I fondamenti semantici della catalogazione per soggetto.

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ALBERTO PETRUCCIANI I FONDAMENTI SEMANTICI DELLA CATALOGAZIONE PER SOGGETTO Estratto dalla Rivista ACCADEMIE E BIBLIOTECHE D'ITALIA Anno L - N. 3 - 1982 ROMA FRATELLI PALOMBI EDITORI 1982

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A L B E R T O P E T R U C C I A N I

I FONDAMENTI SEMANTICI DELLA CATALOGAZIONE PER SOGGETTO

Estratto dalla Rivista ACCADEMIE E BIBLIOTECHE D'ITALIA

Anno L - N. 3 - 1982

R O M A F R A T E L L I PALOMBI E D I T O R I

1982

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I FONDAMENTI SEMANTICI DELLA CATALOGAZIONE PER SOGGETTO

A natura dell'indice catalografico è oscura. Per molto tempo lo si è cre­duto un'essenza nascosta nel documento che qualche alchimia appresa

I con lungo tirocinio avrebbe dovuto permettere d i estrarre; più tardi ci si è accorti che « anybody can write anything about anything, and

any reader in the future can use i t for anything else » .̂ Si è cercato i m punto d i appiglio i n qualcosa d i esterno al documento, nel contesto della scrittura e della lettura e quindi della comunicazione in generale, pro­ponendosi d i collocare i l discorso rispetto all'intenzione dell'autore, o all ' in­teresse del lettore, al suo referente come insieme delle cose d i cui si parla, al suo codice come inventario dei discorsi istituzionalizzati, o alle forme d i presentazione, d i organizzazione, d i circolazione^. M a queste sono soltanto le ipotesi della semiosi illimitata cui si ricorre, dalla parte dell'autore e da quella del lettore, per trovare un punto d i incontro nella comunicazione. L'indice è una ipotesi d i incontro, che viene avanzata e corretta da ambo le parti , e non un attributo d i uno dei termini della relazione: l'autore simbolizza le sue ipotesi nel titolo o nell'evidenziazione d i termini e concetti chiave, i l lettore nella formulazione d i interessi e campi d i ricerca. Tra queste due simbolizza­zioni si è inserita, come i n tanti altr i ambiti , ima mediazione professionale, quella del bibliotecario, che ha guidato i l lettore verso i l libro « giusto » e ora, con la disseminazione selettiva dell'informazione, guida i l libro verso i l let­tore che si presume interessato ad esso. La mediazione bibliotecaria, prima personale e ad hoc, è divenuta preordinata e programmata, e si è oggettivata nei cataloghi, strutture simboliche che collegano un mondo d i possibili inte­ressi con una raccolta d i documenti tramite un vocabolario preparato in anti­cipo (anche nei sistemi cosiddetti postcoordinati) sulla consultazione. Le strut­ture catalografiche precostituite permettono solo una interazione canaHz-zata dove le domande e le risposte sono simbolizzate da una medesima

(1) R. A. FAIRTHOBNE, Content andysis, specification, and control, « Annual review of information science and technology » 4 (1969), p. 84.

(2) Cfr. A. SERRAI, Indici, logica e linguaggio, Roma 1974; ID. , Per una più rigorosa definizione delle relazioni di pertinenza e di indice, in: Studi di biblioteconomia e di storia del libro in onore di F. Barberi, Roma 1976, pp. 537-43; ID. , Guida àUa biblioteconomìa, Firenze 1981, p. 97.

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intestazione: tramite essa i l bibliotecario ha espresso l'offerta documenta­ria e tramite essa i l lettore deve formulare i l suo bisogno. Venendo a man­care un continuo raffronto con le simbolizzazioni operate dal lettore e dal­l'autore, l'indice si ipostatizza apparendo come specchio del documento. A garantire la sua congruenza e adeguatezza interviene, in assenza dei terzi esterni che sono lo scrittore e l'utente, un terzo interno, un sistema d i pro­cedure e d i n o f t ^ e . La soddisfazione d i questo o d i quell'utente non basta più quale criterio d i valutazione d i una struttura d i mediazione complessa come i l catalogo d i una grande biblioteca; la biblioteconomia stessa deve assumersi la responsabilità d i garante della rappresentazione indicale nel suo complesso, essendo in grado d i coglierne tutte le interrelazioni. All'utente spetta i l ruolo d i giudice dei risultati, alla biblioteconomia i l compito d i pro­gettare e costruire strutture d i rappresentanza catalografica coerenti, organi­che ed efficaci.

Le classificazioni si basano ordinariamente, almeno ai l ivel l i più generaU, su una ripartizione del campo documentario (opere generali, d i filosofia, d i diritto, ecc.). Nelle suddivisioni più dettagliate, come nelle classificazioni spe­cializzate, l'ordine sembra concernere invece le cose d i cui si parla. E' noto che questo cambiamento d i prospettiva dà luogo a soluzioni contraddittorie: una effettiva inclusione tra classi d i documenti viene espressa da una inesi­stente subordinazione tra classi d i oggetti^. Nelle applicazioni al campo do­cumentario del calcolo logico delle classi (p. es. tramite gl i operatori dell'al­gebra booleana) si sono costantemente confuse le classi d i documenti e le classi d i cose, per tacere delle classi d i registrazioni catalografiche che inclu­dono, per le ragioni più varie, una certa parola*. Se escludiamo la classe dei russi da quella dei romanzieri otteniamo i romanzieri non russi, mentre se escludiamo dalle opere sui romanzieri quelle che trattano d i romanzieri russi non otteniamo la classe delle opere sui romanzieri non russi, per l'ovvia ra­gione che, mentre non esistono romanzieri a un tempo russi e non russi, non mancano certamente opere che trattino degli uni come degli altri . Al lo stesso modo l'intersezione tra la classe delle opere che trattano d i poeti e quella delle opere sui critici letterari non ci può dare le opere che trattano dei crit ici che sono anche poeti. Confusioni a parte, la manipolazione d i classi d i oggetti o d i documenti non funziona quando sono in causa individui o con­cetti non d i classe, o quando ci interessano i rapporti tra due oggetti o due eventi. L'intersezione tra la classe i l cui unico elemento è Shakespeare e

(3) G. VLODUTZ, Problemi di compatibilità fra thesaurus e classificazione nella ricerca documentaria, in: Politica della documentazione a c. di M. Salimei e G. V., Roma 1978, pp. 97-110 (p. 109).

(4) G. BooLE, The mathematìcal analysis of logie, London 1847 (tr. it. Milano 1965); ID. , An investigation of the laws of thought, London 1854 (tr. it. Torino 1976); R. A. FAIRTHOBNE, Towards information retrieval, London 1961, cap. 1, 5 e 12; Y. B A R - H I L L E L , A logician's reaction to recent theorìzing on information search systems, « American do-cumentation» 7 (1957), pp. 103-13.

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quella i l cui unico elemento è Bacone (oppure quella tra giacobini e girondini) è, secondo le credenze attuali, vuota, mentre l'intersezione tra le rispettive classi d i documenti include tutte le opere che trattano dell'uno o dell'altro oggetto i n maniera del tutto indipendente. Anche adottando complicate i n ­dicizzazioni multiple od analoghi accorgimenti i l trattamento in termini d i classi è insufficiente per esprimere lo sfaccettamento degli oggetti d i studio e l'organizzazione dei discorsi, cosi come, a fortiori, l'intreccio d i questi due piani. ' - ^ J ^ ^ ^ ' C '!••;>-••:• • . -•

L'indice appare come espressione d i una relazione a due termini nelle ricerche semantiche sulla circalità (aboutness) degli enunciati o dei discorsi: La relazione collega questi alle cose d i cui in essi si parla. Tale impostazione ha i l pregio d i delimitare l'ambito dell'indicizzazione semantica delle opere tematiche o saggistiche, ossia ai discorsi che hanno un referente non fittizio^. Mentre la struttura dei cataloghi sistematici è impostata sull'indice come clas­se, la struttura dei cataloghi alfabetici rispecchia la concezione relazionale dell'indice: i l vocabolario delle intestazioni è composto da nomi d i entità con le quali i discorsi contenuti nei documenti intrattengono una qualche rela­zione. Nel catalogo per autore si tratta della relazione d i paternità, d i author-ship; la stessa intestazione personale, distinta da artifici grafici o inserita in un separato ordine alfabetico, può figurare nel catalogo per soggetto. Già nel catalogo per autore la relazione tra l'opera descritta e la persona designata dall'intestazione non è costante come si vorrebbe far credere: i l nome può designare una persona che intrattiene una relazione più debole (compilazione, raccolta, cura) o nessuna relazione reale (apocrifi), oppure un gruppo d i per­sone specificate o specificabili che intrattiene la relazione d i paternità solo collettivamente, o ancora un ente la cui relazione con l'opera è forse altret­tanto stretta ma differente, poiché l'atto registrato nel documento è i l risul­tato d i un processo istituzionale d i formazione della volontà.

Nel campo dell'indicizzazione semantica le relazioni sono più complesse perché richiedono la generalizzazione d i rapporti semantici più sfuggenti dei rapporti fattuali, in linea d i principio accertabili, tra lo scrittore e i l suo testo. Nel campo della catalogazione per autore l'alternativa è tra la garanzia og­gettiva del fatto accertato e la garanzia soggettiva della credenza diffusa, e magari testimoniata dall'uso editoriale; nel campo della catalogazione seman­tica l'alternativa è tra una garanzia estensionale, data dall'enumerazione delle cose d i cui si parla, e una garanzia intensionale, ricercata nell'aderenza ai si­gnificati che i l discorso convoglia. :„ -, . , ' .

(5) H. PuTNAM, Formalization of the concept « about », « Philosophy of science » 25 (1958), pp. 125-30; N . GOODMAN, About, « Mind » 70 (1961), pp. 1-24; per le implica­zioni bibliografiche cfr. R. A . FAIBTHORNE, art. cit., pp. 78 sgg., e A . SERBAI, Del catalogo alfabetico per soggetti, Roma 1979, pp. 85-94. La soluzione goodmaniana, estensionale, non consente di trattare la circalità di concetti, mentre la soluzione intensionale alterna­tivamente proposta riduce la relazione a un predicato monadico che non distingue il di­scorso astratto dal discorso di finzione.

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: R i p r e n d e n d o la metafora del sapere scientifico proposta da C. G. Hempel, possiamo rappresentarci i discorsi come reti che fluttuano, ancorate i n più punti alla realtà: l'immagine vale per una teoria scientifica come per una ipo­tesi storiografica, per l'interpretazione d i un'opera letteraria come per un re­portage d i viaggio ®. Le reti stesse, costruite e documentate, entrano a far parte della realtà come un particolare tipo d i fat t i , i fat t i d i discorso, cui vengono ad ancorarsi altre reti d i livello superiore. La tesi estensionale e quella inten­sionale, se sviluppate con rigore, conducono a scelte metodologiche che diver­gono i n direzioni opposte. La tesi estensionale prospetta l'elusione della com­plessità delle reti d i significati tramite un inventario d i cose o una mappa che permetta d i ridurre i discorsi ai loro agganci al reale, alle funi della metafora hempeliana. I l linguaggio d'indicizzazione avrebbe uno status semantico infe­riore a quello del linguaggio dei documenti, ed è quindi presupposta la pos­sibilità d i una riduzione (limitativa ma anche positivamente selettiva) dei d i ­scorsi alla loro componente referenziale o fattuale. Possiamo parlare d i una riduzione empiristica perché essa esibisce i tratt i caratteristici dei programmi del Circolo d i Vienna e dell'empirismo logico: costruzione d i un linguaggio elementare unico, riduzione ad esso dei costruttori astratti, eliminazione d i ciò che non ammette la riduzione stessa come insensato o quanto meno non per­tinente.

La contrapposizione tra indicizzazione dell'informazione e indicizzazione del discorso può essere interpretata in questa chiave. Qualsiasi componente o aspetto d i un discorso, dai fat t i alle ipotesi e conclusioni che se ne trag­gono dalla metodologia alla forma d i presentazione, può essere oggetto d i interesse e costituire quindi una informazione cercata. Trattare i l discorso significa cercare d i render conto sinteticamente d i tu t t i questi piani e dei loro intrecci consolidati o soltanto usuali; trattare l'informazione non può signifi­care agganciare la propria rete ad ogni maglia d i quelle documentate, perché ciò che si propone non è una moltiplicazione d i entità ma una semplificazione radicale. Dal punto di vista semantico la tesi estensionale consiste nella scelta d i un linguaggio che enumeri le cose d i cui si parla, ciò su cui l'autore forni­sce e i l lettore ricerca informazione, in termini i l più possibile neutri, che non sfaccettino l'oggetto secondo una prospettiva d i interesse e non lo inquadrino i n un corpo d i conoscenze o in una particolare concezione del mondo. Sul piano terminologico ciò significa ricorrere in primo luogo al vocabolario dei nomi propri, e successivamente a termini che abbiano una estensione salda­mente delimitata e su cui non pesino eccessive presupposizioni intensionali (eventi identificabili tramite riferimenti spazio-temporali^ specie naturali, so­stanze, artefatti).

La tesi intensionale richiede invece un ampliamento dei l ivel l i semantici

(6) Fundamentals of concept formation in empirical science, Chicago 1952 (tr. it., La formazione dei concetti e delle teorie nella scienza empìrica, Milano 1961, pp. 46-47).

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del sistema d'indicizzazione: i l linguaggio d'indicizzazione deve essere un metalinguaggio semantico o comunque un linguaggio d i livello superiore, che assuma a proprio oggetto i discorsi contenuti nei documenti e renda conto d i ciò che con essi e in essi si vuol dire ''. Questa soluzione presuppone un inven­tario dei discorsi, e più in dettaglio dei significati, invece che una mappa del mondo degli oggetti; in questa prospettiva si sono spesso espresse le difiìdenze verso le soluzioni riduzioniste e le aspirazioni a una « scienza del sapere sociale ».

L'indicizzazione fondata sull'oggetto è proponibile ogni volta che esso sia individualmente specificabile e degno d'interesse: ordinariamente soddisfano queste condizioni le persone, alcuni rari artefatti, i luoghi e gli eventi più r i ­levanti®. I n logica e in semantica sono state proposte distinzioni che coinvol­gono una ripartizione tra componenti primariamente designative o predicative del discorso, opponendo per esempio gl i oggetti e i concetti (Frege), i termini singolari e i termini generali ( M i l l , Quine), i soggetti e i predicati (Geach, Strawson), i particolari e gli universali (Russell, Goodman, ancora Strawson)®. Qui conviene prendere come punto d i partenza i l riferimento, inteso come atto intenzionale compiuto con le parole e non da esse, e perciò distinto dalla oggettiva denotazione o estensione Facciamo riferimento quando introdu­ciamo nel discorso un oggetto tramite una qualsiasi espressione che consenta, nel contesto, d i individuarlo; a questo fine sono equivalenti anche espressioni non sinonime in quanto consentono d i comprendere ciò che dell'oggetto, e non del termine che lo introduce, si dice. I l riferimento può riuscire anche quando è compiuto mediante espressioni d i per sé non identificanti (come non lo sono i nomi d i persona) oppure non confacenti all'oggetto (una descri­zione errata^ un nome storpiato). Mentre la conoscenza dei sinonimi rientra nella competenza linguistica, la conoscenza d i espressioni referenziali equiva­lenti richiede conoscenze sul mondo delle persone e delle cose, al fine d i ind i -

(7) Cfr. A . TARSKI , The semantic conception of tmih, « Philosophy and phenome-nological research» 4 (1944), pp. 341-76.

(8) La distinzione fra i livelli semantici dell'oggetto, del concetto e del discorso nell'indicizzazione, su cui si fonda la discussione che segue, si deve ad A . SERRAI, Del catalogo alfabetico..., cit., pp. 56-76.

(9) G . F R E G E , tJber Begrìff una Qegenstand, « Vierteljahrsschrift fiir wissenschaft-liche Philosophie» 16 (1892), pp. 192-205 (tr. it. in Aritmetica e logica, Torino 1948, pp. 191-209); I . S. M I L L , A system of logie (1843), libro I, cap. I I , § 3 ; W . V . QUINE, Word and object, Cambridge (Mass.) 1960, pp. 80 sgg. (tr. it. Milano 1970, pp. 115 sgg.); P. T. G E A C H , Subject and predicate, « Mind » 5 9 (1950), pp. 461-82; P. F . STRAWSON, Subject and predicate in logie and grammar, London 1974; B. R U S S E L L , On the relation of uni-•'^"•rsals and particulars (1911), in Logic and knowledge, London 1956 (tr. it. Milano 1961. pp. 9-36); F . P. RAMSEY, Universals (1925), in The foundatìons of mathematics, London 1931 (tr. it. Milano 1964, pp. 129-51); N. GOODMAN, A world of individuals, in The pro-blem of universals, Notre Dame (Ind.) 1956, pp. 13-31; P. F . STRAWSON, Individuals, London 1959 (tr. it. Milano 1978).

(10) P. F . STRAWSON, On referring, «Mind» 5 9 (1950), pp. 320-44; K. DONNELLAN, Rèference and definite descriptions, « Philosophical review » '75 (1966), pp. 281-304; L . LmsKY, Referring, London 1967; J. R . S E A R L E , Speech acts, London 1969, cap. IV; G . WILSON, On definite and indefinite descriptions, « Philosophical review » 8 7 (1978), pp. 48-76.

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viduare l'oggetto in rapporto al sapere comune tra gli interlocutori. I l r i feri­mento presuppone la conoscenza d i qualche fatto empirico, d i qualche fatto che può appartenere alla storia o alla cronaca (Strawson), ovvero, nei termini d i Russell, una « knowledge by acquaintance »

Lo strumento principale del riferimento sono i nomi propri, nel loro uso ordinario d i designazione che presuppone, pragmaticamente, una conoscenza anche superficiale dell'oggetto nominato. Essi non hanno contenuto descrittivo (anche se possono fornire indizi informativi) e sembrano quindi introdurre l'oggetto in maniera priva da presupposizioni di senso: «si potrebbe dire che ci si riferisca alla cosa stessa, e non semplicemente alla cosa nella misura in cui cade sotto una certa descrizione » I nomi propri si prestano quindi nella maniera migliore a un'indicizzazione estensionale intersoggettivamente efficace. Intorno ad essi però si vengono a coagulare delle presupposizioni general­mente condivise, le quali rendono possibili delle asserzioni negative d i esi­stenza che sembrano includere i l riferimento a un oggetto che si dichiara insussistente (« Omero non è mai esistito ») Per le presupposizioni d i senso che v i si associano, i nomi propri come nomi d i qualcuno divengono passibili d i uso intensionale, quali « concetti individuali » Nelle classificazioni ge­rarchiche, per esempio, i nomi propri d i personaggi e autori famosi vengono assunti « in intensione » (anche se in una intensione vaga e rivedibile) poiché figurano come termini subordinati ad altri , come suddivisioni tassonomiche: i l numero 822.33 della classificazione Dewey indica Shakespeare in quanto scrittore, inglese, drammatico, del periodo elisabettiano. Ogni volta che un individuo è incluso in una classe, anche attraverso i rinvìi dal concetto al­l'esempio previsti da Cutter, egli figura come concetto individuale, ordinato secondo certe caratteristiche: la revisione d i alcuni fat t i presupposti (p. es. uno spostamento d i datazione) modifica la sua posizione nell'ordine sistema­tico. Questa dipendenza dell'uso del nome proprio da presupposizioni sull'og­getto è anche più evidente quando riconduciamo a una persona, nella intesta­zione, un suo atto o una sua opera. Nel campo letterario una persona figrua i n catalogo principalmente come autore d i certe opere d i cui la critica tratta, cioè come denotato presunto d i una descrizione: l'indicizzazione travalica i l riferimento neutro.

(11) P. F . STRAWSON, Individuds, cit., p. 185 (tr. it., p. 151); B. R U S S E H , Knofledge by acquaintance and knowledge by descrìption (1911), in Mysticism and logtc, London 1918 (tr. it. Milano 1964, pp. 262-89).

(12) K . DONNELLAN, art. cit., p. 303. Cfr. I . S. M I L L , op. cit., cap. I I , 5 5; E . H U S S E R L , Logische Untersuchungen, 3» ed., Halle 1922 (tr. it. Milano 1968, v. ÌI, pp. 90 sgg.); I . XENAKIS, The logie of proper names, « Methodos » 7 (1959), pp. 13-24; J. R . SEARLE, Proper names, « Mind » 67 (1958), pp. 166-73; K. DONNELLAN, Proper names and identi-fying descriptions, « Synthese » 21 (1970), pp. 335-58; P. F . STRAWSON, Subject and pre­dicate..., cit., pp. 41 sgg.; L . I . COHEN, The individuation of proper names, in: Philoso­phical subjects, Oxford 1980, pp. 140-63.

(13) L . WITTGENSTEIN, Philosophische Untersuchungen, Oxford 1953, § 79 (tr. it. To­rino 1967, pp. 52 sgg.); I . R . S E A R L E , art. cit.

(14) R . CARNAP, Meanìng and necessìty, 2" ed., Chicago 1956, p. 41 e passim (tr. it. Firenze 1976, p. 70).

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La distinzione tra usi referenziali e usi predicativi o attributivi delle espressioni denotative è d i importanza centrale per i problemi dell'indicizza­zione: la tesi estensionale presuppone infatt i un modello d i indice puramente referenziale che non rende pienamente conto nemmeno dell'uso effettivo dei nomi propri. Questo, inoltre, è soggetto a stipulazioni o «battesimi» che de­vono estendersi a una cerchia d i interlocutori, e perciò la attribuzione dei nomi è soggetta a scelta d i rilevanza, limitandosi ad alcuni t i p i d i oggetti relativa­mente permanenti, reidentificabili e degni d'interesse; a questi, nel discorso ordinario come nella rappresentanza indicale, si riconducono oggetti o eventi dipendenti o secondari che mancano d i nomi propri o che vengono meglio individuati in rapporto ad altri (p. es. le opere letterarie rispetto ai loro au­tori) A questi oggetti dipendenti o secondari facciamo riferimento tramite una descrizione agganciata al nome del particolare più efficace per l ' indivi ­duazione: parliamo delle commedie d i Shakespeare e della battagUa d i Canne, della stele d i Rosetta e della fauna del Gran Paradiso, dei viaggi del capitano Cook e delle fontane d i Roma. I particolari dipendenti sono unit i al partico­lare indipendente da un legame attributivo soggetto ad accertamento storico; i cataloghi classificati dipendono anche più profondamente da queste presup­posizioni, col risultato di presentare gl i oggetti già sfaccettati secondo una certa prospettiva e d i richiedere che l'utente condivida le conoscenze e le inter­pretazioni inscritte nell'ordine sistematico. I l relativ index è meramente alter­nativo: non perfeziona la struttura bensì consente d i fare a meno d i essa.

La designazione del particolare dipendente è duplice, poiché al legame attributivo con i l particolare si affianca i l legame esemplificativo con la classe indicata dal nome comune (battaglie, cattedrali, ecc.). Nella alternativa la prescrizione cutteriana secondo la quale « individuals should not be divided » ha soprattutto una efficacia intuitiva: molto spesso siamo costretti a dividere un particolare a favore d i un altro. Per precisarla bisogna distinguere i legami propriamente attributivi da quelli part i t ivi e da quelli relazionali così come dalle soluzioni d i comodo. Supponiamo che i l legame presupposto venga smen­tito: la mutata attribuzione d i una opera letteraria, per esempio, ha conse­guenze che non ha la mutata localizzazione d i una famosa battaglia. La voce catalografica deve rispecchiare i legami semanticamente significativi, presen­tando le articolazioni interne e quelle relazionali d i un oggetto; anche se è sempre consigliabile che le soluzioni esteriori rispecchino la struttura dell'or­ganizzazione catalografica, bisogna guardarsi dal confondere problemi seman­tic i e problemi semplicemente alfabetici, risolubili con un rinvio puramente strumentale. ^ _

Riconducendo alcuni t i p i d i particolari ad altri concentriamo i l nostro inventario degli oggetti ma rimaniamo su un medesimo piano semantico. Riduciamo invece i l ivell i semantici quando riconduciamo sotto un oggetto.

(15) P. F . STRAWSON, Individuals, cit., pp. 170 e 210 (tr. it., pp. 139 e 171).

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accanto ai discorsi che direttamente ne trattano, quelU che prendono a oggetto questi u h i m i : oggetto d i una storia della critica, p. es., sono determinati d i ­scorsi critici che condividono, in seconda istanza, un medesimo oggetto (lo scrittore considerato).

L'indicizzazione per oggetti ci impegna ad un certo inventario del mondo, al quale riconduciamo discorsi veri o falsi che ne trattano e perfino discorsi su quei discorsi: i l nostro vocabolario referenziale può contraddire quello dei documenti (p. es. intestando a Omero testi che negano la paternità comune d i Iliade e Odissea) o può discostarsene sul piano delle soluzioni espressive, i n funzione dell'eflGcacia per una particolare utenza.

I n molte discipline soprattutto storiche la rete dei nomi propri d i part i ­colari costituisce i l principale punto d i riferimento; quando vogliamo abban­donare questo livello enumerativo, a fini d i generalizzazione o anche d i eco­nomia nell'indicizzazione, siamo costretti a indicare gli oggetti d i cui si parla i n maniera indiretta, tramite una somiglianza o un principio d i riunione, un concetto sotto cui cadono, che ha necessariamente carattere intensionale. Anche quando l'estensione del termine è esaurientemente fissata (p. es. in «quadrum­viri») gli oggetti vengono introdotti secondo un particolare interesse o pro­spettiva, come rispondenti a una certa descrizione. I l passaggio del riferimento individuante alla denotazione tramite i l concetto introduce un nuovo livello d i indeterminazione: i l riferimento introduce l'oggetto consentendo d i dissentire sui suoi caratteri, mentre i l concetto richiede ima duplice esplicazione i n ter­mini d i denotazione (gli oggetti che v i cadono) e d i significazione (i caratteri che motivano l'inclusione). Nel modello tradizionale delle semantiche forma­lizzate è i l secondo aspetto ad essere dominante: l'intensione, purché rigoro­samente precisata, determina l'estensione Nelle teorie causali del significato, al contrario, i l termine generale viene introdotto agganciandolo, in un «bat­tesimo », a un campione paradigmatico dell'estensione, sulla base della pre­supposizione d i una medesima natura profonda tra esso e gl i altri oggetti che in apparenza gli somigliano". Le semantiche kripkeane e putnamiane, con­trapponendosi anche polemicamente alle teorie classiche dell'intensione (da M i l l a Carnap) e alla teoria delle « somiglianze d i famiglia » del secondo W i t t ­genstein (ripresa poi da Strawson e Searle), hanno presentato gran parte dei termini generali come pr iv i d i intensioni, anche vaghe o a grappolo, e quindi disponibili per le più diverse spiegazioni scientifiche (termini transteorici) I termini generali d i questo tipo sarebbero indessicali, circolando come « cam­bial i in bianco » che si presumono pagabili sul lungo periodo dalla scienza

(16) R. CARNAP, op. cit., p. 112 (tr. it., p. 182). (17) «The originai concept of cat is: that hind of thing, where the kind can be

identifled by paradigmatic instances » (S. A . K R I P K E , Naming and necessity, in: Semantics of naturai language, Dordrecht 1972, pp. 253-355, p. 319); «Water' is stuff that bears a certain similarity relation to the water around here » (H. PUTNAM, The meaning of ' meaning ', in Mind, language and reality, Cambridge 1975, pp. 215-71, p. 234).

(18) H. PUTNAM, Explanation and rèference, ivi, pp. 196-214.

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(genetica, chimica, fisica atomica): è però necessario spiegare quali siano i garanti che ne consentono la circolazione, e sembra necessario ricorrere pro­prio alle teorie che sono state poste in discussione. I l termine generale sorge nel riconoscimento d i un grappolo d i somiglianze che giustificano una rischio­sa inferenza abduttiva. Nei termini del sillogismo l'abduzione consiste nell 'in-ferire dalla conclusione (un certo stato d i cose) la premessa maggiore (una legge o concetto generale), cosicché quello viene spiegato come un caso d i questa: g l i esempi classici sono l'inferenza dalla somiglianza al possesso d i tutte le medesime proprietà, da singoli dati accertati a una struttura comples­siva regolare, da caratteristiche superficiali a un'essenza profonda, da deter­minazioni slegate a un concetto unificante La presunzione d i una natura comune può essere errata, cosicché la cambiale è inesigibile perché si è fel i ­cemente fissato i l riferimento; nel frattempo l'uso del termine è avallato dalle somiglianze wittgensteiniane (che spiegano termini come « gioco » che non sembrano riducibi l i a un concetto coerente e insieme adeguato all'uso ordi­nar io^) , a meno che non si voglia ricorrere a una teleologia innatista Per fissare i l riferimento, inoltre, non basta additare i l campione o l'effetto osser­vabile d i una entità inosservabile: bisogna anche delimitare l'ambito della somiglianza o della spiegazione^.

L'altro punto che le teorie causali del riferimento trascurano è precisa­mente quello privilegiato dalle teorie dell'intensione. I l termine generale, in attesa della spiegazione « definitiva », circola anche i n funzione esplicativa, e include quindi almeno provvisoriamente dei sensi, delle presupposizioni sulle proprietà degli oggetti: spieghiamo perché un oggetto brucia o galleg­gia semplicemente dicendo che è d i legno E ' proprio questa precisazione provvisoria che mette la generalizzazione scientifica a confronto con i fat t i , permettendo d i infirmarla o d i superarla, mantenendo o abbandonando i l ter­mine. La teoria delle somiglianze d i famiglia è una teoria etiologica, mentre la teoria dell'intensione è una teoria della sincronia, del significato relativo a un linguaggio o a un discorso (p. es. quello d i un documento o d i una teoria scientifica); le teorie causali del significato occupano uno spazio complemen­tare e non alternativo in quanto sono teorie della diacronia, che rendono conto della trasmissione dei termini generali da un linguaggio o da una spiegazione scientifica all'altra. > ' ' .s^ . . - .f • . -' ^. -

(19) C. S. PiEECE, Collected papers, 2= ed., Cambridge (Mass.) 1960, § 2. 96 sgg., 2. 508 sgg., 2. 619 sgg., 5. 171 sgg. e 3. 182 sgg. (tr. it. parz. in Semiotica, Torino 1980, pp. 49 sgg. e 105 sgg., e Caso, amore e logica, Torino 1956, pp. 95-110); G. PEONI, Ge­nesi e senso delTabduzione in Pierce, « Versus » n. 28 (1981), pp. 29-50.

(20) L . WITTGENSTEIN, op. cit., § 66-67 (tr. it., pp. 46-4'/). (21) Cfr. N. S T E M M E E , Generalization classes as alternative for similartties and some

other concepts, « Erkenntnis » 16 (1981), pp. 73-102. (22) R . NOLA, Fixing the rèference of theoretical terms, « Philosophy of science » 47

(1980), pp. 505-31. (23) J. M. E . MoRAVCSiK, How do words get their meanings?, «Journal of philo­

sophy» 78 (1981), pp. 5-24.

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La teoria delFindessicalità dei termini generali estende l'ambito del rife­rimento oltre i nomi propri d i individui , portando un rilevante contributo alla chiarificazione troppo trascurata delle espressioni plurali^*. I termini plurali usati dalle discipline storiche (p. es. per gruppi o movimenti, correnti, tenden­ze) sono ancorati, sia pure vagamente, a una certa estensione e a certi carat­teri discriminati: questi due liveUi d i specificità possono essere fusi i n un medesimo termine («verismo ») o necessitare d i una formulazione composta (« futuristi russi », «romanzi ellenistici ») o d i una più complessa indicizza­zione duplice. La delimitazione spazio-temporale è più d i una restrizione del­l'universo d i discorso poiché orienta i l riferimento: i l risultato è quasi un nome proprio. A l pari delle espressioni d i riferimento, questi termini sono aggan-cati a un fatto storico (p. es. un manifesto programmatico) o a un caso para­digmatico (l'opera che dà origine a un genere letterario), ma non presuppon­gono una precisa discriminazione dei denotati: essi hanno piuttosto una deno­tazione graduale, che include alcuni oggetti centrali, altr i minori in numero imprecisato, e altri ancora laterali che rientrano nel termine soltanto ove sia inteso, come correttamente si avverte, in senso lato. La medesima gradualità si riscontra nella verifica d i una ipotesi esplicativa o d i una generalizzazione: esse sono immediatamente confrontate con gl i oggetti centrali, come se ver­tessero esplicitamente su d i essi, ma sono anche valutate nella loro efficacia euristica nei confronti d i casi minori (che lo studioso poteva anche ignorare) e d i percorsi e situazioni parallele, trapassi e vie d i fuga.

L'uso quasi referenziale non è l'unico né quello reso obbligatorio da ine­sistenti convenzioni sui termini indessicali. I l termine può essere assunto in senso referenziale, astraendo dal contenuto descrittivo e dalle connotazioni invalse, per interpretare senza preconcetti un evento determinato (giungendo, p. es., alla conclusione che Sklovskij & c. non erano « formalisti »), ma può essere anche usato i n senso predicativo o attributivo, staccandolo dalle sue origini contingenti (come ha fatto Mannheim per i concetti d i ideologia e d i utopia) e nel contempo precisandone le caratteristiche costitutive. I l peso d i questi usi varia da un termine all'altro, ma è la tensione tra i due poli a man­tenere aperta la ricerca, anche se per i termini più consunti dall'uso le due direzioni possono divergere fino a perdere ogni legame definito. La scelta d i una spiegazione di tipo lessicale o invece enciclopedico dei termini è, come ha visto Putnam, un segnale prezioso: nell'uso referenziale si spiega i l termine informando sugli oggetti (così come si insegnano i nomi propri esibendone o descrivendone i l portatore), mentre nell'uso predicativo si delucidano i criteri generali che ne regolano l'attribuzione I I catalogo può controllare questa duplicità d'uso soltanto ammettendo un duplice rimando ai sensi e ai deno-

(24) P . F . STRAWSON, Introduction to logicai theory, London 1952 (tr. it. Torino 1961, pp. 233 sgg.).

(25) H. PUTNAM, IS semantics possible?, in op. cit., pp. 139-52.

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tati , agli interpretanti e agli oggetti, sia tramite le connessioni tra le voci che tramite l'organizzazione interna d i queste, e in particolare le qualificazioni spazio-temporali o d i ambito che precisano la portata del termine nei diversi documenti.

Nell'ambito dei termini generali che non sono ancorati a determinazioni storico-geografiche la componente indessicale o referenziale emerge dalla loro relativa stabilità, sia i n diacronia, nel mutare delle spiegazioni scientifiche, che i n sincronia, nel sovrapporsi d i strati d i intensioni (quelle della scienza, della consuetudine pratica, della vaga informazione dell'uomo della strada). Molto interesse è stato dedicato negli u l t imi anni, i n semantica e in epistemo­logia, ai termini generali più saldi e costanti, e in particolare a quelli indi ­canti specie naturali^®. Tra essi possiamo distinguere i termini massa dal rife­rimento cumulativo (sostanze, minerali) e i termini sortali dal riferimento diviso (specie animali e vegetali): essi non designano alcun particolare og­getto ma nemmeno includono criteri precisi per la determinazione della esten­sione, che riposa sulla consuetudine pratica e su una discontinuità contin­gente. Segni del loro carattere indessicale sono l'apprendimento estensivo o iconico e la sovrapposizione tra spiegazione del significato e informazione sul denotato. I nomi delle specie naturali forniscono all'indicizzazione dei pr in­cipi d i classificazione relativamente naturali, nei quali la o le caratteristiche prescelte per l'individuazione sono empiricamente associate a un gran numero d i altre superficialmente indipendenti^''. Per questa ragione essi sono utilizzati anche al d i fuori della griglia concettuale d i una data disciplina: un animale può essere considerato come specie zoologica, come bestiame da allevamento, come fonte d i cibo, come animale sacro, come simbolo. Va notato che questa molteplicità d i usi è ordinariamente limitata a un solo livello, ordinariamente i l più basso, dell'ordine tassonomico: le ripartizioni in generi e t i p i (e talvolta anche le suddivisioni più minute) sono più spesso dipendenti da fini o pro­spettive d'interesse divergenti.

L'uso d i termini generali d i questo tipo è caratterizzato da una incertezza nella denotazione, sentito già dalla logica scolastica con la dottrina delle sup­posizioni ed espressa dall'alternanza tra un plurale quasi-referenziale e un sin­golare quasi-platonico. I l plurale è sviante perché confonde la designazione riassuntiva d i questo e quell'oggetto (p. es. quando si parla d i alcuni famosi cavalli da corsa) con la denotazione indefinita. Meno ingarmatore è i l singo­lare platonizzante, che può stare per la specie come entità astratta, oppure collettivamente per t u t t i i suoi esemplari, distributivamente per ognuno o per la maggior parte, per quelli conosciuti o per quelli fisiologicamente normali.

(26) Cfr. Naming, necessity, and naturai kinds, a c. di S. P. Schwartz, Ithaca 1977. (27) C. G . H E M P E L , op. cit., pp. 59 e 65 sgg.; C. PERELMAN, Réflexions philosophiques

sur la classification, in: La classification daris les sciences, Gembloux 1963, pp. 231-36; R. HoLLiNGER, Aspects of the theory of classification, « Philosophy and phenomenological research» 36 (1976), pp. 319-38.

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o stereotipi Anche più complessa è la situazione dei termini designati specie nominali (artefatti, p. es.) Qui la denotazione concerne d i solito gl i esem­plari normativamente o telQ«R)nomicamente corretti, funzionanti, att i allo sco­po, e varia in funzione dell'innovazione tecnologica: la denotazione d i «tele­visore », in due manuali scritti a dieci anni d i distanza, è profondamente dif­ferente.

Cercando d i interpretare i termini generali dal punto d i vista estensio­nale, come principi di riunione d i oggetti, abbiamo trascurato la componente intensionale rappresentata dalle implicazioni che i l discorso stabilisce tra i concetti: in pratica è molto difficile discriminare l'affermazione d i fatto, veri­ficabile almeno a partire da un nucleo centrale dell'estensione, dalla proposta d i un modello concettuale la cui applicazione è un secondo momento. Un modello concettuale (p. es. quello proposto da Propp per la favola d i magia) può essere considerato come una generalizzazione empirica, ma è da questo punto d i vista viziato perché esclude quei casi eterogenei che sono possibili controesempi; alternativamente esso può apparire come una costruzione defi-nizionale o assiomatica (nella quale « favola d i magia » significa semplicemente « ciò che si conforma a una certa struttiira »), che non è a rigore confutabile ma che può essere rifiutata come inutile o abbandonata per un'altra più sem­plice o d i portata più vasta.

Quando ci allontaniamo dai termini la cui estensione è almeno approssi­mativamente fissata, la tesi estensionale si mostra sempre più indifendibile. D i fatto non è vero che i contenuti semantici dei testi siano sempre organiz­zati intorno a uno o più oggetti d i cui si parla, siano essi individuati da un nome proprio o indirettamente introdotti tramite un principio d i scelta e d i riunione. Nel caso d i una biografia consideriamo prioritario l'approccio tramite l'oggetto, mentre non riteniamo d i segnalare, per la sua singolarità, i l complesso concetto che i l biografo può darne; nel caso d i un'opera generale sul realismo letterario o sulla struttura della narrativa, invece, ci rendiamo subito conto che l'elencazione dei casi d i cui l'autore più specificamente si occupa è del tutto inadeguata a render conto dell'organizzazione del discorso. Da questo punto d i vista Fairthorne ha parlato d i circalità intensionale come ciò che conferisce unità al discorso e ne fa la risposta a una certa domanda (mentre la circalità estensionale è funzione degli oggetti che costituiscono i denotati del linguaggio del documento)^*'. A l limite l'oggetto sfuma nell'esem­pio, rappresentante casuale d i un dominio d i applicabilità. La circalità in ­tensionale è anche circalità intenzionale quando i l discorso non è organizzato intorno a un tipo d i oggetti ma ad una qualità che sola ne motiva la presa

(28) N . WoLTEBSTORFF, Ou unìversoLs, Chicago 1970, pp. 235-60. (29) S. P. SCHWARTZ, Putnam on artifacts, « Philosophical review » 87 (1978), pp.

566-74; ID. , Naturai kinds and nominai kinds, «Mind» 8 9 (1980), pp. 182-95; H . KORN-B L I T H , Referring to artifacts, «Philosophical review» 8 9 (1980), pp. 109-14.

(30) R . A . FAIRTHORNE, art. cit., p. 79.

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i n considerazione: ciò accade soprattutto per quei termini che includono ima opzione assiologica. Le «atrocità della guerra » in questa ottica, non sono considerate come un tipo d i fatt i belUci (battaglie, assedi, ritirate), e lo stesso discorso vale per termini quali «violenza» o «antisemitismo»: i l concetto non sta per una certa classe d i oggetti, anzi i l problema consiste proprio nel-l'applicarlo (in quanto include una valutazione) a questo o a quel fatto. La considerazione estensionale, diretta o mediata da un principio d i riunione neutro, trasforma i l discorso in una petizione d i principio: non si parla delle atrocità, ci si chiede piuttosto quali fa t t i , e in quale senso, siano « atroci ».

Ricorrendo, nell'indicizzazione, all'organizzazione soggettiva e concreta del discorso invece che ai suoi agganci diretti o mediati con gl i oggetti, supe­riamo anche i l livello semantico del concetto sortale; lo stesso accade quando ci mancano termini sufficientemente generali da indicare l'intero argomento d i un sapere specifico (p. es. la matematica o la filosofia) oppure quando, nelle trattazioni più generali o introduttive, le discipline si coinvolgono nel loro stesso discorso, intrecciando livell i semantici distinti. Molte discipline hanno, i n altr i termini, una proprietà analoga alla chiusura semantica segnalata da Tarski nelle lingue naturaU: possono prendere ad oggetti anche i propri con­cetti e quindi trattare d i se stesse, del proprio metodo e discorso, dei propri risultati. Sceverando i l ivel l i semantici i l catalogo disperderebbe le compo­nenti organiche d i un unico discorso.

I n entrambi questi casi dobbiamo ricorrere, per salvaguardare la rappre­sentatività indicale, al livello del discorso, intendendo con questo termine non i generi o le forme d i presentazione ma le discipline, i corpi d i cognizioni o g l i atteggiamenti d i pensiero dotati d i un nome che individui insieme g l i oggetti d i cui trattano e i concetti d i cui fanno uso. Per due branche della letteratura relgiosa Cutter propone le intestazioni «Escatologia» e «Immortalità»: i due termini sono d i tipo diverso perché i l secondo ammette una sola relazione d i indice e i l primo due, per documenti che trattano delle «quattro cose u l ­t ime» e per quelli che trattano delle dottrine escatologiche stesse Cutter non avverte i l salto semantico, anche se sembra sospettarlo quando è restìo ad adottare le voci « Teismo » e « Ateismo » per le opere che affermano o negano l'esistenza d i Dio^^. Alla piena coscienza della struttura orizzontale del linguaggio d'indicizzazione (individui, classi, l ivel l i specifici) non si ac­compagna i n Cutter i l riconoscimento pieno della dimensione verticale (og­getti, concetti che riuniscono gl i oggetti, discorsi i n cui si organizzano i con­cetti). Pur distinguendo correttamente le classi come « collezioni d i oggetti con caratteristiche comuni » (formate per via intensionale) dagli individui ^ ,

(31) L'esempio è di Serrai {Del catalogo alfabetico..., cit., p. 60). (32) C . A . C U T T E R , Rules for a dictionary catalog, 4» ed., Washington 1904, pp. 78-79. (33) Ivi, p. 71. ^ , . (34) Ivi, p. 15. . ;

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Cutter non distingue la subordinazione dei concetti dalla loro sussunzione^^. Egl i non si rende conto che, poiché la classe è data i n intensione e non enu-merativamente, i l termine che la indica appartiene a un livello semantico su­periore: « cane » non è i l nome dell'insieme sparpagliato {à la Goodman) d i Fido, Otto, Ralf, ecc., ma i l concetto sotto i l quale essi cadono nell'ambito d i un certo ordine tassonomico. La subordinazione tra concetti (animali, verte­brati, mammiferi, ecc.) non ci può mai condurre all'oggetto indicato dal nome proprio né, all'estremo opposto, alla disciplina che tramite quei concetti ne tratta. Uno degH errori fondamentali della teoria della classificazione sta nel non aver capito che nelle classificazioni intensionali le operazioni della logica delle classi, quando valgono sono confinate su un unico piano semantico: gl i oggetti v i possono essere introdotti solo come concetti individuaH e i d i ­scorsi v i figurano travestiti da argomenti molto generali. E' vero che i termini d i discorso svolgono anche questo secondo ruolo, ma la differenza è evidente quando si dispone, come in zoologia o in medicina, d i una duplice termino­logia (insetti/entomologia, cuore/cardiologia). Cutter si illuse forse che la spe­cificità dell'indice bastasse a discriminare la sua collocazione semantica: anche i l discorso invece, e perfino l'oggetto, può essere specifico o non specifico.

Dopo Cutter la teoria della catalogazione si è confinata i n massima parte sul piano sintattico (formulazione e articolazione dei descrittori); la rara r i ­flessione semantica è stata viziata da un pregiudizio analogo a quello domi­nante nella teoria della catalogazione per autore, secondo i l quale le relazioni tra indice e documento si situerebbero tutte su un medesimo piano. ; <

La teoria dell'indicizzazione semantica non ha saputo sfruttare i risultati della logica e dell'epistemologia perché non sono stati riconosciuti i suoi pro­blemi specifici, distinti e successivi rispetto a quelli dell'unificazione del d i ­scorso scientifico o della sintesi enciclopedica del sapere^'. L'enciclopedia è organizzazione d i un sapere, d i una verità, e può quindi presupporre (fino alla sua refutazione) la riduzione dei l ivel l i semantici nella specularità d i oggetto e concetto. Intensione ed estensione possono sovrapporsi senza sbavature in un discorso particolare, se esso è coerente; i diversi discorsi invece possono essere caratterizzati solo tramite un duplice rimando alle cose d i cui si parla e a ciò che se ne dice. La riduzione estensionale accarezzata dal circolo d i Vienna accoglie, a differenza della sintesi enciclopedica, sia la verità che la falsità (non però la « metafisica »), ma soltanto a patto d i ricondurre quest'ul-

(35) G. F R E G E , op. cit., § 3-4 (tr. it., pp. 203-205). (36) L . A P O S T E L , Le problème jormel des classifications empirìques, in: La classifi­

cation dans les sciences, cit., pp. 157-230 (p. 222). (37) Questo programma, espressosi a partire dagli armi Trenta con la International

Encyclopedia of Unified Science, ha influito particolarmente sull'ambiente della Graduate Library School di Chicago. Cfr. J. H. SHERA, Libraries and the organization of knowledge, London 1965, pp. 127-28 e 130; C. MORRIS, On the history of the International encyclo­pedia of unified science, in: Logic and language, Dordrecht 1962, pp. 242-46.

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tima ad affermazioni d i fatto intorno a un certo oggetto, quindi secondo un'u­nica prospettiva interpretativa.

La biblioteconomia non ha riconosciuto la specificità del proprio compito e le potenzialità che offre: non si tratta d i proporre una nuova classificazione che pretenda, ancora una volta, d i rispecchiare r « ordine delle cose », quanto d i elaborare sistemi che trattino le classificazioni stesse. A questo fine la scan­sione dei l ivell i semantici dell'oggetto, del concetto e del discorso, delineata nelle pagine precedenti, offre le coordinate necessarie per situare i testi regi­strati nei documenti rispetto alla classificazione che è loro propria, agli og­getti d i cui trattano, ai concetti sotto i quali l i riconducono e agli ambiti cui questi sono per competenza assegnati. I n questa ottica le rivendicazioni d i una identità d i struttura profonda tra cataloghi sistematici e cataloghi al­fabetici, necessarie a sfatare i l pregiudizio della armonia prestabilita d i questi u l t imi , vanno riconsiderate e superate. Le classificazioni impongono i m ordine monodimensionale che parte dall'alto, col risultato d i comprimere i l ivell i se­mantici: i l concetto è introdotto come strumento d i una disciplina, l'oggetto come concetto individuale saturo d i presupposizioni. I l fatto che questa i n -tensionalizzazione forzata non sia in pratica rispettata è un indice i n più della debolezza degli ordini classificatori. Come si avvide Cutter, i l catalogo clas­sificato può ammettere intestazioni specifiche ma non, a rigore, intestazioni individuali ; nel catalogo per soggetto, al contrario, l ' individuo è presentato esplicitamente come scevro da determinazioni^. Una persona o un luogo pos­sono figurare sotto gl i aspetti e le prospettive d'interesse più diverse, così come i concetti possono essere evidenziati direttamente eludendo le barriere disciplinari; diventa possibile render conto dei discorsi non specializzati e pre­servare la continuità (al livello dell'oggetto) e la frattvira (al livello del discorso o del concetto) tra discipline storicamente soppiantatesi.

Nei cataloghi alfabetici per soggetto la gerarchia dei l ivell i semantici è costruita dal basso, a partire dal riferimento. Dal livello dell'oggetto si passa al livello del soggetto quando l'enumerazione è impossibile o antieconomica o quando i l principio d i riunione adottato merita una menzione autonoma: tramite la struttura aperta dei rinvìi un oggetto può essere ricondotto, i n d i ­verse prospettive, sotto diversi concetti, e sta al lettore scegliere quella che giudica corretta, pertinente o degna d'interesse. I l concetto viene parimenti ricondotto a uno o più discorsi e discipline costituite, e ancora ad esse si fa ricorso quando non è formulabile un concetto sufficientemente ampio per i n ­cludere ciò d i cui un discorso tratta (storia universale, matematica), così come quando un documento presenta quel carattere che ho chiamato chiusura se­mantica. La specificità viene ricercata nella direzione opposta a quella seguita dal catalogo sistematico, ossia a partire dal livello semantico più basso: non si cerca d i inserire l'oggetto in una gerarchia i l più possibile esaustiva e gra-

(38) C . A. C U T T E R , op. cit., pp. 17-19.

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duale ma d i segnalarlo tramite quelle sole determinazioni che sono necessarie alla rappresentatività indicale. Per questo i l livello del concetto e, a maggior ragione, quello del discorso non hanno vita catalografica autonoma, come ac­cadrebbe nel « catalogo per essenze » cui acceima Cutter: quando l'indiciz­zazione può avvenire al livello inferiore quelli superiori sono segnalati tutt 'al pili indirettamente dai richiami sin|etici. Le scelte terminologiche e d i orga­nizzazione interna delle voci conseguono da questa prospettiva: nel primo ambito si ricorre ai nomi propri e poi ai termini generali quasi-referenziali o indessicali, rispecchiando la preferenza semantica per i l livello più aperto, e nel secondo si distinguono le effettive articolazioni dell'oggetto o del con­cetto dalle continuità e omonimie accidentali, qualificandole i n relazione alle determinazioni spazio-temporali e ai liveUi successivi della gerarchia semantica.

Una struttura d i questo tipo non deve offrire garanzie (sempre fasulle) d i completezza perché ha carattere costruttivo e non vincolato: essa è quindi i n grado d i accogliere nuove relazioni semantiche. Questa capacità d i rigenera­zione non è l 'ultimo motivo per preferire una struttura aperta: una teoria dell'indicizzazione che non assuma come primo presupposto l'instabilità del sapere è condannata in partenza.

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