Gli scavi della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici dell’Università di Bari...

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Epigrafia E tErritorio. politica E sociEtà. temi di antichità romane iX • isBN 978-88-7228-671-5 - © 2013 · Edipuglia s.r.l. - www.edipuglia.it F ABIO GALEANDRO - P AOLA P ALMENTOLA GLI SCAVI DELLA SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN BENI ARCHEOLOGICI DELL’UNIVERSITÀ DI BARI SULL’ACROPOLI DI MONTE SANNACE (1994-2001) Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei: [email protected]; Università degli Studi di Bari Aldo Moro: [email protected] Premessa A distanza di dieci anni dal completamento degli scavi nelle aree denominate G3 e D dell’acropoli di Monte Sannace, sia pure nella forma di ampio rapporto prelimi- nare, si possono finalmente presentare i risultati raggiunti, grazie all’impegno di Fabio Galeandro e di Paola Palmentola che ne hanno condiviso la responsabilità fin dal 1994 1 , anno di avvio delle prospezioni nel sito da parte della Scuola di Specializza- zione in Beni Archeologici dell’Università di Bari. Nella direzione della Scuola si sono succeduti finora Ettore M. De Juliis (a.a. 1993/4-1997/8), Raffaella Cassano (a.a. 1998/9-2000/1), Marcella Chelotti (a.a. 2001/2-2003/4) e chi scrive (2004/5-2009/10), ai quali è spettato anche il coordina- mento scientifico degli interventi in quello che è oggi il centro peucezio senza dub- bio più significativo archeologicamente sull’intero territorio pugliese. 1 Il dott. F. Galeandro a partire dall’anno 1998. Abstract The Specializing school in Archeological heritage of Bari University (Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici dell'Università degli Studi di Bari), has led archaeological researches in two adjoining areas on the acropolis of the important indigenous site of Monte Sannace (Gioia del Colle - BA - Italy). The sub- ject matter of this paper are the results of archaeological investigations both in G3 area, and in D area. In both cases, archaeological excavations have brought to light archaic buildings, whose function has changed though-out the years with regards to the initial phase. The detailed excavation report is followed by a part structured in phases in which is considered the completeness of knowledge concerning Monte Sannace acropolis. The paper is concluded by an analysis of the acropolis seen at the inside of ancient Peucezia.

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FABIO GALEANDRO - PAOLA PALMENTOLA

GLI SCAVI DELLA SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN BENI ARCHEOLOGICI DELL’UNIVERSITÀ DI BARI

SULL’ACROPOLI DI MONTE SANNACE (1994-2001)

Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei: [email protected];Università degli Studi di Bari Aldo Moro: [email protected]

Premessa

A distanza di dieci anni dal completamento degli scavi nelle aree denominate G3e D dell’acropoli di Monte Sannace, sia pure nella forma di ampio rapporto prelimi-nare, si possono finalmente presentare i risultati raggiunti, grazie all’impegno di FabioGaleandro e di Paola Palmentola che ne hanno condiviso la responsabilità fin dal1994 1, anno di avvio delle prospezioni nel sito da parte della Scuola di Specializza-zione in Beni Archeologici dell’Università di Bari.

Nella direzione della Scuola si sono succeduti finora Ettore M. De Juliis (a.a.1993/4-1997/8), Raffaella Cassano (a.a. 1998/9-2000/1), Marcella Chelotti (a.a.2001/2-2003/4) e chi scrive (2004/5-2009/10), ai quali è spettato anche il coordina-mento scientifico degli interventi in quello che è oggi il centro peucezio senza dub-bio più significativo archeologicamente sull’intero territorio pugliese.

1 Il dott. F. Galeandro a partire dall’anno 1998.

AbstractThe Specializing school in Archeological heritage of Bari University (Scuola di Specializzazione in BeniArcheologici dell'Università degli Studi di Bari), has led archaeological researches in two adjoining areason the acropolis of the important indigenous site of Monte Sannace (Gioia del Colle - BA - Italy). The sub-ject matter of this paper are the results of archaeological investigations both in G3 area, and in D area. Inboth cases, archaeological excavations have brought to light archaic buildings, whose function has changedthough-out the years with regards to the initial phase. The detailed excavation report is followed by a partstructured in phases in which is considered the completeness of knowledge concerning Monte Sannaceacropolis. The paper is concluded by an analysis of the acropolis seen at the inside of ancient Peucezia.

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Nel parco archeologico di Monte Sannace, prescelto fin dall’anno di fondazionedella Scuola quale luogo del suo scavo scientifico-didattico, hanno fatto le loro primeesperienze sul campo numerosissimi specializzandi, cui va il ringraziamento per averconsentito, attraverso il loro zelo, le informazioni raccolte nelle pagine che segui-ranno.

Mi preme sottolineare, inoltre, che gli scavi condotti a Monte Sannace hanno rap-presentato un’esperienza di proficua collaborazione scientifica tra la Soprintendenzaper i Beni Archeologici per la Puglia e l’Università di Bari, grazie ad una conces-sione rinnovata fino al 2010, a firma dei Soprintendenti Dott. Giuseppe Andreassi eTeresa Elena Cinquantaquattro, per la quale auspico, naturalmente, una efficace at-tenzione anche in futuro.

Alla pubblicazione che ho il piacere di presentare seguirà presto l’edizione com-plessiva delle ricerche eseguite tra il 1994 e il 2001, comprendente l’analisi e la clas-sificazione dei materiali mobili cui hanno atteso nel corso degli anni diversiricercatori.

Per le ulteriori, apprezzabili novità emerse dagli interventi di scavo curati dallaScuola a Monte Sannace e succedutisi tra il 2002 e il 2009, nell’area dell’abitato inpianura, si rimanda ancora alle segnalazioni di Fabio Galeandro e Paola Palmentola,apparse nella rivista Taras (XXII-XXIII, 2002-2003), e alla scheda Monte Sannace,di Luigi Todisco, Paola Palmentola, Fabio Galeandro, dei Fasti Online. L’analisi si-stematica di queste ultime indagini è in corso ed è d’obbligo affrettarsi nel met-terne a disposizione della comunità scientifica i risultati in una pubblicazioneadeguata.

Ciò che Monte Sannace ha mostrato finora di rappresentare per l’antica Apulia –e che di certo confermerà con la prosecuzione degli scavi programmati e stentata-mente finanziati dalla Scuola – continua a richiedere uno sforzo congiunto da partedelle istituzioni, non soltanto scientifico ma anche di fiducia economica. Se un talesforzo fosse compiuto non mancherebbe di essere ripagato ampiamente in termininon soltanto scientifici e culturali. Tuttavia, il progressivo degrado umanistico in cuil’Italia è attanagliata impone, oggi più di ieri, uno sforzo non certo inferiore di otti-mismo a riguardo della concretezza di interesse che possa essere rivolto nei confrontidi operazioni conoscitive del genere.

Per la nostra nazione sono giorni cupi, in cui gli incentivi finanziari alle Univer-sità pubbliche, e così ovviamente alle Scuole di Specializzazione in Beni Archeolo-gici, stanno subendo ulteriori, drastici tagli, le Soprintendenze Archeologiche sono ailimiti della sopravvivenza, l’editoria archeologica è in condizioni di grave precarietà,i giovani archeologi sono sempre più sconfortati e gli altri favorevoli a intraprenderelo studio archeologico frenati dalla grande incertezza che incomberebbe sul loro fu-turo professionale.

Luigi TodiscoLuglio 2010

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Introduzione*

Nel 1994 Ettore De Juliis, allora direttore della Scuola di Specializzazione in Ar-cheologia dell’Università di Bari, in accordo con la Soprintendenza per i Beni Ar-cheologici della Puglia, in particolare con la dott.ssa Angela Ciancio direttrice delParco Archeologico, scelse l’area G3 sull’acropoli di Monte Sannace come luogo perlo scavo scientifico-didattico per gli allievi della Scuola 2 (fig. 1). Nella stessa area G,ubicata nella parte centrale dell’altura dell’antico insediamento di Monte Sannace (ilsettore G3 è a m 370 ca. s.l.m.) si erano svolte alcune campagne di scavo, negli anni1978-1983, condotte sempre da De Juliis nella veste di Soprintendente Archeologo

* Desideriamo ringraziare il prof. Luigi Todisco, direttore uscente della Scuola di Specializzazionein Beni Archeologici, per il continuo incoraggiamento alla pubblicazione dei risultati di scavo e per ilpersonale interessamento all’edizione. A sua firma è la premessa a questo articolo. Un ringraziamentova inoltre alla dott.ssa Angela Ciancio, Funzionario Archeologo della Soprintendenza per i Beni Ar-cheologici della Puglia e direttrice del Museo Archeologico Nazionale di Gioia del Colle, per i tanti mo-menti di discussione e confronto sia nella fase di scavo che in quella di studio.

2 Cfr. De Juliis 1995, pp. 72-73 dove viene data notizia dell’inizio dei lavori e della convenzione ecollaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia. Per i resoconti delle suc-cessive campagne di scavo nella stessa area: De Juliis 1997 e 1998; De Juliis, Palmentola 1999; Gale-andro 2000 e 2001.

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Fig. 1. - Fotografia aerea dell’acropoli di Monte Sannace.

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della Puglia 3. Gli adiacenti settori G1 e G2 furono allora ampiamente indagati, loscavo del settore G3 fu invece parziale, ma quanto emerse fu di valore tale da far me-ritare all’area l’intenzione di una più estesa e approfondita esplorazione, avendo re-stituito i resti di edifici arcaici assai interessanti e per planimetria e per materialearcheologico rinvenuto (fig. 6).

Sul finire della campagna di scavo del 1998, contemporaneamente al non ancoraultimato scavo nell’area G3, fu aperto un nuovo saggio nella limitrofa area D 4. Que-sta, posta immediatamente a nord dell’area G, era già stata ampiamente indagata dagliscavi di Bianca Maria Scarfì: essendo il cuore dell’acropoli – parte sia centrale sia piùalta – non poteva che destare l’interesse della ricercatrice e dare risultati di grande va-lore scientifico 5.

L’indagine da parte della Scuola di Specializzazione ha interessato una zona di25x15 m ca – tralasciata dai precedenti interventi archeologici – posta sul marginemeridionale dell’area, fra la zona delle ‘grandi tombe’ e la cosiddetta chiesa di S. An-gelo (figg. 6, 22).

In anni successivi agli scavi della Scuola di Specializzazione, conclusisi nel 2001,la stessa area D (nella sua parte centrale denominata H) è stata interessata da un ulte-riore intervento da parte della Soprintendenza Archeologica della Puglia, sotto la dire-zione di Angela Ciancio, nella zona indicata dalla Scarfì come agorà del centro antico 6.

(F.G., P.P.)

1. Gli scavi

1.1. Gli scavi dell’Area G3

Gli scavi 1978-1983 (fig. 2) 7 avevano messo in luce quasi per intero un grande am-biente rettangolare (ambiente A) a cui mancava parte del muro occidentale e parte delsettentrionale. Ciò nonostante si era potuto a buona ragione ipotizzare che l’ingressoa questo ambiente doveva avvenire da una apertura proprio sul lato lungo nord; erasu questo lato, infatti, che fu rinvenuta la maggior parte delle decorazioni architetto-niche fittili che decoravano il tetto sulla fronte, sulla parte maggiormente a vista 8. Si

3 L’edizione di questi scavi è nel volume Monte Sannace 1989.4 Le aree D e G sono attualmente separate da un moderno poderoso muraglione di pietre a secco

orientato in senso est-ovest, che impedisce allo sguardo di apprezzare l’originaria e complessiva orga-nizzazione della sommità dell’acropoli.

5 I risultati dello scavo dell’area D sono in Scarfì 1962, pp. 110-142.6 È stata data di recente notizia di questi scavi in Ciancio, Galeandro, Palmentola 2009, pp. 314-317

e in Amatulli, Ciancio, Vania 2010.7 Ringrazio la dott.ssa Maria Martinelli (tecnico del Dipartimento di Scienze dell’Antichità, Univer-

sità degli Studi di Bari) autrice dell’elaborazione di gran parte delle piante di scavo e delle fotografie pre-senti in questo contributo.

8 Sulle decorazioni architettoniche fittili si veda l’accenno in Riccardi 1989a, p. 66; sono descrittenello specifico sime, cassette e antefisse in Riccardi 1989b, pp. 142-149, 153; sull’ipotesi del punto diingresso all’ambiente A: Riccardi 1989b, p. 153.

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vide poi che il muro meridionale dello stesso ambiente A proseguiva a ovest oltre illimite dello stesso ambiente: questo fece ipotizzare la presenza di un adiacente vanoprobabilmente di dimensioni più piccole. Immediatamente a sud di questo complesso– e da esso separato da uno spazio assai stretto – sembrava riproporsi in maniera spe-culare una identica situazione: un altro grande ambiente (ambiente B) nella lunghezzaidentico all’esplorato A, una piccola parte emersa di un altro vano affiancato al suolato corto occidentale. Dunque, al termine delle ricerche nel 1983 si conosceva quasidel tutto la planimetria dell’ambiente A, parzialmente quella dell’ambiente B, a cuimancava del tutto il muro meridionale e in grossa parte i muri dei lati brevi est eovest, si intravedeva, infine, la presenza di altri due ambienti affiancati ai primi sullato ovest. Le evidenze facilmente crearono la suggestione di essere in presenza di dueedifici ‘gemelli’9.

9 De Juliis 1997, p. 56.

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Fig. 2. - Area G3. Pianta aggiornata al 1983 (da Riccardi 1989a, tav. 91, qui modificata).

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Lo scavo fu approfondito nell’ambiente A e nello stretto spazio definito C fra i dueedifici, interessò invece i soli strati superficiali nell’ambiente B. Il complesso del ma-teriale archeologico rinvenuto fece datare l’impianto di questi edifici alla II metà delVI secolo a.C., in una fase dunque tardo-arcaica 10. Il termine basso della frequenta-zione, in particolare dell’ambiente A maggiormente indagato, fu posto in un momentofra la fine del V e la metà del IV secolo a.C. 11.

L’intervento della Scuola di Specializzazione dell’Università di Bari nell’area G3fu volto alla comprensione in primis della planimetria completa degli edifici (fig. 3).Si è scavato dunque in particolare all’interno dell’ambiente B, definendone del tuttola planimetria e comprendendone le fasi cronologiche e la destinazione d’uso; si è por-tato alla luce nella sua interezza l’ambiente definito E, che insieme al B costituisceun grande edificio a ‘megaron’. Si è scavata la porzione dell’ambitus D, nella qualenon era intervenuto il vecchio scavo, e, infine, è stato esplorato il vano definito F,adiacente all’ambiente A. Lo scavo non ha interessato quest’ultimo ambiente giàesplorato precedentemente (fig. 4).

Le fasi insediative

Alla prima fase di occupazione, collocabile ancora nell’Età del Ferro (metà VIII-VII sec. a.C.), appartengono le unità stratigrafiche più antiche rinvenute nello scavo.Al di sotto degli strati pertinenti al primo impianto dell’edificio, si sono rinvenuti, al-l’interno di quello che nella fase successiva sarà l’ambiente B, un compatto battutocomposto da terra marrone scuro mista a pietrisco (US 81) e i residui di uno strato (US80), postogli immediatamente al di sopra, relativo all’utilizzo di tale piano di calpe-stio e dunque ad una fase precedente alla costruzione della struttura arcaica. È ben vi-sibile, inoltre, come questo battuto sia stato successivamente tagliato in più punti perla realizzazione della trincea di fondazione delle UUSSMM 252 e 251, rispettiva-mente muro nord e ovest dell’ambiente B, in alcune parti invece il battuto sembraessere direttamente coperto dall’USM 252. Nella parte sud il battuto si interrompe,come tutti gli strati che lo coprono, in corrispondenza del taglio (US 57=253) per lacostruzione della grossa struttura curvilinea (USM 24/29) di molto posteriore (fig.5) 12; il limite est dello stesso battuto US 81 si perde senza giungere all’anta nord chechiude ad est l’ambiente B 13.

10 La datazione è basata, oltre che sul complessivo materiale ceramico, sulla decorazione architetto-nica fittile, tutta datata fra la metà del VI e gli inizi del V secolo, e sul rinvenimento al di sotto del muronord dell’ambiente B di una coppa geometrica monocroma, considerata un generico terminus post quem,della quale la Riccardi dice: «È probabile […] che la coppa si dati fra la II metà del VII e l’inizio del VIsecolo a.C.», in Riccardi 1989a, pp. 77-78, tavv. 223,1 e 288,1.

11 Riccardi 1989b, p. 150, De Juliis 1989a, p. 219.12 Questo muraglione curvilineo correva quasi parallelo all’USM 252; la sua ingombrante presenza

è stata la causa della mancata intercettazione del muro meridionale dell’ambiente B.13 Lo scavo nell’ambiente B si è fermato una volta messo in evidenza questo piano di calpestio; nel-

l’ambiente E, avendo scelto, invece, di lasciare esposta la fornace di epoca successiva (cfr. pp. 47-51)e tutti gli strati relativi al suo utilizzo, non si è potuta verificare la presenza di tale battuto; nell’ambitus

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Fig. 3. - Area G3. Foto d’inizio lavori (1994: immagine Scuola di Specializzazione).

Fig. 4. - Area G3. Pianta dell’edificio arcaico (da Riccardi 1989a, tav. 92 e pianta scavoScuola di Specializzazione - unite e modificate).

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Il materiale archeologico rinvenuto in questi strati consente di datare la fase ad unlungo periodo, che dalla metà circa dell’VIII secolo giunge alla fine del VII secoloa.C.

Nonostante si sia messa in luce una porzione molto ampia del battuto, presumi-bilmente appartenente ad una struttura capannicola dell’età del Ferro, non sono peròemerse evidenze tali da poterne comprendere la pianta. Anche relativamente al suoutilizzo non vi sono elementi dirimenti (ad esempio tracce di focolari); questo è spie-gabile col fatto che lo stesso battuto fu riutilizzato nella fase successiva come pianodi calpestio dell’ambiente B.

Gli scavi condotti dalla Soprintendenza fra la fine degli anni ’70 e i primi anni’80 del secolo scorso all’interno della stessa area G3 avevano messo in luce, nel-l’approfondimento nel piccolo vano C adiacente al B, una identica situazione (fig.2): un battuto in argilla cruda al di sopra del quale vi erano strati di vita (strato 3a) da-tati fra la fine del IX/inizi VIII e l’inizio del VI secolo a.C. 14. È evidente che i lembidi battuto emersi nell’ambitus C e nell’ambiente B dovevano essere pertinenti ad

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D e nell’ambiente F più distanti, nonostante si sia raggiunta la roccia vergine, non si è rilevata la pre-senza di un simile strato.

14 Riccardi 1989a, pp. 68-70; Ciancio 1989b, pp. 82-83.

Fig. 5. - Area G3. Ambiente B visto da sud-ovest: sulla destra muraglione curvilineo (USM 24-29: im-magine Scuola di Specializzazione).

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un’unica capanna poi abbandonata per la costruzione del grande edificio, che ne hasfruttato il piano per il calpestio e ha compromesso la lettura della pianta con i tagliper la fondazione delle ampie e solide strutture murarie.

La maggior parte del materiale archeologico di questa prima fase è costituito daceramica d’impasto grossolano, non tornita, a pareti spesse, a volte con la superficielucida e lisciata con la stecca, a volte grezzo anche in superficie. La ceramica d’im-pasto rappresenta quasi il 50% di tutto il materiale ceramico rinvenuto; ben rappre-sentata la ceramica acroma non tornita e la ceramica geometrica peucezia; minime leattestazioni di altre classi ceramiche 15.

Nel periodo arcaico, e più precisamente in un momento databile fra la fine del VIIe i primi anni del VI secolo a.C., all’interno di tutta l’area G, e in particolare nel set-tore 3 che qui interessa, avvennero radicali cambiamenti nell’edilizia.

È noto che nell’organizzazione insediativa dell’area apula il VI secolo rappresentiun importante momento di svolta. Gli abitati, che fino ad allora erano composti dagruppi di capanne, cominciano a subire una lenta trasformazione, il cui primo sintomoè la comparsa di strutture quadrangolari con fondamenta in blocchi di pietre a secco,elevato in mattoni di argilla cruda e tetto ‘pesante’ di tegole.

I risultati di questi cambiamenti sono particolarmente evidenti nel sito di MonteSannace. L’altura, che diventerà l’acropoli del grande centro indigeno, nella fase re-lativa all’età del Ferro, ma anche nel periodo arcaico, è sede di un gruppo insedia-tivo che ha scelto di occupare il luogo meglio difeso naturalmente 16. Nel periodoarcaico, nonostante la presenza di nuove costruzioni, l’insediamento mantiene unaorganizzazione degli spazi libera, di tipo definibile preurbano. Gli edifici, vicinis-simi e coevi, 2 e 3 dell’area G, infatti, hanno un orientamento diverso, essendo ilprimo ben orientato in senso N-S il secondo, di cui ci stiamo interessando, in sensoNE-SW (fig. 6).

Il primo importante risultato delle nuove campagne di scavo è stato la ridetermi-nazione della cronologia dell’impianto delle strutture rinvenute: il materiale cera-mico degli strati più antichi, in particolare ceramica del sub geometrico Peucezio I(fig. 7), rivela che il grande complesso dell’area G3 non fu edificato nella II metà/finedel VI secolo come si era ipotizzato nella pubblicazione dei primi scavi 17, bensì neiprimi anni dello stesso secolo se non sul finire del secolo precedente, contempora-

15 Uguale per classi ceramiche e percentuali il materiale archeologico che fu rinvenuto nel vano C.Riccardi 1989a, pp. 77-78. Lo studio del materiale archeologico proveniente dai nuovi scavi dell’areaG3 è stato avviato da diversi anni da chi scrive con la collaborazione di un’equipe di studiosi che avevapartecipato alla fase di scavo; la sua pubblicazione seguirà quella di questo rapporto preliminare.

16 I risultati di un recente lavoro sulle modalità insediative in Peucezia fra VI e IV sec. a.C. indicanoche già in età arcaica l’insediamento di Monte Sannace fosse unico, composto cioè dall’acropoli e dallaparte in pianura (Galeandro 2007-2008 e Galeandro 2010). Tale considerazione va in senso opposto al-l’ipotesi secondo la quale, fino alla fase arcaica, l’insediamento sull’acropoli di Monte Sannace fosseuno dei nuclei di abitato e che altri nuclei, diversi, popolassero la parte in pianura (Scarfì 1962, p. 272;De Juliis 1989a, p. 215; Liseno 2007, pp. 28-29).

17 Riccardi 1989a, pp. 65-78. Cfr. supra p. 36 e nota 10.

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Fig. 6. - Pianta complessiva delle Aree D, H e G (da Galeandro 2007-2008, p. 236, qui modificata).

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neamente dunque all’abitazione definibile a ‘pastas’ della limitrofa area G2 18. In con-seguenza, l’arretramento della datazione del complesso comporta un’incongruenzacon la datazione attribuita alla decorazione architettonica fittile, pertinente in parti-colare all’ambiente A19. Sarà verosimile presumere, dunque, che vi sia stato un rifa-cimento dei tetti in un momento databile alla seconda metà del VI secolo circa,periodo a cui si attribuisce complessivamente la decorazione architettonica rinvenuta.

Altrettanto importanti gli esiti dell’indagine per la definizione completa della pla-nimetria delle strutture, prima nota solo in parte (fig. 4). Nella prima fase dell’utilizzoil grande edificio meridionale (ambienti B, E) era costituito da un ampio vano ret-tangolare allungato al quale seguiva un ambiente più piccolo quasi quadrato, orien-tati, come si è detto, in senso nord-est sud-ovest 20.

Il muro meridionale (USM 1068) è conservato, solo nel filare di fondazione, incorrispondenza dell’ambiente E; non si conserva invece nella sua parte più orientale,

18 Ciancio 1989a, pp. 29-43.19 Cfr. supra note 8 e 10.20 I muri perimetrali dei due ambienti si legano: USM 252 (muro nord e anta est), USM 1037 (muro

ovest), USM 1068 (muro sud). L’USM 251, che divide i due vani, si appoggia alle UUSSMM 252 e1068. Le strutture murarie che costituiscono questo edificio hanno, come altre volte verificato per il pe-riodo arcaico, uno spessore di circa 1 metro.

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Fig. 7. - Frammenti di ceramica sub geometrica (Peucezio I) dall’US 79, amb. B (in alto), dalle UUSS1057, 1064, amb. F (al centro e in basso).

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in corrispondenza dell’ambiente B, in quanto, come accennato, in una fase successivaal definitivo abbandono dell’edificio, il muro fu interessato da una trincea di spolia-zione e poi coperto da un grosso muraglione ad andamento curvilineo (USM 24-29)ancora in situ, per la cui costruzione furono utilizzati verosimilmente i blocchi di pie-tra calcarea dello zoccolo del muro arcaico 21. Probabilmente per la stessa causa leUUSSMM 251 e 1037 si sono rinvenute spoliate, in particolare nella loro porzionemeridionale.

L’ingresso all’edificio, definibile come ‘megaron’, avveniva dal lato corto a est,dove è ben visibile un blocco di stipite ed è conservata la soglia composta da lastredi pietra calcarea (US 77, fig. 8) 22. Diversamente da quanto accade di consueto, l’am-biente di maggiori dimensioni precede quello più piccolo; la norma degli edifici consiffatta planimetria prevede, invece, l’ingresso dal vano di minori dimensioni, che siconfigura come un vestibolo a cui segue il vano maggiore. Il passaggio dall’ambienteB all’ambiente E, che verosimilmente doveva esistere, non è conservato, poiché inuna fase tarda il muro USM 251 fu spoliato nella sua parte centro-meridionale e la

21 Cfr. Galeandro 2001, p. 77. 22 La soglia è costruita in modo tale da allinearsi perfettamente alla parte esterna dell’USM 252; non

raggiunge invece il suo limite interno.

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Fig. 8. - Area G3. Soglia dell’edificio arcaico (amb. B, US 77: immagine Scuola di Specializzazione).

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conservazione del solo filare di fondazione non ha consentito l’individuazione del-l’apertura. Stesse considerazioni valgono per l’USM 1037, chiusura occidentale del-l’edificio, dove è però presumibile che non vi fosse alcun varco.

All’interno dell’ambiente B si sono conservate sul piano di calpestio arcaico, lebasi di due colonne (US 82, circolari, in calcina e pietrisco, del diametro di 60 cm),che dividono longitudinalmente in due parti lo spazio interno, i cui fusti lignei dove-vano essere utili a sostenere il tetto di un ambiente così vasto (fig. 9) 23.

Nell’ambiente E lo scavo si è fermato alla più recente fase della seconda metà delV secolo, poiché si è scelto di lasciare esposto alla fruizione dei visitatori del ParcoArcheologico l’eccezionale rinvenimento di una fornace di cui si dirà in seguito (pp.47-51) . Dunque in esso non è stata messa in luce la fase di vita precedente.

Dalla pianta attuale (fig. 4) si rileva come gli ultimi scavi abbiano fatto escluderel’ipotesi, formulata in seguito alle indagini precedenti, di due edifici gemelli costituitientrambi da un vestibolo seguito da un grande vano allungato (ambienti A e B). Ciònonostante, si conferma che le due strutture parallele fossero legate e coeve. L’USM

23 Come è visibile dalla pianta vi è una piccola ‘base’, sempre circolare e con uguali componenti, postaa poca distanza dalla base della colonna orientale, ma non in allineamento. Difficile formulare ipotesisulla sua funzione.

GLI SCAVI SULL’ACROPOLI DI MONTE SANNACE (1994-2001) 43

Fig. 9. - Area G3. Pianta del ‘megaron’ arcaico (basi di colonne, US 82: pianta scavo Scuola di Specia-lizzazione – qui modificata).

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1037, pur legandosi all’USM 252, non forma con questa un solo angolo, bensì la su-pera verso nord. Si ipotizza che nella prima fase di impianto le UUSSMM 1037 e1052 (muro meridionale dei vani A e F) fossero legate, dunque edificate contempo-raneamente. I dati stratigrafici indicano con certezza che, nel momento in cui av-venne il crollo del tetto dell’ambiente E (I metà del IV secolo, cfr. p. 52), invece,questi due muri si presentavano parzialmente spoliati e separati, come ora li vediamo.Infatti l’US 1059 (crollo di tegole, anche dipinte, pertinenti alla parte nord-occiden-tale del tetto dell’ambiente E) è stata rinvenuta proprio nel punto dove doveva avve-nire l’incrocio dei due muri e in parte anche al di sopra dell’USM 1052 il cui elevatoa quel tempo doveva evidentemente essere già crollato. Pertanto al momento del-l’abbandono dell’edificio alla metà del V secolo – come si vedrà in seguito – deve col-locarsi il crollo o l’intenzionale abbattimento della parete sud del vano F e l’aperturafra questo e il lungo ambitus.

A seguito dell’intervento di scavo, il vano F non si è rivelato un ambiente vero eproprio, come si era ipotizzato, ma uno spazio aperto: manca del muro nord e pro-babilmente anche del muro ovest 24 e non era dotato di una copertura in tegole; al suointerno è stato rinvenuto molto materiale ceramico che documenta la frequentazionedel vano nel periodo arcaico. È presente un’interruzione nel muro 1054, che con-sentiva il passaggio fra l’ambiente A e il vano F. Si è verificato, mettendo in lucenella sua interezza l’USM 1054 e scoprendo una piccola parte dell’USM 1074, cheil grande ambiente A di dimensioni simili a quelle dell’ambiente B, aveva la suaapertura sul lato lungo verso nord, come già era stato ipotizzato 25. Il lungo e strettocorridoio che si formava fra i due edifici, e secondo la nostra lettura aperto soloverso est, doveva assolvere alla funzione di scolo per le acque piovane dagli spio-venti dei tetti 26.

Dunque il complesso dell’area G3 nel periodo arcaico si configurava come un‘megaron’ (ambienti B, E) al quale era affiancato, in stretta relazione fisica, topo-grafica e di certo anche funzionale, un ampio vano rettangolare (ambiente A) di ugualeimportanza e valore (si pensi alla sua estensione e alla ricca decorazione architetto-nica), ma con un ruolo presumibilmente differente, come indicherebbe in specialmodo l’ampio accesso ubicato sul suo lato lungo settentrionale. Vi era inoltre unospazio (F), che sembra configurarsi come aperto, ma comunque frequentato contem-poraneamente agli altri ambienti come ci dimostrano i numerosissimi resti ceramici.

Il materiale archeologico, in prevalenza ceramico, attribuibile alla fase arcaica

24 Cfr. Galeandro 2001, pp. 77-78: «… la mancanza del muro settentrionale è certa (ricordo che inquesto ambiente lo scavo ha raggiunto la roccia vergine), non si può dire lo stesso del muro occidentale,dal momento che l’USM 1037 (che dovrebbe chiudere l’ambiente ad O) potrebbe continuare sotto il li-mite di scavo».

25 Cfr. p. 34 e nota 8.26 Il muretto (USM 1051=r nei vecchi scavi) che divide in due parti uguali l’ambitus e il muretto

(USM q) che lo chiude all’estremità est sono stati aggiunti solo nella fase di IV secolo a.C. (fig. 2).

FABIO GALEANDRO - PAOLA PALMENTOLA44

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proviene dagli ambienti B e F e dall’ambitus D 27. Il numero di frammenti rinvenutinel vano F è di molto superiore rispetto a quello dei frammenti che provengono dalgrande ambiente B. Questa circostanza è da imputare al fatto che l’ambiente B fu in-teressato nel corso dei secoli da un’altra lunga fase di vita; in F, invece, non si sonotrovate attestazioni di strati successivi alla frequentazione arcaica.

Le classi ceramiche più documentate sono quelle indigene, la ceramica acroma equella geometrica peucezia, caratteristiche di questa fase storica; comincia ad esservianche presenza di ceramica a vernice nera, a fasce, pochi frammenti di vasellame dafuoco, di coppe ioniche e di ceramica a vernice rossa e bruna. Diminuisce rispetto allafase precedente la percentuale di ceramica ad impasto. Si nota anche una rilevante pre-senza di frammenti di grandi contenitori.

All’interno dell’ambiente B, si è detto, il piano di calpestio dell’edificio arcaicoera costituito dallo stesso battuto (US 81) della fase precedente 28; in alcuni punti,nella parte più ad est dell’ambiente, esso era stato meglio sistemato con l’ausilio digrosse pietre poste di piatto. Tale battuto era coperto da uno strato di vita (UUSS 71,79, 266), che conservava numerosi frammenti ceramici e lenti di cenere, poi sigillatodal crollo delle tegole del tetto 29 e con queste dall’eccezionale rinvenimento di un’an-tefissa gorgonica, unico elemento architettonico decorativo rinvenuto. L’antefissa èstata rinvenuta in posizione primaria di crollo nella zona sud-orientale dell’ambiente;è possibile dunque che appartenesse alla decorazione della parte meridionale del tettoo a quella della parte orientale, lato di ingresso all’edificio. Appartiene ad un tipo ar-caico di produzione tarantina, datato alla II metà/ultimo trentennio del VI secolo a.C.L’antefissa è semiellittica, la gorgone rappresentata è di tipo orrido, priva però dei ser-penti intorno alla testa, caratteristici di tipi un po’ più recenti; ha sulla fronte capellia ‘lumachelle’ da cui scendono trecce perlinate, la barba è a ciocche aguzze. Ancoraben visibile l’utilizzo dei colori blu e rosso 30 (fig. 10).

In un momento databile all’incirca alla metà del V secolo a.C. tutti gli edifici del-

27 Si ricorda che il vano C fu scavato nella sua interezza già negli scavi precedenti e che l’esplora-zione nell’ambiente E si è fermata alla soprastante fase di II metà V secolo.

28 Quota del piano di calpestio: 369,40 m s.l.m.Nei vecchi scavi, in un approfondimento effettuato all’interno dell’ambiente A, sembra essersi veri-

ficata la stessa circostanza di riutilizzo di un battuto più antico: “quasi a contatto con il piano di calpe-stio arcaico si è intercettato un lembo di battuto in argilla rossastra” (Riccardi 1989a, p. 70).

29 Si tratta di un tetto di tipo laconico sicuramente a doppio spiovente, dato il rinvenimento delle basidi colonne, costituito quasi esclusivamente da tegole curve (nella pubblicazione di dettaglio degli scavidell’area G3 che seguirà questa preliminare lo studio dei tetti dell’edificio è stato affrontato da AlessandraLiseno). Un numero rilevante di queste tegole era dipinto in rosso o in bruno come già si era verificatoper il tetto dell’ambiente A (Riccardi 1989a, p. 66; De Juliis 1989a, p. 219). Cfr. anche nota 8.

30 Cfr. anche Galeandro, Palmentola 2003, pp. 323-324, fig. 304. Si veda in generale Laviosa 1954,pp. 230-235, tav. LXVIII, in particolare n. 2; per un esemplare molto simile al nostro, ma con i capellisulla fronte non resi a ‘lumachelle’, datato alla II metà del VI e proveniente da Monte Papalucio - Oria,si veda D’Andria 1988, fig. 658. Frammenti di antefisse simili sono stati rinvenuti anche nella stessaMonte Sannace: Scarfì 1962, p. 102, fig. 181 (Insula I, amb. 11), p. 229, fig. 202 (Insula II, casa 3, amb.a), p. 259, fig. 221 (Insula II, casa 9, amb. d); Liseno 2001, pp. 105-106 (Insula III).

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l’area G furono abbandonati 31. I dati desunti dallo scavo permettono di constatareche l’abbandono non fu dovuto a cause violente, che gli strati di vita relativi alla fasearcaica rimasero esposti a lungo, tanto da creare una notevole dispersione dei mate-riali, e che all’abbandono dell’edificio composto dai vani B/E non seguì il crollo com-plessivo delle strutture.

È difficile dire nello specifico quale sia stata la causa di questa forte involuzionedel fiorente villaggio arcaico. Le costruzioni più importanti non solo furono tutte si-multaneamente abbandonate, ma quando non molto tempo dopo in alcune ricomin-ciò la vita, esse furono destinate ad un uso totalmente differente rispetto alla faseprecedente: il prestigioso ‘megaron’ (ambienti B, E), edificio pubblico-religioso nelperiodo arcaico (cfr. p. 92), nella seconda metà del V secolo viene in parte (ambienteE) riutilizzato con l’impianto di una fornace. Risulta facile mettere in relazione un cosìimportante cambiamento, diremmo declino, politico-sociale con i noti, tribolati rap-porti che Taranto ebbe col mondo indigeno nella prima metà del V secolo 32.

Tornando ai dati strettamente archeologici, alla fine della frequentazione arcaical’ambiente E rimase pressoché intatto: crollò solo l’angolo nord-orientale del tetto. Ildato è ricavabile – si vedrà nell’analisi della fase successiva – dal fatto che comepiano refrattario della fornace furono utilizzate tegole dipinte in bruno e rosso certa-

31 Per la casa a ‘pastas’ dell’area G2, abbandonata all’inizio del V secolo, cfr. Ciancio 1989a.32 Per il quadro generale delle implicazioni nella guerra con Taranto si vedano nel paragrafo “L’acro-

poli dal V al I secolo a.C.” le pp. 93-94.

Fig. 10. - Area G3. Antefissa dal tetto arcaico (amb. B, US 79: immagine Scuola di Specializzazione).

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mente pertinenti al tetto arcaico (US 1073, figg. 12-13), dal fatto stesso che, proprioin quell’angolo ormai dotato di uno sfogo a cielo aperto, fu impiantata la fornace,nonché dalla constatazione che il restante, potente crollo della parte occidentale emeridionale del tetto arcaico (US 1033) abbia coperto – e sia dunque posteriore – glistrati dell’ambiente E legati all’utilizzo della fornace.

Diverse le modalità del crollo/abbandono all’interno dell’ambiente B. Mentre ladatazione del crollo all’interno dell’ambiente E risulta stratigraficamente chiara e di-stinta in due fasi (circa alla metà del V secolo cade parzialmente il tetto sul qualeviene impostata la fornace, solo quasi un secolo più tardi, quando anche la fornace nonfu più utilizzata, vi fu il totale crollo del tetto e degli elevati), nell’ambiente B non siregistrano queste due diverse fasi, mancando anche del tutto tracce di una frequenta-zione che va dalla metà del V alla metà circa del IV secolo; pertanto il crollo di tettoed elevati deve essere avvenuto dopo una fase di abbandono in un momento databileagli inizi-I metà del IV secolo a.C. 33.

Alla fase arcaica di impianto e utilizzo del grande edificio monumentale seguì,dunque, un cinquantennio circa in cui solo l’ambiente E di tale edificio – non essen-dovi alcuna traccia di vita relativa a questa fase nell’ambiente B – fu utilizzato confinalità del tutto differenti dal periodo precedente.

Nella II metà del V secolo a.C. l’ambiente E fu infatti destinato ad attività pro-duttive con l’impianto al suo interno di una fornace, posizionata nell’angolo nord-estfra le UUSSMM 251 e 252 (fig. 11). La fornace è circolare, ha un diametro di m 2circa e ha la sua apertura verso sud-ovest 34.

Quando alla metà circa del V secolo l’edificio fu abbandonato, crollò – si è detto– solo parzialmente l’angolo nord-est del tetto dell’ambiente E. Fu proprio in que-st’angolo divenuto a cielo aperto che fu costruita la fornace e le tegole del tetto ar-caico, molte delle quali rinvenute ancora con tracce di colore rosso o bruno, furonoutilizzate alla base della fornace, come piano refrattario 35. Tale piano (US 1073) è co-stituito proprio dai grossi frammenti di queste tegole posizionati di piatto, uno accantoall’altro con cura tale da non lasciare quasi interstizi fra l’uno e l’altro né creare so-vrapposizioni (figg. 12-13). Questo strato ha un diametro un po’ più ampio dei so-prastanti muri perimetrali, infatti alcune tegole posizionate allo stesso modo sono staterinvenute anche appena al di fuori del cordolo di concotto che costituisce appunto laparete della fornace (US 1044, fig. 14). Al di sopra del piano refrattario vi era uno

33 È significativa a tal proposito la differenza di quota fra lo strato di abbandono della fase di vita dellafornace (369,40 m s.l.m.) e quella dello strato di abbandono all’interno del contiguo ambiente B (369,90m s.l.m.): la quota all’interno dell’ambiente B è considerevolmente più alta di quella dell’ambiente Etanto da giustificare un lungo periodo di abbandono dell’ambiente.

34 La scelta del luogo dove ubicare la fornace è significativa, infatti accade spesso che queste strut-ture siano posizionate in modo da essere protette dai venti. «Racchiuderla dentro un locale (qualunquesia) permette di diminuire la differenza di temperatura rispetto all’ambiente esterno e quindi ridurre leperdite di calore (con risparmio del combustibile) […]», in Cuomo di Caprio 2007, p. 512.

35 Sulla ipotesi ricostruttiva della sequenza stratigrafica si veda Galeandro 2000, p. 62 e 2001, p. 79.

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Fig. 11. - Area G3. Fornace (amb. E: immagine Scuola di Specializzazione).

Fig. 12. - Area G3. Fornace. Piano refrattario (US 1073: immagine Scuola di Specializzazione).

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Fig. 13. - Area G3. Fornace. Piano refrattario (US 1073, particolare: immagine Scuola di Specializza-zione).

Fig. 14. - Area G3. Fornace. (US 1044, particolare del piano refrattario esterno ai muri perimetrali, fraUS 1022 e USM 252: immagine Scuola di Specializzazione).

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FABIO GALEANDRO - PAOLA PALMENTOLA50

Fig. 15. - Area G3. La fornace in corso di scavo (immagine Scuola di Specializzazione).

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strato di cm 5 ca di argilla cruda di colore giallino (US 1075) di preparazione al veroe proprio fondo della camera di combustione: cm 1,5 ca di argilla cotta ben lisciata(US 1072), rinvenuto intatto solo nella parte nord-est della fornace a ridosso dei muriperimetrali. Le pareti della struttura circolare (US 1022) erano composte da un cor-dolo di argilla giallo-bruna (di spessore fra 5 e 8 cm), concotta, avevano andamentoverticale con una leggera concavità (l’altezza delle pareti era di circa 50 cm); in cor-rispondenza del praefurnium il cordolo si apriva in due bracci, spessi, corti e di mi-nore altezza, di argilla cruda (US 1042, fig. 15). La fornace non si appoggiava di-rettamente ai due muri settentrionale e orientale dell’ambiente, ma fra il cordolo egli zoccoli in pietra calcarea erano poste due coppie di mattoni cuscinetto di argillacruda (US 1023, fig. 17) 36. All’interno della fornace, al di sopra del fondo, è statotrovato un consistente strato di bruciato (US 1070) e il disfacimento della griglia dicottura di argilla cotta come quella delle pareti (US 1029) 37. Nulla è stato rinvenutorelativamente alla copertura, probabilmente non permanente, ma composta appo-sitamente ad ogni ciclo di cottura 38.

All’interno dell’ambiente E, al di fuori dello spazio occupato dalla fornace, è statoindividuato il piano di calpestio relativo alla fase di utilizzo della seconda metà delV secolo, che consiste in lembi di un battuto, grigio, compatto e con superficie piana(US 1043). Al di sopra di questo uno strato di bruciato, frustuli di carbone e tracce ci-nerose, che interessava l’intero ambiente (US 1041) 39. La presenza di ceramica in que-sto strato è scarsa e praticamente assente è nello strato 1070 all’interno della fornace.Questa circostanza è spia del fatto che il momento in cui la fornace non fu più utiliz-zata non coincide con quello dell’obliterazione di tutto l’ambiente; solo dopo una espo-sizione degli strati d’uso della fase appena analizzata vi fu il crollo del restante tettoe degli elevati che obliterò e sigillò tutto l’ambiente. Questa stessa circostanza ha pro-dotto un effetto negativo: l’impossibilità, a causa della dispersione dei materiali, dicomprendere cosa nella fornace fosse prodotto 40.

36 Queste le misure dei quattro mattoni: cm 45 x 11; cm 46 x 9,5; cm 31 x 11; cm 37 x 11.37 Non è stato possibile stabilire in che modo la griglia fosse sostenuta, non essendo emersi resti che

facciano pensare né a un pilastrino centrale, né a meno probabili muretti radiali o paralleli. È possibileanche che in piccole fornaci il sostegno fosse provvisorio, “il piano era costruito in argilla spalmatasopra un soppalco di legno” e dunque ogni volta reinserito (Cuomo di Caprio 1972, p. 410). La fornacepertanto sembra rientrare fra quelle definite ‘verticali a fuoco intermittente’ del tipo I/a della classifica-zione della Cuomo di Caprio (1972, pp. 404-414 e 2007, in particolare pp. 508-521), cioè con cameradi combustione a pianta rotonda/ellittica, con pilastrino centrale o sostegno provvisorio.

38 La volta era spesso temporanea e, in particolare in questo tipo di fornaci di non grandi dimensioni,era ricostruita ad ogni necessità.

39 La quota del piano della fornace è uguale alla quota del piano di calpestio dell’ambiente in questastessa fase: m 369,40 s.l.m. ca. Si noti che questa quota è uguale a quella del piano di calpestio arcaicoall’interno dell’ambiente B (cfr. nota 28); il dato farebbe pensare che, per quanto sia presente una pen-denza in direzione ovest, cioè verso l’amb. E, il battuto della fase di vita della fornace sia stato presso-ché lo stesso di quello della fase precedente, si è più volte detto, non indagata nell’ambiente E.

40 È pur vero che i prodotti di scarto della fornace dovevano essere deposti al di fuori dello spazio incui avveniva la produzione e che solo un caso raramente fortunato avrebbe consentito il rinvenimentodel carico di cottura all’interno della fornace stessa.

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Nei primi decenni del IV secolo a.C. è databile il crollo di tutto l’edificio ar-caico. Nell’ambiente E vi fu per prima cosa il crollo della parte sud-occidentale deltetto, ancora rimasta in piedi, di cui si è rinvenuto un potente strato di laterizi (US1033, fig. 16) 41, a cui seguì il crollo dell’intera parete in mattoni di argilla cruda(UUSS 1012, 1024 all’interno della fornace; UUSS 1021, 1028=1030, 1031=1032,1062 parte ovest e sud dell’ambiente). Allo stesso modo nell’ambiente B, già da oltrecinquanta anni in disuso, al crollo del tetto direttamente sul piano di calpestio e su quelche rimaneva, dopo una più o meno lunga esposizione 42, degli strati di vita, seguìanche il crollo degli elevati (UUSS 63=64=255, 69=259). Lo strato che costituisce il

41 Un simile strato di tegole è stato rinvenuto nella parte occidentale esterna all’ambiente E (US 1039,ad ovest dell’USM 1037, fig. 16): il fatto che si tratti in prevalenza di tegole piane, con bordo rialzato,dipinte, induce ad interpretarle come il crollo della parte terminale dello stesso tetto dell’ambiente E. Ariprova del fatto che nell’angolo dove fu impiantata la fornace non vi fosse più il tetto perché già crol-lato si noti che la presenza di tegole di crollo appartenenti a questa fase di obliterazione all’interno dellafornace è quasi inesistente (US 1026, fig. 17).

42 Non abbiamo la certezza che il crollo degli elevati dei due ambienti sia avvenuto simultaneamente;il crollo dell’ambiente B potrebbe essere avvenuto in un momento precedente, durante la lunga fase diabbandono. È verosimile, inoltre, che il crollo del tetto dell’ambiente B sia avvenuto in un momento dimolto precedente al crollo dei muri dello stesso ambiente, in quanto la presenza di tegole è sì alta, manon tanto da considerarsi il crollo di un intero tetto. Pare pertanto che, dopo il crollo del tetto e prima diquello dell’elevato, sia trascorso un tempo tale da permettere la parziale dispersione delle tegole.

Fig. 16. - Area G3. Pianta del crollo del tetto arcaico (Amb. E, UUSS 1033, 1039) (pianta scavo Scuoladi Specializzazione – qui modificata).

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crollo dell’elevato arcaico ha una potenza di oltre 60 cm e interessa la totalità dellospazio interno ad entrambi gli ambienti 43; nell’ambiente E è riconoscibile il profilodi qualche mattone, ma in prevalenza lo strato si presenta come il risultato del disfa-cimento della parete di mattoni di argilla cruda essiccati.

Più interessanti i dati evidenziati nell’ambiente B dove in particolare è ben visi-bile il crollo del muro settentrionale, USM 252, in direzione sud verso l’interno del-l’ambiente, avvenuto eccezionalmente senza che gran parte del muro si disfacesse, per-mettendo dunque di farne ancora apprezzare l’originaria composizione dei filari dimattoni, uno all’altro sovrapposti e affiancati 44 (figg. 18-21). Fra un mattone e l’al-tro, e sul lato corto e sul breve, era ancora leggibile la traccia marrone scuro, di quella

43 Nonostante lo spessore del crollo sia uguale nei due ambienti, molto diverse sono le quote: Amb.B quota min. 369,80 m, max. 370, 50 m s.l.m.; Amb. E quota min. 369,40 m, max, 370,10 m s.l.m. Que-sto si giustifica con la diversità nei due ambienti della storia precedente al momento del crollo (cfr. note33 e 39). Un crollo altrettanto importante si era rinvenuto nell’ambiente A (Riccardi 1989a, p. 68).

44 Circa 1 m a sud dell’USM 252, sotto lo strato del crollo dell’elevato, ma comunque sopra qualcheresiduo dello stesso e delle tegole del tetto, è stato rinvenuto, per una lunghezza di circa 5 m lungo il muroe una larghezza non costante di max. 1 m, un sottile strato composto da calcina e piccole pietre che perposizione di crollo e composizione sembra interpretabile come il disfacimento di quello strato postosulla sommità dello zoccolo del muro, utile a “cementare” le travi lignee che costituivano il telaio ver-ticale dell’elevato.

Fig. 17. - Area G3. Pianta della fornace (US 1022: muri perimetrali; US 1023: mattoni cuscinetto; US1026 crollo del tetto arcaico) (pianta scavo Scuola di Specializzazione - qui modificata).

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FABIO GALEANDRO - PAOLA PALMENTOLA54

Fig. 18. - Area G3. Pianta del crollo della parete in mattoni crudi (Amb. B, UUSS 255, 63: pianta scavoScuola di Specializzazione – qui modificata).

Fig. 19. - Area G3. Crollo della parete in mattoni crudi (Amb. B, US 63: immagine Scuola di Specia-lizzazione).

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che doveva essere la origina-ria intelaiatura di legno 45. Imattoni sono di due tipi, di ar-gilla rossa oppure chiara,giallo-ocra 46, ogni mattone èlungo cm 50 circa e alto fracm 10 e 12; lo spessore con-servato (probabilmente risul-tante dall’affiancamento di al-meno due mattoni) è di circacm 70, ma doveva essere inorigine m 1 circa, cioè quantol’intero spessore del muro.

45 La traccia, sia in verticale chein orizzontale, misurava cm 2 o 3.

46 I mattoni giallo-ocra hanno nel-l’impasto numerosi grumi di calcinabianchi di dimensioni fino a 1 cm cadi diametro. I due tipi di mattonisembrano utilizzati indistintamente,ma con una prevalenza di quelligiallo-ocra.

Fig. 20. - Area G3. Crollo della parete in mattoni crudi (Amb. B, US 63: immagine Scuola di Specia-lizzazione).

Fig. 21. - Area G3. Crollo della parete in mattoni crudi (Amb.B US 63: immagine Scuola di Specializzazione).

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Sono conservati 14 filari per una lunghezza massima di m 4 e un’altezza di m 1,80.Aggiungendo questa altezza a quella della parte a vista dello zoccolo di pietre a secco47

abbiamo una misura certa minima di m 2,80/3 per l’intero elevato, dal piano di cal-pestio al punto su cui poggiavano le travi del tetto. Considerando che il tetto dovevaessere a doppio spiovente, l’altezza massima interna dell’ambiente, nonché l’altezzadelle colonne, doveva essere verosimilmente superiore ai 4 metri.

Nella parte centro meridionale dell’ambiente e nei due angoli nord-est e nord-ovest lo strato è composto dal disfacimento di tali mattoni senza che se ne possanoindividuare i profili.

Dunque, in un momento databile ai primi decenni del IV secolo nulla restava piùin piedi dell’edificio arcaico se non gli zoccoli dei muri; all’interno tutto era oblite-rato quasi fino all’altezza della cresta dei muri a secco 48.

Le più recenti testimonianze archeologiche documentano per il periodo successivouna nuova, ultima fase di vita dell’area G3 (metà IV-III sec. a.C.). Il momento ini-ziale di questa fase è databile alla metà del IV secolo a.C. ca. o ad un momento di pocoprecedente: il materiale archeologico che permette la datazione è collocabile nel IVsecolo; nei casi in cui è possibile circoscrivere la datazione, essa rimanda alla se-conda metà dello stesso secolo. Il termine definitivo della frequentazione è databilealla fine del III - inizi del II secolo a.C. 49. Il momento iniziale di questa nuova occu-pazione è di poco posteriore al crollo della struttura arcaica e contemporaneo ad unanuova fase di totale risistemazione urbanistica dell’acropoli e dell’intero centro diMonte Sannace.

L’area G è interessata dalla metà del IV secolo da numerosi e radicali cambia-menti (fig. 6). La casa a ‘pastas’ del settore G2, dopo un lungo periodo di abban-dono, viene nuovamente occupata con funzione totalmente diversa rispetto all’usodomestico/palaziale di età arcaica: la struttura esistente viene dotata di un nuovogrande ingresso monumentale, con colonne sulla fronte, che apre in direzione sud, tra-mite il quale si accede agli spazi, prima pertinenti alla struttura abitativa, destinatiora eccezionalmente ad accogliere alcune sepolture entro tombe a semicamera certa-mente relative a personaggi eminenti della comunità locale 50. Nel settore G1, collo-cato immediatamente a nord del settore 2, viene edificata verso la fine del IV secolo,

47 La quota media del piano di calpestio arcaico è di 369,40 m s.l.m., la quota media dell’USM 252è di 370,60 m s.l.m.: abbiamo dunque una misura media della parte a vista dello zoccolo di 1,20 m.

48 La quota degli strati di crollo è mediamente di 370,20 m s.l.m., la quota della cresta del muro 252è mediamente 370,60 m s.l.m.

49 La datazione alla metà del IV secolo è resa possibile da attestazioni di coppette monoansate: Morel2277b1 (US 1011); coppette: Morel 2782b1 (US 1004); piatti: Morel 1742 (US 1004) e 2233i1 (US1004); skyphoi: Morel 4373b1 (US 1011) e 4311 (US 35); lekythos: Morel 5416d (US 35). La datazionedel momento finale fra il termine del III secolo e gli inizi del II è resa possibile da attestazioni di coppe:Morel 2538a/c (UUSS 1004, 1011); piatti Morel 1314 (US 1004).

50 Ciancio 1989a, in particolare pp. 43-45. Questa nuova destinazione d’uso rimane invariata perpoco meno di un secolo, fino a quando avviene un altro sostanziale cambiamento e, dopo la violazionedelle tombe, alcuni degli spazi del settore 2 vengono utilizzati in relazione alla vicina e confinante ‘casaellenistica’ del settore 1.

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in uno spazio non interessato da evidenze precedenti, una grande e lussuosa abitazioneche sarà occupata fino alla prima metà del I secolo a.C. 51: la casa a peristilio G1 èorientata in senso est-ovest e il suo lato corto ovest, che costituisce il prolungamentodel muro perimetrale occidentale dell’edificio del settore G2 al quale si appoggia, in-sieme a quest’ultimo confina con un asse stradale che pare essere stato creato proprioin questa fase ellenistica. La strada, quasi perfettamente orientata in senso nord-sudha come limite orientale i muri di cui si è appena detto dell’area G1 e 2, il suo limiteoccidentale invece è costituito da un muro edificato al solo scopo di delimitare il per-corso viario (muro e, fig. 6) 52. Sembra che questa strada – larga 5 m e di cui si sonoevidenziati nell’area G oltre 15 m del suo percorso – incrociasse quasi ad angoloretto, all’altezza della parte settentrionale della casa a peristilio, un altro asse viarioproveniente da ovest il cui limite meridionale è pure un lungo muro (muro b, fig. 6)appositamente costruito per questo scopo 53. L’esigenza di realizzare questi muri nonutili se non a delimitare uno spazio nasceva dal fatto che l’area G3 fosse occupata dauna costruzione – l’edificio arcaico – con orientamento irregolare: è questo un fon-damentale cambiamento nella concezione complessiva dello spazio urbano, avvertitocome libero e aperto nella fase arcaica in cui venivano edificate strutture vicine noncondizionate da uguale orientamento, ma ora, nella fase ellenistica, considerato comeun tutt’uno da suddividere e organizzare in maniera razionale 54.

All’interno di questa nuova maglia urbana i cambiamenti strutturali dell’area G3sono assai limitati, più importanti sono, ancora una volta, quelli funzionali 55. Suc-cessivamente al crollo delle strutture arcaiche, non ci sono elementi che fanno pen-sare ad una continuità nell’utilizzo del vano F e dell’ambiente A. Nuove, benchépovere attestazioni di vita provengono invece dal complesso degli ambienti B ed E.

Al di sopra degli strati di crollo dell’elevato di età arcaica si è rinvenuto in en-trambi gli ambienti un piano di calpestio uniforme composto da un sottile e compattostrato di colore biancastro (Amb. E: US 1017; Amb. B: US 61), che documenta unanuova fase di occupazione. Il piano dell’ambiente B, posto immediatamente al disopra del crollo dei mattoni di argilla, era all’incirca in quota con ciò che rimane oggidella cresta dello zoccolo dei muri a secco; era posto ad una quota sensibilmente più

51 Rossi 1989b.52 È da questa USM in particolare che viene un’indicazione circa la cronologia: «Lungo il versante

W sono inseriti in esso alcuni blocchi calcarei ed un grande blocco in tufo […] al di sopra del quale èstata rinvenuta una moneta d’argento di zecca tarantina, databile fra la fine del IV ed il III secolo a.C.(che costituisce un terminus ante quem per la cronologia della struttura)», da Riccardi 1989a, p. 67.

53 Il muro b copre il muro e e dunque è ad esso posteriore; inoltre, è detto da chi ha seguito lo scavo,il muro b rispetto a e mostra “una tecnica molto differente e più raffinata, simile a quella usata per le strut-ture della casa del settore 1” (Riccardi 1989a, p. 67). Sembra pertanto che il muro b sia posteriore, sepur di poco, al muro e, datato ad un momento precedente alla fine del IV secolo (cfr. nota precedente),e contemporaneo all’edificazione della ‘casa ellenistica’ databile sul finire del IV secolo.

54 Si noti che identico accorgimento è stato utilizzato per l’incrocio di strade nella parte sud dell’areaD (cfr. infra pp. 73-74).

55 Unico cambiamento strutturale databile a questa fase è la costruzione di due muretti (q e r) tramitei quali si divide l’ambitus in due vani C e D e lo si chiude all’estremità est (fig. 2).

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bassa, invece, il piano di calpestio dell’ambiente E 56. Circa la datazione dell’iniziodi questa ultima fase di occupazione, oltre che la cronologia della più antica cera-mica degli strati di vita/abbandono soprastanti, è stato di ausilio il rinvenimento di unamoneta di bronzo emessa da Metaponto, databile fra l’ultimo venticinquennio del Ve la metà del IV secolo a.C., emersa nell’interfaccia fra lo strato di crollo (US 64) eil successivo piano di calpestio (US 61) 57.

Gli strati pertinenti alla vita e al successivo definitivo abbandono del complessocostituito dagli ambienti B ed E pur restituendo una discreta quantità di materiale ar-cheologico, ceramico in particolare, non forniscono testimonianze utili a stabilire lafunzione che in questa fase gli ambienti dovettero avere. Dai resti dell’ultimo crollodegli elevati emerge chiaramente, invece, che per questa fase furono edificati, sfrut-tando i vecchi zoccoli di pietre calcaree composte a secco, nuovi muri costituiti damattoni di argilla cruda (UUSS 27, 35, 38, 50, 53, 56, 59 nell’ambiente B; UUSS1004, 1008, 1011 nell’ambiente E), ma che il tetto, se presente, non era costituito dategole in quanto non è stata rinvenuta alcuna traccia che lo documenti. Dunque, le evi-denze che è stato possibile considerare farebbero escludere un utilizzo domestico dientrambi gli ambienti, in particolare in considerazione della fase storica a cui esseappartengono e della ricchezza ed elaborazione della composizione planimetrica estrutturale delle altre abitazioni presenti nell’area.

Sembra potersi affermare, in conclusione, che nel periodo ellenistico l’utilizzo delcomplesso G3 sia stato assai marginale, probabilmente non autonomo, ma connessoalla vita di altre strutture coeve. Può essere considerata prova indiretta la dispersionenelle unità stratigrafiche più superficiali, posteriori al termine definitivo della vitanell’edificio G3 (fine del III secolo circa), di classi ceramiche di datazione più re-cente, quali terra sigillata o ceramica a pasta grigia, che non possono che essere pro-venienti dalla frequentazione di altre strutture ancora in vita nel II e I secolo a.C.,come per esempio la casa ellenistica del settore G1.

(P.P.)

1.2. Gli scavi dell’Area D

Lo scavo nell’area D ha interessato una zona ancora vergine estesa circa 25 x 15m, posta al limite meridionale dell’area; immediatamente a ovest di questa vi è la re-sidenza ellenistica (zona delle ‘grandi tombe’ rinvenute dalla Scarfì), a est la zonadegli scavi medievali (cosiddetta chiesa di Sant’Angelo). L’interesse per questa spe-cifica area è nato da alcune riflessioni: una più generale, che essa è collocata nellaparte centrale dell’acropoli e un’altra più specifica che, secondo l’interpretazione

56 Quota dei muri: min. 370,50, max. 370,70. Ambiente B, US 61, 370,50 m s.l.m.; Ambiente E, US1017, 370,10 m s.l.m. Circa la ragione di tale differenza di quota si veda p. 47, nota 33.

57 Lo studio e la datazione della moneta si devono a Maria Pina Gargano che, nella pubblicazione didettaglio che seguirà questa preliminare, si è occupata delle monete e in generale dei metalli rinvenuti.

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della Scarfì, questa porzione doveva chiudere a sud-est lo spazio, libero da costru-zioni, utilizzato come agorà del centro antico almeno in età ellenistica, nel momentocioè del suo massimo splendore 58 (fig. 22).

Le fasi insediative

I resti più antichi rinvenuti in quest’area sono databili alla I età del Ferro 59. Moltesono in questa porzione di acropoli le evidenze relative a questa fase (fig. 23): in unospazio ancora sgombro – la costruzione del grande edificio si data infatti alla fase suc-

58 Resoconti delle annuali campagne di scavo nell’area D sono nel ‘Notiziario’ della rivista Taras: DeJuliis, Palmentola 1999, Palmentola 2000, Eadem 2001, Eadem 2002. Per gli scavi della zona delle‘grandi tombe’ si veda Scarfì 1962, pp. 121-134, per la parte sugli scavi medievali, chiesa di Sant’An-gelo, Scarfì 1962, pp. 134-142.

59 Le datazioni relative alle varie fasi di occupazione di questa porzione dell’area D non potranno es-sere circoscritte, poiché lo studio del materiale rinvenuto non è ultimato.

GLI SCAVI SULL’ACROPOLI DI MONTE SANNACE (1994-2001) 59

Fig. 22. - Area D. Pianta complessiva dell’area, aggiornata al 1961 (da Scarfì 1962, tav. I).

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cessiva – si è rinvenuto un mura-glione rettilineo (USM 83, fig.24), che copre direttamente laroccia vergine e corre per 10 mca. in direzione circa est-ovest.Esso, rinvenuto spoliato nella suaparte centrale, ha uno spessoremassimo di 1,10 m ed è costi-tuito da grossi conci di calcaresolo sbozzati e da alcune grosseparti di roccia vergine; i suoi li-miti si perdono a ovest in corri-spondenza dell’USM 35 (murooccidentale del grande edificiosuccessivo), a est appena al di làdell’USM 32 dalla quale è co-perto. In relazione con questogrosso muro vi è l’US 76, rinve-nuta sia a nord che a sud di esso,costituita da uno strato piano ecompatto di terra marrone scuroall’interno della quale vi sonopietrine e frammenti minuti diceramica, interpretabile come unpiano di calpestio intenzional-mente sistemato 60. Immediata-mente a sud dell’USM 83 sonostati evidenziati pochi residui di

calcina di colore chiaro, biancastro, che coprono l’US 76 e possono essere interpre-tati forse come un residuo dell’elevato dello stesso muraglione.

Pochi metri più a nord del poderoso muro si è rinvenuta traccia di una capanna.L’evidenza è costituita da un solco curvilineo (US 137, fig. 25) praticato nello stratoroccioso piano, che si perde, in particolare verso sud, dove il compatto strato naturaletermina lasciando il posto ad uno strato a matrice terrosa. All’interno dell’ampio, sep-pur parziale, spazio descritto erano presenti numerosi buchi per pali non ordinata-mente distribuiti, aventi un diametro di circa 10/15 cm e una profondità di circa 15cm; non sembra che altri pali lignei fossero previsti all’esterno del perimetro della ca-

60 US 76 quota s.l.m.: min. 373,16, max. 373,28. La parte rinvenuta della US 76 è in corrispondenzadello spazio che nella fase successiva sarà relativo all’ambiente B del grande edificio D; immediatamentea est, nella parte che interesserà l’ambiente C, si è rinvenuta una uguale unità stratigrafica (US 135), in-teressante perchè testimonia la prosecuzione in quella direzione del piano di calpestio e presumibil-mente anche del muraglione.

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Fig. 24. - Area D. Muraglione rettilineo (USM 83: imma-gine Scuola di Specializzazione).

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panna, né all’interno del solco che costituiva la base dell’elevato. Non è possibileipotizzare, a causa della misura limitata del perimetro conservato, la forma che la ca-panna dovette avere in origine e il suo punto d’ingresso. È ipotizzabile, invece, chelo strato roccioso, piano e compatto, tagliato per praticare il solco, costituisse il pianodi calpestio dell’abitazione (quota: 370,20-370,25 m s.l.m.). Al di sopra, nello stratodi vita/abbandono (US 44), nonché all’interno dello stesso solco, traccia della ca-panna, si è rinvenuta grande abbondanza di ceramica di impasto levigata, frammentidi ossa e scarti di lavorazione di selce.

Circa un metro ad ovest della capanna era ben visibile una coppia di solchi retti-linei e paralleli – praticati anch’essi nello strato roccioso e aventi all’incirca stessa lar-ghezza e profondità – dei quali al momento non si è in grado di fornireun’interpretazione (fig. 26) 61.

A nord est della traccia di capanna, inoltre, si è rinvenuta una struttura assai inte-ressante, quadrata (m 1,10x1), orientata in senso nord-est sud-ovest, composta da trebracci di pietre sovrapposte di piccole e medie dimensioni 62 e aperta sul lato meri-dionale (US 66, fig. 27). Al suo interno vi erano scarse tracce di bruciato, resti osseie frammenti ceramici non dirimenti; più interessante, invece, lo strato posto imme-diatamente all’esterno della struttura, nei pressi della sua imboccatura: compatto, con

61 È stato ipotizzato, anche per confronto con situazioni simili, che si tratti di canali utili al drenag-gio delle acque o all’irrigazione (Liseno 2007, p. 169).

62 I tre bracci avevano uno spessore e un’altezza di 20 cm ca.

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Fig. 25. - Area D. Solco di capanna (US 137: immagine Scuola di Specializzazione).

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GLI SCAVI SULL’ACROPOLI DI MONTE SANNACE (1994-2001) 63

Fig. 26. - Area D. Coppia di solchi paralleli e solco di capanna visti da est (immagine Scuola di Spe-cializzazione).

Fig. 27. - Area D. Struttura quadrata (US 66: immagine Scuola di Specializzazione).

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FABIO GALEANDRO - PAOLA PALMENTOLA64

Fig.

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superficie piatta, approssimativamente circolare, composto da argilla concotta, in par-ticolare nella parte superficiale, che presentava, inoltre, ampie tracce di cenere (UUSS128, 129 fig. 23). Le evidenze inducono all’ipotesi che si tratti di un focolare, evi-dentemente in relazione, cronologica e di uso, con la vicina capanna e con la strut-tura quadrata appena al di fuori della quale esso si trova. Difficile stabilire quale fossela funzione della struttura quadrata, se avesse mera funzione domestica legata allacontigua base di cottura o se entrambe le evidenze fossero in qualche modo legate amanifestazioni di tipo sacrale.

Gli strati di vita e abbandono pertinenti a questa prima fase insediativa sono da pertutto e uniformemente conservati e hanno una potenza media di 20 cm 63. Al loro in-terno era presente una quantità elevata di ceramica di impasto grossolano, con su-perficie ben levigata nera o arancio/rossiccio, e di ceramica geometrica.

Successivamente a questa fase protostorica, in un momento probabilmente ancoradatabile sullo scorcio dell’VIII secolo a.C. avviene una radicale risistemazione del-l’area. Sui resti degli strati di abbandono della fase precedente, la cui superficie costi-tuirà a lungo il nuovo piano di calpestio, viene eretto un edificio di considerevolidimensioni, rettangolare con base solida (fig. 28). Il maestoso edificio D è delimitatoda quattro zoccoli di muri portanti fra loro in fase, di circa 1 m di spessore, che poggianodirettamente sullo strato roccioso e sono composti prevalentemente da grossi blocchi dicalcare sbozzati e posizionati a secco in modo tale da creare nella norma un doppio pa-ramento. Sono presenti anche blocchi che occupano l’intero spessore del muro diso-mogeneamente distribuiti e alcuni, in particolare nel muro ovest (USM 35), costituiti daroccia vergine. In molti punti la posa in opera degli zoccoli murari appare poco accu-rata; in particolare, lo spazio fra un blocco calcareo e l’altro, riempito solo da terreno epietre di piccole dimensioni, sembra spesso di ampiezza tale da mettere in dubbio la pos-sibilità di stabilità di un elevato solido (in particolare lungo il muro sud, USM 19).

La sovrapposizione, avvenuta in età medievale 64, di una struttura quadrata al li-mite est dell’edificio D (fig. 6) non ha consentito l’individuazione della parte termi-nale della USM 9 (muro nord) e di gran parte del muro est di chiusura dell’edificio(USM 110), non ha permesso inoltre di verificare la presenza, ipotizzabile su questolato breve, di un ingresso. Un ampio ingresso all’edificio è presente alla metà circa dellato lungo nord: esso, non essendo dotato di una soglia, è una semplice interruzione frale UUSSMM 3 e 9; una soglia composta da blocchi di tufo si è individuata invecelungo il muro meridionale (USM 19). Quest’ultimo ingresso all’edificio fu in parteobliterato in un momento di poco successivo al primo impianto, tramite la creazione

63 US 44 in corrispondenza di quello che sarà nella fase successiva il vano A, US 43 in corrispondenzadell’ambiente B, US 132 in corrispondenza dell’ambiente C (per la pianta della fase successiva cfr. fig.28). Le quote della superficie del complesso degli strati variano da un minimo di 373,20 m s.l.m. ad unmassimo di 373,90 m s.l.m. procedendo da ovest verso est (per un’estensione di circa 15 m) a causa diuna sensibile pendenza riscontrata in ogni strato fino al piano di campagna.

64 Per quest’area di scavo cfr. Scarfì 1962, pp. 134-142; Rossi 1989a; Laganara Fabiano 2000 e 2001.

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dell’USM 28, che divide in due ambienti (messi in comunicazione tramite una sogliamediana) il grande spazio rettangolare dell’edificio appoggiandosi a nord alla USM 9e coprendo a sud la parte più orientale della suddetta soglia. A causa dell’inserimentodi questo muro divisorio, l’ampiezza della soglia meridionale fu ridotta ad una luce di1 solo metro (come nel caso del passaggio interno attraverso il muro 28) dai 2 metricirca iniziali, misura che la accomunava all’ingresso settentrionale: è possibile che ildimezzarsi dell’ampiezza del passaggio abbia modificato il ‘ruolo’che lo stesso aveva.

Pertanto, l’edificio D presenta una prima e breve fase in cui non ha al suo internoalcuna suddivisione; una seconda, cronologicamente vicina, nella quale viene rea-lizzato un muro, l’USM 28, che divide l’intero spazio in due ambienti, uno rettan-golare allungato (ambiente B), l’altro quadrato (ambiente E) 65. Già in una faseiniziale, dunque, l’edificio D si configura per planimetria come un ‘megaron’.

Sulla composizione dell’elevato e del tetto si possono fare alcune considerazioni:poiché non sono stati trovati in fase di scavo resti di tegole in numero tale da ipotiz-zare la presenza di un tetto solido, si può affermare che la copertura, che presumibil-mente l’edificio doveva avere, dovette essere straminea 66. Anche riguardo all’elevatonon è emerso alcun elemento che ne abbia permesso l’identificazione, non essendopresente uno strato di crollo né di mattoni crudi né d’altro. Questa circostanza, in-sieme alla constatazione, qui già enunciata, che in molti punti i muri portanti non sem-brano avere struttura e composizione tale da poter reggere un elevato in mattoni comequelli che conosciamo per altri edifici simili, induce ad ipotizzare che, oltre al tetto,anche l’elevato dell’edificio D fosse composto in prevalenza da materiale deperibile.

La datazione molto alta, le caratteristiche strutturali, l’ampiezza, la posizione degliingressi e, vedremo, i resti rinvenuti relativi a questa fase di frequentazione, indu-cono ad ipotizzare che l’edificio D fosse una ‘struttura ricettiva’ di carattere pubblicoe sacro, come fa pensare anche la posizione centrale ed eminente all’interno del sito.I dati, in questa fase di studio, tuttavia non consentono di escludere anche una fun-zione domestica, privata 67.

Il piano di calpestio di questa fase di vita dell’edificio D, che sembra esaurirsi solocon il VI secolo a.C., è costituito dalla superficie degli strati di abbandono relativi allafrequentazione precedente (US 43 amb. B; US 132 amb. C 68; US 134 amb. E; US 44

65 Non è possibile stabilire con precisione quando questo muro divisorio sia stato eretto, ma è certoche la suddivisione dello spazio interno sia avvenuta in un momento molto vicino all’edificazione deimuri portanti, in quanto tutti gli strati di vita si appoggiano a questo muro divisorio così come ai muriperimetrali.

66 Alla considerazione alla quale facilmente si arriva grazie alla mancanza di un pur minimo stratodi crollo di tegole, si aggiunga la valutazione del fatto che sarebbe stato difficile, per giunta in epoca cosìantica, coprire con un tetto solido lo spazio così ampio di tutto l’edificio D, in mancanza, inoltre, ditracce di basi di colonne interne almeno all’ambiente di maggiori dimensioni.

67 Sulle problematiche connesse alla funzione delle strutture “palaziali” cfr. Liseno 2007, in partico-lare p. 104 per l’interpretazione dell’edificio D in questione; cfr anche quanto detto alle pp. 81-82.

68 Questo ambiente sarà creato solo in una fase più recente tramite l’USM 32 che frazionerà lo spa-zio dell’ambiente B.

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vano A). Si tratta naturalmente disemplice terra battuta la cui su-perficie indurita e particolar-mente compatta è stato possibileevidenziare in molti punti; l’an-damento del battuto non era oriz-zontale, ma caratterizzato da unaforte pendenza da est versoovest 69.

Oltre ad una grande quantità diceramica di impasto, medio/tardogeometrica e subgeometrica peu-cezia (figg. 46, 47), acroma e a li-mitati frammenti di ceramica ditipo greco fra cui in particolare ce-ramica a fasce e a vernice nera, glistrati relativi alla vita/abbandonodell’edificio D 70 hanno restituitonumerose tracce, più o meno con-sistenti, dell’uso del fuoco al suointerno. La testimonianza più ri-levante è un fornello (US 38,figg. 28-29), presente nella partecentro-occidentale dell’ambienteB, costituito da una piccola strut-tura ovale (cm 23 x 28), con pa-reti verticali di argilla cotta (altecirca 20 cm e con spessore di 2

cm), con apertura in direzione est in corrispondenza della quale le estremità del for-nello avevano un bordo arrotondato e inspessito. Il fornello non presentava coperturaed era poggiato su due pietre calcaree poste di piatto; al suo esterno, tutt’intorno, unostrato di argilla cruda di 5 cm di spessore fungeva da rinforzo e contribuiva a renderefissa la piccola struttura. Al suo interno vi era terra con tracce di bruciato e cenere, alsuo esterno terreno con forte componente cinerosa e numerosi frammenti appartenen-ti a vasi di non grandi dimensioni di ceramica d’impasto anche ricomponibili.

Resti di bruciato circoscritti, interpretabili come focolari occasionali, erano nonlontano dal fornello su descritto (US 57 71), in posizione centrale nell’ambiente B ap-

69 Cfr. nota 63.70 US 2 nell’ambiente B; US 120 in quello che diventerà l’ambiente C; US 124=126 nell’ambiente E.71 L’US 57 è il riempimento di terra friabile e resti di bruciato di un taglio piuttosto profondo che in-

teressa tutto lo spessore dell’US 43.

GLI SCAVI SULL’ACROPOLI DI MONTE SANNACE (1994-2001) 67

Fig. 29. - Area D. Fornelletto (amb. B, US 38: immagineScuola di Specializzazione).

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pena ad est dell’ingresso nord (UUSS 12, 52 72 fig. 28, 30), nell’angolo nord occi-dentale dell’ambiente E (US 133 73 fig. 28, 31); nella parte orientale dell’ambiente Bsi è rinvenuto un consistente, ma circoscritto, strato composto da vari grossi fram-menti di argilla concotta, che, ove meglio conservati, avevano un lato lisciato e quello

72 Si tratta di uno strato di argilla al di sopra del quale vi sono pietre calcaree allettate poste di piatto. 73 Strato di argilla cruda, in parte concotta, che presenta una pellicola superficiale dura e di colore gri-

gio. Una grande pietra calcarea piatta era allettata sulla superficie.

Fig. 30. - Area D. Base di focolare? (amb. B, US 52: immagine Scuola di Specializzazione).

Fig. 31. - Area D. Base di focolare? (amb. E, US 133: immagine Scuola di Specializzazione).

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opposto con una traccia semicircolare in negativo (US 18, fig. 28); oltre a ciò, nu-merosi resti di cenere e frustuli di carbone distribuiti in maniera non omogenea com-ponevano le unità stratigrafiche di vita/abbandono relative alla fase in esame.

Contemporaneamente alla vita del ‘megaron’ D è documentato per la stessa fasedi VIII-VI secolo a.C. l’utilizzo dell’area a nord sulla quale l’edificio si affaccia.L’ampio spazio (denominato vano A) fu circoscritto solo nel IV secolo dalleUUSSMM 21 e 22, che furono erette per sistemare e razionalizzare spazi e viabilitàdi questa parte dell’acropoli, che, fino ad allora, si configurava quale zona aperta escoperta come testimoniano anche i rinvenimenti di tre canalette di scolo delle acque(UUSS 106 e 108 perpendicolari l’una all’altra, US 104 figg. 28, 32, 33) 74 delle qualinon è stato possibile individuare il punto di inizio né quello di sbocco a causa delcattivo stato di conservazione.

Al più antico e lungo utilizzo dell’edificio, seguì un periodo di abbandono chedurò circa per l’intero corso del V secolo a.C.

Fu solo verso la fine del V secolo a.C., appunto, che l’antico edificio D fu nuova-mente occupato. I dati archeologici indicano che questa seconda fase di utilizzo inte-ressò solamente la parte orientale dell’intera struttura: l’ambiente E e l’ambiente Ccostituitosi in questa fase tramite l’erezione del muro USM 32. I dati indicano inoltre chela destinazione d’uso di questi ambienti ebbe carattere molto differente rispetto alla pre-

74 La fattura delle tre canalette è differente: le due che si incrociano perpendicolarmente hanno fatturamolto semplice essendo costituite da lastrine calcaree infisse nel terreno di taglio, obliquamente, conver-genti verso l’interno a formare una sezione circa trapezoidale; la terza, di fattura più elaborata e dimensionimaggiori, ha oltre che le pareti anche il fondo costituito da lastrine di pietra calcarea, poste in prevalenzadi piatto in tre filari: la sua sezione è quadrangolare e l’ampiezza assicurava una portata maggiore rispettoalle altre due. La posizione topografica di quest’ultima canaletta e la sua particolare fattura con pietre postedi piatto può far ipotizzare che fosse interrata, o comunque coperta, e non posta a cielo aperto.

Fig. 32. - Area D. Canalette (vano A, UUSS 106, 108: immagine Scuola di Specializzazione).

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cedente fase: gli ambienti mo-strano, infatti, un’esclusiva voca-zione domestica, di carattere anchepiuttosto modesto a dispetto dellaposizione topografica comunqueeminente all’interno del sito diMonte Sannace (fig. 34).

I risultati dello scavo indicanopertanto, per il periodo classico edellenistico, la presenza in que-st’area dell’acropoli di una abita-zione, di ridotte dimensioni,composta da due ambienti in suc-cessione, di cui quello più ad est,dotato di una copertura solida (am-biente E), che si apriva ad ovest suun cortile di dimensioni poco mi-nori, scoperto o con copertura inmateriale deperibile (ambiente C).L’unico ingresso all’abitazione do-veva avvenire dal cortile C, ma –come si è detto – la sovrapposi-zione al muro estremo orientaledell’edificio di una struttura poste-riore non permette di poter asserirequesto con certezza 75.

Lo zoccolo dei muri perime-trali di età precedente fu utilizzato in questa fase come base per un elevato composto damattoni crudi: al di sopra del piano di calpestio relativo a questa fase, in particolare nel-l’ambiente E76, è infatti lo strato relativo al suo crollo e disfacimento (US 78: strato a ma-trice argillosa gialla o arancio con chiazze biancastre per la presenza di calcina). Soltantoin questo ambiente si è rinvenuto anche il crollo delle tegole del tetto (US 60). L’adia-cente ambiente C, costituitosi in questa fase grazie all’erezione della nuova USM 32 77,

75 Cfr. supra p. 65, nota 64.76 Battuto, US 86, quota: 374,10 m s.l.m. Pochi centimetri al di sotto di questo battuto (e dunque al

di sopra dell’US 126=124: strato di vita/abbandono della fase precedente), si è rinvenuta l’US 125 (quotas.l.m.: min. 374,04, max. 374,06). Composta da quattro bracci di calcina bianca che circoscrivono unospazio rettangolare (1,10 x 1 m ca; è ben conservato solo il lato lungo nord, meno i lati sud e est, quasiper nulla il lato ovest), sembra essere una traccia, di pochi centimetri di spessore, relativa alla lavora-zione/preparazione delle strutture relative alla più recente fase che si sta esaminando (fig. 35).

77 Come è visibile dalla pianta (fig. 34), l’USM 32, muro divisorio di fattura poco accurata, è con-servata per un tratto di circa 1,50 m che si appoggia al muro meridionale USM 19. Non sono state rile-vate tracce della spoliazione dello stesso muro nella sua parte nord.

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Fig. 33. - Area D. Canaletta (vano A, US 104: immagineScuola di Specializzazione).

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Fig.

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era invece un vano privo di copertura solida, certamente connesso nell’utilizzo al vi-cino ambiente E al quale era collegato dalla soglia preesistente, ora rialzata per ade-guare la sua posizione alla nuova quota dei piani di calpestio 78.

Nell’ambiente B non vi è alcuna traccia di un utilizzo posteriore al periodo arcaico,così come in tutta la porzione occidentale del vano A; nella sua estrema parte orien-tale invece, grossomodo in corrispondenza dell’ambiente E, si è rinvenuto un pianodi calpestio 79 contemporaneo a questa seconda fase di utilizzo dell’area e il suo rela-tivo strato di vita/abbandono (rispettivamente UUUS 80 e 79).

La documentazione archeologica presente nei due ambienti della casa aiuta acomprenderne la destinazione d’uso. All’interno è presente una significativa quan-tità di materiale ceramico in frammenti relativo in particolar modo a ceramica damensa (acroma, a fasce, di stile misto, a vernice nera), forme di piccole e mediedimensioni utili al consumo, ma non alla conservazione a medio o lungo terminedei cibi. Nell’angolo sud-ovest dell’ambiente C era un vaso cantaroide di stile mi-sto quasi integro (fig. 36); nell’angolo nord-ovest dell’ambiente E alcuni pesi datelaio troncopiramidali (fig. 37), ma non in numero tale da far ipotizzare la presenza

78 Battuto dell’ambiente C, US 71, quota: 374 m s.l.m. L’unità stratigrafica si conserva leggibile inparticolare nella metà orientale dell’ambiente; in prossimità delle UUSSMM 9 e 28 si sono rinvenutetegole intenzionalmente poste di piatto come a formare una ‘base’ per il piano di calpestio.

79 Battuto, US 80, quota s.l.m.: min. 373, 83, max. 374,11 m.

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Fig. 35. - Area D. Traccia in calcina bianca (amb. E, US 125: immagine Scuola di Specializzazione).

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nel vano di un telaio; al centrodello stesso ambiente, in po-sizione ora adiacente al taglioper la fondazione della grossastruttura di epoca medievale,si è evidenziato al di sopra delpiano di calpestio un pianorettangolare, orientato insenso circa est-ovest, costi-tuito da pietre poste di piatto(US 90), che doveva avere lafunzione di piano d’appog-gio/lavoro (fig. 34).

In questo stesso momentostorico, in una fase probabil-mente di poco più recente(metà del IV secolo), si datal’elevazione dei due muriUSM 21 e USM 22, che rac-chiusero lo spazio, fino ad al-lora aperto, definito vano A(figg. 6, 34). I due muri nonsono perfettamente perpendi-colari: l’USM 21 ha orienta-mento piuttosto regolare

GLI SCAVI SULL’ACROPOLI DI MONTE SANNACE (1994-2001) 73

Fig. 36. - Area D. Vaso cantaroide (amb. C, US 89: immagineScuola di Specializzazione).

Fig. 37. - Area D. Pesi da telaio (amb. E, US 78: immagine Scuola di Specializzazione).

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nord-sud, l’USM 22, invece, ha orientamento sud-ovest nord-est. La posa in operadi ciascuno dei muri tradisce la loro particolare ragion d’essere: l’USM 21 è rea-lizzata in maniera molto accurata, ha un’evidente risega di fondazione ed è com-posta da conci ben squadrati e allineati, posti in maniera regolare solo lungo ilprofilo ovest, la sola ‘faccia’ del muro che doveva essere a vista. L’USM 22 ha unafattura differente e molto meno accurata, la quasi totalità dei blocchi è larga quantol’intero spessore del muro, che dunque appare composto da una serie di grossepietre sbozzate poste l’una accanto all’altra, ma non perfettamente contigue, inquanto fra l’una e l’altra vi è di norma uno spazio di circa 5 cm riempito da terra.

Il muro 22 costituiva il limite sud di una strada che percorreva la parte meridio-nale di quest’area e tagliava, dunque, in senso approssimativamente est-ovest il cuoredell’acropoli di Monte Sannace; il muro 21 era invece il limite orientale di un lungotratto di nuova costituzione, che aveva inizio a nord nel punto in cui incrociava lastrada est-ovest su descritta e continuava verso sud rettilineo andando a dividere indue la più meridionale area G (fig. 38) 80. In particolare nella costruzione dell’USM21 è evidente lo scopo di regolarizzazione del circuito viario – fatto evidentementesentito e di una qualche importanza nel periodo ellenistico – e del suo orientamento:essa infatti, circa a metà del suo percorso, sfiora (e probabilmente andò ad intaccare)l’USM 35, muro breve di chiusura ovest del grande e precedente edificio D. Que-st’ultima, perché mal orientata, non fu reputata idonea a essere il limite della nuovastrada, ma allo scopo fu appunto edificata per intero la nuova USM: lo spazio trian-golare che si creò fra i due muri fu riempito con pietrame. Molto interessante, a do-cumento della cura con cui fu trattata questa nuova edificazione e questo nuovopercorso stradale, è la presenza di un allineamento di pietre, posto nell’angolo sud-occidentale del vano A con lo scopo di “correggere” l’angolo e chiudere lo spazioche si era creato fra lo spigolo nord-ovest dell’edificio e il nuovo muro di delimita-zione della contigua strada (US 36, figg. 34 e 39) 81.

Ad una fase di vita ancora successiva, databile fra III e II secolo a.C., apparten-gono alcune evidenze rinvenute nell’area e non contestualizzabili: nessuna parte del-l’edificio D è in uso in questo momento storico e tutti i resti archeologici condatazione più recente, infatti, sono stati rinvenuti al di fuori di esso (fig. 40).

Un cambiamento strutturale di rilevante importanza è dato dalla chiusura, avvenutaproprio in questa fase cronologica, dell’asse viario nord-sud, operata tramite un grossomuraglione di pietre calcaree di grandi dimensioni poste a secco in maniera poco or-dinata sul limite settentrionale dell’asse viario, nel punto di incrocio con l’altra stradache taglia in senso est-ovest la sommità dell’acropoli (US 84, fig. 41). Questo sbarra-mento ha avuto come conseguenza la fine dell’utilizzo di questo tratto di strada; infatti,contemporaneamente alla chiusura, tutta la sede stradale fu colmata da un butto di pie-

80 Per il tratto della stessa strada presente nell’area G si veda quanto detto a p. 57.81 L’US 36 ha lunghezza di 1,18 m, spessore di 0,36 m, altezza di 0,33; è costituita dal sovrapporsi

di massimo cinque filari di pietre poste di piatto allettate con terra.

FABIO GALEANDRO - PAOLA PALMENTOLA74

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tre di enormi dimensioni e materiale dirisulta. Il dato è di particolare inte-resse, poiché un così radicale cambia-mento nell’assetto urbano della partecentrale dell’insediamento antico nonpuò che derivare da un altrettanto so-stanziale cambiamento dell’assetto so-ciale.

Il resto delle evidenze archeologi-che relative a questa fase non è, comesi è detto, inseribile in un omogeneocontesto. Nella parte a sud del grandeedificio D, a poca distanza l’una dal-

FABIO GALEANDRO - PAOLA PALMENTOLA76

Fig. 39. - Area D. Allineamento di pietre posto per “correggere” l’angolo formatosi in seguito all’edifi-cazione della USM 21 (US 36: immagine Scuola di Specializzazione).

Fig. 41. - Area D. Muro di sbarramento del-l’asse viario nord-sud (US 84: immagineScuola di Specializzazione).

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Fig.

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l’altra, erano una tomba a fossa e unpozzo/cisterna. A meno di un paio dimetri più a est, è stata evidenziata partedella USM 37 – tramezzo di cattiva fat-tura e di scarsa stabilità che si appoggia anord all’USM 19 del grande e più antico

FABIO GALEANDRO - PAOLA PALMENTOLA78

Fig. 42. - Area D. Deposizione di infante in tombaa fossa (UUSS 48, 49: immagine Scuola di Spe-cializzazione).

Fig. 43. - Area D. Corredo (US 48, II sec. a.C.: immagine Scuola di Specializzazione).

Fig. 44. - Area D. Situla a pasta grigia (US 48: im-magine Scuola di Specializzazione).

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edificio e che prosegue a sud al di là del limite di scavo – contemporanea a questapiù recente fase insediativa (fig. 40). La tomba a fossa apparteneva ad un infantedeposto, inumato, in senso est-ovest, in posizione supina, con cranio a ovest. Il cor-redo che lo accompagnava era composto da diciannove astragali, un unguentario fu-siforme a vernice rossa, verniciato per immersione, due pentolini monoansati dafuoco, un kantharos con anse ad anello verticali a pasta grigia e una pregevole pic-cola situla a pareti molto sottili, pure a pasta grigia con maschera a rilievo posta,riversa, sul ventre dell’infante (figg. 42-44). La deposizione è databile al II secoloa.C., probabilmente agli anni centrali del secolo come in particolare il kantharossembrerebbe indicare 82.

Presumibilmente nello stesso arco cronologico va posto il pozzo/cisterna (US 30figg. 40, 45). La struttura è stata purtroppo scavata, per ragioni di irrisolta mancatastabilità, soltanto per 1,20 m di profondità e pertanto attualmente non se ne conosceil fondo. Ha forma circolare e si allarga progressivamente verso il basso: la ghiera su-

82 Questo tipo di kantharos a pasta grigia, derivante dallo stesso e più diffuso tipo a vernice nera, èdatabile secondo Yntema alla metà-terzo quarto del II sec. a.C. (Yntema 2005, pp. 74-75, form 36b,anche Yntema 2001, p. 232, form L36). L’unguentario, del tipo V Forti, è databile genericamente fra l’ul-timo quarto del III sec. e a buona parte del II sec. a.C. Ancor meno probanti cronologicamente sono ledue pentole da fuoco, comunque appartenenti ad una tipologia tarda. La situla, in ultimo, è da conside-rarsi un unicun: la forma non è conosciuta fra la ceramica a pasta grigia, la decorazione a rilievo ne san-cisce la sua unicità.

GLI SCAVI SULL’ACROPOLI DI MONTE SANNACE (1994-2001) 79

Fig. 45. - Area D. Pozzo/cisterna (US 30: immagine Scuola di Specializzazione).

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periore ha un diametro di 1 m ca 83, a 0,50 m di profondità la misura cresce a 1,40 mca, a 1 m di profondità il diametro è di 1,70 m ca. Il filare più alto è composto da pie-tre calcaree allettate con una malta biancastra 84, i filari sottostanti, sempre costituitida pietre calcaree, sono tenuti insieme da strati di argilla cruda giallo/verde. La par-te di riempimento asportato era uno strato scomposto, ma unitario, di scarico costi-tuito in prevalenza, oltre che da pietrame e terreno, da ossi di grandi animali.

(P.P.)

2. Il quadro storico

2.1. L’acropoli nei secoli IX-V a.C.

L’esame delle emergenze archeologiche portate alla luce nella parte alta di MonteSannace non può non prendere le mosse dalle prime tracce dell’insediamento iapigiorinvenute nel sito, ancora riferibili all’età del Ferro.

L’analisi si spingerà fino all’età tardoarcaico-classica e i due momenti (età delFerro-età arcaico-classica) verranno distinti nella trattazione non semplicemente per unmotivo di praticità; appare infatti opportuno inserire l’analisi dell’acropoli dell’im-portante centro peucezio in una periodizzazione che non risulti valida esclusivamenteper il centro in questione, ma che sia altrettanto applicabile ai fenomeni storico-cultu-rali che hanno interessato il comparto geografico in cui il sito si inserisce.

IX/VIII-VII sec. a.C.

Sin dalle prime fasi dell’insediamento, le evidenze archeologiche mostrano una di-screta articolazione.

Sono difatti presenti diversi nuclei di capanne, cui si accompagna un edificio 85

– rinvenuto nell’area D – che già presenta uno zoccolo in pietra e sicuramente as-solve a funzioni differenti rispetto alle coeve capanne, funzioni cioè che con buonaprobabilità esulano dalla semplice sfera abitativa.

Il pianoro si rivela quindi già piuttosto fittamente abitato prima del VI secolo a.C.Varie sono le attestazioni dell’insediamento capannicolo: oltre a quelle delle aree

G2 e G3 e dello scavo F 86, se ne sono rinvenute altre nell’area H 87 e nella parte me-ridionale dell’area D 88, dove è anche emerso l’edificio di cui si è detto.

83 La quota s.l.m. della ghiera superiore, imboccatura del pozzo/cisterna, è 373,71/374,01 m.84 Le pietre di maggiori dimensioni sono disposte a raggiera, di testa e di taglio; le pietre di minori

dimensioni sono disposte ad incastro fra le altre.85 Analizzato nel paragrafo precedente.86 Rossi 1989a, pp. 12-13; Ciancio 1989a, pp. 33-34, Ciancio 1989b, pp. 81-83; Riccardi 1989a, pp.

68-70; De Juliis 1989a, pp. 215-217; Liseno 2007, pp. 167-169. 87 Ciancio, Galeandro, Palmentola 2009, p. 314; Amatulli, Ciancio, Vania 2010.88 Palmentola 2002, Liseno 2007, pp. 168-169.

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Area D 89

L’area fu per la prima volta indagata negli anni 1960-61 da B. M. Scarfì che la ri-conobbe come agorà, poiché sembrava trattarsi di uno spazio vuoto sul cui lato orien-tale era stato identificato un edificio con un doppio colonnato, interpretato come stoàe datato tra la fine del IV (prima fase di utilizzo) e il pieno III secolo (seconda fase) 90.Nella stessa area si sono svolti gli interventi della Scuola di Specializzazione di Barinegli anni 1998-2001.

In questa zona sono stati effettuati due rinvenimenti pertinenti a strutture riferibiliall’età del Ferro.

Il primo rinvenimento 91 è quello di un muraglione rettilineo (USM 83, figg. 23-24) 92, piuttosto grossolano per tessitura e componenti, della lunghezza di 8-10 m ca.,nei pressi del quale sono emerse tracce (un solco nel banco roccioso con buche dipalo variamente disposte in associazione) di una capanna (figg. 23, 25-26) 93 con bat-tuto costituito da terra molto compatta mista a pietre di piccole dimensioni e presu-mibilmente 94 elevato formato da argilla cruda e rami (incannucciata).

Alla struttura capannicola sono probabilmente riferibili, stratigraficamente e to-pograficamente, una piccola struttura quadrata con evidenti tracce di combustione 95

ad Est (fig. 27) e due solchi paralleli (fig. 26) 96.Il rinvenimento si colloca nell’area in cui sarà poi impiantato l’edificio (fig. 28)

di cui si dirà a breve, al di sotto delle unità stratigrafiche pertinenti alle fasi d’usodello stesso, in un momento (IX-inizio VIII sec. a.C.) precedente la sua costruzione.

Il più antico edificio con struttura più solida, fatta cioè non esclusivamente con ma-teriale deperibile, fra quelli rinvenuti sull’acropoli di Monte Sannace è dunque quellomesso in luce nella parte meridionale dell’area D.

Il grande edificio (fig. 28) di forma rettangolare allungata, è costituito da un am-biente di grandi dimensioni preceduto ad est da un vano quadrato di dimensioniassai minori che sembra costituirne l’ingresso. Non è possibile asserire con cer-tezza che l’ingresso avvenisse da E, dal momento che una successiva costruzioneriferibile ad età medioevale ha parzialmente obliterato l’USM orientale dell’edifi-

89 Scarfì 1962, pp. 110-121; Palmentola 2000, 2001, 2002; Ciancio, Galeandro, Palmentola 2009,pp. 314-317.

90 Scarfì 1962, pp. 110-121; Donvito 1990, pp. 116-118, fig. 30.91 In ordine cronologico (cfr. Palmentola 2001, p. 80; Palmentola 2002, pp. 54-55; Liseno 2007, pp.

168-169).92 Cfr. p. 61.93 Cfr. pp. 61-65.94 A riguardo si veda Liseno 2007, pp. 168-169.95 Come si è visto (cfr. pp. 62-63), probabilmente un fornello, anche se piuttosto curato nella strut-

turazione. Alcune buche di palo allineate sono state interpretate come atte a circoscrivere uno spazio pro-tetto mediante tettoia a Nord-Est (riferimento bibliografico alla nota precedente).

96 Anche in questo caso non è semplice intuire quale fosse l’effettiva funzione dei due solchi che po-trebbero essere due canalette funzionali al deflusso delle acque meteoriche (cfr. Nota 61 con bibliogra-fia di riferimento).

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cio, rendendo impossibile rintracciare con certezza la sua apertura in questo ver-sante. D’altro canto di sicuro l’ambiente B presenta un’apertura sul lato lungo set-tentrionale (UUSSMM 3 e 9) con una luce di circa due metri. Come è stato spiegatopiù dettagliatamente nel paragrafo relativo alle indagini archeologiche svolte nel-l’area, questa versione dell’edificio, in ogni caso immediatamente successiva alprimo impianto, è stata preceduta da una fase in cui l’edificio non mostrava parti-zioni interne e presentava un’apertura sul lato lungo meridionale dell’ambiente B(USM 19), poi parzialmente obliterata dal muro interno che ha suddiviso la co-struzione in due ambienti.

L’edificio in questione ha orientamento NE-SW ed è costruito con uno zoccolo difondazione formato da un doppio filare di blocchi sbozzati e regolarizzati sulla fac-cia a vista, connessi a secco, dello spessore di un metro circa; il piano di calpestio èun semplice battuto di terra e l’elevato doveva essere in materiale deperibile. Circala copertura del vano di maggiori dimensioni, sono state formulate due ipotesi in baseal rinvenimento di pochissimi frammenti di coppi, tra cui uno dipinto in rosso e unocon decorazione incisa, quasi esclusivamente a ridosso dei muri 97: è possibile che adun certo momento del suo utilizzo l’edificio avesse una tettoia parziale, posta esclu-sivamente a ridosso delle pareti, o più plausibilmente, che dovesse avere una coper-tura in materiale deperibile, di cui i pochi frammenti di tegole rinvenutitestimonierebbero un parapetto in terracotta (lorica testacea) posto sulla sommitàdell’elevato per preservarlo dagli agenti atmosferici, in particolar modo dalle acquemeteoriche.

L’analisi preliminare dei materiali meglio attestati provenienti dallo strato di vitadell’edificio, soprattutto ceramica ad impasto e medio, tardo e subgeometrica (figg.46-47), suggerirebbe un orizzonte culturale compreso tra la seconda metà dell’VIIIe la prima metà del VI secolo a.C. In particolar modo, la prevalenza di materiale ri-feribile alla fase tardogeometrica, sembrerebbe testimoniare un pieno utilizzo per lastruttura nell’ambito del VII secolo a.C.

La datazione alta di questo edificio, la sua ampiezza, la stessa tipologia planime-trica indurrebbero ad interpretare l’edificio come non riferibile esclusivamente adutilizzo domestico, bensì, legato a pratiche collettive; tuttavia una parte dei materialinon sembrerebbe estranea alla tipologia domestica 98, per cui potrebbe anche trattarsidella residenza di un gruppo familiare di rilievo, o di una residenza plurifamiliare 99.

97 Liseno 2007, p. 169.98 Anche se è bene sottolineare la non completa analisi dei materiali rinvenuti, per cui non è possi-

bile conoscere in percentuale le attestazioni delle singole classi ceramiche indigene e la presenza di ma-teriale d’importazione.

99 Contro l’equazione edificio di grandi dimensioni – carattere pubblico cultuale si vedano Hellström2001, p. 169 e Domanico 1993. Per completezza appare opportuno precisare che, come si vedrà meglio nelparagrafo successivo, oltre alla fase di VIII-VII secolo a.C. l’edificio presenta una fase di IV che interessaesclusivamente la porzione orientale dello stesso, l’ambiente E e il vano C di nuova formazione. È a que-sto momento che si data la costruzione dei due muri (UUSSMM 21 e 22), l’uno appena ad ovest del ‘me-garon’, l’altro circa 4 m più a nord, posti circa perpendicolarmente a formare l’incrocio di due strade.

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GLI SCAVI SULL’ACROPOLI DI MONTE SANNACE (1994-2001) 83

Fig. 46. - Area D. Frammenti di ceramica tardogeometrica (US 2: immagine Scuola di Specializzazione).

Fig. 47. - Area D. Frammenti di ceramica tardo/subgeometrica (US 2: immagine Scuola di Specializza-zione).

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Al di fuori del sito di Monte Sannace, è attestato un solo caso di costruzione diconsiderevoli dimensioni probabilmente ascrivibile nel suo primo impianto ad unmomento precedente il VI secolo a.C.: l’edificio rinvenuto a Rutigliano in contradaPurgatorio 100.

Qui, nel 1977 101, si rinvenne una grande struttura, datata in un primo momento dachi l’aveva scavata all’VIII-VII sec. a.C., in seguito ritenuta invece arcaica. L’edifi-cio ha una pianta rettangolare allungata con vestibolo ed è formato da muri, a doppioparamento, costituiti da blocchi di grandi dimensioni piuttosto irregolari, posti inopera a secco (fig. 48).

Date le caratteristiche morfodimensionali, l’edificio sembrerebbe essere ricondu-cibile alla tipologia del ‘megaron’ 102.

Il megaron è fra le tipologie di edifici abitativi più antica del mondo greco. È do-cumentato già dal periodo geometrico (1500-1100 a.C.), prima nella versione a piantaabsidata e molto più recentemente nella tipologia a pianta rettangolare; adottato finocirca alla fine dell’VIII secolo a.C. sia per strutture abitative che per edifici sacri, nelperiodo successivo diventerà pianta esclusiva degli edifici templari. Solitamente ècomposto da un vestibolo di dimensioni ridotte, a volte con colonne in antis, a cui

100 Un altro edificio (anche se non si tratta di un edificio a ‘megaron’, bensì di un semplice vano ret-tangolare di dimensioni piuttosto contenute) che ha visto differenti interpretazioni cronologiche oscillantitra l’VIII e il VI secolo a.C. è quello rinvenuto nel sito H di Gravina-Botromagno (per il quale la sintesipiù recente è contenuta in Whitehouse-Wilkins-Herring 2000, ripresa in Liseno 2007, pp. 170 e in Gale-andro 2007-2008, pp. 302-326), per il quale tuttavia la datazione al VI secolo sembra la più convincente.

101 Lo Porto 1978.102 Il termine è posto tra virgolette, dal momento che il suo utilizzo non vuole istituire alcun paralle-

lismo rispetto ai modelli greci, bensì individuare con immediatezza una tipologia di edificio la cui ter-minologia è ormai entrata a far parte del linguaggio archeologico corrente in riferimento agli edifici conquelle specifiche caratteristiche. Il discorso è analogamente valido per l’utilizzo di altri termini come casaa ‘pastas’.

Fig. 48. - Rutigliano - Purgatorio. Edificio a ‘megaron’ (Da Ciancio 1989d, p. 29, fig. 53, qui modifi-cata).

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segue il vero e proprio megaron dotato spesso anch’esso di una fila di due o più co-lonne utili strutturalmente a sostenere il colmo di un tetto solido a doppio spiovente103.Nel mondo greco il megaron costituisce dunque la residenza privata di un personag-gio importante della comunità, il basileus. Di conseguenza assolve anche ad altrefunzioni, oltre quella strettamente privata, unendo in sé valenza pubblica, politica ecultuale, tutti i ruoli cioè di cui lo stesso basileus era investito 104.

La lettura cronologica di questa struttura rinvenuta a Rutigliano è stata dunquepiuttosto controversa.

Se infatti la prima interpretazione, effettuata all’indomani della scoperta, propen-deva per una datazione piuttosto alta, «... fra l’VIII e il VII sec. a.C. a giudicare dallacopiosa messe di ceramica geometrica protopeuceta rinvenuta» 105, in seguito la cro-nologia è stata abbassata considerevolmente, riconducendola al VI secolo senza strin-genti motivazioni, se non la constatazione che gli edifici di questa tipologia in Pugliasono riferibili al VI secolo a.C. 106.

La questione rimane aperta, ma i dati a disposizione non sembrano dirimenti nel-l’attribuzione della struttura ad uno o all’altro orizzonte cronologico 107.

Area F 108

Tracce dell’insediamento capannicolo sono emerse anche negli altri settori del-l’acropoli, soprattutto nell’ambito degli scavi delle considerevoli evidenze di età ar-caica.

Allo stato attuale della ricerca, purtroppo, non sono perfettamente definibili le ca-ratteristiche precipue e i limiti dell’insediamento capannicolo e, all’interno dellostesso, neppure l’articolazione planimetrica della capanne. La lacuna è dovuta allaparzialità delle evidenze emerse, che non consentono una precisa definizione dellestrutture rinvenute, né tanto meno una definizione tipologica. In quest’area del-

103 Come esempio di pianta a megaron utilizzata con funzione residenziale si veda la ‘reggia’ pressoil tempio di Atena sull’acropoli di Emporion-isola di Chio (Pesando 1989, fig. 20); per la stessa tipolo-gia planimetrica adottata nella sfera sacra si veda ad esempio il tempio di Tsikalario-isola di Naxos (Lip-polis, Livadiotti, Rocco 2007, p. 72). Entrambi gli edifici sono datati al pieno VIII sec. a.C.

104 Per una recente sintesi sulle strutture ‘palaziali’ si veda Liseno 2007, pp. 102-110, con distin-zione di destinazione d’uso per gli edifici riferibili a questa tipologia tra Grecia continentale (dove siabbandona precocemente la funzione abitativa per assumere una connotazione più specificamentesacra, in relazione al principio di isonomia proprio delle poleis) e ambito greco-orientale e insulare(dove, a causa della differente organizzazione culturale di tipo aristocratico, l’utilizzo è ancora quellodi residenze importanti che assommano in sé le varie funzioni politiche, rappresentative, religiose).Si prendono in considerazione inoltre i casi di residenze ‘palaziali’ etrusche e del mondo indigeno del-l’Italia sud-orientale.

105 Lo Porto 1978, p. 498 “Ancora all’età del ferro va attribuita una grande abitazione a pianta ret-tangolare e fornita di vestibolo (pronaos), conforme alla tradizione del ‘megaron’ di origine egea. La co-struzione a struttura quasi megalitica con grosse lastre di calcare locale va datata fra l’VIII e il VII sec.a.C. a giudicare dalla copiosa messe di ceramica geometrica protopeuceta rinvenuta”.

106 Bibliografia di riferimento in Russo Tagliente 1992, p. 70.107 Di recente sull’argomento Ciancio-Galeandro cds.108 Rossi 1989a, pp. 13 e 15.

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l’acropoli le evidenze riferibili all’età del Ferro 109 sono esclusivamente costituite dabattuti di colore marrone rossiccio con frammenti di ossi e argilla cruda.

Area G – Settori 2 e 3 110

Analogamente a quanto detto in precedenza, in relazione a questi settori del-l’acropoli, sono stati effettuati una serie di rinvenimenti riferibili a strutture strami-nee, quali lenti di terreno argilloso, battuti di argilla, frammenti di intonaco, talvoltacon segni di incannucciata 111. Il settore 3 è quello che ha restituito, ad oggi, le testi-monianze più consistenti 112.

Area H 113

Le indagini effettuate dalla Soprintendenza Archeologica per la Puglia negli anni1999-2003 hanno portato alla luce una struttura capannicola con caratteristiche pe-culiari.

La struttura, di forma rettangolare (m 5,80 x 4,40), è delimitata, almeno a S e adE, da lastrine calcaree infisse verticalmente nel terreno, l’elevato è formato da cannee argilla e il battuto pavimentale da terra compatta. Lungo il lato W sono riconosci-bili un piano di lavoro in argilla chiara e intorno fosse probabilmente funzionali al-l’alloggiamento di pithoi.

Il dato messo in rilievo dagli scavatori è quello relativo alla tipologia dei materialiin essa rinvenuti: oltre alle più consuete classi ceramiche, quali la ceramica ad impa-sto, quella geometrica monocroma e bicroma e quella acroma, gli strati di abbandonohanno restituito una considerevole quantità di ceramica indicata come subgeometricacoloniale 114, che trova i più immediati confronti nel materiale proveniente dagli oikoidell’Incoronata.

109 Cui è ascrivibile lo strato 5.110 Ciancio 1989a, pp. 33-34; De Juliis 1989a, pp. 215-217; Riccardi 1989a, pp. 68-70. 111 Settore 2, ambienti β e γ; settore 3, vani A, C. (L’unità stratigrafica riferibile a questo periodo del

settore 2 è la numero 4).112 «Restano ancora ignoti i limiti e i caratteri dell’insediamento e perfino la forma delle capanne. I resti

in situ consistono in lenti di terreno argilloso, rossiccio, in battuti di argilla bruna, carboniosa, in frammentidi intonaco […]. Al di sotto degli strati 1 e 2, rispettivamente di età ellenistica ed arcaica, è presente unostrato 3, attribuibile all’età del Ferro, che occupa un lieve pendio del fondo roccioso, al di sotto dei vani Ae C. Alla quota più bassa, a diretto contatto con la superficie rocciosa, è stato individuato lo strato 3b, con-tenente molto pietrame e scarsi frammenti di ceramica del IX-VIII secolo a.C.» (De Juliis 1989a, pp. 215-216). E ancora: «Di questo stesso strato fa parte un allineamento di blocchi calcarei infissi verticalmente,sormontati da una lastra posta di piatto. Se lo strato 3b si interpreta come la sostruzione di un fondo di ca-panna, il muretto di blocchi calcarei può avere avuto sia la funzione di contenimento della sistemazione delfondo, sia quella di base perimetrale dell’elevato della capanna» (Ivi, p. 216). Maggiore dovizia di parti-colari contiene la descrizione e l’interpretazione delle stratigrafie fatta nella sezione dedicata all’analisi deidati di scavo dei due settori (per il settore G2 si veda Ciancio 1989a, 33-34, mentre per il settore G3 Ric-cardi 1989a, pp. 68-70). L’unità stratigrafica riferibile a questo periodo del settore 2 è la numero 4.

113 Ciancio, Galeandro, Palmentola 2009, pp. 314-317; Amatulli, Ciancio, Vania 2010; Ciancio, Ga-leandro cds.

114 «Una ceramica dipinta in colore nero o bruno lucente sul fondo chiaro giallognolo dell’impastoargilloso molto duro e ben depurato, la cui decorazione per lo più geometrica tradisce un’ispirazione piùche aderente a modelli protocorinzi e argivo-insulari» (Amatulli, Ciancio, Vania 2010, p. 286).

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L’assenza di analoghi contesti rinvenuti nella Puglia centrale sottolineerebbe laparticolarità del rinvenimento 115, che, come si è detto, trova riscontro nelle produzionidi Siris e dell’Incoronata 116. Il dato viene sottolineato come di particolare interesse so-prattutto se inserito nel discorso più ampio dei rapporti greci-indigeni e più in parti-colare nella presenza di empori greci in comunità indigene 117.

Dunque, i materiali ceramici rinvenuti all’interno di questa struttura capannicolasi direbbero riferibili a contatti piuttosto stretti con i Greci, ma la natura e la qualitàdi questi contatti sembrano difficilmente definibili in base ai dati finora in nostro pos-sesso 118.

È quindi possibile affermare che già prima del VI secolo a.C. l’acropoli di MonteSannace fosse caratterizzata da una molteplicità di soluzioni edilizie.

La presenza di almeno una struttura di considerevole impegno edilizio, che pro-babilmente esula dalla sfera privata 119, è accompagnata da rinvenimenti di strutturecapannicole variamente articolate, a testimonianza di un abitato composito.

115 Il rinvenimento, importante per il suo carattere di novità, sembra altresì suggerire una riflessionee un indirizzo d’indagine. Al fine di poter smentire o confermare ipotesi e suggestioni, apparirebbe op-portuno analizzare nuovamente, con maggiore attenzione in relazione alla problematica in oggetto, imateriali provenienti dai vecchi scavi (svoltisi a Monte Sannace e non solo), in modo tale da poter ve-rificare con certezza l’assoluta assenza di analoghi contesti. Diversamente, il non avere precedente-mente individuato o riconosciuto questo tipo di testimonianze, percentualmente meno significative e inalcuni casi non immediatamente distinguibili rispetto ai materiali indigeni nelle unità stratigrafiche delperiodo (penso ad esempio alla produzione ceramica a decorazione lineare locale), potrebbe caratteriz-zare diversamente la situazione.

116 Per i dettagli sui confronti provenienti da Saturo (Taranto), dalla località Cammarella (Pisticci) edal pianoro di S. Salvatore (Timmari) si veda il recente articolo succitato (Amatulli, Ciancio, Vania2010) alla p. 288.

117 «Lo sviluppo contemporaneo degli insediamenti di Siris-Policoro e Incoronata di Metaponto dagliinizi del VII secolo a.C., le strette analogie delle loro produzioni ceramiche, il coincidere della fine del-l’Incoronata con la fondazione di Metaponto achea avevano già lasciato supporre una comune origineionica per gli ‘empori’, avamposti e centri di scambio sorti in territorio indigeno, con il consenso dei capidelle comunità enotrie, e poi decaduti con la fondazione delle poleis coloniali. Alle domande riguar-danti gli insediamenti di questo tipo e i centri indigeni (evidentemente anche iapigi) destinatari nel VIIsecolo a.C. delle merci di Incoronata, o di altri eventuali empori siriti, sembra, pertanto, che i recenti rin-venimenti a Monte Sannace (come già quelli di Crispiano L’Amastuola) possano cominciare a dare ri-sposte» (Ivi, p. 289).

118 Difficile, in base ai dati a disposizione provenienti da un’unica unità stratigrafica riferibilie aduna sola struttura capannicola, pensare ad una situazione emporica come quella dell’Incoronata, chepresenta caratteristiche differenti. Potrebbe trattarsi di materiale ascrivibile ad un gusto personale e par-ticolare di una delle famiglie, probabilmente dominanti, che nel VII secolo a.C. abitavano l’acropoli diMonte Sannace. Indagini successive, unite ad una nuova attenzione rivolta alla problematica, potrebberomodificare i termini della questione com’è accaduto per i rapporti ‘precoloniali’ tra i Greci e le popola-zioni della Puglia: «Significativi sono i ritrovamenti di ceramica greca d’importazione. Ai frammenti diun’oinochoe corinzia tardogeometrica (740-730 a.C.)..., rinvenuti sull’acropoli [di Monte Sannace], sisono aggiunti altri frammenti di vasi tardogeometrici corinzi, provenienti ... da livelli dell’abitato iapi-gio ... L’eccezionalità del primo rinvenimento appare, però, attutita, ora, alla luce dei nuovi rinveni-menti dell’acropoli e di quelli di altri villaggi iapigî del Salento, come Otranto, Cavallino, Vaste, PortoCesareo, Saturo, Taranto. Si svela così una rete di rapporti ‘precoloniali’ tra la Grecia, soprattutto Co-rinto e le popolazioni iapigie della Puglia centro-meridionale, in cui acquistano un più concreto signifi-cato anche vecchi ed isolati ritrovamenti» (De Juliis 1989a, pp. 216-217).

119 Cfr. pp. 65-69.

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Dunque, già verso la fine dell’età del Ferro la situazione dell’acropoli si presen-tava piuttosto articolata, degna di un centro destinato ad essere uno dei più importantidella Peucezia e che, forse, lo era già in questo momento.

VI-V sec. a.C.

La scelta di una trattazione congiunta dei secoli VI-V è dovuta al fatto che la si-tuazione generale della Peucezia mostra una stretta correlazione tra questi secoli, so-prattutto, ma non solo, per quanto riguarda le soluzioni abitative e le modalità dioccupazione del territorio 120.

Nel periodo compreso tra il VI e il V secolo a.C. il pianoro acropolico è sede dinumerosi edifici costruiti in maniera solida (fig. 6), cioè con zoccolo in pietra, elevatoin mattoni crudi e tetto in tegole, mentre non sono attestate capanne riferibili a que-sto orizzonte cronologico.

Nella parte centrale (aree D e H), oltre all’edificio a pianta rettangolare allungatache nel suo primo impianto, come si è visto, sembrerebbe risalire ad un momentoprecedente al VI secolo a.C. sono presenti almeno altri due edifici 121, databili al pienoVI secolo, di cui uno ha la particolare funzione di ‘recinto’ per tombe di alto rilievosociale 122; nella parte meridionale dell’altura (area G) vi sono due importanti – perdimensioni e significato – edifici, di cui uno con pianta a ‘megaron’ (G3: figg. 4 e 6)orientato in senso nord-est sud-ovest a cui è affiancato almeno un ampio vano ret-tangolare e l’altro, ad esso molto vicino e orientato in senso nord-sud, con pianta a‘pastas’ (G2: figg. 6 e 49).

Al di là dell’analisi e descrizione dei singoli edifici, che verrà brevemente fatta inseguito, sembra importante qui sottolineare quanto fittamente la collina di MonteSannace fosse abitata nella fase arcaica e quanto elevato fosse il numero di edifici ‘so-lidi’ presenti in uno spazio tutto sommato ristretto; si noti ancora un’organizzazionein cui gli spazi dove realizzare i singoli edifici sono concepiti in maniera libera e fraloro non collegata, come dimostra l’orientamento differente di costruzioni fra loromolto vicine nello spazio e nel tempo.

Facendo un rapido riferimento all’abitato situato nella zona pianeggiante ad ovestdell’acropoli è possibile rilevare la presenza, tra VI e V secolo a.C., di diverse abita-zioni con tombe poste nelle immediate adiacenze e numerosi enchytrismoi, deposticome era consuetudine all’interno dell’abitazione sotto il piano di calpestio o nelle im-mediate vicinanze. Le abitazioni sembrano costituite in questa fase esclusivamente dapiccole case – e non capanne – monovano con zoccolo in pietra ed elevato e tetto didifficile ricostruzione, dal momento che tutte queste evidenze sono poste al di sottodella consistente fase edilizia di IV secolo a.C. Tuttavia la presenza di alcuni fram-

120 Si veda a questo proposito Galeandro 2007-2008, in particolare alle pp. 83-102 e Galeandro 2010.121 I numeri 2 e 5 della figura 6 (Area H).122 Il numero 2 della figura 6 (Area H).

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menti di antefisse gorgoniche del tipo orrido provenienti dalla pianura stessa 123 inducea ipotizzare che in alcuni casi gli edifici fossero coperti con tetto pesante e antefissegià dall’età arcaica, in maniera analoga dal punto di vista tecnologico, ma differenteda quello dell’articolazione spaziale, a quanto accade in acropoli.

Dunque, già in questa fase acropoli e pianura si rivelano come due parti del me-desimo insediamento, sembra cioè che siano riferibili allo stesso sito.

Area D 124

Al pieno periodo arcaico sono ascrivibili l’edificio 2 e l’edificio 5 (fig. 6), per ilquale non ci sono molti dati a disposizione se non il fatto di essere databile, in baseai materiali, al VI secolo a.C. e di essere tagliato da una tomba ellenistica.

L’edificio 2 presenta una pianta rettangolare, è delimitato da muri in blocchi cal-carei, ha pavimento costituito da argilla rossiccia compatta in cui sono sistemati, a di-

123 Oltre ai rinvenimenti senza precisa indicazione di contesto, per un esemplare proveniente dal-l’insula III si veda Liseno 2001, pp. 105-106, nota 70 (cfr. nota 30).

124 Scarfì 1962, pp. 110-121; Palmentola 2000, 2001, 2002; Ciancio, Galeandro, Palmentola 2009.

GLI SCAVI SULL’ACROPOLI DI MONTE SANNACE (1994-2001) 89

Fig. 49. - Area G2. Edificio arcaico a ‘pastas’ (Da Ciancio 1989c, tav. 37, qui modificata).

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stanze regolari di 43 cm, filari paralleli di lastrine di pietra, e alzato e copertura in ma-teriale deperibile. L’impianto dell’edificio risale al periodo arcaico, il suo uso è do-cumentato per l’intero VI secolo.

Sotto il piano pavimentale, allineate sull’asse lungo centrale, si trovavano tretombe, una a sarcofago tufaceo, due a cassa litica, danneggiate e parzialmente de-predate in antico. Gli elementi dei corredi recuperati (per lo più pertinenti a depositiesterni) conducono omogeneamente alla fase centrale del VI secolo 125.

La presenza delle tombe consente agli scavatori di proporre per l’edificio una spe-cifica valenza: «l’ipotesi interpretativa più verosimile è che si tratti di un luogo diculto destinato a sepolture di personaggi appartenenti ad un gruppo sociale (e forsefamiliare) specifico, che detiene il diritto a tale collocazione post mortem estrinse-cando così la propria supremazia e la propria posizione di vertice» 126.

Pochi i dati a disposizione per definire la situazione di questi edifici nel V se-colo 127, mentre più chiara appare la situazione nel IV secolo quando l’area D e l’in-tera acropoli subiscono una vistosa risistemazione urbanistica di cui si parlerà nelparagrafo successivo.

Area G – Settore 2 128

In una zona in cui fino al VII secolo è attestato il villaggio capannicolo si impostaun grande edificio composto dal punto di vista planimetrico da due ambienti, uno qua-drato e l’altro rettangolare, affiancati ed aperti ad E su un cortile scoperto. È questa unacasa a ‘pastas’ la cui edificazione si colloca all’inizio del VI secolo a.C. (fig. 49).

Nell’edificio G2, che ha tecnica costruttiva identica a quella del vicino G3129, è iden-tificata un’unità abitativa sia per la struttura che per quanto rinvenuto al suo interno 130.

125 In particolare, la tomba 2 ha restituito, insieme a vasi geometrici di produzione locale, kylikes io-niche e coppe verniciate di produzione coloniale, armi in ferro, un bacino ad orlo perlinato in bronzo, eceramiche corinzie, fra cui un notevole esemplare di cratere a colonnette mesocorinzio assegnabile alPittore di Memnon, con la rappresentazione del duello di Achille e Memnon, alla presenza delle rispet-tive madri (Teti ed Eos), su di un lato, e un corteo di donne ammantate condotte da un corifeo, sull’al-tro. Interessante notare come, sempre esternamente rispetto alla tomba, in posizione simmetrica rispettoal succitato cratere, in corrispondenza dello spigolo opposto, sia stata trovata un’olla geometrica bi-croma di produzione indigena. Si veda al riguardo Ciancio, Riccardi 2005, pp. 8-12. “Il cratere è un do-cumento straordinario per la Peucezia, e per l’Italia meridionale in genere, che non trova raffronti fra ladocumentazione di Taranto e delle colonie del golfo ionico del periodo. Insieme agli altri residui elementiche componevano i corredi, esso segnala la particolarità e la rilevanza delle strutture tombali che si tro-vavano all’interno dell’edificio, da attribuire a personaggi di vertice della comunità locale” (Ciancio, Ga-leandro, Palmentola 2009, p. 316).

126 Ibid.127 Non è possibile dire se il dato sia dovuto ad un’effettiva lacuna, oppure al fatto che le importanti

evidenze di VI, comunicate in notizie preliminari e non ancora oggetto di pubblicazione sistematiche,abbiano avuto la precedenza nell’edizione immediata dei dati.

128 Ciancio 1989a. 129 Zoccolo in pietra molto spesso (quasi un metro) formato da blocchi calcarei di grandi dimensioni

ed elevato in mattoni crudi e telaio ligneo, tetto a doppio spiovente con copertura in tegole dipinte inrosso e in nero.

130 Ciancio 1989a, pp. 36-38 e 63; Ciancio 1989c, pp. 107-131; De Juliis 1989a, p. 218.

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L’identificazione di questo edificio a ‘pastas’ con la residenza di una figura eminenteo di un gruppo familiare di rilievo è supportata dai cospicui rinvenimenti di cerami-che fini riferibili soprattutto a vasi con funzione potoria. Probabilmente la residenzaera sede di pratiche conviviali e simposiache.

All’interno di questo edificio è stata rinvenuta una tomba a sarcofago arcaica, an-ch’essa probabilmente riferibile alla prima metà del secolo, quindi contemporaneaall’edificio. Il dato sembrerebbe di particolare interesse, dal momento che nella faseedilizia di quarto secolo la struttura verrà utilizzata per contenere le note tombe di-pinte, dimostrando in qualche modo una interessante continuità di destinazione d’uso,intensificatasi nei secoli 131.

La ‘pastas’ G2 fu abbandonata alla fine del VI-inizio del V secolo. L’occupazionedegli spazi dell’edificio arcaico fu ripresa solo oltre un secolo e mezzo più tardi,quando una totale risistemazione planimetrica 132 comportò anche un considerevoleampliamento del complesso 133.

Settore 3 134

Come si è visto nel primo paragrafo, i più recenti scavi dell’area G3 hanno inte-ressato l’intero complesso (fig. 4), ad eccezione dell’ambiente A già precedentementeindagato in maniera esaustiva, portando come primo risultato una precisazione rela-tiva alla datazione dell’impianto del complesso G3, che risulta edificato non alla finedel VI secolo come si era ipotizzato 135, bensì almeno nei primi anni dello stesso se-colo, in pieno periodo arcaico, contemporaneamente dunque all’abitazione a ‘pastas’dell’area G2 136.

Si è visto anche come il complesso fosse articolato in due edifici paralleli (A-F,B-E) separati da un corridoio.

Nella prima fase dell’utilizzo il grande edificio meridionale (vani B-E: fig. 9) eracostituito da un ampio ambiente rettangolare allungato al quale seguiva un ambientepiù piccolo, quasi quadrato, orientati in senso nord-est sud-ovest, con tetto pesante ericca decorazione architettonica, tra cui si è segnalato il rinvenimento in situ all’in-terno dell’ambiente B di un’antefissa gorgonica di VI secolo a.C. (fig. 10).

L’ambiente B ha conservato, sul piano di calpestio arcaico, le impronte del basa-

131 In questa direzione De Juliis 1989a, p. 218; più dubitativa rispetto al rapporto tomba edificio (acausa della mancanza di rapporti stratigrafici affidabili, irrimediabilmente compromessi dal successivoimpianto di un pozzo) la posizione espressa in Ciancio 1989a, pp. 38-39.

132 L’edificio si dota di un corridoio a forma di ‘L’ e di un ingresso monumentale composto da co-lonne di calcarenite rivolto a Sud.

133 In una fase ancora più recente (fine IV-III sec. a.C.) alcuni degli ambienti dell’edificio G2 furonoinglobati nella adiacente casa a peristilio G1, cfr. paragrafo successivo.

134 Riccardi 1989a e b; De Juliis 1995, pp. 72-73, 1997, 1998; Galeandro 2000, 2001.135 Riccardi 1989a, pp. 65-78.136 Ciancio 1989a, pp. 29-43.

GLI SCAVI SULL’ACROPOLI DI MONTE SANNACE (1994-2001) 91

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mento di due colonne circolari 137, che bipartivano longitudinalmente lo spazio in-terno e dovevano essere funzionali al sostegno del tetto dell’ampio ambiente.

Nell’ambiente E lo scavo si è fermato alla fase di V secolo e dunque non è statamessa in luce la fase di vita precedente 138.

La planimetria aggiornata (fig. 4) evidenzia come gli scavi più recenti non possanoconfermare archeologicamente l’ipotesi, formulata in seguito ai primi scavi, di dueedifici gemelli 139. Tuttavia le ultime indagini confermano che le due strutture paral-lele fossero legate tra loro e contemporanee, a formare quindi un unico complesso.

La differenza tra i due edifici (A-F, B-E) non sembra tanto riconducibile alle va-riabili morfo-dimensionali, quanto ad una differente impostazione dei due plessi adia-centi. Non sembra tanto rilevante il fatto che il vano A, rispetto al vano B, sia piùstretto di mezzo metro circa, ma più lungo di egual misura o quali siano le caratteri-stiche dell’ambiente F (scoperto o coperto, chiuso o aperto) rispetto all’ambiente E,quanto il dato che l’organizzazione dei due edifici sembri studiata per differenti fini.

In primo luogo la differenza negli ingressi; il grande ambiente A, di dimensioni si-mili a quelle dell’ambiente B, aveva la sua apertura sul lato lungo verso nord, men-tre il vano B mostra un’apertura decisamente più angusta, tra le ante, rivolta a NE.Inoltre l’edificio formato dagli ambienti A-F è caratterizzato dalla presenza di unabanchina per ogni vano.

Il ‘megaron’ arcaico sembra dunque interpretabile come luogo con valenza pro-babilmente ‘cultuale’, ma maggiormente ‘privata’, mentre il complesso A-F, stretta-mente legato sia nella struttura che evidentemente nella funzione al complesso deivani B-E, potrebbe essere identificato come luogo più ‘pubblico’. Come si è visto daun punto di vista strutturale la grande apertura verso nord, praticata su un lato lungodell’ambiente A, e la banchina in esso presente, possono essere di ausilio all’inter-pretazione del vano, suffragata anche dai numerosi rinvenimenti di oggetti votivi so-prattutto di seconda metà V-IV secolo a.C.

All’incirca alla metà del V secolo a.C. tutti gli edifici dell’area G furono abban-donati; difficile asserire con certezza la causa di tale abbandono, ad eccezione deldato che gli elementi desumibili dallo scavo sembrano escludere un abbandono do-vuto a cause violente.

Nel V secolo la destinazione d’uso del grande edificio arcaico sembra mutare ra-dicalmente: di esso sembra chiaramente utilizzato soltanto l’ambiente E all’interno delquale fu impiantata una fornace (figg. 11-17).

La mancanza di elementi certi riguardo alla funzione produttiva della fornace, dicui non sono stati rinvenuti butti o scarti di lavorazione, è sopperita in parte dalla si-tuazione stratigrafica, che suggerisce una datazione della sua fase d’uso alla seconda

137 Tracce circolari formate da calcina e pietrisco dal diametro di 60 cm ca., cfr. p. 43.138 Come detto, cfr. p. 43, si è scelto di lasciare esposto alla fruizione dei visitatori del Parco Ar-

cheologico il rinvenimento di una fornace e il piano di calpestio pertinente al suo uso.139 Cfr. nota 9 e p. 35.

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metà del V secolo a.C., in un momento posteriore all’abbandono dell’edificio arcaico(avvenuto sul finire del VI secolo, quando l’intera struttura perde la sua funzione pub-blico-sacrale) e precedente il IV secolo, quando, al di sopra dello strato di crollo cheaveva obliterato ogni evidenza precedente, fu sistemato un nuovo piano di calpestio.

Alla luce di quanto detto, sembra che nel periodo compreso tra il VI e il V secoloa.C. l’acropoli si caratterizzi prevalentemente come luogo eminente, in cui sono pre-senti edifici importanti, probabilmente pertinenti ai gruppi familiari egemoni, che inquelle abitazioni, oltre a risiedere, svolgono una serie di funzioni civili e religiose, cuiprobabilmente partecipa l’intera comunità, cioè anche quanti abitavano nella partebassa ad Ovest dell’acropoli, dove la tipologia piuttosto elementare delle abitazionisembra riferibile a ceti sicuramente meno abbienti 140.

(F.G.)

2.2. L’acropoli nei secoli V-I a.C.

L’analisi delle evidenze relative al V secolo rinvenute sull’ampia zona indagatadell’acropoli sembrerebbe proprio confermare quel topos, altrove risultato errato, diuna complessa crisi dell’abitato antico in relazione alle guerre con Taranto. Il fio-rente centro di Monte Sannace, distando effettivamente non molto dalla polis spartanae dal territorio messapico, teatro delle battaglie, rimase probabilmente coinvolto dallalunga belligeranza e dalle conseguenze che questa produsse sulla popolazione, sullosviluppo demografico e sull’evoluzione dell’intera società.

La situazione dell’acropoli nell’ambito del V secolo non solo non presenta sviluppirispetto al periodo precedente al quale si fanno risalire tante costruzioni importanti perstruttura e significato sociale, ma dimostra per questa fase una vistosa involuzione ri-spetto a quanto noto per il periodo arcaico. Nessun edificio collocabile nel VI secolocontinua ad essere utilizzato nel secolo successivo (fig. 6). Gli edifici 2 e 5 recente-mente rinvenuti nell’area H sembrano esaurire le testimonianze di vita sul finire dellostesso VI secolo 141; uguale cosa dicasi per l’ancor più antico edificio della parte me-ridionale dell’area D oggetto di questo studio, la cui prima fase di utilizzo non sem-bra superare la soglia del periodo arcaico: solo nel IV secolo circa sarà rioccupata laparte orientale del grande complesso; anche la casa a ‘pastas’ dell’area G2 cessa diessere utilizzata alla fine del VI secolo e rimane in disuso fino a oltre la metà del IVsecolo. Né sono presenti sull’acropoli costruzioni di nuovo impianto datate al V se-

140 Inoltre il mancato rinvenimento in pianura, a tutt’oggi, di edifici riferibili a questa fase cronolo-gica di un certo impegno ed articolazione, avvalora questa ipotesi. Sembra dunque che già da età arcaicaquesto importante insediamento sia articolato in una parte bassa in cui risiedevano i ceti ‘subalterni’,priva di edifici riferibili a manifestazioni pubbliche e cultuali, che invece dovevano svolgersi sul pianoroacropolico, dove, in questa fase, una serie di edifici oltre a garantire le residenze delle élites dovevanosicuramente essere utilizzati come strutture ricettive per manifestazioni a carattere pubblico-religioso.

141 Ciancio, Galeandro, Palmentola 2009. Poche ancora le notizie relative agli edifici posti sulla som-mità dell’acropoli venuti alla luce in scavi della Soprintendenza degli anni 2002-2003 e solo prelimi-narmente pubblicati.

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colo 142. A questo vistoso momento di arresto non fa eccezione neanche il grande com-plesso arcaico dell’area G3, che pure, solo qualche decennio più tardi rispetto agli altriconsiderati, viene come si è visto abbandonato: la fornace impiantata in uno degliambienti parzialmente crollati è la testimonianza del grave mutamento della funzionedell’edificio, l’eco di plausibili più profondi cambiamenti sociali, nonché l’unica te-stimonianza archeologica dell’acropoli di Monte Sannace sicuramente databile allaII metà del V secolo a.C. Oltre alla fornace, infatti, sappiamo solo genericamente cheal V secolo dovevano datarsi forse due delle sei ‘grandi tombe’ rinvenute da BiancaMaria Scarfì nell’Area D 143.

Emerge da quanto brevemente preso in considerazione che l’inizio della crisi nel-l’abitato di Monte Sannace sembrerebbe datarsi ai primi anni del V secolo, dunquecontemporaneamente ai primi momenti dello scontro, testimoniando un intenso coin-volgimento nella guerra con Taranto.

Da quanto finora è noto, inoltre, la situazione rimane critica fino a tutta la primametà del IV secolo.

In questa fase l’acropoli del centro antico non doveva essere certamente spopolata,come dai rinvenimenti archeologici effettuati fino ad oggi sembrerebbe, tuttavia si puòipotizzare un decremento nel numero degli abitanti 144 e supporre un cambiamento ditipo ‘politico’ come probabile causa del radicale sconvolgimento nell’assetto del-l’organizzazione della compagine sociale: non può essere cosa di importanza trascu-rabile l’abbandono simultaneo e definitivo degli edifici monumentali arcaici.

La nuova eccezionale fioritura del centro antico – e dell’acropoli per quanto ci ri-guarda – avviene dalla metà del IV secolo, quando la città si cinge di due circuiti mu-rari, uno per la parte in pianura e l’altro per l’acropoli; la parte interna alle mura èorganizzata con una più razionale suddivisione degli spazi, d’ora in poi, inoltre, piùfittamente occupati.

Sull’acropoli la ‘maglia urbana’ è costituita da alcuni assi viari, che si presentano

142 Vi sono nello scavo B, al di sotto di uno degli ambienti datati fra la fine del IV e il III sec. a.C.,due muri perpendicolari che si incontrano ad angolo retto relativi ad una non meglio definibile fase pre-cedente (Scarfì 1962, p. 103), (fig. 38, Scavo B, all’interno del vano sud-ovest).

143 Nella parte meridionale dell’area D, al di sotto di un edificio il cui impianto è datato non primadella metà del III secolo a.C., la Scarfì rinvenne sei tombe monumentali (tombe 104-109), purtroppo tuttesaccheggiate in antico al momento dell’edificazione della struttura che si è sovrapposta loro, databilicomplessivamente, secondo la studiosa, ad un lungo periodo che dalla fine del VI secolo giunge agli inizidel III sec. a.C. (Scarfì 1962, pp. 126-127, Ciancio 2001, p. 34). Lo studio dei frammenti provenientidall’area e considerabili verosimilmente risparmiati dal saccheggio delle tombe in antico è stato ripresoda A. Ciancio, che ne restringe l’arco cronologico di circa un secolo, dalla fine del VI cioè, fino ai primidecenni del IV sec. a.C. A questi anni infatti risalgono i frammenti di ceramica apula a figure rosse piùrecenti attribuibili alla cerchia del Pittore di Tarporley (Ciancio 1995, in particolare p. 34). Sembra per-tanto che questa area nel cuore dell’acropoli sia stata utilizzata con continuità come luogo di sepoltureeminenti per un lungo periodo – compreso il momento che ci interessa – e indipendentemente dalle ri-percussioni sociali degli eventi storici. Sulle tombe rinvenute da B. M. Scarfì fra il 1957 e il 1961 cfr.anche Gargano 2002-2003.

144 Considerando che l’acropoli era la parte centrale e meglio difendibile di tutto il centro antico, nonsi può immaginare che la popolazione si fosse accentrata in altra zona dell’insediamento.

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non rettilinei e regolari per orientamento là dove ricalcano percorsi preesistenti (comesembrerebbe per quello che in direzione circa est-ovest taglia la sommità dell’acro-poli unendo lo scavo B allo scavo C e arrivando fino alla parte più settentrionale delloscavo D), sono attentamente (con la costruzione di zoccoli di muri non utili se non aquesto scopo 145) orientati invece quando sono di nuova creazione (fig. 38). Questo ap-pare chiaro, ad esempio, per la strada che percorre in senso nord-sud la parte meri-dionale dell’acropoli (area G, che divide in due parti), confluendo a nord nell’asseest-ovest quasi parallelo a quello più settentrionale già citato. Nonostante la cono-scenza della viabilità sia ancora limitata, sembra che le strade note dell’acropoli de-finiscano isolati rettangolari allungati, non regolari e non uguali, probabilmente anchea causa dell’organizzazione insediativa che, per quanto regolata, ha dovuto adattarsialle caratteristiche topografiche di questa parte in altura, nonché alle preesistenze.

Le abitazioni rinvenute sull’acropoli databili a questo ambito cronologico sono digran lunga più numerose rispetto a quelle del periodo precedente e di maggior pre-gio rispetto alle contemporanee case del quartiere ovest nella parte pianeggiante; sem-bra pertanto che in questo momento l’acropoli sia area privilegiata per le residenzedel ceto più abbiente. La vita di queste abitazioni è collocabile nel III secolo, ma inalcuni casi la loro costruzione va posta negli ultimi decenni del secolo precedente.Pare essere questa la situazione del complesso degli ambienti dello scavo A e in par-ticolare della casa a ‘pastas’ sul limite orientale; uguale condizione è rilevabile pergli ambienti dello scavo B, le più ordinate residenze dello scavo C e per i pochi restinoti dello scavo E 146. Stessa datazione ha la grande casa ellenistica dello scavo G, set-tore 1 147. Una datazione di poco più recente hanno le strutture dello scavo F eviden-ziate da De Juliis negli anni 1978-1983, la prestigiosa casa al margine meridionaledell’area D messa in luce dagli scavi Scarfì e, a quanto rivalutato da recenti scavi, gliambienti che si sviluppano in senso nord-sud posti sul limite est della stessa area D 148

(fig. 6). Queste abitazioni sono tutte di nuova costruzione; per quanto noto sembra infatti

che in questa fase più recente l’eventuale riutilizzo degli edifici più antichi sia soloparziale e che essi, tutti indistintamente, perdano la funzione o quantomeno l’impor-tanza e il ruolo rivestito nella fase arcaica. Una significativa eccezione, limitatamentealla fase che va dalla seconda metà del IV secolo all’inizio del III, può essere consi-derato l’edificio dell’area G settore 2, che in questa fase assume una funzione assaidiversa rispetto a quella di dimora principesca ipotizzata per la fase arcaica, mante-

145 Cfr. p. 57 per l’area G3, pp. 73-74 per l’area D.146 Scarfì 1962, pp. 97-102 (scavo A), pp. 103-104 (scavo B), pp. 104-110 (scavo C), pp. 142-146

(scavo E).147 Rossi 1989b, pp. 17-28.148 Rossi 1989c, p. 208 (lo scavo F, ubicato a sud-est della cosiddetta chiesa di S. Angelo, è generi-

camente datato al III sec. a.C.); Scarfì 1962, pp. 125-128 (residenza area D datata alla II metà del III sec.a.C.); Ciancio, Galeandro, Palmentola 2009, pp. 314-315 (ambienti abitativi datati alla fine del III sec.a.C.).

GLI SCAVI SULL’ACROPOLI DI MONTE SANNACE (1994-2001) 95

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nendo tuttavia, ma in altro modo, un ruolo di singolare prestigio: è questo il noto edi-ficio monumentalizzato e utilizzato per racchiudere alcune sepolture. Queste acco-glievano personaggi di particolare importanza all’interno della società, destinatari,appunto, di grandi tombe a semicamera dipinte all’interno. Nella fase successivaanche questo edificio perdette del tutto la funzione di simbolo di prestigio e parte diesso fu utilizzata come appendice dell’ampia residenza ellenistica della limitrofa areaG1 149.

Attenzione specifica merita la complessa situazione delle evidenze dell’area H,cuore dell’acropoli (fig. 6). Tra la metà del IV e la metà del III secolo a.C. probabil-mente, contemporaneamente al fiorire di tutto l’abitato, è da porre la maestosa edifi-cazione e l’utilizzo di un muro poligonale, interpretabile come temenos, che occupala parte più alta del pianoro 150. Sembra assai probabile che questo muro racchiudesse,appunto, uno spazio sacro e in particolare che potesse racchiudere uno o più edificicultuali, uno dei quali è possibile identificare con la struttura rettangolare orientata insenso est-ovest, quasi del tutto spoliata e leggibile pertanto solo in negativo, presentelungo il margine settentrionale dell’area. Restano in situ relativamente a questa strut-tura i blocchi di tufo, squadrati e posti di taglio, che costituivano il suo lato orientalee parte di quello settentrionale. Dalla pianta pare potersi leggere, inoltre, che l’edifi-cio fosse composto da due ambienti, uno rettangolare allungato visibile nella sua in-terezza e un secondo, ad ovest, la cui comprensione è interrotta dal limite di scavo.È ipotizzabile anche che a questo edificio appartenessero originariamente le colonnein tufo trovate in posizione di reimpiego nelle vicine strutture più recenti – fine III se-colo si è detto – finora interpretate dalla Scarfì come ‘portico’151.

Nella fase in cui supponiamo fosse in vita il temenos, non vi era compresenza dialtri edifici nell’area D: l’edificio al limite meridionale, ad est dell’incrocio di strade,era forse già in disuso, la casa posta sempre al limite meridionale dell’area, ad ovestdell’incrocio delle strade, è di costruzione posteriore, così come le abitazioni del vi-cino scavo C, databili solo agli inizi del III secolo. Si è già detto, inoltre, che dai primidecenni del IV secolo si era interrotto l’utilizzo della parte meridionale dell’area Dcome luogo destinato a sepolture di particolare pregio 152.

149 Ciancio 1986 e 1989a. Cfr. anche p. 56 e nota 50.150 Ciancio, Galeandro, Palmentola 2009, pp. 313-317. Sembra in realtà che non vi siano elementi cro-

nologici specifici relativamente a questo maestoso muro composto da blocchi tufacei, ciò nonostante al-cuni elementi mi inducono a questa datazione: è posteriore all’edificio 2 (il cui termine basso difrequentazione è la fine del VI sec. a.C.), come afferma chi ha condotto lo scavo (Ciancio, Galeandro,Palmentola 2009, p. 315) e anteriore alla costruzione degli ambienti sul suo limite orientale (datata allafine del III sec. a.C.); inoltre l’uso massiccio di blocchi calcarenitici è documentato a Monte Sannaceper opere pubbliche o parti architettoniche di rilievo nella II metà del IV secolo e, in ultimo, l’impegnoeconomico e la grandiosità del risultato mi sembrano in linea con il risorgere e il ricostituirsi del centroantico nella fase ellenistica.

151 Scarfì 1962, pp. 110-121.152 Cfr. quanto detto alla nota 143. Accettando la tesi che questa zona non sia più stata utilizzata per

tombe di prestigio dai primi decenni del IV secolo (forse in relazione alla vicinanza al temenos?), viene

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Sembra pertanto ipotizzabile che nella importante fase di vita del centro antico, frala metà del IV e la metà del III secolo, la parte centrale della sua acropoli fosse de-stinata esclusivamente ad edifici pubblico/religiosi.

Alla metà circa del III secolo in seguito all’abbandono e alla spoliazione del te-menos e del presunto edificio al suo interno, vengono costruite in questa zona, comegià ricordato, alcune abitazioni: la casa al margine sud-occidentale scavata dalla Scarfì(e impostatasi su quello spazio destinato per lungo tempo a deposizioni di prestigio),gli ambienti abitativi lungo il limite orientale (finora interpretati come ‘portico’153).Intorno alla metà del III secolo, inoltre, termina l’utilizzo dell’area G2 come luogo de-stinato ad accogliere tombe di personaggi di rilievo.

I dati in nostro possesso inducono dunque a ritenere che alla metà circa del III se-colo a.C. sia avvenuto un notevole mutamento politico, che portò ad un altrettanto im-portante mutamento nella destinazione d’uso dell’acropoli in generale ed inparticolare degli spazi in essa prima destinati a edifici e ad aree pubblico/sacre. Nellearee D e H, prima in parte occupate dalle imponenti strutture in calcarenite, si im-piantano ora abitazioni private; l’area G2, che prima era destinata a sepolture di per-sonaggi di rango, è ora annessa con finalità domestica alla casa ellenistica dell’areaG1 edificata già da qualche decennio. Inoltre, proprio in concomitanza con questetrasformazioni, avviene il depredamento delle tombe monumentali dell’area D 154 e ildepredamento, o forse solo l’abbandono 155, delle tombe dell’area G2, probabilmentead opera di chi andò ad occupare per fini diversi gli stessi spazi.

Le motivazioni alla base del cambiamento che ha investito il cuore dell’acropoli,il fulcro della vita politica e religiosa della comunità, potrebbero essere le stesse chedeterminarono il repentino e definitivo abbandono dei quartieri in pianura e, in ge-nerale, il ridimensionamento dell’intero centro antico 156; queste vanno ricercate,

da chiedersi se non abbia qualche rapporto di successione cronologica e dunque di utilizzo l’abbandonodi quest’area e l’inizio della frequentazione allo stesso scopo dell’edificio dell’area G2 monumentaliz-zato negli ultimi decenni del IV secolo con la funzione di accogliere tombe a semicamera.

153 Ad Angela Ciancio si deve la rilettura dei vecchi scavi e, alla luce delle nuove indagini, la propo-sta di una diversa interpretazione. Ciancio, Galeandro, Palmentola 2009. Cfr. p. 95 e nota 148.

154 Scarfì 1962, p. 126.155 De Juliis ipotizza che le tombe del settore G2 siano state depredate solo nei primi decenni del I

secolo a.C. quando si registra sull’acropoli una devastazione, ipoteticamente messa in rapporto con levicende della Guerra Sociale, e che esse fossero state invece rispettate al momento dell’annessione del-l’area all’edificio G1 e fino a quel momento (De Juliis 1989a, p. 224, anche Rossi 1989c, p. 208).

156 Se così fosse, sembra che la datazione del nefasto avvenimento debba essere rialzata, rispetto aquanto proposto dalla Scarfì, di qualche decennio, dalla fine del III secolo alla metà circa dello stesso.Questa ipotesi di datazione più alta della fine dell’abitato in pianura è in contrasto con la datazione at-tribuita dalla Scarfì (fine del III secolo) al quarto circuito murario (Scarfì 1962, p. 96). Le ragioni chehanno portato la studiosa a quella ipotesi di datazione sono però di tipo deduttivo e non basate sui restiarcheologici che non offrivano certezze; va pur detto che, se la datazione dell’ultimo circuito murariofosse effettivamente quella proposta, si potrebbe anche ipotizzare una distruzione e abbandono non si-multaneo di tutti i quartieri abitativi. Un sostegno all’ipotesi di una datazione più alta del definitivo ab-bandono del quartiere ovest in pianura è data dall’analisi, ancora inedita, dei risultati dei più recentiscavi della Scuola di Specializzazione di Bari: alcuni ambienti, impostatisi sulla distruzione per cause

GLI SCAVI SULL’ACROPOLI DI MONTE SANNACE (1994-2001) 97

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verosimilmente, in un fattore esterno, una situazione bellica, che o in maniera direttaabbia causato l’abbandono di gran parte dell’insediamento, o in maniera indirettane abbia determinato un comunque repentino crollo. Varie congetture potrebbero es-sere formulate al fine di comprendere quale possa essere stato l’avvenimento deter-minante, senza però possibilità di conferma 157. Non si cercheranno pertantoriferimenti a singoli fatti storici noti, in quanto non vi è conoscenza concreta delcoinvolgimento di Monte Sannace (Thuriae, è verosimile 158) in specifici episodi bel-lici, né è possibile al momento, inoltre, conoscere per questo presunto avvenimentouna data circoscritta, che superi la generica datazione alla “metà del III secolo”. Èpossibile constatare che la presenza di Pirro nella nostra regione si collochi in anniancora troppo lontani dagli avvenimenti di cui ci interessiamo e che pertanto sia ne-cessario considerare come più verosimili episodi più recenti legati forse alla I guerrapunica. In maniera diretta o indiretta, tramite scontro o pacifico accordo, vi sarà co-munque stata in questa fase storica l’inevitabile ripercussione all’interno di MonteSannace di quelle trasformazioni determinate dal crearsi di un nuovo equilibrio frail centro indigeno e Roma, come stava avvenendo ormai in tutta la regione investitain maniera incalzante dall’espansione romana 159. Inoltre, va considerato anche cheil ridimensionamento della potenza politica di Taranto e la fondazione della coloniadi Brundisium (244 a.C.) crearono in quegli anni le condizioni per l’isolamento con-creto, dovuto all’incentivarsi di percorsi viari differenti, di quei centri gravitanti eco-nomicamente nell’orbita tarantina e geograficamente collocati nell’interno dellaPeucezia: Monte Sannace è di certo da includersi fra questi 160.

Pertanto dalla metà del III secolo a.C. la vita dell’ormai depauperato insediamentosi ridusse solo all’acropoli, dove si hanno ancora testimonianze di frequentazionefino al I secolo a.C. «La documentazione archeologica relativa a questa fase ci portafino ai primi decenni del I secolo a.C., allorché una nuova devastazione segna il ter-mine della vita civile anche sull’acropoli. Questa nuova e definitiva distruzione èstata ipoteticamente messa in rapporto con le vicende della Guerra Sociale» 161. Le te-stimonianze di questa fase sull’acropoli di Monte Sannace provengono in particolaredalla casa ellenistica dello scavo G1, dove è documentata la vita fino alla metà circadel I secolo a.C. L’area G3, abbiamo visto in dettaglio, cessa di essere utilizzata circa

violente di altri di inizio ellenismo, sembrano conservare materiale archeologico non databile oltre lametà del III sec. a.C. (per una descrizione preliminare si veda Palmentola 2010).

157 Musti (Musti 2005, p. 351) definisce “oscuro” il mezzo secolo che va dalla presenza di Pirro allaguerra annibalica, “oscuro perché poco noto, ma anche oscuro di fatto, nel senso di un progressivo de-clino generale”.

158 Cfr. Silvestrini 2010, pp. 556-557.159 Il momento della “piena sottomissione” dell’area peucezia a Roma non è noto e quanto cono-

sciuto dalle fonti letterarie fa propendere per un comportamento altalenante o quantomeno non univoconei vari momenti salienti del III sec. a.C. Da ultimo si veda in proposito Grelle 2010, in particolare lepp. 120-122.

160 Musti 2005, pp. 370-380.161 De Juliis 1989a, p. 224.

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alla fine del III secolo a.C.; nell’area D vi sono sporadiche presenze databili a que-sto momento così tardo, come la tomba a fossa con infante deposto in posizione su-pina assegnabile alla metà del II secolo a.C. 162; per le altre aree di scavo sull’acropoliil termine basso di frequentazione appare piuttosto incerto, in quanto l’indicazionespesso fornita dalla Scarfì della presenza di frammenti di ceramica sigillata o di ce-ramica megarese non è sufficiente conforto per l’ipotesi di un così lungo utilizzo degliambienti.

«Alcune lapidi iscritte databili alla fine del I sec. a.C. […] rinvenute riutilizzatein modestissime strutture più tarde, insieme a qualche moneta sporadica e a scarsiframmenti di terra sigillata, documentano un uso del sito in epoca imperiale piutto-sto insignificante e comunque in alcun modo organizzato o intensivo: più che ad unaprecisa forma di convivenza organizzata sembra verosimile pensare alla presenza sal-tuaria sull’acropoli di Monte Sannace di nuclei di pastori» 163.

(P.P.)

2.3. L’acropoli di Monte Sannace nel quadro della civiltà peucezia

Non è semplice porre in relazione i dati provenienti dall’acropoli di Monte San-nace con situazioni analoghe negli altri centri della Peucezia, proprio in virtù di unassai differente livello d’indagine, che vede Monte Sannace assolutamente privile-giato rispetto a tutti gli altri centri.

Solo Gravina ed Altamura, per quanto riguarda l’area murgiana, sono centri og-getto d’indagini, anche se non sistematiche, quantomeno numericamente significative,da cui sono ricavabili dati un po’ più precisi e quindi funzionali all’argomento trat-tato; tuttavia anche questi centri non consentono una lettura sufficientemente precisae dettagliata, tanto da costituire una reale pietra di paragone rispetto all’insediamentoin esame. In ogni caso si cercherà di porre in relazione e confrontare tutti i dati pos-sibili, a vari livelli, in base al differente grado di approfondimento delle indagini.

IX-VII secolo a.C.

Già a partire dall’età del Ferro, l’analisi dell’acropoli di Monte Sannace pone dun-que in essere alcune questioni di un certo rilievo, che in alcuni casi non sembrano tro-vare riscontro nelle situazioni note negli altri centri della Puglia centrale.

Il centro in agro di Gioia del Colle non mostra particolari elementi di novità ri-spetto ai dati già noti relativi alle tipologie d’insediamento – a quanto sembrano direi rinvenimenti allo stato attuale della ricerca: gruppi sparsi di strutture capannicoleposti in luoghi eminenti e in grado di garantire un facile approvvigionamento idrico– né rispetto alle caratteristiche tecniche relative alle strutture straminee 164.

162 Cfr. pp. 76-79.163 Rossi 1989c, pp. 209-210.164 Un certo elemento di novità, come si è visto, è riscontrabile in alcune tipologie di materiali rin-

venuti all’interno di alcune capanne, cfr. pp. 85-88.

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Come si è avuto modo di osservare, un certo elemento di novità e in ogni caso dipeculiarità, è costituito invece dal rinvenimento, all’interno di una struttura capanni-cola con orizzonte cronologico riferibile al VII secolo a.C., di ceramica definita sub-geometrica coloniale 165, che trova i confronti più diretti nel materiale proveniente daSiris e dall’Incoronata e che invece non trova elementi di confronto in situazioni ana-loghe all’interno della Peucezia.

Dunque, quale che sia l’interpretazione da conferire al dato, è indiscutibile l’ele-mento di novità emerso, così come di un certo rilievo e di sicura novità rispetto allasituazione peucezia sono risultate le evidenze emerse a Monte Sannace durante gliscavi più recenti sul pianoro acropolico (area D) che hanno portato alla luce almenoun edificio di un certo impegno edilizio, il cui primo impianto sembra riferibile ad unmomento precedente rispetto al VI secolo a.C. (fig. 28) 166.

Sembra quindi che già prima del VI secolo a.C. ci siano sull’acropoli di MonteSannace edifici di considerevole impegno edilizio, specie se raffrontati alle contem-poranee costruzioni abitative di tipo capannicolo, che sicuramente dovevano svol-gere funzioni differenti rispetto a quella semplicemente abitativa e che potrebberofare riferimento alla sfera cultuale.

In questo caso, tuttavia, il dato potrebbe non limitarsi al sito di Monte Sannace, nelsenso che, come si è accennato 167, questo potrebbe non essere l’unico caso in Peu-cezia 168.

VI-V secolo a.C.

Come si è visto nei paragrafi precedenti la situazione che caratterizza l’acropolidi Monte Sannace in questa fase 169 è dominata dalla presenza di imponenti edifici‘polifunzionali’ probabilmente ad appannaggio della o delle élites che dominavano ilcentro peucezio. Si è potuta constatare sia la presenza di edifici ‘privati’ che quelladi strutture a carattere ‘pubblico’, accanto a quella di edifici pensati come luogo diconservazione – e quindi probabilmente di culto – di deposizioni pertinenti a perso-naggi in vista nella struttura sociale del centro.

Questo quadro va completato dall’analisi dei rinvenimenti effettuati nella zonapianeggiante ad W dell’acropoli per cercare di mettere in relazione il sistema pia-nura-acropoli con le indicazioni che ci forniscono gli altri centri peucezi.

165 Come si è avuto modo di constatare, si tratta di una ceramica dipinta in colore scuro lucente sufondo chiaro, con decorazione per lo più geometrica che tradisce un’ispirazione a modelli protocorinzie argivo-insulari (Amatulli, Ciancio, Vania 2010, p. 286).

166 Cfr. pp. 65-69.167 Cfr. pp. 82-85.168 Il riferimento è al succitato rinvenimento effettuato a Rutigliano, in contrada Purgatorio. Nel caso

di Rutigliano l’edificio non si colloca in posizione di particolare rilievo altimetrico a differenza di quantovisto a Monte Sannace. Tuttavia va sottolineata la differente conformazione del territorio rutiglianese,assolutamente pianeggiante, per cui l’insediamento non è caratterizzato dalla presenza di un’acropoli edi una parte bassa.

169 A riguardo si vedano Galeandro 2007-2008, pp. 83-102 e 437-451; Galeandro 2010, pp. 195-202.

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Si è notato come in realtà già nel VI secolo in pianura siano state rinvenute, al disotto della nuova fase edilizia di IV secolo, una serie di strutture, per lo più mono-cellulari, riferibili all’abitato arcaico che in questa zona aveva sede 170.

La profonda differenza planimetrico-strutturale rispetto alle strutture rinvenute inacropoli, unitamente al mancato rinvenimento di edifici di un certo impegno in que-sta parte bassa, sembrerebbe ricondurre le due parti del sito, pianura ed acropoli, adun medesimo insediamento. Sembra plausibile che gli importanti edifici acropolicifossero sede di pratiche collettive rivolte anche a quanti abitavano in pianura, che sicaratterizza invece come un luogo residenziale per i ceti meno abbienti, secondo undualismo sociale che sembra confermato dai dati provenienti dall’analisi delle por-zioni necropolari riferibili al periodo, rinvenute nella Peucezia 171.

Dunque, l’analisi generale dei corredi tombali rinvenuti in Peucezia permette, nel-l’integrazione con i dati provenienti dai contesti abitativi, due interessanti conside-razioni.

In primo luogo il dato proveniente dai contesti necropolari sembra assolutamenteben conciliarsi con quanto è noto relativamente all’articolazione delle strutture inse-diative del periodo. Nel VI e quindi V secolo gli edifici rinvenuti nella Puglia centralesembrano essere di due tipi: grandi strutture ‘polifunzionali’ oppure semplicissimeabitazioni per lo più monovano, a testimonianza di un tessuto sociale non troppo ar-ticolato che vede appunto aristocrazie dominanti e ceti bassi.

Il secondo elemento su cui è possibile soffermarsi è relativo al V secolo, con-siderato comunemente un secolo di crisi a causa delle note lotte tra Taranto e gliIapigi.

Il dato di flessione supposto, soprattutto per la prima metà dello stesso, non sem-

170 Cfr. pp. 88-89.171 «Nel VI secolo le numerose comunità stanziate nel territorio appaiono formate da individui di

medio e modesto livello sociale, rispetto ai quali emergono pochi personaggi di alto rango, deten-tori di armi e di oggetti di pregio, identificabili con ogni probabilità come condottieri. Di fronte alprevalere dell’elemento indigeno si riscontra comunque l’esistenza di contatti ed interscambi con icentri dell’entroterra lucano, documentati soprattutto nella Peucezia sudoccidentale, ed una sensibileapertura verso il mondo coloniale e verso il commercio greco, in prevalenza corinzio, particolar-mente attivo nel primo cinquantennio del secolo. Fra la fine del VI ed il V secolo la presenza nei cor-redi di un accresciuto numero di oggetti d’importazione indica l’esistenza di intensi traffici con ilmondo ellenico e si evidenzia il ruolo ormai preponderante svolto nel commercio adriatico da Atene,in grado di offrire prodotti di notevole pregio artistico in cambio di grano ed altre derrate. Le co-munità di V secolo, fondate su un’economia essenzialmente agricola, mostrano un livello di vita ingenerale più elevato rispetto al passato. La quantità di oggetti deposta nelle sepolture supera di granlunga la media registrata nel secolo precedente [in media ventisei oggetti per corredo] e ancor piùse si considera la sola necropoli di Purgatorio, nella quale si raggiunge la media di trentacinque re-perti per corredo, fino a toccare, in alcuni casi, le punte massime di oltre cento oggetti. Soprattuttoin quest’ultima località, come pure a Botromagno, sembra individuarsi una società ormai attestata alivelli medio-alti, in grado di assimilare gli apporti esterni e rielaborarli autonomamente, nell’am-bito della quale la presenza di individui di un certo rango, in grado di usare le armi, non appare piùcome un caso isolato, bensì come indice di una diversificazione delle funzioni all’interno della co-munità» (Riccardi 1989c, 81-83).

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bra così evidentemente riscontrabile nei corredi di quasi tutti i centri Peucezi, comesi può notare per Gravina e Rutigliano, solo per citare gli esempi più importanti 172.

La risposta potrebbe essere quindi rintracciata nell’analisi differenziata dei centriindagati, includendo quelli di confine che sembrerebbero nel caso specifico i miglioriindicatori del fenomeno. Questa contrazione, riscontrabile in Messapia, sembra altresìevidente nei centri della zona sud-orientale, in particolar modo quelli posti maggior-mente a contatto con la chora coloniale e che quindi, con buona probabilità, sarannostati coinvolti più direttamente nello scontro o in ogni caso nelle ripercussioni che avràcomportato. I centri di Ginosa e Laterza, per i quali si è rilevata la presenza indigenarelativamente all’età arcaica, rivelano, soprattutto per quanto riguarda gli insedia-menti di Passo di Giacobbe nel primo centro e di Monte Camplo nel secondo, una for-tissima flessione per quanto riguarda il V secolo 173, analogamente a quanto succedea Masseria del Porto in agro di Castellaneta 174.

A questo proposito un’ulteriore riprova potrebbe essere costituita proprio da MonteSannace, dove il V secolo sembra registrare una certa flessione, già notata anche inrelazione alla tipologia dei corredi tombali 175 e all’abbandono di alcuni dei prece-denti edifici polifunzionali 176. Si è più volte sottolineato come ci sia una certa conti-nuità insediativa tra il VI e il V secolo; tuttavia, laddove possibile, appare opportunospecificare meglio i termini di questa continuità. Se i dati provenienti dalla parte bassadel centro mostrano una certa continuità di utilizzo delle piccole case monocellulariche continuano ad avere la loro funzione abitativa almeno dalla metà del VI a quelladel V, tuttavia non può sfuggire un elemento relativo all’edificio arcaico rinvenuto nel-l’area G3. Si è visto come l’impianto originario dell’edificio fosse sicuramente rela-tivo ad un’importante struttura ‘polifunzionale’ con tetto pesante vivacementedecorato. In seguito ad un crollo parziale del tetto, prima della successiva frequenta-zione di IV secolo, in un ambiente di quest’edificio si impianta una fornace, segno evi-dente che pur nella continuità di occupazione spaziale era radicalmente mutata ladestinazione d’uso dell’edificio.

Insomma, mentre in alcuni centri si avverte questo fenomeno di contrazione, lamaggior parte dei centri peucezi mostra una crescita che non registra flessioni. Forseè estensibile a questo secolo la considerazione, fatta a proposito di un momento sto-rico successivo 177, che lo stato di belligeranza documentato dalle fonti abbia finito per

172 Forse, come spesso accade, la questione andrebbe affrontata nei termini di una soluzione diffe-renziata. Un errore interpretativo potrebbe consistere nel considerare la Peucezia come un rigido blocco,mentre, la disomogeneità è presente già a livello geografico.

173 La flessione è intuibile nel caso di Monte Camplo (da ultimo si veda Ciancio, Riccardi 2005, pp.84-85) a causa della documentazione disponibile, mentre è evidente nel caso di Passo di Giacobbe, sep-pur noto quasi esclusivamente attraverso le sue porzioni necropolari (si veda Schojer 1996. Notizie sulsito sono presenti sui Notiziari della Soprintendenza – Taras – degli anni 1990, 1991, 1992, 1994).

174 Schojer 1990.175 De Juliis 1989a, p. 221.176 Cfr. pp. 93-94.177 Considerazione a proposito del fatto che la Peucezia, a partire dalla metà del IV secolo a.C., ap-

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favorire i ricchi territori agricoli indigeni, in questo caso i centri più interni della Peu-cezia, aumentandone considerevolmente la richiesta di derrate alimentari come ilgrano e con essa conseguentemente la produzione e le esportazioni.

Un’altra considerazione, di un certo interesse, scaturisce dall’analisi della distri-buzione dei vasi a figure rosse posta in relazione all’influsso delle colonie greche diTaranto e Metaponto: «... nel sessantennio a cavallo tra il V e il IV secolo a.C., i vasiprotolucani importati in Puglia sono molto più numerosi di quelli protoapuli. È an-cora Metaponto, soprattutto, e non ancora Taranto, ad esercitare, quindi, il ruolo diguida nei rapporti con il mondo iapigio. Nella seconda fase, cioè nel primo trenten-nio del IV secolo, il confronto tra le due colonie greche comincia ad equilibrarsi, ben-ché le esportazioni «metapontine» costituiscano ancora il 51,2%. Un altro elementointeressante è fornito dalla distribuzione delle importazioni nelle tre regioni: i centridella Peucezia appaiono di gran lunga i maggiori importatori di ceramiche lucane edapule..., seguiti a distanza dai centri messapici» 178.

Difficile dire se, come pensano gli studiosi inglesi, la vera differenza è che con ilV secolo inizia ad avvenire il passaggio da una «chiefdom society to a state or proto-state type of organisation» 179, anche perchè secondo la lettura anglosassone in una so-cietà con un capo che governi le distinzioni sociali, il prestigio sarebbe meglio visibilenella differente qualità dei corredi, mentre in una organizzazione sociale di tipo ‘sta-tale’ sarebbero gli importanti edifici pubblici a sancirlo. La Peucezia sembra mostrareuna situazione contraria, dal momento che non ci sono attestazioni di edifici pubblicidi grandi dimensioni di primo impianto nel V secolo, mentre non mancano tombe diassoluto rilievo riferibili al V secolo a.C.

L’analisi di questi dati, porta anche altre considerazioni relativamente alla strut-tura sociale.

Le tombe rinvenute nel sito H di Gravina di VI e V secolo rappresentano indub-biamente sepolture particolari riservate ad un’élite. È opportuno sottolineare cometutti i membri appartenenti a questa élite siano seppelliti nella stessa zona, come cioènon ci siano particolari distinzioni topografiche relative ed età o sesso degli inumati.Inoltre, in base ai principi delle analisi relative ai defunti propri dell’archeologia pro-cessuale, la ricchezza del corredo di tombe riservate ad infanti 180 indicherebbe che lostatus in una società di questo tipo veniva ereditato piuttosto che conquistato; dunquela discriminazione sarebbe familiare piuttosto che per età o sesso, cioè a dire che i varigruppi familiari venivano seppelliti insieme con diversi corredi in base all’impor-tanza di ciascuno.

paia impegnata in campagne militari, ma archeologicamente mostri una notevole floridezza, forse pro-prio in virtù delle sue risorse agricole funzionali materialmente a sfamare le milizie mercenarie al ser-vizio di Taranto in lotta con i Messapi prima e con i Lucani poi (cfr. Trendall, Cambitoglou 1982, p. 446).

178 De Juliis 1989b, p. 44.179 Whitehouse, Wilkins, Herring 2000, p. 308.180 Si pensi alla tomba 7 del sito H di Gravina (Whitehouse ,Wilkins, Herring 2000, p. 5, fig. 3).

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L’organizzazione familiare alla base di questi gruppi dominanti mi sembra sievinca chiaramente anche dall’organizzazione che mostra l’acropoli di Monte San-nace, dove sono presenti almeno tre raggruppamenti di tombe di un certo rilievo 181,probabilmente riferibili ad altrettanti gruppi aristocratici dominanti 182 che hanno de-posto uno o più individui di spicco all’interno di strutture appositamente apparec-chiate, secondo un costume che nel centro peucezio perdurerà nel IV secolo dandovita ad analoghe soluzioni.

Altrettanto interessante la constatazione che a Gravina 183 un edificio di analogoimpegno edilizio, con utilizzo che sembrerebbe abitativo per quanto riguarda il VI se-colo a.C., mostra nel portico, non ascrivibile con certezza al primo impianto, la pre-senza di tre deposizioni riferibili al V secolo a.C., evidente segno di un cultogentilizio. L’elemento da sottolineare è che il rinvenimento è stato effettuato alle pen-dici del colle e non nella sua parte alta, segno probabile che esistessero differenti fa-miglie ‘aristocratiche’ e che non venissero scelti esclusivamente i luoghi eminentidell’insediamento per la realizzazione di importanti complessi.

Un altro dato interessante è quello relativo all’interpretazione che alcune tombe emi-nenti possono suggerire in riferimento alle strutture cui sembrano essere pertinenti. Sedifatti nel caso dell’acropoli di Monte Sannace le tombe sono riferibili a strutture di uncerto impegno edilizio, considerate strutture di tipo palaziale per dimensioni, caratteri-stiche strutturali e rinvenimenti, il caso del sito H di Gravina appare completamente di-verso, nel senso che le tombe sembrano essere in stretta relazione con una strutturamonocellulare, quindi decisamente semplice per articolazione e dimensioni.

Insomma, non è possibile istituire una relazione diretta tra l’interpretazione pla-nimetrica degli edifici e il gruppo sociale di riferimento o la tipologia di utilizzo 184,così come non c’è relazione univoca edifici importanti – acropoli / edifici modesti –parte bassa (di un insediamento).

È tuttavia possibile affermare che in questo momento storico le acropoli si carat-terizzino come luoghi di rilievo, occupati da personaggi di rilievo, con abitazioni im-ponenti, con funzioni che esulano dalla sfera privata, ma in alcuni casi più semplicie che tuttavia si connotano ugualmente, in base ai rinvenimenti ad esse connessi,come abitazioni di pertinenza elitaria. Viceversa le parti basse degli insediamenti do-

181 Area D, grandi tombe Scarfì; area D, tombe nell’edificio 2; area G2, tomba 9.182 Mi sembra l’interpretazione più plausibile, rispetto a quella di un unico gruppo elitario dominante

che controllava l’intero centro e tutti gli edifici e i gruppi di tombe eminenti (cfr. Liseno 2007, p. 108).183 Località Padre Eterno (Ciancio 2003).184 In questo senso la prospettiva di ricerca è mutata anche con l’evolversi della ricerca archeologica.

Se difatti in studi meno vicini nel tempo si pensava di poter dedurre le funzioni di un edificio in base al-l’analisi della sola planimetria (Fusaro 1982, che però mostra proprio nella lettura funzionale delle strut-ture un superamento dell’evoluzionismo tipologico degli anni ’60 e ’70), è stato poi invece dimostrato,grazie alla analisi di tutti gli altri elementi desumibili dallo scavo, come in Grecia nell’VIII secolo sem-plici oikoi fossero riferibili a famiglie di rilievo, mentre strutture ad ante o absidate, non potessero con-siderarsi di pertinenza delle élite (Mazarakis Anian 1997, pp. 270-304; Mazarakis Anian 2001, p. 152).

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cumentano differenti soluzioni che possono contemplare sia soluzioni elementari chedi un certo impegno 185.

IV-inizi III secolo a.C.

Rispetto al VI e al V secolo a.C., la situazione del successivo sembra discostarvisinel senso di una maggiore articolazione.

L’esplosione demografica comporta una radicale riorganizzazione degli spazi ur-bani e non, comportando anche un’occupazione di aree già utilizzate vuoi come spa-zio per i vivi, vuoi come spazio per i morti.

Ancora non sembra possibile proporre una soluzione generalizzabile riguardo allareciproca strutturazione dei due spazi, dal momento che l’analisi delle evidenze, siaquelle di Monte Sannace che quelle degli altri centri peucezi 186, sembra mostrareun’organizzazione non del tutto chiara, con tombe in fase con le abitazioni ancoranei pressi delle strutture insediative 187, mentre di sicuro dovevano esistere nuclei dinecropoli veri e propri, indispensabili ad una popolazione così numerosa come dovevaessere quella dei centri indigeni di questo periodo, per i quali di sicuro non erano suf-ficienti le deposizioni rinvenute nei pressi dei nuclei insediativi indagati, intra edextra moenia; d’altronde i dati degli scavi condotti a Rutigliano in contrada Purgato-rio 188 sono abbastanza eloquenti riguardo all’organizzazione necropolare di alcunicentri in età tardoclassico-ellenistica 189 e quanto detto a proposito del rapporto abi-tato-tombe a Monte Sannace mostra quanto anche in questo caso sia difficile indivi-duare un modello di riferimento.

Per quanto riguarda l’acropoli di Monte Sannace, si è visto come gli edifici più an-tichi sembrino solo parzialmente riutilizzati in questa fase e come, tutti, perdano la fun-zione e il ruolo rivestiti nella fase arcaica. Fa, come si è visto, eccezione l’edificiodell’area G settore 2, che nella fase più recente – dalla seconda metà/fine del IV secolo– continua ad avere una funzione di rilievo all’interno del pianoro acropolico 190.

In relazione alla fase più recente di IV secolo appare dunque evidente una di-versa e più razionale suddivisione degli spazi tanto in acropoli quanto in pianura:vengono realizzati alcuni assi viari (fig. 38). Molte e di maggior pregio rispetto allecase rinvenute nel quartiere ovest nella parte pianeggiante del centro le abitazionirinvenute sull’acropoli, evidentemente destinata ad accogliere esclusivamente ilceto più abbiente con residenze riferibili a varie planimetrie rinvenute in tutti i set-tori di scavo: l’ampia casa a ‘pastas’ dell’area A 191, l’abitazione a peristilio del-

185 Cfr. Galeandro 2010, pp. 198-199.186 Galeandro 2007-2008, pp. 103-114 e 452-457; Galeandro 2010, pp. 202-206. 187 Si pensi proprio all’abitato basso di Monte Sannace.188 Rutigliano I.189 Ma anche in età arcaica.190 Cfr. pp. 56, 95-96 e Ciancio 1986.191 Scarfì 1962, pp. 97-102. Abitazione composta da tre vani adiacenti che si affacciano su uno spa-

zio trasversale nel quale è stato trovato – capovolto e riutilizzato nella pavimentazione – un pressoriumcircolare per olive.

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l’area G(1) 192 che ingloba parzialmente la più antica del settore G2 e l’abitazionenon del tutto messa in luce nell’area E 193; questo per citare solo le abitazioni di nuovacostruzione.

Parallelamente nella parte bassa del centro, nel IV secolo, si passa ad aggregatisempre maggiori che non tengono conto degli spazi usati precedentemente per le se-polture, invadendo questi ultimi ancora senza pianificazione urbanistica. Inoltre, la co-struzione del secondo circuito di fortificazioni, avvenuta nel corso del IV secolo a.C.,con cui si ingloba gran parte della zona bassa dell’insediamento e ci si raccorda alprimo circuito difensivo della parte alta, scaturendo da un sistema di strutturazione eorganizzazione del territorio dettato probabilmente da necessità di tipo difensivo emilitare, non rispetta né la presenza di alcune abitazioni, che risultano, infatti, ristrettee modificate nel loro impianto planimetrico 194, né quella di tombe esistenti, lascian-done alcune all’esterno e altre all’interno del tracciato murario, oppure passandovisopra, senza però violarle 195.

«L’intervento di rimodellazione dell’assetto precedente, realizzato con finalità diordine difensivo, non tiene conto, dunque, né dell’area abitativa esistente, né deglispazi sepolcrali. Tuttavia, in linea con la tradizione indigena, non si preoccupa dellaindividuazione di specifiche aree da destinare a necropoli all’interno o all’esternodello spazio urbano, in anomalia rispetto a soluzioni coeve adottate nel mondo grecoe nel mondo italiota, cominciando da Taranto, dove, dopo la metà del V sec. a.C., lapianificazione urbanistica prevede lo spazio-necropoli all’interno del perimetro ur-bano, senza però che ci sia mai commistione tra case e tombe» 196.

A Monte Sannace non si riconosce un radicale e strutturato intervento urbanistico,ad eccezione dei dati che provengono dai recenti scavi condotti nell’abitato basso 197,ad W della strada detta ‘della casa ellenistica’198, dove sono venuti in luce alcuni lottiregolari di case-magazzino, di dimensioni e modulo uguali, che farebbero pensare aun vero e proprio intervento di pianificazione edilizia, avvenuto nel corso del IV se-colo a.C. 199.

Un quesito aperto, nella precisa definizione del nuovo impianto urbano rimane

192 Rossi 1989b.193 Nella quale è avvenuto l’eccezionale rinvenimento di una stanza da bagno con relativa vasca con

sedile (Scarfì 1962, pp. 142-146).194 Scarfì 1962, p. 275.195 È il caso, ad esempio, della tomba 4, individuata nel 1957 fra i due paramenti della fortificazione,

un sarcofago con annesso ripostiglio, entrambi coperti da un unico lastrone, su cui poggiavano diretta-mente i blocchi del paramento interno delle mura. La tomba era intatta, e il ripostiglio conteneva un riccocorredo degli anni finali del V secolo (Scarfì 1961, pp. 148-149, 230-246; Scarfì 1962, pp. 60-61, fig. 39).

196 Ciancio, Galeandro, Palmentola 2009, p. 313. Sull’argomento si veda Lippolis 1994, p. 51.197 Scavi dalla Scuola di Specializzazione dell’Università di Bari (2003-2005: da ultimo Ciancio, Ga-

leandro, Palmentola 2009 e Palmentola 2010).198 Seguendo la denominazione data dalla Scarfì (1962, p. 150).199 La porzione nota del quartiere abitativo posto nella parte in pianura ad ovest dell’acropoli è sud-

divisa da una rete stradale non ortogonale in cinque insulae.

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l’assenza di edifici che mostrino chiaramente una valenza pubblica. Se difatti nel VIsecolo a.C. l’acropoli ha rivelato l’esistenza di diversi edifici di grandi dimensioni confunzione anche pubblica, per cui appare evidentemente individuabile un luogo ancheassociativo, lo stesso non è assolutamente riscontrabile per quanto riguarda il IV se-colo, dove la mancanza di edifici che mostrino queste caratteristiche, unitamente alcambio di destinazione d’uso che molti degli edifici di grandi dimensioni il cui primoimpianto era databile ad età arcaica mostrano, rende più complessa la situazione. Sea questo si aggiunge che probabilmente va messa in discussione, per quanto riguardail IV secolo, l’interpretazione dello spazio centrale dell’acropoli come agorà con por-tico, viene da chiedersi dove vadano ricercati questi spazi.

E il problema non sembra essere risolvibile allargando lo sguardo agli altri centridella Peucezia che nel IV secolo mostrano le evidenze maggiori e meglio conservate.

In questa fase le tipologie planimetriche sono varie e variamente articolate, con ri-sposte a carattere locale che spesso impediscono rigide classificazioni; si passa daabitazioni semplici costituite da un solo vano, ad abitazioni a due vani allineati, a‘pastades’, fino a giungere ad edifici con planimetrie decisamente elaborate, vere eproprie case ad atrio, segno della sempre più marcata articolazione del tessuto so-ciale e delle risposte che vengono fornite in tal senso dalle modalità insediative.

Nonostante questo sia il periodo di maggiore espansione demografica dei centripeucezi e di conseguenza il maggior numero di testimonianze, come detto apparten-gano a questa fase, le caratteristiche di articolazione interna dei vari centri sembranoancora difficilmente definibili nel dettaglio, soprattutto al di fuori di Monte Sannace,dove anche gli altri centri murgiani di Altamura e Gravina non sembrano essere, comedetto all’inizio del paragrafo, d’aiuto ad un indagine più approfondita e dettagliata.

L’articolazione interna dei centri si rivela sfuggente proprio e anche perché comedetto non risultano individuati spazi pubblici riferibili a questo momento storico e, no-nostante la maggior parte dei rinvenimenti effettuati sia riferibile a questa fase, al difuori di Monte Sannace i dati non sono immediatamente correlabili tra di loro ed in-seribili in un discorso organico che permetta di chiarire con precisione le organizza-zioni interne degli insediamenti in età tardoclassica-primoellenistica.

(F.G.)

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