Giuliani, A., "Una nota sul bartolismo," in: Proceedings of the conference on Bartolo da...

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Una nota sul bartolismo Adolfo Giuliani 1 Abstract That the word ‘bartolism’ first appeared in 19th century France might sound like a purely erudite detail, but if we consider the context in which this word was used, this fact has important implications. As this paper tries to show, references to ‘bartolism’ only began to appear in legal history manuals published in the first decades of 19th century France and started a new writing style which left behind a tradition which until the 18th century was shaped on commentaries on Pomponius’ text De origine juris (D. 1.2.2). Closely connected to the ideology of the Civil Code (1804) and to the vision of legislation without interpretation, they offered a simplified narrative: a medieval age to be condemned and a new beginning begun by Cujacius. In their devastating criticism of ‘bartolism’ their real target was not their clumsy Latin, their ignorance of history, or their scholasticism, but the very possibility of a model of jurisdiction functionally based on the existence of a jurist- interpreter. This matter brings to the fore the complicated relation between legal theory and legal history and shows that the latter cannot be a priori exempted from more or less explicit premises about a definition of law and a vision of its sources. 1 Questa relazione è stata presentata al convegno Bartolo da Sassoferrato. Nel VII centenario della nascita: diritto, politica, società, Todi-Perugia, 13-16 ottobre 2013. - 1 -

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Una nota sul bartolismo

Adolfo Giuliani1

Abstract

That the word ‘bartolism’ first appeared in 19th century France might sound like a purely erudite detail, but if we consider the context in which this word was used, this fact has important implications. As this paper tries to show, references to ‘bartolism’ only began to appear in legal history manuals published in the first decades of 19th century France and starteda new writing style which left behind a tradition which until the18th century was shaped on commentaries on Pomponius’ text De origine juris (D. 1.2.2). Closely connected to the ideology of the Civil Code (1804) and to the vision of legislation without interpretation, they offered a simplified narrative: a medieval age to be condemned and a new beginning begun by Cujacius. In their devastating criticism of ‘bartolism’ their real target was not their clumsy Latin, their ignorance of history, or their scholasticism, but the very possibility of a model of jurisdiction functionally based on the existence of a jurist-interpreter. This matter brings to the fore the complicated relation between legal theory and legal history and shows that the latter cannot be a priori exempted from more or less explicit premises about a definition of law and a vision of its sources.

1 Questa relazione è stata presentata al convegno Bartolo da Sassoferrato. Nel VII centenario della nascita: diritto, politica, società, Todi-Perugia, 13-16 ottobre 2013.

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I.

Sono passati appena più di 50 anni da quando nel 1959 si svolse

qui a Todi un’altra grande celebrazione dedicata a Bartolo. I

lavori furono aperti da Francesco Calasso che in una nota

prolusione toccò il punto centrale del grande giurista che oggi

celebriamo: L’eredità di Bartolo2. È appunto quell’eredità che si lega

al nome di Bartolo la fonte del vero problema storiografico del

grande giurista di Sassoferrato. È un difficile connubio quello

tra Bartolo e la sua eredità: da una parte si pone Bartolo, fonte

di un mito agiografico durato secoli, dall’altra il bartolismo, e

quindi il discredito ed addirittura il vilipendio. È un problema

difficile da risolvere, notava Calasso, da una parte per

l’immensità della mole dell’opera Bartoliana che impedisce una

visione completa del giurista; dall'altra per le ambiguità del

bartolismo, con tutte le ombre evocate da questo termine: a causa

dello ‘scontro’, l’ ‘antagonismo’ e la sua conseguente ‘condanna’

decretata dall’Umanesimo. Questi due ostacoli, concludeva

Calasso, determinano «quel mancato giudizio storico sull’opera di

2 F. CALASSO, L’eredità di Bartolo, ora in Storicità del diritto, Milano, 1966, pp. 317-337,e, dello stesso, Bartolismo, in Enciclopedia del diritto, V, Milano, 1959, pp. 71-74.

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Bartolo da Sassoferrato, che lamentiamo»3.

Rileggere oggi questa famosa prolusione fa pensare che il

primo ostacolo notato da Calasso sia ancora da superare:

l'immensità della produzione Bartoliana, con i tanti dubbi di

attribuzione, sono un ostacolo insormontabile per lo storico ed

impediscono una visione completa della sua opera. Sul versante

del bartolismo qualcosa è invece cambiato. Nella storiografia

giuridica dell’ultimo cinquantennio sono emerse nuove sensibilità

e nuovi approcci che hanno portato a ripensare alcuni aspetti

dello scrivere la storia del diritto; non senza un motivo, perché

prima di tutto è mutato l'oggetto stesso della storiografia

giuridica: è mutato il diritto.

Nella vivace e vasta discussione che si è aperta in questo

ambito si possono isolare due elementi che hanno contribuito in

modo particolare a questa evoluzione. Il primo è il prendere

corpo di quello che Nicola Picardi ha efficacemente sintetizzato

come la vocazione del nostro tempo per la giurisdizione e la

dottrina4. Alla fonte c’è lo spezzarsi di un consenso cha ha

3 Calasso, L’eredità di Bartolo cit., (n. 2), p. 329-330.4 NICOLA PICARDI, La vocazione del nostro tempo per la giurisdizione, in M.G. DI RENZO VILLATA,Il diritto fra scoperta e creazione, Napoli, 2003, pp. 467-501.

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regnato sulla definizione di diritto ed il primo suo frutto si

manifesta nell’erosione di una concezione statualista che vedeva

nella legge il prototipo di norma giuridica — il c.d.

‘assolutismo giuridico’ di cui parla Paolo Grossi5. Come

conseguenza la legge scende dal piedistallo. È così uno stato

d’animo diffuso il pensare che il diritto non si rifletta

esclusivamente nella legge, così come il dubitare che la

creazione di nuovo diritto possa essere compendiata da un fiat

legislativo, o che la metafora delle fonti del diritto possa

cristallizzare la fluidità dei fenomeni normativi. Tale

inquietudine riguardo il modello legislativo contribuisce a

spostare l’attenzione verso la giurisprudenza. Questo spostamento

porta con sé una radicale mutamento di paradigmi: sulla sommità

degli apices juris porta a far volgere l’attenzione dalla giustizia

distributiva alla giustizia correttiva6; sulla scena concreta del

farsi del diritto, dal legislatore al giudice, personificazione

del ‘diritto vivente’. Innumerevoli segni di questo cambio di

direzione si colgono nella storiografia giuridica, a cominciare

5 P. GROSSI, Assolutismo giuridico e diritto privato, Milano, 1998. 6 Basterebbe considerare l’evoluzione tra due delle maggiori opere pubblicate su questo tema negli ultimi decenni, da JOHN RAWLS, A Theory of Justice, 1972 ad AMARTYA SEN, The idea of Justice, 2009.

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dalla tendenza attuale a leggere nello ius commune una forma

storica di organizzazione giuridica che al suo centro poneva un

diritto a formazione giurisprudenziale piuttosto che un sistema

legislativo7.

Il secondo aspetto riguarda più da vicino la storia del

diritto. L’erosione dell’ ‘assolutismo giuridico’ significa anche

rendere più incerta la linea di confine che divide il giuridico

dal non-giuridico. Questa incertezza porta lo storico ad

allargare il proprio ambito di ricerca per cogliere la

molteplicità di elementi che hanno contribuito al suo farsi8.

Nulla di veramente nuovo per chi tiene presente l’esortazione di

Riccardo Orestano a volgersi allo studio di quella cerchia di

fatti normativi che egli comprendeva nell’espressione di

esperienza giuridica9. Importanti corollari discendono da simili

7 Sullo spostamento da una lettura legislativa ad una lettura giurisprudenziale dello ius commune v. E. CORTESE, Immagini di diritto comune medievale, in Il diritto patrio tra diritto comune e codificazione (secoli XVI-XIX), a cura di I. BIROCCHI e A. MATTONE, Roma, 2006, pp. 3-16.8 In questa chiave possono leggersi varie ricerche tese a ricostruire i legamitra diritto e religione (Harold Berman), diritto ed etica (James Gordley e WimDecock), diritto e logica (Jan Schroeder).9 Riccardo Orestano esortava lo storico a «considerare qualunque manifestzionedell’esperienza giuridica nella totalità delle sue connessioni col reale storico (...), a ricercare le reciproche implicazioni fra i fenomeni ‘giuridici’ e la struttura delle società in cui essi si manifestano: strutturaeconomico-sociale ma (anche) modo di essere in tutti i suoi aspetti della singola società presa in esame», RICCARDO ORESTANO, Introduzione allo studio del diritto

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premesse. Il primo è di considerare i fenomeni normativi come il

prodotto degli attori che si muovono nel mondo del diritto, e,

strettamente collegato, il vedere le parole che ne designano i

fenomeni come il risultato di un «fare cose con parole»10. Tali

posizioni attribuiscono un ruolo decisivo allo storico. Suo è il

compito di chiarire le ambiguità ed oscurità del linguaggio

giuridico che lo studioso di diritto positivo, lavorando ad un

puro livello concettuale, non coglierebbe. In definitiva, nuovi

compiti e nuovi metodi si propongono oggi allo storico del

diritto.

Torniamo al bartolismo. I due elementi menzionati sopra —

una maggiore sensibilità per il momento giurisprudenziale nel

diritto e per la formazione storica dell’apparato concettuale del

giurista — sono un equipaggiamento utile per tornare oggi a

ragionare di bartolismo.

romano, Bologna, 1987, p. 343.10 J. L. AUSTIN, How to do things with words, Cambridge, 1978. È appena il caso di ricordare come da queste premesse ha preso l’avvio un radicale ripensamento della storia del pensiero politico ed in generale della storia intellettuale, su cui v. Q. SKINNER, Meaning and understanding in the History of Ideas, in History and theory, VIII, 1 (1969), pp. 3–53, ora in Q. SKINNER, Visions of politics, I. Regarding method, Cambridge, 2002, pp. 57-89; e per la storia del diritto P. COSTA, In search of legal texts: Which texts for which historians? in Reading past legal texts, a cura di D. MICHALSEN, Oslo, 2006, pp. 158-181, e sullo sfondo intellettuale, A. GIULIANI, L'altro Aristotele, in Sociologia, III (2010), pp. 125-33.

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II. 1

Che il ‘bartolismo’ avesse una storia fu notato da Biagio Brugi,

che nei suoi Fasti aurei del diritto romano (1879) riassunse

l’armamentario dialettico usato dal giurista di mos italicus con un

unico termine comprensivo, il ‘bartolismo’, ma subito aggiungendo

un’importante dettaglio: «come direbbe un moderno con parola

nuova ma espressiva»11. Un’osservazione interessante. La presenza

familiare di questo termine nel linguaggio corrente del giurista

potrebbe far pensare ad una entità collocata fuori dal tempo ma,

come vedremo, si inizia effettivamente a parlare di ‘bartolismo’

nei primi decenni del XIX secolo all’interno di una manualistica

di storia del diritto pubblicata in Francia. Questa letteratura

determina l’inizio di un nuovo corso della storiografia giuridica

che ispirandosi al mito codicistico di una legislazione senza

11 BIAGIO BRUGI, Fasti aurei del diritto romano, Pisa, 1879, p. 91: «Il metodo s'infiltrò nelle scuole, vi fu adorato e i rimase a lungo; gli scolari d'Italia per lungo tempo furono avversi ad abbandonare la distinzione, la casistica, il bartolismo, come direbbe un moderno con parola nuova ed espressiva».

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interpretazione, eleva questo termine a protagonista, screditato

e soccombente, della storia giuridica12.

II. 2

Prima di esaminare questa letteratura è necessaria una premessa.

Il sapere che la parola ‘bartolismo’ ha un’origine ottocentesca

secolo potrebbbe essere presa per un mero dettaglio erudito che

lascia il tempo che trova. In realtà quest’osservazione rivela un

risvolto importante non appena viene posta nel contesto in cui ha

preso origine.

Che il passaggio tra XVIII e XIX secolo abbia registrato una

profonda cesura nel tessuto del diritto è un’opinione radicata

nella storiografia, che concordemente vede in quei decenni il

determinarsi di una svolta radicale nel diritto, in tutti i suoi

rami. Ma tale cesura non ha inciso solo nel tessuto del diritto:

12 Non è una coincidenza che questa osservazione venisse proprio da Biagio Brugi, uno studioso sensibile al delicato equilibrio tra legislazione e giurisprudenza in una atmosfera che puntava al primato del diritto legislativoed al corrispondente degrado dell’interprete al ruolo di un passivo ricevitoredi norme, su cui v. M. MECCARELLI, Un senso moderno di legalità. Il diritto e la sua evoluzione nel pensiero di B. Brugi, in Quaderni Fiorentini, XXX (2001), pp. 361-476.

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ha toccato anche il modo di scriverne la storia13. Una

manualistica pubblicata in Francia in quei decenni determina un

nuovo inizio: essa riformula i modi di intendere la evoluzione

del diritto, i suoi modi di produzione e gli attori che ne

determinano le trasformazioni. Non per ultimo essa eleva il

bartolismo e lo personifica attribuendogli un ruolo di attore nel

palcoscenico di una storia semplificata. Questo, come altri ‘-

ismi’, appartengono ad una storiografia che pone come

protagonisti idee astratte che si muovono nel tempo e si

fronteggiano eroicamente in contrasti da cui esce un vincitore ed

un vinto14. A questo stile storiografico appartiene il

bartolismo, come l’antagonista sconfitto e soccombente alla

vittoria dell’umanesimo15. La sua sconfitta, fissata nell’apparire

di Cujas, costituisce il punto di inizio della storia del diritto

13 Negli stessi decenni si registra un simile cambio di direzione nella storiografia della filosofia in seguito all’influsso delle categorie Kantiane,su cui v. R. TUCK, The ‘modern’ theory of natural law, in The language of political theory in early-modern Europe, a cura di A. PAGDEN, Cambridge, 1987, pp. 99-119.14 Cosi la storia del diritto privato è stata talvolta riassunta in una lotta tra formalismo e consensualismo, e la storia del pensiero politico come una marcia verso il liberalismo ottocentesco. Altri esempi in R. V. CAENEGEM, I signori del diritto, Milano, 1991, p. 61-3.15 Per esempio, ALEXANDRE LABROQUÈRE, Guy du Faur de Pibrac, Toulouse, 1877, p. 7: «etle bartholisme vaincu ne savait plus se venger de ses défaites que par de misérables persécutions contre ses adversaires».

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moderno. Questa parola segnala qualcosa di ulteriore rispetto

alle note invettive anti-bartoliane che fanno capolino nelle

opere dell’umanesimo giuridico. Se da una parte è innegabile che

si alimenti dello stesso humus culturale — si potrebbe sostenere

che la polemica contro i legisti attraversa i secoli — ne

costituisce un atteggiamento più radicale e profondo. Il

‘bartolismo’ appartiene allo stile di una storiografia giuridica

che si impone all’inizio del XIX secolo.

Il sapere chi usò questo termine per la prima volta è meno

importante di mettere a fuoco il percorso che lo porta ad entrare

nel lessico della storiografia giuridica. Il vero problema da

porsi è come tale termine possa acquisire una carica persuasiva e

denotativa all’interno di un lessico particolare attraverso un

processo collettivo che risponde alle necessità di attribuire

nomi a cose e mantenere il difficile equilibrio tra res e verba.

Si attribuisce, per esempio, la creazione della parola

‘umanesimo’ (Humanismus) ad un oscuro didatta tedesco, che usò

nel titolo di una sua opera pubblicata nel 1808, ma tale vicenda

non avrebbe che un peso trascurabile di fronte al suo immettersi

nell’uso storiografico in seguito alla classica opera di Jacob

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Burckhardt La Civiltà del Rinascimento in Italia (1860) in cui l’ Humanismus

diviene l’asse portante di una influente visione del Rinascimento

su cui regnò il generale consenso sino alla metà del XX secolo16.

Come diceva Aristotele, una rondine non fa primavera17.

II. 3

L’origine ottocentesca del bartolismo nel seno di questa

particolare scuola storiografica è carica di implicazioni. La

principale è che la storia del diritto non è separabile da una

tacita premessa riguardo ad una generale definizione del diritto

e ad una visione delle sue fonti. La storia del diritto

continentale non è una libera narrazione svincolata da parametri,

in quanto esiste un criterio che determina l’ordine di

esposizione e la struttura della narrazione. La storia del

16 Si tratta di F.J. NIETHAMMER, Der Streit des Philanthropinismus und des Humanismus in der Theorie des Erziehungs-Unterrichts unsrer Zeit, 1808. Su questa vicenda v. W. RUEGG e H. DE RIDDER-SYMOENS, A History of the University in Europe, I. Universities in the middle-ages, Cambridge, 1992, p. 443. Come è noto, la visione dell’umanesimo offerta da JACOB BURCKHARDT nella sua classica opera La Civiltà del Rinascimento in Italia (1860) subìuna radicale revisione ad opera di Paul O. Kristeller a partire dal 1950, su cui v. una efficace sintesi in C.G. NAUERT, Humanism and the Culture of Renaissance Europe, Cambridge, 2006, pp. 1-8.17 ARISTOTELE, Etica a Nicomaco, I.1098a18.

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diritto prende infatti forma nel XVII secolo con il precisarsi di

una struttura che detta un ordine di esposizione dato dalla

distinzione tra historia iuris interna e historia iuris externa18. Il confine

che le divide è incerto e mobile nel tempo. Esso intende

rispondere alla necessità di creare un nesso tra storia e

definizione del diritto, tra un diritto che reclama la propria

purezza ed i fatti che determinano il farsi delle norme: il che

equivale, in ultima analisi, ad una quadratura del cerchio. Ogni

scuola storiografica ha tracciato il proprio confine. Ma nel

momento in cui accetta una visione delle fonti — in quanto la

fonte intende rispondere ad una domanda riguardo le origini ed il

processo creativo del diritto — essa pone una premessa riguardo

la natura del diritto che intende studiare. Per lo storico del

diritto il compito si pone di prendere posizione sull’identità

degli attori che determinano la creazione, modificazione ed

estinzione delle norme, e rispondere ad una domanda che

18 La fonte di questa distinzione è normalmente attribuita a G.F. Leibniz, Novamethodus discendae docendaeque jurisprudentiae (1667), II, § 1 a 2: «Jurisprudentia historica est vel interna vel esterna: illa ipsam Jurisprudentiae substantiam ingreditur, haec adminiculum est, et requisitum», su cui v. LUIGI RAGGI, Storia esterna e storia interna del diritto nella letteratura romanistica, in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano ‘Vittorio Scialoja’, I, (1959), pp. 199-222 e E. CONTE, Diritto Comune (2009), pp. 29-32, e A. GIULIANI, Legal history and comparative legal history, in Comparative legal history, a cura di A. MASFERRER e O. MORÉTAU, Londra, 2014.

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semplificando potrebbe essere formulata come: chi dà il

contributo decisivo, il giudice, il legislatore o il

professore?19

In questo contesto il ruolo dato all’interpretazione è

decisivo. Esso è il topos su cui si scontrano visioni alternative

di storia del diritto. Si possono fare tre esempi. Il progetto

esposto da Savigny nel Beruf contemplava una evoluzione giuridica

guidata dai giuristi, interpreti del Volksgeist della nazione

Tedesca; il particolare peso dato ai giuristi (pur se entità

fungibili di fronte al fine superiore di creare un corpus

scientifico coerente) configurava una nuova e specifica visione

delle fonti del diritto che egli oppose a Thibaut. In un

differente contesto, dominato dal fervore intellettuale per un

passato che si voleva vedere cristallizzato nella compilazione

Giustinianea, Francesco Calasso oppose la visione di un ‘medioevo

del diritto’ implicante il riconoscimento del valore creativo dei

giuristi, artefici della coerenza di un sistema di ius commune20.

19 P. ROUBIER, L’ordre juridique et la théorie des sources du droit, in Mélanges Ripert, 1950, I, p. 24: «dans diverses sociétés se manifestent, avec une force inégale selon les temps et selon les lieux, deux sources formelles … qui sont la jurisprudence et l’autre la législation».20 Osservazioni puntuali in P. COSTA, "Ius commune", "ius proprium", "interpretatio doctorum": ipotesi per una discussione, in El dret comú i Catalunya, a cura di A. IGLESIA

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Per finire, la tesi di Emilio Bussi, su cui ruota (a volte

inconsapevolmente) gran parte della discussione attuale, nel suo

riscoprire il valore del diritto giurisprudenziale portava

l’attenzione sull’ineludibile presenza del giurista nel momento

applicativo del diritto21. È significativo che intorno alla

nozione di fonti del diritto si sia oggi acceso un vivace

dibattito, come se si fosse rotto un consenso che ha regnato per

decenni.

Nella condanna ottocentesca del bartolismo si manifesta una

particolare visione del diritto. Il bartolismo richiama

immediatamente il tema dell’interpretazione. Designando l’insieme

dei procedimenti logico-argomentativi con cui l’interprete

produceva norme a partire dal testo Romano, esso costituisce una

delle forme in cui il generale problema dell’applicazione della

legge si è storicamente manifestato: una interpretatio intesa come

attività produttiva di norme22. Essa era funzionale ad un

FERREIRÓS, Barcelona, 1995, pp. 29-42.21 E. BUSSI, Intorno al concetto di diritto comune, Milano 1935.22 Su cui v. S. CAPRIOLI, Interpretazione nel diritto medievale e moderno, in Digesto IV edizione, X Civile, Torino, 1993, pp. 13-25. Ho cercato di dare una base testuale alla tesi di un’evoluzione dell’idea di interpretazione riconducendola ad una quaestio discussa da JACOPO MENOCHIO nel suo trattato De praesumptionibus (1587) in A. GIULIANI, From presumption to interpretation, in Per Saturam. Studi per Severino Caprioli, a cura di G. DIURNI, P. MARI e F. TREGGIARI, Spoleto, 2008, pp. 447-474.

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contesto istituzionale i cui i caratteri principali erano ben

diversi dalla realtà che si profila a partire dall’inizio del XIX

secolo: un contesto il giudice non era la bouche de la loi e la

applicazione della legge non aveva nulla dell’automatismo

meccanico dei regimi codificati. In tale contesto l’applicazione

della legge richiedeva un giurista interprete: egli era un attore

protagonista nel farsi del diritto.

III. 1

Volgiamoci alle fonti della nostra parola. Si parla di bartolismo

(bartolisme, bartholisme) in vari manuali di storia del diritto

pubblicati in Francia nei primi decenni del XIX secolo. Il più

risalente, e sicuramente il più influente, è l’ Histoire du droit

romain: suivie de l'histoire de Cujas di Jacques Berriat-Saint-Prix (1769-

1845)23. Questo manuale ebbe una diffusione europea:

successivamente alla pubblicazione a Parigi nel 1821 fu tradotto

in italiano da Giuseppe Del Re (1823) ed in tedesco da Ernst

Spangenberg (1823). Il suo autore fu una figura di spicco 23 JACQUES BERRIAT-SAINT-PRIX, Histoire du droit romain: suivie de l'histoire de Cujas, Paris, 1821,p. 582.

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dell’Università (École de droit) di Parigi, della quale fu doyen

(marzo-ottobre 1845) e contribuì alla costruzione di quel

curriculum di studi giuridici che diede l’avvio al nuovo corso

dell’educazione giuridica che seguì alla codificazione del 1804.

La sua produzione toccò la procedura civile ed il diritto penale,

e fu particolarmente ampia nella storia del diritto che insegnò a

partire dal 182124. La sua Histoire mostra come la codificazione del

1804 spezzò una linea di continuità anche nella tradizione della

storiografia giuridica.

III. 2

Cerchiamo di comprendere il contesto in cui il manuale di

Berriat-Saint-Prix venne pubblicato. È fin troppo noto che la

promulgazione del Code Civil (1804) portò con sé una costellazione

di nuovi principi e metodi di interpretazione25. La premessa

fondamentale è che tutto il diritto si trova nella legge. Il

24 Un profilo biografico in M.A. TAILLANDIER, Notice sur la vie et les travaux de M. Berriat Saint-Prix, Paris, 1846.25 E. GAUDEMET, L’interprétation du code civil, Parigi, 2002, p. 58.

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codice è il prototipo di una lex clara, tanto semplice e completa

da escludere ogni arbitrio giudiziale. Di fronte ad essa il

giudice è un interprete passivo. Egli deve ricercare la volontà

legislativa, ed il suo argomentare procede linearmente e

meccanicamente per sillogismi che connettono i fatti a norme

generali ed astratte, riaffermando ad ogni passo l’idea di una

legge che ha risposte per tutti i casi. Secondo la famosa

immagine di Montesquieu egli è la ‘bouche de la loi’26. Il mito

della lex clara elimina alla radice il problema

dell’interpretazione. Questo mondo parte da una ben definita

visione del fondamento del diritto e della sua elaborazione; come

tale esso espelle il giurista-interprete ed il suo armamentario

26 MONTESQUIEU, esprit des lois, p. I, l. XI, cap. 6: «Mais les juges de la nation nesont … que la bouche qui prononce les paroles de la loi, des êtres inanimés, qui ne peuvent modérer ni la force, ni la rigueur». A ciò si accompagnano gli strumenti del sillogismo giudiziale: C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, §. IV: «In ogni delitto si deve fare dal giudice un sillogismo perfetto: la maggiore dev’essere la legge generale, la minore l’azione conforme o no alla legge, la conseguenza la libertà o la pena» su cui recentemente v. D. MANTOVANI, Praetoris partes. La iurisdictio e i suoi vincoli nel processo formulare: un persorso di studi, inIl diritto fra scoperta e creazione, a cura di M.G. DI RENZO VILLATA, Napoli, 2003, pp. 33-152. È forse il caso di notare che tale meccanismo decisionale apparteneva al bagaglio culturale del giurista cinquecentesco in riferimento all’applicazionedi una massima ad un caso concreto, risolto appunto per via sillogistica. Uno dei più diffusi manuali di insegnamento, la Introductio in dialecticam di Francisco Toledano, che insegnò al collegio Gesuita di Roma, riporta il seguente esempio: «omnis mater diligit filium, & haec est mater, ergo diligit filium», FRANCISCO TOLEDANO, Introductio in dialecticam, Roma, 1569, lib. 4, cap. 32, p. 162r.

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dialettico27.

Questo complesso di principi trovò uno sbocco nel campo

dell’educazione giuridica. In perfetta sincronia con la

promulgazione del Code Civil (21 marzo 1804) un importante

intervento legislativo (l. 13 marzo 1804 = 22 ventôse anno XII)

introdusse una grande riforma dell’educazione giuridica28. Tale

legge riformò l'intero settore istituendo un nuovo sistema

educativo (gradualmente perfezionato) che creò Écoles de droit nelle

principali città della Francia. Esse erano ‘écoles

professionelles’ di stretta fedeltà monarchica e diretta

subordinazione al Ministero dell’Istruzione. Non si comprende

fino in fondo questo clima senza considerare che l’educazione

giuridica, indirizzata alla formazione dei funzionari dei quadri

burocratici, era costituita per una finalità ben precisa:

imparare il codice civile. Le Écoles de droit miravano ad uno studio

27 A. DUPIN, Manuel des étudiants en droit, Bruxelles, 1835, p. 65: «aujourd'hui elle [la glose] est tombée dans un discrédit total», ma gli esempi si potrebbero moltiplicare.28 Su questa evoluzione v. J.-L. HALPÉRIN, Un gouvernement de professeurs, réalité ou illusion? in Paris, capitale juridique (1804-1950), a cura di J.-L. HALPÉRIN, Paris, 2011, pp.45-88, PH. JESTAZ e CH. JAMIN, La doctrine, Paris, 2004, pp. 69-120, J. BONNECASE, Qu'est-ce que une faculté de droit? Paris, 1929, pp. 81-88, e J. IMBERT, L’enseignement du droit dans les Écoles centrales sous la Révolution, in Annales d’histoire des Facultés de droit, III (1986), pp. 37-56.

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meccanico e contribuivano ad un’ideologia di legge ed ordine tale

da marginalizzare ogni originalità. In sostanza, esse erano la

cittadella dell’esegesi dei codici napoleonici.

Vale la pena di ripercorrere il tortuoso percorso che portò

la storia del diritto nel curriculum degli studi giuridici per

comprendere i compiti assegnati a questa disciplina29. Il

curriculum giuridico introdotto nel 1804 attribuì alla storia del

diritto un ruolo molto limitato e tale rimase per circa un

quindicennio. Voci di protesta si levarono per denunciare i

limiti di un approccio esclusivamente tecnico che suggeriva la

visione di un diritto libresco e retto da un meccanicismo

impersonale. Si manifestò un nuovo fervore storicista da cui

prese l’avvio la fondazione della rivista Thémis (pubblicata

negli anni 1819-1826) e vari lavori a sfondo storico e

filosofico30, i cui riflessi ultimi si colgono in una riforma

degli studi (24 marzo 1819) che introdusse cattedre di storia del

diritto, diritto amministrativo, diritto naturale ed economia

29 In particolare v. BERRIAT-SAINT-PRIX Discours sur l'enseignement du droit en France avant etdepuis la création des écoles actuelles, Paris, 1838, pp. 37-38.30 Tra cui A.J. LHERBETTE, Introduction a l'étude philosophique du droit, 1819, E. LERMINIER, Introduction générale a l'histoire du droit, 1829; H. KLIMRATH, Essai sur l’étude historique du droit et son utilité pour l’interprétation du code civil, 1833.

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politica; a Parigi a Berriat-Saint-Prix e Blondeau venne affidato

un corso di storia del diritto nel 1821 (anno di pubblicazione

dell’Histoire di Berriat-Saint-Prix ). Pur se tale riforma ebbe

breve vita, a Parigi a partire dal 1829 l’insegnamento di storia

del diritto venne impartito senza interruzioni, ed ufficializzato

con l’istituzione di una cattedra di storia del diritto romano e

francese affidata a Eugène Lerminier31.

Quali furono i caratteri di fondo riscontrabili

nell’introduzione della storia del diritto? Se l’intera

educazione giuridica era funzionale al culto del Code Civil ed alle

sue concomitanti concezioni legaliste, a questo scopo non si

sottraeva la storia del diritto32. La introduzione di questa

disciplina era giustificata ai fini di una migliore conoscenza

del diritto moderno, ma in realtà si traduceva in una tecnica

ausiliaria per comprendere il codice: essa era finalizzata ad

affermarne l’autorità33. È importante sottolineare che le vicende

31 Sulle parallele vicende che portarono all’introduzione del diritto amministrativo, v. L. MANNORI e B. SORDI, Storia del diritto amministrativo, Bari, 2001, pp. 277-291.32 J.-L. HALPÉRIN, Histoire du droit privé français depuis 1804, Paris 1996, p. 78 anche perla bibliografia, e J. –L. HALPÉRIN, L’histoire Du Droit Constituée En Discipline : Consécration Ou Repli Identitaire ? in Revue d’histoire des sciences humaines, IV, 1 (2001), pp. 9-32 a p. 16.33 HALPÉRIN, Histoire du droit privé cit. (n. 32), p. 72.

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della storia del diritto in Francia, pur se sensibili alle

istanze storiciste di provenienza germanica, non furono legate da

un rapporto di diretta dipendenza con la scuola Savigniana. Il

compito che si poneva per lo storico francese era di persuadere

che il codice non fosse il frutto di un regime politico

particolare ma il prodotto storico della nazione34. Questo

carattere è riscontrabile nelle istanze di cui fu portavoce la

rivista Thémis. Se da una parte essa fu dedicata alla rinascita

degli studi romanistici in Francia, e come tale apparve un

importante canale di diffusione dello storicismo germanico, essa

non fu uno strumento passivo di tale fervore storicista: la

Thémis perseguiva un autonomo progetto intellettuale che non si

opponeva alla codificazione: essa esprimeva una scuola storica

francese35.

Al bagaglio culturale del giurista la storia non era

estranea, ma la sua presenza era condizionata da una visione che

la poneva come un progetto che si estende verso il futuro. In tal

modo la narrazione storica era inclinata ad assumere il carattere34 GAUDEMET, L’interprétation du code civil, cit, (n. 25), p 24-5)35 A questa conclusione giunge J. BONNECASE in La Thémis, Parigi,1914, v. anche PH.REMY, La Thémis et le droit naturel, in Revue d’histoire des facultés de droit et de la science juridique,IV (1987), p. 145 e JESTAZ e JAMIN, La doctrine cit. (n. 28), pp. 96-101.

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di una ottimistica evoluzione verso il moderno; esemplificata da

narrazioni storiche che disegnavano una evoluzione inarrestabile

che conduceva all’assolutismo monarchico oppure, come nel caso

che qui interessa, ad una successione di scuole di interpreti che

portano alla perfezione del diritto legislativo ottocentesco.

Come Berriat-Saint-Prix scrisse, nel medioevo si istruivano

processi anche contro i ratti36. Il punto di fondo è che

l’esistenza della storiografia non implica necessariamente una

coscienza della storicità del diritto.

III. 3

L’originalità dell’Histoire di Berriat-Saint-Prix si coglie dalla

distanza che la separa da opere precedenti37. Se lo scopo

didattico della historia juris non è un carattere distintivo

36 BERRIAT, Rapport et recherches sur les procès et jugements relatifs aux animaux, Paris, 1829. Di questa vicenda si occupa un noto lavoro di diritto comparato, teso a percorrere all’inverso l’argomento di Berriat per colmare il fossato metodologico scavato nel XIX secolo, William Ewald, Comparative jurisprudence (i): What was it like to try a rat? in University of Pennsylvania Law Review, 143, 6 (1995), p. 1889.37 Ho esaminato le seguenti opere: ANTOINE TERRASSON, Histoire de la jurisprudence romaine, Lyon, 1750, GIAN VINCENZO GRAVINA, De ortu et progressu iuris civilis, Napoli, 1701,JOHANN GOTTLIEB HEINECCIUS, Historia juris Romani, 1733; CLAUDE JOSEPH FERRIÈRE, Histoire du droit Romain, Parigi, 1783; JOHANNES SALOMON BRUNQUELL, Historia juris Romano-Germanici, Amsterdam, 1730, CHRISTIAN GOTTFRIED HOFFMANN, Historiae juris Romano-Justinianei, Lipsia, 1734.

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dell’autore francese38, né l’affermazione di una conjunctio di jus ed

historia39, la sua specificità si coglie nel proporre una narrativa

che vede in Cuiacio e nella concomitante condanna del bartolismo

l’inizio di una nuova era del diritto.

È necessario sottolineare che sino al XVIII secolo ogni

historia juris conteneva una sezione dedicata alla descrizione delle

varie scuole giurisprudenziali, corrispondenti a differenti

approcci al testo romano, seguendo il modello dato dal par. 47

del famoso brano di Pomponio de origine juris (D. 1.2.2), un brano

che è stato il modello costitutivo per la maggior parte delle

trattazioni di storia del diritto pubblicate fino al XVIII

secolo40. Per esempio in un brano molto noto Giulio Pace parlava

38 Il lavoro di BRUNQUELL (n. 37) è scritto in usum auditorii; e quello di HEINECCIUS (n. 37) per studia juventutis. È opportuno richiamare l’attenzione sulla funzione dell’educazione giuridica nelle facoltà tedesche dell’Illuminismo, finalizzataa preparare i funzionari per i quadri burocratici dell’Impero Prussiano, su cui v. H. COING, L’insegnamento della giurisprudenza nell’epoca dell’Illuminismo, in L’educazionegiuridica, I. Profili storici, a cura di A. GIULIANI e N. PICARDI, Perugia, 1979, pp. 104-128.39 BRUNQUELL, Historia juris cit. (n. 37) per esempio inizia con una Praefatio dedicataa Boudoin a cui segue una dissertatio in cui annuncia una conjunctio di lingua, storia, antiquitates con la jurisprudentia; GRAVINA apre il suo lavoro con una Praefatioin cui esplicitamente dichiara di voler aprire le porte del diritto a storia elettere; ma tale presa di posizione non implica un giudizio su Bartolo, che anzi difende dalle critiche di Budeo, Duareno e Goveano, GRAVINA, De ortu et progressu cit., (n. 37) p 84.40 Devo quest’osservazione a G. CRIFÒ, Pomponius, liber singularis enchiridii D. 1.2.2 e la “storia del diritto”, in G. CRIFÒ, Materiali di storiografia romanistica, Torino, 1998, pp. 51-80, spec. 56-64, mettendo in evidenza la svolta impressa dal Lehrbuch der

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di cinque scuole di interpreti, a partire dai glossatori sino al

suo tempo41. Ma in tale tradizione non si esprimevano giudizi di

condanna o di lode su tali scuole di interpreti. Tra gli autori

settecenteschi Gian Vincenzo Gravina (1664-1718) registra le

varie età della giurisprudenza antica e l’esistenza di quattro

scuole dopo il rinnovamento della giurisprudenza. Claude-Joseph

Ferrière (1680-1748) non parla di una rivalità tra scuole; il

carattere del mos italicus è dato da un mos studendi qualificato dal

famoso distico e della successione di ratio dubitandi e ratio

decidendi42. Il testo di Antoine Terrasson (1705-1782) contiene

accenti filo-bartoliani. Egli non solo non esprime un giudizio

negativo su Bartolo ma ne ricorda gli epiteti (Speculum, Lucerna

Juris, Magister, Pater, Lumen) e l’autorita dell’opinio Bartoli in Spagna,

aggiungendo: «Il s'en faut bien que les écrits de Bartole ayent

une si grande autorité en France. Ce proverbe François, résolu

comme Bartole, vient de ce que ce Jurisconsulte étoit ferme dans

ses sentiments, & les débitoit avec beaucoup d'assurance»43.

Geschichte des Römischen Rechts di GUSTAV HUGO (1790).41 GIULIO PACE, De iuris civilis difficultate ac docendi methodo, in NIKOLAUS REUSNER, Cynosura iuris, II, Spira, 1588, pp. 81-105.42 FERRIÈRE , Histoire cit. (n. 37), pp. 450-452.43 TERRASSON, Histoire cit. (n. 37), pp. 409-10.

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Terrasson registra inoltre la stima goduta dalle sue opere in

Italia e Germania, notando che «ils l’ont été en France pendant

très long temps … j’ignore la raison pour laquelle ils y sont a

présent plus négligés qu’ils doivent être»44. Egli giudica «un

peu outré» il giudizio di Ferrière su Baldo, e senza battere

ciglio registra che Giovanni Nevizzano argomenta a favore del

matrimonio nei primi due libri della sua Sylva Nuptialis per poi

sostenere il contrario nei due libri successivi. In un testo

spesso citato, Johannes Hineccius (1681-1741) registra

l’ignoranza di filosofia e storia dimostrata da Bartolo e dalla

sua scuola, ma allo stesso tempo non manca di rilevare che il

loro stile interpretativo si impose nelle università Germaniche

del XV e XVI secolo. Egli sottolinea il nuovo splendore impresso

dalla scuola di Alciato e dai jureconsulti humaniores ma il punto

conclusivo del suo lavoro è una devastante critica dell’unione di

elegantiores litterae e diritto. Osserva come la continua derisione di

Giustiniano, la caccia alle antinomie e Tribonianismi non si è

risolta che in un danno per la costruzione di una più solida

giurisprudenza. Essi non sono «jureconsulti sed censores sine

44 FERRIÈRE, Histoire cit. (n. 37), p. 420.

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populi suffragio creati». Come i critici descritti nella Tabula

di Cebes Thebanus (opera a contenuto moraleggiante ben conosciuta

sino al XVIII secolo) essi seguono le illusioni della Falsa

Erudizione.

Esaminiamo il testo di Berriat-Saint-Prix . La prima parte

del suo lavoro (Histoire du droit romain) è un esempio di storia

esterna: nel breve saggio introduttivo egli dichiara di voler

descrivere i fatti che determinano le norme, i corpora

legislativi, le opere principali ed i loro autori. Con questa

impostazione il diritto rimane una entità data e preesistente che

si muove nel tempo secondo leggi autonome; la sua indipendenza

dai fatti di cui si compone la storia esterna ne conferma anzi la

purezza. La storia così intesa è quindi ‘un commento alle leggi’.

Berriat-Saint-Prix dichiara di seguire la scia dei lavori

settecenteschi di Gravina, Heineccio, Brunquell, Hoffmann, Bach e

Pothier ma intende superarli in chiarezza e concisione: essi sono

inclini alla prolissità ed erudizione. Il suo lavoro punta alla

didattica, e vuole aiutare lo studente a trovare il filo rosso

per orientarsi tra le materie curricolari facendo di questa

materia una mera introduzione agli studi giuridici. Al neofita

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intende offrire una mappa geografica dello scibile —

illustrandola «come i rami di una scienza». Coerentemente con la

natura legislativa del diritto Romano, la sua trattazione ne

descrive le sei fonti: leggi, actiones, editti del pretore,

responsi dei giureconsulti, decisioni dei pontefici, usi e

costumi. L’ultima fonte, in linea con le premesse, è menzionata

solo nel piano di lavoro e viene poi espunta dalla narrazione.

La seconda parte del suo lavoro è dedicata a Cuiacio. Questo

testo è stato la fonte di un autentico culto agiografico ed

ancora oggi è l’insuperato testo di riferimento sul grande

umanista francese45. Leggiamo che Cuiacio ebbe il merito di

ricomporre gl antici testi manipolati da Triboniano e di

restituirli alla loro originaria purezza. In questa puntigliosa

ricerca egli si mostrò come «l'incarnazione dell'esegesi», e fu

addirittura «più Romano dei Romani»46. Ma nel lievitare di questo

culto agiografico egli perviene ad una storia costruita su schemi

semplificati in cui il bartolismo e l’umanesimo non possono

essere esaminati autonomamente. L’essenza dell’umanesimo è data 45 Su questo lavoro SAVIGNY scrisse una Lettre à propos du livre de Berriat-Saint-Prix, in Thémis, ou Bibliothèque du jurisconsulte, IV (1822), pp. 193-207.46 LERMINIER, Introduction générale cit. (n. 30), p. 445 nota che «comme Cujas, il [Savigny] cherche et saisit le droit romain dans sa pureté native».

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dalla vittoria sul bartolismo, quella del bartolismo di essere il

protagonista soccombente; da una parte Bartolo, dall’altra

l’anti-Bartolo, Cuiacio. A quest’ultimo fu conferito il destino

di iniziare il moderno corso della storia del diritto, chiudendo

definitivamente il medio evo gotico e la stagione dello

scolasticismo47. L’elemento propulsore di questa costruzione è il

mito codicistico di una legislazione senza interpretazione in cui

alla necessità di un testo legislativo chiaro corrisponde

l’urgenza di ricomporre nella sua purezza il testo romano. Questo

contesto fa di Cuiacio un eroe, e spiega il culto agiografico

che, iniziato alla fine del XVI secolo48, trova la più intensa

espressione nei manuali di storia del diritto ottocenteschi.

IV.

È giunto il momento di tirare le fila di questo discorso.

L’osservazione che il ‘bartolismo’ ha un’origine ottocentesca

potrebbe sembrare un mero dettaglio erudito, ma rivela importanti

47 DECOUS LEPEYRIÈRE, Discours sur Cujas, Paris, 1848, p. 4: «la destinée d’ouvrir les temps modernes».48 A partire da PAPIRE MASSON, Jacobi Cuiacii jurisconsulti vita, Parigi, 1590.

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implicazioni quando ci volgiamo al contesto in cui tale termine

fa la sua comparsa. Di bartolismo si parla per la prima volta in

manuali di storia del diritto pubblicati in Francia nel XIX

secolo. Questi lavori determinano un nuovo corso della

storiografia giuridica, rompendo con la tradizione settecentesca

ancora legata al modello Pomponiano de origine juris, ed assorbono

l’ideologia codicistica di una legislazione senza

interpretazione. Essi costruiscono una narrativa storica in

termini semplificati: un medioevo da condannare ed un nuovo

inizio dato da Cuiacio. Il bartolismo, espressione

dell’armamentario dialettico-argomentativo del giurista-

interprete, diventa il bersaglio di una critica devastante. Tali

vicende ripropongono con chiarezza i rapporti complessi tra

teoria del diritto e storia del diritto e mostrano come la

storiografia giuridica non sia esente dal partire da premesse,

più o meno esplicite, riguardo una definizione di diritto e da

una visione delle sue fonti.

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