, 77 e n, 78n, 79n, 80n, 82n, 83 en, 84, 92, 94 e n, 95, 96, 97, 99, 100e n, 101 e n, 102 e n, 103, 104 e n,107

Colapietra Raffaele, 10nContarini Salvatore, 29n, 36, 37 e n,

38n, 43Coppola Francesco, 36nCorsini Umberto, 8n, 21nCoverdale John, 66nCrainz Guido, 17nCrampton Richard J., 46nCrespi Silvio, 18nCurato Federico, 20nCurzon di Kedleston George Nathaniel,

21n, 30n, 31n, 32nCuzzi Marco, 87nCvetković Dragiša, 81

D’Amoja Fulvio, 46n, 65nD’Annunzio Gabriele, 22, 25Dassovich Mario, 16n, 24n, 37n, 39n,

45n, 48n, 49nDe Benvenuti Angelo, 8nDe Castiglioni Maurizio Lazzaro, 92De Felice Renzo, 12n, 22n, 25n, 27n,

30n, 35n, 51n, 52n, 57n, 58n, 59n,65 e n, 66n, 69n, 71n, 73n, 76n,77n, 79n, 80n, 82n, 83n, 84n, 93n,101n

De Martino Giacomo, 13nDe Vergottini Tomaso, 50n

Di Figlia Matteo, 59nDilks David, 58nDi Nolfo Ennio, 37n, 42n, 46n, 47n, 65

e nDockrill Michael L., 18nDogo Marco, 42n, 44nDollfuss Engebert, 53 e n, 55, 59Donosti Mario vedi Luciolli MarioDragnich Alex N., 14nDudan Alessandro, 76 e n, 83n, 89, 90

e n, 103 e nDuroselle Jean-Baptiste, 14n, 18n, 19n,

52n, 57n, 66n, 73n, 79n, 83n

Ercolani Antonella, 22n, 80n

Facta Luigi, 17, 32Falanga Gianluca, 66n, 102nFaldella Emilio, 84nFarinacci Roberto, 59Federzoni Luigi, 25nFejtö François, 13nFellner Fritz, 7nFerenc Tone, 87nFerraioli Gianpaolo, 7nFink Carole, 32nFischer Bernd J., 42n, 80nFisichella Domenico, 35nFrançois-Poncet André, 63nFrohn Axel, 32nFunke Manfred, 59n

Galli Carlo, 48 e n, 49, 55, 61, 99Garzia Italo, 18n, 19n, 36nGatta Bruno, 10nGehl Jürgen, 59nGentile Emilio, 30n, 35nGerra Ferdinando, 22nGiannini Amedeo, 23n, 33n, 39nGigli Americo, 98 e n, 99Giglio Carlo, 52Giglioli Alessandra, 66n, 79nGiolitti Giovanni, 17, 23, 24, 25, 28, 29

e n, 30 e n, 32, 103Giordano Giancarlo, 23nGiovanna di Savoia, 46Giuriati Giovanni, 22nGlaise von Horstenau Edmund, 92

INDICE DEI NOMI124

Gobetti Eric, 44n, 86nGoldinger Walter, 47nGoldstein Erik, 18nGoold J. Douglas, 18nGöring Hermann, 55, 72, 78nGraham Ronald, 32nGrandi Dino, 41, 43 e n, 49, 50Grassi Orsini Fabio, 43nGrazzi Emanuele, 84nGrumel-Jacquignon François, 15n, 43nGuariglia Raffaele, 37n, 48 e nGuerri Giordano Bruno, 59n, 67nGuida Francesco, 15n, 31n, 42n, 46n

Haas Hans, 20nHassell Ulrich von, 59 e n, 63nHaywood Geoffrey A., 9nHeideking Jurgen, 32nHelmreich Paul C., 18nHenderson Nevile, 57nHildebrand Klaus, 80nHillgruber Andreas, 73n, 80n, 83nHitler Adolf, 51, 55, 60, 67, 70, 71, 72,

77, 78, 85, 88 e n, 89, 92, 95, 96, 97,103

Hoare Samuel, 58nHory Ladislaus, 101nHodža Milan, 62Hoptner Jacob B., 68n, 81nHubert Rainer, 47n

Imperato Federico, 12n

Jacques Edwin E., 42nJacomoni Francesco, 80nJanjatović Bosiljka, 14nJareb Mario, 44nJedlicka Ludwig, 67nJuhasz Gyula, 54nJuso Pasquale, 44n, 57n

Kerekes Lajos, 21n, 47nKindermann Gottfried-Karl, 53nKisić-Kolanović Nada, 101nKnox Mac Gregor, 37n, 66n, 82nKovač Miro, 15nKönig Malte, 72n, 84nKrek Miha, 87

Kristo Jure, 89nKrizman Bogdan, 44n, 84n, 87n, 88n,

89n, 92n, 95n, 100n, 101n, 106nKrüger Peter, 32nKulovec Franc, 87Kvaternik Slavko, 87n, 88 e nKybal Vlastimil, 37n, 39n

La Marca Nicola, 49nLampe John R., 14n, 49n, 68n, 69n, 79nLanza Michele, 101nLaurens Franklin D., 58nLaval Pierre, 57, 61Ledeen Michael A., 22nLederer Ivo J., 14n, 15n, 18n, 19n, 23n,

24nLefebvre D’Ovidio Francesco, 36n,

37n, 38n, 42n, 44n, 46n, 47n, 53n,54n, 58n, 59n, 61n

Legatus vedi Cantalupo RobertoLe Moal Frédéric, 13n, 15nLessona Alessandro, 58nLill Rudolf, 21nLongo Luigi Elmo, 16n, 22nLuciolli Mario, 43nLuigi XIV di Borbone, Re di Francia,

96Luza Radomir, 40n

Macchi di Cellere Vincenzo, 9nMaček Vladko, 69, 77, 79, 81, 86 e n,

87Mackensen, Hans Georg von, 77 e n, 78Macmillan Margaret, 18nMagistrati Massimo, 71nMalfer Stefan, 20nMamatey Victor S., 13n, 40nMantoux Paul, 19nManzoni Gaetano, 27, 28nMaranelli Carlo, 10nMargiotta Broglio Francesco, 13nMarras Efisio, 71, 72n, 74Marsico Giorgio, 20nMasaryk Tomáš Garrigue, 40, 50Massagrande Danilo, 28n, 29 e n, 30 e nMatković Hrvoje, 14n, 89nMayer Arno, 13n, 19nMazower Mark, 80n

INDICE DEI NOMI 125

Mazzini Giuseppe, 10Medlicott Norton, 58nMelchionni Maria Grazia, 14n, 15n,

23n, 24n, 25nMenichella Donato, 107 e n, 108nMeriano Francesco, 48nMessersmith George, 71nMichaelis Meir, 59nMicheletta Luca, 10n, 18n, 21n, 22n,

23n, 24n, 25n, 30n, 31n, 32n, 80n,84n

Millo Anna, 50nMinardi Salvatore, 57nMinniti Fortunato, 66nMonticone Alberto, 13n, 21nMonzali Luciano, 7n, 8n, 9n, 10n, 11n,

16n, 17n, 18n, 22n, 23n, 24n, 25n,26n, 28n, 29n, 30n, 33n, 36n, 38n,48n, 76n, 85n, 86n, 89n, 101n, 109n

Mori Renato, 58n, 59nMorozzo Della Rocca Roberto, 42n,Mosca Rodolfo, 15n, 20n, 31nMoscati Ruggero, 37nMotta Giuseppe, 80nMussolini Benito, 24, 33, 35 e n, 36, 37

e n, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 45, 46,47, 49, 50 e n, 51, 52, 53, 54, 55, 56,57, 58, 59, 60n, 61 e n, 62, 65, 66,67, 70, 72, 73, 74, 75 e n, 76 e n, 77,78 e n, 82, 83 e n, 84, 85, 87, 88, 89,90, 91, 92, 93, 94 e n, 95, 99, 101,102, 103, 104, 105, 107 e n, 108n,109, 110, 111, 112

Nani Umberto, 39nNattermann Ruth, 91nNeck Rudolf, 67n, 70nNegrotto Cambiaso Lazzaro, 37nNello Paolo, 43nNenezić Dragan S., 86nNicolson Harold, 18nNieri Rolando, 9nNigro jr. Louis John, 19nNitti Francesco Saverio, 13, 17, 21 e n,

22, 32, 103Noli Fan, 42Nuti Leopoldo, 82n

Orde Anne, 15nOrlando Vittorio Emanuele, 12, 13, 16,

17, 18n, 103Ortona Egidio, 105n

Paolo Karadjordjević, principe reggen-te di Jugoslavia, 69, 79, 81, 85

Papen Franz von, 55Pardini Giuseppe, 59nParesce Gabriele, 39nPašić Nikola, 38Pastor Peter, 15nPastorelli Pietro, 9n, 18n, 37n, 37n, 41n,

42n, 61n, 65n, 77n, 80n, 101nPavelić Ante, 44, 56, 83, 87, 88, 89, 97,

99, 100, 101, 102, 104, 105, 106,107, 108 e n, 109 e n

Pavlowitch Stevan K., 14n, 85nPelagalli Sergio, 43n, 72nPerfetti Francesco, 22nPerman Daniel, 20nPerna Valerio, 73n, 78nPetersen Jens, 51n, 54n, 59nPetracchi Giorgio, 11n, 17n, 30n, 32n,

50nPetricioli Marta, 31nPetrinović Ivo, 44nPezzoli Leonardo, 39nPhilipps William, 67nPietromarchi Luca, 91 e n, 92, 93 e n,

94 e n, 95 e n, 96 e n, 99n, 100n,104 e n, 105n, 106

Pirjevec Jože, 14n, 79n, 81nPizzigallo Matteo, 32n, 37nPribram Alfred Francis, 7nPrivitera Francesco, 101nPuaux Gabriel, 53nPupo Raoul, 48n, 86n

Quaroni Pietro, 42nQuartararo Rosaria, 65n, 79n

Randi Oscar, 93Réti György, 54n, 73n, 75n, 78nRiccardi Arturo, 103nRiccardi Luca, 8n, 9n, 11n, 18n, 19n,

24n, 44n, 61n, 89nRibbentrop Joachim, 78 e n, 86, 92, 95,

INDICE DEI NOMI126

96, 97, 100Rocco Guido, 29nRochat Giorgio, 58nRodd Rennell, 21nRodogno Davide, 82nRomano Sergio, 37nRoselli Alessandro, 42nRossini Daniela, 19nRosso Augusto, 61Rothwell Victor H., 13n, 18nRuegger Paul, 80n

Sadković James J., 44nSaiu Liliana, 18nSaint-Aulaire Charles de, 32nSala Teodoro, 86nSalandra Antonio, 8, 18nSalata Francesco, 52n, 76n, 89 e n, 90

e n, 103Salvadori Massimo L., 10Salvatorelli Luigi, 7nSalvemini Gaetano, 10 e n, 11n, 12, 24nSalvi Beniamino, 8nSchanzer Carlo, 32 e n, 33Scarano Federico, 47n, 51nSchmidt-Neke Michael, 42nSchober Richard, 8n, 21nSchober Johann, 47, 48Schödl Günther, 8nScottà Antonio, 13nSchuschnigg Kurt von, 55, 61, 67n, 70Segre Claudio G., 59nSeipel Ignaz, 47Senesi Liliana, 65nŠepić Dragovan, 8n, 86nSeton-Watson Christopher, 13nSeton-Watson Hugh, 13nSforza Carlo, 23 e n, 24 e n, 25 e n, 26,

28, 29, 30, 31, 36, 37Shorrock William I., 38n, 44n, 57nSilva Pietro, 10 e nSilvestri Claudio, 27nSimon John, 57nSimoni Leonardo vedi Lanza MicheleSingleton Fred, 49nSmith Michael Llewellyn, 18nSonnino Sidney, 8 e n, 9 e n, 10, 12,

13n, 20

Soutou Georges-Henri, 14nSpector Sherman D., 20nStarhemberg Ernest Rüdiger, 47, 53, 61Steininger Rolf, 21n, 72nSteurer Leopold, 72nStojadinović Milan, 57, 68 e n, 69, 74,

79 e n, 84, 85nSundhaussen Holm, 101nSuppan Arnold, 8n, 20n, 47n, 48n, 53nSuvich Fulvio, 50 e n, 51 , 54 e n, 59,

60 e n, 61, 63Swire Joseph, 42n

Tacconi Antonio, 48n, 89 e n, 90 e n,103

Talpo Oddone, 86n, 90n, 101n, 103nTamaro Attilio, 14n, 24n, 25n, 26 e n,

36nTamborra Angelo, 10n, 12nTasso Antonio, 68nTellini Enrico, 42Templewood Viscount vedi Hoare

Samuel, 58nTillman Seth P., 18nTittoni Tommaso, 21Tolomeo Rita, 31n, 46nTomasi Della Torretta Pietro, 30 e n, 31Tommasini Francesco, 31 e nTorre Andrea, 12Toscano Mario, 9n, 15n, 72n, 77n, 78n,

80nTosi Luciano, 12nTosti di Valminuta Fulco, 32Tranfaglia Nicola, 29nTrifkovic Srdja, 44n, 101nTroebst Stefan, 46nTrumbić Ante, 12, 24, 25, 30

Umiltà Carlo, 39n, 48n, 49 e nUngari Andrea, 109nUrbanitsch Peter, 8n

Valiani Leo, 8n, 9n, 10n, 11n, 12n, 15nVansittart Robert, 58nVeneruso Danilo, 11n, 30n, 32nVittorio Emanuele III, Savoia, Re

d’Italia, 46, 108 e n, 109nVivarelli Roberto, 10n, 12n, 17n

INDICE DEI NOMI 127

Vrandečić Josip, 8n

Wandycz Piotr, 15n, 39n, 44nWandruszka Adam, 8n, 70nWatt Donald Cameron, 79n, 81nWeinberg Gerhard L., 52n, 59n, 80nWhite Stephen, 32nWilson Woodrow, 19 e n, 23Wilson Hugh R., 71nWoller Hans, 51nWörsdörfer Rolf, 48n

Wuescht Johann, 69nWylie Neville, 81n

Young Alban, 23n, 42n

Zeno Livio, 23nŽivojinović Dragan, 19n, 81nZogolli Ahmed/Zog, 42, 43Žuric-Scotti Neva, 86nZvonimiro, Re croato, 102, 108

INDICE DEI NOMI128

INDICE GENERALE

Elenco dei fondi archivistici, delle raccolte documentariee delle abbreviazioni ........................................................................ p. 5

I. L’ITALIA LIBERALE, LA DISSOLUZIONE DELL’IMPERO ASBURGICOE LA COSTITUZIONE DEL REGNO DEI SERBI, CROATI E SLOVENI ........ » 7

II. DALLA DIFESA DELLA STABILITÀ ALLA CREAZIONE DEL DISORDINE.L’ITALIA FASCISTA, LA JUGOSLAVIA E LA REGIONE DANUBIANA1922-1936 .................................................................................... » 35

III. MUSSOLINI, CIANO E IL DECLINO DELL’INFLUENZA ITALIANANELL’EUROPA DANUBIANA E BALCANICA 1936-1940 ...................... » 65

IV. LO SPAZIO VITALE. L’ITALIA FASCISTA, LA DISGREGAZIONEDELLA JUGOSLAVIA E LA NASCITA DELLA CROAZIAINDIPENDENTE ................................................................................ » 83

Appendice:Cartine ........................................................................................ » 115

Indice dei nomi ................................................................................. » 123

FINITO DI STAMPARENEL MESE DI GIUGNO 2010

PER CONTO DELLACASA EDITRICE LE LETTERE

DALLA TIPOGRAFIA ABCSESTO FIORENTINO - FIRENZE

BIBLIOTECA DI «NUOVA STORIA CONTEMPORANEA»

1. Paolo Simoncelli, Renzo De Felice. La formazione intellettuale.

2. Giovanni Ansaldo, Il ministro della buona vita. Giovanni Giolittie i suoi tempi. Prefazione di Francesco Perfetti.

3. Gioacchino Volpe, Italia moderna. 1815-1898. Introduzione diFrancesco Perfetti.

4. Gioacchino Volpe, Italia moderna. 1898-1910.

5. Gioacchino Volpe, Italia moderna. 1910-1915.

6. Giovanni Artieri, Umberto II - Il Re gentiluomo. Colloqui sulla finedella monarchia. Introduzione di Francesco Perfetti. Prefazione diPaolo Cacace.

7. Guzmán M. Carriquiry Lecour, Una scommessa per l’America la-tina. Memoria e destino storico di un continente.

8. Ernst Nolte, Esistenza storica. Fra inizio e fine della storia? Tradu-zione e cura di Francesco Coppellotti.

9. Furio Biagini, Il ballo proibito. Storie di ebrei e di tango. Prefazionedi Moni Ovadia.

10. Antonio Donno, In nome della libertà. Conservatorismo america-no e guerra fredda.

11. Eugenio Di Rienzo, Un dopoguerra storiografico. Storici italianitra guerra civile e Repubblica.

12. Andrea Ungari, In nome del Re. I monarchici italiani dal 1943 al1948. Prefazione di Francesco Perfetti.

13. Luciano Monzali, Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento allaGrande Guerra.

14. Francesco Perfetti, Assassinio di un filosofo. Anatomia di un omi-cidio politico.

15. Giuliana Iurlano, Sion in America. Idee, progetti, movimenti peruno Stato ebraico (1654-1917). Prefazione di Francesco Perfetti.

16. Sicanus, La verità sull’Ovra. A cura di Giuseppe Pardini.

17. Il fascismo e i partiti politici italiani. Testimonianze del 1921-1923.A cura di Renzo De Felice. Postfazione di Francesco Perfetti.

18. Fascisti in Sud America. A cura di Eugenia Scarzanella.

19. Federico Tondi, Chi ha ucciso la Balena bianca? Prefazione diMarco Follini. Introduzione di Giovanni Pallanti.

20. Nicholas Farrell, Mussolini.

21. Francesco Perfetti, Parola di Re. Il diario segreto di Vittorio Emanuele.

22. Eugenio Di Rienzo, Storia d’Italia e identità nazionale. DallaGrande Guerra alla Repubblica.

23. Franco Valsecchi, L’Europa delle nazionalità. Prefazione di Fran-cesco Perfetti.

24. Paolo Simoncelli, Tra scienza e lettere. Giovannino Gentile (eCanti mori e Majorana). Ricostruzioni e polemiche.

25. Luciano Monzali, Italiani di Dalmazia. 1914-1924.

26. Andrea Ungari, Un conservatore scomodo. Leo Longanesi dal fasci-smo alla Repubblica.

27. Giuseppe Pardini, Roberto Farinacci ovvero della rivoluzione fascista.

28. Antonio Donno, Barry Goldwater. Valori americani e lotta al co-munismo.

29. Eugenio Di Rienzo, La storia e l’azione. Vita politica di Gioacchi-no Volpe.

30. L’occupazione italiana della Iugoslavia (1941-1943). A cura diFrancesco Caccamo e Luciano Monzali.

31. Richard Drake, Apostoli e agitatori. La tradizione rivoluzionariamarxista in Italia.

32. Giuseppe Bedeschi, Liberalismo vero e falso.

33. Paolo Simoncelli, Cantimori e il libro mai edito. Il Movimento na-zionalsocialista dal 1919 al 1933.

34. Giuseppe Pardini, Fascisti in democrazia. Uomini, idee, giornali(1946-1958).

35. Delio Cantimori e la cultura politica del Novecento. A cura di Eu-genio Di Rienzo e Francesco Perfetti.

36. Simonetta Bartolini, Ardengo Soffici. Il romanzo di una vita.

37. André François-Poncet, A Palazzo Farnese. Memorie di un amba-sciatore a Roma 1938-1940. A cura e con un saggio introduttivodi Maurizio Serra.

38. Francesco Perfetti, La repubblica (anti) fascista. Falsi miti, mostrisacri, cattivi maestri.

39. Enrico Serra, La diplomazia. Strumenti e metodi.

40. Didier Musiedlak, Il mito di Mussolini.

41. Paolo Simoncelli, L’epurazione antifascista all’accademia dei Lin-cei. Cronache di una controversa «ricostituzione».

42. Mario Luciolli, Mussolini e l’Europa. La politica estera fascista.

43. Federico Niglia, Fattore Bonn. La diplomazia italiana e la Germa-nia di Adenauer (1945-1963).

44. Giovanni Sedita, Gli intellettuali di Mussolini.

45. Mireno Berrettini, La Gran Bretagna e l’antifascismo italiano. Di-plomazia Clandestina, Intelligence, Operazioni speciali (1940-1943). Prefazione di Massimo de Leonardis.

46. Luciano Monzali, Il sogno dell’egemonia. L’Italia, la Questione Ju-goslava e l’Europa Centrale (1918-1941).