I mieli regionali italiani - Piana Ricerca

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Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali C.R.A. - Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria, Sezione di Apicoltura, Roma PROGRAMMA NAZIONALE PER IL MIGLIORAMENTO DELLA PRODUZIONE E COMMERCIALIZZAZIONE DEI PRODOTTI DELL’APICOLTURA - ANNUALITÀ 2006-2007 Unione europea Reg. CE 797/04 CRA - ISZA Sezione di Apicoltura I MIELI REGIONALI ITALIANI I MIELI REGIONALI ITALIANI Caratterizzazione melissopalinologica Caratterizzazione melissopalinologica I MIELI REGIONALI ITALIANI

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Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e ForestaliC.R.A. - Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria, Sezione di Apicoltura, Roma

PROGRAMMA NAZIONALE PER IL MIGLIORAMENTO DELLA PRODUZIONE E COMMERCIALIZZAZIONE DEI PRODOTTI DELL’APICOLTURA - ANNUALITÀ 2006-2007

Unione europeaReg. CE 797/04

CRA - ISZASezione di Apicoltura

I MIELI REGIONALI ITALIANII MIELI REGIONALI ITALIANICaratterizzazione melissopalinologicaCaratterizzazione melissopalinologica

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I MIELI REGIONALI ITALIANICaratterizzazione melissopalinologica

Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e ForestaliC.R.A. - Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria, Sezione di Apicoltura, Roma

PROGRAMMA NAZIONALE PER IL MIGLIORAMENTO DELLA PRODUZIONE E COMMERCIALIZZAZIONE DEI PRODOTTI DELL’APICOLTURA - ANNUALITÀ 2006-2007

Unione europeaReg. CE 797/04

CRA - ISZASezione di Apicoltura

I MIELI REGIONALI ITALIANII MIELI REGIONALI ITALIANI

a cura di Livia Persano Oddo, Maria Lucia Piana,

Giancarlo Ricciardelli D’Albore

Caratterizzazione melissopalinologicaCaratterizzazione melissopalinologica

Volume realizzato nell’ambito del Programma Nazionale MiPAAF in base al Reg CE 797/04 “Miglioramento dellaproduzione e della commercializzazione dei prodotti dell’apicoltura” - Annualità 2006-2007Distribuzione gratuita - Ristampa a cura di Piana Ricerca e Consulenza srl

Cura del volume:Livia Persano Oddo, Maria Lucia Piana, Giancarlo Ricciardelli D’Albore

Autori dei testi (in ordine alfabetico):Corrado Adamo – Regione Valle d’Aosta, Assessorato all’Agricoltura, AostaAlessandra Baggio – Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, PadovaRenzo Barbattini – Dipartimento di Biologia applicata alla difesa delle piante, Università di UdinePaola Belligoli – C.R.A. - Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria, Sezione di Apicoltura, RomaCesare Biondi – Consorzio Pisa Ricerche, PisaEdith Bucher – Provincia Autonoma di Bolzano, Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e la Tutela del Lavoro, LaboratorioBiologico, Laives (BZ)Mario Colombo – Istituto di Entomologia Agraria, Università di MilanoGabriella Ferrauto – Dipartimento di Botanica, Università di CataniaAndrea Fissore – Aspromiele (Associazione Produttori Miele Piemonte), AlessandriaIgnazio Floris – Dipartimento di protezione delle Piante, Sezione di Entomologia agraria, Università di SassariFederica Gazziola – Dipartimento di Biologia applicata alla difesa delle piante, Università di UdineCarla Gianoncelli – Istituto Fojanini di Studi Superiori, SondrioGiovanna Gussago – Dipartimento di Botanica, Università di CataniaVeronika Kofler – Provincia Autonoma di Bolzano, Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e la Tutela del Lavoro, Labora-torio Biologico, Laives (BZ)Pietro Lanari – Agenzia Servizi Settore Agroalimentare Marche - Centro Agrochimico Regionale (Jesi-Ancona)Nunzio Longhitano – Dipartimento di Botanica, Università di CataniaPasquale Mazzone – Dipartimento di Entomologia e Zoologia Agraria, Università di Napoli Federico II, Portici (NA)Raffaele Monaco – Facoltà di Agraria, Università di BariNicola Palmieri – Dipartimento di protezione delle Piante, Sezione di Entomologia agraria, Università di Sassari (collabo-ratore esterno)Livia Persano Oddo – C.R.A. - Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria, Sezione di Apicoltura, RomaMaria Lucia Piana – APISHARE Labs and Services, Monterenzio (BO)Giancarlo Ricciardelli D’Albore – Dipartimento di Arboricoltura e Protezione delle Piante, Università di PerugiaPaola Rossi – Istituto di Entomologia Agraria, Università di MilanoAlberto Satta – Dipartimento di protezione delle Piante, Sezione di Entomologia agraria, Università di SassariMariassunta Stefano – Agenzia Servizi Settore Agroalimentare Marche - Centro Agrochimico Regionale (Jesi-Ancona)Fabio Taffetani – Facoltà di Agraria, Dipartimento di Scienze Ambientali e delle Produzioni Vegetali, Università Politecnicadelle Marche, AnconaSara Vallet – Regione Valle d’Aosta, Assessorato all’Agricoltura, AostaEmanuela Zieger – Provincia Autonoma di Bolzano, Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e la Tutela del Lavoro, Labora-torio Biologico, Laives (BZ)Antonina Zizza – Dipartimento di Botanica, Università di Catania

Fotografie (dove non diversamente specificato):Francesco Intoppa – C.R.A. - Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria, Sezione di Apicoltura, Roma

Realizzazione delle carte regionali: Francesco Leo - Dipartimento di Botanica, Univerità degli Studi La Sapienza, Roma

StampaTipografia Agnesotti - Viterbo

Prefazionedi Marco Accorti

Nota introduttiva

Capitolo IMelissopalinologia. Principi generali, applicazioni e problematichedi Livia Persano Oddo e Maria Lucia Piana

Capitolo IICaratterizzazione dei mieli regionali. Note introduttive e metodo di lavorodi Maria Lucia Piana e Livia Persano Oddo

Capitolo IIICaratteristiche melissopalinologiche dei mieli del Piemontedi Maria Lucia Piana, Paola Belligoli, Giancarlo Ricciardelli D’Albore, Livia Persano Oddo e Andrea Fissore

Capitolo IVCaratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Valle d’Aostadi Corrado Adamo e Sara Vallet

Capitolo VCaratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Lombardiadi Carla Gianoncelli, Mario Colombo e Paola Rossi

Capitolo VICaratteristiche melissopalinologiche dei mieli del Trentino Alto Adigedi Edith Bucher, Veronika Kofler, Maria Lucia Piana e Emanuela Zieger

Capitolo VIICaratteristiche melissopalinologiche dei mieli del Venetodi Paola Belligoli e Alessandra Baggio

Capitolo VIIICaratteristiche melissopalinologiche dei mieli del Friuli Venezia Giuliadi Federica Gazziola e Renzo Barbattini

Capitolo IXCaratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Liguriadi Cesare Biondi

Capitolo XCaratteristiche melissopalinologiche dei mieli dell’Emilia-Romagnadi Maria Lucia Piana

Capitolo XICaratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Toscanadi Cesare Biondi

Capitolo XIICaratteristiche melissopalinologiche dei mieli dell’Umbriadi Giancarlo Ricciardelli D’Albore

Capitolo XIIICaratteristiche melissopalinologiche dei mieli delle Marchedi Pietro Lanari, Mariassunta Stefano e Fabio Taffetani

Mieli e flora nettarifera del Lazio 5

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00991111

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SOMMARIO

6 Mieli e flora nettarifera del Lazio

Capitolo XIVCaratteristiche melissopalinologiche dei mieli del Laziodi Livia Persano Oddo e Paola Belligoli

Capitolo XVCaratteristiche melissopalinologiche dei mieli dell’Abruzzodi Maria Lucia Piana

Capitolo XVICaratteristiche melissopalinologiche dei mieli del Molisedi Paola Belligoli, Maria Lucia Piana e Livia Persano Oddo

Capitolo XVIICaratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Campaniadi Paola Belligoli, Livia Persano Oddo e Pasquale Mazzone

Capitolo XVIIICaratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Pugliadi Paola Belligoli, Raffaele Monaco, Livia Persano Oddo e Maria Lucia Piana

Capitolo XIXCaratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Basilicatadi Giancarlo Ricciardelli D’Albore e Livia Persano Oddo

Capitolo XXCaratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Calabriadi Paola Belligoli, Livia Persano Oddo e Maria Lucia Piana

Capitolo XXICaratteristiche melissopalinologiche dei mieli di Siciliadi Nunzio Longhitano, Gabriella Ferrauto, Giovanna Gussago e Antonina Zizza

Capitolo XXIICaratteristiche melissopalinologiche dei mieli di Sardegnadi Ignazio Floris, Nicola Palmieri e Alberto Satta

Capitolo XXIIICaratteristiche melissopalinologiche dei mieli italianidi Livia Persano Oddo e Maria Lucia Piana

Capitolo XXIVDifferenziazione dei mieli italiani e stranieri in base allo spettro pollinicodi Giancarlo Ricciardelli D’Albore

Capitolo XXVAltre applicazioni della melissopalinologiadi Giancarlo Ricciardelli D’Albore

Appendice INomenclatura melissopalinologicadi Maria Lucia Piana

Appendice IIMetodi per l’analisi microscopica del miele e della gelatina realedi Livia Persano Oddo e Lucia Piana

Ringraziamenti

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PREFAZIONE

Sfogliando questo libro mi viene da pensare a quando, tempo fa, trovai esposto in un bric à brac un puzzle di non

so quante migliaia di pezzi, raffigurante la volta michelangiolesca della cappella Sistina. Mi sono sempre doman-

dato quale pulsione avesse mai spinto un mio simile ad un impegno così defatigante, ascetico, conventuale, direi

quasi mistico, per ottenere alla fin fine un risultato decisamente piuttosto lontano dal modello di riferimento.

L’impresa, che forse era costata all’autore lo stesso tempo dedicato da Michelangelo alla sua opera, era stata

poi incorniciata con tanto di vetro, quasi fosse un ex voto, e mostrava anche segni di una lunga ostensione.

Chissà se l’autore della titanica fatica se l’era coccolata a lungo con gli occhi soddisfatto della propria tenacia, o

magari ne aveva fatto dono come un pegno d’amore, a riprova di ostinata fedeltà.

Però, come sempre capita nella vita, a un certo punto dev’esser successo qualcosa che ha cambiato le carte in ta-

vola: l’autore s’è stufato di vedere mesi o anni del suo tempo appesi al muro oppure, perché no, è finito l’amore.

E così eccolo da un rigattiere. Costava quattro soldi e mi piaceva la cornice: per questo lo comprai. Il puzzle pe-

rò non l’ho buttato via come l’estetica e la prudenza avrebbero consigliato. L’ho smontato, ho mescolato i pezzi

e li ho messi alla rinfusa in una scatola. Hai visto mai che anche a me un giorno sarebbe venuto il ghiribizzo di

immergermi in un viaggio senza fine? Sì, senza fine perché io, pecione come sono, sarei sicuramente riuscito a

perdere qualche pezzo e non l’avrei mai potuto portare a termine.

Ora, di fronte a questa opera mastodontica, fatta di centinaia di migliaia, forse di milioni di pezzi rimessi assie-

me con una pazienza, una pertinacia, direi quasi una cocciutaggine monastica, mi torna alla mente il puzzle

del bric à brac. Questo libro è una cappella Sistina vista attraverso gli occhi delle api ed il microscopio dei ricer-

catori. È un quadro d’insieme di una realtà fino ad oggi mai mostrata, unica nel suo genere, visto il rigore meto-

dologico con cui è stata tessuta, quasi fosse un ricamo, la trama del disegno minuto di un’Italia fiorita.

Come nel puzzle, fedele nei particolari, ma privo del fascino dell’originale, questa descrizione analitica della na-

tura non ci restituisce la complessità dei colori e dei profumi che ci sono familiari e che ci comunicano quelle

emozioni che permettono di distinguere l’opera d’arte dalla riproduzione: forse quindi non apparirà “bella” co-

me ci si aspetta sempre quando si mette il naso nel magico mondo delle api, perché non ci sono i colori ed i

profumi, ed è anche certo che non sortirà mai quel successo editoriale che l’impegno profuso meriterebbe.

Ma se sarà accolta da mani, menti ed occhi interessati, offrirà uno strumento indispensabile per capire, per cer-

care, per conoscere. Forse anche per contribuire un po’ alla salvaguardia di quella biodiversità che è la garanzia

comune per il futuro del nostro ambiente e dell’apicoltura.

Non so cosa mosse l’autore del puzzle della cappella Sistina, ma so, conoscendoli, che per gli autori di questo

puzzle floristico, gli stimoli sono stati l’amore, la passione, la curiosità, il senso critico, la voglia di andare al di là

dell’apparenza. Uniti al desiderio di mettere in comune e trasmettere un prezioso bagaglio di esperienza e co-

noscenze, anziché usarlo per edificare sterili torri d’avorio.

Ma come ricercatore devo anche augurarmi che questo “monumento al granulo pollinico” finisca prima o poi

dal rigattiere: non per mancanza di rispetto verso il lavoro svolto, ma come speranza che la ricerca continui e

che fra non molto esso possa servire da base per altre forze e ingegni capaci di collaborare con pazienza e re-

ciproca disponibilità per confrontarsi con quest’opera ciclopica e disegnare un nuovo e più complesso affresco.

Già, perché senza ricerca non c’è futuro non solo per la biodiversità e per l’apicoltura, ma anche per tutti noi.

Marco Accorti

Mieli e flora mellifera del Lazio 7

NOTA INTRODUTTIVA

Le caratteristiche del miele dipendono in larga misura dal territorio di produzione, in quanto derivano principalmente dalle spe-

cie botaniche utilizzate dalle api, che sono a loro volta determinate dalle caratteristiche climatiche, pedologiche, fitogeografi-

che e di uso del territorio. L’elemento origine geografica è quindi alla base di differenze riconoscibili sia a livello organolettico

che di composizione, che rendono i mieli prodotti in aree diverse non equivalenti l’uno all’altro. Alle differenza obiettive e veri-

ficabili a livello analitico, devono aggiungersi quelle di immagine, che portano il consumatore a preferire un’origine rispetto ad

un’altra, anche indipendentemente dalle caratteristiche obiettive del prodotto.

Questa situazione è riconosciuta dalle norme sul miele (Direttiva Comunitaria 2001/110/CE e Decreto Legislativo 179/04),

che prevedono due livelli di denominazione geografica, uno obbligatorio e l’altro volontario. Il livello obbligatorio prescrive che

il miele sia commercializzato con l’indicazione del Paese di origine; quello volontario consente l’impiego di una indicazione re-

lativa all’origine geografica, quale un nome regionale, territoriale o topografico, qualora il miele provenga totalmente dall’origi-

ne indicata.

Inoltre sono sempre più diffuse le iniziative di tutela e valorizzazione dei prodotti agricoli di qualità in base al loro legame con

il territorio (Denominazioni di Origine Protetta – DOP e Indicazioni Geografiche Protette – IGP, ai sensi del Regolamento CE

510/2006). Per il miele, diversi gruppi di produttori, a livello regionale o locale, hanno intrapreso l’iter di registrazione per le ri-

spettive aree anche se, al momento attuale, in Italia beneficia della tutela europea una sola denominazione, il Miele della Lu-

nigiana DOP.

La possibilità di verificare la provenienza geografica del miele è di fondamentale importanza sia per il controllo delle indicazioni ob-

bligatorie (paese d’origine) che ai fini di eventuali iniziative di valorizzazione legate all’origine territoriale del prodotto e, ad oggi, l’u-

nico strumento analitico disponibile per tali verifiche è rappresentato dalla melissopalinologia.

Diversi specialisti si sono dedicati negli ultimi 40 anni allo studio melissopalinologico dei mieli italiani, ma i numerosi dati pro-

dotti non sono sempre facilmente fruibili e manca una visione d’insieme delle caratteristiche delle principali produzioni italia-

ne. È sembrato quindi utile raccogliere e organizzare questa grande mole di informazioni, nell’intento di renderla più facilmen-

te utilizzabile, completare le eventuali lacune e fornire uno strumento che aiuti nell’uso e nel controllo delle denominazioni geo-

grafiche applicate al miele.

A questo impegnativo lavoro, che ha portato alla compilazione di 20 schede di caratterizzazione dei mieli regionali, ha colla-

borato la maggior parte degli specialisti melissopalinologi italiani. L’opera di raccolta e accorpamento dei dati è stata anche

l’occasione per mettere in evidenza alcuni limiti della metodologia analitica e proporre, sulla base di una nomenclatura melis-

sopalinologica comune, possibili soluzioni per costituire un patrimonio di informazioni condiviso e trasferibile.

I Curatori

Capitolo 1

MELISSOPALINOLOGIAPrincipi generali, applicazioni e problematiche

di Livia Persano Oddo e Maria Lucia Piana

Cenni storici

La melissopalinologia è una branca relativamente anticadella palinologia (studio del polline e delle spore) chestudia il miele attraverso l’esame microscopico della suacomponente insolubile e in particolare attraverso il ri-conoscimento del polline e degli altri elementi corpu-scolati in essa contenuti.Risale al 1895 il primo lavoro, dovuto a Pfister, sull’anali-si pollinica del miele; successivamente si sono dedicati aqueste ricerche Fehlmann (1911), Armbruster e Oenike(1929), Griebel (1930-31), Armbruster e Jacobs (1934-35) e, più autorevole fra tutti, Zander che, nel 1927, fusollecitato dalla federazione degli apicoltori tedeschi adelaborare un sistema di controllo dell’origine geograficadel miele che potesse fornire le basi per una efficaceprotezione del prodotto locale. La Germania era già al-lora uno dei maggiori importatori mondiali di miele e ilproblema dell’origine del prodotto era molto sentita,anche considerando che in quel momento i valori delgermanesimo si stavano affermando in tutti i campi. Ilmonumentale lavoro del prof. Zander fu pubblicato in 5volumi (1935, 1937, 1941, 1949, 1951), per complessive1015 pagine e 128 tavole fotografiche, e rappresenta ilfondamento di questa tecnica analitica. Le tecniche melissopalinologiche si sono poi diffuse inmolti altri paesi, soprattutto in Europa dove l’originegeografica è un importante fattore di qualificazione delmiele: fra gli anni 50 e 80 del secolo scorso i lavori diAnna Maurizio, Jean Louveaux, Zofia Demianowicz eGünther Vorwohl hanno permesso di perfezionare estandardizzare la metodologia analitica, estendendonel’applicazione alla valutazione dell’origine botanica delmiele (Ferrazzi, 1992). In Italia questa disciplina ha cominciato ad essere ogget-to di interesse alla fine degli anni 60 (Battaglini e Ric-ciardelli D’Albore, 1969) e, nell’arco dei quasi 40 annitrascorsi da questi esordi, vari ricercatori si sono dedi-cati allo studio melissopalinologico del miele, producen-do una grande mole di informazioni, purtroppo nonsempre facilmente fruibile. La melissopalinologia è at-

tualmente uno dei metodi di indagine cui si fa corrente-mente ricorso nello studio e nel controllo del miele edegli altri prodotti apistici e dal 1999 esiste un Albo Na-zionale degli esperti in melissopalinologia, istituito dalMinistero delle Politiche Agricole (decreto 21547 del28/5/99).

Principi generali e applicazioni

Il miele contiene sempre una certa quantità di polline,in parte derivante dalle stesse piante sulle quali l’ape haraccolto il nettare: in senso molto generale, il polline sipuò quindi considerare un marcatore dell’origine bota-nica del miele. In realtà, il contenuto pollinico del miele,sia qualitativo che quantitativo, è influenzato da nume-rosi fattori, alcuni legati alle caratteristiche morfologi-che del fiore o dello stesso polline, altri a circostanzeche possono verificarsi in tempi successivi. Pertanto,nella maggior parte dei casi, non esiste una proporzionediretta tra il contributo in nettare dato da una pianta al-la composizione del miele e la quantità del relativo pol-line nel sedimento del miele stesso. A seconda del momento e delle circostanze in cui ilpolline giunge nel miele, si parla di arricchimento prima-rio, secondario, terziario e quaternario.Arricchimento primario è quello che ha luogo direttamen-te nel nettare del fiore, a seguito dell’azione meccanicadi insetti pronubi, vento, etc. che, scuotendo le antere,provoca il distacco del polline e la sua caduta nel netta-re che darà poi origine al miele. La forma del fiore, lasua posizione sulla pianta, la quantità e le dimensioni delpolline prodotto dalle antere possono far variare note-volmente l’entità dell’arricchimento primario. Altri fat-tori di variabilità possono essere legati alla presenza dinettarî extraflorali, unisessualità della specie botanica,sterilità delle antere etc. Tutti gli elementi responsabilidell’arricchimento primario sono relativamente costantinelle singole specie e possono essere tali da favorire oostacolare l’arricchimento del miele: nel primo caso laquantità di polline nel miele sarà superiore rispetto alcontributo in nettare e si parla quindi di polline iperrap-presentato; nel secondo la quantità di polline sarà infe-riore rispetto al contributo in nettare e si parla di polli-ne iporappresentato. Nei casi intermedi si parla di rap-presentatività normale.Un ulteriore elemento di variabilità rispetto all’arricchi-mento primario è rappresentato dalla durata del volo dirientro della bottinatrice, in relazione all’azione di fil-traggio che il proventricolo dell’ape esercita sul conte-nuto della borsa melaria, eliminandone parte degli ele-menti corpuscolati: tale azione è più efficace sui granuligrandi e aumenta in funzione del tempo di permanenzanella borsa melaria.L’arricchimento secondario ha luogo all’interno dell’alvea-re da parte del polline raccolto e immagazzinato per ilnutrimento della colonia, e si verifica nel corso della tra-

A volo d’ape. Breve storia di una lunga amicizia 11

sformazione del nettare in miele. L’origine secondaria ditale polline risulta evidente quando si tratta di specie nonnettarifere, ma non è riconoscibile nel caso di piante mol-to appetite sia per polline che per nettare (come adesempio le leguminose) e può comportare una sovrasti-ma della loro partecipazione alla composizione del miele. L’arricchimento terziario è quello che si verifica nelleoperazioni di smielatura ed è di entità particolarmenterilevante nei casi, ormai rari, di estrazione per pressatu-ra o quando venga estratto miele da favi che contengo-no o hanno contenuto in precedenza polline, come av-viene con tipi di arnie che non prevedono una nettacompartimentazione tra nido e melario. L’origine terzia-ria può essere evidenziata dall’elevata quantità assolutadi polline nel sedimento; in questi casi l’analisi pollinicanon è di nessuna utilità per la determinazione dell’origi-ne botanica del miele.L’arricchimento quaternario è infine quello che avviene daparte del polline presente in atmosfera, proveniente perlo più da specie anemofile.Nel miele possono essere presenti altri elementi corpu-scolati derivanti dalla raccolta di melata, quali spore, ifefungine e alghe unicellulari (nel loro insieme definiti ele-menti indicatori di melata), ma anche elementi cerosi pro-venienti dagli stessi insetti produttori di melata e altrimateriali aerodispersi che entrano in contatto con lamelata e vi aderiscono.Nel sedimento del miele possono essere presenti altrecomponenti microscopiche, di origine endogena o esogena,quali il materiale insolubile più o meno finemente cristallinotipico di alcuni mieli (ad esempio erica e melata), lieviti, im-

purità, fuliggine, particelle di cera, granuli di amido, corpu-scoli di grasso e particelle animali e vegetali, che nel loro in-sieme forniscono ulteriori informazioni sul prodotto.L’analisi melissopalinologica consiste nel riconoscimen-to e quantificazione dei diversi elementi figurati presen-ti nel sedimento del miele mediante osservazione mi-croscopica, e può avere diverse applicazioni e finalità.Consente la determinazione dell’origine geografica delmiele, in quanto lo spettro pollinico riflette il contestoproduttivo; mieli di zone geografiche diverse presenta-no associazioni polliniche peculiari, con differenze tantopiù spiccate e riconoscibili quanto maggiore è il divariogeografico vegetazionale. Pur con le limitazioni già menzionate, legate alla diversarappresentatività dei pollini e alle varie fonti di arricchi-mento, l’analisi microscopica contribuisce a determinarel’origine botanica del miele e a controllare le denomina-zioni di vendita. Permette inoltre di ricavare altre informa-zioni di tipo qualitativo sul prodotto e i processi subiti,quali filtrazione, alcuni tipi di adulterazione, metodo diestrazione, fermentazione, smielatura di favi con covata,contaminazione con polvere, fuliggine, granuli di amido.L’analisi pollinica, condotta su diverse matrici, consentealtre interessanti applicazioni in campo apistico ed en-tomologico (vedi Capitolo XXV): definire l’importanzadelle varie specie vegetali per l’alimentazione e lo svi-luppo delle colonie d’api; identificare l’origine botanicae geografica del polline e l’origine geografica degli altriprodotti apistici (gelatina reale, cera, propoli); effettuareindagini di biomonitoraggio ambientale; studiare il com-portamento dell’entomofauna pronuba (etologia flora-

12 I mieli regionali italiani

le) e del suo ruolo in rapporto alle produzioni agricolee alla conservazione dell’ambiente, attraverso l’impolli-nazione delle specie coltivate e spontanee.

Difficoltà e limiti della melissopalinologia

L’analisi melissopalinologica non richiede investimentieconomicamente impegnativi in termini di strumenta-zione, tuttavia necessita di un investimento estrema-mente oneroso in termini di risorse umane. Il ricono-scimento dei pollini si basa sulla memoria visiva dell’a-nalista e sulla familiarità che questi ha con le forme daidentificare. Sono quindi necessari un lungo tirocinio eun allenamento costante, nonché l’accesso a competen-ze botaniche e materiali di riferimento adeguati: questolimita, di fatto, l’applicazione della tecnica ad ambiti qua-si esclusivamente di ricerca.Un problema non ancora completamente risolto riguar-da la standardizzazione dell’analisi. Un limite di fondo èrappresentato dall’inevitabile sproporzione esistente frala potenziale ricchezza di tipi pollinici presenti nel mielee quelli che l’analista è in grado di identificare in funzio-ne delle sue competenze, del tempo di osservazione edella parzialità dell’aliquota campionata. Anche la stimadelle frequenze relative risente di uno scarso livello diprecisione (ripetibilità e riproducibilità) e per ottenereun’accuratezza comparabile a quella di altri procedimen-ti analitici sarebbero necessari tempi di osservazioneestremamente lunghi e poco compatibili con le esigenzepratiche. Va comunque considerato che, per la maggiorparte delle applicazioni, il tipo di informazioni ricercatonon richiede un livello di precisione molto elevato. Ma l’aspetto più problematico è quello relativo alla cor-retta interpretazione dello spettro pollinico, che richiedecompetenze ben più ampie rispetto al mero riconosci-mento dei pollini (già di per sé non semplice) e ancor piùdifficilmente standardizzabili. Queste competenze spazia-no dalla botanica apistica (importanza delle specie, pro-duzione di nettare, rappresentatività del polline) alla fito-geografia, dalle conoscenze generali sul miele (caratteri-stiche sensoriali e peculiarità compositive) alle tecnolo-gie apistiche, dagli aspetti normativi a quelli di mercato.In mancanza di sufficienti competenze, si può incorrerein grossolani errori di interpretazione, anche se l’analisi ècorretta dal punto di vista del riconoscimento dei pollini. Nel caso della valutazione dell’origine geografica, l’inter-pretazione è basata, oltre che su queste competenze ge-nerali, anche sulla specifica esperienza dell’analista, tanto

più valida quanto più è ampia e approfondita; questa ban-ca dati mnemonica, diversa per ogni analista, è difficil-mente condivisibile e ciò può comportare differenze in-terpretative. Non va ignorato che gli spettri pollinici dei mieli di deter-minate zone possono modificarsi nel tempo, in conse-guenza delle variazioni dell’agroecosistema o dei sistemidi apicoltura o anche dell’evoluzione tecnica e di mercatoe questo obbliga a mantenere in costante aggiornamentole proprie informazioni. Un’ulteriore difficoltà deriva dalfatto che lo spettro pollinico del miele può subire modifi-cazioni sia in fase produttiva (nomadismo, residui di rac-colti precedenti) che nel corso della lavorazione (miscela-zione, filtrazione spinta). Ciò può mascherare eventuali as-sociazioni polliniche tipiche e rendere ancora più com-plessa la corretta interpretazione. Un processo di formazione e aggiornamento dei tecnicianalisti più uniforme e coordinato consentirebbe unamaggiore comparabilità dei dati dei diversi laboratori ela costituzione di un patrimonio di informazioni condi-viso e trasferibile.

BibliografiaArmbruster L., Jacobs J., 1934-35 – Pollenformen und

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Armbruster L., Oenike G., 1929 – Die Pollenformen alsMittel zur Honigherkunftsbestimmung. Wachholtz,Neumünster.

Battaglini M., Ricciardelli D’Albore G., 1969 – Indaginipreliminari sulla flora pollinifera visitata da Apis melli-fica ligustica Spin. nella zona di Perugia. Note e AppuntiSper. di Entom. Agr. 12: 3-21.

Fehlmann C., 1911 – Beiträge zur mikroskopischen Un-tersuchung des Honigs. Mitt. Schweiz. Gesundheit-samtes 2:179-221.

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Melissopalinologia. Principi generali, applicazioni e problematiche 13

Capitolo II

CARATTERIZZAZIONEDEI MIELI REGIONALINote introduttivee metodo di lavoro

di Maria Lucia Piana e Livia Persano Oddo

Le norme sul miele (Direttiva Comunitaria 2001/110/CEe Decreto Legislativo 179/04), prevedono due livelli didenominazione geografica, uno obbligatorio e l’altro vo-lontario. Il livello obbligatorio prescrive che il miele siacommercializzato con l’indicazione del Paese di origine,mentre quello volontario consente l’impiego di una indi-cazione territoriale, ai fini della valorizzazione del pro-dotto. Sono inoltre sempre più diffuse, anche per il miele,le iniziative di tutela e valorizzazione ai sensi del Regola-mento CE 510/06 (Denominazioni di Origine Protetta –DOP e Indicazioni Geografiche Protette – IGP). L’utilizzo delle denominazioni d’origine, sia quelle obbliga-torie che quelle impiegate a fini di valorizzazione, richie-de la possibilità di caratterizzare e controllare i prodottiin base al luogo di produzione e, ad oggi, il principalestrumento analitico disponibile è rappresentato dalla me-lissopalinologia (Piana e Persano Oddo, 2001).Diversi specialisti si sono dedicati, negli ultimi 40 anni,allo studio melissopalinologico dei mieli italiani, ma i nu-merosi dati prodotti non sono sempre facilmente frui-bili e manca una visione d’insieme delle caratteristichedelle principali produzioni italiane. L’obiettivo del pre-sente lavoro è stato pertanto di raccogliere e organiz-zare questa grande mole di informazioni, nell’intento difornire da un lato uno strumento utile all’analista impe-gnato nel controllo delle denominazioni geografiche delmiele, e dall’altro una base conoscitiva a chi si occupa divalorizzazione del prodotto.Dalla consultazione della vasta bibliografia esistente sullecaratteristiche microscopiche dei mieli italiani (PersanoOddo e Piana, 2001) è risultato che la maggior parte delleinformazioni era stata prodotta per aree amministrative(principalmente per regione e provincia) e solo raramen-te per aree vegetazionali omogenee. Si è quindi ritenutoopportuno procedere secondo un criterio regionale. Per la realizzazione di questa impegnativa opera è statarichiesta la collaborazione di tutti gli specialisti melisso-palinologi italiani e la maggior parte di essi si è dimostra-ta disponibile ad aderire all’iniziativa, occupandosi dellearee di relativa competenza. Ogni specialista ha messo adisposizione la propria esperienza, rielaborando il mate-

riale delle rispettive banche dati, originale e/o oggettodi precedenti pubblicazioni e, dove necessario, colman-do le lacune mediante la raccolta e l’analisi di nuovicampioni. Tale materiale è stato sintetizzato dai vari au-tori sotto forma di schede, redatte in maniera omoge-nea, contenenti le informazioni sulla produzione e le ca-ratteristiche melissopalinologiche dei mieli prodotti nel-le 20 regioni italiane.All’opera hanno collaborato 29 autori, i riferimenti bi-bliografici consultati sono stati 199, e i dati melissopali-nologici, sulla cui base sono state compilate le schederegionali, sono relativi ad oltre 12.300 campioni (veditabella II-1).La campionatura utilizzata non ha lo stesso grado di rap-presentatività nelle diverse regioni. Il grafico di fig. II-1 il-lustra la ripartizione dei campioni per regione, rapporta-ta al numero di alveari e alla superficie regionale, espressicome percentuali sui rispettivi totali. Da questi dati risul-ta che alcune regioni sono state studiate molto più accu-ratamente di altre: si nota in particolare l’abbondanza didati disponibili per la regione Lombardia, dovuta soprat-tutto all’attività analitica sui mieli della provincia di Son-drio, e la scarsità di informazioni sulla Puglia, per la quale idati riportati nella relativa scheda regionale sono quasitutti originali. Nell’insieme si può tuttavia considerareche la campionatura sia abbastanza completa, soprattuttose rapportata al numero di alveari per regione, ed è co-munque tutta quella disponibile.

Note metodologiche

La metodologia di lavoro non è stata completamenteomogenea, in quanto i dati di partenza erano spesso dif-formi. In alcuni casi si disponeva solo dell’informazionepubblicata, in forma più o meno dettagliata (tabelle con leanalisi di ogni campione, o dati accorpati in elenchi delleforme riscontrate nelle campionature, o elenchi delle so-le forme più frequenti); in altri casi erano disponibili i sin-goli dati analitici relativi alle stesse pubblicazioni o datioriginali non ancora pubblicati. Al fine di redigere gli elenchi delle forme polliniche piùfrequenti nelle diverse tipologie di miele prodotte in ogniregione, i dati di presenza e frequenza forniti dalle diver-se pubblicazioni sono stati ricondotti, ove possibile, a va-lori numerici, per poterli accorpare e rielaborare insie-me; le informazioni bibliografiche di tipo sintetico sonostate impiegate per integrare e confermare i risultati ot-tenuti. Sulle schede regionali redatte dai diversi specialistiè stato poi effettuato un lavoro di revisione per unifor-mare la presentazione delle informazioni.Un problema non irrilevante che si è presentato sianella fase di accorpamento dei dati melissopalinologiciche di revisione finale delle schede, ha riguardato l’uni-formazione critica della nomenclatura utilizzata per in-dicare i diversi tipi pollinici. Spesso infatti, la nomencla-tura impiegata nelle varie pubblicazioni e nei diversi

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Caratterizzazione dei mieli regionali. Note introduttive e metodo di lavoro 15

Regione N. riferimenti bibliografici consultati

N. campioni

da bibliogr.

N. campioni originali

N. campioni

totale Piemonte 13 474 - 474 Valle D'Aosta 9 90 101 191 Lombardia 14 549 1.355 1.904 Trentino Alto A. 7 372 39 411 Veneto 11 900 110 1.010 Friuli Venezia G. 15 657 - 657 Liguria 6 30 55 185 Emilia Romagna 6 553 109 662 Toscana 14 646 442 1.088 Umbria 11 409 67 476 Marche 7 642 - 642 Lazio 9 804 - 804 Abruzzo 4 206 36 242 Molise 3 164 80 244 Campania 9 377 - 377 Puglia 4 13 143 156 Basilicata 5 243 111 354 Calabria 7 127 355 482 Sicilia 22 153 881 1.034 Sardegna 23 796 115 911 TOTALE 199 8.205 4.099 12.304

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% campioni % alveari % superficie

Tabella II-I. Origine dei dati melissopalinologici

Figura II-1. Ripartizione regionale dei campioni rispetto al numero di alveari (dati MiPAAF 2006) e alla superficie territoriale. I dati sono espres-si come percentuale sui rispettivi totali

Alla fine di questa laboriosa opera di confronto e ar-monizzazione della nomenclature è stato redatto unelenco delle circa 150 forme polliniche risultate fre-quenti in almeno una delle tipologie di miele studiatenelle 20 regioni italiane. Questo elenco, integrato con

set di dati originali risultava scarsamente confrontabi-le. In alcuni casi erano usati nomi diversi per indicare,presumibilmente, la stessa forma pollinica (ad esem-pio, si poteva supporre che Anthemis tipo, Achillea f.,Compositae forma A fossero sostanzialmente sinoni-mi), e si è scelto di ricondurli al nome considerato diuso più comune. In altri casi non era invece possibilerisalire al livello di raggruppamento utilizzato: adesempio il nome Vicia riportato da alcuni analisti si ri-feriva alla forma caratteristica di Vicia cracca, comuneanche ad alcune specie di Lathyrus, o alla forma pollini-ca di Vicia faba (più grande con reticolo a grandi ma-glie e costae evidenti), che altri analisti indicavano se-paratamente? E il nome Brassica si riferiva effettiva-mente a quel genere preciso o indicava il gruppo diforme polliniche di morfologia più o meno simile chealtri riportavano come Cruciferae? Altre volte l’ambiguità non riguardava l’uso dei nomi,ma il diverso livello di determinazione tra un gruppo dianalisi ed un altro: ad esempio, se una serie di dati ri-portava la presenza di Cistus e/o di Helianthemum e inun’altra serie della stessa regione veniva riferita la pre-senza di Cistaceae, la necessità di assemblare i dati harichiesto l’uniformazione al più basso livello comune, enella scheda comparirà il solo riferimento alla famigliadelle Cistaceae. Ciò ha comportato un’inevitabile perdi-ta di informazione rispetto ai dati originali, ma il vantag-gio di aumentare il numero di campioni e di fonti com-pensava, a nostro avviso, lo svantaggio del minor livellodi differenziazione tra le forme polliniche.

altre forme polliniche meno comuni e con una serie diinformazioni utili per il riconoscimento, viene riportatoin Appendice I e rappresenta per l’analista il patrimoniominimo di conoscenze necessario per l’identificazione ela caratterizzazione dei mieli italiani.Un’altra osservazione emersa durante il lavoro di sinte-si e confronto dei dati, ha riguardato il numero delleforme polliniche identificate, che risultava molto diversonei vari gruppi di analisi: da una media di circa 20 formepolliniche identificate per campione (con un massimodell’ordine di 45), fino a una media di oltre 50 formeper campione (con un massimo superiore a 80).Questa difformità va in parte ascritta alla diversa ric-chezza delle forme polliniche effettivamente presentinel miele, tuttavia la causa principale è probabilmentelegata al diverso livello di approfondimento nell’osser-vazione microscopica, in funzione dell’obiettivo analiti-co: se lo studio era finalizzato alla caratterizzazionegeografica, l’inventario delle forme presenti è stato ge-neralmente più accurato, mentre nelle analisi eseguiteprincipalmente a fine di controllo (ad esempio verificadell’origine botanica), il livello di approfondimento èstato spesso inferiore. Di conseguenza, anche il risultatodell’elaborazione sintetica ha portato ad un numerocomplessivo di forme comuni ai diversi campioni più omeno elevato, come appare dalle tabelle melissopalino-logiche riepilogative.Infine va sottolineato che il tipo di elaborazione effet-tuato consente unicamente una valutazione complessivadi frequenza delle singole forme polliniche, e non per-mette un confronto approfondito sulla base delle asso-ciazioni polliniche presenti nei diversi campioni. D’altraparte, data la complessità degli spettri pollinici e l’am-piezza della campionatura, un simile confronto sarebbeattuabile solo ricorrendo a strumenti statistici, comequelli sperimentati da alcuni ricercatori (Battesti eGoeury, 1992; Ferrazzi e Medrzycki, 2002; Floris e Satta,2002; Satta et al., 2004). Tuttavia, per applicare tali ap-procci statistici è indispensabile disporre di una bancadati costituita da analisi omogenee e comparabili, pro-dotte cioè sulla base di una rigorosa standardizzazionemetodologica (nomenclatura univoca, analoga capacitàdi discriminazione da parte dei diversi analisti, livello diaccuratezza e approfondimento dell’analisi uniforme) eil materiale attualmente disponibile, come già evidenzia-to, non risponde a questi requisiti.

Organizzazione delle schede regionali

Ogni scheda è stata compilata in modo da dare infor-mazioni sintetiche sulle caratteristiche melissopalinolo-giche dei mieli che si producono nella regione stessa eda consentire di risalire all’informazione più dettagliatadella relativa bibliografia. Per ogni regione si fornisconouna breve descrizione delle caratteristiche geografico-vegetazionali, corredata da una cartina fisica di riferi-

mento (la cui legenda è riportata in figura II-2), e i prin-cipali dati sull’apicoltura locale; si descrivono quindi itipi di miele che si ottengono nella regione e le rispet-tive caratteristiche melissopalinologiche. Le fonti deidati melissopalinologici sono tabulate in un prospettosintetico; alla voce “Altra bibliografia consultata” sono ri-portati i riferimenti bibliografici contenenti informazio-ni non utilizzate per la caratterizzazione melissopalino-logica. I dati melissopalinologici sono presentati in unatabella in cui vengono riportate, per i tipi di miele piùimportanti nella regione, le forme polliniche più fre-quenti, in ordine di ricorrenza. La parte superiore dellatabella contiene le forme rappresentate in modo piùcostante; quella inferiore le specie con ricorrenza in-termedia.

Note alle schede regionali

La nomenclatura utilizzata nelle schede regionali corri-sponde a quella riportata in Appendice I. In alcuni casi èstato tuttavia necessario, per includere il maggior nume-ro di dati disponibili, adottare un diverso criterio di dis-criminazione.Questi casi sono specificati nelle note seguenti. - Antirrhinum: tipo pollinico distinto nei soli mieli siciliani,

analizzati con il metodo acetolitico; può essere rap-portato alle Scrophulariaceae altre.

- Cistaceae: in alcune schede è stato usato un solo gruppod’insieme per le diverse forme della famiglia.

- Cruciferae: in alcune schede potrebbe avere un signifi-cato diverso rispetto alla definizione ‘Cruciferae’ dellanomenclatura, in quanto potrebbe includere anche leforme inferiori a 20 μ

- Dipsacaceae: è stato usato un solo gruppo d’insiemeper le diverse forme della famiglia.

- Eucalyptus: presumibilmente in gran parte E. camaldu-lensis, ma potrebbe includere anche E. occidentalis (solonel miele di eucalipto autunnale della Calabria le due

16 I mieli regionali italiani

Fig. II-2. Legenda delle cartine fisiche regionali riportate nelle schede.

forme sono tenute distinte).- Labiatae esacolpate: in alcune schede è stato usato un

unico termine per raggruppare le forme Mentha pule-gium, Salvia e Thymus.

- Leguminosae altre: nella scheda della Sicilia il termine èstato usato in senso diverso rispetto alla definizione‘Leguminosae altre’ della nomenclatura, poiché in que-sto caso la maggior parte dei dati è ottenuto con il me-todo acetolitico, che può determinare raggruppamentidelle forme polliniche diversi rispetto a quelli della pali-nologia fresca.

- Liliaceae s.l. : questo termine è stato usato in alcuneschede ed ha un senso diverso rispetto alla definizione‘Liliaceae altre s.l.’ della nomenclatura, in quanto po-trebbe includere anche le forme altrove tenute distin-te, in particolare Asparagus acutifolius.

- Magnoliaceae: è stato usato un solo gruppo d’insiemeper le diverse forme della famiglia.

- Oleaceae: in alcune schede è stato usato un unico termi-ne per raggruppare Fraxinus ornus e Olea.

- Palmae: in alcune schede è stato usato un solo gruppod’insieme per le diverse forme della famiglia.

- Polygonaceae: nella scheda del Friuli è stato usato unsolo gruppo d’insieme per le diverse forme della fami-glia.

- Prunus mahaleb: tipo pollinico distinto nei soli mieli friu-lani, riconducibile alla forma Prunus.

- Prunus/Pyrus: nelle schede di Liguria e Toscana è statousato un unico termine per raggruppare i fruttiferi(Malus/Pyrus e Prunus).

- Quercus: in alcune schede è stato usato un unico termi-ne per raggruppare le diverse forme del genere Quer-cus.

- Rhamnaceae: è stato usato un solo gruppo d’insiemeper le diverse forme della famiglia.

- Rosaceae altre: nella scheda della Sicilia il termine èstato usato in senso diverso rispetto alla definizione‘Rosaceae altre’ della nomenclatura, in quanto in que-sto caso la maggior parte dei dati è ottenuto con ilmetodo acetolitico, che può determinare raggruppa-menti delle forme polliniche diversi rispetto a quellidella palinologia fresca.

- Smyrnium: tipo pollinico distinto nei soli mieli sardi, ri-conducibile alla forma Umbelliferae A.

- Sorbus: tipo pollinico distinto nei mieli della Valle d’Ao-sta e del Trentino Alto Adige, riconducibile alla formaMalus/Pyrus, quantunque di dimensioni un po’ inferiori

rispetto a questo tipo pollinico. - Trifolium pratense s.l. : usato per indicare un gruppo d’in-

sieme che raccoglie i diversi trifogli del tipo R di Zan-der. Può includere anche T. incarnatum, quando questotipo non risulta esplicitamente menzionato dagli autori.

- Umbelliferae: in molte schede è stato usato un sologruppo d’insieme per le diverse forme della famiglia.

- Vicia s.l.: usato un unico termine per raggruppare Lathy-rus/Vicia e Vicia faba.

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Caratterizzazione dei mieli regionali. Note introduttive e metodo di lavoro 17

Capitolo III

CARATTERISTICHE MELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DEL PIEMONTE

di Maria Lucia Piana, Paola Belligoli, Giancarlo Ricciardelli D’Albore, Livia Persano Oddo e Andrea Fissore

Cenni geografico-vegetazionali.

Il Piemonte, situato nella parte nord occidentale dell’I-talia, occupa una superficie di 25.402 km2 e confina siacon altri paesi europei (Francia, ad ovest, e Svizzera,per un limitato settore, a nord), sia con alcune regioniitaliane (Valle d’Aosta a nord, Lombardia ed Emilia Ro-magna ad est, Liguria a sud).Pur nella sua complessità geomorfologica, pedologica ebioclimatica, nella regione si possono distinguere tregrandi ambiti: planiziale, collinare (comprensivo delsub-ambito appenninico) ed alpino. L’ambito planiziale, circa il 27% del territorio, è caratte-rizzato da due morfologie tipiche, la pianura principale,formata da depositi di origine alluvionale, con presenzadi calcare e falda superficiale, e i terrazzi alluvionali an-tichi, costituiti da depositi di origine fluvio-glaciale, consuoli molto evoluti, spesso ricchi di argille e limi, e faldasolo temporanea. Dal punto di vista climatico, quest’a-rea ha un clima di tipo continentale temperato, con in-verni freddi e prolungati, spesso nebbiosi, ed estati cal-de. Le precipitazioni sono variabili, con due minimi, unoinvernale ed uno estivo. Quello estivo, più influente sul-lo sviluppo della vegetazione, è meno marcato nel set-tore padano settentrionale (Canavese e Novarese), fat-tore che influenza notevolmente la distribuzione e latipologia della vegetazione planiziale. Quest’ultima, se-condo i criteri della vegetazione potenziale (RegionePiemonte-IPLA, 1981), è riconducibile al climax dellafarnia, del frassino e del carpino bianco e comprendealcune specie tipiche di diverse categorie forestali (Re-gione Piemonte, 2004): tra queste si segnalano, per l’in-teresse apistico, saliceti e pioppeti riparali (importantiper lo sviluppo primaverile) e robinieti (fonte di unodei più ricercati mieli uniflorali piemontesi, il miele dirobinia). Tra le altre specie nettarifere, si segnala il Tara-xacum officinale, specie erbacea tipica di prati stabiliconcimati invecchiati ma anche di radure ed ambientiruderali, il cui nettare si ritrova sia nel corrispondentemiele uniflorale, sia nella maggior parte dei mieli multi-florali primaverili.

L’ambito collinare, circa il 30% del territorio, è caratte-rizzato da due distinti sub-ambiti, i rilievi collinari inter-ni (Monferrato, Roero, Langhe e Colli Torinesi), chehanno avuto origine dal sollevamento e successiva ero-sione di depositi marini, e i rilievi appenninici (porzionesud-orientale del Piemonte), formati da suoli a differen-te grado evolutivo e media fertilità. Presentano un’ac-centuata aridità estiva, meno marcata nel settore ap-penninico, e temperature medie annuali relativamenteelevate (clima submediterraneo). I fattori che maggior-mente influenzano la distribuzione della vegetazionesono il tipo di substrato, l’esposizione e l’altitudine. Lavegetazione potenziale è quella del climax della rove-rella e del rovere ed è in parte sovrapponibile ai tipiforestali già descritti per l’ambito planiziale (in partico-lar modo i robinieti), con la significativa comparsa, dalpunto di vista apistico, dei castagneti, la categoria fore-stale più diffusa a livello regionale con il 24% dell’interasuperficie boscata. Il castagno, molto visitato dalle apisia per il polline che per il nettare, deve la sua impor-tanza alla massiccia sostituzione operata dall’uomo findall’antichità a scapito degli originari boschi di faggio erovere. In questo ambiente risulta inoltre notevole laproduzione di melata di Metcalfa, ottenuta su diverseessenze arboree decidue (Quercus, Populus, Acer, vari al-beri da frutto) ed erbacee spontanee (es. ortica). L’ambito alpino, circa il 43% del territorio, è nettamen-te distinto in un settore endalpico o intralpino (localiz-zato nel Torinese, Cuneese, Valli Chisone, Susa e Maira),con suoli poco evoluti fortemente influenzati dalla pas-sata azione glaciale, e in un settore mesalpico (che in-teressa gran parte dell’arco alpino piemontese), consuoli che sono diretta conseguenza dell’azione erosivae del tipo di substrato litologico. Il settore endalpico èclimaticamente caratterizzato da scarse precipitazionie forti contrasti termici tra inverno ed estate, mentrequello mesalpico ha un clima umido a tendenza sub-oceanica, minori differenze termiche e distribuzionedelle piogge nel corso dell’anno. La vegetazione poten-ziale è riconducibile ai climax del faggio (con esteseforeste solo nel settore mesalpico), della Picea e degliarbusti contorti delle steppe montane. Molte sono lespecie, sia arboree che erbaceo-arbustive, importantidal punto di vista apistico: oltre al già citato castagno,si segnalano i tigli (Tilia cordata e T. platyphyllos) e, sa-lendo di quota, il rododendro (Rhododendron ferrugi-neum su suoli acidi e R. hirsutum su terreni calcarei).Da segnalare in questo ambiente le estese praterieche, con le loro ricche e varie fioriture (Leguminosae,Campanulaceae, Labiatae, Polygonum bistorta, Myosotis,Vaccinium, Epilobium, etc.) costituiscono il pascoloideale per la raccolta del miele millefiori di montagna.Un’ultima citazione meritano sicuramente le abetineche, soprattutto nei popolamenti a prevalenza di Abiesalba, forniscono limitate ma apprezzate quantità di me-lata di abete.

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Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli del Piemonte 19

Analizzando nel suo insieme il territorio piemontese, sipuò notare come negli ultimi venticinque anni sia in at-to un costante incremento della superficie forestale,passata da poco più di 700.000 ha agli attuali 920.000ha, con un aumento del 31% (Regione Piemonte, 2004).Benché tale sensibile aumento sia avvenuto soprattuttoa carico delle zone coltivate in territorio collinare, l’im-portanza delle aree agricole per il settore apistico ri-mane elevata. Da un lato, infatti, estese superfici sonocoltivate con specie nettarifere (soprattutto girasoleed erba medica, con oltre 15.000 ha), dall’altro le api

risultano sempre più indispensabili per l’impollinazionedi molti impianti di fruttiferi (meli, peschi, actinidia, consuperfici che superano nel complesso 20.000 ha).

Aspetti dell’apicoltura

Nel periodo compreso tra il 1 novembre e il 31 di-cembre di ogni anno, tutti gli apicoltori (amatoriali eprofessionisti) singolarmente o tramite le loro Asso-ciazioni o Organizzazioni hanno l’obbligo di presenta-re la denuncia di possesso alveari presso gli Assessora-

mente visto aumentare, soprattutto per le aziendeprofessionali, il numero di alveari gestiti, con una pro-duzione media stimata di circa 35 Kg/alveare, per unquantitativo complessivo regionale di oltre 4.500 ton-nellate. Dal punto di vista economico, la sola vendita dimiele (senza contare le altre produzioni legate all’api-coltura, quali pappa reale, polline, sciami artificiali, regi-ne), stimando un prezzo all’ingrosso pari a 2.500 €/t,supera dunque gli 11.000.000 €/anno

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

Le principali tipologie di miele uniflorale che si produ-cono in Piemonte sono robinia, castagno, melata diMetcalfa, tiglio e, in misura minore, rododendro e ta-rassaco; fra i mieli millefiori si possono distinguere dueprodotti quantitativamente più importanti e caratte-rizzati da un profilo organolettico e melissopalinologi-co distinto: millefiori di alta montagna, prodotto in zo-ne con altitudine superiore a 1.000 m s.l.m., e millefio-ri di montagna, prodotto in zone con altitudine fra 500e 1.000 m s.l.m. Più sporadica e incostante è la produ-zione di altre tipologie di mieli millefiori e uniflorali(melata d’abete, lavanda, ciliegio, lupinella, colza, giraso-le, calluna).L’associazione pollinica più frequente in tutte le cate-

20 I mieli regionali italiani

Dati apistici della regione Piemonte (2005) Provincia n. Aziende n. Alveari

Alessandria 378 14.002 Asti 226 11.471 Biella 211 5.321 Cuneo 434 26.913 Novara 233 23.251 Torino 1.171 18.211 Verbania 333 6.527 Vercelli 198 7.629 Totale 3.184 113.325

ti Provinciali all’Agricoltura, utilizzando il modello for-nito gratuitamente dagli stessi Uffici, che rilasciano poiil codice identificativo di ogni singola azienda, da ap-porre in ogni apiario posseduto. Secondo i dati 2005 ilPiemonte, con oltre 113.000 alveari, risulta al secondoposto in Italia, dopo la Lombardia, e contribuisce perquasi il 10% al patrimonio apistico nazionale (poco piùdi 1.150.000 alveari). Il numero medio di alveari perazienda risulta pari a 35(1), con una variazione, a livelloprovinciale, da un minimo di 15 alveari/azienda (Tori-no) a un massimo di 100 alveari/azienda nella provin-cia di Novara, dove l’apicoltura professionale è più dif-fusa (vedi tabella). Il trend degli ultimi anni ha general-

Origine dei dati melissopalinologici N campioni Area dello studio Ferrazzi P., 1974 – Mieli di “tarassaco” di Piemonte e Lombardia. I - Analisi melisso-palinologica. L’Apicoltore moderno, 65: 21-26. 4 Province di TO e

CN Ferrazzi P., Gerlero D., 1995 – Caratterizzazione botanica dei mieli della Val Pellice. L’Apicoltore Moderno, 86 (2): 113-126. 40 Val Pellice

Ferrazzi P., Gerlero D., 2001 - Studi di caratterizzazione geografica: i mieli dell’alta valle di Susa (Torino). In: Persano Oddo L., Piana L. (a cura di), 2001 - Miele e territorio. Guida alla valorizzazione del miele attraverso le denominazioni di origine. MIPAF - ISZA, Roma: 65-83.

66 Alta Valle di Susa

Ferrazzi P., Manino A., 1977 – Analisi melissopalinologica di mieli di “Robinia” (Robinia pseudoacacia L.) piemontesi. L’Apicoltore moderno, 68: 184-188. 10 Intera regione

Ferrazzi P., Marletto F. 1980 – Analisi melissopalinologica di mieli dell'alta Val Chisone. L’Apicoltore Moderno, 71: 145-153. 18 Alta Val Chisone

Ferrazzi P., Marletto F. 1985 – Caratterizzazione botanica dei mieli della Val Sangone. L’Apicoltore Moderno, 76: 3-10. 17 Val Sangone

Ferrazzi P., Patetta A., Manino A., 1990 – Caratterizzazione dei mieli della Valle Maira. L’Apicoltore moderno, 81: 13-26. 13 Valle Maira

Grillenzoni F.V., Capelli M., Marogna S., Sabatini A.G., Ferrazzi P., 2003 – Una produzione alpina: il miele di rododendro. Istituto Nazionale di Apicoltura, Bologna. 43 Intera regione

Piana M.L., Belligoli P., Ricciardelli D’Albore G., Persano Oddo L., Fissore A., 2007 - I mieli del Piemonte: caratterizzazione melissopalinologica. Lapis, XV (6): 11-18. 263 Intera regione

TOTALE CAMPIONI 474 E ili R 48

Altra bibliografia consultataFerrazzi P., 1975 – Investigations sur le miel de Pragelato. Atti XXV Congr. Int. Apic., Grenoble. Apimondia Bucarest: 115. Ferrazzi P., Manino A., Patetta A. 1998 – Caratterizzazione dei mieli delle Alpi nord-occidentali. Atti del Convegno Apilombardia 98. Gior-

nate di studio sull’apicoltura, Minoprio (Como): 171-186.Regione Piemonte, 2004 - Piani Forestali Territoriali.Regione Piemonte-IPLA, 1981 - Carta della capacità d’uso dei suoli.

(1) I dati MiPAAF 2006 riportano 108.311 alveari e 3.325 apicoltori (n. alveari medio per apicoltore pari a circa 33).

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli del Piemonte 21

gorie di miele prodotte nella regione è costituita daCastanea, Rubus, Graminaceae altre, Cruciferae, Robi-nia, Trifolium repens, Malus/Pyrus e Rumex.Nei mieli di alta montagna il carattere alpino è eviden-ziato dalla presenza di Ericaceae altre, rappresentatesoprattutto da rododendro, che dà anche luogo a dis-crete partite uniflorali, e di numerosi altri elementi,quali Helianthemum, diverse Leguminosae (oltre a Trifo-lium repens, Lotus, Onobrychis, Coronilla/Hyppocrepis, Me-lilotus ed altre), Labiatae esacolpate (soprattuttoThymus), Myosotis, Polygonum bistorta, Campanulaceae eUmbelliferae.Nelle zone di montagna di altitudine intermedia leprincipali risorse nettarifere sono il castagno e il ti-glio, che possono dare luogo sia a mieli uniflorali chea prodotti misti (millefiori di montagna) con caratteri-stiche intermedie rispetto ai relativi mieli uniflorali.Lo spettro pollinico di questi mieli è simile, anche sevariano le proporzioni delle diverse componenti; ri-spetto all’associazione tipica regionale, oltre a Tiliasono più frequenti Ericaceae altre, Ailanthus e Planta-go.

I mieli di robinia del Piemonte giungono frequente-mente a livelli di particolare purezza, rispetto a quelliprodotti in altre regioni, e sono caratterizzati da per-centuali di polline di Robinia molto elevate: escluden-do dal conteggio i pollini di castagno (iperrappresen-tato) e quelli delle specie non nettarifere, che spessocostituiscono la parte prevalente dello spettro pollini-co (oltre a Rumex e Graminaceae altre, già citati, an-che Sambucus nigra, Papaver, Chamaerops, Vitis, Fraxinusornus, Plantago) si raggiungono percentuali quasi sem-pre superiori al 50%.Nei periodi estivo e tardo-estivo è comune la produ-zione di miele con una importante componente di me-lata di Metcalfa pruinosa, il cui sedimento si caratterizzaper una elevata presenza di indicatori di melata e dimateriale indisciolto finemente cristallino; in questimieli sono frequenti, oltre ai tipi pollinici già citati, va-rie specie a fioritura tardiva, sia nettarifere (Composi-tae H, Centaurea jacea e Umbelliferae) che non nettari-fere (Ambrosia, Artemisia, Amaranthaceae/Chenopodia-ceae), e specie tipiche delle zone intensamente coltiva-te dalle quali provengono (Helianthus e Zea).

p

Mieli di alta montagna

Millefiori di montagna Robinia Castagno Melata Tiglio

Rubus Ericaceae altre Helianthemum* Lotus Trifolium repens Labiatae esacolp. Graminaceae altre* Castanea Myosotis Polygonum bistorta Coronilla/Hippocr. Salix Papaver* Cruciferae Campanulaceae Umbelliferae A Malus/Pyrus Robinia Rumex* Onobrychis

Castanea Tilia Rubus Trifolium repens Ericaceae altre Malus/Pyrus Robinia Graminaceae altre*

Robinia Graminaceae altre* Cruciferae Sambucus nigra* Rumex* Castanea Papaver* Chamaerops* Vitis* Salix

Castanea Rubus Trifolium repens Graminaceae altre* Malus/Pyrus Robinia Tilia Cruciferae Plantago* Rumex*

Castanea Plantago* Rubus Compositae H Graminaceae altre* Trifolium repens Zea* Lotus Ambrosia* Amaranth./Chenop.* Helianthus Artemisia* Cruciferae Robinia Ailanthus Parthenocissus Rumex*

Tilia Castanea Rubus Ericaceae altre Ailanthus Trifolium repens Robinia Graminaceae altre*

Compositae T Filipendula* Tilia Juncaceae* Ranunculaceae altre Plantago* Leguminose altre Fragaria/Potentilla Sedum/Semperviv. Prunus

Ailanthus Cruciferae Rumex* Medicago Prunus Lotus Rhamnaceae Plantago* Rosa*

Fraxuinus ornus* Rubus Plantago* Cornus sanguinea Trifolium repens Aesculus Gleditsia Lotus Malus/Pyrus

Rosa* Filipendula* Lotus Coronilla/Hippocr. Melilotus Prunus Rhamnaceae Salix Umbelliferae H Trifolium pratense s.l. Ericaceae altre

Galega Trifolium pratense s.l. Centaurea jacea Compositae T Fraxinus ornus* Labiatae esacolp. Umbelliferae A Echium Ligustrum Umbelliferae H

Plantago* Malus/Pyrus Rumex* Aruncus* Rhamnaceae Centaurea jacea Chamaerops* Echium Parthenocissus Rosaceae altre

Tipi pollinici più frequenti nei mieli del PiemonteIn giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia. * = specie non nettarifere.

Capitolo IV

CARATTERISTICHEMELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DELLA VALLED’AOSTA

di Corrado Adamo e Sara Vallet

Cenni geografico-vegetazionali

La Valle d’Aosta, la più piccola regione italiana con i suoi3.263 km2, è racchiusa dai più imponenti massicci delle Alpi aformare quasi un rettangolo confinante a nord con la Sviz-zera, ad ovest con la Francia e a sud-est con il Piemonte.La regione è totalmente montuosa e la presenza dei piùalti massicci europei fa sì che il 40% del territorio sia clas-sificato come superficie rocciosa o glaciale non antropiz-zata, il 51% come superficie a pascolo o foresta e solo il9% favorevole agli insediamenti umani e all’agricoltura(Mercalli et al., 2003).La Valle d’Aosta è attraversata nel fondovalle dalla DoraBaltea, a cui affluiscono, per lo più da nord e da sud, ramie torrenti provenienti dalle valli laterali. La Dora Balteasegue da Villeneuve a Saint Vincent una direzione ovest-est, per poi proseguire nell’ultimo tratto della Valle d’Ao-sta, prima di raggiungere il Piemonte, in direzione nord-sud. Nella valle centrale si differenziano nettamente i dueversanti esposti a nord (envers) e a sud (adret), quest’ulti-mo molto più soleggiato e conseguentemente con minorpermanenza della neve al suolo.Il clima della Valle d’Aosta è di tipo continentale, rigido e sec-co, diventando più dolce nella bassa valle, tra Saint Vincent ePont Saint Martin. Le precipitazioni sono scarse, soprattuttonel bacino di Aosta (600 mm circa di pioggia per anno), e siverificano per lo più in primavera ed in autunno(1).Le tipologie vegetazionali sono correlate, oltre che al cli-ma, al substrato roccioso presente nelle diverse zone: icalcescisti sono comuni quasi in tutta la Valle ed essendorocce tenere, ricche di calcare e di silice, rappresentanoun substrato ospitale e ricco di sostanze minerali. Le rupicalcaree sono meno diffuse ed anche queste, ricche di cal-cio, offrono una flora abbondante e varia (si trovano adesempio nell’alta Val di Rhêmes, in Val Veny, nella Valtour-nenche). Le rupi silicee acide sono compatte e povere dicalcio, per cui sono in grado di ospitare una minor varietàvegetazionale (zone del Monte Bianco, del Gran Paradisoe del Monte Rosa). L’ambiente più inospitale è rappresen-

tato dalle rupi serpentinose, molto compatte e senza cal-cio, diffuse nella Valtournenche e nel vallone di Champde-praz, comprese le conche di Saint Vincent e Montjovet. I boschi occupano complessivamente il 26% del territorioe sono costituiti per l’85% da conifere.In Valle d’Aosta si riconoscono 5 piani altitudinali, caratte-rizzati principalmente dalla diminuzione della temperaturacon l’aumentare dell’altitudine e conseguentemente dapeculiarità vegetazionali.Il piano collinare (fino a circa 900 m s.l.m.) è caratterizzatodalla presenza del castagno nella media e bassa valle; lezone più aride e luminose dello stesso piano sono invecepopolate dalla roverella. In tale piano si ritrovano anche gliinsediamenti umani e le colture (vigne, frutteti, prati) e,lungo la Dora Baltea, boschi igrofili di ripa rappresentatida ontani, pioppi, salici.Il piano montano (da 900 a 1500 m s.l.m.) è caratterizzatodalla presenza, sui pendii più soleggiati, di boschi di pinosilvestre, sostituito, nella zona più umida e con minoreescursione termica della bassa valle, dal faggio. Oltre aqueste formazioni si trovano boschi misti di latifoglie scia-file o debolmente eliofile (aceri, betulle, pioppo tremolo)e di abete bianco (Abies alba).Il piano subalpino (da 1500 a 2500 m s.l.m.) è distinto ininferiore, medio e superiore popolati rispettivamenteda boschi di abete rosso (Picea excelsa), boschi di larice(Larix decidua), spesso misti a pino cembro (Pinus cem-bra) o pino uncinato (Pinus uncinata), e arbusteti contor-ti a Ericaceae (Rhododendron ferrugineum, Vacciniummyrtillus), ginepro nano (Juniperus communis var. monta-na) e pino uncinato prostrato.Il piano alpino (da 2500 a 3000 m s.l.m.) è suddiviso in in-feriore, rappresentato dai pascoli, e superiore, che presen-ta vegetazione discontinua e vallette nivali.Il piano nivale è situato sopra il limite delle nevi perenni(sopra i 3000 m. s.l.m.); sui substrati rocciosi qui presentisi possono ritrovare muschi, alghe, licheni.Per quanto riguarda la flora di interesse apistico, nella fascia col-linare si trovano piante coltivate come Malus domestica, Prunusdulcis, P. domestica, P. cerasus, Pyrus domestica, Mespilus germanica(ora inselvatichito), associate a numerose specie botaniche chesi ritrovano anche nel piano montano, come Taraxacum officinale,Trifolium spp., tra cui T. pratense e T. repens, Geranium pyrenaicum,Ajuga genevensis e A. reptans, Rumex acetosa, Ranunculus spp., Bi-scutella laevigata, Lotus corniculatus, Genista germanica. Tra le piantetipiche degli incolti si ricordano Ulmus minor, Berberis vulgare, Cra-taegus monogyna, Prunus spinosa e P. padus, Robinia pseudacacia,Coronilla emerus, Sorbus aucuparia, nonché Salix spp., Populus spp. eCorylus avellana, discretamente bottinate essenzialmente per ilpolline e con un periodo di fioritura precoce. In questi piani alti-tudinali si ritrovano anche Malva sylvestris, Verbascum nigrum, Cle-matis vitalba, Rubus spp., Rosa spp., Echium vulgare, oltre a Crassu-laceae come Sempervivum spp.e Sedum spp.

22

(1) Dati tratti da “Ufficio Stampa della Presidenza della Giunta della Regione Autonoma della Valle d’Aosta”.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Valle d’Aosta 23

Salendo nei piani subalpino e alpino, troviamo fioriture diCrocus albiflorus, Dianthus sylvestris, Geum montanum, Trifo-lium alpestre, Phyteuma spp., Euphrasia spp., Myosotis alpe-stris, Cirsium erisithales, Rumex alpinus, Trollius europaeus, Pul-satilla alpina, Ranunculus aconitifolius, Sempervivum monta-num, Campanula barbata, Geranium phaeum, Arnica monta-na, Thymus spp., Allium spp.

Aspetti dell’apicoltura

Gli apicoltori valdostani censiti dall’associazione “Consor-zio Apistico della Valle d’Aosta” nel 2005 sono 498, con untotale di 7.477 alveari ed una produzione annua di mielestimata di circa 1.000 quintali. I dati MiPAAF 2006 riporta-no un numero di alveari leggermente inferiore (7.206).Da sempre l’apicoltura in Valle d’Aosta è stata fonte diricchezza, non solo per l’utilizzo e la vendita del miele, maanche per la produzione di cera, richiesta, oltre che peruso domestico, dai castellani e dal clero (Adamo, 2003).L’apicoltura in Valle d’Aosta si è sviluppata per lo più comehobby, anche se negli ultimi anni alcuni giovani apicoltoristanno incrementando notevolmente il numero dei proprialveari facendo dell’apicoltura la loro attività principale.L’Assessorato Agricoltura e Risorse Naturali della Regione

Valle d’Aosta offre assistenza tecnica gratuita agli apicoltoritramite due tecnici apistici che operano sul territorio ed illaboratorio che svolge analisi sui principali parametri chimi-co-fisici dei mieli prodotti. Inoltre, l’organizzazione annualeda parte del Consorzio Apistico, in collaborazione conl’Amministrazione Regionale, di un corso rivolto agli apicol-tori, nonché del concorso per premiare i mieli migliori, aiu-ta e stimola sempre più gli apicoltori a ricercare produzionipiù pregiate preferendo i mieli uniflorali ai mieli millefiori.

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

In Valle d’Aosta si producono tre tipologie di miele, inseri-te nell’elenco dei prodotti tradizionali(2): millefiori di mon-tagna, castagno e rododendro. Quest’ultima produzione siottiene però solo in annate favorevoli, dal punto di vistaclimatico, alla raccolta del nettare di tale pianta. Conside-rando i campioni analizzati durante i concorsi “Miele dellaValle d’Aosta”, tenutisi annualmente dal 2001 al 2005, il74% dei campioni è risultato millefiori, il 14% di castagno, il12% di rododendro (prodotto nelle annate 2003 e 2005).Negli ultimi anni, grazie alla particolare professionalità degliapicoltori, si sono riscontrate produzioni di miele uniflorale

(2) Leggi n. 350 e n. 178 sui prodotti tradizionali; elenco 2005.

24 I mieli regionali italiani

Altra bibliografia consultataAdamo C., 2003 – Apicoltura in Valle d’Aosta, Edizioni Le Château, Aosta.Ferrazzi P., 1991– Indagini sulla flora frequentata da Apis mellifera L. in Val D’Aosta. Atti Convegno “Stato attuale e sviluppo della ricerca in api-

coltura” Sassari: 129-138.Ferrazzi P., Manino A., Patetta A. 1998 – Caratterizzazione dei mieli delle Alpi nord-occidentali. Atti del Convegno Apilombardia 98. Giornate

di studio sull’apicoltura, Minoprio (Como): 171-186.Mercalli L. et al., 2003 – Atlante climatico della Valle d’Aosta, Società Meteorologica Subalpina.

Origine dei dati melissopalinologici N

campioni Area dello studio

Adamo C., 1985 – Flora mellifera e mieli della Valle di Gressoney. Tesi di laurea Università di Torino. 18 Valle di Gressoney

Diemoz G., 1980 - Caratterizzazione botanica e fisico-chimica di mieli della Valle del Gran San Bernardo e della Valpelline. Tesi di laurea Università di Torino. 18 Valle del Gran San Bernardo,

Valpelline Ferrazzi P., 1986 - Analisi melissopalinologica di mieli della Valle d’Aosta. Boll. Acc. Gioenia Sci. Nat., 19 (328): 67-93. 36* -

Grillenzoni F.V., Capelli M., Marogna S., Sabatini A.G., Ferrazzi P., 2003 – Una produzione alpina: il miele di rododendro. Istituto Nazionale di Apicoltura, Bologna. 34 Valle di Gressoney, Valle di

Champorcher, Valtournenche Sacchi F., 2002 - Attività di raccolta dell’ape in Valle d’Aosta durante il periodo di fioritura del rododendro in relazione alla produzione di miele. Tesi di laurea Università di Torino. 20 Champorcher, Valsavarenche,

Bionaz Dati originali Laboratorio Servizio Sviluppo Produzioni Agro-alimentari, Regione Valle d’Aosta 42 Tutta la regione Dati originali Fondazione Fojanini di Sondrio 34 Tutta la regione Dati originali Apishare s.r.l., Monterenzio (BO) 25 Tutta la regione TOTALE CAMPIONI 191

* I dati presentati si riferiscono alle stesse campionature studiate nelle tesi di laurea (Diemoz, 1980; Adamo, 1985).

di tarassaco (con percentuali di polline di tarassaco tra 15 e40%), di tiglio (con polline di tiglio tra 15 e 25%) e di melatad’abete. Sul mercato locale può essere presente miele di ro-binia, o più raramente di altre origini botaniche, prodotto daapicoltori valdostani al di fuori della regione. Pollini di Robiniapossono comunque essere presenti nei mieli valdostani, macon una percentuale non superiore al 3%.Gli spettri pollinici dei mieli prodotti in Valle d’Aosta risulta-no poco variabili negli anni, grazie alla scarsa influenza del-l’uomo sull’ambiente montano e alla ridotta antropizzazionedel territorio; presentano comunque una discreta comples-sità, contando a volte più di 30-35 specie botaniche.Il miele uniflorale di castagno è prodotto nel mese di giu-gno e viene raccolto nella bassa valle dove maggiori sonoi boschi di castagno. Superato Châtillon i boschi di casta-gno, pur mantenendo la loro importanza per distribuzio-ne e presenza rispetto alle altre essenze arboree, non so-no più in grado di dare origine a mieli uniflorali.Il miele uniflorale di rododendro viene prodotto in tutta lavalle da alveari posizionati preferibilmente sopra i 1000 me-tri, nelle vicinanze delle distese di rododendro che fiorisconotra giugno e luglio. Spesso il nettare di questo delicatissimomiele può essere accompagnato da altri nettari di piante dialta quota, tipiche di prati e pascoli estivi, che ne rafforzanoed equilibrano le caratteristiche sensoriali. I mieli millefiori dimontagna vengono prodotti in tutta la valle ed in particolaremodo dalle famiglie di api localizzate sulla vallata centrale. Laloro produzione dipende dalla stagionalità e non è prerogati-va di nessuna zona o fascia altimetrica.Nei mieli valdostani le famiglie botaniche più rappresentatesono le Leguminosae (soprattutto Trifolium spp., Lotus, Coro-nilla/Hippocrepis, Onobrychis, Robinia) e le Rosaceae (princi-

palmente Rubus e Sorbus), per l’abbondanza di specie ad es-se appartenenti e per la capacità delle stesse di vegetare indiversi ambienti, quali prati, incolti, sottoboschi, zone colti-vate e pascoli. Altra famiglia comunemente presente èquella delle Ericaceae, rappresentate principalmente da ro-dodendro, in misura minore mirtillo e calluna; questa fami-glia ricorre con maggiore abbondanza nei raccolti di altaquota. Castanea è ricorrente nei mieli della bassa valle e,pur mantenendo presenze importanti ed alle volte inqui-nanti, si riduce salendo fino ad Aosta, per poi diventarepresenza rara nelle vallate del Gran San Bernardo e nellavallata centrale oltre Aosta verso il Monte Bianco.Presenze polliniche importanti per la caratterizzazione delmiele valdostano sono anche Myosotis, la cui presenza, taloraa livello di polline dominante, è da considerarsi inquinante acausa della sua estrema iperrappresentatività, Helianthemum(famiglia delle Cistaceae), Umbelliferae (soprattutto la formaH) e Polygonum bistorta. Questi tipi pollinici, insieme a quelliprecedentemente citati, costituiscono un’associazione tipicadell’area alpina e che può essere considerata come possibilechiave di riconoscimento dei mieli valdostani. Un’affermazio-ne definitiva in questo senso richiederebbe tuttavia studi dicaratterizzazione più estesi ed approfonditi.Altri pollini degni di nota sono Echium, Rumex, Salix e, limita-tamente al miele di castagno, Tilia e Rhamnaceae. Meno co-stanti, Sedum/Sempervivum, Labiatae (soprattutto Thymus),Compositae, Campanulaceae e Scrophulariaceae altre.Analizzando gli spettri pollinici di mieli prodotti in diverseannate si è potuto sporadicamente osservare la presenzadi Helianthemum a livello di polline dominante. Epilobium,la cui presenza si attesta generalmente sotto il 3%, è statoin alcuni anni riscontrato fino al 20%.

Tipi pollinici più frequenti nei mieli della Valle d’AostaIn giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia. * = specie non nettarifere.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Valle d’Aosta 25

Millefiori di montagna Castagno Rododendro

Myosotis Rubus Ericaceae altre Trifolium repens Castanea Helianthemum* Lotus Prunus Onobrychis Coronilla/Hippocr. Sorbus Umbelliferae H Rosaceae altre Polygonum bistorta Echium Malus/Pyrus Graminaceae altre*

Castanea Ericaceae altre Rubus Tilia Trifolium repens Helianthemum* Lotus Polygonum bistorta Sorbus Graminaceae altre* Myosotis Rumex* Echium Malus/Pyrus Rhamnaceae Robinia Umbelliferae H

Ericaceae altre Rubus Trifolium repens Helianthemum* Myosotis Polygonum bistorta Umbelliferae H Coronilla/Hippocr. Lotus Onobrychis Campanulaceae Castanea Salix Graminaceae altre* Plantago* Rumex* Compositae T Cupressaceae/Tax.* Robinia Sorbus Thymus Compositae S Trifolium pratense s.l.

Trifolium pratense s.l. Salix Astragalus/Ononis Melilotus Campanulaceae Rumex* Sedum/Semperviv. Compositae T Medicago Salvia Ranunculaceae altre Caryophyllaceae Filipendula* Cruciferae <20 μ Umbelliferae A Robinia Fragaria/Potentilla Centaurea cyanus

Linaria Melilotus Prunus Genista Salvia Ligustrum Plantago* Rosaceae altre Umbelliferae A Compositae H Campanulaceae Compositae T Coronilla/Hippocr. Genista Filipendula* Fragaria/Potentilla Scrophular. altre Sedum/Semperviv. Thymus Centaurea jacea

Echium Filipendula* Pinaceae* Fragaria/Potentilla Geranium Hypericum* Linaria Saxifraga Artemisia* Compositae A Cruciferae Ranunculaceae altre Umbelliferae A

Capitolo V

CARATTERISTICHE MELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DELLA LOMBARDIA

di Carla Gianoncelli, Mario Colombo e Paola Rossi

Cenni geografico-vegetazionali

La Lombardia, situata al centro dell’area alpina, ha unasuperficie di 23.863 km2 e confina a nord con la Svizze-ra, ad ovest con il Piemonte, a est con Veneto e TrentinoAlto Adige, a sud con l’Emilia Romagna dalla quale è di-visa dal fiume Po.Il territorio lombardo viene tradizionalmente distinto intre settori morfologici: a nord, il settore montano delleAlpi e Prealpi (41%), al centro la Pianura Padana, che oc-cupa il 47% della superficie regionale, e a sud-ovest lapiccola area collinare appenninica dell’Oltrepò Pavese.Questa suddivisione geografica riflette fedelmente la si-tuazione geologica della Lombardia.Il settore delle Alpi e Prealpi lombarde, è diviso in dueparti dalla Linea Insubrica, una faglia che si sviluppa insenso est-ovest, passando per la Valtellina. A nord di que-sta linea prevalgono rocce metamorfiche, accanto a spo-radiche formazioni calcareo-dolomitiche; a sud di essa,sopra un basamento formato in maggioranza da roccemetamorfiche, vi è una copertura di rocce sedimentariein prevalenza calcaree, che si distribuiscono in fasce gros-solanamente parallele, con orientamento est-ovest. La Pianura Padana è costituita dai detriti scaricati da fiu-mi e ghiacciai. I ghiacciai, affacciandosi a più riprese (gla-ciazioni) sul bordo settentrionale della pianura, hannoaccumulato allo sbocco delle maggiori vallate i materialitrasportati, formando i cordoni morenici e i grandi laghidella fascia prealpina (L. Maggiore, L. di Como, L. d’Iseo,L. d’Idro e L. di Garda). I fiumi principali, sia alpini (Tici-no, Adda, Oglio e Mincio) che appenninici, hanno scari-cato ghiaie, sabbie, limi e argille, riempiendo e livellandogran parte della Pianura Padana. Il terzo settore geologico della Lombardia, l’Oltrepò Pa-vese, è un piccolo frammento dell’Appennino settentrio-nale, catena in fase di evoluzione meno avanzata rispettoalle Alpi, come rivela l’età più giovane delle rocce affio-ranti. Queste sono costituite in maggioranza da arenarie,calcari, marne e molte argille, spesso poco cementate, ilche spiega l’elevato grado di franosità dell’area.La Lombardia, con la sua complessità orografica, pre-senta una notevole diversità di ambienti fitogeografici.

La variabilità pedoclimatica, dovuta soprattutto all’e-scursione altimetrica, determina una grande ricchezzadi forme corologiche.Nella Pianura Padana, la vegetazione naturale è circo-scritta a frammenti di querco-carpineti e popolamentiripariali, cui si aggiungono le pinete di pino silvestre neiterreni ferrettizzati dei pianalti occidentali. Sulle collinemoreniche e sui primi rilievi prealpini si insediano dap-prima gli orno-ostrieti e gli acero-frassineti, con casta-gno e robinia; successivamente le faggete e i lariceti.Nella zona di transizione verso l’area alpina, a clima piùcontinentale, i boschi misti di caducifoglie, dominati daspecie più o meno termofile in funzione dell’esposizio-ne, sono sostituiti, dall’orizzonte montano in su, daabieteti, peccete e lariceti. Questi si estendono anchenell’orizzonte subalpino, dove la copertura arborea sidirada, sfumando nella brughiera di ericacee e, superior-mente, nella prateria. Nelle Alpi più interne, i popola-menti forestali sono tipicamente caratterizzati da abeterosso, larice e pino cembro, ad indicare le più severecondizioni climatiche. Nelle zone di compluvio e discorrimento del manto nevoso, si rinvengono alneti diontano verde, mughete e ginepreti.Questa elevata diversità di popolamenti offre fioritureabbondanti per le api lungo quasi tutto l’arco dell’anno.Nelle zone di pianura e sui primi rilievi, a primaveraprecoce fioriscono abbondantemente tarassaco, salici,nocciolo, ciliegio e pruno selvatico. A maggio, in macchiespontanee lungo le rive dei fiumi, lungo gli argini dei ca-nali e ai confini degli appezzamenti fiorisce la robinia, laspecie più importante per l’apicoltura lombarda. Il mieleche da essa si ottiene può essere “inquinato” da nettaredi ailanto, albero a fioritura quasi contemporanea o dipoco posticipata. Questa specie, ottima nettarifera ori-ginaria dell’estremo oriente, è divenuta negli ultimi anniinfestante in tutte le zone di pianura e nei fondovalle al-pini e prealpini. Altre interessanti specie nettarifere chevegetano in tali aree sono l’acero, il ligustro, il biancospi-no, il Prunus padus e il viburno.Nelle zone collinari della fascia prealpina e dell’Oltre-pò, la diffusione della robinia è più ampia. Questi ter-ritori, ricoperti da boschi naturali, castagneti, fruttetie prati stabili, annoverano molte altre specie di inte-resse apistico. Dopo la robinia fiorisce il castagno(presente fino a 700-800 m di quota) che, oltre a for-nire un ottimo uniflorale, costituisce spesso la base dieccellenti mieli millefiori, insieme a trifogli, rosacee(rovo, sorbo, pruno selvatico, biancospino, ciliegio), va-rie composite, acero e tiglio. Quest’ultimo, a fiorituraimmediatamente successiva a quella del castagno, puòdar luogo anche ad un prodotto uniflorale. Nelleesposizioni a sud, i boschi misti di latifoglie si arricchi-scono di ginestre, clematide, ericacee, scotano, alloro,viburno, ranno, etc. Nei territori montani e altomontani offrono ottimibottini i boschi di tiglio selvatico (spesso frammisti ad

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acero e sorbo), le macchie di erica carnicina e mirtillo,le siepi di rovo e lampone, la ricca flora dei prati dimonte e, a quote più elevate, le distese di rododendroe la flora alpina dei pascoli (ricca di leguminose, cometrifogli e ginestrino, campanule, bistorta, timo, potentil-la, salvia selvatica, non-ti-scordar-di-me, etc.). In alcunearee dal clima mitigato dalla presenza dei laghi, è pre-sente Erica arborea, che conferisce aroma caramellatoai mieli millefiori. Nelle zone maggiormente antropizzate e prossime ai la-ghi (province di Como, Varese e Brescia) si trovano spe-cie ornamentali, spesso buone produttrici di nettare,quali magnoliacee (magnolia, albero dei tulipani), spinodi Giuda e il già citato ailanto.In Lombardia le aziende agricole, zootecniche e forestalioccupano una superficie di 1.413.415 ha di cui1.035.791 costituiscono superficie agricola utilizzata(SAU). I terreni molto fertili della Pianura Padana hannofavorito lo sviluppo di un’agricoltura molto redditizia, che

utilizza sistemi avanzati di coltivazione. Colture principalisono quelle di cereali, frutta, ortaggi, uva da vino e foraggi.L’allevamento è concentrato su bovini e suini, con tutti iprodotti derivati (latte, burro, formaggi, carne).

Aspetti dell’apicoltura

La Lombardia è una delle regioni dove l’apicoltura èpiù sviluppata. Risultano globalmente presenti in Lom-bardia oltre 4000 apicoltori, concentrati prevalente-mente nelle zone collinari e montane. Secondo i datiMiPAAF, sul territorio regionale sono stati dichiaratipresso le ASL, al 31 gennaio 2006, 136.799 alveari, checorrispondono ad una concentrazione di quasi 6 al-veari/km2, la più alta in Italia. Le province di Varese eComo sono inoltre oggetto di intenso nomadismo damolte altre regioni per la produzione del pregiatomiele di robinia. La produzione complessiva stimata di miele è di circa

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Lombardia 27

30.000 q annui, di cui circa il 50% millefiori, 30-40%robinia e il rimanente di altre produzioni unifloraliquali castagno, melata, tiglio, rododendro. Il livello professionale e associativo è piuttosto elevatoe non manca una certa diversificazione delle attività,ad esempio con la pratica del servizio di impollinazio-ne nei meleti della Valtellina.

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

Le informazioni relative ai tipi di miele prodotti in Lom-bardia sono desunte da una mole consistente di analisipalinologiche di mieli lombardi, prodotte nell’ambito delrapporto di collaborazione tra l’Istituto di EntomologiaAgraria dell’Università di Milano e la Fondazione Fojani-ni di Sondrio e finalizzate sia ad indagini scientifiche chead attività di controllo. Il miele lombardo è prevalentemente millefiori, ma co-spicue produzioni uniflorali si ottengono dalla robinia e,in misura minore, da castagno, tiglio e melata. Nelle zo-ne alpine, in annate favorevoli, si ottengono buone pro-duzioni di rododendro e, più raramente, di melata d’a-bete. Occasionalmente si possono produrre mieli uni-

florali di tarassaco (province di Bergamo e Brescia), ai-lanto (zone urbanizzate), trifoglio (aree più meridionalidel territorio regionale), acero, girasole e lampone.L’associazione tipica della regione è costituita da Casta-nea, Rubus, Tilia, Trifolium repens, Robinia, Graminaceae al-tre e Rumex, presenti, in diverse proporzioni, nella mag-gior parte dei mieli.I mieli millefiori hanno caratteristiche diverse a secon-da che provengano dalla zona alpina, prealpina o dallaPianura Padana. Nei millefiori prealpini, che rappresen-tano la produzione più diffusa, è dominante il castagnoe, oltre alle specie comuni a tutta la regione, possonoessere frequenti elementi di quote più elevate (Erica-ceae altre, Umbelliferae, Polygonum bistorta), o di am-bienti antropizzati (Parthenocissus, Centaurea jacea, Ligu-strum, Malus/Pyrus e Prunus) o di zone tipicamente bo-schive (Acer, Rhamnaceae e Fraxinus ornus). Da segnala-re, nei mieli del versante retico della Valtellina, dellazona dell’Alto Lario e dei territori vicini ai grandi la-ghi, la presenza, rara ma caratteristica, di elementi tipi-ci di ambienti mediterranei, quali Erica, Genista e Cistus,che trovano in queste zone condizioni microclimati-che adatte al loro sviluppo.I millefiori provenienti dalle quote più alte sono caratte-

28 I mieli regionali italiani

Origine dei dati melissopalinologici N campioni Area dello studio

Bolchi Serini G., Spreafico M., 1992 – Mieli di Lombardia. In: Apicoltura e mieli di Lombardia. Regione Lombardia, Settore Agricoltura e Foreste, Milano: 13-57. 253 Intera regione

Ferrazzi P., 1974 – Mieli di “tarassaco” di Piemonte e Lombardia. I – Analisi melisso-palinologica. L’Apicoltore moderno, 65: 21-26. 3 Cremona e Lodi

Fini M.A., Sabatini A.G., 1971 – Caratterizzazione dei mieli italiani. I: i mieli di Robinia pseudoacacia. Quaderni di merceologia, 115-132. 37 Varese e Como

Galimberti P., 1992 - Caratterizzazione dei mieli dell'oltrepo Pavese. Relazione ASAP. 66 Pavia Grillenzoni F.V., Capelli M., Marogna S., Sabatini A.G., Ferrazzi P., 2003 – Una produzione alpina: il miele di rododendro. Istituto Nazionale di Apicoltura, Bologna. 46 Area alpina

Ricciardelli D’Albore G., 1988 – I mieli D.O.C. di castagno (Castanea sativa Miller) e di acacia (Robinia pseudoacacia L.) della provincia di Varese (Lombardia). Ann. Fac. Agraria Univ. Perugia, 42: 35-49.

114 Varese

Ricciardelli D’Albore G., 1998 – Verifica decennale sulla stabilità dello spettro pollinico nei mieli di Castagno (Castanea sativa Miller) e di Robinia (Robinia pseudacacia L.) della Provincia di Varese. L'Ape Nostra Amica, 20 (2): 18-22.

30 Varese

Banca dati dell’Istituto di Entomologia Agraria dell’Università di Milano e della Fondazione Fojanini di Sondrio 1355 Intera regione

TOTALE CAMPIONI 1904

Altra bibliografia consultata:Bolchi Serini G., Colombo M., Eördegh F.R., 2007 – Apicoltura e Mieli della Lombardia. Situazione e prospettive (in stampa).Bolchi Serini G., Colombo M., Orlandi S., 1985 – Studio sulla caratterizzazione dei mieli della provincia di Como. Econ. Lariana,

C.C.I.A.A. Como, 65: 33-50.Bolchi Serini G., Colombo M., Orlandi S., 1986 – Indagini sulla caratterizzazione dei mieli nella provincia di Como. L’Ape Nostra Amica,

8 (4): 20-26.Bolchi Serini G., Colombo M., Sommaruga A., Micheli A., Orlandi S., Parisini M., 1985 – Studio sulla caratterizzazione dei mieli della pro-

vincia di Como. Relazione del presidente APAC. Bolchi Serini G., Salvi G., 1987 – Analisi qualitative di mieli della provincia di Como. Econ. Lariana, C.C.I.A.A. Como, 67 (1/2): 47-57.Giannoncelli C., Palmieri G., Pozzi M., 2000 – La flora apistica della provincia di Sondrio. APAS, C.C.I.A.A. Como e Fondazione Fojanini: 75 pp.Salvi G., 1986 – Studio preliminare per la conoscenza dello spettro pollinico dei mieli lombardi. Atti Convegno Apilombardia 86, Como.

rizzati dalla presenza dominante di Rubus (lampone) edEricaceae altre (Rhododendron), accompagnati da Cam-panulaceae, Umbelliferae A, Polygonum bistorta, Thymus ediverse Compositae. Nel loro sedimento è costante lapresenza di pollini di specie provenienti da raccolti pre-cedenti (robinia e castagno); Completano il quadro altrespecie tipiche dell’ambiente alpino, come Juncaceae He-lianthemum e Myosotis. I millefiori padani si distinguono per una minor presen-za di castagno, che lascia spazio a Cruciferae, specie diambienti antropizzati (quali Ailanthus, Ligustrum, Gleditsia,Parthenocissus, Aesculus, Magnoliaceae), o di zone riparialicome Salix e Amorpha, quest’ultima presente nei cam-pioni provenienti dalle zone della bassa pianura.Passando alle produzioni uniflorali, i mieli di robinia so-no caratterizzati da un’alta percentuale del relativo pol-line, soprattutto quelli provenienti dalle zone collinari aridosso della Pianura Padana e prealpine, e dall’elevata

frequenza di specie non nettarifere: oltre a Gramina-ceae altre e Rumex, sono ricorrenti Chamaerops, Sambu-cus nigra, Quercus robur, Pinaceae, Plantago, Papaver, Fraxi-nus ornus, Vitis, Actinidia e Chelidonium. Fra le nettarifereprevalgono specie a fioritura precoce (Salix, Cruciferae,Acer, Cornus sanguinea) e di ambienti antropizzati (frutti-feri, Gleditsia, Magnoliaceae, Aesculus).L’associazione pollinica dei mieli di castagno e di tiglio èsimile a quella dei millefiori prealpini: nei primi l’estremaiperrappresentatività del polline dominante riduce laricchezza dello spettro; nei mieli di tiglio possono esse-re più frequenti elementi altomontani. Nel miele di rododendro il polline della specie è pre-sente anche in percentuali relativamente elevate neicampioni più puri; per il resto lo spettro pollinico ri-calca quello dei millefiori di alta montagna, con unamaggiore varietà di Leguminosae (Trifolium pratense s.l.,Lotus).

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Lombardia 29

Millefiori prealpini

Millefiori di alta montagna

Millefiori padani Robinia Castagno Tiglio Rododendro

Castanea Rubus Tilia Trifolium repens Robinia Graminaceae altre* Ericaceae altre Umbelliferae A Salix Plantago* Acer Rumex* Quercus robur* Ailanthus Ligustrum Centaurea jacea Fraxinus ornus* Compositae A Polygonum bistorta Parthenocissus Prunus Rhamnaceae Malus/Pyrus Compositae T

Rubus Ericaceae altre Castanea Trifolium repens Rumex* Campanulaceae Tilia Umbelliferae A Polygonum bistorta Graminaceae altre* Thymus Compositae T Salix Robinia Plantago* Juncaceae* Helianthemum* Myosotis Acer Centaurea jacea

Cruciferae Robinia Rubus Trifolium repens Castanea Ailanthus Ligustrum Gleditsia Salix Compositae T Lotus Parthenocissus Acer Tilia Cornus sanguinea Graminaceae altre* Amorpha Compositae A Umbelliferae A

Robinia Chamaerops* Graminaceae altre* Castanea Sambucus nigra* Rumex* Quercus robur* Salix Pinaceae* Gleditsia Cruciferae Rubus Plantago* Trifolium repens Cornus sanguinea Magnoliaceae Acer Malus/Pyrus Papaver* Fraxinus ornus* Vitis*

Castanea Rubus Robinia Trifolium repens Graminaceae altre* Tilia Plantago* Centaurea jacea Rumex* Chamaerops* Rhamnaceae Cruciferae Ligustrum

Tilia Castanea Rubus Trifolium repens Ericaceae altre Robinia Plantago* Graminaceae altre* Umbelliferae A Acer Polygonum bistorta Rumex* Centaurea jacea Ligustrum Malus/Pyrus Campanulaceae Helianthemum* Fraxinus ornus*

Ericaceae altre Rubus Campanulaceae Trifolium repens Castanea Compositae T Helianthemum* Rumex* Trifolium pratense s.l. Lotus Thymus Graminaceae altre* Umbelliferae A Cupressaceae/Tax.* Myosotis Juncaceae* Robinia Tilia Compositae S

Genista Chamaerops* Liliaceae altre s.l. Vitis* Filipendula* Helianthemum* Juncaceae* Sambucus nigra* Campanulaceae Thymus Caryophyllaceae Cruciferae

Quercus robur* Lotus Compositae S Malus/Pyrus Cupressaceae/Tax.* Genista Caryophyllaceae Pinaceae*

Aesculus Compositae H Magnoliaceae Melilotus Liliaceae altre s.l. Papaver* Rhamnaceae Prunus Galega Plantago* Rumex*

Prunus Aesculus Rhamnaceae Actinidia* Chelidonium* Juncaceae* Compositae T Tilia

Quercus robur* Umbelliferae A Malus/Pyrus Ailanthus Sambucus nigra* Salix Parthenocissus Compositae A Filipendula* Coronilla/Hippocr. Compositae H Ericaceae altre Lotus

Aruncus* Quercus robur* Chamaerops* Ailanthus Thymus Juncaceae* Filipendula*

Pinaceae* Plantago* Salix Thalictrum Fragaria/Potentilla Centaurea jacea Polygonum bistorta

Tipi pollinici più frequenti nei mieli della LombardiaIn giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia. * = specie non nettarifere.

Capitolo VI

CARATTERISTICHE MELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DEL TRENTINO ALTO ADIGE

di Edith Bucher, Veronika Kofler, Maria Lucia Piana e Emanuela Zieger

Cenni geografico-vegetazionali

Il Trentino Alto Adige, posto nella parte più settentrionaledell’Italia, si estende per una superficie di 13.607 km2 e con-fina a nord con l’Austria, a ovest con la Svizzera, a sud-ovestcon la Lombardia e a sud-est con il Veneto. Il territorio,completamente montuoso, presenta una struttura orografi-ca molto eterogenea, percorsa da un complesso sistema dirilievi e incisioni. Ad ovest i grandi massicci dell’Adamello edell’Ortles-Cevedale, a nord la catena delle Alpi Atesine, aest il gruppo del Catinaccio e gli altri imponenti gruppi do-lomitici: Sella, Sciliar, Sassolungo, Gruppi della Val Gardena,Marmolada, Lagorai, Pale di S. Martino, Brenta.Ai sistemi montuosi si alternano numerose vallate: la ner-vatura principale è costituita dalla lunga valle dell’Adige,che nella parte superiore prende il nome di Val Venosta ein quella inferiore di val Lagarina; altre valli importanti so-no formate dai fiumi Isarco (val d’Isarco), Rienza (val Pu-steria), Noce (val di Non, val di Sole), Avisio (valli diCembra, Fiemme e Fassa), Sarca (val Giudicaria) e Brenta(Valsugana). Completano questo paesaggio alcuni altipiani(Renon, Siusi, Folgaria, Lavarone) e numerosi laghetti (fra iprincipali Carezza, Braies, Molveno, Caldonazzo, Levico,etc.). Appartiene inoltre al Trentino l’estremità superioredel lago di Garda. Le differenze di altitudine e le diverseesposizioni dei versanti determinano, sommandosi ad al-tri fattori (latitudine, influenze storiche, antropiche, etc.)una molteciplicità di associazioni vegetali diverse. Alle quote più elevate il clima molto rigido nei mesi in-vernali e la brevità delle estati, non consente lo sviluppodi specie arboree, e la vegetazione è limitata a pochespecie pioniere. A quote inferiori trovano spazio ampieforeste di conifere (abetine, peccete, lariceti, cembrete)alternate ad arbusteti di rododendro, ginepro nano, eri-ca carnicina e mirtillo, pascoli e praterie con la caratte-ristica flora alpina ricca di una straordinaria varietà dispecie (campanule, ranuncoli, ombrellifere, non-ti-scor-dar-di-me, composite, primule, genziane, potentille, sas-sifraghe, etc.). Nell’orizzonte montano inferiore (1000-1500 m), dominato dalla faggeta, iniziano le coltivazioni

di cereali e trova un certo spazio la coltivazione di pic-coli frutti (fragola, lampone, ribes) e piante officinali. Allequote inferiori ai 1000 m iniziano i castagneti, i quercetie il bosco caducifoglio termofilo misto, dove le essenzecaratteristiche sono Ostrya carpinifolia, Carpinus betulus,Quercus pubescens, Fraxinus ornus, Tilia platyphylla, Ulmusmontana, Acer pseudoplatanus, Acer platanoides, Corylusavellana, Viburnum tinus. In questa fascia sono diffuse lecoltivazioni di frutteti (melo) e della vite. Un aspettovegetazionale comune nelle situazioni di degrado e diabbandono colturale (zone ruderali, bordi stradali, scar-pate) è costituito da cespuglieti e boscaglie dove domi-nano Robinia, Ailanthus, Sambucus, Clematis e Rubus.Infine la parte più meridionale del Trentino, è interessa-ta da un clima di tipo mediterraneo, con una tempera-tura media annua intorno ai 12 °C che consente la pre-senza di specie vegetali tipicamente mediterranee (lecci,cipressi, oleandri, etc.) e la coltivazione, nell’area del la-go di Garda, dell’olivo e dei limoni. L’incidenza delle superfici coltivate cresce man manoche si procede da nord a sud, nei fondivalle; la frutticol-tura e la viticoltura sono i settori agricoli di gran lungapiù importanti della regione. Altre coltivazioni sonoquelle dei cereali, degli ortaggi e delle patate.

Aspetti dell’apicoltura

In Trentino Alto Adige l’apicoltura è diffusa nella quasitotalità dei comuni. In base ai dati più recenti nella pro-vincia di Bolzano operano 3.196 apicoltori con 40.414alveari, e nella provincia di Trento 1.616 apicoltori con23.394 alveari (dati MiPAAF 2006). In entrambe le pro-vince si tratta prevalentemente di piccoli apicoltori conmeno di 10-15 alveari, ma negli ultimi anni si nota che ilnumero delle aziende tende a diminuire, mentre tendead aumentare il numero degli alveari e la professionaliz-zazione dei produttori (Matteotti e Miori, 2005).

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

I dati relativi ai mieli prodotti nel Trentino Alto Adigesono desunti prevalentemente da uno studio di caratte-rizzazione dei mieli dell’Alto Adige (Bucher et al., 2004)e da uno studio di caratterizzazione dei mieli del Trenti-no (Piana, 2002), integrati con dati bibliografici e altridati originali degli autori.Il miele del Trentino Alto Adige è prevalentemente mil-lefiori (circa 70%); mieli uniflorali possono ottenersi dacastagno, rododendro, melo, robinia (limitatamente alTrentino) e melata d’abete. Occasionalmente si produ-cono mieli di tiglio, trifoglio bianco ed erica carnicina.Nello spettro pollinico dei mieli millefiori si evidenziauna notevole diversità pollinica, particolarmente accen-tuata nei mieli dell’Alto Adige, dove si sono trovate, inmedia, 59 forme polliniche per campione (min. 32, max.

30

82): ciò può essere in parte attribuito alla ricchezza flo-ristica del territorio, in parte al tipo di conduzione o altipo di arnie impiegate, che possono favorire fenomenidi arricchimento secondario.Accanto a forme ubiquitarie, prive di uno specifico valorecaratterizzante (Trifolium repens, Graminaceae altre, Plan-tago, Cruciferae, Rubus), è costante, e può quindi essereconsiderata tipica della regione, l’associazione di: Umbelli-ferae(1), Ericaceae altre(2), fruttiferi (soprattuttoMalus/Pyrus), Fraxinus ornus, Salix, Compositae T e, soprat-tutto nei mieli del Trentino, Castanea. Particolarmente ca-ratterizzante è la presenza, talora in percentuali elevate,di Fraxinus ornus, specie termofila non nettarifera che, aNord della pianura padana, è molto più frequente nell’a-rea orientale delle prealpi e delle alpi e risulta quindi unaguida utile nella differenziazione di questi mieli rispettoagli analoghi mieli del settore occidentale. Il carattere prettamente alpino dei mieli dell’Alto Adigee dei mieli di rododendro è evidenziato da numerosi al-

tri elementi, quali Myosotis, Juncaceae, Helianthemum eCampanulaceae, presenti anche negli altri mieli della re-gione ma con minore costanza. Completano il quadromontano Acer, Fragaria/Potentilla e diversi tipi di Labiataeesacolpate. La particolare vocazione agricola della re-gione trova riscontro nella frequenza di Vitis.Nei mieli delle quote intermedie sono più ricorrenti, oraggiungono percentuali più elevate, Castanea, Robinia, Ti-lia, Filipendula e Ailanthus, specie infestante che denota ingenere gli ambienti antropizzati. Nei mieli di castagno lapresenza di Tilia è spesso rilevabile anche a livello orga-nolettico; per quanto riguarda questa tipologia di mieleva segnalato che nei campioni del Trentino la diversitàdi forme polliniche è nettamente inferiore rispetto aquelli dell’Alto Adige. Anche i mieli uniflorali di robinia,che si producono limitatamente alla provincia di Trento,si caratterizzano per una minore diversità pollinica; daevidenziare in questi mieli l’abbondante presenza di pol-lini di specie non nettarifere o di origine secondaria fra

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli del Trentino Alto Adige 31

(1) Si è preferito fare riferimento all’intera famiglia per rendere possibile il confronto fra i dati riportati dai diversi autori. È comunque dasegnalare la frequenza del tipo H.

(2) Si è preferito fare riferimento all’intera famiglia per rendere possibile il confronto fra i dati riportati dai diversi autori. È comunque dasegnalare la frequenza di Rhododendron.

cui, oltre alle forme già citate, Chelidonium, Sambucus ni-gra, Papaver, Quercus robur e Actinidia.Dal punto di vista della tipizzazione geografica, risulta ca-ratterizzante la combinazione tra elementi continentali ofrancamente alpini ed elementi di tipo climatico più tem-perato: l’effetto della quota di produzione non è quasimai netto e gli elementi tipici delle diverse fasce altitudi-nali si trovano in costante commistione, per effetto deglispostamenti degli apiari, o a causa delle complesse carat-teristiche orografiche e fitogeografiche della regione. Allostesso modo gli elementi tipici di ambienti naturali a ve-getazione spontanea si accompagnano spesso ad elemen-ti di ambienti coltivati o più o meno antropizzati. Questoè l’elemento maggiormente distintivo rispetto ai mielidelle zone a pari latitudine più occidentali, dove invece ènetta la separazione tra i mieli prodotti in ambienti colli-nari o di pianura, fortemente utilizzati per usi agricoli, e imieli di montagna o alta montagna in cui manca l’orniello

32 I mieli regionali italiani

Altra bibliografia consultataMatteotti L., Miori M., 2005 - L’approccio multifunzionale nella pianificazione territoriale del Trentino: l’individuazione delle aree mellifere. Atti del-

l’incontro-seminario “Mappatura delle aree nettarifere”, Firenze, 23 marzo 2005 (www.apicoltura.org/file_pdf/seminario_ mappatura/Matteotti.pdf).

Fioritura di rododendro

e sono più frequenti gli indicatori di alta quota. I mieli millefiori della regione non costituiscono un gruppoomogeneo, ma le differenze tra campioni formano un conti-nuum che non permette di identificare, sulla base delle ca-ratteristiche melissopalinologiche, tipologie diverse (adesempio in base all’altitudine o all’epoca di produzione). In numerosi campioni si osserva una prevalenza di unaparticolare origine botanica, e ciò potrebbe indicare l’esi-stenza di condizioni favorevoli per un potenziale incre-mento delle produzioni uniflorali della regione (ad esem-pio la melata, presumibilmente di conifere, rappresentauna componente importante di molti mieli). Nella differenziazione dei mieli del Trentino rispetto aquelli dell’Alto Adige, oltre al carattere meno nettamentealpino e alla minore diversità pollinica, può essere utile ri-cordare l’occasionale presenza (circa 10% dei campioni)di Amorpha, specie alloctona in espansione, attualmenteancora del tutto assente nei mieli Alto Atesini. e t o pag 30

Origine dei dati melissopalinologici N campioni Area dello studio

Bucher E., Kofler V., Vorwhol G., Zieger E., 2004 – Lo spettro pollinico dei mieli dell’Alto Adige. Laboratorio Biologico, Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente e la tutela del lavoro. Laives (BZ): 680 pp. 218 Alto Adige

Grillenzoni F.V., Capelli M., Marogna S., Sabatini A.G., Ferrazzi P., 2003 – Una produzione alpina: il miele di rododendro. Istituto Nazionale di Apicoltura, Bologna. 18 Intera regione

Lanzinger M.T., 1983 – Ricerca per la certificazione di origine e qualità dei mieli del Trentino. Tesi di laurea Facoltà di Agraria, Università degli studi di Milano. 20 Trentino

Piana L., 2002 – Caratterizzazione melissopalinologica delle produzioni di miele trentino. In: Camin F., Nicolini G., Versini G. (a cura di), Atti del convegno “Il miele del Trentino: quali specificità per una sua valorizzazione”, S Michele All’Adige, 17 maggio 2002. Istituto Agrario di S. Michele all’Adige – Provincia autonoma di Trento: 41-64.

100 Trentino

Ricciardelli D’Albore G., 1981 – Nuove osservazioni microscopiche sui mieli del Trentino. L’Apicoltore Moderno, 72: 177-183. 32 Trentino

Vorwohl G., 1972 – Das Pollenspektrum von Honigen aus den italienischen Alpen. Apidologie, 3 (4): 309-340. 23 Intera regione

Dati originali Laboratorio Biologico - Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente e la tutela del lavoro. Laives (BZ). 39 Alto Adige

TOTALE CAMPIONI 411

Tipi pollinici più frequenti nei mieli del Trentino-Alto Adige.In giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia. * = specie non nettarifere.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli del Trentino Alto Adige 33

Millefiori Alto Adige Millefiori Trentino Castagno Rododendro Robinia Melo

Umbelliferae Compositae T Trifolium repens Graminaceae altre* Ericaceae altre Plantago* Salix Rumex* Pinaceae* Myosotis Thymus Cruciferae Ranunculaceae altre Caryophyllaceae Trifolium pratense s.l. Malus/Pyrus Rubus Compositae H Juncaceae* Ligustrum Prunus Compositae A Alnus* Helianthemum* Sorbus Acer Betulaceae/Coryl.* Sambucus nigra* Campanulaceae Fragaria/Potentilla Fraxinus ornus*

Rubus Malus/Pyrus Fraxinus ornus* Umbelliferae Castanea Trifolium repens Salix Graminaceae altre* Robinia Ericaceae altre Compositae T Plantago* Cruciferae Prunus Acer Myosotis Vitis* Tilia Sambucus nigra* Compositae H Fragaria/Potentilla Filipendula* Helianthemum* Papaver* Ailanthus Urticaceae s.l.* Ligustrum Rhamnaceae

Castanea Fraxinus ornus* Trifolium repens Plantago* Tilia Graminaceae altre* Malus/Pyrus Umbelliferae Rubus Compositae T Ligustrum Fragaria/Potentilla Salix Pinaceae* Vitis* Ailanthus Cruciferae Clematis Ericaceae altre Acer Compositae H Robinia Betulaceae/Coryl.* Thymus Juncaceae* Parthenocissus Sambucus nigra* Alnus* Quercus robur* Rumex* Liliaceae altre s.l. Papaver*

Ericaceae altre Umbelliferae Trifolium repens Graminaceae altre* Salix Campanulaceae Compositae T Rubus Malus/Pyrus Myosotis Rumex* Fraxinus ornus* Plantago* Juncaceae* Helianthemum* Lotus Prunus Cruciferae Castanea Thymus Geranium Filipendula* Papaver*

Robinia Rubus Castanea Fraxinus ornus* Malus/Pyrus Chelidonium* Graminaceae altre* Sambucus nigra* Salix Trifolium repens Vitis* Papaver* Quercus robur* Actinidia* Prunus Umbelliferae Filipendula* Pinaceae* Plantago* Myosotis Ericaceae altre Compositae T

Malus/Pyrus Compositae T Plantago* Prunus Salix Trifolium repens Umbelliferae Betulaceae/Coryl.* Cruciferae Ericaceae altre Fraxinus ornus* Myosotis Pinaceae* Rubus Caryophyllaceae Castanea Fragaria/Potentilla Graminaceae altre* Quercus robur* Ranunculaceae altre Rumex* Trifolium pratense s.l. Acer Alnus* Ligustrum Compositae A Compositae H Juncaceae* Lamium Thymus Liliaceae altre s.l. Tilia

Cupressaceae/Tax.* Lotus Cyperaceae* Quercus robur Aesculus Compositae S Castanea Papaver* Liliaceae altre s.l. Lamium Parthenocissus Artemisia* Tilia Urticaceae s.l.* Amaranth./Chenop.* Lonicera Centaurea jacea Rhamnaceae Filipendula* Dipsacaceae Hedera Salvia Geranium Vicia s. l. Clematis gr. Robinia

Clematis Centaurea jacea Echium Quercus robur* Lotus Compositae A Hypericum* Cornus sanguinea Aesculus Rumex* Salvia Campanulaceae Trifolium pratense s.l. Ranunculaceae altre Parthenocissus Onobrychis Liliaceae altre s.l. Thymus Pinaceae* Actinidia*

Prunus Hedera Caryophyllaceae Compositae A Cupressaceae/Tax.* Artemisia* Rhamnaceae Ranunculaceae altre Filipendula* Urticaceae s.l.* Myosotis Aesculus Helianthemum* Trifolium pratense s.l. Cyperaceae* Lamium Salvia Sorbus Vicia s. l. Echium Cornus sanguinea Campanulaceae Compositae S

Sambucus nigra* Alnus* Compositae H Cupressaceae/Tax.* Compositae S Caryophyllaceae Fragaria/Potentilla Trifolium pratense s.l. Rhamnaceae Quercus robur* Acer Ranunculaceae altre Cyperaceae* Compositae A Tilia Robinia Pinaceae* Aesculus Urticaceae s.l.* Sorbus Ligustrum

Acer Cornus sanguinea Fragaria/Potentilla Tilia Ailanthus Cruciferae Helianthemum* Urticaceae s.l.* Betulaceae/Coryl.* Echium Rhamnaceae Rumex* Thymus Vicia s. l. Aesculus Artemisia* Aruncus* Chamaerops* Compositae A Gleditsia Liliaceae altre s.l. Linaria Lotus

Artemisia* Cupressaceae/Tax.* Cyperaceae* Filipendula* Helianthemum* Papaver* Sorbus Vitis* Campanulaceae Centaurea jacea Compositae S Hedera Robinia Sambucus nigra* Aesculus Dipsacaceae Lonicera Urticaceae s.l.* Viburnum

Capitolo VII

CARATTERISTICHEMELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DEL VENETO

di Paola Belligoli e Alessandra Baggio

Cenni geografico-vegetazionali.

Il Veneto, situato nell’Italia nord-orientale, occupa una su-perficie di 18.399 km2 e confina a ovest con la Lombardia,a nord-ovest con il Trentino-Alto Adige, a nord con l’Au-stria e ad est con il Friuli Venezia Giulia; a sud-est è bagna-to per quasi 200 Km dal mare Adriatico e a sud è delimita-to dal fiume Po, che separa la regione dall’Emilia-Romagna.Il territorio è prevalentemente pianeggiante (56%), il29% è montuoso e il 15% collinare.Il clima, pur mitigato dall’influsso del lago di Garda e delmare Adriatico, è a carattere continentale e registratemperature accentuatamente rigide nei mesi invernalinella zona montana e molto elevate d’estate nelle zonepianeggianti dell’entroterra. La zona alpina, essenzialmente formata dalle Dolomitiorientali, culminanti nella Marmolada (3.342 m s.l.m.), siestende sull’alto bacino del Piave. Alle quote più elevatela vegetazione è caratterizzata dalle formazioni a Larix,Rhododendron, Vaccinium, Rubus, Salix, Juniperus e Pinusmugo. Caratteristica fondamentale è la presenza di Pinuscembra (Pignatti, 1994). Alle quote inferiori, di transizio-ne con la zona prealpina, domina la faggeta che, allemaggiori altitudini, si alterna a boschi di abete (Picea ex-celsa e Abies alba) e di larice (Larix decidua). Queste spe-cie possono essere buone sorgenti di melata, tuttavia lamelata di larice cristallizza nei favi, causando grossi pro-blemi agli apicoltori, e non può quindi essere considera-ta una risorsa di interesse apistico. Le Prealpi Venete so-no formate soprattutto da calcari e marne del Seconda-rio e del Terziario e incise da valli fluviali strette e pro-fonde (“canali”). Sul piano vegetazionale anche questafascia è caratterizzata da Fagus, che inizia là dove termi-na la zona di Castanea. La composizione floristica diquesta fascia è mutevole in relazione alle diverse situa-zioni morfologiche, edafiche e climatiche. La zona collinare, di transizione tra la montagna e la pia-nura, si estende ai piedi delle Prealpi, comprendendo lecolline moreniche veronesi a sud-est del Garda, le pro-paggini più basse, meridionali, dei monti Lessini, tra l’Adigee l’Astico e una serie di rilievi isolati: il Montello (368 m),di natura calcarea; i Monti Berici (444 m), costituiti, oltre

che da calcari, da rocce effusive (basalti); i Colli Euganei(603 m), formati in parte da rocce calcaree e in parte datrachiti, e che presentano manifestazioni postvulcaniche(sorgenti termali); i Colli Asolani (498 m). Il tipo di vegeta-zione più diffuso è costituito dal bosco caducifoglio ter-mofilo misto dove le essenze caratteristiche sono Ostryacarpinifolia, Carpinus betulus, Quercus pubescens, Fraxinus or-nus, Tilia platyphylla, Ulmus montana, Acer pseudoplatanus eA. platanoides, Cercis siliquastrum: tutte specie di notevoleimportanza per le api, come sorgenti di nettare e/o dipolline. Il sottobosco è ricco di numerose specie arbusti-ve ed erbacee: Corylus, Cornus mas, C. sanguinea, Crataegus,Primula, Cyclamen, Helleborus, Pulmonaria, Convolvulus. Doveil tipo di suolo lo permette, questa boscaglia è sostituitada prati e castagneti, ottime fonti di polline e di nettare. Iprati infatti sono ricchi di specie che rappresentano unbuon pascolo per le api: Geranium, Medicago, Trifolium, Sal-via, Rubus, etc. alternati a cespugli di Rosa, Sambucus, Rham-nus, Ligustrum e Prunus. Verso valle la superficie coperta davegetazione spontanea non è molto estesa, a causa dell’in-tensa antropizzazione, ed è limitata alle aree meno favore-voli all’agricoltura. Considerevole è infatti l’estensione del-le zone coltivate, soprattutto a vigneto. Nelle situazioni didegrado e di abbandono colturale è frequente la Robinia.Particolare inoltre risulta essere la presenza, sul versantemeridionale dei colli Euganei, di specie vegetali tipicamen-te mediterranee. Tale associazione, distribuita a “pelle dileopardo”, è rappresentata da un’intricata vegetazionequasi impenetrabile di piante a basso fusto per lo piùsempreverdi: Quercus ilex, Arbutus, Erica arborea, Cistus, Pi-stacia, Spartium, Asparagus acutifolius, Opuntia compressa(Mazzetti, 1992). Nell’area del Lago di Garda, il clima miteconsente anche la coltivazione dell’olivo.La pianura, formata dalla parte orientale della pianurapadano-veneta, è costituita da materiali ciottolosi eghiaiosi, molto asciutti nelle zone più a monte; più fini,sabbiosi e argillosi, poco permeabili e ricchi di umidità avalle. Umidissima è la bassa pianura padana compresatra il corso inferiore dei fiumi Adige e Po, denominataPolesine, a scarsissima pendenza, in certi tratti depressasotto il livello del mare, in parte sottoposta a continuaopera di bonifica e in parte ancora paludosa, zona dipesca valliva e di caccia. La fisionomia della pianura, ca-ratterizzata da notevoli estensioni di colture agrarie,cambia in funzione delle stagioni e degli interventi uma-ni. Le 191.085 aziende agricole censite in Veneto copro-no una superficie complessiva di 1.347.822 ha, per unasuperficie agricola utilizzata (SAU) pari a 875.294 ha.Seminativi e foraggere permanenti coprono complessi-vamente l’86% della SAU. In particolare l’incidenza delleaziende con superfici coltivate a seminativi cresce manmano che si procede da ovest verso est, con il 61% ditale superficie coltivata a cereali. Diffusa è anche la col-tivazione delle legnose agrarie (12,6% della SAU), so-prattutto vite e fruttiferi (dati ISTAT e Regione Veneto2002). In questa zona le principali risorse apistiche sono

34

rappresentate dai fruttiferi, che coprono una superficiepari a 28.146 ha e, tra le pollinifere, il mais e le specieche accompagnano le colture cerearicole, quali Papavere Chenopodium. In alcune zone si trovano popolamentidi Robinia che, seppure maggiormente caratteristica del-la fascia collinare, in condizioni climatiche favorevoli ga-rantisce anche in questa zona ottimi raccolti di nettare.Una coltura tipica del rodigino, e di notevole interesseper le api, è quella di Medicago capace di dare miele uni-florale. Anche le coltivazioni orticole a pieno campo(meloni, radicchio, insalata, cocomeri, asparagi, etc.), cheoccupano 25.488 ha, rivestono una discreta importanzaper il settore apistico. Dalla foce del Tagliamento al delta del Po, si estende in-fine la zona litoranea, che forma un ampio arco orlatodi lagune (laguna di Caorle, laguna veneta) in parte “vi-ve”, in diretta comunicazione col mare, e in parte “mor-te”, adibite talora a valli da pesca. Queste lagune sono

interrotte da un vero labirinto di canali e bracci fluvialiche continuamente depositano nuovi sedimenti alluvio-nali, formando barene, isolotti, cordoni, lidi e formazionideltizie sempre varianti. Le formazioni arboree di talezona sono rappresentate per la maggior parte da pineteartificiali, impiantate tra il 1920 ed il 1950 a scopo dirimboschimento e consolidamento delle dune costiere,oltre che per creare una barriera frangivento a prote-zione dei terreni più interni bonificati e messi a coltura.La vegetazione arboreo-arbustiva naturale è limitata adesigui raggruppamenti, riferibili a due tipi principali do-minati l’uno da Quercus ilex e l’altro da Alnus glutinosa eFrangula alnus. Nelle aree lagunari, caratterizzate da vel-me e barene, la vegetazione erbacea è dominata dallespecie alofite in grado cioè di tollerare elevata salinitàcreata da frequenti ristagni di acque salmastre nelle de-pressioni interdunali, quali Salicornia, Sarcocornia, Limo-nium, accompagnate da sporadiche ed isolate Tamarix.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli del Veneto 35

Aspetti dell’apicoltura

Nella Regione Veneto l’apicoltura costituisce una solidarealtà produttiva caratterizzata da 3.149 apicoltori chegestiscono 60.493 alveari (dati raccolti attraverso le de-nunce di apicoltura presentate nel 2003 alle AziendeULSS competenti per territorio)(1). Il maggior numero diapicoltori si registra a Treviso (705), Padova (639) e Vi-cenza (503) e anche la distribuzione degli alveari nellediverse province presenta alcune differenze, come ri-portato nella tabella seguente.

Per la maggior parte degli addetti al settore l’apicolturarappresenta solo un’attività integrativa, mentre costitui-sce un’attività primaria solo per una piccola percentualedegli apicoltori. È da ricordare inoltre che il territoriodel Veneto, con le sue zone collinari e montane, ben sipresta alla pratica del nomadismo, richiamando apicol-tori anche da fuori regione.

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

Oltre ai mieli millefiori, che rappresentano la maggio-ranza delle produzioni regionali, nel Veneto si ottengonomieli uniflorali di castagno, robinia, melata di Metcalfa e,in misura molto minore, tarassaco e tiglio; occasional-mente sono riportate produzioni di miele uniflorale ditrifoglio bianco, colza, erba medica, melo, girasole, amor-fa, verga d’oro, salice e, nelle zone montane, rododen-dro e melata d’abete.Lo spettro pollinico dei mieli veneti è relativamenteuniforme, caratterizzato dalla presenza più o meno co-stante di Castanea, Robinia e Oleaceae (soprattutto Fra-xinus ornus, ma anche Ligustrum e, nelle aree di diffusio-ne dell’olivo, Olea), accompagnate da forme ubiquitarie,di scarso valore diagnostico se presenti in basse per-centuali (Trifolium repens, Rubus, Cruciferae, Papaver,Graminaceae altre). A queste si associano, seppure conminore ricorrenza, Rhamnaceae, Plantago, CompositaeT, Prunus, Chamaerops.Nei mieli primaverili, sia millefiori che uniflorali di robi-nia, oltre a queste forme sono frequenti specie a fioritu-ra precoce, quali Salix, Quercus, Cornus sanguinea, Sambu-cus nigra, Amorpha e Malus/Pyrus. Nei mieli prodotti in zone agricole o antropizzate, siamillefiori che di melata, sono ricorrenti alcune forme as-sociate a questi ambienti, come Lotus, Asparagus officinalis(riportato in tabella nel gruppo Liliaceae s.l.), Parthenocis-sus, Ailanthus, Vitis e alcune specie ornamentali (Aesculus,

36 I mieli regionali italiani

Dati apistici della regione Veneto (2003)

Provincia n. Alveari Belluno 5.939 Padova 12.194 Rovigo 2.868 Treviso 13.204 Venezia 5.215 Verona 7.641 Vicenza 13.432 Totale 60.493

(1) I dati MiPAAF 2006 riportano 56.661 alveari e 3.100 apicoltori

Origine dei dati melissopalinologici N campioni Area dello studio

Belligoli P., Persano Oddo L., Piro R., Prandin L., Baggio A., 2001 - Studi di caratterizzazione geografica: i mieli del Parco regionale dei colli Euganei. In: Persano Oddo, Piana (a cura di) - Miele e territorio. Guida alla valorizzazione del miele attraverso le denominazioni di origine. MIPAF - ISZA, Roma: 97-117.

166 Colli Euganei

Bortoli V., 1983 – Flora di interesse apicolo e caratterizzazione botanica e chimico-fisica dei mieli della provincia di Vicenza. L’Apicoltore moderno, 74: 47-53. 37 Vicenza

Palmieri N., Andrada A., Ricciarelli D’Albore G., 2000 - Caratterizzazione dei mieli della provincia di Padova sotto il profilo della qualità e della origine geografica. L’ape nostra amica, 22 (5): 36-42. 115 Padova

Ricciardelli D’Albore G., 1991 – Il miele DOC dell'Altipiano di Asiago. Veneto Agricoltura, 7: 45-47. 21 Altopiano Asiago Ricciardelli D’Albore G., 1994 – Caratterizzazione dei mieli del Veneto sotto il profilo della qualità e dell'origine geografica. Annali della Facoltà di Agraria di Perugia 48: 457-492. 500 Intera regione

Ricciardelli D’Albore G., 1995 – Caratterizzazione dei mieli della Comunità Montana "Dall'Astico al Brenta" sotto il profilo della qualità e dell'origine geografica. L'Ape Nostra Amica, 17 (6): 38-40. 60 Comunità Montana

“Dall’Astico al Brenta” Vorwohl G. 1972 – Das Pollenspektrum von Honigen aus den italianischen Alpen. Apidologie 3: 309-340. 1 Alpi Veneto Dati originali Apishare s.r.l., Monterenzio (BO) 99 Intera regione Dati originali Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Padova 11 Intera regione TOTALE CAMPIONI 1010 Altra bibliografia consultataDissegna M., Marchetti M., Pannicelli Casoni L., 1997 – I sistemi di terre nei paesaggi forestali del Veneto, Regine Veneto, Giunta Regiona-

le, Dipartimento per le Foreste e l’Economia Montana, Multigraf, Spinea (Venezia).Mazzetti A., 1992 – La flora dei Colli Euganei. Editoriale Programma, Padova.Pignatti S., 1994 – Ecologia del paesaggio. UTET, Torino.Ricciardelli D’Albore G., 1995 – Risultati di un triennio di sperimentazione sulla caratterizzazione dei mieli veneti. Atti Convegno La va-

lorizzazione dei mieli di qualità in Europa e in Italia”, Lazise: 119-122.

Magnoliaceae). Nei mieli di melata di Metcalfa compaionoinoltre specie a fioritura tardiva, quali Zea, Artemisia, Scro-phulariaceae altre, Centaurea jacea, Hedera. Nei mieli del rodigino e nella bassa padovana, nelle zo-ne di coltivi intensi, può trovarsi polline di soia (Glicinemax), anche con percentuali elevate (fino al 40%).

Non mancano, nella zona dei colli Euganei e della rivie-ra del Garda, elementi prettamente mediterranei, qualiAsparagus acutifolius (anch’esso riportato con Liliaceaes.l.), Olea e Cistaceae, mentre nelle aree alpine com-paiono gli elementi caratteristici di tali zone, fra cuiMyosotis.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli del Veneto 37

Tipi pollinici più frequenti nei mieli del Veneto In giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia.* = specie non nettarifere.

Capitolo VIII

CARATTERISTICHE MELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DEL FRIULI VENEZIAGIULIA

di Federica Gazziola e Renzo Barbattini

Cenni geografico-vegetazionali

In uno spazio ristretto, il Friuli Venezia Giulia racchiudeambienti, paesaggi, storia, arte e cultura diversificati, checoncorrono a formare una realtà varia, articolata ecomplessa.Il territorio è chiuso a nord dalla cerchia delle Alpi (Do-lomiti Friulane, Alpi Carniche e Alpi Giulie) e confinacon l’Austria; a sud si affaccia sul Mare Adriatico, dallafoce del Tagliamento alle Lagune di Marano e Grado, fi-no al Golfo di Trieste; a est confina con la Slovenia e aovest con il Veneto. La regione si estende su 7.858 Km2;di questi il 43% è di montagna, il 19% di collina, il 38% dipianura. La prima serie di rilievi, che si incontra da sud, è data dalCarso triestino e dalle colline della zona di Muggia, cherappresentano il collegamento tra le Prealpi Giulie e leDinaridi. Il sistema orografico delle Prealpi Carniche edelle Prealpi Giulie presenta ambienti in cui vengono acontatto substrati carbonatici e flyschioidi; è evidente l’in-fluenza climatica della pianura e vistosi sono gli elementidi transizione verso l’ambiente alpino vero e proprio.La regione alpina si estende nell’alto bacino del Taglia-mento e del Fella, comprendendo la Catena Carnica e, aoriente, le Alpi Giulie. Dal punto di vista geografico ebiologico ad essa è possibile ascrivere anche la partepiù settentrionale delle Prealpi Carniche e Giulie (altaVal Tagliamento e Val Resia).La pianura friulana è costituita da due grandi settori co-nosciuti come alta e bassa pianura. L’alta pianura, estesatra Aviano e Gorizia fino ai primi rilievi prealpini e mo-renici, è caratterizzata, specie nel Friuli occidentale, daterreni aridi, ghiaiosi e permeabili, detti magredi, dove ifiumi scompaiono e corrono sotto terra per riaffiorarepiù a valle, in quella che è nota come la linea delle risor-give. La bassa pianura, ricca di acqua di risorgiva, è costi-tuita da terreni argilloso-limosi, sabbiosi, poggianti su unsubstrato ghiaioso. Era questa, un tempo, la zona dei bo-schi planiziali, dei corsi d’acqua profondi e dalla rapidacorrente, delle paludi e delle torbiere. Tra Tagliamento e Timavo, le ampie Lagune di Marano e

di Grado e la foce dell’Isonzo disegnano la bassa costaoccidentale, la cui origine è legata da un lato all’apportodi materiali solidi dei grandi fiumi, dall’altro all’azionedel mare. Sistemazioni e bonifiche hanno mutato l’asset-to del territorio, con l’estensione della pianura attual-mente coltivata fino agli argini prospicienti il mare. Dallacosta alluvionale si protende verso oriente una costa al-ta e rocciosa, con insenature come quelle di Duino e Si-stiana, sino a Trieste e Muggia, separabile in due settorilegati alla natura litologica del substrato: un primo trat-to è costituito dal margine dell’altopiano calcareo ches’immerge nell’Adriatico mentre il secondo tratto sievidenzia in prossimità di Aurisina, ove la linea di costaè formata da materiali più recenti, arenarie e marna;queste rocce, più erodibili, hanno determinato un pae-saggio più ondulato e dolce, rispetto alla flessura di roc-ce carbonatiche.Il clima è condizionato da diversi fattori (Gentilli, 1964):il mare, che tempera le zone costiere, determinandoambienti a carattere submediterraneo e i rilievi che,chiudendo il settore nord-orientale, condizionano il cli-ma del resto della regione; infatti, il repentino innalzarsidelle Prealpi determina abbassamenti delle temperaturee forti aumenti delle precipitazioni. Man mano che sipenetra nella cerchia alpina, ma soprattutto nelle Preal-pi Giulie, si accentua un regime di precipitazioni condue vistosi picchi, in primavera (maggio) e in autunno(ottobre-novembre). Dal punto di vista apistico le pre-cipitazioni di primavera possono risultare molto nocive,soprattutto se coincidono con la fioritura della robinia,principale essenza nettarifera della regione. A Musi (AltaVal del Torre) nelle Prealpi Giulie, si superano i 3300mm annui di precipitazione. Dalle zone litoranee, in cuisi oltrepassano appena i 1000 mm annui, si passa allezone prealpine con 2000 mm medi, alla catena Carnicacon meno di 1600 mm. Le precipitazioni nevose di mag-gior rilievo si verificano a fine inverno; particolarmentedannose in montagna sono quelle di marzo, con neveumida e pesante che può provocare valanghe. Nelle zo-ne montane le escursioni termiche diurne e annuali so-no notevoli e aumentano nell’estremo settore nord-orientale. La nebbia è frequente d’inverno nella bassafriulana e nella parte destra del Tagliamento. I venti chepiù influenzano il territorio sono lo scirocco e la bora;quest’ultima, nel lembo sud-orientale, si manifesta perlo più nei mesi invernali.Le particolarità orografiche e climatiche del Friuli Vene-zia Giulia danno vita ad una vegetazione particolarmen-te varia e rigogliosa, che si riflette nella produzione diuna grande varietà di mieli. La vegetazione spontanea,caratterizzata prevalentemente da boschi costituiti daquerce e da altre latifoglie, è quasi del tutto scomparsa.Tipica è la stentata vegetazione dell’altipiano carsicodove, inframmezzati alle pietraie, si trovano arbusti di ti-mo, salvia, ginepro. Lungo la costa si incontrano estesiimpianti di pini.

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Dal punto di vista della flora utile alla raccolta di netta-re e polline un grande apporto viene fornito dalle spe-cie spontanee, che si aggiungono alle colture, predomi-nanti in gran parte della pianura. Importanti alcune spe-cie associate alla coltivazione della vite, quali acero(Acer campestre), olmo (Ulmus minor), orniello (Fraxinusornus) e salice (Salix spp). Frequenti le infestanti, comerosolaccio (Papaver rhoeas), ranuncoli (Ranunculus spp.),crocifere (Brassica), ombrellifere (Daucus carota, Tordy-lium apulum) e talvolta fiordaliso (Centaurea cyanus). Aqueste si affiancano altre specie considerate ruderaliquali ad esempio Echium vulgare (soprattutto nella pro-vincia udinese). Nelle zone antropizzate limitrofe ai col-tivi si trovano spesso specie proprie delle siepi comerobinia (Robinia pseudacacia), rovo (Rubus ulmifolius),acero (Acer campestre), vitalba (Clematis vitalba), ailanto(Ailanthus altissima), amorfa (Amorpha fruticosa) e, in mi-nor misura, biancospino (Crataegus monogyna) e sangui-nello (Cornus sanguinea).La zona carsica, ricca di specie tipicamente mediterra-nee e di elementi endemici (Simonetti et al., 1989) è

particolarmente interessante dal punto di vista apistico.In questa area si susseguono, a partire dall’inizio dellaprimavera, l’abbondante fioritura del ciliegio canino, det-to localmente marasca (Prunus mahaleb), e successiva-mente, da maggio a settembre, le fioriture dei prati aridie prati-pascoli: Salvia pratensis, Teucrium chamaedrys,Thymus longicaulis, Dorycnium germanicum, Trifolium spp.,Cotinus coggygria, Asparagus acutifolius, Satureja montana,Hedera helix. Questa ricchezza floristica consente laproduzione di mieli uniflorali e millefiori esclusivi e tipi-ci del Carso triestino e isontino.L’agricoltura si è concentrata soprattutto nelle aree dipianura e di collina ove il processo di meccanizzazioneè avvenuto con più facilità. Tra le colture più estese van-no ricordate quelle cerealicole e quelle foraggere, conerbai mono e polifitici costituiti per lo più da trifoglio(Trifolium repens e T. pratense) e erba medica (Medicagosativa). La coltura del mais (Zea mays) e della soia (Glyci-ne max) sono praticate su larga scala. Colture speciali-stiche sviluppate e altamente professionali sono quelladella vite (Vitis vinifera) e, in misura minore, dei fruttiferi

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli del Friuli Venezia Giulia 39

(melo, pero, pesco e da alcuni anni, kiwi); nelle zone di col-lina e di montagna si riscontra la presenza di specie frutti-cole tradizionali, quali il ciliegio e il susino, o di più recentecoltivazione, quali il lampone e la fragola. La produzioneorticola ha scarsa importanza: prevalgono colture a pienocampo quali sedani, pomodori, patate, fagioli, asparagi, ra-dicchi, lattughe, zucchini, cavoli. Pur non essendo una re-gione tradizionalmente floricola, il Friuli Venezia Giulia staemergendo come produttore di piante in vaso (saintpau-lia, ciclamino, begonia, impatiens e primula).

Aspetti dell’apicoltura

Le api allevate in Friuli Venezia Giulia derivano da una li-bera attività di incrocio di Apis mellifera ligustica con Apismellifera carnica. In questa regione, infatti, vengono ad in-contrarsi le popolazioni di queste due razze, dando origi-ne ad ibridi naturali ben adattati al clima locale.L’influsso delle terre vicine si riscontra anche nel tipo diarnie utilizzate dagli apicoltori; accanto alle arnie di tipoamericano (quali Dadant-Blatt, Italica-Carlini, Langstroth)si trovano arnie tipiche dell’Austria o della Slovenia di “ti-po tedesco” (quali Sartori e Alberti-Znidersic).Secondo i dati MiPAAF relativi all’anno 2006, il patrimo-nio apistico regionale è costituito da 27.576 alveari, ge-stiti da 1474 apicoltori. L’apicoltura rappresenta soprat-tutto un’attività complementare, attuata in prevalenzaper passione o tradizione, anche se da essa si ricava unseppur minimo tornaconto economico (Frilli et al.,1984; Celegon, 2000); pochi sono gli operatori che sidedicano esclusivamente all’attività apistica, e ciò rendedifficile acquisire dati precisi sull’apicoltura regionale. Lecategorie maggiormente rappresentate sono i pensiona-ti e i coltivatori diretti. La densità media degli apicoltoriin tutta la regione risulta essere di circa 1 apicoltoreogni 5 km2, e gli alveari sono distribuiti nella regionecon una densità media di circa 3,5 alveari/km2; l’esamedella ripartizione degli apicoltori nei comuni della regio-ne mostra però come la distribuzione non sia omoge-nea sul territorio, ma concentrata nelle province di Udi-ne e Pordenone, con i valori più bassi nei comuni dimontagna.Il miele rappresenta la produzione preponderante; tragli altri prodotti dell’alveare solo la produzione di cera,ricavata per il suo reimpiego in apicoltura, ha una certarilevanza, mentre le quantità di polline, gelatina reale,propoli e veleno sono ancora limitate.

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

I dati relativi alle tipologie di mieli prodotti nella regio-ne Friuli Venezia Giulia derivano principalmente da unaricerca triennale il cui scopo è stato quello di approfon-dire, attraverso indagini in campo e analisi melissopali-nologiche, la relazione esistente tra le associazioni vege-

tazionali e i tipi pollinici dei mieli prodotti in regione(Gazziola et al., 2005). Tali informazioni sono state inte-grate con quelle disponibili in letteratura.La produzione più abbondante in regione è rappresentatada diversi tipi di millefiori che presentano connotazioniaromatiche diverse a seconda sia della zona di produzione(pianura, collina, montagna) sia del periodo di produzione(primaverile o tardo estivo). I mieli millefiori primaverilisono caratterizzati da colori chiari e tendono a cristalliz-zare con facilità; i mieli tardo estivi, presentando semprequantità più o meno abbondanti di melata, sono di colorepiù scuro e tendono a rimanere liquidi a lungo.Produzioni uniflorali si possono ottenere da robinia, ca-stagno, tiglio e, in misura minore, tarassaco. Condividen-do habitat e periodo di fioritura, tiglio e castagno dannospesso luogo a mieli misti di tiglio-castagno, con carat-teristiche intermedie e spettro pollinico analogo (For-tunato et al., 2005). A partire dagli anni ’90, nel periodotardo estivo, quando scarseggiano le più appetite fontinettarifere, gli apicoltori friulani operanti in pianura han-no iniziato a produrre anche un miele ottenuto dallamelata prodotta da Metcalfa pruinosa (Barbattini et al.,2002). Negli ultimi anni questa produzione si è notevol-mente ridotta (Frilli et al., 2001) e la melata costituisceper lo più solo una componente dei mieli millefiori esti-vi. In alta montagna è possibille raccogliere miele di ro-dodendro; nella zona carsica risulta localmente impor-tante la produzione di miele di “marasca” (Prunus maha-leb); nelle Valli del Natisone, in annate particolarmentefavorevoli, si produce un miele di acero, mentre nellapianura friulana si possono ottenere limitati quantitatividi mieli uniflorali di amorfa e ailanto. In generale possiamo considerare come associazionepollinica più frequente nei mieli friulani quella caratte-rizzata da Castanea, Fraxinus ornus, Robinia, Rubus, Trifo-lium repens, Papaver e Filipendula; spesso presenti, anchese con percentuali diverse, risultano anche Amorpha(particolarmente frequente nella pianura udinese, dovepuò dare luogo a produzioni uniflorali), Plantago, Grami-naceae altre, Acer, Chamaerops, Sambucus nigra e PrunusI millefiori di alta montagna (prodotti a quote superioriai 1000 m) sono caratterizzati dalla presenza delle for-me polliniche tipiche dell’area alpina, quali Ericacae altre(soprattutto Rhododendron), Myosotis, Campanulaceae,Centaurea jacea e Labiatae esacolpate (soprattutto Sal-via e Thymus).Una considerazione a parte meritano i mieli millefioridel Carso. Oltre alle forme tipiche della regione, carat-terizzano geograficamente lo spettro pollinico di questimieli le Rhamnaceae (soprattutto Paliurus), Cotinus coggy-gria, Aesculus, Cruciferae, Ailanthus, Asparagus acutifolius,Coronilla/Hippocrepis e Prunus mahaleb. Va sottolineatocome la presenza di molte specie vegetali con areale didiffusione limitato alle regioni del Nord-Est, o al soloterritorio carsico triestino e goriziano, quali Prunus ma-haleb e Cotinus coggygria, permettono la produzione di

40 I mieli regionali italiani

un miele “millefiori del Carso” tipico e diverso da mielimillefiori prodotti in altre regioni italiane.Gli spettri pollinici evidenziati sono risultati complessi-vamente tipici e costanti, in modo più definito per imieli uniflorali, meno per i millefiori. In particolare, ilmiele di robinia, per il quale la distinzione in base all’ori-gine geografica appare di maggior interesse dal punto divista commerciale, è risultato quello meglio definito edifferenziato. Analogamente agli altri mieli di robinia del-le Prealpi, questi mieli risultano caratterizzati dall’ab-

bondanza di specie non nettarifere (Sambucus nigra, Fra-xinus ornus, Graminaceae altre, Chamaerops, Plantago, Ru-mex, Papaver e Quercus robur), ma si differenziano perl’associazione pressoché costante Filipendula – Amorpha,raramente riscontrabile nelle produzioni prealpine piùoccidentali. Inoltre mancano gli elementi più mediterra-nei rilevabili nelle produzioni delle regioni centro-meri-dionali. Infine, non sono state evidenziate le specie tipi-che delle produzioni dell’Est Europa quali Loranthus,Chelidonium, Symphytum e Phacelia.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli del Friuli Venezia Giulia 41

Origine dei dati melissopalinologici N.

campioni Area dello

studio Barbattini R., Greatti M., Iob M., Sabatini A.G., Marcazzan G., Colombo R., 1991 - Osservazioni su Metcalfa pruinosa (Say) e indagine sulle caratteristiche del miele derivato dalla sua melata. Apicoltura, 7: 113-135. 78 Intera regione

Gazziola F., 2001 - Analisi melissopalinologica dei mieli del Carso triestino e isontino. In: Barbattini et al. - Tecniche per la valorizzazione dei mieli del Carso. Ed. Area Science Park, Trieste: 55-68. 10* Carso

Gazziola F., Barbattini R., 2001 - Studi di caratterizzazione geografica: i mieli del Carso triestino e isontino. In: Persano Oddo L., Piana M.L. (a cura di) Miele e territorio, guida alla valorizzazione del miele attraverso le denominazione di origine. MIPAF - ISZA, Roma: 85-95.

62* Carso

Gazziola F., Barbattini R., Frilli F., 2005 – I mieli del Friuli Venezia Giulia: considerazioni sui risultati di analisi triennali. Apoidea, 2 (3): 134-141. 274 Intera regione

Grillenzoni F.V., Capelli M., Marogna S., Sabatini A.G., Ferrazzi P., 2003 - Una produzione alpina: il miele di rododendro. Istituto Nazionale di Apicoltura, Bologna. 13 Area alpina

Iob M., Simonetti G., 1991 - Relazione tra flora di interesse apistico e prodotti dell'alveare in un'ambiente delle Prealpi Giulie. Atti Convegno "Stato attuale e sviluppo della ricerca in apicoltura", Sassari: 117-127. 6 Prealpi Giulie

Sabatini A. G., Piana L., 1991 - Spettro pollinico di mieli della provincia di Udine. Apicoltura, 7: 65-83. 260 Provincia di Udine Zoratti M.L., 1996 - Friuli-Venezia Giulia: valorizzare i pregi dei mieli di montagna. L'Ape Nostra Amica 18 (4): 4-8. 26 Area alpina

TOTALE CAMPIONI 657

* Dati inclusi nel successivo lavoro Gazziola et al., 2005.

Altra bibliografia consultata

Barbattini R., Gazziola F., Greatti M., Marizza S., Grillenzoni F.V., Ser-

ra G., Sabatini A.G., Sillani S., 2002 – Metcalfa pruinosa (Say): bio-

logia e miele derivato dalla melata. In: Sabatini et al. (a cura di) - Il

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dell’apicoltura in provincia di Udine. Consorzio Apicoltori della

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Frilli F., Villani A., Zandigiacomo P., 2001 – Neodryinus typhlocybae

(Ashmead) antagonista di Metcalfa pruinosa (Say). Risultati di li-

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e agricoltura di Udine: 289-579.

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se apistico. Uno studio di botanica applicata in Friuli Venezia

Giulia. Apicoltura, 5, Appendice: 377 pp. Prunus mahaleb

Tipi pollinici più frequenti nei mieli del Friuli Venezia GiuliaIn giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia. * = specie non nettarifere.

(1) Gli stessi tipi pollinici, seppure con percentuali variabili, si riscontrano anche nei mieli di castagno e nei millefiori di montagna (prodotti nelle stes-se aree, fra 600 e 1000 m).

42 I mieli regionali italiani

Millefiori pianura e collina

Millefiori di alta montagna

Millefiori zona carsica Robinia Tiglio (1) Melata

Rubus Fraxinus ornus* Castanea Trifolium repens Robinia Papaver* Filipendula* Plantago* Amorpha Graminaceae altre* Acer Chamaerops* Sambucus nigra* Prunus Rhamnaceae Lotus Aesculus Salix Cruciferae Umbelliferae A Quercus* Tilia Compositae T Rumex* Clematis Ranunculaceae altre Fragaria/Potentilla Cornus sanguinea Centaurea jacea Ailanthus Malus/Pyrus Myosotis

Rubus Ericacae altre Castanea Lotus Trifolium repens Helianthemum* Compositae S Salvia Myosotis Graminaceae altre* Centaurea jacea Acer Campanulaceae Cupressaceae/Tax.* Filipendula* Umbelliferae H Compositae H

Castanea Fraxinus ornus* Rhamnaceae Cotinus/Schinus Aesculus Trifolium repens Rubus Plantago* Sambucus nigra* Cruciferae Ailanthus Robinia Asparagus acutif. Coronilla/Hippocr. Prunus mahaleb Parthenocissus Tilia Umbelliferae A Lotus Quercus * Filipendula* Clematis Trifolium pratense s.l. Papaver* Artemisia* Ranunculaceae altre Salix

Robinia Filipendula* Acer Amorpha Sambucus nigra* Trifolium repens Fraxinus ornus* Rhamnaceae Rubus Compositae T Graminaceae altre* Chamaerops* Cornus sanguinea Prunus Gleditsia Castanea Salix Plantago* Cruciferae Aesculus Centaurea cyanus Malus/Pyrus Compositae H Rumex* Umbelliferae A Myosotis Medicago Lotus Papaver*

Tilia Castanea Trifolium repens Rubus Umbelliferae A Robinia Filipendula* Rhamnaceae Fraxinus ornus* Salvia Clematis Prunus Melilotus Lotus Amorpha Ailanthus Acer Malus/Pyrus Cruciferae Graminaceae altre* Plantago* Reseda Parthenocissus Ligustrum Centaurea jacea Compositae H

Trifolium repens Plantago* Umbelliferae A Clematis Glycine Rubus Compositae H Urticaceae s.l.* Centaurea jacea Graminaceae altre* Zea* Castanea Artemisia* Lotus Amaranth./Chenop.* Cruciferae Betulaceae/Coryl.* Filipendula* Hedera

Parthenocissus Betulaceae/Coryl.* Artemisia* Polygonaceae Compositae H Urticaceae s.l.* Melilotus Gleditsia Sedum/Semperviv. Vitis* Salvia Ligustrum

Rumex* Cruciferae Tilia Umbelliferae A Amorpha Compositae T Geranium Coronilla/Hippocr. Thymus Allium Caryophyllaceae Cornus sanguinea Fraxinus ornus* Plantago* Robinia

Acer Gleditsia Graminaceae altre* Amorpha Chamaerops* Ligustrum Echium

Fragaria/Potentilla Sedum/Semperviv. Rhus Parthenocissus Echium Clematis Umbelliferae H Tilia Vitis* Scrophular. altre Ranunculaceae altre Prunus Quercus* Salvia

Fragaria/Potentilla Vicia s. l. Eryngium Trifolium pratense s.l. Thymus Caryophyllaceae Salix Astragalus/Ononis Papaver* Lonicera Echium Coronilla/Hippocr. Compositae T Centaurea cyanus Campanulaceae Compositae A Vitis* Myosotis

Papaver* Amorpha Medicago Polygonum persic. Fraxinus ornus* Salvia Thymus Trifolium pratense s.l. Compositae T

Capitolo IX

CARATTERISTICHE MELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DELLA LIGURIA

di Cesare Biondi

Cenni geografico-vegetazionali

La Liguria, con i suoi 5.422 Km2 di superficie, è una dellepiù piccole regioni d’Italia, una striscia di territorio che siestende da est ad ovest abbracciando ad arco il mar Ligu-re, che la delimita a sud. Confina a ovest con la Francia(regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra), a nord con il Pie-monte e con l’Emilia-Romagna, a est con la Toscana. La regione è prevalentemente montagnosa (65%) e colli-nare (35%) e solo 54 Km2 sono occupati da pianura allu-vionale (la piana di Albenga, a ponente, e quelle dell’Entellae del Magra a levante); spesso la parte collinare si affacciadirettamente sul mare.Le montagne appartengono alle Alpi ad ovest e agli Ap-pennini ad est; la vetta più elevata è il Monte Saccarello(2.200 metri), situato nelle Alpi Marittime. A causa della

conformazione del territorio non vi sono veri e proprifiumi, ma solo torrenti; nascono però in Liguria alcuni af-fluenti e subaffluenti del Po: Tanaro, Bormida, Scrivia eTrebbia.Il clima è mediterraneo, ma non uniforme, risentendo del-la morfologia accidentata di un territorio in gran partemontuoso, ma aperto su un mare decisamente caldo ri-spetto alla sua latitudine relativamente elevata.Il territorio è estremamente boscoso (69%): imponentifaggete coprono i versanti appenninici più umidi e nel Par-co naturale regionale dell’Aveto è presente l’associazionetra faggio e abete bianco, tipica delle antiche foreste del-l’Appennino Ligure. Un terzo dei boschi è costituito dacastagneti, originariamente coltivati per il frutto e orapresenti soprattutto come cedui selvatici. La Liguria pro-tegge il 12% del suo territorio, per una superficie com-plessiva di circa 60.000 ha: sono presenti un parco nazio-nale, otto parchi regionali e alcune riserve naturali. Grazie alle sue caratteristiche climatiche e alla rapida suc-cessione dei piani altimetrici, la regione presenta, su unospazio ristretto, un repentino avvicendarsi di essenze ve-getali di origine ed esigenze ecologiche diversissime: la Li-guria è infatti, fra le regioni italiane, quella che annovera ilmaggior numero si specie botaniche. Lungo la costa le pi-nete di pino marittimo e pino domestico si alternano azone di macchia mediterranea, con ginestra, euforbia,oleastro, lentisco, mirto, corbezzolo e leccio; nelle zonepiù aride e ventose la vegetazione assume aspetto di gari-ga, con bassi arbusti fra cui timo e rosmarino. Dalle scle-rofille sempreverdi mediterranee della zona litoranea si

43

passa rapidamente ai primi rilievi collinari dove dominanoi coltivi, con olivo, vite e fruttiferi. Salendo di quota si sus-seguono, a tratti intersecandosi, diversi aspetti vegetazio-nali: fra i 600 e i 900 metri si estende la fascia dei quercetimisti mesòfili, dove dominano cerri, roverella, carpini, ace-ri, frassini, sorbi, noccioli, maggiociondoli. Tra i 500 e i1000 metri si è sviluppata la coltivazione del castagno, og-gi in regresso, ma tuttora molto diffusa, che ha rappresen-tato per secoli una delle basi della alimentazione delle po-polazioni dell’Appennino Ligure. Dai 900 ai 1500 metriprevale la fascia dei faggeti, che formano estese copertureboschive. Dagli 800 ai 2000 metri sono presenti vastearee di conifere, per lo più introdotte artificialmente dal-l’uomo: pino nero, abete rosso, abete bianco e larice. In al-cune zone, come nelle alpi Liguri (ponente ligure), oltre-passando il limite della vegetazione arborea, si rinviene unorizzonte alpino caratterizzato dalla presenza di brughie-re a mirtillo e praterie. In Liguria la pendenza del terrenolimita moltissimo l’attività agricola, e la parte coltivabile èulteriormente ridotta dagli insediamenti industriali e turi-stici. Il clima particolare consente tuttavia coltivazioni ri-strette ma molto redditizie. Le produzioni più diffuse so-no orticole (pomodori, carciofi, asparagi) e frutticole (pe-sche, albicocche), soprattutto nella piana di Albenga, olivoa Oneglia, vite nelle Cinque Terre e nella zona di Imperia.Celebri e conosciute le coltivazioni florovivaistiche, all’a-perto o in serra, che ancora oggi alimentano l’economiadella zona. Favorite dal clima sono frequenti, nelle localitàturistiche della costa, molte specie esotiche ornamentali,come palme, magnolie, mimose.

Aspetti dell’apicoltura

Secondo i dati MiPAAF 2006, in Liguria l’apicoltura vie-ne esercitata da 2.500 apicoltori, che detengono 24.027alveari. Da questi dati risulta una densità di alveari perkm2 piuttosto elevata, favorita presumibilmente dallaconcomitanza di condizioni climatiche miti e da una ric-ca successione di fioriture, potenzialmente in grado diassicurare una buona produzione di miele. Il numeromedio di alveari per apicoltore (circa 10) denota un ti-po attività a carattere prevalentemente amatoriale.

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

Il territorio regionale permette la raccolta di diversevarietà di miele. Il millefiori rappresenta circa un terzodella produzione; cospicui raccolti uniflorali si ottengo-no da castagno, melata, robinia e, in misura minore, eri-ca. Occasionalmente e localmente si possono produrremieli uniflorali di tiglio, rododendro, edera.L’ambiente di produzione, collinare-montano, ma prossimoal mare, si riflette nello spettro pollinico dei mieli liguri do-ve, indipendentemente dall’epoca di produzione, si trovanocostantemente pollini di specie boschive, quali Castanea,Robinia, Fraxinus ornus, Quercus, associate a specie coltivate(Prunus/Pyrus) e di ambiente mediterraneo (Erica).In funzione dell’epoca di raccolta, a questa associazione dibase tipica dell’intera regione, si aggiungono altri elementiche mantengono il caratteristico abbinamento boschivo-

44 I mieli regionali italiani

Erica arborea Castanea sativa

mediterraneo. Nei mieli più precoci, sia millefiori che uni-florali di erica e di robinia, compaiono con maggiore fre-quenza Salix, Acer, Sambucus nigra e, in misura minore, Ci-staceae, Genista e Rhamnaceae. Nei mieli più tardivi, siamillefiori che uniflorali di castagno e di melata, ricorronofrequentemente Rubus e Olea. È da segnalare, nei mieli mil-lefiori e in quelli di melata, la particolare abbondanza diCastanea (a livello dominante in oltre la metà dei campioni

analizzati), in relazione alla diffusione della specie e all’iper-rappresentatività del suo polline. Il miele di melata si di-stingue inoltre per la varietà di forme polliniche apparte-nenti a specie tardive, assenti o rari nelle altre tipologie(ad esempio Umbelliferae, Compositae H, Asparagus acuti-folius, Hedera, Artemisia). Nel Castagno compaiono, anchese non regolarmente, specie di ambiente montano, qualiSedum/Sempervivum, Coronilla/Hippocrepis eTilia.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Liguria 45

Origine dei dati melissopalinologici N campioni Area dello studio

Ferrazzi P., 1977 - Analisi melissopalinologica di mieli della Liguria Occidentale. L’Apicoltore moderno, 68: 74-79. 10 Ponente ligure Ferrazzi P., Manino A., Patetta A., 1998 – Caratterizzazione dei mieli delle Alpi nord-occidentali. Atti del Convegno Apilombardia 98. Giornate di studio sull'apicoltura, Minoprio (Como): 171-186. 5 Ponente ligure

Mangiola M., Biondi C., Bedini G., Rindi S., Pinzauti M., 2003 – Prospettive di produzione biologica di miele di qualità in alcuni ecosistemi del Ponente Ligure. Apitalia, 7-8/03: 28 – 34. 15 Ponente ligure

Dati originali dell’autore 104 Intera regione Dati originali Istituto Sperimentale Zoologia Agraria – Sez. Apicoltura, Roma 51 Intera regione TOTALE CAMPIONI 185

Altra bibliografia consultataBedini G., Burlando M., Gaggero C., Biondi C., 2004 – La flora apistica del Parco del Beigua, “banca” di biodiversità della Liguria. Apitalia,

5/04: 13-17.Ferrazzi P. Patetta A., 1980 – Flora di interesse apicolo della Liguria. L’Apicoltore moderno, 71: 51-59.

Tipi pollinici più frequenti nei mieli della Liguria In giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia. * = specie non nettarifere.

Millefiori Castagno Melata Robinia Erica

Castanea Prunus/Pyrus Robinia Quercus* Erica Fraxinus ornus* Olea* Cistaceae* Salix Genista Rubus Cruciferae Graminaceae altre*

Castanea Rubus Erica Prunus/Pyrus Olea* Clematis Quercus* Robinia Cruciferae Fraxinus ornus* Salix

Castanea Rubus Plantago* Olea* Clematis Erica Fraxinus ornus* Umbelliferae Graminaceae altre* Quercus* Compositae H

Robinia Fraxinus ornus* Castanea Prunus/Pyrus Salix Quercus* Graminaceae altre* Erica Acer Sambucus nigra* Cistaceae* Olea* Cornus sanguinea Pinaceae* Vitis* Genista Rumex* Cruciferae

Erica Quercus* Castanea Prunus/Pyrus Fraxinus ornus* Salix Robinia Acer Sambucus nigra*

Pinaceae* Sedum/Semperviv. Acer Rhamnaceae Vitis* Sambucus nigra* Thymus Compositae T Trifolium repens

Sedum/Semperviv. Ailanthus Graminaceae altre* Coronilla/Hippocr. Cistaceae* Plantago* Genista Tilia

Asparagus acutif. Robinia Compositae T Hedera Artemisia* Genista Eucalyptus Ligustrum Zea* Cruciferae Pinaceae* Prunus/Pyrus Trifolium repens Parthenocissus

Aesculus Rhamnaceae Trifolium pratense s.l. Trifolium repens Chamaerops* Mercurialis*

Rhamnaceae Aesculus Compositae T Cruciferae Genista Pinaceae* Cistaceae* Ranuncolaceae altre Trifolium pratense s.l. Olea*

Capitolo X

CARATTERISTICHE MELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DELL’EMILIA-ROMAGNA

di Maria Lucia Piana

Cenni geografico-vegetazionali.

L’Emilia-Romagna è la regione dell’Italia settentrionale al-la quale appartiene la maggior parte della pianura padanaa sud del fiume Po. Ad ovest confina per un breve trattocon Piemonte e Liguria, a nord il Po segna il limite conLombardia e Veneto, ad est si affaccia sul mar Adriatico ea sud e sud-ovest il crinale appenninico la separa da Mar-che, Repubblica di San Marino e Toscana. La superficie to-tale della regione è di 22.117 km2 ed è pianeggiante per il48%, collinare per il 27% e montuosa per il 25%. L’Appennino (Ligure ad ovest e Tosco-Emiliano più adest) ha alcune cime che superano di poco 2.000 m, ed ècostituito prevalentemente da rocce friabili e facilmenteerodibili. Il paesaggio appenninico è quindi caratterizza-to da numerose vallate con orientamento sud-nord for-mate da affluenti e sub-affluenti del Po. Il clima prevalente della regione può essere identificato inquello centro-europeo (temperature medie annuali 9-13°C, precipitazioni annuali 420 - 1.500 mm, assenza di mar-cata aridità estiva); il crinale appenninico, che delimita laregione a sud e sud-ovest rappresenta anche il confinecon il più caldo clima mediterraneo, tipico delle regionipeninsulari (temperature 14-18°C, precipitazioni 300 -900 mm, accentuata secchezza estiva). Se questa divisio-ne è netta nella parte occidentale della regione, in quellaorientale l’influenza del vicino Adriatico produce areecon caratteri di transizione e presenza di elementi di flo-ra mediterranea. In termini più generali si può descrivereun progressivo gradiente, evidente sia nelle zone di pia-nura che in quelle collinari e montane, tra le parti occi-dentali della regione, più fresche e umide, e quelle orien-tali, tendenzialmente più calde e secche.Tenendo conto delle diversità climatiche, dell’altitudine,della vegetazione potenziale e dell’uso del territorio,particolarmente sviluppato in senso agricolo, la regionepuò essere divisa in 5 aree: litoranea, planiziale, collinaretemperato-calda, collinare fresca e montana.L’area litoranea corrisponde alla costa ferrarese-roma-gnola, caratterizzata dalla presenza delle pinete litora-nee e fortemente influenzata dalle attività umane; pre-

valgono gli insediamenti urbani e turistici e le coltureintensive, ma permangono lembi di vegetazione foresta-le di tipo mediterraneo.L’area planiziale comprende tutto il territorio regionalea nord della strada statale Emilia. La vegetazione natura-le appartiene alla fascia fitoclimatica medioeuropea, maè oggi quasi completamente scomparsa, soprattutto perle intense attività agricole che caratterizzano così forte-mente la regione. Tracce di vegetazione spontanea per-sistono lungo i corsi d’acqua, ma altrove sono ridotti al-la copertura erbacea dei margini dei coltivi, ai semprepiù rari boschetti e siepi interpoderali e ai bordi dellevie di comunicazione. Le risorse apistiche principali so-no qui rappresentate dalle specie coltivate (fruttiferi, er-ba medica, colza), associate ai coltivi (papavero, poligo-no), ornamentali (tiglio, ippocastano), ruderali e infe-stanti (rovo, ailanto).L’area collinare temperato-calda corrisponde a quellaparte della fascia collinare in cui sono presenti, in ma-niera più o meno significativa, elementi di vegetazionemediterranea e comprende le colline delle province ro-magnole e le colline bolognesi fino ai 400 m. Nelle zonepiù basse delle province di Rimini, Forlì e Ravenna, il cli-ma più mite rispetto al resto della regione permette an-che la coltura dell’olivo. In queste zone, come nelle altrecon analoga orografia, il paesaggio è caratterizzato daalternarsi di coltivi (seminativi, frutteti e vigneti) e zoneincolte, con vegetazione arborea (roverella, cerro, rove-re, aceri e sorbi), cespugliosa (rosa canina, prugnolo,corniolo, sanguinella, biancospini, sambuco, caprifoglio,vitalba, nocciolo) o erbacea (leguminose, composite, la-biate, ombrellifere), a seconda di quanto tempo è tra-scorso dall’abbandono colturale, e delle eventuali attivi-tà di pastorizia. Dal punto di vista apistico risultano par-ticolarmente interessanti le boscaglie di robinia e la ve-getazione delle argille scagliose con sulla.L’area collinare fresca comprende le colline dai 400 agli800 m nella provincia di Bologna e l’intera zona collinare,dalla via Emilia fino a 800 m, nelle province di Modena,Reggio Emilia, Parma e Piacenza. Simile per caratteristi-che all’area precedentemente descritta, se ne differenziaper una maggiore incidenza delle coltivazioni e delle as-sociazioni vegetali meno termofile o che richiedono unapiù costante umidità (castagneti). Le aree collinari, siaquella temperato-calda che quella fresca, offrono le mag-giori risorse apistiche e si può stimare che siano prodottiin questi ambienti circa 2/3 dei mieli regionali.L’area montana corrisponde all’intera fascia altitudinaletra 800 e 1600 m ed è caratterizzata da un minore im-patto delle attività umane. Ad una vegetazione forestalecostituita prevalentemente da faggete, si accompagnanoarbusteti a mirtillo e pascoli, in cui le specie di maggioreinteresse apistico sono leguminose (lupinella e trifogli)e labiate (timo). Le coltivazioni sono limitate alle forag-gere e al castagno, da frutto o mantenuto a ceduo.L’Emilia-Romagna è la prima regione per quantità e valore

46

della produzione agricola: prospera nelle colture di fru-mento, barbabietola da zucchero e foraggere ed è ai verti-ci della produzione per riso, orzo, vite, frutta (soprattuttopesche, susine, ciliegie, albicocche e pere) e orticole (ci-polle, piselli, pomodori). La regione produce 1/5 del pro-dotto nazionale del bestiame macellato (suini, bovini e avi-coli) e un sesto del latte. Lo sviluppo industriale è caratte-rizzato dalla mancanza di grandi complessi e da una gran-de diffusione di piccole e medie imprese, tra le quali spic-cano quelle del settore agro-alimentare; il turismo è im-portante soprattutto sulla costa adriatica.

Aspetti dell’apicoltura

Secondo i dati MiPAAF 2006, nella regione Emilia-Ro-magna l’apicoltura viene esercitata da 10.000 apicoltori,che detengono 106.644 alveari; si stima una produzionedi 2.000 t di miele all’anno. Da questi dati si evince cheanche in questa regione, con una media di circa 10 al-veari per apicoltore, l’attività apistica viene esercitataprevalentemente a scopo hobbistico o di integrazionedel reddito (agricolo o da altri settori). Nonostantequesto, si evidenzia, come tratto distintivo dell’apicoltu-ra regionale, un’elevata diffusione delle tecniche piùevolute e una notevole diversificazione delle attività: ol-tre al nomadismo (molto spesso fuori regione), è svi-luppata la produzione di pappa reale e propoli ed è pra-ticato, da più di un secolo, l’allevamento di api regine ela produzione di sciami, anche per esportazione; comu-ne è il servizio di impollinazione, collegato alle fiorenti

colture frutticole, orticole e sementiere della regione.Sviluppato e attivo è l’associazionismo e il cooperativi-smo tra produttori.

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

Le principali tipologie di miele che si producono in Emi-lia-Romagna sono millefiori (circa metà del totale delleproduzioni) e robinia; buoni raccolti si ottengono ancheda castagno, erba medica, melata di Metcalfa e tarassa-co. Nelle zone urbanizzate, nel mese di giugno, assumeun certo rilievo la produzione di un miele fortementecaratterizzato dalla presenza di tiglio; tale prodotto vie-ne generalmente commercializzato con la denominazio-ne “miele di tiglio” e come tale è riportato anche nellatabella dei tipi pollinici; tuttavia raramente questi mieliraggiungono un livello di purezza sufficiente per la de-nominazione uniflorale. Più sporadica e localizzata è laproduzione di altre tipologie, quali sulla (colline dellaRomagna), erica (alcune vallate del bolognese), melatad’abete (alto Appennino, soprattutto nella provincia diForlì/Cesena); in funzione della diffusione delle rispetti-ve colture si possono produrre anche mieli di melo,colza e, negli ultimi anni, coriandolo.L’associazione pollinica più frequente in tutte le catego-rie di miele prodotte nella regione è costituita da Ru-bus, Trifolium repens, Castanea, Cruciferae, Papaver, Gra-minaceae altre e Robinia. Nelle diverse tipologie questaassociazione è completata da altre forme polliniche la

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli dell’Emilia-Romagna 47

cui ricorrenza varia soprattutto in funzione della sta-gione di produzione: Compositae T, Salix, fruttiferi(Malus/Pyrus, Prunus), Lotus, Melilotus, Plantago, Medica-go, Umbelliferae. Nel suo complesso lo spettro diquesti mieli è costituito da forme ampiamente diffusein tutta la penisola, prive quindi di uno specifico valo-re diagnostico. L’aspetto che può permettere di diffe-renziare queste produzioni è l’abbondanza di specieche testimoniano l’uso prevalentemente agricolo delterritorio (in particolare Medicago) e la mancanza dielementi più caratterizzanti in senso mediterraneo oalpino. Nel miele di robinia, che rappresenta la tipologia uniflo-rale quantitativamente più rilevante, si evidenziano for-

me polliniche tipiche degli ambienti dove la specie è piùdiffusa: aree collinari (Sambucus nigra, Cornus sanguinea,Quercus robur e Q. ilex, Fraxinus ornus), aree urbane (Ae-sculus, Gleditsia) o aree fluviali (Amorpha). Da segnalareanche la relativa frequenza di Hedysarum, interessante inquanto le colline del bolognese e della Romagna rap-presentano il limite settentrionale di diffusione di que-sta specie, generalmente considerata indicatrice di ori-gine centro-meridionale.Il miele di tiglio, prodotto in ambienti urbanizzati, supiante coltivate a scopo ornamentale, rappresenta ungruppo abbastanza omogeneo. Oltre a Tilia (presentesempre in percentuale molto bassa, in relazione alla dif-fusione di cultivar sterili) completano l’associazione ti-

48 I mieli regionali italiani

Origine dei dati melissopalinologici N campioni Area dello studio

Sabatini A.G., Piana M.L., Grillenzoni F.V., 2000 – I mieli della Emilia-Romagna. Studio di caratterizzazione. Istituto Nazionale di Apicoltura, Bologna. 381 Intera regione

Savigni G., 1978 – I mieli dell’Emilia Romagna. L’Apicoltore Moderno, 69: 54-56. 172 Intera regione Dati originali Apishare s.r.l., Monterenzio (BO) 109 Intera regione TOTALE CAMPIONI 662

Medicago sativa Tilia sp.

Altra bibliografia consultataAccorsi C.A., Bandini Mazzanti M., Forlani L., Piana A., 1986 – Variazioni negli spettri pollinici di un miele dell’area di M.te Calderaro (Bo-

logna, Emilia-Romagna) nel periodo 1980-1983. Boll. Acc. Gioenia Sci. Nat., 19: 83-104.Mercuri A., Dallai D., Trevisan Grandi G. 1986 – Contributo alla conoscenza dei mieli dell’Emilia-Romagna. I. Province di Modena, Reggio

Emilia, Parma. Boll. Acc. Gioenia Sci. Nat., 19: 105-116.Mercuri A.M., Trevisan Grandi G., 1990 – Indagini ambientali e melissopalinologiche in un’area particolare: l’orto botanico di Modena

(anni 1984-1988). Apicoltura, 6: 11-31.Sabatini A. G., Piana M. L., Grillenzoni F. V., 2001 – Studi di caratterizzazione geografica: i mieli dell’Emilia-Romagna. In: Persano Oddo, Piana (a

cura di) - Miele e territorio. Guida alla valorizzazione del miele attraverso le denominazioni di origine. MIPAF – ISZA, Roma: 119-144.

Tipi pollinici più frequenti nei mieli dell’Emilia-Romagna. In giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia. * = specie non nettarifere.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli dell’Emilia-Romagna 49

Millefiori Robinia Tiglio Castagno Erba medica Tarassaco

Rubus Trifolium repens Castanea Cruciferae Papaver* Graminaceae altre* Robinia Lotus Plantago* Umbelliferae Melilotus Compositae T Salix Malus/Pyrus Medicago Prunus

Robinia Papaver* Graminaceae altre* Sambucus nigra* Cruciferae Cornus sanguinea Rubus Salix Castanea Malus/Pyrus Umbelliferae Aesculus Prunus Rumex* Amorpha Compositae T Trifolium repens Quercus robur* Fraxinus ornus* Gleditsia Hedysarum

Tilia Cruciferae Graminaceae altre* Papaver* Rubus Castanea Robinia Plantago* Ailanthus Trifolium repens Lotus Umbelliferae Malus/Pyrus Parthenocissus Vitis* Amorpha Clematis Galega Salix Trifolium pratense s.l.

Castanea Rubus Trifolium repens Clematis Cruciferae Papaver* Robinia Graminaceae altre*

Graminaceae altre* Medicago Papaver* Rubus Trifolium repens Cruciferae Plantago* Castanea Lotus Umbelliferae Malus/Pyrus Compositae T Galega Zea* Amaranth./Chenop.* Clematis Robinia Salix

Compositae T Prunus Salix Castanea Acer Cruciferae Graminaceae altre* Malus/Pyrus Quercus robur* Ranunculaceae altre Rubus Aesculus Betulaceae/Coryl.* Papaver* Fraxinus ornus* Trifolium repens Robinia Sambucus nigra*

Labiatae esacolpate Aesculus Clematis Sambucus nigra* Ailanthus Amorpha Galega Trifolium pratense s.l. Fraxinus ornus* Hedysarum Quercus robur* Rumex* Onobrychis Parthenocissus Vitis* Scrophular. altre Rhamnaceae Artemisia* Asparagus offic. Helianthus Amaranth./Chenop.*

Vitis* Quercus ilex* Melilotus Lotus Urticaceae s.l.* Betulaceae/Coryl.* Acer Actinidia* Pinaceae* Ranunculaceae altre Plantago*

Aesculus Amaranth./Chenop.* Gleditsia Melilotus Rhamnaceae Medicago Rumex* Sambucus nigra* Compositae A Fraxinus ornus* Hedysarum Compositae T Prunus Asparagus offic. Fragaria/Potentilla Magnoliaceae Scrophular. altre

Lotus Onobrychis Hedysarum Malus/Pyrus Trifolium pratense s.l. Echium Rhamnaceae Salix Plantago* Ailanthus Amorpha Galega Melilotus Umbelliferae Vitis*

Amorpha Artemisia* Asparagus offic. Stachys Fraxinus ornus* Helianthus Labiatae esacolpate Mercurialis* Trifolium pratense s.l. Ailanthus Compositae H Compositae S Gleditsia Melilotus Parthenocissus Polygonum aviculare Vitis* Glycine Pinaceae* Rhamnaceae Sambucus nigra* Scrophular. altre

Plantago* Compositae H Clematis Lotus Rhamnaceae Scrophular. altre

pica regionale specie che con il tiglio condividono epo-ca di fioritura e ambiente antropizzato: Ailanthus, Parthe-nocissus, Vitis, Amorpha, Clematis e Galega.Il miele di castagno appare molto più povero di specie acausa all’estrema iperrappresentatività del polline domi-nante. Si può segnalare la presenza di Clematis e di di-verse Leguminose (Onobrychis, Hedysarum, Trifolium pra-tense s.l.), che testimoniano l’ambiente alto collinare diproduzione.Nel miele di erba medica compaiono con maggiorefrequenza alcune specie coltivate (Zea Asparagus offici-nalis, Helianthus, Glycine) o associate ai coltivi (Galega,

Amaranthaceae/Chenopodiaceae, Artemisia, Stachys,Mercurialis, Polygonum aviculare, etc.). Nel miele di tarassaco, prodotto nelle aree collinaripiù fresche, è caratteristica la presenza di specie a fio-ritura precoce quali Acer, Quercus robur, Ranuncula-ceae altre, Aesculus e Betulaceae/Corylaceae.A partire dagli anni ’90, la produzione di miele di me-lata di Metcalfa pruinosa ha in parte sostituito quella dialtri mieli estivi, precedentemente riportati come piùrilevanti (Savigni, 1978), in particolare il miele di erbamedica con il quale presenta strette analogie melisso-palinologiche.

Capitolo XI

CARATTERISTICHE MELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DELLA TOSCANA

di Cesare Biondi

Cenni geografico-vegetazionali

Il territorio della Toscana si estende complessivamente peruna superficie di 22.994 Km2. La regione si affaccia ad ovestsul mar Tirreno, includendo le isole dell’Arcipelago Toscano(Gorgona, Capraia, Elba, Pianosa, Montecristo, Giglio eGiannutri), mentre nella parte interna si sviluppa lo specifi-co sistema integrato del paesaggio delle montagne e collinetoscane, che occupa complessivamente oltre il 90% del ter-ritorio regionale. Esso comprende a nord e ad est le areemontane delle Alpi Apuane e dell’Appennino Tosco-Emilia-no; a sud il sistema collinare antiappenninico, culminantenell’antico massiccio vulcanico del monte Amiata; fra questidue complessi si situa l’area delle colline plioceniche, con ilarghi panorami di ripetuti crinali ondulati che costituisco-no uno degli aspetti paesaggistici tipici della regione. L’Ar-no e gli altri corsi d’acqua, nel loro cammino verso il mare,hanno originato ampi fondovalle, conche intermontane,pianure alluvionali, zone umide e formazioni costiere parti-colari. La varietà di ambienti e le diversità climatiche corre-late hanno favorito lo sviluppo di consociazioni vegetalimolto varie e caratteristiche, ulteriormente diversificatedall’azione dell’uomo. Dalla flora costiera e dalla macchiamediterranea si arriva, sulle vette più elevate dell’Appenni-no, ad una tipica vegetazione montana, passando attraversostadi vegetazionali intermedi di tipo mesofilo (Caterini ePinzauti, 1986; Rossi et al., 1992; Merendi, 1996; Bacci, 2000;Niccolini e Orlando, 2002). Dal punto di vista del paesaggioe delle risorse mellifere, la Toscana può essere suddivisa inquattro ambienti principali: riviera, entroterra, maremma emontagna. La riviera toscana è costituita da pianure, spiaggee rilievi costieri (isole e promontori). La parte pianeggianteè intensamente coltivata (orticole, floricole, frutteti, forag-gere, cereali) e urbanizzata, con estese pinete e poche areedi vegetazione spontanea. Quest’ultima prevale invece neirilievi costieri e nelle isole, con carattere marcatamentemediterraneo: boschi di leccio (Quercus ilex), macchia e ga-riga in cui le principali specie apistiche sono rosmarino (Ro-smarinus officinalis), erica (Erica arborea ed E. scoparia), cor-bezzolo (Arbutus unedo), lavanda selvatica (Lavandula stoe-chas), stracciabrache (Smilax aspera), elicriso (Helichrysumstoechas), ginestre (Cytisus spp), edera (Hedera helix), eufor-

bie (Euphorbia spp.), camedrio (Teucrium spp.), mirto(Myrtus communis), lentisco (Pistacia lentiscus), cisti (Cistusspp.). In questo areale rivestono interesse apistico anche al-cune specie coltivate, quali foraggere (sulla, erba medica,trifogli), orticole (melone, zucchine), colture industriali (gi-rasole, colza) e fruttiferi, nonchè le specie associate a que-sti coltivi (borragine, cardi, ombrellifere).Nel territorio della maremma toscana, alle ampie areepianeggianti di bonifica (coltivate a cereali, foraggere, olive-ti, vigneti, frutteti), protette dalle barriere frangivento dieucalipto e accompagnate da una flora spontanea di tipoxerofilo adattata al clima siccitoso dei mesi estivi, si alter-nano le formazioni boschive dei rilievi. Tra le risorse apisti-che, simili a quelle della zona precedente, assumono mag-gior rilievo eucalipto (Eucalypus spp.) e corbezzolo.L’entroterra toscano, compreso tra la fascia costiera e l’Ap-pennino, costituisce il paesaggio più caratteristico della regio-ne ed è caratterizzato dalle formazioni collinari: le collineplioceniche, per lo più occupate da coltivazioni agrarie (ce-reali, foraggere, vigneti, oliveti), e i rilievi dell’Antiappennino, incui prevalgono le formazioni forestali. Tali formazioni presen-tano aspetti più mediterranei nelle colline più vicine al mare(leccete, sugherete e macchie sempreverdi), e caratteristichepiù mesofile nei rilievi più interni, soprattutto boschi misticon cerro (Quercus cerris), roverella (Quercus pubescens), car-pino (Carpinus betulus), carpinella (Ostrya carpinifolia), orniello(Fraxinus ornus). Una particolare citazione merita la coltiva-zione del castagno (Castanea sativa), ancora oggi largamentediffusa nella fascia altitudinale propria (200-800 m circa) esfruttata sia per il frutto che per legname. Le estese concheintermontane (Lunigiana, Garfagnana, Mugello, Casentino, Val-tiberina, Valdarno superiore, Piana di Arezzo e Val di Chiana)sono in gran parte coltivate, mentre gli ampi greti dei corsid’acqua sono coperti da una ricca vegetazione ripariale di sa-lici (Salix spp.), ontani (Alnus glutinosa) e pioppi (Populus spp.).Le pianure alluvionali, che occupano poco più del 10% diquesta area, sono caratterizzate da un elevato il grado di ur-banizzazione e da un’intensa utilizzazione agricola. Le princi-pali risorse apistiche di questa area sono rappresentate so-prattutto dal castagno e dalla robinia (Robinia pseudoacacia),specie introdotta dal nord America e divenuta infestanteovunque, sui bordi delle strade, sulle scarpate, ai margini deiterreni coltivati, fin sulle colline medio-alte; a queste si ac-compagnano rovo (Rubus ulmifolius), biancospino (Crataegusoxyacantha), sanguinello (Cornus sanguinea), edera, clematidi(Clematis vitalba). Fra le specie coltivate si trovano legumino-se foraggere, girasole e colza, in funzione delle alternanzecolturali. Come in altre parti d’Italia, anche in Toscana si av-verte sempre di più la presenza dell’ailanto (Ailanthus altissi-ma), specie botanica estranea alla nostra flora che sta colo-nizzando vari ambienti, anche urbanizzati e che può costitui-re discreta fonte nettarifera (Biondi et al., 2003). Le monta-gne sono prevalentemente occupate dalle formazioni fore-stali. Alle quote inferiori, su terrazzamenti artificiali e piccolipianori, sono presenti coltivazioni di cereali, olivo e vite,mentre sui versanti più ripidi e rocciosi si possono individua-

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re boschetti di roverella e cerro. Nelle aree montane vere eproprie si trovano ancora coltivazioni di cereali (in vicinanzadegli insediamenti umani) ed estesi castagneti su terrazza-menti artificiali. Alle quote più elevate le formazioni forestalisono rappresentate soprattutto dalle faggete (Fagus sylvatica),cui seguono prati-pascoli di altitudine. Le celebri abetine diVallombrosa, Camaldoli e Abetone, con abete bianco (Abiesalba) e, in misura minore, abete rosso (Picea excelsa), sonodovute in gran parte ad opera di mantenimento e rimboschi-mento. Le risorse apistiche di queste aree, la cui utilizzazioneè limitata ai mesi estivi, sono costituite prevalentemente dalcastagno, da alcune specie montane quali sorbo montano(Sorbus aria), lampone (Rubus idaeus) e mirtillo (Vacciniummyrtillus) e dalla melata d’abete che consente la produzionedi un pregiato miele uniflorale tipico delle zone più elevatedell’Appennino toscano.

Aspetti dell’apicoltura

I dati MiPAAF 2006 riportano, per la Toscana 2.935 apicol-tori e 97.331 alveari. Da valutazioni fatte in accordo congli uffici regionali e con le tre associazioni di produttori ri-conosciute (A.R.P.A.T, Toscana Miele, A.A.P.T.), questi datiappaiono leggermente sottostimati e risulterebbero circa3.500 apicoltori con un patrimonio di 110.000 alveari. Ladifferenza dei dati stimati rispetto a quelli ufficiali è dovutaal fatto che, nonostante l’obbligo di denuncia, sono ancoramolti gli apicoltori (specialmente piccoli o che svolgonoquesta attività per hobby) che non denunciano i propri al-veari o che ne denunciano solo una parte. Anche se i pro-duttori semiprofessionisti ed hobbisti sono i più numero-si, i professionisti detengono i tre quarti degli alveari e cir-ca il 10% delle aziende apistiche produce più della metà

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Toscana 51

del miele toscano. La produzione totale può essere stima-ta in 20.000-30.000 quintali a seconda dell’annata(A.A.P.T., A.R.P.A.T., Toscana Miele, 2005).

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

I dati melissopalinologici sono desunti dallo studio di circaun migliaio di campioni del periodo 1996 – 2004, condottoin parte nell’ambito di una ricerca quinquennale promossadall’A.R.S.I.A. (Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innova-zione nel settore Agricolo e forestale), e integrati con i datidisponibili in bibliografia.Le tipologie di miele più importanti sono rappresentate dalmillefiori, che costituisce circa la metà dei campioni esami-nati, seguito da castagno, robinia e melata. Localmente ed inquantità limitata possono essere prodotte altre tipologie dimiele uniflorale quali sulla, eucalipto, erica, trifoglio, girasole,rosmarino, corbezzolo, cardo, marruca, lupinella, edera einula. Una produzione tipica, seppure incostante è la pregia-ta melata di abete bianco.Nello spettro pollinico dei mieli toscani, la specie più diffu-sa è senza dubbio il castagno che, oltre a dare luogo ad ab-bondanti partite di miele uniflorale (con percentuali spessovicine al 100%), è presente praticamente in tutti i mieli, tal-volta anche in percentuali considerevoli, come nella mag-gioranza delle melate. Del resto, il castagno è ampiamentepresente in tutta la regione e il suo polline, molto piccoloed emesso in grande quantità, è fortemente iperrapresen-tato; inoltre esso si diffonde nell’ambiente ed è trasportatodal vento anche a grande distanza: è significativo il fatto chepolline di castagno sia stato rinvenuto costantemente perfi-no nei mieli prodotti nell’ambiente dunale del Parco di Mi-gliarino-San Rossore-Massaciuccoli.Dal punto di vista melissopalinologico la regione è caratte-rizzata dall’associazione più o meno costante del castagnocon elementi mediterranei, quali Erica, Olea e Quercus ilex.In base al carattere più o meno spiccatamente mediterra-neo, si può evidenziare un gradiente dai mieli della fasciapiù interna, con una maggiore presenza di specie mesofile,a quelli della fascia costiera e delle isole dell’arcipelago, do-

ve il carattere mediterraneo si esprime al massimo.I mieli millefiori dell’entroterra sono caratterizzati ancheda una notevole quantità e varietà di leguminose sponta-nee e coltivate (Trifolium spp., Lotus, Coronilla/Hippocrepis,Galega, Onobrychis, Astragalus/Ononis, Medicago, Robinia, Meli-lotus), la cui presenza aumenta da nord verso sud. Analogogradiente si osserva per il girasole (Helianthus annuus). Neimieli più precoci è inoltre frequente il polline di fruttiferi(Prunus/Pyrus), Fraxinus ornus, Salix, Cornus sanguinea; nei piùtardivi, Rubus, Clematis. Nei millefiori della fascia costiera èpiù ricorrente Erica, compaiono con frequenza Eucalyptus eHedysarum ed emergono, seppure con diversa costanza,Genista, Asparagus acutifolius, Cistus, Myrtus. Nelle isole il ca-rattere nettamente mediterraneo è evidenziato dalla pre-senza pressoché costante di Cistus, Erica, Rosmarinus, Olea-ceae, Pistacia, Myrtus e Compositae S, ma nelle singole isolepuò emergere una particolare frequenza di alcune forme:ad esempio Lavandula stoechas, Castanea ed Eucalyptus all’El-ba, Asphodelus, Euphorbia e Teucrium a Capraia, CompositaeT e A alla Gorgona. Nei principali tipi di miele unifloraleprodotti in Toscana, accanto all’associazione tipica della re-gione, si trovano altre forme polliniche che contribuisconoalla loro caratterizzazione geografica. Nei mieli di castagnosono regolarmente presenti Rubus, Clematis e Trifolium re-pens, comuni ai mieli di questa origine botanica anche di al-tre parti d’Italia, e Genista, Fraxinus ornus e Sedum/Sempervi-vum che caratterizzano maggiormente l’origine regionale.Nei mieli di robinia si trova polline di numerose specie nonnettarifere: Graminaceae altre, Pinaceae, Quercus robur, Ru-mex, Sambucus nigra e, in particolare, Fraxinus ornus, Genistae Cistus, specie maggiormente caratterizzanti questi mieli insenso mediterraneo. Le altre specie comunemente presen-ti sono le nettarifere a fioritura più precoce, quali fruttiferi,Cornus sanguinea e Cruciferae. Nei mieli di melata si trova-no molte delle forme già citate in precedenza, alle quali siaggiungono specie a fioritura tardiva (Umbelliferae e, inmodo meno costante, Labiatae esacolpate, Asparagus acuti-folius, Parthenocissus, Ligustrum¸ Artemisia) nonché specie ca-ratteristiche degli ambienti coltivati e/o antropizzati, dovespesso si produce questo tipo di miele (Plantago, Zea, Gra-minaceae altre, Compositae H, Ailanthus). Si ritiene utilesegnalare che nel sedimento dei mieli toscani, come inquelli di tutte le regioni appenniniche, è possibile trovare,seppure sporadicamente, polline di Loranthus. In melissopa-linologia internazionale la presenza di questa specie è con-siderata diagnostica dei mieli provenienti dall’Europa sud-orientale, tuttavia la loro differenziazione dai mieli italianigeneralmente non presenta difficoltà (Persano Oddo e Ric-ciardelli D’Albore, 1987). È infine interessante notare comenei mieli prodotti negli anni più recenti si riscontrano alcu-ne differenze rispetto ai mieli studiati in precedenza (Ric-ciarelli D’Albore e Quaranta, 1991), in particolare perquanto riguarda la presenza di leguminose, la cui abbon-danza e varietà, pur rimanendo un elemento caratteristicodei mieli della regione, risulta alquanto diminuita, in relazio-ne ai mutati orientamenti in agricoltura.

52 I mieli regionali italiani

Ape bottinatrice su melata d’abete bianco

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Toscana 53

Origine dei dati melissopalinologici N. campioni Area dello studio Biondi C., Pinzauti M., 2002 - Caratterizzazione botanica e geografica dei campioni di miele provenienti dalle aziende in assistenza tecnica. In: “Il miele in Toscana. Miglioramento della qualità e valorizzazione”. Quaderno ARSIA 1/02, Regione Toscana, Firenze.

486 Intera regione

Persano Oddo L., Festuccia N, Quaranta M., 1998 - Il miele di rosmarino (Rosmarinus officinalis L.) prodotto in Italia: caratteristiche melissopalinologiche e organolettiche. L’Ape Nostra Amica, 20 (1): 6-20. 8 Isola d’Elba

Ricciardelli D’Albore G., 1994 - Caratterizzazione organolettica e geografica dei mieli della Cooperativa Agricola “Il Bosco” di Pontremoli (Lunigiana- MS ). L’Ape nostra amica, 16 (4): 31-33. 72 Lunigiana

Ricciardelli D’Albore G., Quaranta M., 1991 - Caratteristiche organolettiche e microscopiche dei mieli della Toscana. L’Apicoltore Moderno, 82 (5): 171-178. 80 Intera regione

Dati originali dell’autore (ricerca svolta nell’ambito di una convenzione ARSIA - Consorzio Pisa Ricerche - Università di Pisa). 442 Intera regione

TOTALE CAMPIONI 1.088

Altra bibliografia consultataBacci P., 2000 - La flora nettarifera della Toscana. In: Pinzauti M. - Api e impollinazione. Regione Toscana, Edizioni della Giunta Regionale, Firenze: 41-56.Biondi C., 2000 – I pollini. In: Pinzauti M. - Api e impollinazione. Regione Toscana-Edizioni della Giunta Regionale: 30-39.Biondi C., Bedini G., Pinzauti M., 2003 - Ricerca sulla presenza di polline di Ailanto [Ailanthus altissima (Mill.) Swingle] nei mieli toscani. L’Apis, XI (1): 15-20. Caterini B., Pinzauti M., 1986 – La flora apistica della Toscana. L’Ape nostra amica, 8 (5): 12-19.Merendi G.A., 1996 - Atlante New. Sistema agro-silvo-pastorale della Toscana. Regione Toscana, Edizioni della Giunta Regionale. Firenze.Niccolini L., Orlando L., 2002 - Principali caratteristiche della flora apistica toscana. ARSIA. Regione Toscana: 1/2002: 75-84.Persano Oddo L., Ricciardelli D’Albore G., 1987 - Presenza di Loranthus europaeus Jacq. nei mieli italiani. Apicoltura, 3: 91-97.Rossi R., Merendi G.A., Vinci A., 1992 - I sistemi di paesaggio della Toscana. Regione Toscana, Dipartimento Agricoltura e Foreste. Giunta Regionale. Firenze.Sito web Regione Toscana (http://www.rete.toscana.it/sett/pta/stato_ambiente/indicatori_ambientali/uso_suolo_afl.htm)A.A.P.T., A.R.P.A.T., Toscana Miele, 2005 - Disciplinare IGP dei mieli toscani: 45pp.

Tipi pollinici più frequenti nei mieli della Toscana.In giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia. * = specie non nettarifere.

Millefiori Entroterra

Millefiori Fascia costiera

Millefiori Isole Robinia Castagno Melata

Castanea Cruciferae Trifolium repens. Rubus Graminaceae altre* Olea* Trifolium pratense s.l. Lotus Compositae H Prunus/Pyrus Sedum/Semperviv. Quercus ilex* Erica Coronilla/Hippocr. Galega

Castanea Trifolium pratense s.l. Cruciferae Erica Olea* Eucalyptus Graminaceae altre* Compositae H Hedysarum Salix Quercus ilex* Fraxinus ornus* Prunus/Pyrus Pinaceae* Quercus robur*

Cistus* Erica Rosmarinus Lotus Olea* Compositae S Quercus ilex* Pistacia* Myrtus Rhamnaceae

Robinia Castanea Quercus ilex* Fraxinus ornus* Prunus/Pyrus Cornus sanguinea Graminaceae altre* Cruciferae Pinaceae* Olea* Quercus robur* Rumex* Genista Erica Cistus* Sambucus nigra*

Castanea Rubus Fraxinus ornus* Clematis Olea* Genista Erica Trifolium repens. Sedum/Semperviv.

Castanea Rubus Plantago* Graminaceae altre* Clematis Umbelliferae Coronilla/Hippocr. Cruciferae Sedum/Semperviv. Olea* Zea* Trifolium repens. Compositae H Genista Fraxinus ornus*

Fraxinus ornus* Onobrychis Compositae T Astragalus/Ononis Salix Plantago* Medicago Quercus robur* Robinia Melilotus Cornus sanguinea Clematis

Lotus Genista Asparagus acutif. Sedum/Semperviv. Coronilla/Hippocr. Helianthemum* Compositae T Cistus* Trifolium repens. Cornus sanguinea Myrtus Robinia

Compositae H Sedum/Semperviv. Castanea Rubus Cruciferae Prunus/Pyrus Echium Genista Lavandula stoechas Eucalyptus

Salix Trifolium pratense s.l. Trifolium repens. Acer Rubus Chamaerops* Astragalus/Ononis Helianthemum* Umbelliferae

Cruciferae Quercus ilex* Quercus robur* Prunus/Pyrus Coronilla/Hippocr. Robinia Trifolium pratense s.l. Graminaceae altre* Plantago* Compositae H Ailanthus Cistus*

Erica Compositae T Quercus ilex* Trifolium pratense s.l. Labiatae esacolpate Asparagus acutif. Prunus/Pyrus Lotus Astragalus/Ononis Quercus robur* Galega Parthenocissus Ailanthus Ligustrum Salix Compositae.S Eucalyptus

Capitolo XII

CARATTERISTICHE MELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DELL’UMBRIA

di Giancarlo Ricciardelli D’Albore

Cenni geografico-vegetazionali

L’Umbria, situata nel cuore della penisola, è l’unica re-gione dell’Italia peninsulare che non sia bagnata dal ma-re. Confina a nord-ovest e ovest con la Toscana, a nord-est e a est con le Marche e a sud con il Lazio. È una del-le regioni meno vaste del Paese, con una superficie di8.456 km2, ma ciò non esclude che essa racchiuda unadiscreta varietà di formazioni vegetali e di paesaggi. Ilterritorio è quasi esclusivamente collinare e montuoso(rispettivamente 71% e 29% circa della superficie), conaree pianeggianti molto limitate. L’orografia è caratterizzata da una serie di tre sistemimontuosi disposti parallelamente in direzione prevalen-temente nord-sud. Il primo e più importante, l’Appenni-no Umbro-Marchigiano, è quello più orientale ed è asua volta articolato in tre dorsali parallele: la più conti-nua è quella centrale, che si snoda da Bocca Trabaria al-le Forche Canapine, attraverso i monti Catria, Penninoe Fema; a est si trova la catena dei Monti Sibillini, che èpiù breve della precedente, ma include le massime alti-tudini della regione, con la cima del Redentore, di 2.449m; la terza dorsale appenninica si estende a occidente,tra i monti Urbino, Subasio, Coscerno e Aspra. Degli altri due sistemi montuosi, uno è la continuazionedel subappennino aretino (monti Favalto, Martano e TorreMaggiore); l’altro, più a ovest, è costituito da Montarale, M.Peglia, Croce di Serra e M. San Pancrazio. Le aree pianeggianti sono limitate alle valli fluviali inter-montane (Valle del Tevere, Valle Umbra e le conche terna-na ed eugubina), che presentano una forma allungata, condirezione sovente parallela a quella delle dorsali montuo-se e collinari; le principali depressioni intramontane sono iPiani di Castelluccio di Norcia e di Colfiorito.Le aree boschive coprono il 39,8% della superficie regio-nale, con un indice di boscosità alquanto superiore a quel-lo medio nazionale (28,8%). Contribuiscono alla ricchezzaambientale e paesaggistica e al sostegno delle attività eco-compatibili il Parco Nazionale dei Monti Sibillini, situato alconfine tra Marche e Umbria, e sei parchi regionali. Com-plessivamente è sotto il vincolo di protezione naturalisticail 7% della superficie regionale, pari a 59.484 ha.

La vegetazione delle zone pedomontane più basse, finoai 600-700 m., è rappresentata dalla macchia submedi-terranea, spesso interrotta da garighe fortemente de-gradate. Questo ambiente è caratterizzato dalla presen-za di leccio (Quercus ilex), prevalentemente arbustivo,lentisco (Pistacia lentiscus), corbezzolo (Arbutus unedo),erica (Erica arborea, E. multiflora, E. scoparia), viburno (Vi-burnum tinus), cisti (Cistus incanus e Cistus salvifolius),edera (Hedera helix) e stracciabrache (Smilax aspera). Inposizione rupestre si associa anche il Pino d’Aleppo (Pi-nus halepensis).Dai 700 ai 1000 m. il querceto di roverella (Quercus pu-bescens) è la formazione boschiva più comune: in esso sitrovano acero (Acer campestre), ciliegio canino (Prunusmahaleb), caprifoglio (Lonicera caprifolium), vescicaria(Colutea arborescens), ligustro (Ligustrum vulgare), pru-gnolo (Prunus spinosa), ononide (Ononis spinosa), came-drio (Teucrium chamaedrys), santoreggia (Satureja monta-na), fragola (Fragaria vesca) e coronilla (Coronilla emerus).La roverella, nei versanti più freschi e nei terreni menodilavati, si associa o è sostituita da altre essenze arbo-ree, quali carpino nero (Ostrya carpinifolia), cerro (Quer-cus cerris), castagno (Castanea sativa), orniello (Fraxinusornus), loppo (Acer opalus), nocciolo (Corylus avellana); adesse si associano arbusti di ginepro (Juniperus commu-nis), rosa di macchia (Rosa canina) e biancospino (Cratae-gus monogyna). Oltre i 1000 m si rinviene la fascia deifaggeti, a volte frammentata da pascoli che annoveranonumerose piante apistiche (in prevalenza leguminose),come è possibile riscontrare sui piani carsici di Castel-luccio di Norcia (la famosa “fiorita”). Nelle aree agricole, che costituiscono circa metà delterritorio regionale, le colture più estese sono le cerea-licole (soprattutto frumento) e le foraggere (trifogliovioletto, lupinella ed erba medica). Le colture industrialipiù praticate sono barbabietola da zucchero, mais, ta-bacco, colza e girasole. Altre colture specialistiche sonola vite e l’olivo. Nell’area dei coltivi la vegetazione si arricchisce di unavariegata flora di interesse apistico: specie tipiche disiepi e scarpate e comuni infestanti. Tra le prime si ri-cordano: marruca (Paliurus spina-christi), robinia (Robi-nia pseudacacia), rovo (Rubus ulmifolius), biancospino,sanguinello (Cornus sanguinea), acero, vitalba (Clematisvitalba), falsa ortica (Lamium purpureum) e ailanto (Ai-lanthus altissima). Fra le infestanti abbiamo: rosolaccio(Papaver rhoeas), fiordaliso (Centaurea cyanus), borrag-gine (Borago officinalis), ravanello (Rapistrum rugosum),fiori di Adone (Adonis annua), spron cavaliere (Consoli-da regalis), fanciullaccia (Nigella damascena), rucola sel-vatica (Diplotaxis erucoides), gladiolo (Gladiolus italicus),erba strega (Stachys annua), camomilla (Matricaria cha-momilla), capraggine (Galega officinalis) e vilucchio (Con-volvulus arvensis), oltre a molte altre di interesse apisti-co minore.

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Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli dell’Umbria 55

Aspetti dell’apicolturaIn Umbria, secondo i dati MiPAAF 2006, sono presenticirca 1600 apicoltori, con 32.500 alveari e una produ-zione complessiva di miele stimata in 720 t. Prevale net-tamente un’apicoltura di tipo stanziale, e solo il 3% deiproduttori pratica il nomadismo. I nomadisti possiedo-no il 14% del totale degli alveari e possono raggiungereuna produttività di 70/80 kg di miele/alveare/anno.Dall’esame dei dati e dalle ricognizioni sul territorio, l’a-picoltura risulta diffusa in tutta la regione, fino alle piùisolate zone di alta collina e di montagna, ed è in granparte integrata ad altre attività agricole. L’apicoltura piùsviluppata e redditizia risiede nelle zone del lago Trasi-meno e lungo il bacino del fiume Tevere (Perugia, Mar-sciano, Orvieto, Terni), dove si trovano le maggioriaziende, nomadiste o stanziali. A livello associativo esi-ste un Consorzio Provinciale Apistico, a Perugia, e l’As-sociazione Produttori Apistici Umbri (APAU), nella qua-le confluiscono due società cooperative, con oltre 700

associati che gestiscono più di 22.000 alveari (circa il70% dell’intero patrimonio apistico regionale).

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

In Umbria le principali produzioni di miele sono mille-fiori e melata; in comprensori più limitati si produconomieli uniflorali di castagno e, in misura minore, lupinella,erica, sulla (nelle zone di confine con la Toscana) e trifo-glio (al confine con il Lazio). Negli ultimi anni si staespandendo la produzione di miele di robinia, mentre siè molto ridotta quella di girasole, in relazione al pro-gressivo abbandono di tale coltura.I mieli della regione presentano, accanto a tipi polliniciubiquitari, privi di uno specifico valore caratterizzante(Cruciferae, Trifolium repens, Rubus), l’associazione Trifo-lium pratense s.l., Onobrychis, Helianthus, Galega, Lotus,Umbelliferae, che riflette l’ambiente prevalentemente

collinare e montuoso della regione, dove i coltivi si al-ternano ad aree con vegetazione spontanea.Nei mieli di melata (un tempo prevalentemente diquercia e altre latifoglie, oggi attribuibili almeno in parteanche a Metcalfa pruinosa), accanto all’associazione tipi-ca regionale, compaiono con maggiore frequenza i polli-ni di specie boschive e/o di origine anemofila (Castanea,Quercus, Pinaceae, Clematis, Oleaceae, Graminaceae al-tre). In questi mieli può trovarsi polline di Loranthus (vi-schio quercino), specie considerata diagnostica dei mieliprovenienti dall’Europa sud-orientale, ma presente an-che in molti mieli appenninici.Nei mieli di castagno, il cui sedimento appare più pove-ro di specie a causa dell’estrema iperrappresentativitàdel polline dominante, il carattere montano è evidenzia-to dalla maggiore ricorrenza di Labiatae esacolpate, Se-dum/Sempervivum e Centaurea cyanus.Lo spettro pollinico dei mieli di girasole è caratterizza-to dalla frequente presenza di Castanea (a causa dell’e-poca di fioritura coincidente) e di specie coltivate o as-sociate ai coltivi, quali Zea, Medicago, Graminaceae altre,Papaver e Stachys.Nei mieli prodotti a quote più elevate, come il miele dilupinella e il miele dei monti Sibillini (Ricciardelli D’Al-

bore, 2001), sono meno frequenti alcune specie di am-biente coltivato (Galega, Helianthus), mentre assumonomaggiore rilievo Echium, Labiatae esacolpate (Thymus),Coronilla/Hippocrepis, Compositae T. e Castanea. Neimonti Sibillini, lo spettro pollinico appare più ricco dispecie, fra cui sono da segnalare Centaurea cyanus, rara-mente presente nei mieli italiani, e Myosotis, normal-mente considerato tipico dei mieli alpini.La disponibilità di dati melissopalinologici risalenti ai primianni ’70 (Battaglini Bernardini e Ricciardelli D’Albore,1971) permette di valutare l’evoluzione nel tempo delleproduzioni umbre: in relazione alle variazioni in agricoltu-ra, si è progressivamente ridotta la produzione di miele dileguminose (lupinella e trifoglio) a favore del girasole che,dopo l’espansione degli anni 80 e 90, ha tuttavia subitouna forte contrazione. Sono notevolmente aumentati imieli di melata, presumibilmente anche a seguito della dif-fusione di Metcalfa pruinosa, e sono comparse nuove pro-duzioni, di castagno e di robinia, il cui incremento può es-sere attribuito alla maggiore professionalizzazione degliapicoltori, più attenti alla richiesta di tipologie differenzia-te da parte del mercato. A livello di spettri pollinici si ri-scontra inoltre una diminuita frequenza di Stachys, Erica,Zea, Verbena e Dipsacaceae.

56 I mieli regionali italiani

Origine dei dati melissopalinologici N campioni Area dello studio

Battaglini Bernardini M., Ricciarelli D’Albore G., 1971- Contributo alla conoscenza dei mieli italiani 1-Origine botanica dei mieli della provincia di Perugia. L’Apicoltore Moderno, 62 (4): 64-82. 51 Perugia

Battaglini M., Ricciardelli D’Albore G., Baccarelli P., Ingi M., Dominici S., 1987 - Caratteristiche qualitative dei mieli umbri, con riferimento anche alla radioattività. L’Apicoltore Moderno, 78: 221-230. 33 Intera regione

Ricciardelli D’Albore G., 1980- Osservazioni preliminari sulla possibilità di impiego delle api per l’impollinazione di alcuni ecotipi di leguminose sui pascoli sommitali umbri. L’Apicoltore Moderno, 71 (2): 45-50. 5 Intera regione

Ricciardelli D’Albore G., 1988 – Il miele D.O.C. del comprensorio di Gubbio-Gualdo Tadino (Umbria). Annali Fac. Agraria Univ. Perugia, 42: 23-33. 54 Gubbio Gualdo

Tadino Ricciardelli D’Albore G., 1997 – Caratterizzazione dei mieli sotto il profilo della qualità e dell'origine geografica. L’Ape Nostra Amica 19 (3): 24-30. 200 Intera regione

Ricciardelli D’Albore G., 2001 - Studi di caratterizzazione geografica: i mieli del Parco nazionale dei monti Sibillini (Italia centrale). In: Persano Oddo, Piana (a cura di) - Miele e territorio. Guida alla valorizzazione del miele attraverso le denominazioni di origine. MIPAF – ISZA, Roma: 145-156.

60 Monti Sibillini

Ricciardelli D’Albore G., D’Ambrosio M., 1976 - Nuove zone nettarifere in Umbria. Annali Ist. Sper. Zool. Agr., V: 21-31. 6 Intera regione

Dati originali Dipartimento di Arboricoltura e Protezione delle Piante, Università di Perugia 49 Intera regione Dati originali Apishare s.r.l., Monterenzio (BO) 18 Intera regione TOTALE CAMPIONI 476

Altra bibliografia consultataBattaglini M., Ricciardelli D’Albore G., 1970 – Sulla flora pollinifera di alcune zone dell’Umbria. Note ed Appunti sperimentali di Entomo-

logia Agraria, XIII: 3-24. Menghini A., Ricciardelli D’Albore G., 1979 – Flora nettarifera e apicoltura in Umbria. Camera di Commercio Industria e Artigianato,

Quaderno n.38: 165 pp.Regione Umbria - Area protette e parchi nazionali e regionali dell’Umbria (www.umbriaparchi.it.)Regione Umbria - Relazione sul settore apistico (www.agriforeste.regione.umbria.it/resources/immagini/apistico.doc)

Tipi pollinici più frequenti nei mieli dell’UmbriaIn giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia. * = specie non nettarifere.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli dell’Umbria 57

Millefiori Melata Castagno Girasole Lupinella Mieli dei Monti

Sibillini Cruciferae Trifolium pratense s.l. Trifolium repens Onobrychis Rubus Helianthus Galega Lotus Umbelliferae

Cruciferae Helianthus Rubus Oleaceae* Castanea Galega Onobrychis Quercus robur* Trifolium repens Graminaceae altre* Pinaceae* Clematis

Castanea Rubus, Trifolium repens Cruciferae Onobrychis Trifolium pratense s.l. Papaver* Helianthus Labiatae esacolpate

Helianthus Galega Umbelliferae Cruciferae Trifolium repens Trifolium pratense s.l. Zea* Onobrychis Castanea Graminaceae altre* Rubus Medicago Lotus

Onobrychis Cruciferae Labiatae esacolpate Lotus Rubus Compositae T Echium Medicago Trifolium pratense s.l. Castanea Cistaceae* Clematis Trifolium repens Umbelliferae

Onobrychis Trifolium repens Lotus Echium Centaurea cyanus Rubus Trifolium pratense s.l. Labiatae esacolpate Coronilla/Hippocr. Papaver* Cruciferae Compositae T Graminaceae altre*

Stachys Medicago Papaver* Castanea Clematis Echium Oleaceae* Coronilla/Hippocr. Labiatae esacolpate Compositae T Graminaceae altre* Quercus robur* Compositae S Cistaceae* Verbena

Trifolium pratense s.l. Fraxinus ornus* Papaver* Verbena Stachys Loranthus Umbelliferae Lotus

Lotus Clematis Erica Melilotus Quercus robur* Sedum/Semperviv. Centaurea cyanus Compositae S

Papaver* Stachys Ligustrum Plantago* Clematis Hedera Compositae T Echium

Galega Quercus robur* Papaver* Compositae S Coronilla/Hippocr. Graminaceae altre* Plantago*

Centaurea jacea Dipsacaceae Vicia s.l. Malus/Pyrus Medicago Umbelliferae Allium Myosotis Dorycnium Salix Helianthus Castanea Hedera

Capitolo XIII

CARATTERISTICHE MELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DELLE MARCHE

di Pietro Lanari, Mariassunta Stefano e Fabio Taffetani

Cenni geografico-vegetazionali

Le Marche, delimitate ad est dall’Adriatico, confinano anord con la Romagna e, per un piccolo tratto, con laToscana, ad ovest con l’Umbria e a sud con una porzio-ne del Lazio e con l’Abruzzo. La superficie regionale èdi 9.694 km2, ed è completamente collinare (69%) emontana (31%).Geologia e morfologia della regione Marche appaiono aprima vista assai semplificati, soprattutto se confrontaticon le regioni limitrofe del versante tirrenico (rispettoalle quali mancano gli affioramenti di tipo vulcanico emetamorfico), ma in misura minore, anche rispetto alledue regioni confinanti che si affacciano sull’Adriatico.Tuttavia un’analisi più attenta mostra una notevole di-versità dei substrati che determina una consistentecomplessità geomorfologica. Dal punto di vista orografi-co, si possono distinguere due fasce: una fascia interna(la catena umbro-marchigiana e quella marchigiana), piùarticolata, di antica origine, modellata dai movimentitettonici che hanno dato origine alla catena appennini-ca; una fascia esterna, di più recente deposizione, assaipiù omogenea e di forme più dolci, derivate prevalente-mente dal rimodellamento postglaciale.Lo sviluppo dei principali corsi d’acqua è fortementedeterminato dalla struttura geologica ed assume unandamento parallelo “a pettine” perpendicolare allecatene appenniniche e alla linea di costa.Dal punto di vista altitudinale si può riconoscereun’articolazione in 6 fasce altitudinali: mediterranea(versanti costieri a Sud del Monte Conero); basso col-linare (fino a 450 m); alto collinare (450-900 m); mon-tana (900-1800 m); subalpina e alpina (sopra 1800 m).Tali fasce corrispondono ad altrettanti piani bioclimati-ci, complicati tuttavia dalla morfologia e dall’orienta-mento della costa e delle vallate, dal ruolo dei ventidominanti, etc.I caratteri vegetazionali e paesaggistici sono dominatidalla forte antropizzazione, che ha determinato, in tut-ta la fascia collinare, la quasi totale scomparsa delleforme di vegetazione naturale. Fanno eccezione le po-

che aree subcostiere con versanti acclivi (le falesie diS. Bartolo, il promontorio del Conero e le colline lito-ranee dell’ascolano) ed alcuni lembi di vegetazione fo-restale relitti come le Selve di Castelfidardo, di Galli-gnano, di Santa Paolina, di Montoro e dell’Abbadia diFiastra (Taffetani, 1990; Taffetani et al., 2004).Le tipologie di vegetazione più rappresentative delterritorio regionale, possono essere sinteticamente ri-unite nelle seguenti serie climatiche (Biondi et al.2002): - le serie di vegetazione dei settori calcarei e di quelli

marnoso-calcarei, strettamente legate alle due anti-clinali appenniniche (la catena umbro-marchigiana equella marchigiana), rispettivamente caratterizzateda boschi misti di caducifoglie a prevalenza di carpi-no nero le prime e di roverella le seconde;

- le serie di vegetazione dei settori arenacei prevalen-temente concentrati nella fascia alto-collinare delleprovince di Macerata e di Ascoli Piceno, ove sonodiffuse foreste a dominanza di cerro e talvolta casta-gno, concentrate in corrispondenza dell’affioramen-to della formazione della Laga e sui rilievi delle Serrenell’alto pesarese;

- le serie di vegetazione dei settori marnoso-arenaceiin diverse zone del Montefeltro con vegetazione fo-restale a cerro;

- le serie di vegetazione dei settori argillosi ben rap-presentati nell’ampia fascia basso-collinare di tutta laregione con boschi submediterranei di carpino nero,che vengono sostituiti, nei settori sommitali arena-cei, da formazioni forestali a roverella ricche di spe-cie della macchia mediterranea.

Dal punto di vista della flora utile alla raccolta di net-tare e di polline, la fascia collinare abbonda di specielegate agli ambienti umidi di fondovalle come Salix eLithrum, oppure taxa degli affioramenti argillosi e deisistemi calanchivi come Hedysarum. Abbastanza fre-quenti sono le specie degli ambienti della fascia costie-ra come Psoralea, Eleagnus ed Eucalyptus, come purequelle legate ai rari boschi e alle formazioni di garigacon impronta mediterranea come Cercis, Laurus, Smi-lax, Osyris, e varie Cistaceae. Più abbondanti risultanole presenze di specie che sono strettamente dipen-denti dalle attività produttive agricole tipicamente col-linari come Vicia faba, Citrullus, Cucumis, Olea e Vitis, olegate agli ecotoni dei margini erbosi come Arctium eBorago, ed infine piante ornamentali degli ambienti cal-di come Chamaerops, Palmae, Paliurus, Albizzia e Parte-nocissus.Per quanto riguarda la fascia alto-collinare, data la relati-va abbondanza di cenosi forestali ed arbustive semina-turali, risultano frequenti specie provenienti da tali am-bienti come Asparagus acutifolius, Cotinus coggygria, Hede-ra helix e Loranthus europaeus, come pure da taxa prove-nienti da praterie secondarie, prevalentemente xerofile,come Centaurea jacea, Eryngium, Onobrychys, Carlina,

58

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli delle Marche 59

Odontites, Ononis e Plantago.Nella fascia submontana risultano assai rarefatte le su-perfici coltivate e quindi si osserva una elevata presen-za di specie forestali particolarmente apprezzate dalleapi come il castagno (Castanea sativa) e un’abbondanzadi specie legate a praterie mesofile ad elevata naturalitàcome Coronilla/Hippocrepis, Helianthemum, Heracleum,Myosotis, Cerinthe, Cynoglossum, Onobrychis, Centaureamontana, Sideritis, Thymus, oltre a specie infestanti dellecolture, ormai scomparse nelle aree collinari e confina-te alle zone submontane, come Centaurea cyanus.Nelle Marche le aziende agricole occupano una su-perficie totale pari a 707.472 ha, di cui 503.977 ha disuperficie agricola utilizzata (SAU): si tratta soprattut-to di seminativi, ma è anche molto diffusa la coltiva-zione delle legnose agrarie, olivo, vite e fruttiferi. Perle api le principali fonti di nettare, responsabili dellaqualità del miele millefiori marchigiano, sono in defini-

tiva proprio alcune specie agricole: i fruttiferi (melo,pero, albicocca, ciliegio, pesco, susino, etc.), con unasuperficie pari a 4.343 ha; le leguminose da prato po-liennale (erba medica, lupinella, sulla, etc.), che occu-pano 83.628 ha; il girasole, che fornisce elevate resenella produzione del millefiori ed è investito su32.840 ha; ortaggi in pieno campo, quali legumi freschi(fava, fagiolo, pisello), radici e bulbi (cipolla, aglio, caro-ta, pastinaca, etc.), fusti, foglie e infiorescenze (aspara-go, cavoli, finocchio, insalata, prezzemolo, sedano, etc.),frutti (cocomero, fragola, zucchina e solanacee varie),che coprono una superficie totale di 17.112 ha (datiISTAT 2002).

Aspetti dell’apicoltura

Gli apicoltori dichiarano annualmente il numero di al-veari ai Consorzi Apistici Provinciali che rivestono il

ruolo di controllo e distribuzione dei presidi sanitari,al fine di attuare piani territoriali di controllo dellepatologie apistiche. I dati MiPAAF 2006 riportano38.118 alveari, detenuti da 1.500 apicoltori. Attual-mente gli apicoltori marchigiani, hanno elevato la lo-ro professionalità raggiungendo buoni livelli qualitati-vi ed una produzione media annua di oltre 1.000tonnellate di miele. L’attività apistica è indirizzataprincipalmente verso la produzione di miele, mentrepochissimi sono gli apicoltori in grado di attuare unadiversificazione delle produzioni: le produzioni mino-ri dell’alveare rappresentano un’attività economicasoltanto per pochi e la cera viene utilizzata soprat-tutto per il cambio del foglio cereo e non come fon-te di reddito.

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

I dati relativi ai tipi di miele prodotti nelle Marchesono desunti prevalentemente da uno studio di ca-ratterizzazione effettuato presso l’Agenzia ServiziSettore Agroalimentare Marche (A.S.S.A.M.), su unacampionatura di 470 mieli (Stefano et al., 2004). Talidati sono stati confrontati e integrati con quantoemerso da precedenti studi.Il miele marchigiano è prevalentemente millefiori,con caratteristiche distinte a seconda che provengadalla fascia collinare media e costiera o dalla fasciaalto collinare e submontana. I mieli della zona piùbassa presentano, accanto a tipi pollinici ubiquitari,privi di uno specifico valore caratterizzante (Rubus,Papaver, Graminaceae altre, Cruciferae, Trifolium re-pens, Plantago), l’associazione di Helianthus, Umbelli-ferae, Medicago, Hedysarum, Stachys, Galega, che puòessere considerata tipica e riflette bene l’ambientecollinare prevalentemente coltivato della regione.Completano il quadro altri elementi di ambienti an-tropizzati (Lotus, Ailanthus, Compositae, Trifolium

pratense s.l., Mercurialis, Zea, Olea, Robinia, Melilotus,Allium, Parthenocissus, Amaranthaceae/Chenopodia-ceae), di formazioni boschive (Quercus, Clematis, Fra-xinus ornus, Rhamnaceae, Sambucus nigra, Asparagusacutifolius) o di ambienti umidi di fondovalle (Salix).Nei mieli ascolani e pesaresi è presente ancheAmorpha.Nei mieli provenienti dalla fascia alto collinare inter-na, accanto allo spettro di base tipico della regione,assumono maggiore rilievo alcune forme di ambien-te submontano, quali Onobrychis, Castanea, Labiatae(Thymus, Mentha pulegium), Umbelliferae (forma A,Pastinaca, Eryngium), Hypericum, Coronilla/Hippocrepise, a livello locale, Centaurea cyanus, raramente pre-sente nei mieli italiani. Alle quote più elevate, comenei monti Sibillini, lo spettro pollinico si differenziamaggiormente, presentando alcune analogie con imieli alpini, come l’abbondanza di Myosotis, che con-tribuisce ad innalzare notevolmente il numero asso-luto di granuli pollinici, fino a raggiungere la V° clas-se di rappresentatività, con oltre un milione di ele-menti figurati in 10 g di miele.I mieli uniflorali rappresentano una quota modestadella produzione marchigiana (15% circa). I più fre-quenti sono i mieli di girasole e melata (entrambiprincipalmente nelle province di Macerata e Anco-na). Lo spettro pollinico di questi mieli ricalca quellodei millefiori di bassa quota; si può segnalare unaminore ricorrenza di Galega nei mieli di melata. Piùrari i mieli di robinia (principalmente nelle provincedi Pesaro-Urbino e Macerata), castagno e lupinella(nell’area del Parco Nazionale dei Monti Sibillini).Questi ultimi presentano maggiore affinità con imieli della fascia più elevata, mentre i mieli di robi-nia, data la maggiore precocità del raccolto, si diffe-renziano dagli altri tipi e sono caratterizzati dallacostante associazione di Robinia, Hedysarum, Cornussanguinea, Cruciferae, Papaver, Quercus, Fraxinus or-nus, Salix e Sambucus nigra.

60 I mieli regionali italiani

Origine dei dati melissopalinologici N campioni Area dello studio

Priore R., Quaranta M., Valencia Barrera R., 1995 – Nuovo contributo alla caratterizzazione botanica dei mieli delle Marche. Apicoltura, 10: 1-9. 61 Intera regione

Ricciardelli D’Albore G., 2001 - Studi di caratterizzazione geografica: i mieli del Parco nazionale dei monti Sibillini (Italia centrale). In: Persano Oddo, Piana (a cura di) - Miele e territorio. Guida alla valorizzazione del miele attraverso le denominazioni di origine. MIPAF – ISZA, Roma: 145-156.

63 Parco Naz. dei Monti Sibillini

Ricciardelli D’Albore G., Piastrelli G., 1977 – Origine botanica dei mieli delle Marche. Apicoltore Moderno 68: 138-143. 48 Intera regione Stefano M., Di Giacomo M.C., Francoletti E., Ametisti M., Avaltroni E., Elisei G., Luminari M.C., Riccioni M.L., Rossetti M., 2004 – Il miele marchigiano: caratterizzazione e qualità. ASSAM – Centro Agrochimico Regionale: 15 pp. 470 Intera regione

TOTALE CAMPIONI 642

Altra bibliografia consultataBiondi E., Allegrezza M., Baldoni M., Casavecchia S., Pinzi M., Taffetani F., Zitti S., 2002 – Map of the main Vegetation Series of Marche Region

(1:250.000). Abstracts International Symposium of Biodiversity e Phytosociology, University of Ancona, September 18-19: 111-112.Taffetani F., 1990 – Flora della Selva dell’Abbadia di Fiastra. Ann. Bot., 48 (suppl. 7): 163-242.Taffetani F., Micheletti A., Rismondo M., 2004 – Boschi relitti della bassa valle del Musone. Congresso della Società Italiana di Fitosociolo-

gia, Roma 19-21 febbraio: 92.

Tipi pollinici più frequenti nei mieli delle Marche. In giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia. * = specie non nettarifere.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli delle Marche 61

Capitolo XIV

CARATTERISTICHE MELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DEL LAZIO

di Livia Persano Oddo e Paola Belligoli

Cenni geografico-vegetazionaliIl Lazio, situato sul versante centrale tirrenico della pe-nisola, ha un’estensione di 17.236 km2 e confina a nordcon Umbria, Toscana e Marche, a est con Abruzzo eMolise, a sud con la Campania; a ovest è delimitata dalmar Tirreno. La regione comprende l’arcipelago delleisole Ponziane, di natura vulcanica: Ponza, Gavi, Palmaro-la, Santo Stefano, Zannone, Ventotene.Il territorio è prevalentemente collinare (54%) e montuosa(26%) e solo il 20% del territorio è pianeggiante. La partepiù interna e montuosa della regione appartiene all’Appen-nino centrale, Umbro-Marchigiano e Abruzzese, dove spic-cano, all’estremo nord-est, i monti Reatini (con il M. Termi-nillo, 2.213 m) e l’adiacente gruppo dei monti della Laga (M.Gorzano, 2.455 m); lungo il confine con l’Abruzzo si eleva-no i monti Simbruini (M. Cotento, 2.014 m) e, al di là dell’al-ta valle dell’Aniene, la catena dei monti Ernici (M. Passeggio,2.064 m). Sempre al confine con l’Abruzzo s’innalzano imonti della Meta (M. Petroso, 2.247 m), ai quali si raccorda,al confine con il Molise, il massiccio delle Mainarde (M. Ca-vallo, 2.039 m). La vasta regione collinare costituita dall’An-tiappennino Laziale si estende da nord a sud, tra l’Appenni-no e la parte costiera. Comprende a nord quattro distrettivulcanici di modesta altitudine (mediamente 600-700 m, su-perati solo dal monte Cimino, 1.053 m), i cui crateri sonospesso occupati da laghi: i monti Volsini intorno al lago diBolsena, i monti Cimini con il lago di Vico, i monti Sabatinicon il lago di Bracciano e il complesso sistema dei colli Al-bani, che racchiude i laghi di Albano e di Nemi. A sud, tre si-stemi montuosi di natura calcarea separano la Ciociaria dal-la pianura Pontina e dalla costa: i monti Lepini, Ausoni e Au-runci. Le pianure costiere, per secoli paludose e malari-che, solcate da fiumi dal corso mutevole, sono state og-getto nei secoli passati di alcuni interventi di bonifica esono ora intensamente coltivate: la Maremma laziale, si-tuata a nord, in continuità con quella toscana; l’Agro ro-mano, o Campagna romana, intorno al basso corso delTevere, e l’Agro pontino, nella provincia di Latina.La fascia costiera, costituita da spiagge interrotte daqualche imponente scogliera calcarea, si estende per ol-tre 300 km, dalla foce del Chiarone, che segna il confinecon la Toscana, a quella del Garigliano, al confine con la

Campania. Oltre il promontorio di Torre Astura, nellaprovincia di Latina, si trova uno degli ambienti umidi piùinteressanti della regione, formato dai laghi costieri diFogliano, Monaci, Caprolace e Sabaudia, separati dal ma-re da un lungo cordone di dune.Il fiume principale è il Tevere, che entra nella regione aOrte, aumenta la sua portata raccogliendo le acque delNera e dell’Aniene e, dopo aver attraversato l’Agro ro-mano, sfocia nel Tirreno con un piccolo delta. La partemeridionale della regione riversa le sue acque nel fiumeSacco, a sua volta tributario del Liri, che scorre tra i montiErnici e i rilievi dell’Antiappennino e, unendosi al Gari, as-sume il nome di Garigliano. Fra i principali laghi, oltre ai la-ghi vulcanici e ai laghi di sbarramento litoraneo, già citati,sono da menzionare alcuni laghi di origine carsica, fra cuiRascino (RI) e Canterno (FR). Bacini artificiali sono i laghidel Turano, Salto e Scandarello, in provincia di Rieti.Il clima del Lazio risulta alquanto variabile, in relazione al-l’orografia e alla distanza dal mare. Nella fascia costieral’influenza marina determina basse escursioni termiche eun elevato apporto di umidità; verso le zone interne l’ef-fetto mitigante del mare si riduce e il clima diviene pro-gressivamente più continentale, con marcate escursionitermiche e maggiori precipitazioni. La posizione centraledel Lazio e la sua particolare orografia, danno vita a unagrande varietà vegetazionale, dove convergono elementimediterraneo-occidentali, nord-europei, balcanici e africa-ni (Lucchese, 1986): l’elenco floristico regionale compren-de ben 3.000 specie (più del 50% della flora italiana) epresenta numerosi endemismi, soprattutto in situazioni di“isolamento genetico” come nell’Arcipelago Pontino e inalcuni rilievi appenninici. Un notevole contributo alla ric-chezza vegetazionale del Lazio è apportato dalle 49 areeprotette, che annoverano Parchi, Riserve, Oasi e Monu-menti Naturali (Regione Lazio, 1998).Le formazioni boschive coprono circa 560.000 ha (27%del territorio), prevalentemente nelle aree collinari emontuose, dove lo spopolamento dei borghi e l’abban-dono dei campi ha portato a un notevole recupero del-la vegetazione arborea. Praticamente scomparsi, invece,i boschi di pianura e quelli ripariali, a causa dell’antro-pizzazione delle zone di fondovalle e di bassa collina; re-litti dell’originaria foresta planiziale costiera sono anco-ra presenti solo nella Tenuta Presidenziale di Castelpor-ziano, nel Parco Nazionale del Circeo e nel Bosco diFoglino-Acciarella di Nettuno.Partendo dal litorale sabbioso, dove crescono scarsi ce-spi di erbacee xerofile (giglio marino, ravastrello maritti-mo), si passa alla vegetazione rada e discontinua colo-nizzatrice delle dune, con bassi arbusti di ginepro, lenti-sco e cisto, e quindi alla macchia alta (5-6 metri), doveprosperano corbezzolo (Arbutus unedo), alaterno(Rhamnus alaternus), erica (Erica multiflora e E. arborea),fillirea (Phillyrea angustifolia) e leccio (Quercus ilex). Sullecoste rocciose, come nella zona del Monte Circeo, sisviluppa una caratteristica consociazione di palma nana,

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rosmarino, erica, paléo della garighe ed euforbie. Unaspetto peculiare è rappresentato dagli eucalipteti, mol-to estesi nell’area di Latina, dove vennero impiantati du-rante la bonifica, nella convinzione che avessero pro-prietà antimalariche, ma diffusi anche tra Civitavecchia eFiumicino, come barriere frangivento.In alcune zone il leccio è accompagnato o sostituitodalla sughera (Quercus suber). Nel sottobosco della lec-ceta si trovano il tino (Viburnum tinus), la robbia (Rubiaperegrina), il terebinto (Pistacia terebinthus, esclusivamen-te nelle zone calcaree) e alcune lianose, come caprifogli(Lonicera spp.), vitalba (Clematis vitalba), stracciabrache(Smilax aspera) e edera (Hedera helix).Tra la vegetazione mediterranea e la successiva vegeta-zione submontana del querceto deciduo si interpone, inalcuni settori del Lazio (Monti Sabini e Tiburtini), unaformazione vegetale a carattere “orientale” cioè ricca dielementi balcanici, quali marruca (Paliurus spina-christi),carpino orientale (Carpinus orientalis), albero di Giuda(Cercis siliquastrum) e storace (Styrax officinalis).Salendo di quota, la formazione più diffusa è il boscomisto caducifoglio, a prevalenza di querce (Quercus pu-bescens, Q. robur, Q. cerris), accompagnate dalle altre fio-riture caratteristiche dei boschi misti: robinia (Robiniapseudacacia), aceri (Acer spp.), carpino nero (Ostrya car-pinifolia), prugnolo (Prunus spinosa), nocciolo (Corylus

avellana), sanguinello (Cornus sanguinea), agrifoglio (Ilexaquifolium), orniello (Fraxinus ornus), rovo (Rubus ulmifo-lius), sambuco (Sambucus nigra), erica, alaterno, vitalba,edera, e molte altre specie arbustive ed erbacee (tra cuianemoni, ranuncoli, primule, ciclamini, diverse orchidee).Lungo i corsi d’acqua si trovano le specie tipiche delbosco ripariale (salici, pioppi ed ontani). In alcuni settoridella regione, il bosco misto è sostituito da vasti casta-gneti (Castanea sativa) impiantati dall’uomo.Alle quote più elevate, sopra i 1.000 m, le formazioniboschive sono costituite dalle faggete (Fagus sylvatica),pure o consociate ad altre caducifoglie, come querce,aceri, agrifoglio, carpino bianco (Carpinus betulus), tiglio(Tilia platyphyllos), sorbo degli uccellatori (Sorbus aucupa-ria). Il sottobosco, alquanto povero, è caratterizzato daspecie a fioritura precoce: stellina odorata (Galium odo-ratum), laureola (Daphne laureola), viole (Viola spp.), etc. Oltre i 1.800 m, limite della vegetazione arborea, si tro-vano formazioni arbustive di mirtillo (Vaccinium myrtil-lus) e ginepro nano (Juniperus nana) e una ricca flora er-bacea, fra cui Carlina acaulis, Gentiana lutea, Drypis spino-sa, Polygala spp., Stachys recta, Lamium garganicum, Aspho-delus albus, Anchusa barellieri.Per quanto riguarda l’agricoltura, prevalgono le colturecerealicole, oleaginose (colza, girasole) e foraggere (tri-fogli, medica, sulla, lupinella), ma non mancano impor-

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli del Lazio 63

tanti specializzazioni territoriali, quali vigneti, uliveti, ac-tinidieti, coltivazioni ortofrutticole e agrumeti.Interessanti, dal punto di vista apistico, alcune speciecollegate all’estesa parte antropizzata del territorio: al-berature stradali (tiglio, robinia, ippocastano); piccoleformazioni boschive o siepi che delimitano i coltivi (ro-vo, prugnolo, vitalba); specie ubiquitarie e delle zone ru-derali, quali Boraginaceae (Borago, Echium), Leguminosae(Vicia, Galega, Lathyrus), Labiatae (Lamium, Mentha,Thymus, Origanum), Compositae (Carduus, Cirsium, Galac-tites), Umbelliferae (Daucus, Tordylium, Foeniculum), Scro-phulariaceae (Verbascum, Linaria, Odontites); nelle areeurbanizzate è divenuto pressoché infestante l’albero delparadiso (Ailanthus altissima).

Aspetti dell’apicoltura

L’apicoltura laziale vede, accanto ad un numero semprecrescente di aziende che praticano un’apicoltura profes-sionale o semiprofessionale da reddito, un’ampia fasciadi apicoltori, spesso di età avanzata, che detengono unesiguo numero di alveari a livello amatoriale. L’insiemedi queste realtà garantisce alla regione un patrimonioapistico che, secondo i dati 2006 del MiPAAF ammontaa oltre 82.000 alveari; gli apicoltori sono 3.120.Da uno studio condotto nel 2003 da ARSIAL (AgenziaRegionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltu-ra del Lazio), con la collaborazione dell’Istituto Zoopro-filattico Sperimentale del Lazio e della Toscana, dell’A-zienda USL Roma D e delle Associazioni di categoria(AA.VV., 2004), risulta che il 74% delle aziende apisticheè concentrato nelle province di Roma (32%), Latina(21%) e Frosinone (21%), cui seguono Rieti e Viterbocon il 13% ciascuna. La principale fonte di reddito è rap-presentata dalla produzione di miele, ma non mancauna certa diversificazione delle attività (altri prodottidell’alveare, servizio di impollinazione); circa il 20% degliapicoltori pratica il nomadismo.

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

Per quanto riguarda la produzione di miele, nella parte occi-dentale della regione, più pianeggiante, rivolta verso la costatirrenica, a prevalenza agricola con aspetti residui di macchiamediterranea, la produzione di miele è rappresentata essen-zialmente da un millefiori chiaro a prevalenza di leguminose(soprattutto trifoglio, sulla e ginestrino) e crocifere (colza).Un’importante fonte di miele uniflorale, particolarmentenella provincia di Latina, è l’eucalipto. Sporadicamente pos-sono ottenersi produzioni uniflorali di girasole, trifoglio, eri-ca, sulla, agrumi e, nelle zone più urbanizzate, ailanto e tiglio. Nelle zone interne, collinari e boschive, le principali fontimellifere sono rappresentate da castagno e melata, chepossono dare miele uniflorale o contribuire alla produzio-ne di un millefiori di colore scuro. Con minore frequenza

si ottengono mieli uniflorali di robinia. Occasionalmente siproduce miele di marruca (provincia di Viterbo) e, quandola stagione lo consente, edera.L’aspetto melissopalinologico che caratterizza maggiormen-te i mieli della regione è costituito dall’abbinamento dei duetipi pollinici Trifolium pratense s.l. e T. repens (il primo includeT incarnatum e T. alexandrinum, largamente coltivati nel La-zio, il secondo è diffuso ovunque), in associazione con Ca-stanea ed Eucalyptus. La presenza contemporanea di questedue specie di ambienti diversi (la prima caratteristica dellafascia collinare, l’altra introdotta nella zona mediterranea) èfavorita dal fatto che si tratta di specie iperrappresentate,che possono giungere al miele anche per vie diverse rispet-to all’arricchimento primario (residui di raccolti di prece-denti, diffusione aerea). Completano l’associazione tipicadella regione Rubus, Lotus, Echium, Cruciferae e Gramina-ceae altre, forme pressoché ubiquitarie e quindi di scarsovalore diagnostico. Il carattere mediterraneo è evidenziatodalla frequente presenza di Oleaceae. Rispetto a questospettro di base comune alla quasi totalità dei mieli laziali, ledifferenze riscontrabili nelle varie tipologie uniflorali sonoessenzialmente di tipo quantitativo o legate alla stagioneproduttiva: ad esempio Quercus, Robinia, fruttiferi (Prunus eMalus/Pyrus), Salix e Sambucus nigra nei mieli primaverili. Al-tre peculiarità possono essere legate a specifiche zone pro-duttive. In provincia di Viterbo si riscontrano elementi di si-militudine con la vicina Toscana: frequenza maggiore di He-lianthus e Rhamnaceae e minore di Eucalyptus; in questaprovincia sono stati rilevati mieli uniflorali di trifoglio incar-nato. Nelle zone appenniniche sono maggiormente rappre-sentate le leguminose (fra cui Onobrychis e Coronilla/Hippo-crepis), Labiatae esacolpate e Clematis, mentre possonomancare Eucalyptus e Trifolium pratense s.l. Nella parte più

64 I mieli regionali italiani

Eucalyptus camaldulensis

meridionale della regione, accanto alle forme comuni alle al-tre zone, può trovarsi polline di Citrus, (coltivato nella zona

di Fondi, dove può sporadicamente dare miele uniflorale),associato a fruttiferi, Hedysarum e Compositae S.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli del Lazio 65

Origine dei dati melissopalinologici N campioni Area dello studio Persano Oddo L., Belligoli P., 2006 - Le produzioni di miele del Lazio. Qualità e caratterizzazione. In: Persano Oddo L. (a cura di), 2006 - Mieli e flora mellifera del Lazio. Regione Lazio - Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria, Roma: 37-43.

753 Intera regione

Ricciardelli D’Albore G., Tonini D'ambrosio M., 1973 – L'origine botanica dei mieli del Lazio. Annali Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria, 3: 129-146. 51 Intera regione

TOTALE CAMPIONI 804

Millefiori Eucalipto Castagno Melata Robinia

Trifolium repens Castanea Trifolium pratense s.l. Rubus Eucalyptus Cruciferae Olea* Graminaceae altre* Echium Lotus

Eucalyptus Trifolium repens Trifolium pratense s.l. Cruciferae Rubus

Castanea Rubus Trifolium repens Galega Trifolium pratense s.l. Echium Eucalyptus

Castanea Eucalyptus Rubus Graminaceae altre* Olea* Trifolium repens Trifolium pratense s.l. Scrophular. altre Galega Umbelliferae Cruciferae Labiatae esacolpate Plantago* Zea*

Robinia Graminaceae altre* Trifolium repens Cruciferae Quercus ilex* Trifolium pratense s.l. Castanea Salix Papaver* Lotus Quercus robur* Olea*

Galega Quercus ilex* Prunus Robinia Salix Scrophular. altre Papaver* Malus/Pyrus Rhamnaceae Quercus robur* Compositae S Ailanthus Hedysarum

Castanea Scrophular. altre Echium Parthenocissus Lotus Galega Olea*

Cruciferae Olea* Graminaceae altre* Clematis

Compositae T Lotus Amaranth./Chenop.* Palmae* Echium Helianthus Centaurea jacea Clematis Quercus ilex*

Eucalyptus Rubus Malus/Pyrus Palmae* Echium Prunus Sambucus nigra* Aesculus Cornus sanguinea Gleditsia Rumex*

Altra bibliografia consultataAA.VV., 2004 – Stato dell’apicoltura laziale. In: Bozzano A., Formato G., Saccares S. (a cura di) - Aspetti igienico-sanitari dell’apicoltura la-

ziale. Quaderni dell’Istituto Zooprofilattico delle Regioni Lazio e Toscana n. 2/04: 66 pp.Belligoli P., 2001 – Caratterizzazione geografica dei mieli del Lazio. Inf Bot. Ital., 33 (2): 440-443.Lucchese F., 1986 – Segnalazioni floristiche italiane. Inf Bot. Ital., 18: 193-198.Persano Oddo L., Belligoli P., Carini A., Morgia C., Piazza M.G., Pulcini P. , 2001 – Studi di caratterizzazione geografica: i mieli del Lazio. In:

Persano Oddo, Piana (a cura di) - Miele e territorio. Guida alla valorizzazione del miele attraverso le denominazioni di origine. MIPAF– ISZA, Roma: 157-170.

Persano Oddo L., Belligoli P., Pulcini P., Piazza M. G., Morgia C., 1999 – Qualità e origine botanica del miele prodotto nella regione Lazio:risultati di un anno di studio. Apitalia, 11/99: 43-47.

Piazza G., Intoppa F., 2006 – Il territorio del Lazio. Aspetti geografico vegetazionali e apicoltura. In: Persano Oddo L. (a cura di), 2006 -Mieli e flora mellifera del Lazio. Regione Lazio, Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria, Roma: 15-30.

Regione Lazio, Assessorato utilizzo, tutela e valorizzazione delle risorse ambientale, Ufficio parchi e riserve naturali, 1998 – I parchi e leriserve naturali del Lazio. Regione Lazio, Roma.

Tipi pollinici più frequenti nei mieli del Lazio.In giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia. * = specie non nettarifere.

Capitolo XV

CARATTERISTICHE MELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DELL’ABRUZZO

di Maria Lucia Piana

Cenni geografico-vegetazionali

La regione Abruzzo ha una superficie di 10.763 km2; ilterritorio è interamente montuoso (65%) e collinare(35%) e si affaccia sul versante adriatico della peniso-la, estendendosi sulla costa per circa 130 chilometri,tra le foci dei fiumi Tronto e Trigno. Confina a nordcon le Marche, nella parte interna con il Lazio (oveste sud-ovest) e a sud con il Molise. Nel territorio di questa regione si trova il più elevatocomplesso montuoso dell’Italia peninsulare, che siconfigura come un insieme di massicci, separati daconche e valloni, distinti in tre allineamenti paralleliall’Adriatico: il più orientale comprende i gruppi piùcospicui, i monti della Laga, il Gran Sasso d’Italia(2.914 m) e la Maiella (2.795 m); superano i 2.000metri anche le catene del massiccio mediano, con imonti Velino e Sirente; il più occidentale, basso e fra-zionato, comprende i monti Simbruini, Ernici e dellaMeta, incombenti sul Lazio. L’Abruzzo è la regione europea con la più alta per-centuale di territorio protetto; infatti i tre parchi na-zionali (P. N. d’Abruzzo, P. N. della Maiella, P. N. delGran Sasso e Monti della Laga), unitamente a parchiregionali, riserve regionali e oasi del WWF, interessa-no oltre il 30% dell’intero territorio regionale, svol-gendo non solo un ruolo fondamentale nella tutela esalvaguardia del patrimonio faunistico, vegetale e de-gli ecosistemi in generale, ma anche economico, diconservazione di forme di agricoltura tradizional-mente eco-compatibili, nonché di un tessuto socialee di tradizioni culturali che in altri contesti potrebbe-ro essere in breve tempo cancellate. Il clima mite e mediterraneo nelle zone costiere, ri-sente, verso l’interno di una netta influenza altitudi-nale. La fascia costiera è caratterizzata quindi da ve-getazione mediterranea, seppur ridotta in estensionedall’influenza delle attività umane, con leccete litora-nee. Salendo di quota, le associazioni sempreverdi ti-piche del clima mediterraneo lasciano il posto al

querceto caducifolio a Q. pubescens (roverella), concomposizione diversa a seconda del versante e delsuolo, sostituito lungo i corsi d’acqua da vegetazioneripariale a salici e ontano nero. Più in alto il paesaggiovegetale è caratterizzato dalla faggeta, inizialmentemista con altre assenze, quindi pura alle quote supe-riori; è presente anche, in forma relitta, l’abete bian-co. I piani sub-alpino e alpino sono caratterizzati daspecie erbacee resistenti alle condizioni estreme del-le quote più elevate.La vegetazione naturale risulta notevolmente modifi-cata dall’impatto antropico: nella fascia litorale e colli-nare la vegetazione spontanea è ridotta a pochi lembisparsi, ma anche nelle zone più elevate, dove essa ap-pare prevalente, la sua attuale struttura dipende ingran parte dalle attività umane. Così i pascoli e le ga-righe del piano collinare e montano, create col disbo-scamento e mantenute con i processi erosivi che nesono seguiti o con la pastorizia, o i raggruppamentinitrofili, che caratterizzano i luoghi dove staziona piùa lungo il bestiame. Dal punto di vista delle risorse apistiche disponibili ilterritorio della Regione Abruzzo può essere diviso intre zone relativamente omogenee: collina litoranea,collina interna e montagna.La collina litoranea è caratterizzata da terreni di buo-na capacità d’uso: la zona è coltivata prevalentementea seminativi ed arboreti specializzati. Lungo i fondo-valle e nella zona costiera, la disponibilità di aree irri-gue consente la coltivazione di ortaggi, frutteti e fo-raggere. Le aree collinari sono investite per lo più avigneti e oliveti, in coltura specializzata o promiscua;diffusi risultano i seminativi arborati. Le aree incoltesono limitate e dovute a fenomeni erosivi. I boschicoprono aree ristrette, lungo i fiumi e nella fascia co-stiera. Dal punto di vista apistico il maggior interessedi questa zona è rappresentato dalla mitezza del cli-ma che consente condizioni favorevoli di invernamen-to e precocità nello sviluppo. Le risorse sono rappre-sentate da boschetti e siepi delle zone marginali (ro-binia, biancospino, ailanto, marruca, rovo), dalla coltu-ra delle foraggere (soprattutto sulla, anche allo statospontaneo sui terreni argillosi) e dalla vegetazionespontanea e infestante che si sviluppa ai margini deicoltivi (ruchetta selvatica e borragine). Un’ulteriorerisorsa di questo ambiente è rappresentata dalla re-cente diffusione di Metcalfa pruinosa, Rincoto Omot-tero della famiglia dei Flatidi, di origine americana,che attaccando numerose specie vegetali coltivate espontanee, produce grandi quantità di melata.La collina interna è caratterizzata da terreni di mediacapacità d’uso, con limitazioni dovute alla frequenzadi pendenze superiori al 25%; le aree coltivate sonoinvestite principalmente a seminativi nudi e arborati(oliveti, vigneti). Una discreta importanza rivestono lesuperfici forestali, per lo più cedue, e le aree incolte,

66

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli dell’Abruzzo 67

produttive e in alcuni casi improduttive a causa deifenomeni erosivi. Dal punto di vista apistico la risorsa maggiore di que-st’area è rappresentata dalle foraggere, in primo luo-go sulla, ma anche da altre specie erbacee dei pascolie, nelle zone con cerealicoltura di tipo non intensivo,dall’erba della Madonna (Stachys annua), che cresce efiorisce dopo la mietitura.La montagna interna è caratterizzata da terreni di ri-dotta capacità d’uso: la zona è investita a foraggerepermanenti (pascoli e prati pascoli) e a seminativi nu-di e arborati (olivo). Rilevanti, specie lungo i fiumi enelle zone più impervie, le aree incolte, sia produttiveche improduttive. I boschi coprono una superficieterritoriale interessante, con prevalenza di fustaie. Inquesto ambiente le maggiori risorse mellifere sonorappresentate dalle leguminose dei pascoli e prati pa-scoli, prima fra tutte la lupinella, ma anche erba medi-ca, meliloto, ginestrino, trifogli e trifoglino. A fine esta-

te la fioritura della santoreggia montana può assicu-rare una produzione tardiva non trascurabile.La popolazione (circa 1.300.000 abitanti) si concentrasoprattutto nella fascia costiera e la densità per km2

risulta inferiore di circa il 40% rispetto alla media na-zionale. L’economia regionale vede un impiego di ma-no d’opera in agricoltura superiore a quello di altreregioni italiane. L’industria è poco sviluppata e si tro-va maggiormente concentrata sul basso corso del fiu-me Pescara; ricoprono un ruolo di rilievo le attivitàlegate al turismo.

Aspetti dell’apicoltura

Secondo i dati MiPAAF 2006, in Abruzzo l’apicolturaviene esercitata da 367 apicoltori, che detengono45.471 alveari. Da precedenti indagini (Calvarese ePotena, 1990) risulta che, mentre nella maggior partedel territorio regionale, in linea con quanto avviene a

68 I mieli regionali italiani

Origine dei dati melissopalinologici N campioni Area dello studio

Piana M.L., 2000 - Relazione tecnica per la caratterizzazione dei Mieli d’Abruzzo. Cooperativa Apistica Abruzzese, Lanciano (CH). 146 Intera regione

Ricciardelli D’Albore G., 1975 – Origine botanica dei mieli degli Abruzzi. L'Apicoltore Moderno, 66: 178-182. 60 Intera regione Dati originali Apishare s.r.l., Monterenzio (BO) 36 Intera regione TOTALE CAMPIONI 242

livello nazionale, l’apicoltura è esercitata prevalente-mente come attività integrativa, la provincia di Chietisi distingue per l’elevato numero di aziende che pra-ticano un’apicoltura da reddito, esclusivo o principa-le. In questa area l’apicoltura costituisce un’attivitàtradizionale, ma nel tempo le aree prevalenti di pro-duzione si sono progressivamente spostate dalle zo-ne collinari e montane regionali, ricche di foraggerein relazione alle tradizionali attività di pastorizia e al-levamento ovino, ad altre regioni, oggi più produttive.Le produzioni prevalenti delle aziende professionalisono quindi ottenute fuori regione, soprattutto inPuglia, Basilicata e Calabria per i mieli primaverili, inparticolare agrumi, in Lazio (Agro Pontino) per ilmiele di eucalipto e nel vicino Molise, per la produ-zione di miele di girasole.

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

La principale tipologia di miele che si produce inAbruzzo è il millefiori (circa metà del totale delleproduzioni); tra gli uniflorali i più importanti sonosulla, robinia, melata di Metcalfa e, nelle zone di mon-tagna, lupinella. Molto ridotta, in relazione al progres-

sivo abbandono della coltura, è la produzione di mie-le di girasole, specie che per alcuni anni ha rappre-sentato una delle principali risorse mellifere; localiz-zata in aree montane la produzione di miele di santo-reggia e stregonia siciliana (Sideritis syriaca); occasio-nale quella di edera. L’associazione pollinica più frequente in tutte le cate-gorie di miele prodotte nella regione è costituita daHedysarum, Lotus, Olea, Cruciferae, Papaver, Gramina-ceae altre, Rubus e Onobrychis. Le altre forme polliniche comuni nei mieli millefioriindicano una produzione prevalentemente primaveri-le (Salix, Malus/Pyrus, Trifolium repens, Borago, Compo-sitae T), ottenuta in zone dove si alternano coltivi evegetazione boschiva (Cornus sanguinea, Clematis). Ca-ratteristiche molto simili presenta lo spettro pollini-co delle produzioni uniflorali primaverili, sulla e robi-nia. In quest’ultimo tipo di miele è da notare la fre-quenza di Loranthus (vischio quercino), specie consi-derata diagnostica dei mieli provenienti dall’Europasud-orientale, ma presente anche in molti mieli ap-penninici.Nelle zone di montagna, accanto all’associazione re-gionale tipica, è notevole l’abbondanza e varietà diLeguminose, in particolare di Onobrychis che può da-

Fioritura di lupinella

Altra bibliografia consultataCalvarese S. (a cura di), 1990 - Studio analitico dei mieli abruzzesi. Regione Abruzzo e Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruz-

zo e del Molise “G. Caporale”, Teramo.Calvarese S., Potena L. (a cura di), 1990 - Indagine sulla consistenza dell’apicoltura abruzzese. Regione Abruzzo e Istituto Zooprofilattico

Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale”, Teramo.

Tipi pollinici più frequenti nei mieli dell’Abruzzo. In giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia. * = specie non nettarifere.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli dell’Abruzzo 69

Millefiori Mieli di montagna Sulla Robinia Melata

Cruciferae Hedysarum Lotus Papaver* Olea* Graminaceae altre* Trifolium repens Cornus sanguinea Rubus Salix Onobrychis Malus/Pyrus Clematis

Onobrychis Coronilla/Hippocr. Lotus Papaver* Trifolium repens Cruciferae Graminaceae altre* Hedysarum Salix Melilotus Helianthemum* Olea* Rubus Malus/Pyrus

Hedysarum Cruciferae Papaver* Lotus Olea* Graminaceae altre* Onobrychis Rubus Salix Eucalyptus Borago

Robinia Cruciferae Hedysarum Salix Papaver* Lotus Trifolium repens Borago Graminaceae altre* Sambucus nigra* Cornus sanguinea Quercus robur* Rubus* Eucalyptus Malus/Pyrus Fraxinus ornus*

Rubus Graminaceae altre* Olea* Cruciferae Hedysarum Clematis Eucalyptus Mercurialis* Urticaceae s.l.* Plantago* Asparagus acutif. Amaranth./Chenop.* Lotus Papaver* Umbelliferae Ailanthus Stachys Vitis* Compositae T

Borago Compositae T Eucalyptus Ailanthus Helianthemum* Prunus Sambucus nigra* Quercus robur* Thymus Urticaceae s.l.* Rhamnaceae Stachys Castanea Galega Helianthus Plantago* Quercus ilex* Trifolium pratense s.l.

Vicia s. l. Borago Eucalyptus Thymus Compositae T Quercus robur* Ailanthus Cornus sanguinea Prunus Robinia Trifolium pratense s.l. Clematis Plantago*

Melilotus Rhamnaceae Sambucus nigra* Trifolium repens Quercus ilex* Citrus Clematis Cornus sanguinea Trifolium pratense s.l. Ailanthus Vitis* Prunus Malus/Pyrus Quercus robur*

Quercus ilex* Prunus Actinidia* Cupressaceae/Tax.* Loranthus Chamaerops* Cerinthe Urticaceae s.l.* Vitis* Betulaceae/Coryl.* Onobrychis Sanguisorba minor Olea*

Malus/Pyrus Helianthus Hedera Trifolium repens Zea* Actinidia* Prunus Quercus ilex* Thymus Castanea Robinia Salix

re origine a raccolti uniflorali. L’associazione floristicadistintiva di questi mieli presenta alcuni tratti in co-mune con i mieli della montagna alpina (Onobrychis,Coronilla/Hippocrepis, Lotus, Trifolium repens, Melilotus,Helianthemum e, meno frequentemente, Sedum/Sem-pervivum e Myosotis), dai quali tuttavia si differenziaper la presenza di Hedysarum ed Olea, la minor fre-quenza di Castanea e Tilia e l’assenza di Ericaceae al-tre e Campanulaceae. Il miele di stregonia presentaun’associazione simile, in cui compaiono con fre-quenza anche Thymus e Centaurea cyanus. Il miele disantoreggia, prodotto ugualmente in montagna, pre-senta delle analogie, ma l’associazione prevalente hadelle peculiarità dovute alla diversa epoca di produ-zione (tardo-estiva): compaiono quindi, accanto allespecie già citate, Eryngium e altre Umbelliferae, Cen-taurea jacea, Odontites, Scrophulariaceae altre, Dipsa-caceae.Il miele di melata di Metcalfa pruinosa, prodotto nel

periodo estivo e tardo estivo, si caratterizza perun’elevata presenza di indicatori di melata e di ma-teriale indisciolto finemente cristallino; sono fre-quenti, oltre ai tipi pollinici già citati, pollini di spe-cie non nettarifere (Mercurialis, Urticaceae s.l., Plan-tago, Amaranthaceae/Chenopodiaceae, Vitis), e net-tarifere a fioritura tardiva (Asparagus acutifolius, He-lianthus, Hedera); completano lo spettro alcunepresenze di aree coltivate (Stachys, Zea) e antro-pizzate (Ailanthus), che connotano l’ambiente diproduzione. Un elemento caratteristico dei mieli abruzzesi è lafrequente presenza, in bassa percentuale, di specieappartenenti ad aree climaticamente estranee alla re-gione, in particolare Eucalyptus e Citrus, interpretabilicome residui delle relative produzioni uniflorali otte-nute con la pratica del nomadismo; accentuata è lapresenza di Eucalyptus (specie iperrapresentata), so-prattutto nei mieli di melata.

Capitolo XVI

CARATTERISTICHE MELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DEL MOLISE

di Paola Belligoli, Maria Lucia Piana e Livia Persano Oddo

Cenni geografico-vegetazionali

Il Molise, con una superficie di 4.438 km2, è una delle re-gioni più piccole d’Italia, la seconda dopo la Valle d’Aosta.Confina a nord ovest con l’Abruzzo, ad est con la Puglia, asud con la Campania, ad ovest con il Lazio e si affaccia anord est sul mar Adriatico per un tratto di 38 km. Il territorio si estende dal livello del mare fino ai 2.050 mdel Monte Miletto, nel massiccio del Matese, ed è quasitotalmente montuoso (55%) e collinare (45%). La zonamontuosa include a nord il tratto più meridionale dell’Ap-pennino abruzzese (monti della Meta) e a sud il tratto piùsettentrionale dell’Appennino campano (massiccio delMatese e Appennino Sannita). In genere la morfologia del-la montagna molisana è meno rude e imponente di quelladel vicino Abruzzo: le vette si mantengono sui 1.000-1.500 metri e hanno profili arrotondati. Ai rilievi appenni-nici segue una vasta fascia di colline argillose, dall’anda-mento irregolare, soggette a frane e incise da profondeerosioni del terreno, i calanchi. Le colline si spingono sinquasi alla costa, che è bassa e priva di porti. I fiumi sonotutti a carattere torrentizio; i principali sono il Trigno, il Bi-ferno e il Fortore, che sfocia in zona pugliese.Il clima ha caratteri di continentalità nell’interno, mentre èmite, mediterraneo, in prossimità della costa. Le precipita-zioni, in prevalenza invernali, sono in genere non moltoabbondanti, inferiori ai 1.000 mm annui (sui 600-700 nel-l’area subappenninica), ma toccano i 2.000 mm sui montidel Matese; d’inverno, sui rilievi, sono spesso nevose. Letemperature, i cui minimi si abbassano con il crescere del-l’altitudine, hanno un’escursione annua rilevante.In epoca storica la regione era quasi interamente copertada foreste, ma la pressione antropica ne ha ridotto note-volmente l’estensione. In anni più recenti il progressivospopolamento delle campagne e l’abbandono delle tradi-zionali pratiche agricole hanno comportato, soprattuttonell’Alto Molise e nel Molise centrale, la riforestazionespontanea dei terreni abbandonati, e attualmente l’indicedi boscosità è del 29%, pari circa a quello medio naziona-le. La gran parte della vegetazione forestale è concentratanelle zone montuose e alto collinari, mentre il Basso Mo-

lise, dove il suolo è prevalentemente impiegato per usiagricoli, ospita solo rade boscaglie.Malgrado il modesto sviluppo territoriale, la stretta vici-nanza di due diverse aree climatiche, temperata e medi-terranea, determinata dalla situazione orografica, rendepossibile un buon grado di diversità floristica, che annove-ra 2.500 specie (pari al 45% della flora italiana).La fascia del Basso e Medio Molise compresa tra 0 e 500m, è caratterizzata da scarsa piovosità, con almeno 3 mesidi aridità estiva, temperature medie annuali attorno a 15°C e medie invernali mai inferiori a 0° C. In queste aree lavegetazione è di tipo mediterraneo, anche se le formazio-ni boschive sono presenti solo in modo frammentario.Nel settore litoraneo e perilitoraneo la vegetazione po-tenziale corrisponde a boschi con dominanza di leccio(Quercus ilex); a tali formazioni partecipano Phyllirea latifo-lia, Viburnum tinus, Arbutus unedo, Rubia peregrina, Rosa sem-pervirens e Lonicera implexa, accompagnati da elementi delquerceto termofilo, caratteristico dell’area collinare piùinterna. Si rinvengono anche diverse formazioni arbustive:a prevalenza di lentisco (Pistacia lentiscus), di Paliurus spina-christi o di ginestra (Spartium junceum), accompagnati daPrunus spinosa e Clematis vitalba. Localmente diffuse anchele garighe a cisti (Cistus creticus, C. incanus) ed osiride (Osy-ris alba). Nelle superfici a prateria si trovano, tra le speciedi interesse apistico, Teucrium polium, Scorzonera villosa,Eryngium ametistinum. Nelle colline del Basso Molise la ve-getazione forestale potenziale corrisponde ai boschi e bo-scaglie xerofile a prevalenza di roverella (Quercus pube-scens) in associazione con alcune caducifoglie come Carpi-nus orientalis, Fraxinus ornus, Acer campestre, Euonymus euro-paeus, Ligustrum vulgare, Cornus sanguinea, Cercis siliqua-strum. Questa fascia è oggi quella più intensamente colti-vata (seminativi e olivo). La piana pedemontana di Venafro presenta ugualmentetemperature miti, ma si caratterizza per le maggiori preci-pitazioni, che diminuiscono tuttavia nel periodo estivo de-terminando 2 mesi di lieve aridità. Le colline del medio Bi-ferno e del Tappino, ad altitudine tra 300-850 m, presenta-no un clima temperato-oceanico, con piovosità media, epresenza di soli due mesi di lieve aridità. Anche qui letemperature medie annue non scendono mai sotto lo ze-ro. La formazione forestale tipica è rappresentata dal bo-sco misto di roverella e cerro (Quercus cerris). Si tratta dirado di foreste estese, ma piuttosto di un mosaico, alter-nato ai coltivi e agli insediamenti umani situati sui morbidiversanti argillosi. Al cerro e alla roverella si associano ace-ri (Acer campestre, A. obtusatum), orniello (Fraxinus ornus) esorbi (Sorbus domestica, S. torminalis). Lo strato arbustivo ècaratterizzato da un intricato sottobosco con Cytisus sessi-lifolius, Coronilla emerus, Asparagus acutifolius, Rubus ulmifo-lius, Rosa spp., Prunus spinosa, Crataegus spp. Su sabbie edarenarie subentra il farnetto (Quercus farnetto) con cui ilcerro forma spesso consorzi misti.La vegetazione ripariale igrofila degli ambienti fluviali è ca-ratterizzata da salici (Salix purpurea, S. eleagnos, S. alba, S.

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triandra), pioppi (Populus alba, P. canescens, P. nigra), ontanonero (Alnus glutinosa) olmo campestre (Ulmus minor), san-guinella (Cornus sanguinea), luppolo (Humulus lupulus), ligu-stro (Ligustrum vulgare), rovi (Rubus caesius e R. ulmifolius) esambuco (Sambucus nigra).Ad altitudini superiori, in ambienti temperati, con fortepiovosità e senza aridità estiva, assume maggiore impor-tanza il carpino nero (Ostrya carpinifolia), frequentementeassociato ad aceri (A. obtusatum, A. lobelii), orniello, cerro,faggio (Fagus sylvatica). I pochi arbusti sono rappresentatida maggiociondolo (Laburnum anagyroides), sorbo monta-no (Sorbus aria) e citiso a foglie sessili (Cytisus sessilifolius).Tra le erbe si trovano Euphorbia amygdaloides, Pulmonariasaccharata, Daphne laureola, Lilium bulbiferum e Sesleria au-tumnalis, una graminacea tipica del corteggio floristico de-gli ostrieti che tende a formare tappeti continui. Nella val-le del fiume Volturno il carpino nero si associa, anche aquote modeste, con carpino orientale (C. orientalis) e albe-ro di giuda (Cercis siliquastrum).Il faggio è la specie arborea che caratterizza l’area monta-na, generalmente in formazioni forestali pure, sporadica-mente accompagnato da abete bianco (Abies alba) e acerodi montagna (Acer pseudoplatanus). Tra le specie diffusenello strato arbustivo si trovano agrifoglio (Ilex aquifolium),

sorbo montano e sorbo degli uccellatori (Sorbus aucupa-ria), rose (Rosa agrestis, R. pendulina), talvolta tasso (Taxusbaccata). Nelle faggete soggette a pascolo, lo strato arbu-stivo è costituito unicamente da rovo (Rubus hirtus). Lostrato erbaceo è costituito da un elevato numero di spe-cie: Allium ursinum, Geranium versicolor, Galium odoratum,Neottia nidus-avis, Mycaelis muralis, Cardamine bulbifera, C.chelidonium, C. eptaphylla; Bellis perennis, Rumex acetosella eFestuca heterophylla. Sullo stesso piano altitudinale dellafaggeta, in corrispondenza delle forre e delle profonde in-cisioni vallive, si inseriscono i boschi misti con tiglio (Tiliaplatiphyllos) e aceri (Acer obtusatum, A. pseudoplatanus, A.platanoides, A. lobelii). Un altro aspetto tipico e diffuso ingran parte della montagna calcarea appenninica, è costitui-to dalle leccete rupestri, che risalgono gole e pareti roc-ciose fino al limite della vegetazione arborea. Un’ulteriorepeculiarità dell’Alto Molise è legata alla presenza di abeti-ne (Abies alba) poste a quote variabili tra i 750 e i 1200. Al di sopra del limite della vegetazione arborea, gli am-bienti estremi, con vegetazione a ginepro alpino (Juniperusnana), uva ursina (Arctostsphilos uva-ursi) e mirtillo (Vacci-nium mirtillus), non rappresentano aree di significativo in-teresse apistico.L’agricoltura è generalmente organizzata in aziende di

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli del Molise 71

modeste dimensioni ed è quindi scarsamente meccaniz-zata e razionalizzata. Si può ancora parlare, per una lar-ga parte della regione, di agricoltura di sussistenza. Leattività agricole e di allevamento assorbono ancora il18% della forza lavoro (più del doppio della media nazio-nale). Le principali colture sono quelle dei cereali (so-prattutto frumento) e dell’olivo, oltre a quelle orticole,frutticole, uva da tavola, barbabietola e tabacco. Spesso siunisce all’agricoltura anche l’allevamento di ovini, ancorasviluppato benché in diminuzione. Un aspetto peculiaredel paesaggio agricolo molisano, legato all’antica praticadella transumanza degli armenti, sono i tratturi, “vie d’er-ba” che per millenni hanno consentito il passaggio deglianimali dai pascoli invernali a quelli estivi e viceversa, oggisottoposti a vincoli di tutela per il loro interesse storico,sociale e culturale.

Aspetti dell’apicoltura

Secondo il censimento MiPAAF 2006, il patrimonio api-stico del Molise è costituito da 8.500 alveari, con unadensità di alveari per km2 di 1,9, nettamente inferiorealla media nazionale (3,7). Da un’indagine effettuata allafine degli anni ’90 su 204 aziende (Sabatini et al., 2003)risulta che la maggior parte degli apicoltori (72%) pos-siede meno di 15 alveari, e solo il 3 % esercita l’apicol-tura come attività da reddito principale; il nomadismo èpraticato da un numero limitato di apicoltori (prevalel’apicoltura stanziale) e generalmente le attività sonopoco differenziate. Si tratta quindi nel complesso di unaregione che potrebbe ulteriormente incrementare ilsettore apistico per una migliore utilizzazione delle otti-me risorse naturali presenti sul territorio.

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

In Molise si producono tre principali tipologie di miele: ilmillefiori, che rappresenta circa i 3/4 del totale delle produ-zioni, e i mieli uniflorali di sulla e girasole. Più occasionale laproduzione di miele di lupinella, edera, melata e trifoglio.L’associazione pollinica più frequente, che può conside-rarsi tipica dei mieli prodotti nella regione, è costituita

72 I mieli regionali italiani

Hedysarum coronarium (Foto F. M. De Pace)

Altra bibliografia consultataEsti M., Panfili G., Marconi E., Trivisonno M.C., 1997 – Valorization of the honeys from the Molise region through physico-chemical, or-

ganoleptic and nutritional assessment. Food Chem. 58 (1-2): 125-128.Regione Molise – Direzione generale III delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali: Piano forestale regionale 2002-2006 (http://regio-

ne.molise.it/pianoforestaleregionale/)

Origine dei dati melissopalinologici N campioni Area dello studio

Sabatini A.G., Grillenzoni F.V., Mascia M., Di Nardo M., 2003 - I mieli del Molise. Studio di caratterizzazione nell'ambito del programma "Qualità miele". - Apitalia, 1-2 /03: 27-30; 3/03: 23-27. 164 Intera regione

Dati originali Istituto Sperimentale Zoologia Agraria – Sez. Apicoltura, Roma 46 Intera regione Dati originali Apishare s.r.l., Monterenzio (BO) 34 Intera regione TOTALE CAMPIONI 244

da Hedysarum, Trifolium pratense s.l., Papaver, Cruciferae,Rubus e, in misura minore, Onobrychis, Olea e Gramina-ceae altre.I mieli di produzione più precoce, millefiori primaverili esulla, sono caratterizzati da una particolare abbondanzae varietà di Leguminosae (oltre a quelle già citate, Trifo-lium repens, Lotus, Coronilla/Hippocrepis, etc.) accompa-gnate da altre specie a fioritura primaverile, quali frutti-feri (Malus/Pyrus e Prunus), Salix e Quercus.Nei millefiori prodotti nella stagione più avanzata com-paiono Umbelliferae, Helianthus, Labiatae esacolpate, Ai-lanthus, Rhamnaceae, Castanea, Clematis, Asparagus acuti-folius e Hedera. Nei mieli di girasole, di produzione esti-va, oltre ad alcune delle specie già citate per i millefioritardivi, l’ambiente di produzione si riflette nella maggio-re frequenza di specie associate ai coltivi: Amarantha-ceae/Chenopodiaceae, diverse Compositae, Cucurbita-ceae, Zea. In questi mieli, possono riscontrarsi specieappartenenti ad aree climaticamente estranee alla re-gione, quali Eucalyptus e, più sporadicamente, Citrus: que-ste presenze si possono interpretare come residui diprecedenti raccolti ottenuti in altre aree da apicoltorinomadisti.

Tipi pollinici più frequenti nei mieli del Molise. In giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia. * = specie non nettarifere.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli del Molise 73

Millefiori Sulla Girasole Hedysarum Trifolium pratense s.l. Papaver* Cruciferae Rubus Onobrychis Trifolium repens Graminaceae altre* Lotus Malus/Pyrus Salix Olea* Umbelliferae

Hedysarum Onobrychis Papaver* Cruciferae Rubus Robinia Trifolium pratense s.l. Salix Graminaceae altre* Quercus* Trifolium repens Lotus

Helianthus Hedysarum Papaver* Cruciferae Rubus Trifolium pratense s.l. Umbelliferae Asparagus acutif. Amaranth./Chenop.* Compositae S Eucalyptus Compositae T

Castanea Compositae T Prunus Helianthus Labiatae esacolpate Robinia Ailanthus Coronilla/Hippocr. Eucalyptus Rhamnaceae Borago Asparagus acutif. Galega Trifolium hybridum Clematis Compositae S Plantago* Quercus* Hedera Centaurea jacea Medicago Allium Sambucus nigra* Vicia s. l.

Malus/Pyrus Olea* Prunus Coronilla/Hippocr. Rhamnaceae Umbelliferae Eucalyptus Borago Sambucus nigra* Castanea Labiatae esacolpate Allium Echium Liliaceae altre s.l.

Graminaceae altre* Olea* Onobrychis Trifolium repens Fraxinus ornus* Reseda Allium Compositae A Compositae H Cucumis Melilotus Rhamnaceae Pinaceae* Zea*

Capitolo XVII

CARATTERISTICHE MELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DELLA CAMPANIA

di Paola Belligoli, Livia Persano Oddo e Pasquale Mazzone

Cenni geografico-vegetazionali

La Campania occupa complessivamente una superficiedi 13.590 Km2. Si affaccia a ovest e a sud sul mar Tirre-no, con 430 km di coste che si estendono tra la focedel Garigliano e la baia di Sapri (golfo di Policastro), for-mando i quattro golfi di Gaeta, Napoli, Salerno e Polica-stro. Verso l’interno la regione confina a nord con Lazioe Molise, a est con Puglia e Basilicata. Il territorio è prevalentemente collinare (51%) e mon-tuoso (34%), con solo il 15% di pianura, e può esseresuddiviso, dal punto di vista orografico, in due zone bendelineate che si estendono da nord-ovest a sud-estparallelamente alla costa. La fascia più interna è costituita dai gruppi montuosidell’Appennino Campano e Lucano: Monti del Matese,che culminano con il monte Miletto (2.050 m) al confi-ne con il Molise, M. del Sannio, M. dell’Irpinia, M. Picenti-ni (con il M. Cervialto, 1.809 m), M. Alburno (1.742 m) eM. Cervati (1.899 m). Alla fascia appenninica segue, procedendo verso la co-sta tirrenica, l’Antiappennino campano, costituito dagruppi montuosi isolati e da basse colline d’origine vul-canica o sedimentaria, separate dalle pianure alluvionaliformate dal Garigliano, dal Volturno (la Pianura Campa-na propriamente detta), dal Sarno e dal Sele: l’apparatovulcanico di Roccamonfina (1.006 m), la regione vulcani-ca dei Campi Flegrei, con le isole costiere che ne rap-presentano il naturale prolungamento (Ischia, Procida,Vivara e Nisida), il Vesuvio (1.279 m), che domina il Gol-fo di Napoli, e i rilievi calcarei del Massico, dei montiLattari (che si prolungano nella penisola sorrentina enell’isola di Capri) e del Cilento.I fiumi si riversano per lo più nel Tirreno e presentano uncorso tortuoso, tra ripide gole. I principali corsi d’acqua, aregime pressoché costante, sono il Garigliano, al confinecon il Lazio, il Volturno e il Sele; i corsi d’acqua minori han-no invece regime prevalentemente torrentizio. In Campaniahanno la loro sorgente alcuni fiumi che si gettano nell’A-driatico, come l’Ofanto. Ai piedi dei rilievi calcarei sono fre-quenti le sorgenti d’acqua e si verificano fenomeni carsici.

Il clima, lungo la fascia costiera e sui bassi rilievi preap-penninici, è caratterizzato da inverni miti e moderata-mente piovosi e da estati relativamente fresche easciutte; le temperature medie si situano intorno ai17ºC. Verso l’interno le escursioni termiche aumentanoprogressivamente, fino a valori che sono tipici dei climicontinentali delle basse latitudini. Le precipitazioni an-nue oscillano fra gli 800 e i 1.000 mm lungo le coste,mentre possono raggiungere i 2.000 mm sui rilievi. Le aree protette coprono una superficie pari al 25% circadella superficie regionale e comprendono 2 parchi nazio-nali (Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, ParcoNazionale del Vesuvio), 7 parchi regionali, 4 riserve natu-rali statali, 4 riserve naturali regionali, 4 aree protette.Le favorevoli condizioni climatiche danno vita ad unavegetazione ricca e rigogliosa, differenziata in quattroprincipali fasce altimetriche (Ricciardi e Aronne, 2003):mediterranea (da 0 a 500 m circa), sannitica (500 - 1000m), atlantica (1000 - 1800 m) e mediterraneo-altomon-tana (oltre i 1800 m).Nella fascia mediterranea, l’antica Campania felix, estesadal litorale ai primi sistemi collinari, si trova la massimaconcentrazione delle aree agricole e urbane, mentre lavegetazione naturale, rappresentata da aspetti più o menodegradati di macchia mediterranea, rimane circoscritta apoche e ristrette aree a minore antropizzazione; in questafascia altitudinale le formazioni forestali sono praticamen-te scomparse. I litorali sabbiosi sono colonizzati da unarada vegetazione pioniera, fra cui si annoverano la ruchet-ta di mare (Cakile maritima), il convolvolo delle sabbie(Calystegia soldanella), il giglio di mare (Pancratium mariti-mum), la medica marina (Medicago marina), la camomilla dimare (Anthemis maritima), le composite Xanthium struma-rium e Otanthus maritimus, l’ombrellifera Eryngium mariti-mum. Seguono formazioni a gariga e a macchia bassa, conspecie arbustive e lianose, quali rosmarino (Rosmarinus of-ficinalis), erica multiflora (Erica multiflora), lavanda selvatica(Lavandula stoechas), cisti (Cistus spp.), ginepro coccolone(Juniperus oxycedrus), mirto (Myrtus communis), lentisco (Pi-stacia lentiscus), alaterno (Rhamnus alaternus), caprifoglio(Lonicera implexa), clematide (Clematis flammula). Nellearee rupestri è diffusa l’euforbia arborea (Euphorbia den-droides). Dove la macchia diviene più alta predominanoleccio (Quercus ilex), fillirea (Phyllirea latifolia), erica arborea(Erica arborea), corbezzolo (Arbutus unedo).Le zone collinari sono quasi completamente destinatead uso agricolo. Vi sono quindi diffuse specie coltivate,molte delle quali rivestono notevole importanza per laproduzione di miele (agrumi, fruttiferi, foraggere, oleagi-nose). Interessanti ai fini della raccolta di nettare e polli-ne da parte delle api anche alcune specie associate all’a-gricoltura (erba viperina, papavero, composite, ginestri-no), specie ruderali e dei bordi stradali (borragine, sam-buco, ombrellifere) alberature stradali e specie orna-mentali (palme, ailanto, tiglio).Nella fascia sannitica, fra i 500 e i 1000 m di altitudine, la

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formazione più diffusa è il bosco caducifoglio: bosco a ro-verella (Quercus pubescens), bosco misto a orniello (Fraxi-nus ornus) e carpino nero (Ostrya carpinifolia), bosco a cer-ro (Quercus cerris) e ad ontano napoletano (Alnus cordata).Un posto di rilievo rivestono, anche ai fini apistici, i casta-gneti (Castanea sativa), estesamente coltivati per il fruttoo, tenuti a ceduo, per il legname. In questa fascia sono an-che frequenti diverse specie di aceri (Acer spp.) e, in misu-ra inferiore, tiglio (Tilia platyphyllos) e sorbo degli uccella-tori (Sorbus aucuparia). Nello strato arbustivo sono comu-ni biancospino (Crataegus monogyna), sanguinella (Cornussanguinea), evonimo (Euonymus europaeus), ginestra deicarbonai (Cytisus scoparius), coronilla (Coronilla emerus), li-gustro (Ligustrum vulgare), rovo (Rubus spp.) e alcune lia-nose, quali edera (Hedera helix), vitalba (Clematis vitalba) ecaprifogli (Lonicera spp.); fra le specie che costituiscono lostrato erbaceo sono frequenti anemoni, ranuncoli, primu-le, ciclamini, pervinca, asparago selvatico. Negli spazi prividi vegetazione arborea sono relativamente frequenti pa-

scoli naturali a graminacee e leguminose. Fra le specie col-tivate è di particolare interesse apistico la sulla (Hedysa-rum coronarium). Importante ai fini della produzione dimiele è anche la robinia (Robinia pseudoacacia), diffusa lun-go i margini stradali o in piccoli nuclei boschivi. Nella fascia atlantica, al di sopra dei 1000 m di quota(Appennino Campano), la vegetazione è rappresentataprincipalmente dal bosco di faggio (Fagus sylvatica), puroo più raramente accompagnato dall’ontano napoletano.Fra le specie del sottobosco vanno ricordati l’agrifoglio(Ilex aquifolium), le belle fioriture di alcune bulbose pri-maverili (Galanthus nivalis, Scilla bifolia, Crocus neapolita-nus), viole, ranuncoli, ginestrino (Lotus corniculatus).La fascia mediterraneo-altomontana, superiore ai 1800m, è poco estesa e per lo più caratterizzata da substra-to roccioso e pendenze ripide che consentono scarsi eradi insediamenti vegetali, fra cui rientrano tuttavia alcu-ne specie di buon interesse apistico, quali timo, eliante-mo, santoreggia, valeriana, sassifraga.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Campania 75

Aspetti dell’apicoltura

Secondo i dati MiPAAF 2006, il patrimonio apistico dellaCampania ammonta a 48.208 alveari, detenuti da 742apicoltori. Prevale un’apicoltura di tipo estensivo, carat-terizzata da un numero di alveari per apicoltore relati-vamente elevato, ma da tecniche produttive spesso ina-deguate e poco razionali, che comportano basse produ-zioni per alveare, maggiori costi di produzione e mag-giori difficoltà nella gestione sanitaria.Ciò evidenzia la necessità di incrementare gli interventidi assistenza tecnica e formazione a favore degli opera-tori del settore, per favorire la crescita strutturale del-l’intero comparto e razionalizzare lo sfruttamento delleelevate potenzialità produttive della regione (Mazzone ePersano Oddo, 2003).

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

Fra i mieli prodotti in Campania prevalgono le tipologiemultiflorali. I mieli uniflorali corrispondono a circa un ter-zo della produzione e sono rappresentati soprattutto dasulla (province di Avellino, Benevento e Salerno) e casta-gno (nelle zone alto-collinari di tutta la regione e soprat-tutto nelle province di Avellino e Benevento); discreteproduzioni possono ottenersi anche da robinia (provincedi Napoli, Caserta e Salerno), agrumi (Napoli e Caserta)e melata (Caserta, Napoli e Salerno); sporadicamente, inzone circoscritte, si ottengono mieli di eucalipto (lungole zone costiere), erica e corbezzolo (nel Cilento), gira-sole (Avellino) e trifoglio (Napoli, Salerno). Dal punto di vista melissopalinologico l’aspetto che ca-ratterizza i mieli della regione è la presenza pressochécostante di: Castanea, Cruciferae, Trifolium repens, Rubus,Eucalyptus, Oleaceae e Hedysarum.Nei mieli primaverili, sia multiflorali che uniflorali di sul-la, robinia e agrumi, sono ricorrenti i pollini di specie af ioritura precoce , qual i Lotus , Borago , frutt i feri

(Malus/Pyrus e/o Prunus), Salix e Graminaceae altre. Neimieli di specie a polline iporappresentato (robinia eagrumi) acquistano rilevanza i pollini di piante non net-tarifere, quali Papaver, Quercus robur, Q. ilex. e Sambucusnigra. Nei mieli di agrumi lo spettro pollinico è comple-tato da specie avventizie associate ai coltivi, qualiEchium e Compositae S.I mieli di produzione più tardiva (melata e millefioriestivi) sono meno uniformi: in particolare, rispetto al-l’associazione regionale tipica sono meno ricorrentiHedysarum, Cruciferae e Oleaceae, mentre lo sono dipiù Clematis e Umbelliferae.Elementi caratteristici, anche se non costanti, sono rappre-sentati da Diospyros (soprattutto nella provincia di Napoli),Phoenix (in alcuni mieli costieri), Ailanthus (negli ambientipiù urbanizzati, e in percentuali relativamente elevate nellaprovincia di Napoli), Erica (soprattutto nella provincia diSalerno, dove può dare produzioni uniflorali).In circa un terzo dei campioni è presente, in percentuali va-riabili, Trifolium pratense s.l. Questi campioni presentano unacerta similitudine con i mieli del Lazio, dai quali possonogeneralmente differenziarsi per la maggiore frequenza diHedysarum e per le più basse percentuali di Eucalyptus. È interessante notare come nei mieli prodotti negli annipiù recenti (Belligoli et al., 2003, 2005) si riscontrano al-cune importanti differenze rispetto ai mieli studiati inprecedenza (Ricciardelli D’Albore e Priore, 1980), cer-tamente da collegare alle variate condizione dell’agroe-cosistema. In particolare è significativa la minore pre-senza di leguminose, soprattutto per quanto riguarda Vi-cia s.l. (presente in quasi tutti i campioni dello studio del1980) e Onobrychis (che caratterizzava i mieli delle pro-vince di Benevento e Avellino); risulta oggi meno abbon-dante (sia come ricorrenza che in termini percentuali)lo stesso Hedysarum, che pure rimane una delle specietipiche dei mieli campani. Maggiormente ricorrenti risul-tano invece i pollini iperreppresentati di Castanea e Eu-calyptus, probabilmente in relazione a una più diffusapratica del nomadismo.

76 I mieli regionali italiani

Origine dei dati melissopalinologici N campioni Area dello studio

Belligoli P., Mazzone P., Persano Oddo L., Piana L., Piperno S. Allegrini F., 2005 – Produrre miele in Campania come ottima fonte di reddito. Apitalia, 10/05: 14-18. 311 Intera regione

Belligoli P., Persano Oddo L., Allegrini F., Carbone S., Faraone Mennella G.F., Mazzone P., Piperno S., Valvini O., 2003 – Caratterizzazione dei mieli prodotti in Campania. In: Mazzone P., Persano Oddo L. (a cura di) - Apicoltura e mieli della Campania. Regione Campania, Assessorato all’Agricoltura, Note informative n. 15: 61-80.

182* Intera regione

Ricciardelli D’Albore G., Priore R., 1980 – Origine botanica dei mieli della Campania. Annali Fac. Agr. Univ. Portici, 14: 32-52. 66 Intera regione

TOTALE CAMPIONI 377

* Dati successivamente inclusi nel lavoro conclusivo (Belligoli et al., 2005)

Altra bibliografia consultataBelligoli P., Persano Oddo L., Mazzone P., 2003 – Schede delle principali piante mellifere della Campania. In: Mazzone P., Persano Oddo L.

(a cura di) - Apicoltura e mieli della Campania. Regione Campania, Assessorato all’Agricoltura, Note informative n. 15: 81-107.Ferrazzi P., Priore R., 1987 – Contributo alla conoscenza dell’attività bottinatrice di Apis mellifera L. sulla flora della Campania. I. Annali

Fac. Sci. Agr. Univ. Torino, XIV: 213-235.

Mazzone P., Persano Oddo L. (a cura di), 2003 – Apicoltura e mieli della Campania. Regione Campania, Assessorato all’Agricoltura, Noteinformative n. 15.

Ricciardi M., Aronne G., 2003 – La vegetazione naturale della Campania. Caratteristiche generali. In: Mazzone P., Persano Oddo L. (a curadi), Apicoltura e mieli della Campania. Regione Campania, Assessorato all’Agricoltura, Note informative n. 15: 53-60.

Scala M., Aronne G., 2003 – Caratterizzazione melissopalinologica dei mieli della Penisola Sorrentina. Giornate scientifiche del Polo delleScienze e delle Tecnologie per la Vita, Napoli, 5-6 Giugno: 487.

Tipi pollinici più frequenti nei mieli della Campania.In giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia. * = specie non nettarifere.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Campania 77

Millefiori Sulla Castagno Agrumi Robinia Melata

Castanea Cruciferae Rubus Trifolium repens Eucalyptus Oleaceae* Hedysarum

Hedysarum Castanea Oleaceae* Lotus Cruciferae Borago Rubus Eucalyptus Trifolium repens Malus/Pyrus Salix Graminaceae altre*

Castanea Rubus Oleaceae* Trifolium repens Eucalyptus

Citrus Cruciferae Oleaceae* Trifolium repens Eucalyptus Papaver* Prunus Castanea Hedysarum Lotus Graminaceae altre* Echium Compositae S

Robinia Oleaceae* Cruciferae Papaver* Castanea Trifolium repens Lotus Graminaceae altre* Quercus robur* Prunus Quercus ilex* Sambucus nigra*

Castanea Eucalyptus Cruciferae Rubus Trifolium repens Clematis Umbelliferae

Lotus Echium Papaver* Compositae S Borago Salix Graminaceae altre* Malus/Pyrus Prunus Trifolium pratense s.l. Robinia Quercus robur* Quercus ilex* Citrus Ailanthus

Compositae S Quercus robur* Trifolium pratense s.l. Robinia Papaver* Prunus Onobrychis Quercus ilex*

Hedysarum Cruciferae Echium Graminaceae altre* Quercus ilex* Clematis Umbelliferae Papaver* Compositae T Urticaceae s.l.*

Robinia Salix Quercus robur* Sambucus nigra* Liliaceae altre s.l. Vicia s. l. Trifolium pratense s.l. Quercus ilex* Compositae T Borago Compositae A

Borago Cistaceae* Citrus Malus/Pyrus Eucalyptus Urticaceae s.l.* Trifolium pratense s.l. Vicia s. l. Genista Diospyros Gleditsia Plantago* Rubus Salix Umbelliferae

Echium Scrophular. altre Ailanthus Compositae S Phoenix* Trifolium pratense s.l. Lotus Hedysarum Graminaceae altre* Compositae T Oleaceae* Asparagus acutif. Artemisia*

Capitolo XVIII

CARATTERISTICHE MELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DELLA PUGLIA

di Paola Belligoli, Raffaele Monaco, Livia Persano Oddo e Maria Lucia Piana

Cenni geografico-vegetazionali

La Puglia, il tacco d’Italia, si estende nell’estremo sud-estdella penisola, con una superficie di 19.347 km2. Confinaa ovest con la Basilicata, la Campania e il Molise, ed èbagnata a nord-est dal Mare Adriatico e a sud-ovest dalMare Ionio. Appartiene alla regione l’arcipelago delleIsole Tremiti, situato nel Mare Adriatico a nord del pro-montorio del Gargano.Rispetto alle altre regioni italiane, il territorio della Pu-glia è relativamente uniforme, prevalentemente pianeg-giante (53%) e collinare (45%). Solo nella parte setten-trionale della regione esistono alcuni rilievi: i monti del-la Daunia, al confine con Campania e Molise (M. Cor-nacchia, 1.151 m e M. Saraceno, 1.145 m), e il promon-torio del Gargano (M. Calvo, 1.065 m).La parte pianeggiante è formata dal Tavoliere delle Pu-glie, dalla parte più bassa delle Murge e dalla pianura sa-lentina. Il Tavoliere è un’estesa zona di circa 3.000 km2,solcata da torrenti e fiumi; molte zone paludose di que-sto territorio sono state bonificate per renderle colti-vabili. Le Murge sono un altopiano ondulato di compo-sizione carsica (vi si trovano le famose Grotte di Ca-stellana) che si trova a sud del Tavoliere. Il Salento (openisola salentina) ha la stessa natura delle Murge, ma èpiù basso e meno fertile. I fiumi, scarsi e poveri d’acqua, sono concentrati nellaparte settentrionale della regione; i più importanti sonol’Ofanto e il Fortore che segna il confine con il Molise.In prossimità del Gargano vi sono i 2 laghi costieri piùvasti d’Italia, il Lago di Lesina e quello di Varano, profon-di pochi metri. Altri laghi costieri, i Laghi Alìmini, si tro-vano in Salento, nella zona di Otranto. Sono anche chia-mati “laghi” le depressioni carsiche in cui si accumulanotemporaneamente acque meteoriche in relazione allapiovosità stagionale (laghi di Conversano).La Puglia è la regione meno piovosa d’Italia. Il clima è ti-picamente mediterraneo, caldo secco d’estate e mited’inverno, ma nelle zone più interne e più alte delleMurge, nei monti Dauni e nel Gargano, il clima è più

continentale e durante gli inverni si hanno maggiori pre-cipitazioni piovose e anche nevose.La configurazione allungata, l’orografia (e connessi regi-mi termo-pluviometrici) e la natura morfo-geo-minera-logica (con 23 unità litologiche sparse a mosaico sulterritorio) sono alla base di una analoga variabilità nellacomposizione e nella distribuzione delle fitocenosi checaratterizzano la regione. La vegetazione rientra quasiinteramente nella fascia mediterranea: termomediterra-nea fino ai rilievi di bassa quota e submediterranea suiMonti Dauni e sul Gargano. Le formazioni boschive so-no limitate alle aree collinari e montane e occupanocirca il 5% del territorio (il principale complesso bo-schivo è rappresentato dalla celebre Foresta Umbra, si-tuata nella zona centro-orientale del promontorio delGargano); vi prevalgono diverse specie di querce, conristrette aree a castagneto (una decina di ettari nellaparte alta della Murgia barese e una trentina di ettarisulle alture del Gargano). Alle massime quote della Dau-nia e del Gargano cresce il faggio, che tuttavia presentain Puglia adattamenti altitudinali del tutto inconsueti,con infiltrazioni che giungono fino alla fascia del Laure-tum. Importanti interventi di riforestazione sono statiattuati in passato nel sub-appennino dauno, nel Garganoe nelle Murge: prevalentemente a conifere (in particola-re pino d’Aleppo), ma anche a latifoglie, fra cui meritamenzionare per il suo elevato interesse apistico la Ro-binia, impiegata nel sub-appennino dauno.Relativamente diffusi i pascoli e prati-pascoli, in passatomolto estesi e oggetto di intensa transumanza dal vici-no Abruzzo. I principali costituenti botanici di questepraterie sono rappresentati da diverse specie di Grami-naceae, Leguminosae (Trifolium, Lotus, Vicia, Melilotus,Astragalus, Hippocrepis, Onobrychis, Anthyllis, Dorycnium,Medicago, etc) e Umbelliferae; sui terreni più superficialie battuti dai venti, abbondano Labiatae, Asphodelus, Ci-staceae e Compositae.Fra le specie di interesse apistico va ricordato l’eucalip-to, impiantato a partire dagli anni ’30 nelle zone di boni-fica e per barriere frangivento. Ai margini dei campi enelle zone brulle e incolte è ampiamente diffuso il ficod’india (Opuntia ficus-indica). Una riflessione particolaremeritano le crucifere spontanee, fra cui in Puglia è diparticolare interesse Diplotaxis erucoides, ruchetta viola-cea (detta in vernacolo marascione o cima di ciuccio),specie infestante autunno-primaverile che forma fitti edestesi tappeti bianchi nei vigneti e negli oliveti: è la spe-cie prevalente nel fornire alle colonie le scorte inverna-li, ma è anche una trappola mortale negli oliveti in au-tunno, allorché vengono eseguiti trattamenti con inset-ticidi, contro la mosca delle olive, o erbicidi per prepa-rare le piazzole per la raccolta delle olive. In Puglia, nonostante le condizioni ambientali e climati-che sfavorevoli di molte zone, l’agricoltura rappresentauna risorsa primaria e viene praticata a livello intensivoe moderno. La produzione agricola è una delle più rile-

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vanti in Italia, in particolare per la produzione di olio, vi-no e uva da tavola. Tra le colture arboree di interesse api-stico vanno citati in primo luogo gli agrumi e il ciliegio. Lacoltura del ciliegio merita alcune considerazioni: se necoltivano in Puglia 16.000 ha (metà dalla superficie nazio-nale interessata da questa coltura), prevalentemente nellaprovincia di Bari; le cultivar sono quasi tutte autosterili erichiederebbero, per l’impollinazione, l’impiego di 60.000-70.000 alveari: questo servizio è assicurato, seppur in mi-sura insufficiente, da apicoltori nomadisti di altre regioni,mentre è più modesto l’apporto degli apicoltori pugliesi.Di importanza inferiore, ai fini apistici, le altre colture difruttiferi (pesco, albicocco, susino, pero, melo, cotogno,etc.), presenti con appezzamenti di minori dimensioni opiante sparse. Il mandorlo, sempre più relegato in areemarginali, sopravvive ancora in provincia di Bari con qual-che impianto specializzato: è soprattutto interessante perla fioritura molto precoce (fine gennaio-febbraio), cheaiuta la ripresa delle colonie. Tra le specie erbacee coltivate è diminuita la presenzadel girasole, ampiamente fluttuante, in funzione dei con-tributi dell’Unione Europea. Un discreto apporto all’api-coltura in provincia di Bari, relativamente alla parte col-linare, è fornito dai prati artificiali di trifoglio, funzionalialla zootecnia bovina. Modesti apporti di polline e dinettare sono forniti da piante ortensi e talora da pianteornamentali di ville, parchi e giardini.

Aspetti dell’apicoltura

L’apicoltura in Puglia ha tradizioni antichissime e condiffusione capillare, come testimonia la presenza, spe-cialmente nel Salento, dei caratteristici apiari di arnie ditufo ormai inattivi (Monaco, 1978, Masetti, 2004), ma haconosciuto nel tempo alti e bassi in funzione delle vi-cende umane e socio-economiche della regione. L’even-to Varroa, che tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli an-ni ’90 ha quasi azzerato l’apicoltura pugliese (a queltempo largamente praticata con bugni rustici), non èancora stato del tutto superato, contrariamente a quan-to avvenuto in altre regioni italiane.Anche l’intenso sviluppo agricolo caratteristico della re-gione può essere di ostacolo all’attività apistica, e in al-cune aree, come nel Tavoliere foggiano, nel nord bareseed in alcune zone del Brindisino, l’apicoltura è comple-tamente assente, vuoi per la totale eliminazione dellaflora spontanea, vuoi per l’impiego massiccio e genera-lizzato di fitofarmaci (va ricordato che la Puglia è l’unicaregione italiana priva di norme riguardanti l’applicazionedegli antiparassitari).Attualmente il patrimonio apistico della Puglia è di 14.200alveari (dati MiPAAF 2006), che corrispondono a una den-sità di 0,7 alveari/km2, molto inferiore al valore medio ita-liano e in assoluto il più basso rispetto a tutte le altre re-gioni: questo dato potrebbe essere tuttavia alquanto sot-

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Puglia 79

tostimato, non includendo probabilmente una fascia “som-mersa” di apicoltori non professionisti. Esistono attualmente in Puglia pochissimi apicoltori conoltre 500 alveari e la produzione di miele è l’attivitàprevalente. La diversificazione delle attività è modesta,limitata a pochi allevatori (servizio di impollinazione,produzione di gelatina reale, api regine, pacchi di api, nu-clei destinati all’impollinazione in serra). Sono attive quattro associazioni (di cui una a carattereinterregionale), che rappresentano circa 120 apicoltori,con 6.500-7.000 alveari.

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

La Puglia è la regione meno studiata dal punto di vistadella produzione e caratterizzazione del miele e si dis-pone di un solo studio melissopalinologico, relativo aimieli di rosmarino del Gargano (Persano Oddo et al.,1998). Le note qui riportate si riferiscono ad una cam-pionatura complessiva di 156 mieli, in gran parte raccoltiespressamente per questo studio, che è da considerarecome un primo contributo alla conoscenza dei mieli diquesta regione, insufficiente tuttavia a descrivere le pe-culiarità e la ricchezza dei diversi comprensori vegeta-zionali.Dalla campionatura analizzata, le produzioni principali ri-sultano quelle di miele millefiori (poco meno del 50%),agrumi, eucalipto, rosmarino (limitatamente all’area delGargano) e timo; più sporadicamente si possono ottene-re mieli di ciliegio, marruca, trifoglio, crocifere, sulla, gira-sole, robinia, melata e asfodelo.Dal punto di vista melissopalinologico l’aspetto che ca-ratterizza i mieli pugliesi è la presenza pressoché costan-te di Cruciferae, Lotus, Olea, Eucalyptus, Papaver eTrifoliumrepens. Meno regolare ma tipica è la presenza di Alkanna.

Nei mieli primaverili, sia multiflorali che uniflorali diagrumi, oltre alle specie già citate, sono ricorrenti i polli-ni di specie a fioritura precoce, della vegetazione sponta-nea (Cistaceae, Quercus ilex e Q) e dei coltivi (Citrus, frut-tiferi, soprattutto Prunus, Hedysarum, diversi Trifolium,Echium, Vicia s. l., Compositae).Il miele di eucalipto appare alquanto povero di specie acausa all’estrema iperrappresentatività del polline domi-nante. Si può segnalare la presenza di Scrophulariaceaealtre (soprattutto Verbascum), Liliaceae s.l. (soprattuttoAsparagus acutifolius) ed Helianthus, che condividono conl’eucalipto l’epoca di fioritura.I mieli di rosmarino si differenziano dagli altri mieli pri-maverili, oltre che per la presenza di Rosmarinus, per lamaggiore ricorrenza di specie mediterranee a fiorituraprecoce (Rhamnaceae, Pistacia, Fraxinus ornus, Alkanna e,in misura minore, Erica) e per la minore presenza di Oleae Papaver, specie tipiche di ambienti coltivati.Nei mieli di timo la percentuale del relativo polline èspesso molto bassa, a causa della sua iporappresentati-vità e della concomitante presenza di eucalipto, che èinvece iperrappresentato; lo spettro pollinico presentaalcune analogie con il miele di eucalipto (Scrophularia-ceae altre, Liliaceae s.l.), ma si caratterizza per la pre-senza di tipi che non compaiono o sono meno frequen-ti negli altri tipi di miele, quali Linaria, Parthenocissus eCotinus/Schinus.Rispetto alle altre regioni meridionali, con le qualicondivide l’associazione Eucalyptus-Olea, nei mieli pu-gliesi è caratteristica la minore ricorrenza delle speciedi ambiente boschivo collinare, in particolare il casta-gno, la maggiore abbondanza di specie associate aicoltivi (Cruciferae, Lotus, Trifolium) e la frquente pre-senza di Alkanna, specie di incolti aridi dell’estremosud d’Italia, generalmente non riscontrata nei mieli dialtre regioni.

80 I mieli regionali italiani

Rosmarinus officinalis Diplotaxis erucoides

Altra bibliografia consultataMasetti N.L., 2004 - Puglia: il simbolismo del miele e delle api. L’Apis, XII (3): 31-33.Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, 1976 – Carta della montagna. Vol. II Monografie regionali. 16 - Puglia. Geotecneco, San Loren-

zo in Campo (Pesaro).Monaco R., 1978 - Profili di apicoltura tradizionale in Puglia. Annali della Facoltà di Agraria dell’Università di Bari, XXX: 630-667.

Tipi pollinici più frequenti nei mieli della PugliaIn giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia. * = specie non nettarifere.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Puglia 81

Origine dei dati melissopalinologici N campioni Area dello studio

Persano Oddo L., Festuccia N., Quaranta N., 1998 - Il miele di rosmarino (Rosmarinus officinalis L.) prodotto in Italia: caratteristiche melissopalinologiche e organolettiche. L’Ape nostra amica, 20 (1): 6-20. 13 Gargano

Dati originali Istituto Sperimentale Zoologia Agraria – Sez. Apicoltura, Roma 143 Intera regione TOTALE CAMPIONI 156

Millefiori Agrumi Eucalipto Rosmarino Timo

Cruciferae Papaver* Olea* Lotus Eucalyptus Trifolium repens Trifolium pratense s.l. Rubus Graminaceae altre* Malus/Pyrus Umbelliferae Echium Prunus

Citrus Cruciferae Olea* Papaver* Eucalyptus Cistaceae* Graminaceae altre* Echium Lotus Prunus Compositae A Hedysarum Vicia s. l. Quercus ilex* Trifolium repens Trifolium incarnatum Vitis*

Eucalyptus Cruciferae Papaver* Scrophular. altre Helianthus Lotus Olea* Trifolium repens Liliaceae s.l.

Rosmarinus Lotus Cruciferae Rhamnaceae Cistaceae* Eucalyptus Pistacia* Malus/Pyrus Fraxinus ornus* Prunus Pinaceae* Trifolium repens Alkanna Compositae T Hedysarum Quercus robur*

Thymus Eucalyptus Papaver* Cruciferae Scrophular. altre Linaria Lotus Olea* Parthenocissus Vicia s. l. Liliaceae s.l. Alkanna Echium Rubus Cotinus/Schinus Trifolium repens Vitis* Citrus Quercus ilex*

Quercus ilex* Compositae S Reseda Trifolium incarnatum Vicia s. l. Citrus Asparagus acutif. Hedysarum Castanea Cistaceae* Helianthus Rhamnaceae Compositae T Coronilla/Hippocr. Linaria Melilotus Quercus robur* Salix

Rhamnaceae Compositae S Actinidia* Alkanna Salix Trifolium pratense s.l. Castanea Fragaria/Potentilla Malus/Pyrus Umbelliferae Acacia Quercus robur* Betulaceae/Coryl.* Ranunculaceae altre

Castanea Hedysarum Trifolium pratense s.l. Rubus Umbelliferae Citrus Cucumis Compositae S Echium Parthenocissus Vicia s.l. Rhamnaceae Linaria

Umbelliferae Erica Rubus Castanea Cupressaceae/Tax.* Salix Tamarix Acer Echium Olea* Papaver* Rosaceae altre Amaranth./Chenop.* Coronilla/Hippocr. Oxalis pes-capreae Asphodelus

Graminaceae altre* Nigella Rhamnaceae Trifolium incarnatum Compositae S Hedysarum Phoenix*

Capitolo XIX

CARATTERISTICHE MELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DELLA BASILICATA

di Giancarlo Ricciardelli D’Albore e Livia Persano Oddo

Cenni geografico-vegetazionali

La Basilicata, posta a cavaliere dell’Appennino Lucano, siestende su una superficie di 9.995 km2. Confina a ovestcon la Campania, a nord e a est con la Puglia, a sud conla Calabria; a sud-ovest si affaccia sul Mar Tirreno perun tratto di 15 Km (golfo di Policastro) e a sud-est sulMar Ionio per un tratto di 50 Km (golfo di Taranto). Il territorio è prevalentemente montuoso (47%) e colli-nare (45%); l’unica fascia pianeggiante (8%) si apre lungola costa ionica, mentre il litorale tirrenico appare alto eroccioso. All’interno si distinguono due zone: quella oc-cidentale costituita dal vasto nucleo montuoso dell’Ap-pennino Lucano, che rappresenta la continuità delladorsale appenninica fra la Campania e la Calabria, equella orientale, collinare, costituita da terreni marnosie argillosi facilmente erodibili.La dorsale appenninica segue nella regione un andamen-to abbastanza frammentario. A settentrione, al confinecon la Campania, si innalza il massiccio vulcanico delVulture. Procedendo verso sud si incontrano i rilievimaggiori della regione, costituiti dai gruppi montuosidel Volturino, del Sirino e, sul confine calabrese, dal mas-siccio del Pollino, che si eleva oltre i 2.000 m.La fascia subappenninica orientale è caratterizzata da ri-lievi di media altezza degradanti verso l’altipiano puglie-se delle Murge.Il 30% del territorio è area protetta e annovera, oltre alParco Nazionale del Pollino, che è il più grande d’Italia,due parchi regionali e sei riserve naturali regionali.La Basilicata offre, nelle diverse zone morfologico-cli-matiche, una grande varietà di vegetazione. La fascia costiera tirrenica, presenta una ricca macchiamediterranea, con cisti (Cistus incanus e Cistus salvifolius),ginepro (Juniperus communis), erica (Erica arborea, E. mul-tiflora e E. scoparia), viburno (Viburnum spp.), rosmarino(Rosmarinus officinalis).La fascia litoranea ionica, più estesa, è prevalentementecoltivata: ampie estensioni sono utilizzate per la coltiva-zione dei cereali (soprattutto frumento ma anche ave-na, orzo e mais), per coltivi arborati (vigneti, uliveti, frut-

teti e agrumeti) e per alcune colture industriali come lacolza e la barbabietola da zucchero. Nelle zone collinarie nelle zone pianeggianti, specialmente nella valle delBasento, sono presenti rimboschimenti a Eucalyptus. Trale ornamentali sono da segnalare alcune specie di Pal-mae, molto appetite dalle api.Interessanti sono inoltre diverse specie erbacee sinan-tropiche, ruderali e infestanti che, grazie alla scalaritàdelle loro fioriture, contribuiscono alla preziosa variabi-lità vegetale e garantiscono alle api una continuità di ap-porto nutritivo. Tra queste citiamo l’erba viperina(Echium vulgare), la borragine (Borago officinalis), la fan-ciullaccia (Nigella damascena), il rosolaccio (Papaverrhoeas), i fiordalisi (Centaurea spp.), la malva (Malva sylve-stris), crucifere come la rucola selvatica (Diplotaxis eru-coides) e il ravanello (Rapistrum rugosum), Umbelliferae,Liliaceae e Scrophulariaceae.Sempre legate agli ambienti coltivati alcune specie arbo-ree, arbustive e rampicanti che partecipano, sia alle quo-te inferiori che nella fascia collinare, alla formazione disiepi e cespuglieti: rovo (Rubus ulmifolius), biancospino(Crataegus monogyna), prugnolo (Prunus spinosa), peromandorlino (Pyrus amygdaliformis), cornetta (Coronillaemerus), clematide (Clematis vitalba), edera (Hedera he-lix), albero del paradiso (Ailanthus altissima).Nella fascia collinare le aree utilizzate a fini agricoli sitrovano inframmezzate a boschi e boscaglie miste disempreverdi e caducifolie con carpini (Carpinus orienta-lis, Ostrya carpinifolia), leccio (Quercus ilex), locali adden-samenti di frassino meridionale (Fraxinus oxycarpa), e ar-busti della macchia mediterranea in cui le risorse apisti-che possono essere rappresentate da marruca (Paliurusspina-christi), acero (Acer spp.), biancospino, edera, rovo,prugnolo e ligustro (Ligustrum vulgare ). La vegetazionearbustiva ricopre estese superfici non più utilizzate peril pascolo o l’agricoltura: le risorse apistiche più rappre-sentative di questo tipo di vegetazione sono ginestre,biancospino, rovo, alaterno (Rhamnus alaternus), marru-ca e pero mandorlino. Frequente nelle aree collinari co-me anche nel piano basale, la robinia (Robinia pseudoaca-cia), che si adatta facilmente a situazioni degradate e an-tropizzate. La risorsa apistica di maggiore interesse aquote compre tra 500 e 1.100 m s.l.m. è il castagno (Ca-stanea sativa) sia coltivato per il frutto, che come com-ponente di boschi mesofili su suoli subacidi. I boschi mi-sti mesofili a prevalenza di cerro (Quercus cerris) offro-no come risorse l’orniello (Fraxinus ornus), il ligustro, ilvischio quercino (Loranthus europaeus), l’asparago pun-gente (Asparagus acutifolius), il pungitopo (Ruscus aculea-tus).Ad altitudini superiori predominano estese foreste difaggio (Fagus sylvatica), pure o in associazione con abetebianco (Abies alba) o Tiglio (Tilia cordata), e sono pre-senti piccole concentrazioni di pino loricato (Pinus leu-codermis), purtroppo a rischio di estinzione per l’espan-dersi di altre conifere.

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Il bosco copre quasi il 30% del territorio regionale, maambienti particolarmente interessanti per l’apicoltura so-no rappresentati anche dalle formazioni erbacee, diversifi-cate in varie tipologie in funzione di altitudine, esposizio-ne, tipo e uso del suolo (pascoli, radure del bosco o excoltivi). Le risorse apistiche di questi ambienti sono rap-presentate soprattutto dalle leguminose, come trifogli (Tri-folium pratense, T. incarnatum, T. repens), sulla (Hedysarumcoronarium), veccia (Vicia spp.), ginestrino (Lotus cornicula-tus), lupinella (Onobrychis spp.), meliloto (Melilotus spp.),ononide (Ononis spp.) e coronilla (Coronilla spp.). Nei pa-scoli aridi in altitudine sono presenti inoltre la calcatrep-pola (Eryngium spp.) e molte Labiatae, quali timo (Thymusserpyllum) e origano (Origanum vulgare).Lungo i corsi d’acqua sono frequenti salici (Salix spp),pioppi (Populus nigra e P. alba), ontano nero (Alnus gluti-

nosa) e vegetazione erbacea di ambienti umidi, qualimenta (Mentha spp) e tarassaco (Taraxacum officinale).

Aspetti dell’apicoltura

Secondo i dati MiPAAF (2006), nella Basilicata si conta-no 46.853 alveari. Secondo Fascetti e Spicciarelli (2001)il patrimonio apistico regionale è curato essenzialmenteda hobbisti e semiprofessionisti, in aziende non specia-lizzate, piccole e diffuse sul territorio: oltre il 50% degliapicoltori possiede un numero di alveari inferiore a 20,con una poroduzione annuale di miele inferiore ai 3 q,mentre i produttori professionisti o semiprofessionisticon più di 200 famiglie sono meno del 10%.Nell’ambito del programma apistico regionale, anche gra-zie ai contributi comunitari (Reg CE 1221/97 e 797/04),

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Basilicata 83

vengono attuate misure di assisten-za tecnica e formazione, ed è statoistituito un Albo regionale degli api-coltori.

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

I dati relativi ai tipi di miele prodottiin Basilicata sono desunti in partedalla bibliografia, in parte da analisimelissopalinologiche effettuatepresso il Dipartimento di Arbori-coltura e Protezione delle Piantedell’Università di Perugia e pressol’Istituto Sperimentale per la Zoolo-gia Agraria, Sezione di Apicoltura diRoma. Complessivamente la cam-pionatura di riferimento è rappre-sentata da 354 mieli.La produzione mellifera della Basili-cata risulta costituita per circa il70% da miele millefiori, ma buone sorgenti di miele uniflo-rale sono rappresentate da castagno, eucalipto e, in misuraminore, melata, agrumi e sulla. Sporadicamente possonoottenersi mieli uniflorali anche da trifoglio bianco, erica,marruca, robinia, edera, rosmarino e crocifere.Dal punto di vista melissopalinologico la caratteristicapiù evidente è la presenza pressoché costante del pollinedi castagno, in percentuali variabili e spesso elevate, cuisono associate forme ubiquitarie, quali Cruciferae, Rubus,vari Trifolium e Papaver. Una presenza caratterizzante èrappresentata dal polline di Palmae. Con minore costan-za sono presenti numerose forme di diversi ambienti fi-togeografici: pascoli montani (Onobrychis, Astragalus/Ono-nis, Sedum/Sempervivum, Thymus), bosco termofilo (Fraxi-nus ornus, Loranthus, Quercus e Rhamnaceae, soprattuttoPaliurus) e ambienti coltivati (Echium, Compositae S,Hedysarum, Trifolium incarnatum); non mancano elementifrancamente mediterranei, quali le Cistaceae. Nei millefiori primaverili è tipica la presenza di Salix e

84 I mieli regionali italiani

fruttiferi (soprattutto Malus/Pyrus). In quelli prodottinell’area del Pollino (alta e media valle del Sinni) pre-sentano una maggiore ricorrenza i pollini di Erica eHedysarum e sono molto meno frequenti Palmae e Pa-paver. Nei mieli di melata lo spettro pollinico denotaun’origine prevalentemente da latifoglie (querceti e ca-stagneti): rispetto all’associazione tipica regionale è me-no frequente il polline di Palmae ed è presente in oltreil 50% dei campioni il polline di Loranthus.A differenza di quanto descritto sopra, nei mieli prove-nienti dalla parte orientale che digrada verso il mare Io-nio, il polline di castagno è assente o presente a livelliestremamente modesti; nei mieli di agrumi sono inoltremeno frequenti Rubus e Trifolium, mentre è costante l’as-sociazione con Hedysarum, Fraxinus ornus, Palmae e Ma-lus/Pyrus Nei mieli di sulla si evidenzia l’associazione conaltre leguminose (diversi Trifolium, Vicia s. l., Lotus, etc) econ piccole percentuali di Eucalyptus, mentre è assente ilpolline di Palmae.

Altra bibliografia consultataGuccione M., Persano Oddo L., Accorti M., 1996 – Apicoltura in Aree protette. Studio preliminare per l’applicazione dei marchi “IGP” al

miele. La Selezione veterinaria, 11: 801-809.Sito web Regione Basilicata (www.basilicata.com.).

Origine dei dati melissopalinologici N campioni Area dello studio Fascetti S., Spicciarelli R., 2001 – Api e flora del Vulture. Dipartimento di Biologia difesa e Biotecnologie Agro-Forestali, Università degli Studi della Basilicata: 133 pp. 16 Vulture

Priore R., Ricciardelli D’Albore G., 1989 – Spettro pollinico dei mieli della Basilicata. Apicoltura, 5: 1-33. 42 Intera regione Ricciardelli D’Albore G., Palmieri N., 2001 – Contributo alla conoscenza dei mieli della Basilicata. L’Ape nostra amica, 23 (3): 44-46. 175 Intera regione

Dati originali Dipartimento di Arboricoltura e Protezione delle Piante, Università di Perugia 51 Intera regione Dati originali Istituto Sperimentale Zoologia Agraria – Sez. Apicoltura, Roma 60 Pollino TOTALE CAMPIONI 354

Loranthus europaeus

Tipi pollinici più frequenti nei mieli della Basilicata. In giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia. * = specie non nettarifere.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Basilicata 85

Millefiori Millefiori

del Pollino Castagno Melata Sulla Agrumi Eucalipto

Castanea Trifolium repens Cruciferae Papaver* Malus/Pyrus Rubus Palmae* Trifolium pratense s.l. Salix

Castanea Trifolium repens Hedysarum Erica Malus/Pyrus Umbelliferae Rubus Thymus

Castanea Cruciferae Trifolium pratense s.l. Rubus Palmae* Trifolium repens

Castanea Papaver* Cruciferae Fraxinus ornus* Trifolium repens Umbelliferae Graminaceae altre* Malus/Pyrus Echium Hedysarum Loranthus Salix

Hedysarum Cruciferae Trifolium pratense s.l. Eucalyptus Trifolium repens Vicia s. l. Graminaceae altre* Lotus

Citrus Hedysarum Fraxinus ornus* Palmae* Malus/Pyrus

Eucalyptus Cruciferae Rubus Palmae* Trifolium repens Papaver* Fraxinus ornus* Hedysarum

Thymus Melilotus Trifolium incarnat.um Astragalus/Ononis Hedysarum Onobrychis Liliaceae s.l. Compositae S Fraxinus ornus* Sedum/Semperviv. Echium Lotus Graminaceae altre* Umbelliferae Rhamanaceae Cistaceae* Loranthus Quercus*

Trifolium pratense s.l. Liliaceae s.l. Eucalyptus Onobrychis Graminaceae altre* Cruciferae Quercus*

Thymus Papaver* Graminaceae altre* Hedysarum Malus/Pyrus Umbelliferae Sedum/Semperviv.

Quercus* Rubus Thymus Trifolium pratense s.l. Lamium Plantago* Vicia s. l. Cistaceae* Clematis Compositae S Liliaceae s.l. Rhamnaceae Scrophular. altre

Echium Liliaceae s.l. Papaver* Castanea Cistaceae* Olea* Malus/Pyrus Salix Crataegus Rubus Fraxinus ornus* Compositae S Thymus Astragalus/Ononis

Cruciferae Melilotus Papaver* Ranunculaceae altre Rhamnaceae Sambucus nigra* Quercus* Graminaceae altre* Lotus Astragalus/Ononis

Trifolium pratense s.l. Graminaceae altre* Melilotus Olea* Lotus Compositae S Umbelliferae

Capitolo XX

CARATTERISTICHE MELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DELLA CALABRIA

di Paola Belligoli, Livia Persano Oddo e Maria Lucia Piana

Cenni geografico-vegetazionali

La Calabria occupa la parte meridionale della penisola,costituendo la punta dello stivale. Confina a nord con laBasilicata ed è per il resto circondata dal mare, con unosviluppo costiero di 780 Km: ad ovest si affaccia sul Tir-reno, con coste alte e scoscese, a est sullo Ionio, concoste più basse e sabbiose. A sud-ovest è separata dallaSicilia dallo Stretto di Messina. Copre una superficie di15.080 km2 e il territorio è prevalentemente collinare(49%) e montuoso (42%), con qualche tratto pianeg-giante (9%) nelle zone dove sfociano i fiumi.La maggior parte delle montagne della Calabria è costitui-ta da catene e gruppi isolati, separati da grandi valli o colli-ne. A nord, al confine con la Basilicata, si trova il massicciodel Pollino (2.267 metri), le cui pendici si prolungano ver-so sud-ovest dando inizio alla Catena Costiera (o CatenaPaolana), che si estende tra la costa tirrenica e le valli deifiumi Crati e Savuto, che la separano dalla Sila. La Sila è lazona montuosa più estesa della regione, di cui occupa laparte centro-settentrionale; è molto ricca di acqua e ve-getazione ed è distinta in tre parti: la Sila Greca a nord, laSila Grande nel centro, e la Sila Piccola a sud. Culmina nelMonte Botte Donato, alto quasi 2000 m, e termina nel-l’istmo di Marcellinara, che separa il golfo di Sant’Eufemia,sul Tirreno, dal golfo di Squillace, sullo Ionio. Al di sottoiniziano le Serre Calabresi, che si allungano verso sud-ovest con un doppio allineamento montuoso fino a con-giungersi, nella parte più meridionale della Calabria, con ilMassiccio dell’Aspromonte, la cui vetta più alta è il Mon-talto (1.955 m). Sul versante tirrenico, fra i golfi di Sant’Eu-femia e di Gioia Tauro, si erge il gruppo granitico isolatodel monte Poro (710 m). Il complesso montuoso formatodalla Sila, dalle Serre e dall’Aspromonte costituisce le co-siddette “Alpi Calabresi”, termine che sottolinea la diver-sità di queste montagne, formate da rocce cristalline eprincipalmente granitiche, rispetto all’Appennino, preva-lentemente calcareo e di origine sedimentaria.Le pianure della Calabria sono di modesta estensione. Sulversante tirrenico si trovano la piana di Scalea, la piana diSant’Eufemia (o di Lamezia), e la piana di Gioia Tauro (o di

Rosarno), che è anche la più vasta; sul versante ionico lapiana di Sibari, di Crotone e di Locri. I fiumi, a carattere torrentizio, hanno corso breve, per lavicinanza delle montagne alla costa, e presentano per lopiù le caratteristiche tipiche delle fiumare: scorrono entroampi alvei ciottolosi, asciutti per gran parte dell’anno, main inverno e primavera, a causa dello scioglimento dellenevi e dell’abbondanza delle piogge, possono riempirsi re-pentinamente, straripando e inondando la terra circostan-te. I fiumi più lunghi sono il Crati e il Neto, che sfocianonel mar Ionio. La Calabria è priva di laghi naturali, ma esi-stono numerosi laghi artificiali, soprattutto sull’altopianodella Sila: lago Arvo, di Cecita e Ampollino. Il clima delle zone litoranee è mediterraneo, con invernigeneralmente non molto piovosi ed estati asciutte ecalde; verso l’interno, specialmente sulle montagne, ilclima diventa progressivamente più continentale, rigidod’inverno, con abbondanti precipitazioni anche nevose,e con estati umide.Il patrimonio boschivo della Calabria copre circa il 38%della superficie regionale. La natura del territorio e loscarso sviluppo demografico-industriale hanno permessodi preservare nel tempo l’ambiente caratteristico dellearee montagnose, oggi protette grazie all’istituzione di treimportanti parchi nazionali: il Parco nazionale del Pollino,tra la Basilicata e la Calabria (il parco naturale più granded’Italia, con oltre 182.000 ha), il Parco Nazionale della Silae il Parco Nazionale dell’Aspromonte.La vegetazione della Calabria, condizionata dall’altitudine edalle particolari situazioni bio-climatiche generate dalla vi-cinanza fra coste e montagna, è molto ricca e variegata edoffre un’elevata disponibilità di pascoli apistici, le cui fiori-ture scalari garantiscono, anche grazie al nomadismo, buo-ne produzioni di miele per gran parte dell’anno.Nella fascia termomediterranea, dal livello del mare finoa 250-300 m, la distribuzione della vegetazione è condi-zionata dal lungo periodo di aridità estiva (5-6 mesi). Ti-pica di quest’area è la macchia sempreverde, caratteriz-zata dalla presenza di mirto (Myrtus communis), lentisco(Pistacia lentiscum) ed erica (Erica multiflora, E. arborea);discretamente presente il carrubo (Ceratonia siliqua) e,nei siti rupestri prossimi alle coste, l’associazione ad eu-forbia (Euphorbia dendroides); tipiche dell’Aspromontesono le macchie a ginepro fenicio (Juniperum phoenicea)e olivastro (Olea europaea var oleaster). Aspetti degrada-ti della macchia, causati da incendio e pascolo, sono rap-presentati dalla gariga a cisto (Cistus spp.) e labiate (Ro-smarinus, Thymus, etc.) e dalle praterie e pascoli aridi,dove sono diffusi cardi (fra cui Galactites tomentosa) ederba viperina (Echium spp.). In questa fascia, fortementeantropizzata, la vegetazione spontanea è comunquemolto limitata, e le principali fonti mellifere sono rap-presentate da specie coltivate (soprattutto agrumi e, inmisura minore, fruttiferi), specie ornamentali di originetropicale (agavi, palme) e una ricca flora spontanea as-sociata ai coltivi (acetosella, calendula, ruchetta violacea

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e altre crocifere, varie bora-ginacee, ombrellifere e legu-minose). Nel periodo estivoe autunnale, lungo le costeioniche e nell’entroterra col-linare fino a 500 m di altitudi-ne, importanti raccolti dimiele sono garantiti dai rim-boschimenti ad eucalipto, im-piantati a partire dagli anni’50 su estese superfici con fi-nalità di conservazione delsuolo e produzione; fra le di-verse specie di eucalipto dif-fuse in Calabria è da menzio-nare E. occidentalis, che dàluogo ad una particolare pro-duzione uniflorale (miele dieucalipto autunnale).La fascia mesomediterranea(fino a 500-600 m) ha un pe-riodo arido estivo di 3-4 me-si. La fitocenosi tipica è costi-tuita dalla lecceta (Quercusilex) cui possono accompa-gnarsi, a seconda della naturadel terreno e delle condizio-ni di umidità, querce caduci-foglie termofile (Quercus virgi-liana, Q, amplifolia, Q. farnetto,etc.), frassino (Fraxinus ornus),carpino nero (Ostrya carpini-folia), aceri (Acer spp.); sulversante tirrenico si trovanosugherete (Quercus suber), inpurezza o miste a leccio. Lostrato arbustivo comprendespecie diverse, in relazionealla natura del terreno: ericaarborea, corbezzolo (Arbutusunedo), camedrio siciliano(Teucrium spinosum), ligustro(Ligustrum vulgare), biancospi-no (Crataegus spp.), corniolo(Cornus mas), sanguinella (Cornus sanguinea), agnocasto(Vitex agnus-castus), viburno (Viburnum tinus), sorbo (Sor-bus spp.), alloro (Laurus nobilis), agrifoglio (Ilex aquifo-lium), rovo (Rubus spp.), varie ginestre e numerose spe-cie lianose (Hedera, Clematis, Smilax). Nelle zone collina-ri argillose con vegetazione erbacea, offrono alle api ab-bondanti raccolti le fioriture di sulla spontanea (Hedysa-rum coronarium), origano (Origanum vulgare) e trifogli(Trifolium spp.). Gli alvei delle fiumare ospitano una rigo-gliosa vegetazione ripariale con pioppeti (Populus alba),saliceti, (Salix spp.), ontano nero (Alnus glutinosa), tame-rici (Tamarix gallica), oleandro (Nerium oleander), salce-

rella (Lythrum salicaria), valeriana rossa (Centranthus ru-ber) e diverse ginestre. Nella fascia supramediterranea (fino a 900-1000 m) ilperiodo arido non supera i 2-3 mesi. Le formazioni fo-restali tipiche sono il querceto caducifoglio mesofilo (Q.pubescens, Q. cerris, Q. farnetto), i boschi di ontano napo-letano (Alnus cordata) e i castagneti (Castanea sativa);questi ultimi sono ampiamente diffusi in tutta la regio-ne, dai 700 ai 1200 m di altitudine, con infiltrazioni chepossono giungere fin quasi al livello del mare. Si trovanoin questa fascia nuclei di robinia (Robinia pseudacacia) ecespuglieti a ginestre (Cytisus scoparius).

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Calabria 87

Le fasce temperate, inferiore (fino a 1.300 m) e supe-riore (oltre i 1.300 m), non presentano periodo di aridi-tà estiva. Sono tipicamente occupate dalle faggete (Fa-gus sylvatica), nelle zone più fredde miste ad abete bian-co (Abies alba). Nel sottobosco si trovano Ilex aquifo-lium, Dafne laureola, Anemone apennina, Galium hirsutum,Campanula spp., mentre le zone scoperte sono caratte-rizzate soprattutto dalla presenza di Graminaceae. Ri-entrano in questa fascia le pinete a pino laricio (Pinus ni-gra var laricio) diffuse, anche attraverso rimboschimenti,su tutto l’appennino calabrese.L’attività agricola, anche se limitata ai soli spazi pianeg-gianti, riveste un importante ruolo nell’economia dellaCalabria, con coltivazioni di cereali, ortaggi, olivi, agrumi(tipica coltura della provincia di Reggio Calabria è ilbergamotto, esportato in tutto il mondo), fichi e man-dorli. Le zone collinari vengono coltivate a vite.

Aspetti dell’apicoltura

Dai dati del MiPAAF risulta che in Calabria nel 2006, so-no stati censiti 57.449 alveari, con una densità di 3,8 al-veari per km2, in linea con la media nazionale. Secondo un’indagine condotta nel 1991-92 sulle condi-zioni dell’apicoltura in Calabria (Longo e Palmeri, 1993),il 10% circa degli apicoltori esercita l’attività apistica atempo pieno come unica fonte di reddito, mentre il90% la esercita come integrazione di altre attività o a li-vello amatoriale. La pratica del nomadismo è piuttostodiffusa, favorita dall’ampia disponibilità di pascoli a fiori-tura scalare, che permetto di effettuare più smielaturenel corso dell’anno. Le aree agrumicole della piana di Si-bari sono anche oggetto di intenso nomadismo da par-te di apicoltori di altre regioni italiane; non sono rariinoltre i produttori professionali del nord Italia chehanno trasferito una parte delle loro aziende in Cala-bria, soprattutto in funzione delle diverse condizioni cli-matiche che consentono uno sviluppo delle colonie no-tevolmente anticipato rispetto alle regioni del nord.

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

In Calabria, contrariamente a molte altre regioni, si hauna prevalenza di mieli uniflorali rispetto ai multiflorali,che corrispondono a meno di un terzo della produzio-ne. Gli uniflorali sono rappresentati soprattutto da ca-stagno, agrumi, eucalipto e, in misura minore, sulla e me-lata; più sporadicamente si ottengono mieli di rosmari-no, erica (sia da E. arborea che da E. multiflora), robinia,trifoglio, edera. È interessante osservare come l’impor-tanza della sulla, almeno in termini di produzione uniflo-rale, sia notevolmente diminuita rispetto a quanto ri-portato in studi precedenti (Ricciardelli D’Albore ePriore, 1984). Per quanto riguarda l’eucalipto, in Cala-bria si producono due tipologie di miele uniflorale, di-

stinte per area e periodo di raccolta: nei mesi estivi, intutto il territorio si produce un miele analogo a quellodi altre regioni, riconducibile prevalentemente a E. ca-maldulensis; in autunno si pratica un attivo nomadismosui rimboschimenti a E. occidentalis del crotonese, otte-nendone significativi raccolti di miele.Dal punto di vista melissopalinologico l’aspetto che ca-ratterizza i mieli calabresi è la presenza pressoché co-stante di Castanea, Eucalyptus (molto spesso sia E. camal-dulensis che E. occidentalis), Hedysarum e Oleaceae, cheevidenziano il carattere mediterraneo e al tempo stessomontuoso della regione. Completano lo spettro pollini-co di questi mieli alcune forme ubiquitarie, e pertantomeno caratterizzanti, quali Cruciferae, Trifolium repens eGraminaceae altre. Nei mieli primaverili, sia multiflorali che uniflorali di agru-mi e di sulla, oltre alle specie già citate, comuni alla mag-gior parte dei mieli calabresi, sono ricorrenti i pollini dispecie a fioritura precoce, quali Citrus, Leguminosae (so-prattutto Lotus) e, in misura minore, Rosaceae (in partico-lare Malus/Pyrus), Echium e Compositae S. Nel miele diagrumi, come spesso accade nei mieli iporappresentati,acquistano rilevanza i pollini di specie non nettarifere: Pa-paver, Quercus (sia Q. robur che Q. ilex) e Cistaceae.Nei mieli di produzione più tardiva (millefiori estivi, casta-gno, eucalipto estivo e melata), rispetto all’associazioneregionale tipica, sono più ricorrenti Rubus e Umbelliferae;meno costante ma caratteristica la presenza di diverseLabiatae esacolpate (Thymus, Mentha pulegium, etc.).Il miele di eucalipto autunnale si differenzia per la pre-senza di specie a fioritura tardiva, non riscontrabili nellealtre tipologie: Asparagus acutifolius, Artemisia, Amaran-thaceae/Chenopodiaceae, Phoenix, Xanthium e, con mi-nore frequenza, Hedera. Va segnalato che questa tipolo-gia di miele, contrariamente alla maggior parte degli al-tri mieli uniflorali italiani, non è finora stata descritta, epresenta caratteristiche melissopalinologiche diversedal miele di eucalipto estivo: infatti E. occidentalis ha pol-line di dimensioni medie (27-32 μ m) ed è normalmen-te rappresentato (percentuale nel miele uniflorale >50% e GP/10 g 20.000-50.000), mentre E. camaldulensis,ha polline di piccole dimensioni (17-22 μ m), ed è iper-rappresentato (percentuale nel miele uniflorale > 90% eGP/10g > 100.000).I mieli di rosmarino si differenziano dagli altri mieli pri-maverili, oltre che per la presenza di Rosmarinus, peruna ricorrenza maggiore dei tipi Prunus, Rhamnaceae,Oxalis pes-caprae e Salix, e minore dei tipi Citrus, Echiume Oleaceae.Va infine ricordato che nel sedimento dei mieli calabresi,come in quelli di tutte le regioni appenniniche, è possibiletrovare, seppure sporadicamente, polline di Loranthus. Inmelissopalinologia internazionale questa specie è conside-rata diagnostica dei mieli provenienti dall’Europa sud-orientale, ma essa è presente anche in molti mieli appen-ninici (Persano Oddo e Ricciardelli D’Albore, 1987).

88 I mieli regionali italiani

Altra bibliografia consultataBoggia L., 1987 – Conclusioni sull’eucalitticoltura nazionale. Cellulosa e carta, 28 (5): 11-17.Guccione M., Persano Oddo L., Accorti M., 1996 – Apicoltura in Aree protette. Studio preliminare per l’applicazione dei marchi “IGP” al

miele. - La Selezione veterinaria, 11: 801-809.Longo S., Palmeri V., 1993 – Consistenza e caratteristiche dell’apicoltura in Calabria. Apic. Mod., 84 (4): 141-156.Maiorca G., 2003 – La Vegetazione in Calabria. In: “I suoli della Calabria, Carta dei suoli scala 1:250.000 della Regione Calabria”. ARSSA,

Programma Interregionale Agricoltura Qualità Mis. 5., Vol. 1: 8-12.Persano Oddo L., Ricciardelli D’Albore G., 1987 – Presenza di Loranthus europaeus Jacq. nei mieli italiani. Apicoltura, 3: 91-99.

Tipi pollinici più frequenti nei mieli della CalabriaIn giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia. * = specie non nettarifere.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli della Calabria 89

Origine dei dati melissopalinologici N campioni Area dello studio

Mincione B., Leuzzi U., Manziu E., Scirtò G., Cirino E., 1991 - Ricerche sui mieli I. Caratterizzazione merceologica e melissopalinologica dei mieli prodotti in Calabria. Atti Convegno "Stato attuale e sviluppo della ricerca in apicoltura", Sassari: 243-255.

49 Provincia di RC

Persano Oddo L., Festuccia N., Quaranta N., 1998 - Il miele di rosmarino (Rosmarinus officinalis L.) prodotto in Italia: caratteristiche melissopalinologiche e organolettiche. L’Ape nostra amica, 20 (1): 6-20. 7 Provincia di CS

Ricciardelli D’Albore G., Priore R., 1984 – Origine botanica dei mieli della Calabria. Annali della Facoltà di Scienze Agrarie dell'Università di Napoli in Portici, Serie IV, XVIII: 125 -154. 71 Intera regione

Dati originali Istituto Sperimentale Zoologia Agraria – Sez. Apicoltura, Roma 208 Intera regione Dati originali ARSSA Calabria, Cosenza (studio eseguito in collaborazione con Istituto Sperimentale Zoologia Agraria, – Sez. Apicoltura, Roma) 108 Intera regione

Dati originali Apishare s.r.l., Monterenzio (BO) 39 Intera regione TOTALE CAMPIONI 482

Millefiori Castagno Agrumi Eucalipto estivo Sulla Eucalipto autunnale

Castanea Eucalyptus Hedysarum Lotus Cruciferae Trifolium repens Oleaceae* Malus/Pyrus Citrus Labiatae esacolp. Rubus Graminaceae altre*

Castanea Rubus Eucalyptus Trifolium repens Cruciferae Hedysarum Oleaceae*

Citrus Cruciferae Trifolium repens Oleaceae* Papaver* Hedysarum Castanea Echium Lotus Eucalyptus Graminaceae altre* Quercus* Compositae S Cistaceae*

Eucalyptus Umbelliferae Castanea Cruciferae Trifolium repens Oleaceae* Hedysarum

Hedysarum Lotus Castanea Trifolium repens Oleaceae* Cruciferae Malus/Pyrus Eucalyptus Citrus Vicia s. l. Echium

Eucalyptus occid. Castanea Eucalyptus camald. Asparagus acutif. Artemisia* Amaranth./Chenop.* Cruciferae Graminaceae altre* Hedysarum Phoenix* Rubus Xanthium* Umbelliferae

Umbelliferae Compositae S Salix Prunus Erica Papaver* Echium Trifolium pratense s.l. Cistaceae* Vicia s. l. Compositae T

Quercus* Graminaceae altre* Erica Labiatae esacolp. Trifolium pratense s.l. Malus/Pyrus Compositae S Prunus Umbelliferae Lotus Clematis

Umbelliferae Cerinthe Malus/Pyrus Urticaceae s.l.* Borago Salix Oxalis pes-caprae Sambucus nigra* Compositae T Robinia

Rubus Citrus Trifolium pratense s.l. Compositae S Graminaceae altre* Papaver* Compositae T Malus/Pyrus Labiatae esacolp.

Graminaceae altre* Erica Liliaceae altre s.l. Umbelliferae Trifolium pratense s.l. Compositae S Quercus robur* Cistaceae* Cerinthe Borago Papaver* Labiatae esacolp.

Labiatae esacolp. Compositae H Oleaceae* Galega Compositae T Hedera Trifolium repens Papaver* Salix

Capitolo XXI

CARATTERISTICHE MELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DI SICILIA

di Nunzio Longhitano, Gabriella Ferrauto, Giovanna Gussago e Antonina Zizza

Cenni geografico-vegetazionali

La Sicilia, sita al centro del Mediterraneo, presenta treversanti: quello tirrenico che corrisponde alla parte set-tentrionale dell’isola, quello ionico alla parte orientale equello che si affaccia sul canale di Sicilia che corrispondealla parte sud-occidentale. Attorno ad essa si trovano al-tre isole più piccole, che costituiscono in alcuni casi degliarcipelaghi. La superficie regionale è di 25.711 km2.Dal punto di vista geomorfologico, il territorio risulta es-senzialmente costituito da diverse unità strutturali, qualeconseguenza dell’attività tettonica compressiva che ha ac-compagnato la collisione, tra il Miocene e l’inizio del Plio-cene, delle placche europee ed africane. Si distinguono diconseguenza tre principali unità: il Plateau ibleo, che si rin-viene nella parte sud-orientale dell’isola, la parte centralee centro occidentale, formata da sedimenti terrigeni difossa e l’edificio a falde, che si estende a nord (Monti diPalermo, Monti Nebrodi e Peloritani), costituito dalla so-vrapposizione di varie unità tettoniche. Il territorio presenta nel complesso un carattere preva-lentemente collinare (62%) e montano (24%): dal livellodel mare si raggiunge la quota di circa 3.320 m in corri-spondenza della parte sommitale dell’Etna; limitate ri-sultano invece le aree pianeggianti (14%), tra cui la piùestesa è rappresentata dalla Piana di Catania. Dal punto di vista bioclimatico, sono state individuate in Si-cilia sette fascie bioclimatiche in corrispondenza delle qualisono state indicate le formazioni vegetazionali che differen-ziano le varie aree del territorio (Brullo et al. 1996).Le isole Eolie, le isole Pelagie, le Isole Egadi, la fascia co-stiera della Sicilia e la fascia collinare nord-orientale de-gli Iblei sono caratterizzate da varie tipologie di mac-chia, riferibili all’ Oleo-Euphorbietum dendroidis, al Myrto-Lentiscentum, al Calicotomo-Rhoetum tripartitae ed ad al-tre associazioni dei PISTACIO-RHAMNETALIA ALATERNI.La fascia collinare e submontana è caratterizzata dai bo-schi termofili basifili ed acidofili rispettivamente delQUERCION ILICIS e dell’ERICO-QUERCION ILICIS.I territori submontani e montani, quali le catene mon-

tuose della Sicilia centrale ed alcune are dell’altipianoIbleo, sono caratterizzate dai boschi mesofili, mentre laporzione più elevata delle catene montuose, quali Ma-donne e Nebrodi, ospita querceti mesofili dei QUERCE-TEA ILICIS e cerrete e faggete dei QUERCO-FAGETEA; esclu-sivi del territorio etneo risultano i betuleti a Betula aet-nensis e le pinete a Pinus nigra ssp. calabrica.Solo sull’Etna, al di sopra dei 1800-1900 m, si sviluppauna vegetazione ad emicriptofite cespitose ed a camefi-te pulvinate. Le aree incolte e gli ex coltivi sono abbastanza diffusinel territorio; le aree coltivate sono principalmente dis-tribuite nel piano basale e collinare e sono rappresenta-te essenzialmente da varie specie orticole, seminativi ecoltivi arborei. In particolare i seminativi sono rappre-sentati da leguminose foraggere (veccia, sulla) e grami-nacee (avena, orzo); i coltivi arborei da agrumeti, vigneti,mandorleti, oliveti, pistacchieti, carrubeti e frutteti vari.Sono proprio questi ambienti che rappresentano un’im-portante fonte di nettare e/o polline per le api: alle spe-cie coltivate, si aggiungono infatti alla flora apistica an-che elementi provenienti da ambienti nitrofili, ruderaliche rispecchiano le caratteristiche dei territori coltivatie antropizzati, quali Compositae (Galactites, Cichorium,etc.), Boraginaceae (Borago, Echium, Cerinthe), Legumino-sae (Trifolium, Lotus, Vicia, Lathyrus), Cruciferae (Brassica,Lobularia, etc.), Graminaceae, Chenopodiaceae, Linaria,Oxalis pes-caprae.

Aspetti dell’apicoltura

Secondo gli ultimi dati forniti dal MiPAAF (2006), in Sici-lia sono presenti 103.801 alveari, detenuti da 895 api-coltori; questi dati rispecchiano probabilmente la cate-goria degli apicoltori professionisti e semiprofessionisti,ovvero coloro che operano a titolo principale nel set-tore, mentre altri dati (Longo et al. 1999) indicano unnumero molto più elevato di apicoltori amatoriali. Leprovince di Catania, Ragusa e Siracusa sono quelle chepresentano un numero medio di alveari per impresa piùelevato ed un numero maggiore di professionisti.Il nomadismo, praticato dagli apicoltori siciliani fin daepoche remote, è attualmente il tipo di allevamento piùdiffuso in Sicilia specialmente nelle provincie di Catania,Siracusa e Ragusa. Il miele costituisce il prodotto principale per la maggiorparte delle aziende e le produzioni medie annue per al-veare sono generalmente inferiori ai 50 Kg.

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

Lo studio sulle varie tipologie di miele è stato condottosu 700 campioni i cui dati sono stati confrontati conquelli rilevati da precedenti studi. I principali tipi di miele siciliano sono rappresentati da

90

millefiori, agrumi, eucalipto (prevalentemente da E. ca-maldulensis), castagno, timo, sulla. Quest’ultimo, che finoa qualche anno fa costituiva una produzione significativaed importante, riveste attualmente un ruolo molto mi-nore, in relazione alle mutate condizioni dell’agroecosi-stema. Più occasionale è la produzione di miele uniflora-le di cardo, ombrellifere e melata. Produzioni caratteri-stiche ma localizzate e quantitativamente meno impor-tanti sono rappresentate dai mieli di nespolo del Giap-pone (area costiera del palermitano), carrubo (zonaiblea) e rosmarino (Marettimo).Dal punto di vista melissopalinologico, risulta costante lapresenza di specie a carattere spiccatamente termofilo,quali Citrus, Eucalyptus, Hedysarum, accompagnate in ma-niera più o meno regolare nelle varie tipologie analizzate,da specie a fioritura primaverile legate a coltivi o ad in-colti quali Compositae S, Trifolium repens, Trifolium praten-se s.l., Echium, Cruciferae < 20 μ , Lotus, Linaria; ad esse siaggiungono forme ubiquitarie quali Cruciferae e Grami-naceae altre, Rosaceae altre (riferibili in gran parte a Ru-bus e, nei mieli primaverili, a Malus/Pyrus), Papaver.Sono presenti, anche se in maniera non uniforme e co-

stante, elementi della macchia mediterranea originaria,quali Quercus, Cistus (rappresentato soprattutto da Ci-stus incanus), Genista, Teucrium o degradata (Rhus).L’ambiente mesofilo si caratterizza per la presenza diCastanea, specie che, oltre a produrre mieli uniflorali, siriscontra in più del 50% dei mieli di eucalipto e millefio-ri, probabilmente anche in conseguenza del tipo di con-duzione dell’allevamento (nomadismo). Un caso a parte rappresenta il miele di timo, esclusivodell’area iblea, in cui lo spettro pollinico riflette benel’ambiente floristico, quello di una macchia-gariga. Tra lespecie, oltre a Thymus e a quelle comuni agli altri tipi dimieli siciliani, si riscontrano Dipsacaceae, Centaurea jacea,Sideritis romana, Dorycnium; in maniera meno costante siosservano Carthamus e Umbelliferae; interessante è an-che la presenza di Antirrhynum, da riferire essenzialmentealla specie endemica Antirrhinum siculum Miller. e del grup-po Leguminosae altre, da riferire, negli Iblei, soprattutto aOnonis natrix L. ssp. ramosissima (Desf.) Batt. et Trab., al-quanto diffusa nel territorio. In precedenti lavori (Longhi-tano et al., 1986; Persano Oddo et al., 1991), la presenzacostante di quest’ultima specie nei mieli allora campiona-

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli di Sicilia 91

ti, aveva fatto presupporre di poterla considerare comeuna specie guida dei mieli iblei; attualmente, alla luce deinuovi risultati ottenuti su una più ampia campionatura,tale presenza risulta meno costante e, d’altra parte, la

specie è stata riscontrata anche in mieli siciliani di altrearee e in altre regioni meridionali; di conseguenza la suapresenza risulta meno significativa ai fini di una caratte-rizzazione geografica dei mieli iblei.

92 I mieli regionali italiani

Origine dei dati melissopalinologici N campioni Area dello studio Battaglini M., Ricciarelli D’Albore G., 1971 – Lo spettro pollinico di alcuni mieli della Sicilia. Ann. Fac. Agraria Univ. Perugia, 26: 277-303. 32 Intera regione

Fini M. A., Sabatini A. G., 1974 – Osservazioni sulla composizione di alcuni tipi di mieli della Sicilia. Sci. e Tecnol. degli Alimenti, 4: 349-355. 50 Intera regione

Longhitano N., Persano Oddo L., Pistorio M. P., Schembra C. P., Scibilia G. M., 1986 – Primo contributo alla determinazione dell’origine botanica e geografica di mieli iblei. Boll. Acc. Gioenia Sci. Nat., 19 (328): 41-49. 47 Iblei

Persano Oddo L., Festuccia N., Quaranta N., 1998 – Il miele di rosmarino (Rosmarinus officinalis L.) prodotto in Italia: caratteristiche melissopalinologiche e organolettiche. – L’Ape nostra amica, 20 (1): 6-20. 2 Marettimo

Sabatini A. G., Marcazzan G. L., Colombo R., Arculeo P., 1995 – Il miele di nespolo del Giappone prodotto in Sicilia. Apicoltura, 10: 59-69. 22 Provincia di PA

Banca Dati del Dipartimento di Botanica dell’Università di Catania 700(*) Intera regione Dati originali Istituto Sperimentale Zoologia Agraria – Sez. Apicoltura, Roma 72 Intera regione Dati originali Apishare s.r.l., Monterenzio (BO) 109 Intera regione TOTALE CAMPIONI 1034

* Una parte di questi dati è stata oggetto di precedenti pubblicazioni (vedi “Altra bibliografia consultata”)

Altra bibliografia consultata (Pubblicazioni relative alla Banca Dati del Dipartimento di Botanica dell’Università di Catania)Cirino E., De Leonardis W., Ferrauto G. Longhitano N., Vettori B., Zizza A., 1995 – Contributo alla conoscenza dei mieli siciliani (Monti Sicani -

Agrigento). 90° Congresso S.B.I., Palermo. Giorn. Bot. Ital., 129 (2): 51.Cirino E., De Leonardis W., Fichera G., Longhitano N., Zizza A. Ferrauto G., 1995 – Analisi melissopalinologica del miele prodotto sull’Isola di

Ustica (Sicilia). 90° Congresso S.B.I., Palermo. Giorn. Bot. Ital., 129 (2): 52.De Leonardis W., Longhitano N., Zizza A., 1989 – Relazione tra ambiente floristico e origine botanica dei mieli iblei (Sicilia Sud-Orientale). Api-

coltura, 5: 73-118.De Leonardis W., Longhitano N., Zizza A.,1989 – Relazione tra ambiente floristico e analisi pollinica dei mieli iblei (Sicilia Sud-Orientale). Venten-

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attuale e sviluppo della ricerca in apicoltura”, Sassari: 157-167.

Tipi pollinici più frequenti nei mieli di Sicilia.In giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia. * = specie non nettarifere.Nota. In questa tabella i termini “Leguminosae altre” e “Rosaceae altre” sono usati in senso diverso rispetto alle definizioni della nomen-clatura (Appendice I), in quanto la maggior parte dei dati è stata ottenuta con il metodo acetolitico che, in alcuni casi, determina rag-gruppamenti delle forme polliniche diversi rispetto a quelli della palinologia fresca.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli di Sicilia 93

Millefiori Agrumi Castagno Eucalipto Timo Sulla

Eucalyptus Compositae S Hedysarum Citrus Cruciferae Graminaceae altre* Trifolium repens Lotus Umbelliferae Echium Linaria Quercus Cistus* Prunus Rhus Rosaceae altre Oleaceae* Trifolium pratense s.l. Castanea

Citrus Cruciferae Eucalyptus Echium Compositae S Hedysarum Cruciferae <20 Papaver* Lotus Teucrium Leguminosae altre Trifolium repens Graminaceae altre* Trifolium pratense s.l. Rosaceae altre Oleaceae* Quercus Compositae A Urticaceae s.l.*

Castanea Eucalyptus Citrus Compositae S Quercus Trifolium pratense s.l. Hedysarum Cruciferae Linaria Genista Rhus Umbelliferae Lotus Rosaceae altre

Eucalyptus Compositae S Citrus Cruciferae Umbelliferae Hedysarum Rhus

Thymus Eucalyptus Compositae S Cruciferae Lotus Linaria Citrus Echium Cistus* Hedysarum Papaver* Teucrium Rosaceae altre Umbelliferae Cruciferae <20 Rhus Dipsacaceae Trifolium pratense s.l. Leguminosae altre Sideritis romana

Cruciferae Hedysarum Echium Graminaceae altre* Borago Compositae S Eucalyptus Lotus Umbelliferae Quercus* Cerinthe Oxalis pes-caprae Papaver* Trifolium pratense s.l. Trifolium repens Citrus Rosaceae altre Oleaceae*

Genista Oxalis pes-caprae Rhus Oleaceae* Papaver* Cruciferae <20 Salvia Euphorbia Teucrium Cerinthe Urticaceae s.l.* Thymus Compositae T Borago Compositae A Vicia s. l. Salix Vitis* Parthenocissus Palmae*

Linaria Cerinthe Castanea Amaranth./Chenop.* Prunus Borago Compositae T Cistus* Oxalis pes-caprae Genista Nigella Cynoglossum Mercurialis*

Echium Oleaceae* Trifolium repens Graminaceae altre* Prunus Cruciferae <20 Cistus* Leguminosae altre

Liliaceae s.l. Castanea Linaria Cistus* Cruciferae <20 Lotus Graminaceae altre* Thymus Quercus Trifolium pratense s.l. Oleaceae* Amaranth./Chenop.* Trifolium repens Rosaceae altre Palmae* Echium

Quercus Trifolium repens Centaurea jacea Castanea Oleaceae* Graminaceae altre* Cerinthe Compositae T Carthamus Prunus Antirrhynum Salvia Vicia s. l. Eryngium Composiate H Borago Euphorbia Genista Parthenocissus

Cistus* Asphodelus Castanea Compositae A Genista Vicia s. l. Pinaceae* Prunus Amaranth./Chenop.* Urticaceae s.l.* Nigella Salix

Capitolo XXII

CARATTERISTICHE MELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI DI SARDEGNA

di Ignazio Floris, Nicola Palmieri e Alberto Satta

Cenni geografico-vegetazionali

La Sardegna è un’isola compresa tra il 38° 52’ e il 41°19’ parallelo di latitudine nord e pressoché divisa in duedal meridiano 9° rispetto a quello di Greenwich. Siestende per una superficie di 24.090 Km2 e occupa unaposizione centrale nel mar Mediterraneo. Il basso nu-mero di abitanti (circa 1.500.000), per metà concentratinei principali centri urbani, fa sì che si rinvengano fre-quentemente vaste aree spopolate, dominate da una ve-getazione naturale caratteristica, che rappresenta unarisorsa essenziale per lo sviluppo dell’apicoltura e perl’ottenimento di prodotti tipici ed incontaminati. Il paesaggio è dominato dalla collina (68%): l’altezza me-dia del territorio si attesta sui 334 m sul livello del ma-re. I complessi montuosi occupano il 14% della regione:i più importanti sono il Gennargentu (1.834 m s.l.m.), ilLimbara (1.359 m s.l.m.) ed il Linas (1.236 m s.l.m.). Le pianure principali sono due, la Nurra nella zonanord-occidentale compresa tra i comuni di Sassari, Al-ghero e Porto Torres, ed il Campidano nella zona cen-tro-meridionale, esteso da Oristano a Cagliari.I tipi di suolo più diffusi sono quelli originati da rocceintrusive (es. graniti) e metamorfiche (es. scisti), tutti areazione acida o subacida, caratterizzati da rocciosità epietrosità a tratti elevate, ed utilizzati prevalentementea pascolo naturale, talvolta arborato, più raramente de-stinati alla coltivazione di erbai; abbiamo poi i suoli diorigine alluvionale o derivati da arenarie eoliche, carat-terizzati da reazione acida o subacida e da buona pro-fondità, tipici di un’ampia parte delle aree di pianura edestinati ad uso agricolo (colture erbacee ed arboreeanche in irriguo). In generale, l’uso dei suoli risulta for-temente limitato anche dalla giacitura oltre che dallapietrosità elevata. Il clima presenta un decorso spiccatamente bistagiona-le, con un periodo caldo-arido che si alterna ad unofreddo-umido. Le precipitazioni sono concentrate so-prattutto in autunno e primavera, intervallate da lunghiperiodi di siccità. Più precisamente, si riscontra un bio-clima mediterraneo-umido nelle zone più elevate, sub-umido nelle zone sub-montane e collinari e arido nelle

zone litoranee e pianeggianti. La temperatura media an-nua registra valori alquanto elevati oscillanti tra i 17-18°C di Sassari e Cagliari e i 10,5 °C del massiccio delLimbara. Le temperature medie invernali (dicembre,gennaio e febbraio) si attestano sui 7 °C, quelle prima-verili (marzo, aprile e maggio) sui 13-14 °C e i mesi piùcaldi fanno registrare medie di circa 25 °C. Nel com-plesso, l’azione mitigatrice del mare è notevole in quasitutta l’isola.Un altro parametro climatico di notevole rilevanza ècostituito dai venti, dei quali il maestrale, che spira danord-ovest, è dominante, particolarmente durante lastagione invernale e lungo la fascia occidentale dell’isola. La vegetazione comprende oltre 2.000 specie, di cui al-meno 200 rivestono interesse apistico, ma poco più diuna decina hanno una diffusione tale da consentire l’ot-tenimento di mieli uniflorali (Floris, 1991; Floris e Satta,2001). Fatta eccezione per alcune aree, localizzate so-prattutto nel centro Sardegna, dove si può riscontrareuna vegetazione in fase “climax”, le formazioni vegetalipresenti su gran parte del territorio si trovano in unostato di degradazione più o meno avanzato a causa so-prattutto dell’azione antropica. Le essenze forestali spontanee più diffuse sono rappre-sentate da Leccio (Quercus ilex), riscontrabile dal livellodel mare sino ai 1200 - 1400 m su qualsiasi substrato,Roverella (Quercus pubescens), generalmente collocataoltre i 600 – 700 m su substrati prevalentemente vulca-nici e metamorfici, e Sughera (Quercus suber), diffusa susubstrati granitici e metamorfici sino a 900 m, che rap-presenta spesso una fase di degradazione della lecceta.L’interesse mellifero di queste specie arboree è moltolimitato. Il polline di Quercus, tuttavia, si riscontra conuna certa frequenza nel sedimento dei mieli dell’isola.Le formazioni vegetali più caratteristiche, che rappre-sentano senza dubbio le risorse più importanti per l’a-picoltura, sono la “macchia” e la “gariga”, formazioni ve-getali di sclerofille sempreverdi, spesso originate delladegradazione di foreste a Quercus spp. (Camarda e Val-secchi, 1983). Non mancano tuttavia esempi di macchiaprimaria, che esprimono la più evoluta manifestazionedi sviluppo della vegetazione raggiungibile in una datazona, indipendentemente da una qualsiasi azione antro-pica (Chiappini, 1988). Le specie più comuni della “macchia” sono rappresentateda corbezzolo (Arbutus unedo), erica (Erica arborea, E. sco-paria, ma anche E. terminalis ed E. multiflora), lentisco (Pista-cia lentiscus), Fillirea (Phyllirea latifolia), mirto (Myrtus com-munis), cisto (Cistus spp.), alaterno (Rhamnus alaternus), vi-burno (Viburnus tinus), oleastro (Olea europea var. sylve-stris), calicotome (Calycotome villosa e C. spinosa) e euforbiaarborea (Euphorbia dendroides). A queste specie arbustivesi associano specie lianose come smilace (Smilax aspera),clematide cirrosa (Clematis cirrhosa), robbia selvatica (Ru-bia peregrina) e lonicera (Lonicera implexa) che determina-no la caratteristica impenetrabilità della macchia.

94

In seguito alla degradazione della macchia si originanoformazioni discontinue, indicate con il nome di “gariga”,costituite da arbusti bassi, per lo più appartenenti allafamiglia delle Labiate (Camarda e Valsecchi, 1990): ro-smarino (Rosmarinus officinalis), timo (Thymus herba baro-na e T. capitatus), maro o gattaria (Teucrium fruticans, T.marum, T. polium), euforbia (Euphorbia dendroides, E. cha-racias), timelea (Thymelea hirsuta, T. tartonraira) elicriso(Helichrysum italicum, H. microphyllum) astragalo (Astraga-lus massiliensis), centaurea (Centaurea horrida), salvia (Sal-via verbenaca), lavanda selvatica (Lavandula stoechas), ge-nista (Genista spp.). Un ulteriore processo di degrada-zione della macchia è espresso dalle formazioni basse adominanza di cisto, il quale rappresenta normalmente laspecie pioniera nelle zone rinettate dagli incendi. In Sar-degna, il genere Cistus è rappresentato dalle specie C.monspeliensis, C. salvifolius, C. incanus, C. albidus, C. corsicuse C. creticus. Dal punto di vista apistico il cisto è consi-derato una sorgente quasi esclusivamente pollinifera e,

data la sua diffusione nell’isola, talvolta in formazioni pu-re, questo genere costituisce una risorsa imponente,discretamente visitata dalle api per il polline, il cui con-tenuto proteico è stato stimato mediamente pari o in-feriore al 12%. Non bisogna tuttavia sottovalutare, inparticolari condizioni pedoclimatiche, una possibile pro-duzione di nettare, oltre che di melata, a seguito di at-tacchi da parte di insetti fitomizi come Lecanodiaspis sar-doa (Floris e Papoff, 1994).I popolamenti erbacei, che investono vaste aree, risulta-no caratterizzati dalla dominanza di una o più specie:frequenti ad esempio ampie distese di asfodelo (Aspho-delus microcarpus) o di scarlina (Galactites tomentosa), lecui fioriture, oltre a contribuire alla produzione deimieli multiflorali primaverili, danno anche luogo a dueproduzioni uniflorali tipiche: il miele di asfodelo e quellodi cardo. Nel caso del cosiddetto miele di cardo, è op-portuno considerare che all’ottenimento di tale tipolo-gia di miele possono concorrere diverse composite

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli di Sardegna 95

(Carduus, Cirsium, Sylibum, Carlina, Onopordum, etc.). Altre importanti risorse mellifere sono rappresentatedalla sulla (Hedysarum coronarium), spontanea nelle zonecollinari della Sardegna meridionale con suoli di matricecalcarea (Marmilla), da varie specie di trifoglio (Trifoliumspp.) diffuse nei pascoli naturali e dall’inula (Inula visco-sa), presente in maniera abbondante nel periodo autun-nale nelle zone incolte soprattutto della Sardegna meri-dionale. Si aggiungono poi alcune importanti specie introdotte ecoltivate, che possono fornire produzioni uniflorali: l’eu-calipto (Eucalyptus camaldulensis), che rappresenta lafonte nettarifera e pollinifera estiva più importante dellaSardegna meridionale, soprattutto nelle aree irrigue dipianura; gli agrumi (Citrus spp.), nei comprensori agrumi-coli del centro-sud dell’isola, che investono una superfi-cie di circa 10.000 ettari; il castagno (Castanea sativa),diffuso nelle zone della Sardegna centrale (Aritzo, Belvì,Desulo e Tonara). Le fioriture, nel complesso, sono concentrate nel perio-do primaverile, anche se non bisogna sottovalutare leimponenti risorse estive come eucalipto e, in alcune zo-ne, castagno e timo, quelle autunnali come inula e cor-bezzolo, o invernali quali erica e rosmarino e, in parte,asfodelo: tutte potenziali sorgenti di mieli uniflorali.

Aspetti dell’apicoltura

In Sardegna convivono ancora oggi forme di allevamentotradizionali, basate sull’impiego dei caratteristici bugni disughero, e moderne, che fanno ricorso quasi esclusiva-mente alle arnie a favo mobile di tipo D.B. standard da 10favi. Gli apiari rustici sono ormai relegati in alcune zoneinterne dove persiste, per molti aspetti immutato, un tes-suto socio-economico tipico del mondo agro-pastoraleoriginario. Questa forma di allevamento conserva moltielementi culturali che affondano le loro radici nella più re-mota antichità e che oggi possono rappresentare un im-portante richiamo anche dal punto di vista turistico (Flo-ris et al., 1996a). La resa dei bugni è piuttosto limitata (3-5Kg/alveare) e la qualità pressoché indifferenziata, perquanto il miele ottenuto per pressatura dei favi naturalipresenti alcune peculiarità dal punto di vista melissopali-nologico ed analitico (Moledda, 1998).L’allevamento razionale, coinvolge attualmente la stra-grande maggioranza degli apicoltori sardi e si esprimetalvolta con elevati livelli di professionalità, dimensioniaziendali adeguate e produzioni altamente diversificate.L’affermazione di questa forma di apicoltura ha sicura-mente subito un impulso notevole a partire dai primianni ‘80, anche in conseguenza della diffusione della Var-roosi, pur non trascurando una tenace ed assidua operaprofusa dalle Istituzioni scientifiche, dalle Associazioni diproduttori e dagli Enti agricoli nonché dagli effetti di al-cune norme a sostegno dell’apicoltura quali la LeggeRegionale n. 30 del 17/12/1985, recante “norme per l’in-

cremento e la tutela dell’apicoltura in Sardegna”, e i piùrecenti Regolamenti CE 1221/97 e 797/04.Il numero complessivo di apicoltori si attesterebbe, se-condo fonti di Organizzazioni ed Enti regionali, sulle2.000 unità, con un patrimonio di circa 50.000 alveari ra-zionali, a cui si aggiungono alcune migliaia di bugni, e unaproduzione di miele stimata in circa 1.500 tonnellate.

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

Le indicazioni relative ai tipi di miele prodotti in Sardegnaed alle loro caratteristiche melissopalinologiche sonotratte da un recente rapporto predisposto dall’Universitàdi Sassari (Dipartimento di Protezione delle Piante – se-zione Entomologia) sulle caratteristiche dei mieli sardi(Floris et al., 2001), che tiene conto anche dei lavori pre-cedentemente pubblicati sull’argomento, riportati nelprospetto “Origine dei dati melissopalinologici”. I datimelissopalinologici sono in corso di archiviazione in unapposito database opportunamente predisposto (Floris eSatta, 2002; Satta et al., 2004) che consente un’adeguataelaborazione e confronto statistico per una più agevoleclassificazione dei mieli (Floris et al., 2002).Complessivamente sono stati esaminati 911 campioni dimiele, appartenenti diverse tipologie uniflorali e multiflorali. I principali mieli uniflorali sono rappresentati per quan-to concerne le essenze autoctone da corbezzolo, asfo-delo e cardo, e per le specie coltivate da eucalipto eagrumi. Tra le produzioni uniflorali secondarie annove-riamo quelle di sulla, rosmarino, lavanda selvatica, timo,gattaria, trifoglio, erica, cisto e inula. Dal punto di vista melissopalinologico i mieli sardi si ca-ratterizzano per la presenza pressoché costante di Eu-calyptus (che a causa del suo polline fortemente iperra-presentato, marca quasi tutte le produzioni, indipenden-temente dall’area e dall’epoca di raccolta) in associazio-ne con specie comuni nella macchia mediterranea e neipascoli: Cistus, Echium, Cruciferae e diverse leguminose(soprattutto diversi Trifolium, ma anche Astragalus/Ononis,Hedysarum, Lotus, Vicia s.l.). A questo spettro base si ac-compagnano nelle diverse tipologie di miele, specie tipi-che dell’ambiente di produzione.Nei mieli millefiori prodotti a fine inverno e inizio pri-mavera, contraddistinti dal colore chiaro (da bianco adambra extrachiaro), si evidenzia l’incidenza di Lavandulastoechas, Asphodelus e, limitatamente alle zone litoranee,Rosmarinus. In quelli prodotti nella tarda primavera, dicolore più scuro (ambra chiaro/ambra/ambra scuro) sirileva l’apporto di specie riconducibili al tipo pollinicoCompositae S e la particolare abbondanza di Cistus (C.incanus e C. monspeliensis). A questo proposito va rileva-to che l’interesse apistico di Cistus è quasi sempre limi-tato alla raccolta del polline, tuttavia, in alcuni casi, inSardegna si produce un miele con caratteristiche orga-nolettiche e melissopalinologiche ben definite, con sedi-

96 I mieli regionali italiani

di polline di Asphodelus nei mieli uniflorali possono rag-giungere il 7% con un valore di GP/10g molto basso(5.200 ± 3.100). L’accentuata iporappresentatività è da at-tribuire alla conformazione del fiore e all’elevata dimen-sione dei granuli che limitano fortemente la contamina-zione primaria del nettare. Lo spettro pollinico è caratte-rizzato dalla presenza di specie della macchia mediterra-nea (Cistus, Lavandula stoechas, Pistacia, Erica).Anche il miele di cardo, originato principalmente dallascarlina (Galactites tomentosa), mostra un comportamen-to tipico dei mieli iporappresentati, con un valore diGP/10g per lo più inferiore a 10.000 (I classe) e percen-tuale di polline di Compositae S dal 2 al 20%. Lo spettropollinico è simile a quello del miele di asfodelo, ma piùricco di specie a causa del periodo di produzione menoprecoce; da segnalare la presenza di Smyrnium, Citrus,Olea, Myrtus.Il miele di eucalipto, che a livello quantitativo rappre-senta una delle principali produzioni, è ottenuto soprat-tutto da Eucalyptus camaldulensis, anche se non bisognatrascurare il possibile concorso di altre specie. La fiori-tura, prevalentemente estiva, consente di coprire un pe-riodo di scarsa presenza di fioriture spontanee, e que-sto fatto, unitamente alla forte iperrappresentatività delpolline (percentuale >90%, GP/10g >100.000, ascrivibilealla III classe) si riflette in uno spettro pollinico relativa-mente più povero di specie.Rispetto ai mieli prodotti nelle altre regioni italiane, neimieli sardi spicca il carattere più nettamente mediterra-neo, sottolineato anche dalla scarsità di Castanea, il cuipolline si riscontra invece nella maggior parte degli altrimieli italiani.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli di Sardegna 97

Arbutus unedo Cistus incanus

mento iporappresentato (I classe) e percentuali di polli-ne di Cistus variabili dal 32,8 al 44,7%, che viene com-mercializzato come “miele di cisto”.Il miele di corbezzolo, noto come miele amaro, è otte-nuto nel tardo autunno dalla fioritura di Arbutus unedo,il quale, secondo alcune indagini sull’andamento dellasecrezione del nettare (Floris et al., 1992a), mostra ilperiodo ottimale per il suo sfruttamento apistico dallaprima decade di novembre alla seconda decade di di-cembre. Dal punto di vista melissopalinologico, il pollinedi Arbutus è iporappresentato. Nello spettro pollinico,accanto a specie a fioritura autunnale o invernale, qualiSmilax, Hedera, Asparagus acutifolius, Compositae H (Inu-la), Rosmarinus, sono presenti pollini di fioriture tipica-mente primaverili (Echium, Cistus, Citrus) o estive (Eu-calyptus), imputabili a contaminazioni secondarie o ter-ziarie. Quantitativamente, a causa della frequente inci-denza di pollini “inquinanti” iperrappresentati, il numeroassoluto di granuli pollinici può variare notevolmente,fino a raggiungere in alcuni casi anche la III classe di rap-presentatività (GP/10g >100.000). Nelle situazioni otti-mali, tuttavia, questi mieli ricadono nella I classe con unnumero medio di granuli in 10 g pari 10.400 ± 5.700,con percentuali di polline di Arbutus variabili dal 7,3all’81,6%.Il miele di asfodelo (Asphodelus microcarpus) si produceprecocemente in primavera; la fioritura di questa specie,comunissima in tutta l’isola, si estende da fine gennaio amaggio in funzione dell’altitudine e della latitudine. È an-ch’essa una specie iporappresentata con granuli pollinicidi grosse dimensioni, presenti spesso solo a livello di pol-line isolato (< 3%). Dai dati finora acquisiti, le percentuali

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98 I mieli regionali italiani

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Mancuso R., Floris I., Marras P.M., Vodret B., Sassu N., Pisanu M., 1992 - Contributo alla conoscenza delle caratteristiche chimico-fisiche e palinologiche dei mieli prodotti in Sardegna. Atti 46° Convegno nazionale S.I.S.Vet., Venezia: 651-655.

70 Intera regione

Moledda M.F., 1998 – Indagine sull’apicoltura del nuorese. Tesi di laurea, Facoltà di Agraria, Università di Sassari (Relatori R. Prota e I. Floris). 60 Nuorese

Persano Oddo L., Festuccia N., Quaranta N., 1997 - Melissopalynological features of Italian Rosemary honey. Allionia, 35: 249-255. 7 Intera regione

Prota R., Floris I., Papoff. C.M., 1997 - Studio comparativo dei mieli della Sardegna e della Corsica per la loro valorizzazione mediante la definizione di parametri di qualità. Atti convegno “Caratterizzazione dei prodotti alimentari dell’area sardo-corsa”, Progetto Interreg I, Settore Agroalimentare, Sassari: 54-69.

60 Intera regione

Dati originali Istituto Sperimentale Zoologia Agraria – Sez. Apicoltura, Roma 115 Intera regione TOTALE CAMPIONI 911

Tipi pollinici più frequenti nei mieli di Sardegna.In giallo le forme rappresentate in modo più costante, in grigio quelle con ricorrenza intermedia. * = specie non nettarifere.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli di Sardegna 99

Millefiori Eucalipto Cardo Corbezzolo Asfodelo

Compositae S Eucalyptus Echium Trifolium pratense s.l. Trifolium repens Cistus* Lavandula stoechas Rubus Graminaceae altre* Vicia s. l. Cruciferae Lotus Asphodelus Malus/Pyrus Fraxinus ornus* Astragalus/Ononis

Eucalyptus Echium Rubus Trifolium pratense s.l. Trifolium repens Cruciferae Cistus* Hedysarum

Compositae S Eucalyptus Echium Trifolium repens Cruciferae Cruciferae <20 Cistus* Smyrnium Trifolium pratense s.l. Trifolium incarnatum Lotus Graminaceae altre* Papaver* Vicia s. l. Citrus Compositae A Olea* Borago Astragalus/Ononis Acacia Hedysarum Myrtus

Arbutus Eucalyptus Echium Cistus* Citrus

Asphodelus Echium Cruciferae Cruciferae <20 Trifolium repens Eucalyptus Smyrnium Cistus* Lavandula stoechas Malus/Pyrus Pistacia* Rubus Erica Prunus

Pistacia* Hedysarum Quercus* Umbelliferae Olea* Erica Citrus Rhamnaceae Borago Papaver* Campanulaceae Prunus Acacia Cruciferae <20 CompositaT Compositae H Compositae A Myrtus Plantago* Salix Trifolium incarnatum

Compositae S Olea* Umbelliferae Graminaceae altre* Myrtus Scrophular. altre Lavandula stoechas Lotus Quercus* Papaver* Pistacia*

Lavandula stoechas Rubus Fraxinus ornus* Erica Pistacia* Asphodelus Malvaceae Prunus Trifolium hybridum Quercus* Campanulaceae Plantago*

Trifolium repens Compositae S Compositae H Hedera Myrtus Smilax Rubus Cruciferae Quercus* Erica Papaver* Asparagus acutif. Castanea Rosmarinus Compositae T Trifolium pratense s.l. Lavandula stoechas Odontites

Trifolium pratense s.l. Trifolium incarnatum Compositae S Lotus Graminaceae altre* Salix Quercus* Vicia s. l. Astragalus/Ononis Borago Crataegus Liliaceae altre s.l. Compositae A Papaver* Rhamnaceae Acacia Citrus

Capitolo XXIII

CARATTERISTICHE MELISSOPALINOLOGICHE DEI MIELI ITALIANI

di Livia Persano Oddo e Maria Lucia Piana

In questa scheda vengono riepilogate le principali infor-mazioni contenute nelle schede regionali, riconducen-dole a un quadro d’insieme indipendente dai singoliconfini amministrativi.L’interpretazione degli spettri pollinici dei mieli ai fini del-l’identificazione della loro origine geografica è necessaria-mente connessa alla conoscenza del paesaggio vegetazio-nale: riportiamo quindi alcune brevi note sulla vegetazio-ne italiana, limitandoci a delinearne in modo schematicogli aspetti basilari e rimandando alle singole schede e atesti specifici per i necessari approfondimenti.

Cenni geografico-vegetazionali

L’Italia è una vasta penisola che si estende nel MarMediterraneo, dal versante sud dell’arco alpino, percirca 1.300 km, con una superficie di 301.337 km2; alsuo territorio appartengono anche le due grandi iso-le, Sicilia e Sardegna, e una serie di isole minori. Ècompresa tra il 47° ed il 35° parallelo nord e confinaad ovest con la Francia, a nord con la Svizzera e l’Au-stria, ad est con la Slovenia; per il resto è circondatadal mare, con uno sviluppo costiero di circa 7.500chilometri: mar Ligure a nord-ovest, Tirreno a ovest,Ionio a sud-est, Adriatico a est. In tabella XXIII-1 si riporta una sintesi dei dati di su-perficie, orografia, indice di boscosità e superficieagricola utilizzata (SAU) relativi alle diverse regioniitaliane. Il territorio è prevalentemente collinare(41,6%) e montano (35,2%) e le pianure occupanomeno di un quarto della superficie (23,2%). Le catene montuose si estendono per buona partedel territorio, comprendendo tutto il versante meri-dionale del sistema Alpino, per una lunghezza di circa1.000 km, con numerose cime che superano i 4.000m, e la catena degli Appennini, che percorre tutta lalunghezza della penisola, dalla Liguria alla Sicilia (Ma-

100

Regione Superficie

(km2)

(1)

Montagna

(%) (2)

Collina

(%) (2)

Pianura

(%) (2)

Indice di

boscosità

(%) (3)

SAU

(km2)

(1)

SAU (%) (1)

Piemonte 25.402 43,26 30,31 26,43 29,3 11.029 43,4 Valle d'Aosta 3.263 100,00 0 0 25,9 691 21,2 Lombardia 23.863 40,54 12,42 47,04 25,1 10.044 42,1 Trentino A.A. 13.607 100,00 0 49,6 4.125 30,3 Veneto 18.399 29,13 14,48 56,39 19,1 8.469 46,0 Friuli V. G. 7.858 42,54 19,33 38,13 36,9 2.912 37,1 Liguria 5.422 65,08 34,92 0 69,1 719 13,3 Emilia- Romagna 22.117 25,13 27,09 47,79 20,5 11.666 52,7 Toscana 22.994 25,09 66,51 8,39 42,7 8.027 34,9 Umbria 8.456 29,28 70,72 0 39,8 3.739 44,2 Marche 9.694 31,17 68,83 0 23,1 5.180 53,4 Lazio 17.236 26,11 53,99 19,90 27,1 8.302 48,2 Abruzzo 10.763 65,10 34,90 0 29,8 4.530 42,1 Molise 4.438 55,34 44,66 0 29,2 2.621 59,1 Campania 13.590 34,55 50,78 14,66 27,9 6.735 49,6 Puglia 19.358 1,48 45,27 53,25 7,7 15.170 78,4 Basilicata 9.995 46,83 45,13 8,04 29,5 4.635 46,4 Calabria 15.081 41,83 49,19 8,98 38,3 7.657 50,8 Sicilia 25.711 24,45 61,38 14,17 10,4 16.145 62,8 Sardegna 24.090 13,64 67,88 18,47 40,5 15.368 63,8 Totale 301.337 35,21 41,63 23,16 28,8 147.764 49,0

1) Fonte Eurostat, dati 2003, elaborazioni a cura della Regione Emilia-Romagna (http://rersas.regione.emilia-romagna.it/cgi-bin/broker.exe?_d

bug=0&_service=pop&_program=eupgm.t_uso_suolo_ drill.sas&padre=it)(2) Fonte ISTAT, dati 2000 (http://sitis.istat.it/sitis/html/index.htm)(3) Fonte Corpo Forestale dello Stato (http://www.corpoforestale.it/aib/archivio/anno2000/page36.html)

Tabella XXIII-1. Sintesi dei dati regionali.

donie), raggiungendo l’altezza massima con il GranSasso (2.912 m). Da segnalare la presenza di numero-si vulcani, fra cui i principali tuttora attivi sono l’Etna(3.323 m, il maggiore vulcano attivo d’Europa), il Vesu-vio, lo Stromboli e Vulcano.La più estesa area planiziale è rappresentata dalla Pia-nura Padana, una grande distesa alluvionale, formatadal fiume Po e dai suoi affluenti, che occupa una su-perficie di 46.000 km2, pari a due terzi di tutte le areepianeggianti del paese.L’Italia è attraversata da molti fiumi, tutti di dimensio-ni piuttosto limitate; il maggiore, sia in termini di lun-ghezza che di portata, è il Po (oltre 650 km) che co-stituisce, insieme ai suoi 141 affluenti, l’unico vero si-stema fluviale della penisola. I laghi sono numerosi,soprattutto nella regione alpina e prealpina.La superficie forestale occupa complessivamente8.700.000 km2, pari al 28,8% della superficie totale,ma le differenze fra una regione e l’altra sono notevo-li, anche in relazione alla struttura dei rispettivi terri-tori. Le regioni con il più elevato indice di boscositàsono Liguria, Trentino Alto Adige, Toscana, Sardegna,Umbria, Calabria e Friuli Venezia Giulia. Elevato il nu-mero di parchi e riserve naturali, sia nazionali che re-gionali.Dal punto di vista climatico l’Italia si trova quasi alcentro della zona temperata dell’emisfero boreale e ilsuo clima, mitigato dal mare che la circonda, si defini-sce temperato mediterraneo.Il territorio è suddiviso in due zone bioclimatiche(1):Zona Mediterranea (Italia peninsulare, Liguria a suddelle Alpi Marittime e del crinale Appenninico, Isole) eZona Medioeuropea (Alpi, Padania, Appennino setten-trionale dalla Liguria alla Romagna), a loro volta arti-colate in diverse fasce vegetazionali (tabella XXIII-2);tuttavia l’influenza di numerosi fattori (struttura oro-grafica, presenza del mare, vicinanza fra coste e mon-tagna, latitudine) determina situazioni climatiche no-tevolmente variabili, anche all’interno di aree relativa-mente ristrette, e ciò influisce a sua volta sulla distri-

buzione delle fasce vegetazionali, che seguono un an-damento spesso irregolare, intersecandosi e infiltran-dosi al di fuori delle loro quote tipiche, con inconsue-ti adattamenti altitudinali.La vegetazione italiana era originariamente impostatasu ampie formazioni forestali, ma la sua composizioneè oggi profondamente modificata dalla forte antropiz-zazione del territorio (urbanizzazione, deforestazio-ne, pascoli, coltivazioni), solo in parte compensatadall’istituzione, in anni relativamente recenti, di parchie aree protette. Le note seguenti si riferiscono quindialla vegetazione potenziale, con alcuni accenni alleprincipali coltivazioni.Nella fascia mediterranea arida, con temperatura me-dia annua intorno a 18°C e lunghi periodi siccitosiestivi (aree costiere dell’Italia meridionale ed insula-re), prevale una vegetazione mediterranea termofila-xerofila: boscaglia sempreverde con oleastro, carrubo,lentisco, palma nana, mirto, ilatro, ginepro ossicedro eginepro feniceo, euforbia arborea e cisti; sono diffusealcune specie esotiche (palme, cactacee) e, fra le spe-cie coltivate, olivo, agrumi, mandorlo, vite, fico d’india,cereali, eucalipti. Nella fascia mediterranea temperata, con temperaturamedia annua intorno a 15°C (fascia litoranea tirrenicadalla Liguria alla Calabria, fascia adriatica meridionalee zona ionica), la vegetazione è rappresentata dalla ti-pica macchia sempreverde, forma degradata dell’origi-naria foresta sempreverde mediterranea: lecceta ac-compagnata da corbezzolo, ilatro, lentisco, terebinto,alaterno, viburno tino e smilace; vi si trovano anche:sugherete e formazioni miste di leccio e sughera; pi-nete di pino marittimo, pino d’Aleppo e pino da pino-li; garighe e steppe, che rappresentano un’ulteriore fa-se di degradazione della primitiva vegetazione; colti-vazioni di olivo, vite, cereali.L’ambiente collinare-planiziale, con temperatura me-dia annua di 11-13°C, è caratterizzato da vegetazionepotenziale diversa nella Zona Mediterranea e in quel-la Medioeuropea. Nella zona Mediterranea (Italia cen-

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli italiani 101

Aree bioclimatiche Territorio di appartenenza Fasce vegetazionali

Zona Mediterranea Italia peninsulare, Liguria (a sud delle Alpi Marittime e del crinale Appenninico), Isole

fascia mediterranea arida fascia mediterranea temperata fascia sannitica fascia subatlantica fascia mediterraneo-altomontana

Zona Medioeuropea Alpi, Padania, Appennino settentrionale (dalla Liguria alla Romagna)

fascia medioeuropea fascia subatlantica fascia boreale fascia alpica

(1) Pignatti S. (1979) - I piani della vegetazione in Italia. Giorn. Bot. Ital., 113: 411-428

Tabella XXIII-2. Aree bioclimatiche e fasce vegetazionali in Italia.

tro-meridionale e Isole) corrisponde alla fascia sanniti-ca caratterizzata dalla foresta mista caducifoglia, condominanza di roverella, rovere o cerro; vi si trovanoanche: castagneti; alcuni endemismi (alcuni tipi diquerce, ontano napoletano, acero napoletano); fram-menti relitti di bosco di laurofille sempreverdi (alloro,agrifoglio, bosso, tasso); consorzi a pino silano e pinoloricato; prati, pascoli; colture di cereali, vite, ortaggi,olivo, fruttiferi. Nella Zona Medioeuropea (prealpi epadania) l’ambiente collinare-planiziale corrispondealla fascia medioeuropea, caratterizzata dal quercetomisto caducifoglio a dominanza di farnia, cui si ac-compagnano carpino nero e orniello; vi si trovano an-che: castagneti; popolamenti di ontano, pioppo bianco,salici, lungo i corsi d’acqua e sulle rive dei laghi; il li-vello di antropizzazione è molto elevato, con coltureerbacee, frutteti, vigneti. L’ambiente montano, con temperatura media annua dicirca 8°C, rientra nella fascia subatlantica (o fascia delfaggio), presente sia nella Zona Mediterranea che inquella Medioeuropea. È caratterizzata dalla foresta ca-ducifoglia mesofila con dominanza di faggio; altre for-mazioni di questa fascia sono: foreste miste di faggio eabete bianco; popolamenti di pino silvestre, pino mugo,pino nero; rimboschimenti di aghifoglie; prati, pascoli;rare coltivazioni (patate, grano saraceno). L’ambiente subalpino, con temperatura media annua dicirca 4°C, rientra nella fascia boreale; appartiene essen-zialmente alla Zona Medioeuropea, ma può rinvenirsi,come presenza extrazonale, anche in quella Mediterra-nea. La vegetazione tipica è rappresentata dalla forestasempreverde di conifere, a dominanza di peccio, lariceo cembro, con sottobosco di ericacee; sono presentianche: formazioni di pino mugo; ontano verde; brughie-re di ericacee (rododendro, mirtillo); pascoli.L’ambiente altomontano, al di sopra del limite degli al-beri, con temperatura media annua di 1°C, è presentein entrambe le zone bioclimatiche (fascia alpica nellaZona Medioeuropea, fascia mediterraneo-altomontananella Zona Mediterranea); la vegetazione è scarsa, co-stituita da tappeti erbosi.

Aspetti dell’apicoltura

Il settore apistico italiano è caratterizzato da un nume-ro relativamente basso di professionisti, che detengonoun elevato numero di alveari e praticano un’apicolturada reddito, e da un gran numero di apicoltori che pos-siedono pochi alveari ed esercitano l’attività a livelloamatoriale o come integrazione di altre attività princi-pali. Questa situazione rende difficile l’acquisizione didati certi e affidabili circa le dimensioni e le caratteri-stiche del comparto (numero di alveari, numero diaziende e loro struttura, ammontare delle produzioni),in particolar modo nelle regioni centro-meridionali.I Regolamenti comunitari che concedono contributi

per il miglioramento della qualità e della commercia-lizzazione dei prodotti dell’alveare (Reg. CE 1221/97e, successivamente, Reg. CE 797/04) hanno portatoad un migliore controllo del settore da parte delleistituzioni regionali, ma i dati raccolti risentono anco-ra di un certo margine di incertezza.Nella tabella XXIII-3 sono riportati i dati relativi alcensimento 2006 effettuato dal Ministero delle Politi-che Agricole Alimentari e Forestali (MiPAAF) sulla ba-se delle indicazioni regionali. Come si può osservare ilpatrimonio apistico nazionale ammonterebbe a oltre1.157.000 alveari; il numero di apicoltori non è dispo-nibile per tutte le regioni, ma estrapolando dalla medianazionale, si può ipotizzare che sia dell’ordine di47.000. Da questi dati emerge una forte disparità frale diverse regioni, sia in termini di numero medio dialveari/apicoltore (da meno di 10 a oltre 120, con unamedia nazionale di circa 25) che di alveari/km2 (da me-no di 1 a quasi 6, con una media nazionale di 3,8). Il livello associazionistico e cooperativo è maggior-mente sviluppato ed efficiente nelle regioni centro-settentrionali, ma se ne registra la crescita anche inquelle meridionali, in parte anche grazie all’impulsodei contributi comunitari.La produzione principale è rappresentata ovunque dalmiele, ma in diverse regioni gli apicoltori svolgonoservizio di impollinazione e cominciano ad orientarsiverso una diversificazione delle attività, con produzio-ne di cera, pappa reale, polline.

Tabella XXIII-3. Sintesi dei dati apistici delle regioni italiane come de-sunti dal censimento MiPAAF 2006. Tra parentesi sono indicati i dati dialtra fonte (vedi rispettivi capitoli regionali).nd = dato non disponibile

102 I mieli regionali italiani

Regione N alveari N apicoltori

Alveari/ apicoltore

Alveari/ km2

Piemonte 108.311 3.325 32,6 4,3 Valle D'Aosta 7.206 (498) 14,5 2,2 Lombardia 136.799 (4.000) 34,2 5,7 Trentino A.A. 63.808 4.812 13,3 4,7 Veneto 56.661 3.100 18,3 3,1 Friuli V.G. 27.576 1.474 18,7 3,5 Liguria 24.027 2.500 9,6 4,4 Emilia Romagna 106.644 10.000 10,7 4,8 Toscana 97.331 2.935 33,2 4,2 Umbria 32.500 1596 20,4 3,8 Marche 38.118 1.500 25,4 3,9 Lazio 82.236 3.120 26,4 4,8 Abruzzo 45.471 367 123,9 4,2 Molise 8.500 nd - 1,9 Campania 48.208 742 65,0 3,5 Puglia 14.200 nd - 0,7 Basilicata 46.853 nd - 4,7 Calabria 57.449 nd - 3,8 Sicilia 103.801 895 116,0 4,0 Sardegna 51.434 500 102,9 2,1 Totale 1.157.133 24,9 3,8

Tipi di miele e caratterizzazione melissopalinologica

Le informazioni riportate nelle singole schede regiona-li (Capitoli III-XXII), relative all’origine botanica deglioltre 12.300 campioni studiati, sono state rielaborateal fine di stimare la diffusione e l’importanza dei diver-si tipi di miele sul territorio nazionale. In tabella XXIII-4 e Fig. XXIII-1 sono riportate le tipo-logie di miele prodotte nelle diverse regioni, con unastima della relativa importanza. La produzione più dif-fusa risulta il millefiori, seguito da melata, castagno erobinia, che si possono ottenere in 16-17 regioni. Im-portanti anche sulla, eucalipto, agrumi (nell’Italia cen-tro meridionale) e tiglio (nelle regioni settentrionali). Va sottolineato che questi dati non rappresentano l’ef-fettiva importanza produttiva e di mercato delle diver-se tipologie; a livello di mercato le tipologie quantitati-vamente più importanti risultano essere, nell’ordinemillefiori, robinia, castagno, agrumi, melata ed eucalip-to.Oltre ai tipi indicati nella tabella e nella figura, in alcu-ne regioni sono segnalate altre produzioni, molto piùsporadiche, che elenchiamo di seguito (in ordine alfa-betico): acero (Lombardia e Friuli Venezia Giulia),amorfa (Veneto e Friuli Venezia Giulia), ciliegio (Pie-monte e Puglia), crocifere (Basilicata e Puglia), inula(Toscana e Sardegna), calluna (Piemonte), carrubo (Si-cilia), cisto (Sardegna), coriandolo (Emilia-Romagna),erica carnicina (Trentino Alto Adige), gattaria (Sarde-gna), lampone (Lombardia), lavanda (Piemonte), lavanda

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli italiani 103

Tabella XXIII-4. Diffusione delle diverse tipologie di miele nelle regioniitaliane.

Figura XIII-1. Frequenza dei principali tipi di miele nelle regioni italiane.

selvatica (Sardegna), marasca (Friuli Venezia Giulia), ne-spolo del Giappone (Sicilia), ombrellifere (Sicilia), salice(Veneto), santoreggia (Abruzzo), stregonia (Abruzzo),

verga d’oro (Veneto).La tabella XXIII-5, elaborata a partire dai dati contenutinelle singole schede regionali, riporta le forme pollini-che trovate con frequenza elevata (indicate con il se-gno X) o intermedia (x) in almeno una tipologia dimieli regionali italiani; rappresenta quindi, in manieraestremamente schematica e generale, l’importanza e ladistribuzione delle diverse forme polliniche nei mieliitaliani e può servire da guida rapida di orientamentonell’interpretazione dell’origine geografica. La termino-logia utilizzata è quella usata in tutto il libro e riportatain Appendice I, con le modifiche che si sono rese ne-cessarie nell’accorpamento dei dati (vedi capitolo II).Dall’esame della tabella XXIII-5 appare che le formeriscontrate con elevata frequenza in tutte le regionisono Castanea, Cruciferae, Graminaceae, Rubus, Salix,Trifolium pratense s.l., Trifolium repens e fruttiferi; moltocomuni anche Compositae T, Lotus, Papaver e Plantago,presenti con elevata frequenza in almeno 17 regioni. Queste forme sono nel loro insieme rappresentativedel miele italiano, ma, proprio perché ubiquitarie, risul-tano meno utili ai fini di una differenziazione regionale.Se presenti in percentuali rilevanti possono tuttaviafornire valide indicazioni per l’interpretazione com-plessiva del risultato analitico: ad esempio, Castanea èmeno ricorrente, e soprattutto meno abbondante, neimieli di Sardegna e delle regioni che si affacciano sul-l’adriatico (Marche, Abruzzo, Molise e Puglia); l’abbon-danza di leguminose è diversa per le varie regioni euna percentuale elevata di Trifolium pratense s.l. o Lotusè più tipica del centro-sud. Le specie con ricorrenza intermedia, ugualmente, nonsono molto indicative dell’origine regionale e appaionoinfluenzate prevalentemente da fattori di tipo trasver-sale, come il periodo di produzione del miele (preco-ce, tardo primaverile, estivo o tardivo) o il tipo di am-biente (antropizzato, coltivato, collinare boschivo). Più interessanti risultano le specie meno ricorrenti, maanche in questo caso raramente si tratta di formeesclusive di un determinato territorio o di una deter-minata regione. Inoltre le forme più specifiche, di ele-vato valore diagnostico, si trovano quasi sempre inpercentuali molto scarse, quindi il loro rinvenimentonon è certo e la loro assenza non è probante.Per le forme polliniche che possono rivestire un parti-colare significato nell’identificazione dell’origine geo-grafica, nella tabella della nomenclatura (Appendice I)è riportata una nota esplicativa nella colonna “Impor-tanza melissopalinologica”. Di seguito si descrivono le associazioni che possonoessere ritenute come indicative di provenienza dallemaggiori macro-aree produttive italiane, rimandandoalle schede regionali per un maggiore dettaglio e perla descrizione delle singole tipologie di miele, nonchéalla rispettiva bibliografia per gli eventuali approfondi-menti.

Mieli dell’Italia alpina

I mieli di questa zona produttiva si caratterizzano perfrequenze elevate di Ericaceae altre (soprattutto Rhodo-dendron spp. e Erica carnea), Rubus e Castanea; presenzapressoché costante di Aruncus, Campanulaceae, Compo-sitae S, Echium, Filipendula, Helianthemum, Juncaceae, Myo-sotis, Polygonum bistorta, Tilia, Thymus, grande varietà diLeguminosae, in particolare Trifolium repens e T. pratenses.l., Astragalus/Ononis, Lotus, Coronilla/Hippocrepis, Onobry-chis; possibile presenza di Centaurea montana, Centaureascabiosa, Geranium, Saxifraga, Sedum/Sempervivum. La differenza maggiore fra i mieli delle Alpi occidentali eorientali, consiste nel fatto che nei primi gli elementi dialta montagna sono in genere più evidenti e non asso-ciati ad elementi di quote inferiori, mentre nei mieli del-le Alpi dell’est c’è una maggiore commistione con ele-menti di tipo termofilo (ad esempio Fraxinus ornus). Èimportante l’assenza, se non per quello che si può in-terpretare come dovuto a particolari microclimi o acontaminazione (nomadismo o miscelazione accidenta-le), di indicatori dell’area bioclimatica mediterranea (Ci-trus, Eucalyptus, Hedysarum, Olea).

Mieli dell’Italia prealpina

Nei mieli di queste aree prevalgono le forme ubiquitariecomuni dei mieli italiani e sono assenti i marcatori medi-terranei; frequente è l’associazione di Castanea (spesso infrequenza elevata) con Robinia, Tilia ed Ericaceae altre. Ri-correnti sono Acer, Amorpha, Compositae T, Filipendula, Fra-garia/Potentilla, Ligustrum, Parthenocissus e, nei mieli di Robi-nia, Chamaerops, Chelidonium, Plantago, Rumex. Possibilepresenza di Buddleja, Frangula, Impatiens, Magnolia. Fraxinus ornus è frequente e abbondante soprattutto nellerobinie del nord-est. In alcune aree prealpine (lago di Gar-da, Colli Euganei, Carso) è presente una vegetazione me-diterranea che giustifica la presenza nei mieli di alcuni ele-menti di questa zona bioclimatica (Quercus ilex, Olea, Aspa-ragus acutifolius); sono comunque assenti Citrus, Eucalyptuse Hedysarum.

Mieli dell’Italia padana

Anche in questi mieli si ha una prevalenza delle formeubiquitarie comuni ai mieli italiani, associate con frequenzaa specie coltivate (soprattutto Medicago e Zea, ma ancheAllium, Asparagus officinalis, Glycine), o diffuse nelle coltiva-zioni intensive (es. Amaranthaceae/Chenopodiaceae, Poly-gonum aviculare, Portulaca), o proprie di ambienti antropiz-zati (es. Ailanthus). A nord del Po si hanno elementi in co-mune con i mieli prealpini, mentre a sud del Po, in partico-lare in Romagna, possono comparire elementi delle regio-ni mediterranee (in particolare Hedysarum, la cui distribu-zione ha qui il suo limite settentrionale).

104 I mieli regionali italiani

Mieli della costa e isole tirreniche

Elementi tipici della macchia mediterranea caratterizzanoi mieli delle aree costiere peninsulari (dalla Liguria allaCampania) e delle isole tirreniche minori: Erica, Cistus,Quercus ilex, Rhamnus alaternus, Pistacia, Asparagus acutifo-lius e, localmente, Rosmarinus, Smilax, Myrtus, Genista, Arbu-tus, Cytinus, Euphorbia, Lavandula stoechas. A tali specie siassociano, in relazione all’epoca di raccolta, all’areale diproduzione e al tipo botanico prevalente, altre formepolliniche, comuni anche nei mieli dell’Italia appenninica(Leguminosae, Castanea, Robinia, Olea, etc.). Verso sud di-venta più abbondante Eucalyptus. Simili anche i mieli sar-di, dove però manca o è poco frequente Castanea, men-tre è più ricorrente la vegetazione erbacea associata allamacchia (Asphodelus, Cerinthe, Cynoglossum, CompositaeA, H, S, Echium) e sono presenti anche gli elementi dellafascia mediterranea arida descritti per i mieli dell’Italiameridionale.

Mieli dell’Italia centrale appenninica

Il paesaggio che rappresentano i mieli delle zone internedell’Italia centrale (dal crinale appenninico fino al limitedella fascia mediterranea arida), è quello di aree collinarioccupate in parte da coltivi di interesse apistico, quali le-guminose (Hedysarum, Onobrychis, Trifolium alexandrinum,T. incarnatum, Medicago) e girasole, alternate ad aree bo-scose (Castanea, Quercus ilex e Q. robur, Loranthus, Hede-ra). In questi mieli sono frequenti specie associate a siste-mi di agricoltura non intensiva (Leguminose spontanee,quali Dorycnium, Galega, Lotus, Melilotus e, localmente, Cen-taurea cyanus, Stachys), nonché il polline della coltura piùtipica di questi paesaggi, Olea. Nelle regioni del versante adriatico (Marche, Abruzzo,Molise), i mieli si differenziano per una minore presenzadi Castanea. Nei mieli abruzzesi, in relazione all’elevataprofessionalizzazione del comparto e alla relativa diffu-sione della pratica del nomadismo, non è infrequente lapresenza di elementi “estranei” tipici di aree più meri-dionali (Citrus ed Eucalyptus). Un cenno a parte merita lapresenza di Loranthus (vischio quercino) in diversi mieliappenninici. Questa specie è considerata, in melissopali-nologia internazionale, come un indicatore di originesud-est europea, ed effettivamente la sua presenza è re-lativamente costante nei mieli di robinia di tale origine,tuttavia essa si rinviene anche, con frequenza variabile,nei mieli italiani appenninici (dall’Emilia-Romagna allaCalabria).

Mieli dell’Italia meridionale

Come i mieli dell’area alpina, anche quelli dell’estremosud e della Sicilia presentano una maggiore abbondanzadi forme polliniche specifiche, non condivise con le altrearee produttive italiane. Sono meno abbondanti, in gene-

re, le specie ubiquitarie e raramente manca l’associazioneCitrus, Eucalyptus, Hedysarum, Olea, anche quando masche-rata da elevate frequenze di Castanea. Altri elementi pre-senti nei mieli dell’Italia meridionale sono diverse legumi-nose (Lathyrus/Vicia, Lotus, Trifolium alexandrinum, T. incar-natum, Vicia faba), Acacia, Borago, Ceratonia, Echium, Lilia-ceae s.l., Nigella, Oxalis, Phoenix, Tamarix, ed altre formeche si trovano anche nei mieli della costa tirrenica. Noninfrequente la presenza di specie di origine tropicale (adesempio Agave, Opuntia, Schinus, Washingtonia). Nei mielipugliesi sono da rimarcare l’abbondanza di Cruciferae, lascarsità di Castanea e la presenza, tipica anche se non co-stante, di Alkanna.

Interpretazione dello spettro pollinico di un campione di origine ignota

La distribuzione geografica delle diverse forme pollinichesul territorio nazionale è tale da determinare differenzedi tipo più quantitativo che qualitativo. Pertanto, al di fuo-ri di alcune eccezioni, la maggior parte delle forme polli-niche non può essere utilizzata come elemento certo eprobante per l’attribuzione ad una precisa origine regio-nale o locale: alla base dell’interpretazione degli spettripollinici è sempre un’approfondita conoscenza del terri-torio, della flora, della vegetazione e delle potenzialitàapistiche, che ci si è sforzati di riportare in estrema sin-tesi in queste pagine.Nell’interpretare la complessità di uno spettro è sempremolto importante valutare non solo la presenza (e ab-bondanza) di determinate forme polliniche, ma anchel’associazione tra di loro, nonché l’assenza di altre forme(concetto di presenza/assenza). Così, se la presenza diCastanea in un miele millefiori, da sola, non indica nessu-na origine particolare, data la diffusione della specie nelnostro paese, una sua frequenza elevata può già permet-tere di escludere come probabile origine le regioni dellacosta adriatica e la Sardegna; la presenza contemporaneadi Eucalyptus in percentuale non irrisoria, unita all’assenzadi marcatori alpini (Tilia ed Ericacee altre), può orientareverso il centro-sud; l’assenza di Citrus, limitarla alle regionidell’Italia centrale e la presenza di vari Trifolium e in parti-colare T. incarnatum indicare come origine più probabile ilLazio, o aree prossime della Toscana o della Campania; lealtre forme dello spettro dovranno essere, ovviamente,in linea con l’ipotesi formulata e confermarla. Si tratta co-munque dell’origine più probabile e non di un dato certo,con un livello di probabilità che aumenta al crescere dellabanca dati di riferimento. Occorre inoltre ricordare la complessità del percorsoche i granuli pollinici possono compiere dalle antere alpreparato microscopico e come sia le fasi produttive (so-prattutto nomadismo), sia quelle di preparazione per ilmercato (ad esempio la miscelazione di lotti di diversaprovenienza geografica) possono produrre associazioninon presenti in natura.

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli italiani 105

Tabella XXIII-5. Forme polliniche trovate con frequenza elevata (X) o intermedia (x) in almeno una tipologia dei mieli regionali italiani. L’ordine incui sono disposte le regioni è stato in qualche caso modificato, rispetto all’ordine di presentazione utilizzato in altre parti del libro, per dare mag-giore evidenza alle affinità geografico-vegetazionali.

106 I mieli regionali italiani

Famiglia Forma pollinica

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e (N)

Total

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Aceraceae Acer X X x X X X x x x 9 45 Actinidiaceae Actinidia* x X x x x 5 25 Amaranthaceae/Chenop. Amaranthac./Chenop.* X x x x X X X X X x X x x 13 65 Anacardiaceae Cotinus/Schinus X X 2 10 Anacardiaceae Pistacia* X X X 3 15 Anacardiaceae Rhus x X 2 10 Araliaceae Hedera x x X x x x x x x x 10 50 Betulaceae Alnus* X 1 5 Betulaceae/Corylaceae Betulaceae/Corylac.* x X X X x x 6 30 Boraginaceae Alkanna X 1 5 Boraginaceae Borago X x X x X X 6 30 Boraginaceae Cerinthe x x X 3 15 Boraginaceae Cynoglossum x 1 5 Boraginaceae Echium x X x x x X X x x X X X X X X X 16 80 Boraginaceae Myosotis X X X X x X x X 8 40 Buddlejaceae Buddleja x 1 5 Campanulaceae Campanulaceae X X X X X x 6 30 Caprifoliaceae Lonicera x x 2 10 Caprifoliaceae Sambucus nigra* X X X X X X X X X X x x X x x 15 75 Caprifoliaceae Viburnum x 1 5 Caryophyllaceae Caryophyllaceae x x X x 4 20 Cistaceae Cistus* X x X X 4 20 Cistaceae Helianthemum* X X X X X x x X 8 40 Cistaceae Cistaceae* x X X x x X X 7 35 Compositae Ambrosia* X 1 5 Compositae Artemisia* X x X x X X x x x x X 11 55 Compositae Carthamus x 1 5 Compositae Centaurea cyanus x X X x 4 20 Compositae Centaurea jacea x x X x x X X x x x x x 12 60 Compositae Compositae A x X X x x x x x X X X 11 55 Compositae Compositae H X x X X X x X X x x x x 12 60 Compositae Compositae S X x x X x X x X X x X x X x X X 16 80 Compositae Compositae T x X X X X X X x X X X x X x x x X x x 19 95 Compositae Helianthus X x X X x X x X 8 40 Compositae Xanthium* x X 2 10 Cornaceae Cornus sanguinea x X x X X X X X X X x 11 55 Crassulaceae Sedum/Sempervivum x x x X X x x 7 35 Cruciferae Cruciferae X x X X X X X X X X X X X X X X X X X X 20 100 Cruciferae Cruciferae < 20 x x X X 4 20 Cucurbitaceae Cucumis x x 2 10 Cupressaceae/Taxaceae Cupressaceae/Tax.* X X x X x x x 7 35 Cyperaceae Cyperaceae* x 1 5 Dipsacaceae Dipsacaceae x x X 3 15 Ebenaceae Diospyros x 1 5 Ericaceae Arbutus X 1 5 Ericaceae Erica X X x X x x X 7 35 Ericaceae Ericacae altre X X X X X 5 25 Euphorbiaceae Euphorbia X x 2 10 Euphorbiaceae Mercurialis* x x X X x 5 25 Fagaceae Castanea X X X X X X X X X X X x x X X X X x X x 20 100 Fagaceae Quercus ilex* x X x X X x X 7 35 Fagaceae Quercus robur* X X X X X X X X X X 10 50 Fagaceae Quercus* X X X X X x X x 8 40 Geraniaceae Geranium x X x 3 15 Graminaceae Zea* X X X X X x X X X x x X 12 60 Graminaceae Graminaceae altre* X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X 20 100 Guttiferae Hypericum x x x 3 15 Hippocastanaceae Aesculus x x x x X X x X x 9 45 Juncaceae Juncaceae* x X X 3 15 Labiatae Lamium X x 2 10 Labiatae Lavandula stoechas x X 2 10 Labiatae Mentha pulegium x 1 5 Labiatae Rosmarinus X X x 3 15 Labiatae Salvia x x X x 4 20 Labiatae Sideritis romana X 1 5

Caratteristiche melissopalinologiche dei mieli italiani 107

Tabella XXIII-5. (segue)

Famiglia Forma pollinica

Piemo

nte

Valda

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Lomb

ardia

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tino A

.A.

Vene

to

Friul

i V.G

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Pugli

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Sicilia

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Total

e (N)

Total

e (%

)

Labiatae Stachys x x x X X 5 25 Labiatae Teucrium X 1 5 Labiatae Thymus X X X x x X x X X X 10 50 Labiatae Labiatae esacolpate X x x x X x X X 8 40 Leguminosae-Cesalpin. Gleditsia x X x x X X x x x 9 45 Leguminosae-Faboid. Amorpha x x X X 4 20 Leguminosae-Faboid. Astragalus/Ononis x x X x X 5 25 Leguminosae-Faboid. Coronilla/Hippocrepis X X x X x X X X X x x 11 55 Leguminosae-Faboid. Dorycnium x x 2 10 Leguminosae-Faboid. Galega x x x X X X x x x X x 11 55 Leguminosae-Faboid. Genista x x X X x X 6 30 Leguminosae-Faboid. Glycine X x 2 10 Leguminosae-Faboid. Hedysarum X X X X X x X X X X X X 12 60 Leguminosae-Faboid. Lotus X X X X X X X X X X X X X X X X X X X 19 95 Leguminosae-Faboid. Medicago x x X X x X X x 8 40 Leguminosae-Faboid. Melilotus x x x X X x x X X x x x 12 60 Leguminosae-Faboid. Onobrychis X X x x x X X X X x x 11 55 Leguminosae-Faboid. Robinia X X X X X X X X X X X X X X x 15 75 Leguminosae-Faboid. Trifolium hybridum x x 2 10 Leguminosae-Faboid. Trifolium incarnatum x X X 3 15 Leguminosae-Faboid. Trifolium pratense s.l. x X X X x X X x X X X x X X x X x X X X 20 100 Leguminosae-Faboid. Trifolium repens X X X X X X X x X X X X X X X X X X X X 20 100 Leguminosae-Faboid. Vicia s.l. x x X x x x x X X X x X 12 60 Leguminosae-Faboid. Leguminosae altre x X 2 10 Leguminosae-Mimosoid. Acacia x x X 3 15 Liliaceae Allium x x X x 4 20 Liliaceae Asparagus acutifolius X X x X X X x X x 9 45 Liliaceae Asparagus officinalis x 1 5 Liliaceae Asphodelus X x x X 4 20 Liliaceae Smilax x 1 5 Liliaceae Liliaceae altre s.l. x X x x x x x 7 35 Liliaceae Liliaceae s.l. X x X x 4 20 Loranthaceae Loranthus x x X 3 15 Magnoliaceae Magnoliaceae X x x 3 15 Malvaceae Malvaceae x 1 5 Moraceae/Urtic./Cannab. Urticaceae s.l.* x X X x x x X x x X 10 50 Myrtaceae Eucalyptus x X X X X X X X X X X 11 55 Myrtaceae Eucalyptus occident. X 1 5 Myrtaceae Myrtus X X 2 10 Oleaceae Fraxinus ornus* x X X X X X X x X X x X X X 14 70 Oleaceae Ligustrum x x X X X x x x X 9 45 Oleaceae Olea* X X X X X X x X X 9 45 Oleaceae Oleaceae* X X X X X 5 25 Oxalidaceae Oxalis pes-caprae x x X 3 15 Palmae Chamaerops* X X x X X x x X x 9 45 Palmae Phoenix* x X x 3 15 Palmae Palmae* x X x 3 15 Papaveraceae Chelidonium* x X 2 10 Papaveraceae Papaver* X x X X X X X X X X X X X X X X X 17 85 Pinaceae Pinaceae* x X X x X X X x x x X x 12 60 Plantaginaceae Plantago* X X X X X X X X X x X X x X x x x 17 85 Polygonaceae Polygonum aviculare x x 2 10 Polygonaceae Polygonum bistorta X X X 3 15 Polygonaceae Polygonum persicaria x 1 5 Polygonaceae Rumex* X X X X x X X X x x 10 50 Polygonaceae Polygonaceae x 1 5 Ranunculaceae Clematis X x X X X X X X X x x X x x 14 70 Ranunculaceae Nigella x x 2 10 Ranunculaceae Thalictrum* x 1 5 Ranunculaceae Ranunculaceae altre x x X X X x x x 8 40 Resedaceae Reseda X x x 3 15 Rhamnaceae Rhamnaceae x X X X X X x X X X x x x x X x 16 80 Rosaceae Aruncus* x x x 3 15 Rosaceae Crataegus x x 2 10 Rosaceae Filipendula* x x x X X 5 25

108 I mieli regionali italiani

Tabella XXIII-5. (segue)

Famiglia Forma pollinica

Piemo

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Lomb

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Tren

tino A

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i V.G

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Lazio

Camp

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Sicilia

Sarde

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Total

e (N)

Total

e (%

)

Rosaceae Fragaria/Potentilla x x x X x X x x 8 40 Rosaceae Malus/Pyrus X X x X x X X x X X X x X X X X X 17 85 Rosaceae Prunus x X x X X X X X x x x X x X x X 16 80 Rosaceae Prunus/Pyrus X X 2 10 Rosaceae Prunus mahaleb X 1 5 Rosaceae Rosa* x 1 5 Rosaceae Rubus X X X X X X X X X X X X X X X X X X X X 20 100Rosaceae Sanguisorba minor* x x 2 10 Rosaceae Sorbus X X 2 10 Rosaceae Rosaceae altre x X x x X 5 25 Rutaceae Citrus x x X X X X X X 8 40 Salicaceae Salix X X X X X X X X X x X X X X X X x x x x 20 100Saxifragaceae Saxifraga x 1 5 Scrophulariaceae Antirrhinum x 1 5 Scrophulariaceae Linaria x x X X 4 20 Scrophulariaceae Odontites x 1 5 Scrophulariaceae Scrophulariaceae altre x X x x x X x x X x 10 50 Simaroubaceae Ailanthus X X X x X X x x X X x x x 13 65 Tamaricaeae Tamarix x 1 5 Tiliaceae Tilia X X X X x X X X 8 40 Umbelliferae Eryngium x x x 3 15 Umbelliferae Smyrnium X 1 5 Umbelliferae Umbelliferae X x X X X X X X X X X X X X X x 16 80 Umbelliferae Umbelliferae A X x X X 4 20 Umbelliferae Umbelliferae H x X X 3 15 Verbenaceae Verbena x 1 5 Vitaceae Parthenocissus X X X x X X x x X x X x 12 60 Vitaceae Vitis* X x X x x X X X X X x 11 55 Totale forme polliniche 149 54 57 63 48 70 74 58 42 57 43 66 51 49 42 40 39 42 58 52 50

109

Capitolo XXIV

DIFFERENZIAZIONE DEI MIELI ITALIANI E STRANIERI IN BASE ALLO SPETTRO POLLINICO

di Giancarlo Ricciardelli D’Albore

Le caratteristiche melissopalinologiche dei mieli italia-ni descritte nei capitoli III-XXIII dovrebbero esseresufficienti per l’identificazione dei mieli di produzionenazionale. Tuttavia, poiché le norme internazionali sulmiele prevedono l’obbligo di indicare il paese di pro-duzione, è necessario poter distinguere, attraverso l’a-nalisi melissopalinologica, i mieli prodotti nei vari Paesidel mondo.Per quanto riguarda la possibilità di differenziare i mie-li italiani da quelli stranieri, sono stati condotti diversistudi scientifici, a partire dai primi contributi risalenti atrentacinque anni fa (Battaglini e Ricciardelli D’Albore,1972), fino ai più recenti trattati sulla melissopalinolo-gia che descrivono numerosi spettri pollinici di mieli ditutto il mondo, corredati da un’ampia iconografia (Ric-ciardelli D’Albore, 1997 e 1998). Questi studi costitui-scono un’importante base informativa comune a tuttigli specialisti del settore, ma purtroppo una buonaparte delle conoscenze relative agli spettri pollinici deimieli prodotti nelle varie parti del mondo rimane an-cora patrimonio di ogni singolo analista.In linea generale, le differenze che permettono di distin-guere i mieli stranieri da quelli italiani possono riguardarel’intero spettro pollinico, che può presentarsi totalmentediverso, o la presenza di specifiche forme polliniche, ap-partenenti a specie che non vegetano in Italia o, al contra-rio, la mancanza di uno o più pollini che nei mieli italiani sirinvengono comunemente; in altri casi il miele stranierocontiene pollini comuni ai mieli italiani, ma variano le lorocombinazioni e le rispettive percentuali. Ogni valutazionedell’origine geografica costituisce quindi una perizia com-plessa, alla quale concorrono tutti i dati disponibili.In questo capitolo si passano brevemente in rassegna glielementi sui quali si basa il riconoscimento dell’originegeografica dei mieli di importazione più comunementecommercializzati in Italia: argentini (millefiori), est-euro-pei (millefiori, robinia e tiglio), messicani e centro-ame-ricani (millefiori), spagnoli (alcuni uniflorali, quali timo,lavanda, agrumi), cinesi (robinia e millefiori), australiani(eucalipto e millefiori) e neozelandesi (millefiori).

Argentina

Il millefiori argentino costituisce uno dei prodotti piùimportati, anche se in alcuni anni le variazioni a livellodel mercato internazionale possono ridurre la sua pre-senza nel nostro paese. Si tratta di un prodotto estre-mamente costante, con uno spettro pollinico relativa-mente simile a quello dei mieli italiani, e in particolare aquelli prodotti nel Lazio, che comprende costantemen-te: Eucalyptus, Trifolium repens, Echium, Lotus, Melilotus,Umbelliferae A, Helianthus, Compositae S (spesso congranuli pollinici color violetto), Cruciferae, Centaurea ja-cea ed eventualmente Medicago e Glycine. Tutte questeforme possono trovarsi anche nei mieli italiani, che han-no tuttavia uno spettro più ricco, con frequente presen-za di specie che non si trovano nei mieli argentini, qualiTrifolium pratense, Castanea, Hedysarum; inoltre nei mieliargentini non sono infrequenti pollini di specie tropicali(Prosopis, Bursera). Va precisato che questo spettro polli-nico così costante corrisponde all’area maggiormenteproduttiva, ma l’Argentina è un paese estremamente va-sto dove si producono diverse altre tipologie di miele,meno presenti sul mercato internazionale (e di conse-guenza meno noti sotto il profilo melissopalinologico).

Est Europeo

I principali tipi di miele importati in Italia dai Paesi est-eu-ropei (paesi della ex Jugoslavia, Ungheria, Romania e Bul-garia) sono robinia, millefiori e tiglio. In Ungheria, grazie aun lungo processo di selezione di cultivar di Robinia (pres-so il centro di ricerche Forestali di Gödöllö, Budapest) so-no state diffuse varietà molto nettarifere, con un conside-revole aumento della produzione mellifera.Nei mieli di robinia l’associazione più tipica è costituita,oltre che da Robinia, da Cruciferae (anche in percentua-le elevata), Rosaceae (in particolare Crataegus), Amor-pha, Symphytum, Gleditsia, Chelidonium, Vicia, Cornus san-guinea, Trifolium spp., Helianthus, Phacelia, Loranthus, Cen-taurea cyanus, Vitis, oltre ad altri pollini più rari. Questimieli hanno spesso un quantitativo totale di polline su-periore rispetto ai mieli di robinia italiani.La stessa associazione si trova nei mieli millefiori, doveè più frequente Helianthus, e nei mieli di tiglio, dove apercentuali elevate di Tilia, si unisce anche Castanea.

Messico e America Centrale

L’identificazione dei mieli provenienti da questi paesi, aclima decisamente diverso dal nostro, non comporta dif-ficoltà, almeno nella definizione dell’origine extraeuropeae di zona tropicale. Può essere invece più difficile attribui-re un nome a forme polliniche appartenenti a una floradella quale si hanno informazioni molto ridotte. Accantoa scarsi pollini presenti anche nel nostro territorio, questi

mieli hanno uno spettro che annovera specie subtropicalie tropicali, spesso dotati di forme molto insolite e visto-se, per lo più assenti in Italia. Le forme più comuni inquesti mieli appartengono ai gruppi delle Mimosoideae(diverse specie del genere Mimosa, Prosopis), Cesalpinioi-deae, Myrtaceae, Bombacaceae, Acanthaceae (Bravaisia),Compositae (Bidens-Viguiera, Trixis), Proteaceae, Bignonia-ceae, Palmae e molti altri, quali Bursera, Croton, Manihot,Trifolium, Ipomaea, Persea, Antigonon, Coffea, Cordia, Cacta-ceae. La maggior parte dei mieli importati da questi paesiè millefiori, ma si producono diverse tipologie unflorali,fra cui agrumi e caffè.

Spagna

Nonostante la relativa vicinanza geografica, i mieli spa-gnoli possiedono elementi di identificazione che nepermettono il riconoscimento anche quando fannoparte di una miscela complessa. Oltre alla presenza dispecie che non si trovano nelle fitocenosi (e nei mieli)italiani, può contribuire alla differenziazione dei mielispagnoli il tipo di apicoltura praticato in quel paese,che comporta un frequente arricchimento terziario acausa della mancanza di separazione tra i favi di covatae quelli destinati alla raccolta di miele. I mieli spagnolisono quindi spesso molto ricchi di sedimento e di pol-lini di piante non nettarifere, anche in percentuali ele-vate: varie specie di Cistus (in particolare C. ladanifer),Hypecoum, Quercus ilex e Olea. Tra le nettarifere è fre-quente la presenza di diverse specie di Erica (E. umbel-lata, E. vagans, E. australis), varie Labiatae (Thymus, La-vandula stoechas, L. latifolia, Rosmarinus), Anthyllis cytisoi-des, Asparagus maritimum, Echium, Ulex, Genista, nonchépollini comuni ai mieli italiani (Citrus , Eucalyptus ,Onobrychis, Rubus). I mieli uniflorali che abitualmentevengono importati in Italia sono agrumi, rosmarino, ti-mo, eucalipto, lavanda.

Cina

La Cina è oggi il maggiore produttore ed esportatoremondiale di miele; nel suo vasto territorio sono rap-presentati tutti i tipi di clima e questo è ben visibilenei prodotti che giungono in Europa, come suggeriscela ricchezza e la variabilità degli spettri pollinici. Tutta-via nei prodotti più diffusi si ritrovano degli elementicomuni, che permettono di stabilire con sicurezza l’o-rigine del prodotto. Il primo elemento di riconosci-mento in realtà non è pollinico ma organolettico ed èrappresentato dal costante sapore metallico (dai con-

tenitori di stoccaggio) e di fermentato (dovuto alletecniche di produzione). A livello microscopico l’ele-mento più evidente è rappresentato da un fondo con-tinuo di lieviti di forma rotondeggiante e rigonfia, checostituiscono un elemento di orientamento per l’anali-sta. Nei mieli commercializzati come millefiori è co-mune una prevalenza netta di Cruciferae e ciò può co-stituire una certa difficoltà nell’identificazione dell’ori-gine, a meno che non siano presenti due pollini assaicaratteristici cinesi: Astragalus sinicus e Weinmannia. Imieli di tiglio hanno in genere una percentuale moltoelevata di polline di Tilia (>50%) che può costituire unelemento di differenziazione da quelli italiani. Nei mielidi robinia, oltre al polline di questa specie sono conte-nuti Cruciferae, Vicia, Fagopyrum, Cunoniaceae, Astraga-lus sinicus, Dimocarpus, Litchi chinensis. Altri pollini che sipossono trovare nei mieli cinesi sono Rhamnaceae,Scrophulariaceae, Polygala, Polemonium, Thalictrum, Cucu-mis, Citrullus, Sanguisorba major, Evodia e Sesamum.

Australia

Nel continente australiano vegetano oltre 400 specie diEucalyptus, che rappresentano la principale sorgentemellifera. I mieli di eucalipto australiani sono organolet-ticamente diversi da quelli italiani, e si differenziano perla presenza di Banksia. Questa specie, della famiglia delleProteaceae, può considerarsi esclusiva dei mieli austra-liani e dà luogo anche a miele uniflorale. Nei mieli mille-fiori, poveri di varietà di pollini, oltre a Banksia si trova-no Echium, Myrtaceae, Proteaceae e Trifolium repens. InTasmania si produce miele uniflorale di Eucryphia.

Nuova Zelanda

Nello spettro pollinico dei mieli di questo paese sonofrequenti Trifolium repens, Lotus e Echium (che possonodare origine anche a produzioni uniflorali) insieme aThymus, Weinmannia e altri pollini esclusivi dei mieli neo-zelandesi: Ixerba, Metrosideros, Leptospermum e Discaria.

Bibliografia

Battaglini M., Ricciardelli D’Albore G., 1972 - Differen-ziazione dei mieli italiani e stranieri in base allo spet-tro pollinico. Simp. Int. di Apicoltura. Torino: 96-111.

Ricciardelli D’Albore G., 1997 - Textbook of melisso-palynology. Ed. IITEA Apimondia Bucharest, 308 pp.

Ricciardelli D’Albore G., 1998 - Mediterranean melisso-palynology. Università degli Studi di Perugia, 466 pp.

110 I mieli regionali italiani

111

Capitolo XXVALTRE APPLICAZIONI DELLAMELISSOPALINOLOGIA

di Giancarlo Ricciardelli D’Albore

Abbiamo visto che con la melissopalinologia è possibilestabilire l’origine dei mieli e quindi conoscere la floracoltivata e spontanea visitata dalle api nelle varie fitoce-nosi. Ma questa disciplina è applicabile, seppure con me-todiche diverse, anche allo studio degli altri prodottiapistici (Ricciardelli D’Albore, 1996), nonché alla solu-zione di alcuni problemi di entomologia.

Altri prodotti dell’alveare

PollineLe api raccolgono, oltre al nettare, anche il polline dellepiante, utilizzato per l’alimentazione delle larve e dellegiovani api, in virtù del suo elevato contenuto proteico.Il polline viene prelevato dalle antere dei fiori, amalga-mato con nettare o miele, pressato e agglomerato informa di pallottole, portate dalle zampe posteriori. Èquindi portato in alveare e immagazzinato nei favi delnido, vicino alla covata. Attraverso apposite “trappole” poste all’ingresso del-l’arnia è possibile sottrarre alle bottinatrici il loro cari-co di polline, che trova impiego come integratore ali-mentare per uso umano. La maggior parte del polline commercializzato in Italiaproviene da importazione (soprattutto dalla Spagna),ma la produzione locale è oggi in aumento, in un’otticadi diversificazione dell’attività apistica da reddito.L’identificazione del polline raccolto dalle api riveste unnotevole interesse, sia a livello scientifico, per acquisireinformazioni sulla flora pollinifera, sulla biologia delle apie sulle interazioni ape-pianta, sia per il controllo dellaprovenienza geografica del polline commercializzato.Ogni pallottola confezionata dalle api è costituita gene-ralmente dal polline di una sola specie e le pallottoleprovenienti dalle diverse piante si differenziano per co-lore, forma, dimensioni e compattezza (Louveaux, 1968;Ricciardelli D’Albore e Persano Oddo, 1978). Su questosi basa il metodo per analizzare il polline, che consistenel selezionare, dal raccolto di polline prelevato dalletrappole, 2-3 pallottole per ogni tipo (in base al coloree alle altre caratteristiche); le pallottole di ognuno deitipi selezionati sono poste su un vetro da orologio esciolte in alcune gocce di acqua distillata con l’aiuto diuna bacchetta di vetro; si trasferisce una piccola quanti-tà della sospensione su un vetrino portaoggetto me-

diante una pipetta Pasteur, si lascia asciugare su piastrariscaldante a calore moderato (40°C) e si copre con unvetrino coprioggetto sul quale è stata posta una gocciadi gelatina glicerinata (eventualmente colorata con fuc-sina basica in soluzione alcolica allo 0,1%) precedente-mente fluidificata sulla piastra riscaldante. Si procedequindi all’identificazione dei tipi pollinici al microscopio(Ricciardelli D’Albore 1997a).Per una valutazione quantitativa del raccolto, si miscela-no accuratamente le pallottole del campione da analiz-zare e se ne prelevano due aliquote di 5g. Ciascuna diesse si suddivide in gruppetti in base al colore e alle al-tre caratteristiche delle pallottole e i diversi gruppetti sipesano per calcolarne le rispettive percentuali, median-do i valori ottenuti sulle 2 aliquote di 5g. Si procedequindi all’allestimento dei preparati e all’identificazionecome sopra descritto.Gli elementi per il riconoscimento dell’origine geografi-ca del polline sono analoghi a quelli riportati per il mie-le (vedi capitolo XXIV).

Gelatina realeLa gelatina reale o pappa reale (GR) è il secreto delleghiandole ipofaringee delle api nutrici, utilizzato per l’ali-mentazione delle larve nei primi tre giorni di vita e del-l’ape regina per tutta la durata della vita larvale e adulta. Anche questo prodotto dell’alveare trova impiego co-me integratore alimentare per uso umano e per la suaproduzione a fini commerciali si stimola artificialmentela colonia ad allevare regine in misura di gran lunga su-periore rispetto alle condizioni naturali, raccogliendo ilprodotto nel momento in cui l’accumulo nelle celle diallevamento è massimo.La maggior parte della GR commercializzata provienedalla Cina, che è in grado di produrre oltre 1000 t digelatina reale all’anno, grazie alle innovative tecniche diproduzione adottate (Sonkun et al. 2002), ma negli ulti-mi anni la produzione in Italia è molto aumentata e so-no in corso studi per la caratterizzazione e la valorizza-zione della GR nazionale (Persano Oddo et al., 2006). Lapossibilità di distinguere il prodotto italiano da quelloimportato di basso costo riveste quindi particolare im-portanza.Benché non sia di origine vegetale, la GR contiene nu-merosi granuli di polline di origine secondaria che, ana-logamente a quanto avviene per il miele, rispecchianol’ambiente in cui si trovano gli alveari, permettendo dirisalire al luogo di produzione. Rispetto al miele la GR ècaratterizzata dalla presenza, in quantità variabile, di ele-menti microscopici diversi dal polline, quali esuvie larva-li, amido, ife fungine e lieviti, e da un’elevata percentualedi pollini rotti o digeriti, che rendono l’analisi più com-plessa (Chauvin, 1968; Battaglini e Ricciardelli D’Albore,1978; Ricciardelli D’Albore 1991; Piana et al., 2006). Ilmetodo per l’analisi palinologica di questo prodotto è

stato recentemente implementato (Piana et al. 2006) edè riportato in Appendice II.Le associazioni polliniche della GR sono simili a quelledei mieli provenienti dalle stesse aree, ma con un’abbon-danza molto maggiore di specie non nettarifere. In parti-colare nella GR cinese si trovano Brassica, Astragalus sini-cus, Vicia faba e, più occasionalmente, Fagopyrum, Thalic-trum, Tilia, Rhamnaceae, Eleagnus, Citrullus, Sanguisorba ma-jor. Talora il riconoscimento dell’origine cinese della GRpuò risultare piuttosto complesso, per l’abbondante fre-quenza di un polline simile al castagno, unita ad una scar-sa percentuale delle forme più tipiche che, se presenti alivello di polline raro, emergono solo ad un esame appro-fondito del sedimento. Un ulteriore elemento di caratte-rizzazione è costituito dalla frequente presenza di unaforma pollinica caratteristica (Fig. XXV-1), finora nonidentificata con certezza, ma probabilmente da attribuirea Phellodendron, della famiglia delle Rutaceae (Piana et al.,2006; Von der Ohe, 2006).

PropoliLa propoli è una sostanza resinosa, raccolta dalle api sudiverse piante e utilizzata per sigillare le fessure nellepareti dell’arnia e per avvolgere e isolare eventuali restiorganici impossibili da rimuovere. Per le sue notevoliproprietà antibatteriche, antimicotiche e cicatrizzanti èimpiegata per preparazioni farmaceutiche di uso umanoe veterinario.Il colore della propoli può essere molto variabile, in re-lazione alle piante di origine: la più comune, derivatadalle gemme del pioppo, è giallo-verdastra, quella tropi-

cale è molto scura e quella prodotta nei paesi nordicimolto chiara.Il principale paese produttore di propoli è la Cina, se-guita dal Brasile, dove sono state messe a punto nuoveed efficienti tecniche di produzione (Crane 1996). Lo studio palinologico della propoli, per stabilirne laprovenienza geografica, è attualmente limitato all’ambi-to scientifico, e non è impiegato per il controllo delprodotto commercializzato.La tecnica analitica (Ricciardelli D’Albore, 1979) è alquan-to laboriosa, poiché i pollini della propoli non possono es-sere recuperati con il metodo classico della melissopali-nologia (preparato di pollini freschi), ma è necessario, do-po una fase di estrazione, ricorrere al metodo acetolitico.Si sciolgono 200 mg di propoli in una soluzione di alcooletilico, cloroformio e acetone (1:1:1); si centrifuga la solu-zione e il sedimento ottenuto si scioglie in 20 ml di unasoluzione di KOH al 10%; si fa bollire la soluzione per 2minuti, si centrifuga nuovamente e il sedimento si ripren-de con 10 ml di alcool etilico assoluto; dopo un’ulteriorecentrifugazione il sedimento viene trattato con il metodoacetolitico (Erdtman 1952).

CeraLo studio pollinico della cera è stato affrontato da alcu-ni autori (Serra Bonvehi, 1990; Furness, 1994; Jeanne,1996; Ricciardelli D’Albore e Acocella, 1999), e ha mes-so in evidenza che la determinazione dell’origine geo-grafica della cera è possibile solo su cera grezza o supezzi di favo, in quanto nel processo di lavorazione epurificazione il polline viene eliminato. Come nel casodella propoli l procedimento analitico è piuttosto labo-rioso e non viene utilizzato per il controllo del prodot-to commercializzato, ma solo in ambito scientifico. Il metodo di preparazione prevede un’estrazione conacido acetico glaciale, cui segue l’applicazione del meto-do acetolitico.

EntomopalinologiaL’Entomopalinologia è l’analisi dei pollini ingeriti o rima-sti aderenti al corpo degli insetti, e può essere finalizza-ta a diverse applicazioni (Ricciardelli D’Albore e Palmie-ri, 2000). Darwin (1862) fu il primo ad utilizzarla nellesue ricerche sull’impollinazione delle orchidee (Pendle-ton et al., 1996); Alcuni autori hanno applicato questascienza per studiare la provenienza, gli itinerari e la di-stanza percorsa nelle loro migrazioni dagli insetti dan-nosi alle colture agricole, in particolare Lepidotteri, al fi-ne di migliorare le tecniche di difesa (Mikkola, 1971;Kislev et al., 1972; Cate e Skinner, 1978; Turnock et al.,1978; Courtney et al., 1982; Hartstack et al., 1982; Raul-ston et al., 1982; Adler, 1987; Hendrix et al., 1987, 1992;Bryant e Pendleton, 1991; Bryant et al., 1991; Lingren etal., 1994). Recentemente l’entomopalinologia si è rivela-ta utile per tracciare il percorso nelle migrazioni dell’a-pe africanizzata (Pendleton et al., 1996).

112 I mieli regionali italiani

Figura XXV - 1. a, b: polline indeterminato frequente nella ge-latina reale cinese (foto P. Belligoli); c, d: Phellodendron amu-rense (foto K. Von der Ohe).

ba

c d

Altre applicazioni della melissopalinologia 113

Un altro campo di studio riguarda la dieta degli insetti,ed è in questo caso finalizzata a integrare i dati derivatidall’osservazione diretta e fornire informazioni sullabiologia e sul comportamento degli insetti stessi (Ricciet al., 1983; Benedict et al., 1991). Conoscere la dietadegli apoidei e degli altri insetti impollinatori è indi-spensabile per capirne l’etologia florale (quali e quantepiante sono state visitate) e valutarne il ruolo nell’im-pollinazione delle diverse colture (Parker e Hatley,1979; Ricciardelli D’Albore, 1993, 1997b). L’Entomopali-nologia assume così un importante aspetto applicativo,nel campo dell’allevamento di insetti utili e della lorogestione per realizzare un servizio di impollinazionemirato, in pieno campo o in ambiente confinato. Un ulteriore aspetto applicativo dell’Entomopalinologiaricade nell’ambito del biomonitoraggio ambientale cheutilizza l’ape come indicatore dello stato di salute delterritorio (Celli, 1983; Celli et al. 1985; Sabatini et al.,1992; Porrini, 1998; Porrini et al., 2002). In caso di mo-rie di api per avvelenamento da pesticidi, l’analisi delpolline sul corpo dell’insetto o nel suo intestino per-mette di risalire alle piante bottinate, fra le quali è pos-sibile individuare la coltura oggetto del trattamentoche ha causato l’apicidio (Ricciardelli D’Albore et al.,1993; Ricciardelli D’Albore e Palmieri, 1999; Marinelli etal., 2005).Il metodo di preparazione per i pollini che aderisconoal corpo e ai peli dell’insetto consiste nel lavare gli in-setti con etere etilico su un vetro da orologio, decanta-re l’etere in eccesso e lasciare evaporare; riprendere ilpolline rimasto sul fondo del vetro da orologio con unagoccia di acqua distillata e trasferire la sospensione suun vetrino portaoggetto mediante una pipetta Pasteur;lasciare asciugare su piastra riscaldante a 40° C e co-prire con un vetrino coprioggetto sul quale sia stataposta una goccia di gelatina glicerinata fluidificata. Per avere informazioni più complete sulla dieta dell’in-setto, si estrae l’intestino, che viene poi preparato suun vetrino per l’esame dei pollini ingeriti. Per le api sipuò esaminare il contenuto della borsa melaria. Per ipronubi che costruiscono nidi pedotrofici (Osmie) sipuò esaminare il polline contenuto nelle celle del nido,aprendole ed estraendo piccole porzioni del cibo im-magazzinato.

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114 I mieli regionali italiani

APPENDICI

APPENDICE INOMENCLATURA MELISSOPALINOLOGICA

di Maria Lucia Piana

In questa appendice viene presentata la nomenclatura uti-lizzata nei capitoli III-XXIII per indicare le forme pollinichetipiche di ogni regione. Nella redazione delle schede regionali è stata necessariaun’opera critica di uniformazione dei dati, al fine di con-frontare e sintetizzare risultati analitici di provenienze mol-to diverse, e presentati quindi in maniera non omogenea.Come accennato nei capitoli II e XXIII, questo lavoro diarmonizzazione, che in alcuni casi ha comportato un’inevi-tabile perdita di informazione, ha prodotto un elenco delleforme polliniche risultate frequenti in almeno una delle ti-pologie di miele studiate nelle 20 regioni italiane. Tale elenco, di 158 voci, è stato integrato con altre forme,non presenti nelle tabelle regionali ma giudicate di qual-che importanza, e con una serie di informazioni aggiuntiveritenute utili a completare un quadro generale della melis-sopalinologia italiana. La definizione di questa nomenclatura di riferimento rap-presenta la prima tappa per avvicinare l’analisi melissopali-nologica ai livelli di standardizzazione e affidabilità ritenutioggi essenziali per qualunque tipo di procedimento anali-tico, ma non ancora raggiunti nel nostro settore. Una piùrigorosa standardizzazione dell’analisi è infatti indispensa-bile sia nella fase di formazione dell’analista che in quelladi interpretazione ed espressione dei risultati, ed è la ne-cessaria premessa per poter confrontare ed elaborare da-ti prodotti da diversi analisti mediante l’applicazione distrumenti statistici.

Uso della nomenclatura durante il percorso formativo

Per chi affronta lo studio della melissopalinologia il primoscoglio da affrontare è ovviamente il riconoscimento dellediverse forme polliniche. Le conoscenze che un analistapuò acquisire nelle fasi di apprendimento della tecnica so-no potenzialmente infinite e il livello di discriminazionedei granuli pollinici potrebbe arrivare, almeno in via teori-ca, a livello delle singole specie. È tuttavia noto che le ca-pacità umane e le necessità pratiche limitano le effettivepossibilità discriminative a poche centinaia di forme polli-niche, che corrispondono talora a singole specie, talora ataxa affini e altre volte ancora a specie lontane dal puntodi vista tassonomico, ma accomunate da una morfologiasimile all’osservazione microscopica. È importante che

nello studio della morfologia pollinica e nel perfeziona-mento delle proprie capacità di identificazione l’apprendi-sta sia orientato verso le forme polliniche che, per il lorointeresse apistico o per il loro significato nell’interpreta-zione dell’origine geografica, rivestono maggiore impor-tanza in melissopalinologia.Già i padri della melissopalinologia, Zander (1935, 1937,1941, 1949, 1951) in primo luogo e, successivamente,Maurizio e Louveaux (1965) e Vorwohl (1972), ci hannofornito indicazioni per la classificazione dei tipi pollinici,che continuiamo ancora ad utilizzare, tuttavia i loro studioriginali non sono più accessibili, e chi si accosta oggi aquesta disciplina può comprendere il significato di alcunitermini (come ad esempio Compositae “forma A” o Um-belliferae “forma H”) solo se l’informazione gli viene datada un melissopalinologo della precedente generazione. D’altra parte le informazioni disponibili nella letteraturaspecializzata (testi e atlanti fotografici che descrivono lamorfologia pollinica e illustrano i pollini delle singole spe-cie), sono utilissimi per indirizzare lo studio dell’apprendi-sta, ma non lo aiutano ad organizzare la sua conoscenza.La nomenclatura di base qui proposta è finalizzata a definire ilivelli di raggruppamento utili in melissopalinologia e ad indi-r izzare quindi le energ ie de l l ’ ana l i s ta verso una discriminazione delle forme polliniche più o meno approfon-dita in funzione della loro maggiore o minore importanza.Per il riconoscimento delle diverse forme polliniche e leclassificazioni in tipi pollinici facciamo riferimento alla let-teratura specializzata in melissopalinologia, che descrive ilpolline allo stato fresco. Per il melissopalinologo è infattidifficile usare le descrizioni e i raggruppamenti riferiti apreparati acetolizzati, in quanto alcuni criteri di identifica-zione (le caratteristiche del citoplasma, la visibilità del nu-cleo, l’intina, la presenza di pollenkit, il colore) non risulta-no visibili nei granuli acetolizzati, e la stessa forma e di-mensioni dei granuli pollinici possono cambiare notevol-mente nelle due preparazioni (d’altra parte, molti caratte-ri dell’esina distinguibili nei preparati acetolitici sono diffi-cilmente apprezzabili sul fresco).

Uso della nomenclatura per l’interpretazione dei risultati analitici

Nella valutazione dell’origine geografica del miele, ha unagrande importanza il concetto di presenza/assenza dellediverse forme polliniche. Oltre alle forme presenti in uncampione hanno forse altrettanto peso anche quelle nonpresenti, ma note come caratteristiche di determinateorigini. Si pensi, ad esempio, al significato che Hedysarum,Olea, Eucalyptus e Citrus, rivestono nel dichiarare l’originemediterranea di un miele, e a come la loro assenza in uncampione porti immediatamente a qualificare il campionestesso come proveniente da un’area più centro-europea:se il mancato rinvenimento di una particolare forma inuno spettro, anziché da reale assenza fosse determinatoda non conoscenza o (in caso di bassa frequenza) da in-

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sufficiente approfondimento dell’osservazione, è evidenteil diverso significato che il risultato analitico potrebbe as-sumere.La definizione di un elenco di minima discriminazione ob-bligatoria è quindi necessaria per indicare all’analista leforme polliniche che deve conoscere e attivamente ricer-care per rendere efficace ed affidabile la tecnica di analisipollinica del miele.

Le analisi statisticheCome accennato nel capitolo II, sono stati sperimentatialcuni interessanti modelli informatici per risalire all’origi-ne geografica dei mieli attraverso l’analisi statistica appli-cata allo spettro pollinico. È tuttavia evidente che l’infor-matizzazione dei risultati analitici e l’interpretazione stati-stica della similitudine degli spettri pollinici, per poteruscire dalla fase sperimentale ed essere impiegata a livelloapplicativo per la classificazione di mieli incogniti, non puòprescindere da una rigorosa standardizzazione del meto-do di analisi, che a sua volta richiede l’uso di una nomen-clatura comune e la definizione di un elenco di conoscen-ze minime indispensabili nella produzione dei dati.Infatti, quando il confronto tra risultati viene fatto a livellomnemonico, l’analista dispone di un certo margine inter-pretativo: ad esempio può ipotizzare che il nome attribui-to a una determinata forma pollinica sia assimilabile o ri-conducibile ad un raggruppamento di ordine superiore oinferiore (ad esempio Achillea f. a Compositae A, o Palmaea Chamaerops, etc.), o che l’assenza di una determinataforma, in un contesto in cui dovrebbe essere presente,possa essere dovuta a cause ‘umane’ (un’analisi non suffi-cientemente approfondita, o il mancato riconoscimentodella forma pollinica). Ma se l’interpretazione è affidata astrumenti stat ist ic i , s ia la nomenclatura che lapresenza/assenza assumono necessariamente un significa-to rigido e ogni difformità, indipendentemente dalle causeche l’hanno generata, può condurre a risultati falsati.

Note alla nomenclatura melissopalinologica di base

La nomenclatura di base qui presentata non include tuttele forme polliniche rilevabili nei mieli italiani, ma riportaquelle riscontrate con maggiore frequenza negli oltre12.300 campioni esaminati, sulla base di dati originali e bi-bliografici, dai 29 analisti che hanno collaborato alla realiz-zazione delle schede regionali. Rispetto alle 158 formeemerse dallo studio, l’elenco proposto ne include altre che,seppur rinvenibili nei mieli italiani con frequenza molto in-feriore, sono dotate di elementi di identificazione caratteri-stici, e rivestono quindi importanza per completare una li-sta che serva da guida a chi si accinge ad affrontare lo stu-dio della melissopalinologia italiana. Alcune forme, presentiin una sola scheda, ma non differenziate dagli altri autori,non sono invece state inserite nell’elenco, riconducendolea raggruppamenti più ampi: Antirrhinum, Prunus mahaleb,

Smyrnium e Sorbus sono stati rispettivamente inclusi in Scro-phulariaceae altre, Prunus, Umbelliferae A e Malus/Pyrus. Alcontrario, alcuni raggruppamenti pollinici, effettuati nelleschede regionali al fine di rendere i dati maggiormentecomparabili, sono stati suddivisi, differenziando le forme ri-tenute facilmente riconoscibili. L’elenco finale risulta costi-tuito dalle 198 forme riportate nella tabella.L’uso che se ne propone è quello di un repertorio al qua-le riferirsi per definire il livello minimo di competenze delmelissopalinologo italiano e per confrontare le informa-zioni prodotte da diversi analisti. È ovvio che se è definibile un elenco di minima, non èpossibile definirne uno esaustivo, che renda conto dellavariabilità pollinica dei mieli italiani, né si intende porre deilimiti alle capacità di discriminazione degli analisti, che van-no continuamente aumentando e affinandosi con l’espe-rienza, la conoscenza di particolari areali o l’uso di tecni-che diverse (ad esempio il metodo acetolitico). Rapporta-re le proprie analisi a tale nomenclatura minima di baseconsente però di confrontarle con quelle prodotte da al-tri ricercatori o in diversi momenti della propria crescitaprofessionale. Nel caso di confronto tra analisi, le forme polliniche identi-ficate grazie a un più accurato livello di discriminazione,possono essere rapportate al tipo pollinico che le include(ad esempio Cistus salvifolius, C. monspeliensis, C. populifolius,al tipo Cistus; Verbascum, Scrophularia, Digitalis al tipo Scro-phulariaceae altre, etc.); le eventuali forme polliniche rarenon presenti nell’elenco e morfologicamente non assimila-bili a quelle descritte (ad esempio Fagus, Fumaria, Melampy-rum, Myoporum, Tamus, Tesium, etc.) dovrebbero essere in-cluse, per il confronto, nella voce “Altri o indeterminati”. Il nome scelto per ogni forma pollinica è stato determina-to dalla necessità di semplificare quanto precedentementeproposto dallo stesso Zander e, molto più recentemente,da Persano Oddo e Ricciardelli D’Albore (1989). Parten-do dal presupposto che quando si identifica un singologranulo pollinico attraverso l’osservazione microscopicararamente è possibile giungere ad una identificazione cer-ta della specie (o del gruppo tassonomico) alla quale essoappartiene, si è preferito definire i tipi pollinici con i nomidel relativo raggruppamento tassonomico, abbandonandole note ‘gr.’, ‘t’. e ‘f.’ (rispettivamente per “gruppo”, “tipo” e“forma”), e dando per scontato che si tratta sempre di ti-po pollinico e non di un’attribuzione certa a quella specieo genere o famiglia. Si è infatti ritenuto che il grado di affi-nità tassonomica tra il granulo pollinico e il nome di riferi-mento non è mai noto o ipotizzabile con sicurezza, e l’at-tribuzione dell’una o dall’altra nota, rimanendo comunquepiuttosto arbitraria, può essere fonte di ulteriore difformi-tà terminologica.Per ognuna delle forme polliniche è indicata la ricorrenzanei mieli italiani e sono fornite le informazioni utili alla suaidentificazione e definizione, compreso il richiamo agli atlanti di melissopalinologia dov’è reperibile l’iconografiadi pollini appartenenti al gruppo descritto.

Nomenclatura melissopalinologica 117

Lo schema ha lo scopo di costituire una guida di rapidaconsultazione, soprattutto in fase di apprendimento, men-tre per una descrizione morfologica completa si rimandaalla specifica letteratura palinologica e melissopalinologica.Nella tabella compaiono, nell’ordine:1. Il nome della famiglia botanica (Pignatti, 1982) in or-

dine alfabetico. 2. Il nome della forma pollinica, anch’esso in ordine al-

fabetico. Il nome della forma pollinica coincide conquello della famiglia quando non si è ritenuta utile unamaggiore discriminazione e a quella forma afferiscono,presumibilmente, tutte le specie della famiglia. Quandoall’interno di una famiglia si sono tenute distinte solo al-cune forme, è stato usato il nome della famiglia seguitoda “altre”: ad esempio Graminaceae altre corrisponde altipo pollinico comune a tutte le Graminacee (monopo-rato, con annulus o meno, di forma circolare o allungata,di diverse dimensioni), ad esclusione di Zea, che si di-stingue dal resto della famiglia per le grandi dimensioni.In questo caso, nell’ordine della tabella, il gruppo indica-to con il nome della famiglia, chiude l’elenco delle for-me appartenenti a quella famiglia.

3. L’indicazione sulla secrezione o meno di nettare, trat-ta dalla bibliografia di riferimento (Ricciardelli D’Alboree Persano Oddo, 1978; Simonetti et al., 1989; RicciardelliD’Albore, 1998; Ricciardelli D’Albore e Intoppa, 2000;Von der Ohe e Von der Ohe, 2000). Tale indicazione èintesa a uniformare il modo di elaborare i risultati deiconteggi, ma non sempre si disponeva di informazionicerte o non contrastanti; questi casi sono stati segnalaticon un punto interrogativo. Lo stesso è stato fatto perle forme polliniche che, raggruppando numerose speciecon biologia diversa, non possono con certezza essereascritte a specie produttrici di nettare. Nelle schede re-gionali sono state considerate non nettarifere solo lespecie che nella tabella compaiono come “no”.

4. Il nome comune (Pignatti, 1982) per i tipi pollinici checorrispondono ad un raggruppamento tassonomico uni-voco; negli altri casi è stato usato una nome descrittivo,come, ad esempio pomacee e drupacee, rispettivamenteper Malus/Pyrus e Prunus, Composite del gruppo dellamargherita e della camomilla per Compositae A.

5. Il contorno in visione polare.6. Il contorno in visione equatoriale.7. La classificazione in base al numero, tipo e posizione

delle aperture.8. Il tipo di ornamentazione, riferita sempre all’osserva-

zione del polline allo stato fresco, che potrebbe non coin-cidere con quanto descritto per i granuli acetolizzati, incui i dettagli dell’esina sono maggiormente visibili (adesempio pollini qui descritti come psilati possono risulta-re reticolati nelle descrizioni del polline acetolizzato).

9. Le dimensioni, riferite all’asse maggiore del granulopollinico; la classe di dimensioni è stata ricavata dalledescrizioni riportate negli atlanti citati ed è definita inbase alla seguente terminologia:

- molto piccolo (inferiore a 10 μ ), es. Myosostis;- piccolo (11-20 μ ), es. Castanea;- medio-piccolo (21-30 μ ), es. Trifolium repens- medio (31-40 μ ), es. Malus/Pyrus- medio-grande (41-50 μ ), es. Trifolium incarnatum- grande (51-100 μ ), es. Zea- molto grande (maggiore di 100 μ ), es. Malvaceae

10. Note morfologiche, utili a mettere in evidenza lepeculiarità della forma pollinica, a distinguerla da quel-le simili e ad aiutarne la memorizzazione.

11. Note melissopalinologiche, dove viene riportatal’importanza della forma pollinica in termini di fre-quenza nei mieli italiani ed altre informazioni utili perl’interpretazione degli spettri pollinici ai fini dell’identi-ficazione dell’origine botanica e geografica del miele.

12. I riferimenti alle specie rappresentative della formapollinica e l’indicazione del numero della pagina o dellatavola in cui esse sono raffigurate nei principali atlantimelissopalinologici (Maurizio e Louveaux, 1965;Ricciardelli D’Albore, 1997; RiccardelliD’Albore, 1998; Von Der Ohe e Von DerOhe, 2000; Bucher et al., 2004). In Figura 1 si ri-portano alcune forme polliniche non reperibili neisuddetti atlanti.

Nota sul genere Trifolium Riteniamo utile una breve nota esplicativa sulla suddivi-sione del genere Trifolium adottata nella nomenclatura. Aquesto genere appartengono quasi un centinaio di spe-cie della nostra flora e centinaia di varietà coltivate perforaggio; in melissopalinologia classica i granuli pollinicidelle diverse specie di trifoglio venivano ricondotte adue tipi principali, B (per trifoglio bianco) ed R (per tri-foglio rosso). Il tipo B, tipico di T. repens, è contraddistin-to da dimensioni più piccole (asse polare < 30 μ ) edesina finemente reticolata o psilata (il reticolo è difficil-mente apprezzabile nell’osservazione allo stato fresco,anche a causa del citoplasma generalmente granuloso). Iltipo R ha dimensiono maggiori (asse polare fino ad oltre50 μ in T. incarnatum) ed esina con reticolo sempre piùo meno evidente, a maglie di dimensioni variabili nellediverse specie. Rispetto a questi due grandi raggruppa-menti, B ed R, è possibile una maggiore differenziazione,ma nei preparati di miele, in relazione alla variabilità in-traspecifica e alla complessità tassonomica del genere, icaratteri distintivi non sono ugualmente evidenti in tuttii granuli. Ad esempio T. hybridum in alcuni preparati appa-re indistinguibile da T. repens (come d’altra parte affer-mato da Maurizio e Louveaux, 1965), in altri mostra di-mensioni analoghe a quelle del gruppo B, ma un reticolopiù evidente (comunque più fine rispetto alle forme R).Per altre specie abbiamo riscontrato dati contrastantitra vari autori, soprattutto relativamente alle dimensionidei granuli. La suddivisione proposta nella nomenclatura tiene contodi questa complessità e dei tipi che più frequentemente

118 I mieli regionali italiani

si osservano nei mieli italiani, differenziando, nell’ambitodel gruppo R, tre forme polliniche in base alle dimensio-ni dell’asse polare (T. alexandrinum, T. pratense e T. incarna-tum), e mantenendo separato T. hybridum dal gruppo Trepens: i nomi attribuiti alle diverse forme corrispondo-no a quello della specie più rappresentativa, ma possonocorrispondere a un gruppo ben più ampio di specie e

non si può escludere che, soprattutto per i trifogli colti-vati, la stessa specie possa presentare granuli ascrivibilia forme diverse. Ricordiamo che nelle schede regionali,al fine di uniformare i dati, è stato usato il termine Trifo-lium pratense s.l. per indicare un gruppo d’insieme cheraccoglie le diverse forme del gruppo R di Zander (vedicapitolo II).

Nomenclatura melissopalinologica 119

Bibliografia

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Figura I. a, b: Trifolium alexandrinum; c, d. Trifolium hybridum; e: Syderitis romana; f: Buddleja.

a b

c d e f

Famiglia Forma pollinica

Netta

re

Nome comune Visione polare

Visione equatoriale Aperture Ornamenta-

zione Dimen-sioni Note morfologiche

Aceraceae Acer si acero sub-circolare ovale (oblato) tricolpato striato medio simile a Prunus, ma più tondeggiante in vista polare

Actinidiaceae Actinidia no kiwi sub-triangolare circolare tricolporato psilato medio-piccolo

onci molto pronunciati, spesso pollini privi di citoplasma, esina sottile, aspetto diafano

Agavaceae Agave si agave ovale ovale monocolpato reticolato grande reticolo con maglie di diversa dimensione, alcune molto grandi

Amaranthaceae / Chenopodiaceae

Amaranthaceae / Chenopodiaceae no amarantacee,

chenopodiacee circolare circolare periporato scabrato medio-piccolo

numerosi pori (>50) (simile a una pallina da golf)

Anacardiaceae Cotinus / Schinus si sommacco selvatico o falso pepe circolare circolare tricolporato striato-reticolato medio-

piccolo abbondante olio giallo

Anacardiaceae Pistacia no lentisco circolare circolare periporato reticolato finemente medio in genere 5-7 pori con bordo poco definito;

forma irregolare

Anacardiaceae Rhus si sommacco siciliano sub-triangolare ovale (prolato) tricolporato striato-reticolato medio forma bipiramidale, endoapertura allungata trasversalmente

Aquifoliaceae Ilex si agrifoglio sub-triangolare ovale (oblato) tricolporato clavato medio ornamentazione molto caratteristica clavata

Araliaceae Hedera si edera sub-triangolare circolare tricolporato reticolato medio contorno angoloso, margo, reticolo con maglie di dimesioni diverse (eterobrocato), spesso duplibaculato

Balsaminaceae Impatiens si balsamina rettangolare ovale (oblato) tetracolpato reticolato medio aspetto diafano, solchi agli angoli del rettangolo

Betulaceae Alnus no ontano tetra- o pentagonale ovale (oblato) stefanoporato psilato medio-

piccolo 4-5 pori con onci e vestibolo

Betulaceae / Corylaceae

Betulaceae / Corylaceae no betulacee, corilacee circolare circolare triporato scabrato medio-

piccolo onci

Bignoniaceae Bignoniaceae si bignoniacee tetrade tetraedrica inaperturato reticolato grande reticolo interrotto a formare" isole"

Boraginaceae Alkanna si arganetta circolare piriforme (prolato) tricolporato psilato piccolo simile a Echium, ma più piccolo, con esina più

sottile e citoplasma liscio, aspetto rifrangente

Boraginaceae Anchusa / Pulmonaria si buglossa,

polmonaria circolare ovale (prolato) tetra o pentacolporato

reticolato finem., retic. più ampio all’equatore

medio forma molto caratteristica

Boraginaceae Borago si borragine circolare ovale (oblato) zonocolporato scabrato medio in genere 9-10 aperture

Boraginaceae Cerinthe si erba vajola circolare ovale (prolato) zonocolporato psilato piccolo aspetto generale simile a Lotus, ma con 8-10 aperture (cintura di pori lalongati)

Boraginaceae Cynoglossum si lingua di cane circolare ovale (prolato) eterocolpato psilato piccolo 3 solchi con poro e 3 solchi senza poro, cintura di rombi granulosi

Boraginaceae Echium si erba viperina circolare piriforme (prolato) tricolporato reticolato

finemente piccolo grigio

Boraginaceae Myosotis si non-ti-scordar-di-me circolare ovale (prolato), restringimento mediale

eterocolpato psilato molto piccolo molto piccolo, 6 aperture poco evidenti

Boraginaceae Symphytum si consolida circolare ovale (prolato) zonocolporato psilato medio-piccolo in genere 8-10 aperture

Buddlejaceae Buddleja si buddleja quadrangolare circolare tetracolporato psilato piccolo diafano, i bordi dei solchi sporgono all'esterno, anche granuli tricolporati

Cactaceae Opuntia si fico d'India circolare circolare periporato reticolato molto grande

esina molto spessa, a struttura complessa, pori grandi (12-18 pori)

Campanulaceae Campanulaceae si campanulacee circolare circolare tri-, tetra- o penta porato echinato medio-

piccolo pori con costae e onci

Cannabaceae vedi Moraceae Caprifoliaceae Lonicera si caprofoglio sub-triangolare circolare tricolporato echinato grande colpi corti, piccole spine molto distanziate

Caprifoliaceae Sambucus nigra no sambuco sub-triangolare circolare tricolporato reticolato finemente piccolo margo, esina assottigliata verso i colpi

Caprifoliaceae Viburnum si viburno sub-triangolare circolare tricolporato reticolato medio-piccolo onci (simile a Euodia)

Caryophyllaceae Caryophyllaceae si? cariofillacee circolare circolare periporato reticolato variabile opercoli sui pori (più di 10)

Celastraceae Euonymus si fusaria sub-triangolare ovale (oblato) tricolporato reticolato medio-piccolo

esina più sottile e con reticolo più fine verso le aperture (profilo simile a una Crucifera)

Cistaceae Cistus no cisto circolare circolare tricolporato reticolato medio-grande

olio giallo; ornamentazione diversa nelle varie specie; talora columelle ingrossate a formare verruche; C. incanus ha reticolo più fine, simile ad Helianthemum

Cistaceae Helianthemum no eliantemo circolare circolare tricolporato reticolato finemente

medio-grande

olio giallo, a volte reticolo orientato nell'intercolpium

Compositae Ambrosia no ambrosia sub-circolare ovale (oblato) tricolporato echinato piccolo spine molto ridotte, intina un po' inspessita

Maurizio e Louveaux, 1965 Ricciardelli D’Albore, 1997 Ricciardelli D’Albore,1998 Von der Ohe e Von der Ohe, 2000 Bucher et al., 2004 Note melissopalinologiche Specie pg Specie pg fig Specie pg Specie tav.

(I ed.) pg

(II ed.) Specie pg

relativamente comune nei mieli primaverili; possibili mieli uniflorali

Acer pseudoplatanus 30 Acer opalus 261 161 Acer platanoides

A. pseudoplatanus 18 17

17 18

Acer campestre A. pseudoplatanus

54 56

relativamente comune nei mieli delle aree dove si coltiva Actinidia deliciosa 60

molto raro Agave americana 259 159 Agave americana 30

comune, soprattutto nei raccolti tardivi e di aree coltivate Chenopodium

album 265 165 Chenopodium album 104 Chenopodium

album 64

raro, nei mieli del nord-est, soprattutto friulani (Cotinus) e nell'estremo sud (Schinus)

Cotynus coggygria 271 171 Cotynus coggygria 130

raro, nei mieli primaverili della macchia mediterranea Pistacia lentiscus 263 163 Pistacia lentiscus 316 Pistacia terebinthus 128 150 Pistacia lentiscus 68

raro, nei mieli del nord-est, soprattutto friulani (R. typhina) e in Sicilia (R. coriaria)

Rhus typhina 94 169

molto raro Ilex glabra 276 176 Ilex aquifolium 73 103 Ilex aquifolium 78

comune, soprattutto nei mieli tardivi, possibili mieli uniflorali Hedera helix 81 31 Hedera helix 204 Hedera helix 124 94 Hedera helix 82

molto raro, nei mieli settentrionali Impatiens balsamina I. glandulifera I. parviflora

151 152 116

104 105 106

Impatiens glandulifera I. parviflora

132 134

raro Alnus glutinosa 264 164 Alnus glutinosa 53 23 Alnus glutinosa 142

relativamente comune Corylus avellana 263 163 Betula pendula Corylus avellana

66 112

36 64

Betula pendula Corylus avellana Ostrya carpinifolia

146 240 242

molto raro Catalpa ovata 51 47 Catalpa bignonoides 150 raro, nei mieli mediterranei, più frequente nei mieli pugliesi Alkanna tinctoria 267 167 Alkanna tinctoria 38

molto raro Pulmonaria officinalis 190 162

Anchusa officinalis Pulmonaria officinalis

154

156 relativamente comune nei mieli mediterranei primaverili Borago officinalis 272 172 Borago officinalis 60 Borago officinalis 123 37 Borago officinalis 160

raro, soprattutto nei mieli mediterranei Cerinthe major 100

raro, soprattutto nei mieli mediterranei Cynoglossum sp. 90 Cynoglossum

officinale 272 172 Cynoglossum creticum 142

molto comune, più abbondante nei mieli mediterranei Echium sp. 88 Echium vulgare 75 25 Echium italicum 160 Echium vulgare 27 73 Echium vulgare 164

relativamente comune nei mieli di montagna, estremamente iperrappresentato

Myosotis sp. 86 Myosotis alpestris 94 44 Myosotis sylvatica 24 131 Myosotis sylvatica 168

molto raro Symphytum officinale 272 172 Symphytum

tuberosum 394 Symphytum officinale 11 193 Symphytum

officinale 172

raro, soprattutto nelle vallate alpine e nella padania settentrionale

molto raro, estremamente iporappresentato Opuntia - 111 Opuntia ficus-indica 290

relativamente comune soprattutto nei mieli alpini, ma anche in alcuni mieli mediterranei (forma più piccola)

Campanula Phyteuma Jasione sp.

118 Campanula trachelium

Phyteuma spicatum

263 264

163 164

Jasione montana 220 Campanula rotundifolia

Jasione montana

56 158

42 107

Campanula barbata Phyteuma orbiculare

192 194

raro Lonicera caprifolium 270 170 Lonicera xylosteum 141 117 Lonicera alpigena 202 molto comune, nei mieli primaverili (soprattutto robinia) Sambucus nigra 266 166 Sambucus nigra 364 Sambucus nigra 59 181 Sambucus nigra 206

raro Viburnum tinus 272 172 Viburnum tinus 434 Viburnum lantana Viburnum opulus

136 192

208 209 Viburnum lantana 214

relativamente comune Stellaria media Saponaria officinalis

265 265

165 165

Lycnhis flos-cuculi Stellaria media Saponaria officinalis

245 392 366

Cerastium fontanum Lycnhis flos-cuculi Silene dioica

188 71 72

52 120 187

Saponaria officinalis Silene diodica

218 220

molto raro Euonymus europaeus 271 171 Euonymus

europaeus 176 Euonymus europaeus 198 82

relativamente comune nei mieli mediterranei; segnalati mieli uniflorali da specie nettarifere in Sardegna

Cistus mospeliensis 36 Cistus salvifolius 268 168 Cistus monspeliensis 114 Cistus salviifolius 182 55

relativamente comune nei mieli di ambiente collinare e montano

Helianthemum vulgare 34 Helianthemum

appenninum 268 168 Helianthemum chamaecistus

Cistus incanus

208 112

Helianthemum nummularium 97 96 Helianthemum

nummularium 224

raro, soprattutto in mieli tardivi Ambrosia maritima 269 169 Ambrosia maritima 42 Ambrosia artemisiifolia 153 24

Famiglia Forma pollinica

Netta

re

Nome comune Visione polare

Visione equatoriale Aperture Ornamenta-

zione Dimen-sioni Note morfologiche

Compositae Artemisia no assenzio sub-circolare ovale (oblato) tricolporato echinato (spine rudimentali)

medio-piccolo

ispessimenti nell'intercolpium, intina molto spessa, spine ridotte a piccole verruche

Compositae Carthamus si cartamo sub-circolare ovale (prolato) tricolporato echinato grande simile alle Composite S, ma con asse polare maggiore dell'equatoriale

Compositae Centaurea cyanus si fiordaliso triangolare ovale (prolato) tricolporato verrucato medio esina con struttura complessa, ispessita nell'intercolpium

Compositae Centaurea jacea si fiordaliso stoppione sub-circolare circolare o ovale (prolato) tricolporato echinato (spine

rudimentali) medio solchi larghi e lunghi, grosse verruche regolari

Compositae Centaurea montana si fiordaliso montano triangolare ovale (prolato) tricolporato verrucato medio-grande come C. cyanus, ma molto più grande

Compositae Centaurea scabiosa si fiordaliso vedovino sub-circolare ovale (prolato) tricolporato verrucato medio-grande

come C. jacea, ma più grande e più ampio all'equatore, esina inspessita nell'intercolpium

Compositae Compositae A si gruppo della margherita e della camomilla

circolare circolare tricolporato echinato medio-piccolo esina inspessita nell'intercolpium

Compositae Compositae H si gruppo dell'astro, dell'inula e della verga d'oro

circolare circolare tricolporato echinato medio-piccolo

spine più alte che larghe; molte specie nel gruppo, diverse per dimensioni del granulo, dimensioni, forma e disposizione delle spine

Compositae Compositae S si gruppo del cardo sub-circolare ovale (oblato) tricolporato echinato grande grandi spine tanto larghe quanto alte

Compositae Compositae T si gruppo del tarassaco e della cicoria

sub-triangolare o quadrangolare

circolare tricolporato fenestrato, echinato variabile

molte specie nel grupoo, Taraxacum ha abbondante olio giallo ed è spesso tetracolporato

Compositae Helianthus si girasole circolare circolare tricolporato echinato medio spine molto lunghe (6 micron)

Compositae Xanthium no nappola circolare ovale (oblato) tricolporato echinato (spine rudimentali)

medio-piccolo

simile a Centaurea jacea, ma leggermente oblato, solchi corti e stretti, verruche più piccole

Convolvulaceae Calystegia si vilucchio circolare circolare periporato scabrato grande esina molto spessa con scultura complessa, grandi pori ovali con opercoli (più di 20)

Convolvulaceae Convolvolus si convolvolo sub-triangolare circolare tricolpato scabrato grande anche tetracolpato; residui di esina sui solchi (grosse verruche o opercoli)

Cornaceae Cornus sanguinea si sanguinello circolare ovale (prolato) tricolporato scabrato medio-grande giallino, citoplasma con grossi granuli

Crassulaceae Sedum / Sempervivum si borracina,

semprevivo sub-triangolare circolare tricolporato rugulato piccolo esina spessa, rugulata, gialla, poro quadrato

Cruciferae Cruciferae si crocifere sub-circolare circolare tricolpato reticolato medio-piccolo

esina e reticolo variabili (varie specie); maglie del reticolo aperte sul bordo dei solchi; spesso residui di esina sui solchi

Cruciferae Cruciferae < 20 μ si crocifere del gruppo della borsapastore e della filigrana

sub-circolare circolare tricolpato reticolato piccolo esina sottile, reticolo fine

Cucurbitaceae Citrullus si cocomero sub-circolare circolare tricolporato reticolato grande a volte in tetrade; largo reticolo a lumina irregolari

Cucurbitaceae Cucumis si cetriolo sub-circolare circolare triporato reticolato grande pori grandi con annulus

Cucurbitaceae Cucurbita si zucchino circolare circolare periporato echinato molto grande in genere 6-7 pori con opercoli

Cupressaceae / Taxaceae

Cupressaceae / Taxaceae no cipresso, tasso circolare circolare inaperturato scabrato medio-

piccolo intina molto spessa, parete fragile con piccole verruche

Cyperaceae Cyperaceae no ciperacee circolare piriforme (prolato) periporato scabrato medio

profilo a freccia, 4 aperture poco visibili (appare inaperturato), intina più spessa nella agli angoli, citoplasma granuloso

Dipsacaceae Knautia si ambretta sub-triangolare circolare triporato echinato grande pori lolongati (colpi corti?) piccole echine, grossi opercoli echinati

Dipsacaceae Scabiosa si vedovina sub-triangolare circolare tricolpato echinato grande esina molto spessa, ispessita ai poli, piccole spine (simile a Valeriana)

Ebenaceae Diospyros si kaki sub-circolare circolare tricolpato scabrato medio-grande i solchi appaiono come una parte depressa

Elaeagnaceae Elaeagnus si olivagno sub-triangolare circolare tricolporato psilato medio-grande vestibolo molto evidente

Ericaceae Arbutus si corbezzolo tetrade tetraedrica tricolporato scabrato grande grande tetrade quadrata

Ericaceae Calluna si brughiera tetrade piana tricolporato verrucato medio colpi poco visibili, verruche molto evidenti

Maurizio e Louveaux, 1965 Ricciardelli D’Albore, 1997 Ricciardelli D’Albore,1998 Von der Ohe e Von der Ohe, 2000 Bucher et al., 2004 Note melissopalinologiche Specie pg Specie pg fig Specie pg Specie tav.

(I ed.) pg

(II ed.) Specie pg

comune, soprattutto nei mieli tardivi Artemisia vulgaris 269 169 Artemisia vulgaris 52 Artemisia vulgaris 92

raro, nei mieli mediterranei Carthamus lanatus 271 171 Carthamus lanatus 82

raro, presente in alcune aree collinari e montane (Val d'Aosta, Friuli, Sibillini)

Centaurea cyanus 92 Centaurea cyanus 268 168 Centaurea cyanus 90 Centaurea cyanus 37 48 Centaurea cyanus 120

molto comune, ubiquitario, soprattutto nei mieli tardivi Centaurea jacea 94 Centaurea jacea 268 168 Centaurea

solstizialis 94 Centaurea jacea 113 50 Centaurea jacea 106

molto raro, tipico dei mieli di alta montagna Centaurea montana 269 169 Centaurea montana 38 51

molto raro, tipico dei mieli di alta montagna Centaurea scabiosa 92 Centaurea scabiosa 124

comune, ubiquitario Matricaria chamomilla 270 170 Matricaria

chamomilla 254 Achillea millefolium 96

comune, più abbondante nei mieli tardivi della padania (Solidago) o mediterranei (Inula); possibili mieli uniflorali

Solidago sp. Aster sp.

102 104 Solidago virgaurea 108 57

Solidago virgaurea Eupatorium cannabinum

386

178

Aster tripolium Eupatorium cannabinum

Senecio vulgaris

10

120 147

35 - 83 - 186 Solidago virgaurea 102

molto comune, più abbondante nelle aree mediterranee, dove può dare miele uniflorale (Galactites); iporappresentato

Cirsium sp. 100 Carduus nutans 69 19 Carduus nutans Cirsium arvense

76 110 Silybum marianum 25 188 Carduus defloratus

Cirsium montanum 110 112

molto comune, più abbondante nell'Italia settentrionale, dove può dare miele uniflorale (Taraxacum); iporappresentato

Taraxacum officinale 96 Taraxacum officinale 109 58 Taraxacum officinale Cichorium intybus Crepis vesicaria

398 108 134

Cichorium intybus Taraxacum officinale

90 23

54 195 Taraxacum officinale 116

relativamente comune, legato alla coltivazione della pianta, più abbondante in Italia centrale; possibili mieli uniflorali

Helianthus annus 98 Helianthus annus 83 33 Helianthus annus 210 Helianthus annus 39 97 Helianthus tuberosus 100

raro, nei mieli tardivi Xanthium italicum 267 167 Xanthium italicum 441

molto raro Calystegia sepium 265 165 Calystegia sepium 70 Calystegia sepium 114 41 Calystegia sepium 228

molto raro Convolvulus arvensis 260 160 Convolvulus

cantabrica 124 Convolvulus athaeoides 199 59 Convolvulus

arvensis 232

comune, soprattutto nei mieli primaverili (robinia) Cornus sanguinea 267 167 Cornus sanguinea 126 Cornus sanguinea 82 62 Cornus sanguinea 236

relativamente comune, nei mieli di montagna, sia alpini che appenninici

Sedum acre 267 167 Sedum acre 276 Sedum hybridum 92 185 Sedum rupestre Semepervivum arachnoideum

248

250

molto comune, possibili mieli uniflorali (Brassica e Diplotaxis), tendenzialmente iperrapresentato

Brassica napus var. oleifera

Raphanus raphanistrum

Sinapis arvensis Diplotaxis erucoides

22

26 24 28

Brassica napus var. oleifera

Sinapis arvensis

68 262

18 - 162

Brassica napus var. oleifera

Diplotaxis erucoides

62 152

Brassica napus Raphanus raphanistrum

Sinapis arvensis

9

21 36

38

165 189

Brassica napus Sinapis arvensis

176 180

relativamente comune Capsella bursa-pastoris 74 Draba nemorosa 178

molto raro Citrullus lanatus 272 172 Citrullus lanatus 116 Citrullus lanatus 143 56

raro, nelle aree di coltivazione Cucumis sativus 263 163 Cucumis sativus 136

molto raro Cucurbita pepo 264 164 Cucurbita pepo 138 Cucurbita pepo 258

relativamente comune Cupressus sempervirens

Taxus baccata

258 259

158 159

Cupressus sempervirens 140 Taxus baccata

Thuja sp. 5 4

196 198

Cupressus sempervirens 262

raro Carex curvula 259 159 Carex distans 78 Carex sp. 266

raro Knautia arvensis 263 163 Knautia arvensis 222 Knautia arvensis 270

raro Scabiosa atropurpurea 261 161 Scabiosa

atropurpurea 370 Scabiosa columbaria 274

raro, nei mieli campani Diospyros kaki 260 160 Diospyros kaki 150

molto raro Eleagnus angustifolia 125 74 Eleagnus

angustifolia 278

raro, possibili mieli uniflorali in Sardegna e altre aree mediterranee, iporappresentato

Arbutus unedo 66 16 Arbutus unedo 48

molto raro, possibili mieli uniflorali Calluna vulgaris 112 Calluna vulgaris 288 188 Calluna vulgaris 13 40 Calluna vulgaris 282

Famiglia Forma pollinica

Netta

re

Nome comune Visione polare

Visione equatoriale Aperture Ornamenta-

zione Dimen-sioni Note morfologiche

Ericaceae Erica si erica tetrade tetraedrica tricolp(or)ato verrucato medio-piccolo esina spessa, colpi lunghi

Ericaceae Ericacae altre si altre ericacee tetrade tetraedrica tricolporato verrucato medio esina più sottile e verruche meno evidenti rispetto a Erica

Euphorbiaceae Chrozophora no tornasole esagonale ovale (oblato) esacolporato reticolato grande reticolo molto largo con maglie piccole attorno a quelle grandi

Euphorbiaceae Euphorbia si euforbia sub-circolare ovale (oblato) tricolporato verrucato - foveolato medio aperture situate sui lati (interangolari), esina

ornamentata e molto spessa nell'intercolpium

Euphorbiaceae Mercurialis no mercorella circolare circolare tricolporato reticolato finemente

medio-piccolo

spinule (o piccole verruche) sul bordo dei pori, simile a Filipendula

Euphorbiaceae Ricinus no ricino sub-circolare circolare tricolporato reticolato finemente medio endoaperture allungate trasversalmente

Fagaceae Castanea si castagno sub-circolare ovale (prolato) tricolporato psilato piccolo esina non completamente liscia, spessa, giallino

Fagaceae Quercus ilex no leccio sub-triangolare ovale (oblato) tricolp(or)ato rugulato-scabrato

medio-piccolo

giallino, abbastanza variabile in dimensioni e forma, simile a Q. robur

Fagaceae Quercus robur no quercia sub-triangolare ovale (oblato) tricolp(or)ato scabrato-verrucato medio

giallino, relativamente variabile in dimensioni e forma; rispetto a Q. ilex è più tonteggiante, con verruche più grosse

Geraniaceae Erodium si? becco di gru sub-circolare circolare tricolpato striato grande corte strie che si intersecano

Geraniaceae Geranium si geranio sub-circolare circolare tricolpato reticolato grande colpi corti, muri del reticolo con columelle ingrossate a formare verruche

Graminaceae Zea no mais o granturco circolare circolare monoporato scabrato grande annulus, citoplasma granuloso

Graminaceae Graminaceae altre no altre graminacee circolare circolare monoporato scabrato variabile molte specie

Guttiferae Hypericum no iperico o erba di S. Giovanni circolare ovale (prolato) tricolporato reticolato

finemente piccolo solchi lunghi, quasi sincolpato, spesso olio verde/giallo, pori lalongati, nucleo visibile

Hippocastanaceae Aesculus si ippocastano sub-circolare ovale (prolato) tricolporato psilato (strie appena visibili)

medio-piccolo

solchi lunghi e larghi con grosse verruche (o piccole echine), olio arancio

Hydrophyllaceae Phacelia si facelia esagonale circolare eterocolpato psilato piccolo esina sottile, citoplasma liscio, aspetto rifrangente; tre solchi e tre pseudo solchi (più corti); granulazioni sui solchi

Iridaceae Crocus si zafferano circolare circolare inaperturato echinato molto grande

intina molto spessa, piccole spine e scabrae, fragile

Jugladaceae Juglans no noce sub-circolare ovale (oblato) periporato scabrato medio-grande 11-15 pori distribuiti irregolarmente, onci piatti

Juncaceae Juncaceae no erba lucciola tetrade tetraedrica monoporato scabrato medio-grande

esina sottile, intina inspessita, citoplasma granuloso, tendenza a deformarsi e rompersi

Labiatae Lamium si labiate del gruppo della falsa ortica sub-triangolare ovale (oblato) tricolpato psilato (o reticolo

appena visibile) medio-piccolo forma poco caratteristica, nucleo visibile

Labiatae Lavandula angustifolia si lavanda esagonale ovale (oblato) esacolpato reticolato medio esina spessa, olio giallo, molti granuli abortiti

Labiatae Lavandula stoechas si lavanda selvatica esagonale ovale (oblato) esacolpato reticolato finemente medio giallo, i lati tendono a incurvarsi in fuori

Labiatae Mentha pulegium si menta poleggio esagonale ovale (oblato) esacolpato reticolato piccolo più piccolo rispetto alle altre Labiate esacolpate, esina sottile

Labiatae Ocimum si basilico esagonale ovale (oblato) esacolpato reticolato grande reticolo a maglie molto larghe

Labiatae Rosmarinus si rosmarino esagonale ovale (oblato) esacolpato reticolato medio-grande

due lati opposti più lunghi, reticolo a maglie fini, esina sottile, tende a deformarsi

Labiatae Salvia si labiate del gruppo della salvia esagonale ovale (oblato) esacolpato reticolato medio-

grande due lati opposti più lunghi, reticolo a maglie larghe, almeno nell'intercolpium

Labiatae Sideritis romana si stregonia comune quadrato circolare o quadrangolare tetracolpato reticolato medio-

piccolo nel miele i bordi dei solchi sporgono, dando al polline una forma particolare in visione polare

Labiatae Sideritis syriaca si stregonia siciliana irregolare irregolare tetracolpato reticolato medio tre dei solchi all'equatore, uno perpendicolare

Labiatae Stachys si betonica sub-triangolare ovale (oblato) tricolpato reticolato finemente

medio-piccolo

nel miele è spesso visibile, in posizione polare, un sottile frammento di esina attaccato a un bordo del solco

Labiatae Teucrium si camedrio (gattaria in Sardegna) sub-triangolare ovale (prolato) tricolpato scabrato medio-

piccolo grosso opercolo sui solchi, esina inspessita ai poli

Labiatae Thymus si labiate del gruppo del timo esagonale ovale (oblato) esacolpato reticolato medio residui di esina sui solchi

Maurizio e Louveaux, 1965 Ricciardelli D’Albore, 1997 Ricciardelli D’Albore,1998 Von der Ohe e Von der Ohe, 2000 Bucher et al., 2004 Note melissopalinologiche Specie pg Specie pg fig Specie pg Specie tav.

(I ed.) pg

(II ed.) Specie pg

relativamente comune nelle aree mediterranee, possibili mieli uniflorali

Erica arborea 76 26 Erica arborea 164 Erica arborea 193 76

relativamente comune, nei mieli alpini; possibili mieli uniflorali (Rhododendron e Erica carnea); iporappresentato

Rhododendron sp. 116 Rhododendron ferrugineum

98 99

47 48 Rhododendron

ferrugineum 173 168 Rhododendron ferrugineum

Erica carnea

288 286

molto raro Chrozophora tinctoria 106

raro, nei mieli della macchia mediterranea Euphorbia characias 266 166 Euphorbia

cyparissias 180 Euphorbia cyparissias 155 84

relativamente comune Mercurialis annua 271 171 Mercurialis annua 266

molto raro, nei mieli dell'estremo sud Ricinus communis 286 186 Ricinus communis 121 171

molto comune, meno abbondante sul versante adriatico e in Sardegna; frequenti mieli uniflorali; iperrapresentato

Castanea sativa 138 Castanea sativa 70 20 Castanea sativa 86 Castanea sativa 19 46 Castanea sativa 322

comune nei mieli primaverili di area mediterranea; localmente anche al nord

Quercus ilex 260 160 Quercus ilex 336

comune, soprattutto nei mieli primaverili Quercus robur 261 161 Quercus robur 338 Quercus robur 81 164 Quercus pubescens 330

molto raro Erodium cicutarium 65 78

raro, tipico dei mieli di montagna Geranium lucidum 272 172 Geranium rotundifolium 196 Geranium

pyrenaicum 83 93 Geranium sylvaticum 346

comune, soprattutto nei mieli tardivi di aree coltivate Zea mays 263 163 Zea mays 442 Zea mays 488

molto comune, ubiquitario Dactylis glomerata Avena sativa

263 263

163 163 Dactylis glomerata 102 67 Dactylis glomerata 484

raro Hypericum perforatum 266 166 Hypericum

perforatum 216 Hypericum perfor. H. polyphyllum

108 99

101 102

relativamente comune nei mieli primaverili; abbondante nei mieli delcarso, altrove indicatore urbano

Aesculus hippocastanum 32 Aesculus

hippocastanum 267 167 Aesculus hippocastanum 28 Aesculus

hippocastanum 29 20 Aesculus hippocastanum 354

molto raro, in funzione delle superifici coltivate spesso a fini apistici

Phacelia tanacetifolia 278 178 Phacelia

tanacetifolia 46 146 Phacelia tanacetifolia 358

molto raro Crocus albiflorus 54 65 Crocus albiflorus 362

molto raro Juglans regia 264 164 Juglans regia 6 108 Juglans regia 366

raro, nei mieli alpini Juncus acutus 259 159 Luzula lutea 370

raro Lamium galeobdolon 150 110 Lamium album 374

molto raro; possibili mieli uniflorali; estremamente iporappresentato Lavandula sp. 72 Lavandula spica x L.

angustifolia 84 34 Lavandula angustifolia 228 Lavandula

angustifolia 40 113

raro, nei mieli di macchia mediterranea; possibili mieli uniflorali; iporappresentato

Lavandula stoechas 85 - 86

35 - 36 Lavandula stoechas 230

raro Mentha sp. 70 Mentha pulegium 264

molto raro Ocimum basilicum 388 raro, in aree mediterranee localizzate; possibili mieli uniflorali, iporappresentato

Rosmarinus officinalis 74 Rosmarinus

officinalis 102 51 Rosmarinus officinalis 352

relativamente comune; possibili mieli uniflorali; iporappresentato Salvia sp. 76 Salvia officinalis 360 Salvia verticillata 85 180 Salvia pratensis 384

raro, nei mieli siciliani

molto raro, in alcune aree appenniniche; possibili mieli uniflorali; iporappresentato

Sideritis syriaca 107 56

relativamente comune, nei mieli romagnoli e dell'Italia centrale (in particolare Marche)

Stachys annua 82 Stachys annua 261 161 Stachys annua 390

raro; possibili mieli uniflorali (T. marum in Sardegna))

Teucrium scorodonia 84 Teucrium

chamaedrys 260 160 Teucrium fruticans 400 Teucrium chamaedrys 42 197 Teucrium

montanum 392

comune, possibili mieli uniflorali (Thymus capitatus, T. herba-barona e Satureja montana); iporappresentato

Thymus spp. Satureia sp.

78 80

Satureja montana Thymus vulgaris

106 110-111

55 59-60

Satureja montana Thymus capitatus

368 406

Nepeta cataria Origanum vulgare

148 41

133 141

Origanum vulgare Thymus serpyllum

378 380

Famiglia Forma pollinica

Netta

re

Nome comune Visione polare

Visione equatoriale Aperture Ornamenta-

zione Dimen-sioni Note morfologiche

Lauraceae Laurus si alloro circolare circolare inaperturato echinato (spine rudimentali) medio diafano, fragile, intina molto spessa, spine di 1

μ

Leguminosae – Cesalpinoideae Ceratonia si carrubo sub-circolare circolare tetra- o

pentacolporato reticolato medio-piccolo

molto simile a Citrus; esina con reticolo irregolare

Leguminosae – Cesalpinoideae Gleditsia si spino di Giuda sub-circolare ovale (oblato) tricolporato reticolato medio ai poli le maglie del reticolo restano aperte,

maglie più strette verso i solchi

Leguminosae – Faboideae Amorpha si amorfa o indaco

bastardo sub-triangolare ovale (oblato) tricolpato reticolato piccolo uniformemente e finemente reticolato, opercoli, olio giallo / arancio

Leguminosae – Faboideae Astragalus / Ononis si astragalo o ononide sub-circolare ovale (prolato) tricolporato reticolato

finemente medio-piccolo

simile a Hedysarum, ma più tondeggiante (diametro equatoriale maggiore)

Leguminosae – Faboideae

Coronilla / Hippocrepis si cornetta,

sferracavallo circolare circolare tricolporato psilato medio-piccolo

esina sottile, citoplasma trasparente, aspetto rifrangente

Leguminosae – Faboideae Dorycnium si trifoglino circolare ovale (prolato) tricolporato reticolato finem.

(perforato) medio-piccolo

molto simile a T. repens, un po' più tondeggiante e con esina più spessa

Leguminosae – Faboideae Galega si? capraggine circolare circolare tricolporato psilato piccolo spesso olio giallo

Leguminosae – Faboideae Genista si? gruppo delle ginestre sub-triangolare ovale (oblato) tricolpato reticolato medio

gruppo di più specie (dimensioni diverse); esina molto sottile, reticolo diafano, appena visibile nell'intercolpium, spesso olio, solchi con opercolo trasparente, talora onci

Leguminosae – Faboideae Glycine si soja sub-circolare circolare tricolporato scabrato medio-

piccolo esina inspessita attorno al poro; simile a Trifolium repens ma più tondeggiante e con esina più spessa

Leguminosae – Faboideae Hedysarum si sulla sub-circolare ovale (prolato) tricolporato reticolato medio-

piccolo olio giallo

Leguminosae – Faboideae Lathyrus / Vicia si veccia sub-circolare ovale (prolato) tricolporato reticolato medio appiattito ai poli, reticolo scarsamente visibile

Leguminosae – Faboideae Lotus si ginestrino sub-circolare ovale (prolato) tricolporato psilato piccolo esina sottile, citoplasma trasparente, aspetto

rifrangente

Leguminosae – Faboideae Medicago si erba medica sub-circolare circolare tricolporato psilato medio molto simile a Robinia, ma un po' più grande,

solchi visibili, nucleo visibile

Leguminosae – Faboideae Melilotus si meliloto sub-circolare ovale (prolato) tricolporato reticolato medio-

piccolo simile a T. repens, forma meno ovoidale con poli più appiattiti, esina più sottile e con fine reticolo

Leguminosae – Faboideae Onobrychis si lupinella sub-circolare ovale (prolato) tricolpato reticolato medio

residui di esina sui solchi (quasi un opercolo), olio giallo, appiattito ai poli; nel miele spesso si apre in corrispondennza di un solco (e appare monocolpato)

Leguminosae – Faboideae Ononis natrix si ononide bacaja sub-circolare ovale (prolato) tricolporato reticolato

finemente piccolo molto simile a Hedysarum, ma più piccolo (asse polare 18-19 μ)

Leguminosae – Faboideae Robinia si robinia sub-triangolare ovale (oblato) tricolporato psilato medio-

piccolo esina sottile, intina più spessa dell'esina, citoplasma liscio, nel miele spesso fuoriesce in corrispondenza dele aperture

Leguminosae – Faboideae

Trifolium alexandrinum si trifoglio alessandrino sub-circolare ovale (prolato) tricolporato reticolato medio asse polare fra 30 e 35 μ, reticolo molto

visibile e a maglie larghe

Leguminosae – Faboideae Trifolium hybridum si trifoglio ibrido sub-circolare ovale (prolato) tricolporato reticolato medio-

piccolo asse polare < 30 μ, simile a T repens, ma con reticolo (più fine e meno visibile rispetto a T. alexandrinum)

Leguminosae – Faboideae

Trifolium incarnatum si trifoglio incarnato sub-circolare ovale (prolato) tricolporato reticolato medio-

grande asse polare tra 43 e 50 μ, reticolo molto visibile e a maglie larghe

Leguminosae – Faboideae Trifolium pratense si trifoglio violetto sub-circolare ovale (prolato) tricolporato reticolato medio asse polare tra 36 e 42 μ, reticolo ben visibile

e a maglie larghe

Leguminosae – Faboideae Trifolium repens si trifoglio bianco sub-circolare ovale (prolato) tricolporato psilato medio-

piccolo asse polare inferiore a 30 μ, liscio o reticolo appena visibile

Leguminosae – Faboideae Vicia faba si fava sub-circolare ovale (prolato) tricolporato reticolato medio-

grande come Lathyrus/Vicia, ma più grande; reticolo a maglie molto larghe ben visibili

Leguminosae – Faboideae Leguminosae altre si altre leguminose - - tri- o

tetracolporato psilato o reticolato variabile altre leguminose che non corrispondono alla

descrizione dei tipi definiti precedentemente

Leguminosae – Mimosoideae Acacia si mimosa poliade - psilato grande poliade di 16 cellule (carapace di tartaruga)

Maurizio e Louveaux, 1965 Ricciardelli D’Albore, 1997 Ricciardelli D’Albore,1998 Von der Ohe e Von der Ohe, 2000 Bucher et al., 2004 Note melissopalinologiche Specie pg Specie pg fig Specie pg Specie tav.

(I ed.) pg

(II ed.) Specie pg

molto raro Laurus nobilis Persea

258 274

158 174 Laurus nobilis 226 Persea americana 156 145 Laurus nobilis 396

molto raro, solo nei mieli dell'estremo sud d'Italia, soprattutto nei raccolti invernali; possibili mieli uniflorali

Ceratonia siliqua 72 22 Ceratonia siliqua 96

relativamente comune, soprattutto nei mieli primaverili (robinia) Gleditsia triacanthos 271 171 Gleditsia triacanthos 198 Gleditsia triacanthos 188

relativamente comune, abbondante nel nord est, ma non solo; possibili mieli uniflorali

Amorpha fruticosa 65 15 Amorpha fruticosa 14 25

relativamente comune soprattutto inambiente collinare e montano Astragalus

monspessulanum 271 171 Astragalus monspessulanum

Ononis spinosa

58 288

comune soprattutto in ambiente montano e alto-montano Hippocrepis comosa 54 Hippocrepis comosa 268 168 Hippocrepis comosa 292

raro, nell'Italia centrale Dorycnium hirsutum 154

comune, soprattutto in Romagna e Italia centrale Galega officinalis 271 171 Galega officinalis 192

relativamente comune Ulex 276 176 Calycotome spinosa Genista hispanica

68 194 Cytisus scoparius 76 66

raro, nelle aree di coltivazione (pianura padana) Glycine max 200

comune, nei mieli peninsulari (a sud della Romagna); mieli uniflorali al sud; tendenzialmente iperrappresentato

Hedysarum coronarium 50 Hedysarum

coronarium 82 32 Hedysarum coronarium 206 Hedysarum

coronarium 179 95

relativamente comune, soprattutto nelle regioni centro-meridionali Vicia sp. 56 Vicia cracca 117 66 Vicia cracca 436 Vicia cracca 69 210 Lathyrus pratensis

Vicia cracca 296 298

molto comune, abbondante nei mieli primaverili dell'Italia meridionale; tendenzialmente iperrapresentato

Lotus sp. 52 Lotus corniculatus 87 37 Lotus corniculatus 240 Lotus uliginosus 49 119 Lotus corniculatus 302

relativamente comune, nelle zone di coltivazione; possibili mieli uniflorali (pianura padana); iporappresentato

Medicago sativa 44 Medicago sativa 89 - 90

39 - 40 Medicago sativa 258 Medicago sativa 63 125

comune, soprattutto in Italia centrale Melilotus sp. 42 Melilotus officinalis 271 171 Melilotus alba 262 Melilotus albus 184 127

comune nei mieli di montagna, sia alpina che appenninica; possibili mieli uniflorali; tendenzialmente iporappresentato

Onobrychis sp. 48 Onobrychis viciifolia 96 46 Onobrychis viciifolia 284 Onobrychis montana 306

raro, relativamente frequente in Sicilia Ononis natrix 271 171

molto comune, più raro nell'estremo sud; frequenti mieli uniflorali; iporappresentato

Robinia pseudoacacia 46 Robinia

pseudoacacia 100 49 Robinia pseudoacacia 348 Robinia

pseudoacacia 16 172 Robinia pseudoacacia 310

relativamente comune, nelle regioni del centro-sud; possibili mieli uniflorali

raro

relativamente comune, nelle regioni del centro-sud; possibili mieli uniflorali

Trifolium incarnatum 62 Trifolium incarnatum 113-114 62-63 Trifolium incarnatum 414 Trifolium incarnatum 93 200

molto comune Trifolium pratense 60 Trifolium pratense 115 64 Trifolium pratense 416 Trifolium pratense 44 201

molto comune ovunque; più abbondante al nord; possibili mieli uniflorali; tendenzialmente iperrapresentato

Trifolium repens 58 Trifolium repens 116 65 Trifolium repens 418 Trifolium repens 45 202 Trifolium repens 318

relativamente comune, soprattutto nelle regioni centro-meridionali Pisum sativum

Vicia faba 95 62

151 211

raro

raro, nei mieli mediterranei Acacia Acacia dealbata

289 259

189 159

Acacia dealbata Albizzia julibrissin

26 34 Acacia rigidula 117 15 Albizzia julibrissin 432

Famiglia Forma pollinica

Netta

re

Nome comune Visione polare

Visione equatoriale Aperture Ornamenta-

zione Dimen-sioni Note morfologiche

Liliaceae Allium si aglio, cipolla ovale piano-convessa monocolpato psilato (o rugule

appena visibili) medio forma semilunare, arrotondata dalla parte del solco e piatta dal lato opposto

Liliaceae Asparagus acutifolius si asparago pungente ovale ovale (prolato) monocolpato reticolato medio-

piccolo reticolo più largo e forma più allungata rispetto ad Asparagus officinalis

Liliaceae Asparagus officinalis si asparago ovale ovale (prolato) monocolpato reticolato

finemente medio-piccolo intina più spessa sul solco

Liliaceae Asphodelus si asfodelo ovale piano-convessa monocolpato scabrato grande il solco è trasversale rispetto all'asse

longitudinale, giallo

Liliaceae Smilax si salsapariglia circolare circolare inaperturato echinato medio-piccolo intina spessa, spine molto piccole (verruche)

Liliaceae Liliaceae altre s.l. si altre liliacee e monocotiledoni ovale ovale o piano-

convessa monocolpato reticolato variabile tutti i pollini monocolpati che non rientrano nelle precedenti descrizioni

Linaceae Linum si lino sub-circolare circolare tricolpato verrucato grande verruche esagonali addossate l'una all'altra

Loranthaceae Loranthus si vischio quercino triangolare ovale (oblato) sincolpato scabrato medio-piccolo

lati concavi, poli tendenzialmente diversi, uno più convesso; sincolpato al polo opposto

Lythraceae Lagerstroemia si lagerstremia irregolare circolare tri(col)porato rugulato medio onci, ispessimenti evidenti nell'intercolpium

Lythraceae Lythrum si salcerella triangolare ovale (oblato) eterocolpato striato variabile due misure diverse (granuli piccoli e medi), strie poco visibili nei granuli piccoli (questi possono confondersi con Phacelia)

Magnoliaceae Liriodendron si albero dei tulipani sub-circolare circolare monocolpato verrucato grande verruche particolarmente grandi

Magnoliaceae Magnolia si magnolia ovale ovale (prolato) monocolpato scabrato-perforato grande più allungato rispetto a Liriodendron

Malvaceae Malvaceae si malvacee circolare circolare periporato echinato molto grande

molti pori (più di 20). Possibile confusione con Cucurbita, che ha pochi pori più grandi e opercolati

Moraceae / Urticaceae / Cannabaceae

Urticaceae s.l. no moracee, orticacee, cannabacee circolare circolare di-, tri-, tetra- o

penta porato scabrato piccolo onci, esina sottile, citoplasma granuloso

Myrtaceae Eucalyptus camaldulensis si eucalipto estivo triangolare ovale (oblato) sincolpato psilato (o finem.

verrucato) piccolo i solchi si uniscono al polo formando un triangolo; in visione polare, in prossimità delle aperture, evidenti ispessimenti di esina

Myrtaceae Eucalyptus occidentalis si eucalipto autunnale triangolare ovale (oblato) sincolpato psilato medio-

piccolo simile a E. camaldulensis, ma dimensioni maggiori (27-32 μ, contro 17-22 μ di E. c.)

Myrtaceae Myrtus si mirto triangolare ovale (oblato) sincolpato psilato piccolo simile a Eucalyptus, ma più piccolo (15-18 μ); mancano l’ispessimento dell’esina e il triangolo alla confluenza dei solchi

Oleaceae Fraxinus ornus no orniello sub-circolare circolare tricolporato reticolato medio-piccolo

onci, solchi stretti, pori lolongati, columelle leggermente ingrossate; verso i colpi esina assottigliata e maglie del reticolo più fini

Oleaceae Ligustrum si ligustro sub-circolare circolare tricolporato reticolato medio-piccolo

onci, columelle ingrossate. Simile a Viburnum lantana, ma esina meno assottigliata verso i colpi

Oleaceae Olea no olivo sub-circolare circolare tricolporato reticolato medio-piccolo

simile a Fraxinus ornus, ma con reticolo a maglie più larghe e testa delle columelle più ingrossata

Onagraceae Epilobium si epilobio sub-triangolare circolare triporato psilato grande aperture molto sporgenti e con vistosi ispessimenti; filamenti di viscina, a volte i granuli restano uniti in tetradi

Oxalidaceae Oxalis pes-caprae si acetosella gialla sub-circolare circolare tricolpato reticolato medio-grande

reticolo a maglie più larghe nell'intercolpium con baculi sul fondo delle maglie

Palmae Chamaerops no palma nana, trachycarpus sub-circolare ovale (prolato) monocolpato reticolato piccolo simile ad Asparagus acutifolius

Palmae Phoenix no palma delle Canarie circolare ovale (prolato) monocolpato psilato (o finem. reticolato) piccolo piccolo monocolpato

Palmae Washingtonia no palma americana ovale piano-convessa monocolpato reticolato medio intina più spessa sul solco, a volte baculi sul

fondo delle maglie

Papaveraceae Chelidonium no celidonia sub-circolare ovale (oblato) tricolpato reticolato finemente

medio-piccolo verruche grandi sui solchi e sui bordi di questi

Papaveraceae Papaver no papavero sub-circolare ovale (oblato) tricolpato scabrato medio-piccolo

spesso con olio giallo, verruche irregolari sui solchi, spesso granuli abortiti o privi di citoplasma, dimensioni molto variabili

Passifloraceae Passiflora si passiflora circolare circolare sincolpato reticolato grande solco continuo (simile a una palla da tennis)

Maurizio e Louveaux, 1965 Ricciardelli D’Albore, 1997 Ricciardelli D’Albore,1998 Von der Ohe e Von der Ohe, 2000 Bucher et al., 2004 Note melissopalinologiche Specie pg Specie pg fig Specie pg Specie tav.

(I ed.) pg

(II ed.) Specie pg

relativamente comune nei raccolti di giugno, soprattutto nelle aree di coltivazione di orticole da seme

Allium sp. 120 Allium neapolitanum 260 160 Allium sphaerocephalum 40 Allium ursinum 191 22 Allium lusitanicum 404

comune nei raccolti tardivi delle aree mediterranee (fino alla Romagna) e, localmente, in Friuli (Carso), Veneto (Colli Euganei, Montello), Lombardia (Garda)

Asparagus acutifolius 259 159 Asparagus

acutifolius 54

raro, presente nelle aree di coltivazione Asparagus officinalis 122 Asparagus officinalis 259 159 Asparagus officinalis 127 32 Asparagus officinalis 406

relativamente comune nei mieli mediterranei, possibili mieli uniflorali, estremamente iporappresentato

Asphodelus cerasiferus 67 17 Asphodelus

microcarpus 56 Asphodelus aestivus 183 34

raro, nei raccolti tardivi di ambiente mediterraneo Smilax aspera 258 158 Smilax aspera 382

relativamente comune, soprattutto nelle regioni meridionali Muscari botryoides 259 159 Muscari comosum

Urginea maritima 270 426

Narthecium ossifragum

Urginea maritima

111 133

132 205

Lilium bulbiferum 408

molto raro Linum usitatissimum 15 115 raro, nell'Appennino, assente a nord del Po Loranthus

europaeus 276 176 Loranthus europaeus 238 Loranthus

europaeus 80 118

raro, nei mieli tardivi, indicatore urbano Lagerstroemia indica 262 162 Lagerstroemia indica 224 Lagerstroemia sp. 416

molto raro, nei mieli tardivi Lythrum salicaria 262 162 Lythrum salicaria 246 Lythrum salicaria 129 122 Lythrum salicaria 420

molto raro, nei mieli primaverili di aree urbane Liriodendron

tulipifera 259 159 Liriodendron tulipifera 236 Liriodendron

tulipifera 105 116 Liriodendron tulipifera 424

raro, nei mieli primaverili di aree urbane Magnolia grandiflora

Magnolia 259 274

159 174 Magnolia grandiflora 248

raro Malva silvestris 264 164

Malva silvestris Abutilion theophrasti Gossypium hirsutum Hibiscus rosa-sinensis Lavatera arborea

252 24 202 212 232

Malva moschata Hibiscus esculentus

104 160

124 99 Malva alcea 428

comune Cannabis sativa Humulus lupulus Morus alba

177 178 176

43 100 130

Humulus lupulus Urtica dioica

198 652

comune, nei mieli tirrenici e meridionali; frequenti mieli uniflorali; iperrapresentato

Eucalyptus camaldulensis 80 30 Eucalyptus

camaldulensis 174 Eucalyptus camaldulensis 33 80

raro, nei mieli tardivi meridionali; possibili mieli uniflorali; normalmente rappresentato

Eucalyptus viminalis 78 28

raro, nei mieli di aree mediterranee Myrtus communis 95 45 Myrtus communis 274

molto comune, meno abbondante nelle Alpi e Prealpi occidentali Fraxinus ornus 261 161 Fraxinus ornus 188 Fraxinus ornus 109 90 Fraxinus ornus 444

relativamente comune, nelle regioni centro-settentrionali Ligustrum vulgare 262 162 Ligustrum vulgare 234 Ligustrum vulgare 137 114 Ligustrum vulgare 448

comune, in area mediterranea Olea europaea 261 161 Olea europaea 282 Olea europaea 110 140

molto raro, nei mieli alpini Epilobium angustifolium 263 163 Epilobium

angustifolium 139 75 Epilobium angustifolium 452

raro, nei mieli primaverili dell'estremo sud Oxalis pes-caprae 262 162 Oxalis pes-caprae 296

relativamente comune, soprattutto nei mieli primaverili del centro-nord (robinia delle prealpi occidentali)

Chamaerops humilis 259 159 Chamaerops humilis 102 Trachycarpus fortunei 456

relativamente comune, nelle regioni centro-meridionali, soprattutto nei raccolti tardivi

Phoenix 274 174 Phoenix dactilifera 308

molto raro Washingtonia robusta 180 214

raro, nelle regioni settentrionali Chelidonium majus 74 53

molto comune ovunque Papaver rhoeas 260 160 Papaver rhoeas 300 Papaver rhoeas 84 144 Papaver sp. 460

molto raro Passiflora 277 177 Passiflora 304 Passiflora vitifolia 464

Famiglia Forma pollinica

Netta

re

Nome comune Visione polare

Visione equatoriale Aperture Ornamenta-

zione Dimen-sioni Note morfologiche

Pinaceae Pinaceae no pinacee bisaccato inaperturato rugulato grande forma molto caratteristica

Plantaginaceae Plantago no piantaggine circolare circolare periporato scabrato o verrucato

medio-piccolo in genere 6-10 pori con residui di esina

Polemoniaceae Polemonium si valeriana greca circolare circolare periporato striato grande circa 50 pori, strie intrecciate e ramificate

Polygonaceae Fagopyrum si grano saraceno circolare ovale (prolato) tricolporato foveolato variabile struttura dell'esina complessa, più spessa e ornamentata rispetto a P. bistorta

Polygonaceae Polygonum aviculare si poligono centinodia sub-circolare ovale (prolato) tricolporato scabrato medio-

piccolo struttura dell'esina complessa

Polygonaceae Polygonum bistorta si poligono bistorta circolare ovale (prolato) tricolporato scabrato medio-grande struttura dell'esina complessa

Polygonaceae Polygonum persicaria si poligono persicaria circolare circolare periporato reticolato medio

reticolo vistoso e pori (12-27) sul fondo di alcune delle maglie del reticolo; simile a Tribulus

Polygonaceae Rumex no romice sub-circolare circolare tricolporato foveolato medio-piccolo

aperture situate sui lati (interangolari), talora tetracolporato, citoplasma molto granuloso

Portulacaceae Portulaca no? porcellana circolare circolare pericolpato echinato (spine rudimentali) grande grosse verruche, giallo

Rafflesiaceae Cytinus no? ipocisto ovale ovale (oblato) diporato verrucato piccolo a volte triporato, onci; in visione equatoriale può sembrare Myrtus

Ranunculaceae Clematis si clematide sub-circolare ovale (oblato) tricolpato scabrato medio-piccolo

verruche anche sui solchi (verruche più grandi e regolari rispetto a Papaver)

Ranunculaceae Nigella si damigella o fanciullaccia sub-circolare ovale (oblato) tricolpato scabrato medio-

grande verruche molto rifrangenti, più grosse sulla membrana dei solchi

Ranunculaceae Thalictrum no pigamo circolare circolare periporato scabrato piccolo in genere 8 pori, con verruche sulla membrana e sui bordi dei pori

Ranunculaceae Ranunculaceae altre si? altre ranuncolacee sub-circolare ovale (oblato) tri o pericolpato scabrato variabile verruche molto rifrangenti

Resedaceae Reseda si reseda sub-circolare circolare tricolpato reticolato finemente

medio-piccolo "briglie" sui solchi

Rhamnaceae Frangula si frangola triangolare ovale (oblato) tricolporato psilato piccolo esina sottile, vestibulum e onci, diafano. Simile a Eucalyptus, ma non è sincolpato e manca di ispessimenti periorali

Rhamnaceae Paliurus si marruca triangolare ovale (oblato) tricolporato scabrato medio-piccolo

simile a Frangula, ma un po' più grande, giallo e con esina un po' più spessa

Rhamnaceae Rhamnus si ranno triangolare ovale (oblato) tricolporato reticolato medio-piccolo simile a Frangula, ma con reticolo visibie

Rosaceae Aruncus no barba di capra sub-triangolare ovale (oblato) tricolporato striato piccolo strie non sempre visibili

Rosaceae Crataegus si biancospino sub-triangolare ovale (oblato) tricolporato scabrato (o strie appena visibili)

medio-grande simile a Malus / Pyrus, ma più grande

Rosaceae Filipendula no olmaria circolare circolare tricolporato scabrato piccolo margine dei pori sporgente, membrana con granuli

Rosaceae Fragaria / Potentilla si fragola, cinquefoglio sub-triangolare circolare - ovale (oblato) tricolporato striato piccolo opercoli; in Fragaria esina più spessa,

striature più visibili e olio giallo

Rosaceae Malus / Pyrus si pomacee sub-triangolare ovale (oblato) tricolpato scabrato (o strie appena visibili) medio il citoplasma fa ernia sulle aperture,

dimensioni variabili

Rosaceae Prunus si drupacee sub-triangolare ovale (oblato) tricolp(or)ato striato medio striature evidenti, il citoplasma fa ernia sulle aperture, dimensioni variabili. Possibile confusione con Acer

Rosaceae Rosa no? rosa sub-circolare circolare tricolporato striato medio-piccolo spesso olio giallo, opercolo

Rosaceae Rubus si rosacee del gruppo del rovo e del lampone

sub-triangolare circolare tricolporato scabrato (o strie appena visibili)

medio-piccolo

anche tetracolporato; molti granuli privi di citoplasma

Rosaceae Sanguisorba minor no salvastrella minore sub-circolare circolare tricolporato psilato o scabrato medio solchi corti, opercoli vistosi

Rosaceae Sanguisorba officinalis no salvastrella maggiore esagonale ovale (oblato) tricolporato scabrato medio-

piccolo grossi opercoli sui solchi ( il polline può sembrare esacolpato), giallo, esina molto spessa

Rosaceae Rosaceae altre si? altre rosacee sub-circolare circolare tri- o tetracolp(or)ato

scabrato (o strie appena visibili) variabile rosacee che non rientrano nelle altre

descrizioni

Rubiaceae Rubiaceae si rubiacee poligonale ovale (oblato) zonocolpato scabrato piccolo in genere 7-9 colpi; lati convessi

Rutaceae Citrus si agrumi sub-circolare circolare tetracolporato foveolato o reticolato

medio-piccolo

talvolta pentacolporato; onci; molto variabile per dimensioni e ornamentazione

Rutaceae Euodia si evodia sub-circolare circolare tricolporato reticolato medio-piccolo

reticolo molto largo e margo liscio. Simile a Viburnum

Maurizio e Louveaux, 1965 Ricciardelli D’Albore, 1997 Ricciardelli D’Albore,1998 Von der Ohe e Von der Ohe, 2000 Bucher et al., 2004 Note melissopalinologiche Specie pg Specie pg fig Specie pg Specie tav.

(I ed.) pg

(II ed.) Specie pg

comune Abies alba Pinus brutia

258 258

158 158 Pinus brutia 314 Picea abies

Pinus sylvestris 1 2

148 149

Pinus nigra P. sylvestris

468 470

molto comune; meno frequente nelle regioni meridionali Plantago lanceolata 264 164 Plantago lanceolata 318 Plantago lanceolata 122 152 Plantago lanceolata

Plantago media 474 476

molto raro Polemonium 281 181 Polemonium reptans 492

molto raro Polygonum fagopyrum 136 Fagopyrum

esculentum 272 172 Fagopyrum esculentum 182 Fagopyrum

esculentum 12 85 Fagopyrum esculentum 500

raro, soprattutto in aree intensamente coltivate (pianura padana)

Polygonum aviculare 322 Polygonum

convolvolus 98 154

raro, caratteristico dei mieli alpini Polygonum bistorta 134 Polygonum bistorta 267 167 Polygonum bistorta 119 153 Polygonum bistorta 504

raro Polygonum persicaria 265 165 Polygonum

persicaria 508

relativamente comune, soprattutto nei mieli primaverili del centro-nord (robinia)

Rumex acetosella 267 167 Rumex acetosella 356 Rumex acetosa 512

molto raro Portulaca oleracea 326

molto raro, associato alla macchia mediterranea (Sardegna) Cytinus hypocistis 144

comune, ambienti boschivi collinari Clematis vitalba 260 160 Clematis vitalba 120 Clematis alpina 524

raro, in area mediterranea Nigella damascena 278 Nigella sativa 26 136

raro Thalictrum minus 264 164 Thalictrum minus 402 Thalictrum foetidum 536

relativamente comune, nei mieli primaverili Anemone nemorosa

Ranunculus ficaria 260 261

160 161

Ranunculus bulbosus 340 Anemone nemorosa 138 27

Anemone nemorosa Pulsatilla vulgaris Ranunculus acris

520 528 532

raro Reseda lutea 261 161 Reseda lutea 342 Reseda lutea 163 166

relativamente comune, nei mieli alpini e prealpini Rhamnus frangula 40 Rhamnus frangula 22 167 Frangula alnus 544

relativamente comune, nei raccolti di giugno del centro-sud (fino all'Emilia Romagna), possibili mieli uniflorali

Paliurus australis 267 167 Paliurus spina-christi 298

relativamente comune, nei mieli precoci della macchia mediterranea Rhamnus alaternus 268 168 Rhamnus alaternus 346

raro, nei mieli alpini Aruncus vulgaris 96 31 Aruncus dioicus 548

raro Crataegus monogyna 132

relativamente comune, nei mieli prealpini e alpini Filipendula ulmaria 68 Filipendula ulmaria 267 167 Filipendula ulmaria 186 Filipendula ulmaria 100 87 Filipendula vulgaris 552

relativamente comune, soprattutto nelle regioni settentrionali e nelle zone di coltivazione della fragola

Fragaria vesca Potentilla reptans

265 265

166 165 Potentilla reptans 328 Fragaria vesca

Potentilla anserina 164 175

89 156

Fragaria vesca Potentilla argentea

556 558

molto comune, soprattutto nei mieli primaverili; possibili mieli uniflorali (Malus domestica, Eryobotrya japonica)

Pyrus sp. 64 Eryobotrya japonica Malus domestica

77 88

27 38 Malus domestica 250 Malus sylvestris 32 123 Malus sp. 566

molto comune, soprattutto nei mieli primaverili; possibili mieli uniflorali (P. avium e P. mahaleb in Friuli)

Prunus spp, 64 Prunus avium 88 38 Prunus dulcis 332 Prunus avium Prunus dulcis Prunus spinosa

30 60 154

159 160 161

Prunus avium Prunus padus

570 572

raro Rosa canina 350 Rosa rugosa 31 173

molto comune ovunque; possibili mieli uniflorali (Rubus idaeus nelle alpi)

Rubus sp. 66 Rubus ulmifolius 103 52 Rubus ulmifolius 354 Rubus fruticosus Rubus idaeus

88 87

175 176 Rubus fruticosus 576

raro Poterium sanguisorba 330 Sanguisorba minor 580

molto raro Sanguisorba major 263 163 Sanguisorba officinalis 197 182 Sanguisorba

officinalis 584

relativamente comune Geum rivale 562

molto raro Galium verum 262 162 Asperula cynanchica Galium sylvaticum

115 189

33 92 Galium anisophyllon 588

relativamente comune, nei mieli delle regioni meridionali; frequenti mieli uniflorali; iporappresentato

Citrus 73 - 74

23 - 24 Citrus limon 118 Citrus sinensis 146 57

molto raro Euodia hupehensis 34 81

Famiglia Forma pollinica

Netta

re

Nome comune Visione polare

Visione equatoriale Aperture Ornamenta-

zione Dimen-sioni Note morfologiche

Salicaceae Salix si salice sub-circolare circolare tricolporato reticolato piccolo reticolo con maglie di dimensioni diverse, area intorno ai solchi infossata con granulazioni

Saxifragaceae Saxifraga si sassifraga sub-triangolare ovale (oblato) tricolporato striato piccolo striature evidenti, colore giallo intenso, verruche sui solchi (altre specie del genere hanno tipo pollinico diverso)

Scrophulariaceae Linaria si linajola circolare circolare tricolporato reticolato piccolo solchi lunghi, margo

Scrophulariaceae Odontites si perlina triangolare ovale (oblato) tricolpato scabrato medio-piccolo granulo appiattito ai poli

Scrophulariaceae Rhinanthus si cresta di gallo triangolare ovale (oblato) tricolpato psilato medio solchi lunghi a margine arrotondato, resti di esina, spesso un solco più aperto degli altri

Scrophulariaceae Scrophulariaceae altre si altre scrofulariacee circolare circolare tricolporato reticolato medio-

piccolo reticolo regolare, margo, colpi lunghi con margini netti, a volte olio giallo

Simaroubaceae Ailanthus si ailanto triangolare ad apici tronchi

circolare o ovale (oblato) tricolporato striato-reticolato medio-

piccolo ornamentazione e forma molto caratteristiche

Solanaceae Solanaceae si? solanacee sub-circolare circolare tri- o tetracolporato psilato medio-

piccolo colpi molto lunghi, onci

Tamaricaeae Tamarix si tamerice circolare circolare tricolpato reticolato piccolo esina assottigliata verso i solchi, margo, simile a Sambucus nigra, ma con reticolo più visibile

Tiliaceae Tilia si tiglio sub-triangolare ovale (oblato) tricolporato foveolato medio aperture situate sui lati (interangolari); uno dei poli è in genere più convesso dell'altro

Typhaceae Typha no lisca tetrade piana monoporato reticolato medio tetrade piana Umbelliferae Eryngium si calcatreppola sub-circolare ovale (prolato) tricolporato scabrato medio esina più sottile rispetto alle altre Umbelliferae

Umbelliferae Umbelliferae A si ombrellifere del gruppo della carota sub-circolare ovale (prolato) tricolporato verrucato medio-

piccolo forma caratteristica, con costrizione equatoriale

Umbelliferae Umbelliferae H si ombrellifere del gruppo del panace sub-circolare ovale (prolato) tricolporato verrucato medio-

grande simile alla forma A, ma di dimensioni maggiori ed esina ispessita ai poli

Urticaceae vedi Moraceae

Valerianaceae Valeriana si valeriana sub-triangolare ovale (oblato) tricolpato echinato grande simile a Scabiosa, ma solchi più lunghi, con resti di esina; anche tetracolpato

Verbenaceae Verbena si verbena triangolare ovale (oblato) eterocolpato scabrato medio-piccolo

3 colpi con pori e 3 colpi senza pori, scarsamete visibili, interangolari

Violaceae Viola tricolor si viola pentagonale circolare tetra- o pentacolporato psilato grande intina spessa, citoplasma granuloso

Vitaceae Parthenocissus si vite del Canadà sub-triangolare ovale (prolato) tricolporato reticolato medio forma bipiramidale, reticolo con maglie allungate in senso polare, poro tondo

Vitaceae Vitis no? vite triangolare ad apici tronchi circolare tricolporato scabrato-reticol.

-areolato-perfor. medio-piccolo

forma abbastanza variabile, ornamentazione evidente soprattutto ai poli, poro piccolo, tondo, giallino

Zygophyllaceae Tribulus si? tribolo circolare circolare periporato reticolato medio-grande

reticolo a maglie molto larghe, pori sul fondo di ogni maglia (60-75 pori). Simile a Polygonum persicaria)

- Altri o indeterminati si? altri o indeterminati - - - - variabile tutte le forme che non è possibile far rientare nelle precedenti descizioni

Maurizio e Louveaux, 1965 Ricciardelli D’Albore, 1997 Ricciardelli D’Albore,1998 Von der Ohe e Von der Ohe, 2000 Bucher et al., 2004 Note melissopalinologiche Specie pg Specie pg fig Specie pg Specie tav.

(I ed.) pg

(II ed.) Specie pg

molto comune ovunque; meno abbondante al sud; possibili mieli uniflorali

Salix sp. 140 Salix triandra 105 54 Salix triandra 358 Salix fragilis Salix nigricans

166 8

178 179 Salix sp. 596

raro, nei mieli alpini Saxifraga paniculata 600

raro Linaria alpina 271 171

raro, in mieli tardo estivi Odontites lutea 280

molto raro Rhinanthus minor 260 160 Rhinanthus alectorolophus 616

relativamente comune, soprattutto nei mieli tardivi Verbascum thapsus 261 161 Scrophularia nodosa

Verbascum thapsus 374 428

Scrophularia nodosa Verbascum nigrum Verbascum thapsus

174 107 106

184 206 207

Verbascum lychnitis 620

comune, ambienti antropizzati, in espansione, possibili mieli uniflorali Ailanthus altissima 266 166 Ailanthus altissima 33 Ailanthus altissima 48 21 Ailanthus altissima 628

molto raro Solanum 286 186 Nicotiana glauca 276 Solanum tuberosum 169 190

raro, soprattutto nei mieli delle regioni meridionali Tamarix gallica 261 161 Tamarix gallica 396 Tamarix gallica 28 194

relativamente comune, nelle regioni settentrionali; frequenti mieli uniflorali; iporappresentato

Tilia platyphylla 38 Tilia platyphyllos 112 61 Tilia platyphyllos 43 199 Tilia cordata 632

molto raro Thypha latifolia 422 Typha latifolia 640 raro, nei mieli tardivi Eryngium campestre 269 169 Eryngium campestre 172

molto comune ovunque; possibili mieli uniflorali

Anthriscus silvestris Daucus carota

124 126

Daucus grandiflorus Ferula communis Pimpinella anisum Tordylum apulum

148 184 312 408

Angelica silvestris Coriandrum sativum Daucus carota Foeniculum vulgare

103 68 162 200

28 60 70 88

Anthriscus silvestris 72

relativamente comune, nei mieli alpini

Heracleum spondylium 128 Heracleum

spondylium 271 171 Heracleum sphondylium 20 98 Heracleum

spondylium 74

molto raro Valeriana officinalis 656

raro, nei mieli tardivi Verbena officinalis 262 162 Verbena officinalis 430

molto raro Viola x wittrockiana 272 172 Viola tricolor 47 212 Viola tricolor 660

comune, soprattutto nei mieli delle regioni centro-settentrionali Parthenocissus

quinquefolia 271 171 Parthenocissus quinquefolia 302 Parthenocissus sp. 664

comune, soprattutto nelle zone di maggiore coltivazione Vitis vinifera 269 169 Vitis vinifera 438 Vitis sp. 668

molto raro Tribulus terrestris 265 165 Tribulus terrestris 410

-

APPENDICE II

METODI PER L’ANALISI MICROSCOPICA DEL MIELE E DELLA GELATINA REALE

di Livia Persano Oddo e Lucia Piana

L’International Honey Commission di Apimondia, nell’am-bito della sua opera di armonizzazione e validazionedelle metodiche analitiche concernenti il miele, hamesso a punto un metodo per l’analisi melissopalino-logica che, basato sostanzialmente sul lavoro originariodi Louveaux et al. (1978), ne approfondisce e specifica idettagli, al fine di raggiungere un miglior livello di ripe-tibilità e riproducibilità, e ne stabilisce, attraverso pro-ve interlaboratorio, i parametri di precisione. Il meto-do, pubblicato in inglese sulla rivista internazionaleApidologie (Von der Ohe et al., 2004), viene qui ripro-posto in versione italiana, con alcune integrazioni e ag-giunte, relative in particolare alla preparazione dei pre-parati pollinici di riferimento e al metodo per l’analisidella gelatina reale (GR).

1. Principi e note generali

Gli elementi microscopici contenuti nel miele o nellagelatina reale sono concentrati ed estratti mediante

centrifugazione. Il sedimento, opportunamente prepara-to, è osservato al microscopio e si procede al ricono-scimento e alla conta degli elementi in esso contenuti(analisi melissopalinologica qualitativa), ed eventualmenteal conteggio del numero assoluto degli elementi figurati(analisi melissopalinologica quantitativa). Si ottiene in talmodo uno spettro pollinico, che necessita di un’interpre-tazione specifica da parte dell’analista per ricavarne leinformazioni utili alla valutazione dell’origine botanica(miele) e geografica (miele e GR). L’esame del sedimen-to può inoltre fornire informazioni aggiuntive sul pro-dotto, quali il modo di estrazione, aspetti igienici, even-tuale presenza di microrganismi tra cui gli indicatori difermentazione, alcuni tipi di frode (Louveaux et al.,1978; Kerkvliet et al., 1995; Russmann, 1998). Per il rico-noscimento delle forme polliniche si ricorre alla biblio-grafia iconografica specializzata e ad una collezione dipreparati pollinici di riferimento (vedi punto 4).È di particolare importanza che in tutte le fasi dellapreparazione sia posta una grande attenzione per pre-venire ogni possibile contaminazione da parte di polliniprovenienti da altre preparazioni o da pollini aerodiffu-si, da sorgenti esterne o interne (erbari, materiale bo-tanico). Pertanto nei limiti del possibile si raccomandal’utilizzo di materiale monouso, di tenere le finestrechiuse e di limitare il più possibile i tempi di esposizio-ne del preparato.

2. Miele - Analisi melissopalinologicaqualitativa

2.1. Allestimento del preparatoPesare 10,0 g di miele in una provetta da centrifuga da50 ml a fondo conico, aggiungere circa 20 ml di acqua

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1a linea: contare 100 granuli pollinici (6a linea: contare altri 100 granuli, fino a 600)

2a linea: contare altri 100 granuli, fino a 200 (7a linea: contare altri 100 granuli, fino a 700) 3a linea: contare altri 100 granuli, fino a 300

(8a linea: contare altri 100 granuli, fino a 800) 4a linea: contare altri 100 granuli, fino a 400

(9a linea: contare altri 100 granuli, fino a 900) 5a linea: contare altri 100 granuli, fino a 500 (10 a linea: contare altri 100 granuli, fino a 1000)

coprioggetto 22 x 22 mm (O = 1 campo microscopico)

.......... .......... .......... ....... ......

Figura 1. Matrice che illustra la modalità della conta

distillata (eventualmente riscaldata a non più di 40 °C)e sciogliere il miele accuratamente(1). Centrifugare la soluzione per 10’ a 1000 xg (un'accele-razione centrifuga di 1000 xg corrisponde, a secondadelle dimensioni del rotore, a circa 2.500 rpm). Si consi-glia l’uso di una centrifuga a rotore basculante.Decantare il liquido surnatante, aggiungere nuovamentecirca 20 ml di acqua distillata, riportare in sospensione ilsedimento e centrifugare nuovamente per 5’. Decantareil liquido surnatante e lasciare sgocciolare la provetta sucarta da filtro.Accendere la piastra riscaldante regolandola a circa40°C e porvi a sciogliere la gelatina glicerinata(2). Predisporre il vetrino portaoggetto disegnandovi unquadrato di 22 x 22 mm con un pennarello a inchiostroindelebile(3) e posarlo sulla piastra riscaldante.Miscelare accuratamente il sedimento del miele conuna pipetta Pasteur monouso e trasferirlo interamentesul vetrino distribuendolo in modo uniforme sull’areadisegnata. Lasciare asciugare completamente il sedimen-to, evitando però di prolungare l’esposizione all’aria ol-tre il tempo strettamente necessario.Porre una goccia di gelatina glicerinata sul vetrino co-prioggetto, formando una croce lungo le diagonali (lagoccia di gelatina non va mai applicata direttamente sulsedimento), e appoggiarlo sul vetrino portaoggetto,molto lentamente per evitare l’inclusione di bolle d’aria.Lasciare per 5’ sulla piastra, per avere una distribuzionecompleta ed omogenea della gelatina glicerinata.

2.2. Identificazione e conta degli elementi delsedimento.

Si esegue l’osservazione al microscopio utilizzando l’in-grandimento più idoneo per il riconoscimento dei di-versi elementi del sedimento (400 -1000 x). Dopo una

prima osservazione generale del preparato, per verifi-carne la densità e individuare le principali forme, si pro-cede all’identificazione e alla conta degli elementi figura-ti. La conta deve interessare almeno 300 granuli pollinici(GP) per una stima di frequenza dei tipi pollinici, e al-meno 500 GP per la determinazione delle relative per-centuali (Behm et al., 1996).Per assicurare l’esame uniforme del preparato, la contadeve essere eseguita lungo 5 linee parallele ed equidi-stanti, estese da un bordo all’altro del coprioggetto edistribuite in modo uniforme sulla superficie del prepa-rato. Per ogni linea osservare un numero di campi mi-croscopici, distribuiti uniformemente lungo la linea, taleda totalizzare approssimativamente 100 GP. La distanzafra un campo e l’altro dipende dalla densità del prepara-to e dalla dimensione del campo; il numero di campiper ogni linea non deve comunque essere minore di 5.Se il preparato è particolarmente povero di pollini, puòessere necessario eseguire la conta con continuità lun-go l’intera linea ed eventualmente proseguire per altre5 linee parallele situate tra le prime cinque. Se la conta di 500 granuli non fosse sufficiente per l’inter-pretazione (spettri complessi, presenza di pollini iperrap-presentati, abbondanza di forme non nettarifere o altrecondizioni che possono mascherare la reale composizio-ne nettarifera del miele) proseguire la conta per altre 5 li-nee parallele situate tra le prime cinque. La Fig. 1 rappre-senta graficamente il metodo di conta descritto.Annotare tutti gli elementi figurati osservati, inclusi i gra-nuli non identificati o non identificabili e gli indicatori dimelata (IM)(4) . Ife multicellulari e agglomerati di spore o al-ghe devono essere contati come un singolo elemento.Eventuali granuli danneggiati, irregolari o abortiti, se identi-ficabili, devono essere attribuiti al rispettivo tipo pollinico. Annotare la presenza di altre componenti del sedimen-

Metodi per l’analisi microscopica del miele e della gelatina reale 135

(1) L’aggiunta di alcool etilico può consentire un migliore recupero di polline nel sedimento (Bryant e Jones, 2005). Per effettuare una stima del numero assoluto di elementi figurati (in alternativa all’analisi melissopalinologica quantitativa descritta al successivopunto 3), si può aggiungere, in questa fase della preparazione, uno standard interno costituito da un numero noto di particelle estranee alla com-posizione del miele, come le tavolette di spore di Lycopodium prodotte dalla Lund University, Department of Geology, Svezia (Stockmarr, 1971,1972; Moar, 1985). Nella fase di conteggio (punto 2.3.) si prende nota anche del numero di tali particelle e si risale, attraverso un calcolo pro-porzionale, al numero assoluto di elementi figurati nel miele.Nel caso di mieli ricchi in materiali cristallini che impediscono una buona osservazione al microscopio è consigliabile sciogliere il miele anziché conacqua con una soluzione diluita di acido solforico (5 ml H2SO4 in 1 litro di acqua distillata), ad esempio per i mieli di melata o castagno, o con solu-zione di idrossido di potassio o di sodio (100 g KOH in 1 litro di acqua distillata), ad esempio per i mieli di erica.

(2) Gelatina glicerinata secondo Kaiser; per valutare meglio i dettagli dello sporoderma la gelatina può essere eventualmente colorata aggiungendoin 10 ml di gelatina glicerinata fluidificata 0,5-1 ml di soluzione di fucsina basica (soluzione alcolica 0,1%).

(3) Se il preparato va conservato nel tempo, per evitare lo spandimento del colore, disegnare il quadrato sul retro del portaoggetto, ovvero su unsupporto esterno sul quale appoggiare il portaoggetto durante il trasferimento del sedimento. Per mieli con sedimento molto abbondante o molto scarso, questa superficie può risultare inadeguata per un’osservazione ottimale del prepara-to. In questi casi è possibile distribuire il sedimento su una superficie rispettivamente più grande o più piccola. In alternativa si può partire da unadiversa quantità di miele.

(4) Se gli IM appaiono abbondanti, può risultare più agevole omettere di annotarli e quantificarli in un conteggio separato nel quale vengono regi-strate 3 sole classi: IM, pollini di specie nettarifere e pollini di specie non nettarifere, fino a raggiungere un totale di 500 IM.

to, quali materiale granulare o cristallino, lieviti, impu-rezze, fuliggine, particelle di cera, granuli di amido, cor-puscoli di grasso e particelle vegetali.Se il sedimento contiene una percentuale elevata di unpolline iperrappresentato (ad esempio Castanea, Eu-calyptus o Myosotis), tale da coprire il contributo di altrespecie, può essere raccomandabile eseguire un secondoconteggio escludendo il polline iperrappresentato, peraccertare il ruolo delle altre componenti.Per completare l’inventario delle specie, alla fine dellaconta è opportuno effettuare un ulteriore esame com-plessivo del preparato, annotando l’eventuale presenzadi tipi pollinici non osservati nella fase della conta.

2.3. Calcolo, espressione ed interpretazionedei risultati

Per ogni tipo pollinico calcolare la percentuale rispetto altotale dei granuli contati, secondo la seguente formula:

dove:nP è il numero di granuli contati per quel tipo pollinico N è il numero totale di GP contatiEsprimere il risultato in numeri interi. I valori minoridell’1% e i taxa identificati al di fuori della conta si indica-no come “presenza”.I tipi pollinici sono indicati con il nome scientifico delgruppo botanico di appartenenza (specie, genere o fami-glia) solo nel caso in cui l’identificazione possa essere fat-ta con un sufficiente grado di sicurezza. Negli altri casinormalmente si aggiunge al nome scientifico un termine,come gruppo, forma o tipo, per indicare un raggruppamen-to tassonomico più ampio. Per lo studio dei mieli italianisi suggerisce tuttavia di adottare la nomenclatura riporta-ta in Appendice I.

2.3.1 Origine botanicaPer la determinazione dell’origine botanica del miele lepercentuali delle diverse forme devono essere calcolateescludendo dalla conta i pollini delle piante non nettarife-re. Se sono presenti pollini iperrappresentati e altre valu-tazioni (analisi sensoriale, analisi melissopalinologicaquantitativa) indicano che il nettare corrispondente nonè una componente importante del miele, ricalcolare lepercentuali escludendo anche questi pollini.Esprimere la frequenza degli IM come rapporto fra IM eGP delle sole specie nettarifere.La determinazione dell’origine botanica si basa sulle fre-quenze relative dei pollini delle specie nettarifere e degliIM. In generale si considera che un miele provenga princi-palmente da una determinata origine botanica (miele uni-florale) se il polline del taxon di riferimento è maggioredel 45%, e si considera che un miele provenga principal-mente da melata quando il rapporto IM/GP è maggiore

di 3. Tuttavia, a causa della diversa rappresentatività deipollini, unita a possibili fonti di variabilità, quali i fenomenidi arricchimento secondario, terziario e quaternario, lapercentuale di polline e il valore del rapporto IM/GPpossono variare grandemente, e l’interpretazione dei ri-sultati richiede quindi particolare cautela. In particolare, per la corretta diagnosi dei mieli unifloraliè necessario conoscere la rappresentatività della speciedi origine e tenere in considerazione anche il numero as-soluto di elementi figurati (vedi punto 3); è inoltre indi-spensabile valutare le altre caratteristiche del miele, sen-soriali e chimico-fisiche, riferendosi alla specifica biblio-grafia sulle caratteristiche delle varie tipologie di miele(Persano Oddo et al., 2000; Persano Oddo e Piro, 2004,Von der Ohe et al., 2004).

2.3.2 Origine geograficaLa determinazione dell’origine geografica si basa sullacompatibilità dell’intero spettro pollinico del miele inesame con la flora di un determinato areale e con spettridi riferimento già acquisiti o desumibili dalla bibliografia.

2.3.3 Altre informazioniDall’analisi qualitativa e quantitativa è possibile ricavarealtre informazioni sul prodotto e i processi subiti, qualifiltrazione, alcuni tipi di adulterazione, metodo di estra-zione, fermentazione, smielatura di favi con covata, conta-minazione con polvere, fuliggine, granuli di amido (Lou-veaux et al., 1978; Kerkvliet et al., 1995; Russmann, 1998).

2.4 PrecisioneI dati sulla ripetibilità e riproducibilità del metodo sonoricavati da prove interlaboratorio effettuate nell’ambitodella International Honey Commission, che hanno dato irisultati riportati nella tabella 1 (Von der Ohe et al.,2004).

Tabella 1 - Parametri di precisione del metodo melissopalinologicoqualitativo. r = ripetibilità; R = riproducibilità; RDSr% = deviazionestandard relativa di ripetibilità; RDSR% = deviazione standard relativadi riproducibilità.

136 I mieli regionali italiani

NnP

P100%

Conta su 500 GP Tipo pollinico Media (%) r R RSDr% RSDR% Cruciferae 74,1 6,5 7,5 3,1 3,6 Rosaceae 10,6 4,8 7,9 16,0 26,3 non nettarifere 7,2 4,2 4,6 20,6 22,6 Aesculus 2,1 1,6 2,2 26,9 37,0 Acer 1,4 1,0 2,1 25,3 53,0 Conta su 1000 GP Tipo pollinico Media (%) r R RSDr% RSDR% Cruciferae 74,3 5,6 6,9 2,7 3,3 Rosaceae 11,4 3,4 5,2 10,5 16,1 non nettarifere 7,0 2,7 3,8 13,6 19,2 Aesculus 2,2 1,0 1,4 16,1 22,5 Acer 1,4 1,0 1,8 25,3 45,5

La relazione fra percentuale e parametri di precisionesegue una curva logaritmica: la precisione è scarsa perfrequenze polliniche basse, e migliora notevolmente confrequenze più elevate. Contando 1000 GP anziché 500,la precisione aumenta, ma per le frequenze pollinichebasse rimane comunque insoddisfacente. Le differenzefra r e R sono relativamente piccole, mostrando che lacomponente ‘umana’ è meno importante di quanto siconsideri abitualmente.

3. Miele - Analisi melissopalinologicaquantitativa

3.1.Allestimento del preparatoPesare in un beker circa 10 g di miele, annotando ilpeso alla prima cifra decimale, e scioglierli in circa 40ml di acqua distillata a temperatura non maggiore di40° C (per visualizzare più facilmente i pollini da con-tare si possono aggiungere alcune gocce di soluzionealcolica di fucsina basica). Allestire un sistema di filtra-zione sottovuoto per membrane filtranti, montarvi ilfiltro(5), bagnarlo versandovi un po’ di acqua distillata equindi versare la soluzione di miele. Sciacquare piùvolte il beker e le pareti interne dell’imbuto di filtra-zione con piccole quantità d’acqua distillata. Rimuove-re il filtro dall’apparecchiatura, servendosi di pinzettea punta piatta, e porlo ad asciugare sulla piastra riscal-dante a circa 40°C, fino a completo essiccamento (serimane dell’umidità il filtro non diviene trasparente enon è leggibile). Preparare un vetrino con alcune goc-ce di olio da immersione per microscopia, deporvi ilfiltro e aggiungere sul filtro 1 o 2 gocce di olio da im-mersione per renderlo trasparente. Coprire con uncoprioggetto di dimensioni adeguate.

3.2. Conta degli elementi del sedimentoSi esegue l’osservazione al microscopio utilizzando l’in-grandimento più idoneo, in modo da avere nel campomicroscopico 10-20 elementi figurati. È necessario ese-guire la conta su almeno 100 campi microscopici. Peresaminare uniformemente l’intera superficie utile del fil-tro, si distribuiscono i campi di osservazione proceden-do lungo 10 linee parallele ed equidistanti, estese da unestremo all’altro dell’area del filtro e distribuite in mo-do uniforme sulla superficie del preparato. Spostandosida un campo al successivo è consigliabile non guardarenel microscopio per evitare un’involontaria scelta delcampo.Se il preparato è povero di elementi figurati (meno di10 per campo anche all’ingrandimento minore), può es-sere necessario proseguire lungo altre 10 linee parallele

situate tra le prime 10, fino a raggiungere un totale dialmeno 500 elementi figurati (GP+IM). Se il preparato èeccessivamente ricco e non consente una lettura age-vole, può essere consigliabile ripetere la preparazionecon una quantità minore di miele.Contare separatamente tutti i GP e gli IM presenti.

3.3 Calcolo, espressione ed interpretazione deirisultati

Per il calcolo del numero assoluto di elementi figurati (N)è necessario preventivamente calcolare l’esatta superficiedella parte utile del filtro (S) e del campo microscopicoall’ingrandimento utilizzato (s). Quest’ultimo può esseremisurato servendosi di un micrometro oggetto.Il calcolo del numero assoluto di granuli pollinici in 10 gdi miele (GP/10g) e del numero assoluto di elementi in-dicatori di melata in 10 g di miele (IM/10g) si effettuautilizzando le seguenti formule:

dove:S è la superficie della parte utile del filtro in mm2

s è la superficie di un campo ottico in mm2

nGP è il numero totale di granuli pollinici contatinIM è il numero totale di IM contatia è il numero di campi esaminatip è il peso del miele in g

Il calcolo del numero assoluto di elementi figurati in10g di miele (N/10g) si effettua sommando i risultatidelle formule (1) e (2).A seconda del numero totale di elementi figurati si di-stinguono 5 classi di miele:- classe I: N/10g ≤ 20 . 103. Comprende i mieli unifloraliprovenienti da specie a polline iporappresentato.

- classe II: N/10g compreso fra 20 e 100 . 103. Compren-de la maggior parte dei mieli di nettare o misti di net-tare e di melata.

- classe III: N/10g compreso fra 100 e 500 . 103. Com-prende i mieli con polline iperrappresentato e i mielidi melata.

- classe IV: N/10g compreso fra 500 e 1.000 . 103. Com-prende i mieli fortemente iperrappresentati e una par-te dei mieli di pressatura.

- classe V: N/10g > 1.000 . 103. Comprende solo mieli dipressatura.

Metodi per l’analisi microscopica del miele e della gelatina reale 137

(5) Le membrane filtranti, in esteri misti di cellulosa, devono avere porosità di 1-3 e diametro adeguato all’apparecchio da filtrazione, normalmente25 o 47 mm; se si usa un filtro di 47 mm di diametro, per il montaggio è necessario tagliarlo in due parti da montare su vetrini separati, con co-prioggetti di dimmensioni adeguate.

GP/10g = pas10nS GP

IM/10g = pas10nS IM

(1)

(2)

pLycopodiumLycopodiumGPGP

contati

totalicontatig

1010

Il preparato ha una maggiore protezione dall’umidità edalle muffe e si conserva più a lungo se opportunamen-te sigillato con paraffina per preparazioni istologiche oaltro mezzo lutante.

5. Analisi pollinica della gelatina reale

5.1. Analisi qualitativaIl metodo è basato sui lavori di Ricciardelli D’Albore eBattaglini (1978) e Von der Ohe et al. (2004). Pesare 1,0 g di GR in una provetta da centrifuga da 50ml a fondo conico, aggiungere 10 ml di KOH 1% e scio-gliere mescolando accuratamente (vortex); centrifugarela soluzione per 10’ a 1000 xg e aspirare il surnatantecon una pipetta Pasteur collegata ad una pompa; aggiun-gere 10 ml di acqua distillata, mescolare accuratamente(vortex) e riempire la provetta con altra acqua distillatafino ad un volume complessivo di circa 45 ml; centrifu-gare ancora per 10’ a 1000 xg e decantare il liquidosurnatante lasciando sgocciolare la provetta su carta dafiltro.Procedere quindi come per la preparazione del miele(punto 2.1.), con la sola differenza che la superficie dadisegnare sul vetrino, e sulla quale distribuire il sedi-mento, deve essere minore (10 x 10mm). Per il conteg-gio dei granuli pollinici procedere seguendo la matriceillustrata nella Fig. 1. Contare almeno 500 GP e calcola-re, per ogni tipo pollinico, la percentuale rispetto al to-tale dei granuli contati (vedi formula al punto 2.3.).

5.2. Analisi quantitativaIl metodo è lo stesso usato per l’analisi qualitativa, conl’aggiunta, dopo la pesata della GR, di una tavoletta di spo-re di Lycopodium (prodotte dalla Lund University, Depart-ment of Geology, Svezia), che contengono un numero no-to di spore (Stockmarr, 1971, 1972; Moar, 1985).Contare le spore di Lycopodium e i GP, procedendo lun-go 5 linee parallele ed equidistanti, in modo da esplora-re uniformemente la superficie del quadrato 10 x 10mm (contare almeno500 spore).Per calcolare il numero assoluto di GP in 10g di GR(GP/10g), si applica la formula seguente:

dove:GP10g è il numero assoluto di GP in 10g di GR GPcontati è il numero di GP contati nel preparatoLycopodiumtotali è il numero medio di spore di Lyco-

podium contenuto nella tavoletta (in-dicato nella confezione)

Lycopodiumcontati è il numero di spore di Lycopodiumcontate nel preparato

p è il peso della GR in grammiPer l’affidabilità del risultato è opportuno che il rapporto

3.4 Precisione I dati sulla ripetibilità e riproducibilità del metodo so-no ricavati da prove interlaboratorio effettuate nel-l’ambito dell’International Honey Commission, chehanno dato i risultati riportati nella tabella seguente(Von der Ohe et al., 2004).

Tabella 2 - Parametri di precisione del metodo melissopali-nologico quantitativo. r = ripetibilità; R = riproducibilità;RDSr% = deviazione standard relativa di ripetibilità; RDSR%= deviazione standard relativa di riproducibilità.

4. Preparazione della collezione di pollini diriferimento (palinoteca)

Per acquisire l’esperienza necessaria all’identificazione del-le forme polliniche si ricorre alla bibliografia specializzatae ad una collezione di riferimento (palinoteca) costituitada preparati microscopici di pollini prelevati da piantecorrettamente classificate dal punto di vista botanico. Lapreparazione microscopica può essere eseguita partendodal fiore fresco o dalla pianta secca. Poiché i preparatitendono ad alterarsi nel corso del tempo, occorre rinno-vare la collezione con periodicità di alcuni anni.

4.1 Allestimento dei preparati microscopici dipolline

Lavare le antere o i fiori interi (se piccoli) in un vetroda orologio con etere etilico sotto cappa aspirante. Eli-minare eventuali residui vegetali con l’aiuto di un ido-neo mezzo (pinzetta, ago manicato, ansa, ecc.), decanta-re l’etere in eccesso e lasciare evaporare l’etere resi-duo. Riprendere il polline rimasto sul fondo del vetroda orologio con una goccia di soluzione di fruttosio (20g di fruttosio + 0,5 g di acido fenico in 100 ml d’acquadistillata, filtrata prima dell’uso) e trasferire la sospen-sione su un vetrino portaoggetto mediante una pipettaPasteur monouso. Lasciare asciugare su piastra riscal-dante a calore moderato (non più di 40 ° C) e coprirecon un vetrino coprioggetto sul quale sia stata postauna goccia di gelatina glicerinata precedentemente flui-dificata sulla piastra riscaldante a circa 40°C. Per unamigliore osservazione dei dettagli dello sporoderma sipuò utilizzare gelatina glicerinata colorata con fucsina(poiché i pollini hanno una diversa affinità per la fucsina,può essere opportuno predisporre diverse preparazionidi gelatina glicerinata con differenti aggiunte di soluzio-ne di fucsina: da 0,5 ml a 1,5 ml per 10 ml di gelatina gli-cerinata, da utilizzare secondo le necessità e in base al-l’esperienza).

138 I mieli regionali italiani

p

Livello Media (N/10g · 103) r R RSDr% RSDR%

1 9,5 3,2 8,0 12,0 29,8 2 24,6 10,9 22,5 15,7 32,4 3 143,8 27,0 78,3 6,6 19,3

pollini/spore sia compreso fra 0,5 e 2. Se il campione è pove-ro di polline (<50.000/10g) o molto ricco (>400.000/10g)può essere consigliabile effettuare una seconda preparazionepesando una appropriata quantità di GR.È possibile eseguire l’analisi qualitativa e quantitativasullo stesso preparato, ma la presenza delle spore po-trebbe rendere più difficoltoso l’esame dei pollini (chenella GR sono spesso deformati).

5.3. PrecisionePer entrambi i metodi sono stati condotti test di ripetibilitài cui risultati, riportati nella tabella seguente, sono analoghi aquelli ottenuti per il miele (per l’analisi qualitativa, anche inquesto caso la precisione è scarsa con frequenze pollinichebasse, e migliora notevolmente con frequenze più elevate).

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Tabella 3 - Parametri di precisione del metodo di analisi pollinica quali-tativa e quantitativa della GR.r = ripetibilità; RDSr% = deviazione standard relativa di ripetibilità.

Metodi per l’analisi microscopica del miele e della gelatina reale 139

Analisi qualitativa Tipo pollinico Media (%) dev. st. r RSDr%

Hedera 2,2 0,9 2,5 41,8 Trifolium pratense 6,5 1,6 4,4 24,3 Umbelliferae 9,9 1,9 5,3 19,3 Amaranth./Chenop. 21,4 2,1 5,9 9,9 Echium 56,0 3,4 9,5 6,1 Analisi quantitativa

Livello Media (N/10g · 103) dev. st. r RSDr%

1 58,3 5,9 16,3 10,1 2 94,5 9,0 24,9 9,5 3 520,4 71,5 198,1 13,7

RINGRAZIAMENTI

Quest’opera collettiva si è avvalsa, oltre che della collaborazione degli autori dei diversi capitoli, anche del contributo di molti

colleghi e amici che hanno partecipato al reperimento delle campionature, revisionato alcune parti, fornito pareri e informa-

zioni non reperibili in bibliografia. A tutti va il nostro ringraziamento più sentito.

In particolare, desideriamo ringraziare Giovanni Mughini del C.R.A. - Istituto di Sperimentazione per la Pioppicoltura, per le

utilissime informazioni sulla distribuzione degli eucalipti in Italia; Vincenzo Panettieri dell’APAU per la revisione del capitolo sul-

l’Umbria; Enzo Santeusanio della Cooperativa Apistica Abruzzese per la revisione del capitolo sull’Abruzzo; l’ARSSA Calabria

(Agenzia Regionale per lo Sviluppo e per i Servizi in Agricoltura, Cosenza) per il contributo alla redazione della parte vegeta-

zionale della Calabria.

Tipografia Agnesotti - ViterboPrima edizione settembre 2007

Ristampa a cura di Piana Ricerca e Consulenza srl - marzo 2013