Educare i bambini alla lingua inglese. Teoria e pratica dell’insegnamento dell’inglese nella...

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INFANZIA E PRIMARIA: professione insegnante collana diretta da Luciano Galliani

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INFANZIA E PRIMARIA:

professione insegnante

collana diretta daLuciano Galliani

Educare i bambini alla lingua inglese

a cura di Matteo Santipolo

Teoria e pratica dell’insegnamento dell’inglese nella scuola primaria e dell’infanzia

Matteo Santipolo (a cura di)EDUCARE I BAMBINI ALLA LINGUA INGLESE

ISBN 978-88-8232-994-5

© 2012 - Pensa MultiMedia Editore Via A.M. Caprioli, 8 - 73100 Lecce • tel. 0832.230435Via C. Cantù, 25 - 25038 Rovato (BS) • tel. 030.5310994

Impaginazione-editing: Carla PensaProgetto grafico copertina: Donatella De Blasi

“The English language is nobody’s special property. It is the property of the imagination:

it is the property of the language itself.”

Derek Walcott, in Plimpton G. (ed.), 1988, The Paris Review Interviews.

Writers at Work. 2nd Series,London, Penguin.

“Never make fun of someone who speaks broken English.It means they know another language.”

H. Jackson Brown, Jr., 1997,The Complete Life’s Little Instruction Book,

Nashville TN, Rutledge Hill Press.

Sommario

Elenco delle principali sigle e abbreviazioni impiegate nel volume 11

IntroduzioneEducare alla lingua inglese oggiMatteo Santipolo 13

Capitolo 1L’insegnamento delle lingue straniere nella scuola elementare: un profilo storicoPaolo E. Balboni 39

Capitolo 2Insegnamento delle lingue straniere nella scuola primaria: i riferimenti normativi e gli aspetti organizzativiMaria Cecilia Luise 53

Capitolo 3Neuroscienze e didattica dell’inglese a bambiniMichele Daloiso 65

Capitolo 4Le variabili psico-affettive nell’insegnamento dell’inglese nella scuola primariaPatrizia Mazzotta 83

Capitolo 5Lingua e linguaggi: didattica dell’inglese al pluralePaolo Torresan 109

Capitolo 6Il contributo della linguistica acquisizionale nella didattica dell’inglese nella scuola primariaCamilla Bettoni 131

Capitolo 7Un portfolio “parlante” per la scuola dell’infanziaFlora Sisti 145

Capitolo 8Tecniche didattiche per l’insegnamento dell’inglese nella scuola dell’infanzia e nella scuola primariaLuciana Favaro 175

Capitolo 9Divertendosi insegnando ed imparando l’ingleseSilvia Drago 199

Capitolo 10L’intelligenza culturale: una lettura glottodidattica per un approccio multiprospettico alla cultura anglofonaMatteo Santipolo 219

Capitolo 11L’insegnamento della pronunciaLuciano Canepari, Maria Assunta Simionato 239

Capitolo 12Storytelling linguistico-acquisizionale: una proposta per favorire l’acquisizione spontanea dell’inglese LS nei bambiniVerusca Costenaro 261

Capitolo 13Il Lexical Approach nella didattica dell’inglese nella scuola primariaGianfranco Porcelli 285

Capitolo 14Problematiche dei percorsi CLIL nella scuola dell’infanzia e nella scuola primariaGraziano Serragiotto 307

Capitolo 15Il ruolo della traduzione nella didattica dell’inglese (e non solo) nella scuola primariaEmilia Di Martino, Bruna Di Sabato 319

Capitolo 16L’insegnamento dell’inglese agli allievi non italofoniSerena Ambroso, Lucilla Lopriore 361

Capitolo 17La valutazione e la certificazione delle competenze nell’inglese per la scuola primariaAlberta Novello 393

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Ringraziamenti

Un ringraziamento va innanzitutto ai colleghi e amici che hanno aderi-to a questo articolato progetto mettendo a disposizione le loro compe-tenze ed esperienze attraverso contributi di grande valore scientifico emetodologico. Li ringrazio anche per la pazienza che hanno saputo di-mostrare: come purtroppo spesso accade con iniziative di questo tipo, itempi di realizzazione programmati e desiderati non coincidono conquelli che poi sono necessari, e di questo mi scuso con tutti loro. Per i preziosi consigli che come sempre mi ha dato, un ringraziamentoparticolare va a Paolo E. Balboni, amico e Maestro.Ringrazio poi Luciano Galliani, già preside della Facoltà di Scienze del-la Formazione Primaria dell’Università di Padova, e l’editore Pensa Mul-tiMedia per la fiducia e la comprensione.Last but not least, un ringraziamento speciale va a mia madre Giuseppinae a mia moglie Carolina per il supporto e il sostegno morale e materia-le che mi hanno saputo dare anche in questa occasione.

Matteo Santipolo

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Elenco delle principali sigle e abbreviazioni impiegate nel volume

Acronimo Significato

BICS: Basic Interpersonal Communicative SkillsCALP: Cognitive Academic Language ProficiencyCLIL: Content and Language Integrated LearningCQ: Intelligenza culturale (Cultural quotient)EFL: English as a foreign languageEIL: English as an international languageELF: English as a lingua francaELT: English language teachingENL: English as a native languageESL: English as a second languageESOL: English for speakers of other languagesESP: English for special purposesEYL: English for young learnersGenAm: General AmericanIPA: International Phonetic AlphabetL1: Prima lingua/lingua maternaL2: Lingua secondaLAD: Language Acquisition DeviceLASS: Language Acquisition Support SystemLM: Lingua maternaLS: Lingua stranieraLU: Learning UnitMIT: Multiple Intelligence TheoryPEL: Portfolio europeo delle linguePIC: Portfolio Individuale delle CompetenzeRP: Received PronunciationSBE: Standard British EnglishSILL: Strategy Inventory for Language LearningSLA: Second Language AcquisitionSLAT: Second Language Acquisition TheoryTBI: Theme-based InstructionTP: Teoria della ProcessabilitàTPR: Total Physical Response

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Sosteneva Roger Ascham, studioso e scrittore inglese vissuto nel XVIsecolo che “As a hawk flieth not high with one wing, even so a manreacheth not to excellence with one tongue”; analogamente il poetaucraino Pavlo Tychyna (1891-1967) affermava che “Quante più lingueconosci, tante più volte sei una persona”; ancora, Johann WolfgangGoethe ritenerva che “Chi non conosce le lingue straniere non saniente della propria” e Geoffrey Willans, giornalista e autore inglesevissuto tra il 1911 e il 1958, pensava che “You can never understandone language until you understand at least two”. Ma la citazione for-se più signficativa in merito alle lingue è da attribuire al noto filosofoaustriaco Ludwig Wittgenstein (1889-1851): “I confini della mia lin-gua sono i confini del mio mondo1”. Va da sé che quante più lingue siconoscono tanto più vasti saranno i confini del proprio mondo.

Si tratta solo di alcuni esempi di come non manchino nella storiadell’umanità, e in tutte le epoche e culture, affermazioni e commen-ti sull’importanza di conoscere le lingue. Tale consapevolezza è pro-babilmente diventata ancora più pregnante e pressante oggi che ilmondo si è “rimpicciolito” e che le distanze (fisiche e virtuali) trapersone di culture e lingue differenti si sono enormemente ridotte.Un ruolo non secondario in questo processo di ridimensionamentoglobale, peraltro non sempre indolore e a basso costo, lo ha giocatosicuramente nel corso degli ultimi cento anni la lingua inglese.

Educare alla sua conoscenza2 non è dunque semplicemente unaquestione di rispetto di obblighi di legge, ma soprattutto un obbligomorale nei confronti delle nuove generazioni che all’inglese sempre

1 “Die Grenzen meiner Sprache sind die Grenzen meiner Welt” Tractatus Logico-Philosophicus, sezione 5.6.

2 Va precisato che la conoscenza del solo inglese, oltre alla lingua materna, non ècomunque sufficiente né auspicabile, come peraltro evidenziano le indicazionieuropee – non sempre recepite dal nostro paese – che invitano quanto meno altrilinguismo (lingua materna, inglese, altra lingua comunitaria). Cfr. anche capi-tolo 16.

IntroduzioneEducare alla lingua inglese oggi

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con maggiore difficoltà potranno rinunciare se vorranno acquisire pie-na cittadinanza nel mondo e nel loro tempo, e avere in tal modo quan-te più opportunità possibili di realizzazione personali e professionali.

Le opportunità di successo, come vedremo, saranno, inoltre, tantomaggiori quanto più precoce sarà l’accostamento alla nuova lingua.Indispensabile in tal senso è, però, che si metta definitivamente daparte l’insegnamento inteso come mera esposizione a qualche decinadi parole o a qualche stereotipo legato al mondo anglofono. Ciò si-gnifica superare una volta per tutte gli approcci che non attribuisco-no agli allievi un ruolo attivo e di protagonisti del processo di acqui-sizione con tutto il carico di (co-)responsabilità che ciò comporta.

Il riferimento è qui alla distinzione glottodidattica tra approccideduttivi e approcci induttivi, o ancora, entrando più nello specifico,tra insegnare la grammatica “esplicitamente” o riflettere “implicita-mente” sulla lingua, tra fornire schemi chiusi come punto di parten-za (come accade con gli approcci di matrice grammatico-traduttiva ostrutturalista) o schemi aperti (come con gli approcci di matrice co-municativa e umanistico-affettiva).

Le ragioni che portano a optare per una didattica induttiva equindi a tutti gli approcci del secondo tipo tra quelli sopra accenna-ti, sono da rintracciare in diversi aspetti che, per comodità dividere-mo, pur con certo grado di flessibilità, per ambiti di competenzascientifica3:

• relativi alla neurolinguisitica: è ormai stato ampiamente dimostra-to attraverso studi clinici come i due emisferi di cui è compostoil nostro cervello svolgano funzioni complementari riconducibili,in estrema sintesi, al fatto che il destro è “globale”, mentre il sini-stro è “analitico”. La loro attivazione, inoltre procede nell’ordineche va da destra a sinistra, anche se lo scarto temporale è in real-tà assolutamente minimo (Teoria della Bimodalità e della Direziona-lità di Marcel Danesi);

• relativi alla psicologia dell’apprendimento: come è noto, alla basedi qualunque processo di acquisizione si trova la motivazione che,sebbene data da una relazione tra piacere, bisogno e dovere, trovanel primo dei tre il suo principale sostentamento. Se lo sforzo co-gnitivo (e talvolta anche fisico) richiesto per acquisire una linguaè appagante e gratificante e coinvolge la persona nella sua interez-za, si innescherà un circolo virtuoso che genererà nuova motiva-zione (Modello Olo- e Ego-dinamico di Renzo Titone);

3 Per una descrizione più dettagliata della epistemologia della glottodidattica si ri-manda a Balboni 2011 e 2012.

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• relativi alla psicolinguistica: nessun processo di acquisizione (cioèstabile, contrapposta all’apprendimento che è invece destinato a sva-nire più o meno velocemente) può essere realizzato se ci si trovain condizioni ansiogene, vale a dire se si attiva il cosiddetto Filtroaffettivo e se l’input non viene reso comprensibile e viene presen-tato ad un grado (i + 1) senza continuità e progressione (SecondLanguage Acquisition Theory – SLAT – di Stephen Krashen);

• relativi alla psicologia dell’apprendimento/psicologia cognitiva: il“punto di attivazione” del filtro affettivo, è assolutamente sogget-tivo e legato alla personalità dell’allievo oltre che al suo stile cogni-tivo. Di tutto ciò è indispensabile tener conto anche al fine di de-cidere il modo con cui presentare l’input, valutando il tipo di in-telligenza di cui è dotato l’apprendente (Teoria delle intelligenzemultiple di Howard Gardner). Tali considerazioni condizionerannola scelta delle metodologie e delle tecniche didattiche da impie-gare di volta in volta;

• relativi alla psicolinguistica acquisizionale: nessun processo di ac-quisizione linguistica potrebbe avere luogo se l’essere umano nonfosse predisposto geneticamente a ciò. Il sistema che presiede alloscopo si definisce Language Acquisition Device (Ipotesi del LAD diNoam Chomsky). Per spiegarne il funzionamento facciamo quiricorso ad una nostra metafora che potremmo chiamare dell’albero:al momento della nascita di un bambino tutte le foglie dell’albe-ro di cui è provvisto e che rappresenta il LAD sono rigogliose. Amano a mano che apprende quella che sta diventando la sua lin-gua materna, per così dire, “disattiva” in qualche misura le foglieche non corrispondono a strutture presenti nella sua L1 in fieri.Quando poi, più avanti si accosterà all’acquisizione di un’altra odi altre lingue sarà necessario che riattivi le “foglie” (parzialmen-te) atrofizzate corrispondenti a strutture presenti nelle nuove lin-gue ma non nella sua L1. Ecco perché, metaforicamente parlan-do, quanto prima avviene questa riattivazione tanto meno fatico-so è il processo di acquisizione delle lingue straniere. Ecco ancheperché i bilingui sono facilitati nell’acquisizione di ulteriori idio-mi: il numero di “foglie” che hanno conservate attive fin da subi-to è superiore rispetto a quello dei monolingui. La metafora èparticolarmente efficace se riferita al sistema fonologico. Si pensi,ad esempio ad un bambino che sta diventando italofono: all’inter-no del repertorio della sua lingua non troverà i fonemi che, adesempio, in inglese vengono resi graficamente con ‘th’ (fricativeinterdentali sorda /θ/ e sonora /ð/, come rispettivamente in thinke those) disattiverà quindi la “foglia” corrispondente che dovràriattivare quando imparerà l’inglese. Affinché il LAD si attivi è necessario che intervenga un Language

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Acquisition Support System (LASS, ipotizzato da Jerome Bruner)proveniente dall’esterno. Nel processo di acquisizione linguistica,quindi, intervengono tanto fattori innati, congeniti, quanto con-dizionamenti esterni4;

• relativi all’antropologia: com’è noto il rapporto tra lingua e cultu-ra è di assoluta dipendenza reciproca. Ne sono conferma la cosid-detta Ipotesi ambientale (secondo la quale la struttura di una linguaè influenza dal contesto dove si parla); e l’Ipotesi Sapir-Whorf (se-condo la quale la propria lingua materna sarebbe una sorta di len-te o di paio di occhiali attraverso cui ciascuno di noi vede e in-terpreta la realtà). In altre parole, la conoscenza di una lingua de-termina la nostra Weltanschauung “visione del mondo”, per cui,quante più lingue si conoscono, tanto più ampia è la prospettivacon cui si osserva e si interpreta la realtà e le possibilità di intera-gire con essa. Solo comprendendo in profondità il rapporto tralingua, cultura e società si possono individuare efficaci percorsiglottodidattici idonei a rispondere alle necessità presenti e futuredegli allievi;

• relativi alla sociologia: le lingue sono fenomeni sociali che muta-no col mutare delle società che le generano e le impiegano.

A determinare il successo dell’educazione linguistica è anche lapiena consapevolezza del contesto in cui si opera. Nella Tabella 1 ri-portiamo le principali differenze tra educare a una lingua come stra-niera (LS, vale a dire in un contesto il cui la lingua è solo insegnata ascuola o comunque usata in ambiti molto ristretti), o seconda (L2, va-le a dire in un paese dove la si parla quotidianamente nelle interazio-ni comuni), individuando alcuni ambiti di riferimento.

4 Una curiosità: gli acronimi LAD e LASS coincidono con le parole inglesi per“ragazzo” e “ragazza”, a ulteriore sottolineatura della complementarietà tra i due.A tal proposito Balboni (2011: 74, nota 33) cita il seguente episodio: “Non sfug-ga il gioco di parole, spiegato a viva voce da Bruner in una conferenza cui eropresente ma che non ho mai trovato in suoi saggi: secondo lo psicologo, l’ideain un LAD autonomo è miracolistica; per essere generativo (gioco tra il significa-to di “generare” frasi e quello di “procreare”) a LAD needs a LASS […]”.

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Tabella 1. Principali differenze tra i contesti di LS e L2

Questa tabella si riferisce alle differenze generali tra l’educazionelinguistica nei due contesti in relativamente a qualunque lingua. Tut-tavia, per quanto riguarda l’inglese, dato il ruolo che esso ha ormaiassunto a livello planetario e la sua diffusione e penetrazione nel no-stro quotidiano (dalle canzoni ai film, dalle tecnologie allo sport, ecc.)

Aspettopsico-affettivo

Aspetto contenutistico

Aspetto funzionale

AspettoSocioculturale

LS

• La motivazione per lo studiodella lingua, specie quandoquesta non venga appresa pernecessità strumentali deveessere continuamente stimo-lata e mantenuta viva.

• La maggior parte dell’inputlinguistico e culturale chearriva ai discenti viene nonsolo fornito, ma anche con-trollato, gestito e messo insequenza dal docente.

• L’autenticità pragmatica èscarsa.

• I riferimenti socioculturalisono selezionati e mediatidall’insegnante che puòquindi sceglierli e adattarli,presentandone alcuni e trala-sciandone altri a sua pienadiscrezione.

L2

• La motivazione allo studionasce dai bisogni strumentaliquotidiani, cioè l’interazionecon il contesto. Tuttavia, se ilcorso di lingua non offre ri-sposte alle necessità degli al-lievi e non li stimola a suffi-cienza, anche in questo con-testo, la motivazione, eviden-temente più utilitaristica, puòvenire meno.

• La maggior parte dell’inputlinguistico e culturale pervie-ne ai discenti dal contestoesterno alla classe, quindi sen-za una programmazione logi-ca. Il ruolo dell’insegnante di-venta pertanto quello di siste-matizzarlo, renderlo com -prensibile, non solo dal puntodi vista semantico in sensostretto, ma anche in terminiculturali e sociali.

• L’autenticità pragmatica è as-soluta.

• I riferimenti socioculturalisono diretti, privi di alcunamediazione da parte dell’in-segnante, non vi sono cioèattenuazioni anche di quegliaspetti che potrebbero costi-tuire cause di disagio o ma-lessere per il discente (adesempio forme di razzismo,di luoghi comuni, di stereoti-pi, ecc. nei confronti di cul-ture diverse).

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questa distinzione tra LS e L2 pare meno marcata e riteniamo che,come del resto tutto il fenomeno dell’inglese lingua globale, necessi-ti di un ulteriore approfondimento.

“Broken English spoken perfectly”: l’inglese come lingua globale oggi

Non vi è alcun dubbio che anche chi non abbia mai studiato l’ingle-se possieda ormai un bagaglio di conoscenze o anche solo pseudo-co-noscenze5 relativamente a questa lingua e alla sua cultura impensabi-le rispetto ad altri idiomi. È vero che spesso si tratta di informazionisuperficiali e talvolta addirittura errate6, oppure che contribuiscono aconsolidare pregiudizi o stereotipi, tanto postivi quanto negativi, maè innegabile che l’esposizione al mondo anglofono sia oggi massicciae costante, fin dai primi anni di vita (si pensi, ad esempio, a tutta laterminologia dei giochi elettronici con cui i bambini entrano prestoin contatto e con cui sviluppano grande famigliarità). Non si puòquindi, a nostro avviso, per quanto riguarda l’inglese, tracciare unconfine netto tra LS e L2, perché anche chi si trova in un contesto incui la lingua non è utilizzata “ufficialmente”, di fatto è a contatto conessa o con alcuni suoi elementi e aspetti quasi in modo quotidiano.Lungi dall’essere un problema, ciò può invece costituire per il docen-te d’inglese LS un utile punto di partenza, uno strumento di cui av-valersi per assecondare e accrescere la motivazione che ne deriva giàpresente negli allievi.

Detto ciò, resta il problema di definire che cosa significhi “cono-scere” una lingua, e i particolare, una lingua estremamente variegata,anche culturalmente, quale è l’inglese oggi. Il titolo di questo para-grafo riprende quello di un libro (Clark 2005) che a sua volta fa ri-ferimento ad un cartello trovato in un negozio sull’isola di Cozumelin Messico. Si tratta, evidentemente, di una frase quanto meno con-traddittoria che però ben rappresenta il ruolo svolto oggigiorno dal-l’inglese come lingua globale. Frasi ambigue e/o grammaticalmente,

5 In relazione al lessico, ci si riferisce a questi fenomeni come pseudo-anglicismi, va-le a dire parole che sono solo apparentemente inglesi, ma che, in realtà, non esi-stono nella lingua o, quando vi si trovano, hanno comunque significati diversi daquelli attribuiti loro in italiano. Ad esempio la parola body che nell’uso italiano siriferisce a un indumento simile al costume tipicamente femminile, in inglese si-gnifica semplicemente “corpo”, mentre l’equivalente in inglese sarebbe bodysuit.O ancora autostop che in inglese si dice invece hitchhiking (cfr. Santipolo 2004).

6 A puro titolo esemplificativo, si pensi, a tal proposito, ad una pubblicità di que-sti ultimi anni in cui veniva impiegata la parola urban. Essa veniva pronunciatacon una sequenza iniziale /ju/, mentre la pronuncia corretta è con un suonouguale a quello che si trova per la <i> in first.

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semanticamente o sociolinguisticamente scorrette e involontaria-mente umoristiche non mancano, a tal punto che molti siti e volumi(cfr. Croker 2006) le hanno raccolte in grandi quantità. A scopoesemplificativo di che cosa intendiamo dire, ne riportiamo qui alcu-ne7:

• in a Tokyo Hotel: “Is forbidden to steal hotel towelsplease. If you are not a person to do such thing is pleasenot to read notis.”;

• in a Bucharest hotel lobby: “The lift is being fixed for thenext day. During that time we regret that you will be un-bearable.”;

• in a Belgrade hotel elevator: “To move the cabin, pushbutton for wishing floor. If the cabin should enter morepersons, each one should press a number of wishing floor.Driving is then going alphabetically by national order.”;

• in a Japanese hotel: “You are invited to take advantage ofthe chambermaid.”;

• in the lobby of a Moscow hotel across from a Russian Or-thodox monastery: “You are welcome to visit the ceme-tery where famous Russian and Soviet composers, artists,and writers are buried daily except Thursday.”;

• on the menu of a Swiss restaurant: “Our wines leave younothing to hope for.”;

• in a Rome laundry: “Ladies, leave your clothes here andspend the afternoon having a good time.”;

• in a Copenhagen airline ticket office: “We take your bagsand send them in all directions.”;

• in a Norwegian cocktail lounge: “Ladies are requested notto have children in the bar.”;

• in a Budapest zoo: “Please do not feed the animals. If youhave any suitable food, give it to the guard on duty.”

• two signs from a Majorcan shop entrance: “English welltalking,”, “Here speeching American.”;

• on board a ferry in Puerto Rico: “In case of emergency,the lifeguard are under the seat.”;

• on the entrance to a shop in France: “We speak Englishfloatingly.”;

• In a golf course: “Any persons (except players) caught col-lecting balls on this golf course will be prosecuted andhave their balls removed”.

7 Cfr. http://www.gloge.com/jokeengl.html e http://www.liverpool way.co. -uk/forum/gf-general-forum/17485-broken-english-spoken-perfectly.html

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Ma se a “storpiare” l’inglese sono spesso i parlanti non native, capi-ta ormai di frequente che anche gli stessi native speakers, per ragionidisparate che cercheremo di descrivere in seguito, violino le regole“ufficiali” del proper English. È il caso della recente pubblicità dellapiù famosa catena di fast food al mondo, il cui motto dice: “I’m lovin’it!”: come è noto, i verbi stativi (quali, ad esempio, to know, to love, tolike, to mean, to promise, to want, to depend, ecc.) non dovrebbero con-sentire la formazione del present continuous. Questo uso, invece, natonell’inglese americano, è ormai entrato ed accettato, almeno in con-testi informali, anche in altre varietà ed è ipotizzabile che in futuropossa pure entrare nelle grammatiche col valore di “in questo mo-mento”, contrapposto al valore assoluto e abituale del simple present.Così affermare “I’m liking (this) tea” indicherebbe quello che si stabevendo in quel preciso momento, mentre “I like tea” avrebbe un si-gnificato generale e assoluto.

Le ragioni per cui gli stessi parlanti nativi modificano la lingua inmodo “agrammaticale” possono essere ricondotte, a nostro avviso, adalmeno due macrocategorie:

a) normale evoluzione della lingua (si pensi a come l’inglese perse ilcongiuntivo più o meno intorno al diciassettesimo secolo) o co-me conseguenza di mode che poi si stabilizzano o, ancora, perl’accettazione nell’inglese standard di forme slang o gergali;

b) accomodamento convergente che i parlanti nativi attuano verso il mo-do di utilizzare la lingua da parte dei parlanti non nativi.

In relazione al secondo punto va evidenziato che oggi il numerodi parlanti non native ha triplicato quello di chi parla l’inglese comelingua materna (più di un miliardo rispetto a circa quattrocento mi-lioni. Cfr. Graddol 1999) ed è quindi inevitabile che i non nativi nonabbiano più solo il ruolo di language users, ma, con sempre maggiorefrequenza, anche quello di language rule modifiers (fino agli anni Ot-tanta del secolo scorso prerogativa di chi parlava l’inglese come lin-gua seconda, ad esempio in contesti post-coloniali quali l’India, il Pa-kistan o la Giamaica), e addirittura di language rule makers (un tempoesclusivo dominio dei natives)8. Questa nuova situazione, che di fatto

8 Facciamo qui riferimento a una ridistribuzione dei ruoli proposti nel noto mo-dello di Braj Kachru (1985) che servendosi di tre cerchi concentrici, colloca inquello più centrale, che definisce Inner Circle, le varietà di inglese come linguanativa (ENL); nel secondo, che chiama Outer Circle, pone l’inglese come linguaseconda (ESL); e infine nell’ultimo, denominato Expanding Circle, colloca l’ingle-se come lingua straniera (EFL). Ci preme sottolineare come la distinzione traLS/L2 illustrata nel paragrafo iniziale non abbia nulla a che fare con quella di

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non ha precedenti nella storia di nessuna altra lingua, ha di molto in-debolito il “culto” o il “mito” del parlante nativo come “nume tute-lare”, come custode della lingua e sta, tra l’altro, alla base della nasci-ta del fenomeno dei cosiddetti New Englishes, ossia varietà “ibride”,generate perlopiù dal contatto tra l’inglese e altre lingue, specie ap-punto in contesti post-coloniali (cfr. McArthur 1998). Ma anche incontesti diversi sono frequenti occorrenze “agrammaticali” quali ilverbo al plurale con sostantivi come news, o il plurale di un sostanti-vo uncountable singolare come information, o, ancora, l’uso di to lose insostituzione di to miss in frasi del tipo: “I lost the train”9, fino alla ri-duzione dell’impiego dei phrasal verbs più complessi e degli idioms piùculturalmente marcati.

Come spiega McCrum (2010: 5-6):

[…] English had developed a supernational momentum thatgave it a life independent of its British, and more especially itsAmerican, roots. Already multinational in expression, Englishwas becoming a global phenomenon with a fierce, innermultinational dynamic, an emerging lingua franca […] glob-al English, floating free from its troubled British and Ameri-can past, has begun to take on a life of its own. […] the twen-ty-first-century expression of British and American English –the world’s English – is about to make its own declaration ofindependence from the linguistic past, in both syntax and vo-cabulary.

Mentre, aggiungiamo noi, dal punto di vista fonetico questo pas-so sembra ormai essere stato già compiuto (cfr. Jenkins 2000).

Nello stesso volume, l’autore sottolinea altresì come molte azien-de americane e britanniche in anni recenti abbiano avuto cali di mer-cato dovuti al fatto che i loro promoters impiegano un inglese “trop-po difficile” per i parlanti non nativi al cui modo di parlare faticanoad adattarsi. Per far fronte al problema tali aziende hanno addiritturacominciato ad assumere personale che, pur avendo un’ottima cono-scenza dell’inglese, non sia però madrelingua.

In realtà:

Kachru e normalmente adottata nel mondo anglofono. Le due interpretazioni,quella della glottodidattica italiana e quella della linguistica inglese, non vannodunque confuse, anche se non mancano alcuni punti di contatto.

9 I linguisti e gli storici delle lingua sono ben consapevoli che molte di queste op-zioni oggi considerate “errate” hanno in realtà spesso riscontro anche in varietàe in momenti diversi della storia della lingua inglese. Shakespeare, ad esempio, al-ternava “news is” con “news are”, mentre to lose per to miss è comune in inglesegallese.

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[…] the global popularity of English is in no immediate dan-ger, but […] it would be foolhardy to imagine that its pre-eminent position as a world language will not be challengedin some world regions and domains of use as the economic,demographic and political shape of the world is transformed.[…] in many parts of the world, where English is taken intothe fabric of social life, it acquires a momentum and vitalityof its own, developing in ways which reflect local culture andlanguages, while diverging increasingly from the kind of Eng-lish spoken in Britain or North America (Graddol 1997: 2).

Questa tendenza pare confermata, ad esempio dal calo di diffusio-ne dell’impiego dell’inglese in internet dal 2000 al 2005, a tutto van-taggio del cinese (Graddol 2006: 44):

Ma la globalizzazione linguistica, di cui l’inglese è spesso conside-rato bandiera, è allo stesso tempo causa ed effetto della globalizzazio-ne in senso lato. Ne è prova la testimonianza che riportiamo qui diseguito (Graddol, 2006: 35):

Homework tutors in IndiaEach day at 4.30 am 20 well-educated Indians start work intheir call centre in Kerala, India. They provide one-to-one tu-torial help in subjects such as maths and science to Californ-ian schoolchildren. One recent estimate suggests that over20,000 American schoolchildren now receive e-tutoring sup-port from India, usually through US service providers (Chri-stian Science Monitor, 23 May 2005).

Casi simili sono stati ben rappresentati in film quali Slumdog Mil-lionaire (2008) e The Best Exotic Marigold Hotel (2011), entrambi am-bientati in India, e in cui appaiono dei call centre che danno informa-zioni su ogni genere di cosa ad utenti o addirittura fanno assistenzatelefonica ad anziani che chiamano dalla Gran Bretagna.

Sempre più spesso si sente descrivere l’inglese come una lingua

2000English 51.3%Japanese 8.1%German 5.9%Spanish 5.8%Chinese 5.4%French 3.9%Korean 3.5%Italian 3%Dutch 1.8%Other 11.3

2005English 32%Chinese 13%Japanese 8%Spanish 6%German 6%French 4%Korean 3%Italian 3%

Portuguese 3%Dutch 2%Other 20%

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killer, ossia una lingua la cui diffusione, specie in certi contesti, mettea rischio la sopravvivenza delle lingue locali. A nostro avviso, tuttavia,esso, di fatto, non rappresenta una minaccia per altre lingue dal pun-to di vista strutturale (corpus), vale a dire che non incide, almeno inun primo momento, in modo più drammatico di quanto abbiano fat-to altri idiomi in passato (e sullo stesso inglese10) su come evolvonole lingue “di cultura” (ad esempio italiano, francese, spagnolo, tede-sco). Si tratta, soprattutto, di prestiti lessicali e calchi sementici che dasempre hanno caratterizzato i rapporti tra le lingue. Piuttosto, l’ingle-se sembra incidere dal punto di vista dello status, vale a dire a livellodi domini d’uso delle diverse lingue nazionali. Si pensi, a tal proposi-to, alla distorta filosofia (purtroppo assai diffusa anche nel mondo ac-cademico italiano) che se un saggio o un articolo non è scritto in in-glese esso è necessariamente meno “scientifico” e meno valido. Se daun lato non vi è dubbio che l’uso dell’inglese garantisca una maggio-re visibilità, dall’altro vi è il rischio che, alla lunga, l’uso esclusivo del-la lingua di Shakespeare (o comunque di una sua qualche varietà) adiscapito delle lingue nazionali come l’italiano, il francese o il tede-sco, arrivi ad intaccarne anche la struttura e le possibilità espressive.Proprio per far fronte a questo rischio, in Germania, ad esempio, ilgoverno di alcuni Länder finanzia convegni e congressi in cui la lin-gua di comunicazione sia, almeno in parte, il tedesco.

La situazione è, in ogni caso, estremamente complessa e articola-ta, ma in questa sede vorremmo limitarci a darne una lettura socio-linguistica, avanzando l’ipotesi che, nel prossimo futuro, l’inglese sa-rà caratterizzato da una forte diglossia tra due continua, quello nativoe quello non nativo, che convergeranno verso una varietà che è sta-ta alternativamente denominata World English, Global English (o Glo-bish11), English as an International Language e English as a lingua fran-

10 Basti pensare all’enorme quantità di francesismi o italianismi che sono presentinel vocabolario dell’inglese, che proprio a questa sua capacità di assorbire paro-le da tutte le lingue con cui è venuto a contatto vanta oggi un numero di lesse-mi doppio di quelli dell’italiano. Come spiega Crystal (1999): “Hybridization hasalways been a feature of English since Anglo-Saxon times. Any history of Eng-lish shows that the language has always been something of a “vacuum cleaner”,sucking in words and expressions form the other languages with which it hascome into contact.”

11 Il termine è stato coniato nel 1998 da Madhukar Gogate per descrivere una va-rietà semplificare di inglese da lui ideata e presentato ad una riunione della Sim-plified Spelling Society. Secondo il suo inventore va considerato un dialetto artifi-ciale dell’inglese inteso come tentativo di semplificarne lo spelling e la pronun-cia: Ad esempio la parola colour in Globish sarebbe “kalar”. Nel 2004 un dirigen-te in pensione del marketing della IBM, Jean-Paul Nerrière reimpiega il termi-ne Globish in riferimento a una nuova varietà di inglese di sua creazione e ba-

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ca12, perlopiù spogliata delle caratteristiche locali, tanto native quan-to non native, sia dal punto di vista strettamente linguistico sia daquello culturale. Per chiarire ulteriormente questo stato di cose ciavvaliamo di una rappresentazione schematica (Figura 1). A dispettodell’opinione di ancora molti parlanti nativi, ciò che si evince da ta-le rappresentazione è che il Global English (contrapposto ai diversiLocal Englishes caratterizzati, tra l’altro, anche da una forte valenzaidentitaria) è in realtà una no body’s language, che diventa pertantouna everybody’s language su cui chiunque la usi ha diritto di interve-nire e il cui unico limite è l’intelligibilità (cfr. Seidlhofer, 2011). Sitratta però di una sorta di “esperanto intra-inglese” privo di connota-zioni identitarie e culturali proprie di qualsiasi genere e con esclusi-vi intenti pragmatici.

sata su un vocabolario di appena 1500 parole (a fronte delle 615.000 dell’OxfordEnglish Dictionary), sulla ripetizione e sulla gestualità. Il suo ideatore non lo defi-nisce una lingua, ma piuttosto un tool “strumento”, in quanto privo della cultu-ra che invece ogni lingua veicola. L’obiettivo, è quello di mettere chi non cono-sce l’inglese in modo adeguato in condizione di poter comunque comunicare.Per far ciò, sostiene Narrière, gli stessi parlanti nativi dovranno mettersi a studia-re il Globish (cfr. Nerrière J.-P. 2004, e http://www.globish.com/). Oggi il ter-mine viene utilizzato anche in senso più ampio per descrivere l’inglese come fe-nomeno globale parlato dai non nativi.

12 World English è un concetto che abbraccia tutti gli aspetti della lingua: dialetti,varietà di contatto, varietà standard e substandard, scritto, parlato, ecc. Il terminenon ha di per sé, quindi, un significato di standard universalmente accettato, mamira piuttosto a descrivere la diffusione planetaria, onnicomprensiva della lingua.International English, lungi dall’essere una versione ridotta del precedente, è piut-tosto un termine che rimanda a tre condizioni: distribuzione transnazionale del-la lingua; tendenza alla standardardizzazione; impiego della lingua come linguafranca (English as a Lingua Franca, ELF). Come vedremo meglio nel successivoparagrafo l’impiego dell’inglese come lingua internazionale (English as an Inter-national Language, EIL) ha forti implicazioni anche dal punto di vista glottodidat-tico. Infatti, sebbene non esista, a tutt’oggi, una varietà totalmente uniforme, geo-graficamente e socialmente non marcata e riconosciuta come prestigiosa in tut-to il mondo e da tutti i parlanti, l’uso della lingua sulla scena internazionale hacomportato uno sforzo di adattamento anche da parte degli stessi parlanti nati-vi, che di fatto si sono trovati e si trovano sempre più spesso in condizione di do-ver “re-imparare” la loro stessa lingua per renderla comprensibile ai non nativi. Itermini “globale” e “globalizzazione” in relazione alla lingua inglese si riferisco-no allo status genuinamente planetario acquisito dalla lingua, al suo ruolo spe-ciale riconosciutole in ogni paese. Di fatto, mentre per il latino e per il francesesi potevano in passato al pari che per l’inglese oggi impiegare le denominazionidi “planetario”, “internazionale”, “lingua franca”, ecc., è solo per l’inglese che sipuò utilizzare quello di “lingua globale” sia dal punto di vista della diffusionegeografica che di quella sociale (cfr. Santipolo 2006: 36-37).

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Figura 1. Diglossia dei continua nativo e non nativo

Educare all’inglese lingua globale

Di fronte a una tale complessità, che qui abbiamo comunque solo in-trodotto, emerge più urgente che mai il problema di quali modelliimpiegare quando si debba educare alla lingua inglese13. È innanzi-tutto necessario, in ogni caso, fare chiarezza sul concetto stesso di“modello” e sulla estensione del suo dominio semantico e concettua-le. Riteniamo che il significato sia perlomeno duplice:

a) modello inteso come scelta della varietà da proporre agli allievi inclasse (ad esempio se inglese britannico14 o inglese americano.Cfr. capitolo 9). Questa interpretazione corrisponde, almeno in

13 Convenzionalmente, nel mondo anglofono, si utilizza l’acronimo ELT: Englishlanguage teaching.

14 Ci si riferisce qui allo Standard British English (SBE) normalmente insegnato im-piegando la cosiddetta Received Pronunciation (RP), ossia la pronuncia neutra che,sebbene sia una prerogativa di una percentuale variabile tra il 3% e il 5% dellapopolazione britannica, è comunque la più prestigiosa. SBE e RP insieme ven-gono anche denominati BBC English (oggi in realtà questa definizione pare po-co appropriata, dato che la BBC, specie nel suo World Service, si è ormai aperta amolte altre varietà di lingua), Queen’s English o, ancora Oxbridge English (dalla fu-sione di Oxford + Cambridge, le università dell’élite).

CONTINUUM DEI PARLANTI NATIVI

- Varietà e dialetti locali

- Varietà standard di altri paesi anglofoni (Australia, Canada, Galles,Irlanda, Nuova Zelanda, Scozia, Sudafrica (parzialmente), ecc.)

- Varietà standard nazionali di riferimento internazionale (GeneralAmerican e Standard British English)

CONTINUUM DEI PARLANTI NON NATIVI

- Varietà di inglese “quasi” native - Varietà di inglese con transfer dalle lingue locali e New Englishes

- Lingue nazionali- Varietà e dialetti delle lingue nazionali

Global EnglishEnglish as an International Language (EIL)

English as a Lingua Franca (ELF)

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parte, al concetto di sillabo, o syllabus, così come lo definisce Bal-boni (1999: 99): “un elenco dei contenuti, risultato di un proces-so di analisi dei bisogni strumentali, senza particolare attenzionealle mete educative.”

b) modello inteso come scelta, oltre che dei contenuti (sillabo), puredelle finalità da perseguire e delle metodologie e degli approcci daadottare. Questa interpretazione corrisponde, grosso modo, alconcetto di curricolo (o curriculum) così come lo definisce Balboni(1999: 25):

[…] un modello operativo che definisce un profilo formativoe quindi indica le mete, gli obiettivi e i contenuti che costi-tuiscono l’oggetto di un corso.In prima approssimazione si può dire che un curricolo fondele nozioni di programma e di syllabus; in realtà oggi i curri-coli tendono a includere anche sezioni che offrono– parametri per variare il curricolo a seconda delle caratte-

ristiche della situazione didattica, della natura degli allievi,del quartiere in cui si opera, delle dotazioni glottotecno-logiche disponibili, ecc.;

– una guida metodologica relativa alle tecniche didatticheche si consiglia di utilizzare (o che vengono considerateincongrue con le premesse del curricolo) per raggiunge-re gli obiettivi;

– una serie di parametri per la verifica e la valutazione delraggiungimento degli obiettivi.

In termini insiemistici, potremmo affermare che la prima accezio-ne di modello include la seconda. A quest’ultima, pure se in termininon identici, pare riferirsi anche Graddol (2006: 83)

What makes a model of ELT?Each model may vary in terms of:

– What variety of English is regarded as authoritative?– Which language skills are most important (Reading?

Speaking? Interpreting?)– What is regarded as a suitable level of proficiency?– How and where will the language be used?– Is the motive for learning largely “instrumental” or also

“integrational”?– At what age should learning begin?– What is the learning environment (Classroom only? Fam-

ily? Media? Community?)– What are the appropriate content and materials for the

learner?– What will be the assessment criteria? What kind of

exams?

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In linea con la classificazione di Kachru (cfr. Nota 8), Graddol(2006: 82-85) propone di raggruppare i modelli così intesi in duemacrocategorie:

a) EFL: in cui si tende a “[…] highlight the importance of learningabout the culture and society of native speakers; it stresses the cen-trality of methodology in discussions of effective learning; andemphasises the importance of emulating native speaker languagebehaviour” (p. 82). Viene altresì sottolineato come, in questo mo-dello, la lingua target sia sempre la lingua materna di qualcun altroe l’apprendente è come se fosse un “linguistic tourist” a cui è con-cesso di visitare ma senza diritto di residenza e a cui è richiesto dirispettare la superiore autorità dei parlanti nativi. Nonostantemolti e importanti passi in avanti siano stati compiuti nell’ambitodell’insegnamento EFL, soprattutto col passaggio da approcci dimatrice grammatico-traduttiva ad approcci comunicativi, e, più direcente, con la creazione e la diffusione del Quadro Comune Euro-peo di Riferimento per le Lingue, incentrato sul “saper fare” linguisti-co, non vi è dubbio che spesso i risultati dell’impiego di questomodello lascino ancora a desiderare.

b) ESL: sotto questa categoria si possono identificare due distinticontesti:• (post-)coloniale: sviluppatosi soprattutto nel XVIII e XIX sec-

olo, esso “arose from the needs of the British Empire to teachlocal people sufficient English to allow the administration oflarge areas of the world with a relatively small number ofBritish civil servants and troops” (p. 84). Prototipico di questasituazione è indubbiamente il caso dell’India in cui, all’iniziodel 1900 circa 70.000 britannici governavano su 300 milioni diindiani, dei quali non più del 5% conosceva l’inglese. La situa-zione linguistica in questa tipologia di paesi è ancora oggi per-lopiù complessa e il rapporto con l’inglese – che spesso rappre-senta oltre che, come altrove, la lingua della comunicazione in-ternazionale, anche, dato il forte e radicato multilinguismo chenormalmente li caratterizza, un importante strumento per lacomunicazione intra-nazionale – è di frequente contrastante edi difficile lettura. Quando alla varietà di inglese locale, cosìprodotta e fortemente influenzata dai dialetti o da altre linguepresenti nel repertorio della popolazione, si comincia ad attri-buire un senso di identità si possono generare i già accennatiNew Englishes, talvolta così lontani dallo stesso EIL da non ri-sultare comprensibili a parlanti di altre varietà, neppure native15.

15 A titolo esemplificativo di questo fenomeno riportiamo qui un interessante

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Dove ciò si verifica l’inglese standard resta, pertanto, preroga-tiva dei contesti formali e un ruolo fondamentale per la suatrasmissione lo gioca il mondo della scuola in cui esso vieneinsegnato.

• paesi anglofoni che attirano immigrazione non anglofona: svi-luppatosi a partire dalla fine del XIX secolo e, di fatto, ancorain corso, per cui generazioni di immigrati dovettero essere as-similate e dotate di una nuova “identità” linguistica e cultura-le, dando vita al cosiddetto modello didattico dell’English forspeakers of other languages (ESOL). Col passere del tempo puòaccadere che diverse generazioni, anche all’interno della stessafamiglia, parlino varietà diverse di inglese e i più giovani (e piùlinguisticamente competenti, perché nati e cresciuti nel paese)fungano da interpreti per i più anziani.

A ben guardare, né il modello EFL né quello ESL sembrano oggirispondere adeguatamente alle esigenze dettate da una situazione diinglese lingua globale. A tal fine Graddol (2006: 85-91) suggerisceche possano essere individuati almeno tre modelli che meglio soddi-sfano tali necessità:

• Content and Language Integrated Learning (CLIL): insegnamentoveicolare della lingua. Dato che di questo tema si occupa specifi-camente il capitolo 14, cui rimandiamo per approfondimenti, quici limiteremo a sottolinearne due aspetti: a. in senso lato, l’obiet-tivo del CLIL potrebbe essere interpretato come quello di crearein un contesto LS una situazione quanto più simile possibile aquella di un contesto L2; b. la stretta relazione che esiste tra l’in-segnamento CLIL e il cosiddetto English for special/specific purposes,ossia, ciò a cui la glottodidattica italiana si riferisce normalmentecol termine “microlingua” (cfr. Balboni 2000).

• English as a Lingua Franca (ELF)16: poiché ormai la maggioranzadelle interazioni che avvengono in inglese non coinvolgono par-lanti nativi (cfr. Figura 2), è stato proposto che di ciò si dovrebbetener conto anche quando si insegna e si valuta la lingua.

aneddoto: “At a 1995 conference a young black South African delivered a paperentitled: ‘English? Yes. But English? Your English? Or mine?’, and he made itquite clear: ‘We’ are governing this country now, and we will decide what Eng-lish is acceptable. If ‘you’ don’t like our decisions you can leave the country quiteeasily. There are no lions at the Johannesburg International Airport, and an airticket to London is relatively cheap” (Webb 2002: 31).

16 Per una descrizione dettagliata del fenomeno dell’inglese come lingua franca, perle sue valenze culturali e identitarie e le implicazioni didattiche si veda ancheJenkins 2007.

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Figura 2. Percentuali di interazioni in inglese nel turismo tra parlanti nativi e non nativi (Graddol 2006: 29)

Allo scopo di descrivere quali siano le caratteristiche dell’inglesenon nativo è stato avviato un importante progetto denominatoVienna-Oxford International Corpus of English (VOICE) che vienecosì presentato nel sito dell’iniziativa:

In the early 21st century, English in the world finds itself inan “unstable equilibrium”: On the one hand, the majority ofthe world’s English users are not native speakers of the lan-guage, but use it as an additional language, as a convenientmeans for communicative interactions that cannot be con-ducted in their mother tongues. On the other hand, linguis-tic descriptions have as yet predominantly been focusing onEnglish as it is spoken and written by its native speakers. VOICE seeks to redress the balance by providing a sizeable,computer-readable corpus of English as it is spoken by thisnon-native speaking majority of users in different contexts.These speakers use English successfully on a daily basis allover the world, in their personal, professional or academiclives. We therefore see them primarily not as language learn-ers but as language users in their own right. It is thereforeclearly worth finding out just how they use the language. Thisis exactly what VOICE seeks to make possible. […] VOICE,the Vienna-Oxford International Corpus of English, is astructured collection of language data, the first computer-readable corpus capturing spoken ELF interactions of thiskind (http://www.univie.ac.at/voice/).

Le priorità di un tale modello sono evidentemente di tipo prag-matico e l’intelligibilità, come già accennato, è lo scopo principa-le. La lingua viene pertanto insegnata a prescindere dalla culturadei suoi parlanti nativi (cfr. capitolo 10). Sono poi i parlanti nonnativi a, per così dire, “imbere” l’inglese della propria cultura, coe-rentemente con quanto altrove abbiamo definito Paradosso dell’in-

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ternazionalizzazione della lingua17. Il rischio, sempre presente, è pe-rò quello che i confini della comprensibilità vengano valicati (adesempio perché, per favorire l’acquisizione si trascura l’insegna-mento di alcune pronunce ritenute troppo complesse) e che, co-me conseguenza, proprio l’efficacia comunicativa venga meno. Seciò dovesse accadere, anziché un Globish il risultato sarebbe, piùche altro un Glubbish (Globish + rubbish), ossia un miscuglio lin-guistico profondamente instabile e pressoché inutilizzabile.

• English for young learners (EYL): ormai da diversi decenni si assistein Europa, non solo ad un incremento del numero di anni in cuile lingue si insegnano, ma anche a un progressivo abbassamentodell’età a cui questo insegnamento inizia. Ovviamente la linguache la fa da padrone è l’inglese, a tal punto che oggi circa il 90%degli studenti delle scuole dell’obbligo di tutta Europa lo studia.La crescita maggiore ha riguardato la scuola primaria: dal 2003 al2005 in Germania il numero di bambini che si accostano allo stu-dio dell’inglese prima degli 11 anni è triplicato; in Bulgaria è rad-doppiato; mentre in Grecia, Italia e Portogallo è aumentato del20% (cfr Eurydice/Eurostat 2008). L’idea di un insegnamentotanto precoce (in Spagna e Italia esso inizia in forma obbligatoriagià rispettivamente a 3 e 6 anni, età tra le più basse in Europa) èquella di puntare a un qualche tipo di bilinguismo tra lingua ma-terna e inglese. Ciononostante i risultati spesso non sembranotroppo lusinghieri. Una delle cause di questo almeno parziale in-successo è, a nostro avviso, da individuare nel fatto che, nella mag-gior parte dei paesi europei, Italia compresa (cfr. capitoli 1 e 2) ainsegnarlo sono insegnanti generalisti che, in molti casi, non solonon hanno una adeguata formazione glottodidattica, ma spessoneppure linguistica in senso stretto18. Il problema più grave, è che“failure at this stage may be difficult to remedy later” (Graddol2006: 89).

17 Tale paradosso afferma che quando una lingua diventa “internazionale” essa de-ve pagare due prezzi: (a) la deculturizzazione (e la relativa denazionalizzazione):l’inglese è stato progressivamente spogliato della sua associazione col mondo an-glo-americano o comunque anglofono native speaker; (b) il cambiamento: la di-sappropriazione della lingua da parte dei parlanti nativi comporta anche una sem-pre maggiore variabilità linguistica che riguarda la pronuncia, il lessico, la mor-fosintassi, ecc. e dipende dagli effetti di sostrato delle lingue materne di chi loparla. Quante più persone parlano la lingua, quanto più essa si allontana, geogra-ficamente e culturalmente, dal centro che l’ha prodotta, tanto maggiore sarà lasua variabilità. Il suo status di lingua internazionale, la sua forza, potrebbe, in talcaso, diventarne la principale causa di indebolimento (Santipolo 2006: 28-30).

18 Per un’analisi aggiornata di che cosa avviene realmente nelle scuole primarie du-rante le ore di insegnamento dell’inglese si veda Balboni, Daloiso 2011. A dispet-

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I modelli ELF e EYL appena illustrati (e messi dettagliatamente aconfronto nella Tabella 2) possono, e, a nostro avviso, devono inte-grarsi tra loro e con il CLIL. Per far ciò riteniamo che il concettostesso di educazione linguistica e culturale dovrebbe essere ulterior-mente specificato con quello di educazione alla flessibilità linguistica eculturale (cfr. capitolo 10), in cui flessibilità si riferisce sia al sillabo(educando, cioè, tanto ai modelli native che a quelli non native, alme-no in termini ricettivi), sia al curricolo, in una sorta di vero e propriodinamico relativismo linguistico e glottodidattico.

to di una diffusa ancora non sufficiente preparazione a livello universitario deifuturi docenti di inglese di scuola primaria, alcuni progetti sono comunque sta-ti realizzati per far fronte allo stato delle cose. A tal fine si veda Santipolo 2011,dettagliata relazione di come un Progetto ministeriale di scambio tra Italia e In-ghilterra è stato condotto presso la facoltà di Scienze della Formazione dell’Uni-versità di Padova tra il 2007 e il 2011.

EYL ELF/Global English Target variety

Typically claims to use native speaker variety as target, but problems of teacher supply often makes this unrealistic

Focus on internationally intelligibility rather than a specific variety; carry-over of some L1 characteristics; expected to maintain national identity through English; need for receptive skills in a range of international varieties

Skills Young learners may not have L1 literacy skills, so emphasis is on speaking and listening. All skills including literacy; translation and interpretation

All skills including literacy; translation and interpretation skills often required; emphasis also on intercultural communication strategies

Teacher skills

Language proficient including good accent; also needs training in child development; may need security screening

Bilingual with subject knowledge and understanding of local exams; or may have wider pastoral role for developing study skills and student support

Learner motives

Young learners rarely have clear motive; they may just like the teacher

Usually instrumental

Starting age Kindergarten – Grade 3 Primary (5-9) Builds on foundation provided by EYL Primary purposes

To develop language awareness and prepare for higher levels of proficiency in later years

To get jobs in own country; to communicate with non-native speakers from other countries

Values All education at this age has strong moral and ideological components which usually reflect. local, rather than “Anglo-Saxon” values

Secondary materials may include global issues such as human rights, environment, poverty, gender inequality

Citizenship Content may reflect needs for national integration and unity; provide information about basic health, community values and so on

Growing notion of “global citizen”; English may be needed to function in some areas of national life; Plays role in “European citizenship”

Learning environment

Often informal in kindergarten, pre-school or primary classroom. Affective factors are important

Classroom is a key context but is insufficient. Private sector and home tutoring often play a role

Content/ materials

Activity-based, play, songs, games Content often relates to another curriculum area in CLIL style approach

Assessment Usually local testing or informal assessment, though international exams are available

Existing exams often not appropriate; assessment often via assessment of ability to carry out tasks in English or by assessing knowledge taught through English

Failure pattern

Often successful in developing basic oral skills but if badly done can deter child from language learning

“Mission critical” process where broader education or employment is dependent on actual skills (rather than token certification)

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Tabella 2. Principali caratteristiche dei modelli di insegnamento EYL e Global English (adattata da Graddol 2006: 91)

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Le competenze del docente di lingua inglese e lo scopo di questo volume

Da quanto fin qui illustrato emerge dunque come il docente di lin-gua debba possedere competenze relative a moltissimi ed eterogeneiambiti disciplinari che potremmo, in sintesi, così elencare:

a. linguistici, metalinguistici e sociolinguistici;b culturali ed interculturali;c neuro- e psicolinguistici;d. pedagogici.

Solo dall’interazione tra questi ed altri ambiti scaturisce la com-petenza glottodidattica necessaria per educare efficacemente alla lin-gua e alla cultura.

L’obiettivo di questo volume è dunque quello di fornire indica-zioni riguardo a molte delle tematiche sopracitate, avvalendosi deicontributi dei maggiori esperti italiani per ciascuna di esse. Alcunidegli autori dei saggi qui contenuti sono, infatti, tra i più affermati enoti docenti di didattica delle lingue nelle Università italiane chehanno, letteralmente, gettato le basi e definito i domini e gli ambitidella ricerca della disciplina a livello nazionale e internazionale; altrisono invece giovani, ma tra i più preparati e competenti, studiosi inmateria. Ognuno di loro affronta la complessità della questione dauna prospettiva e con una personalità differenti, ma, ci pare che il ri-sultato finale si caratterizzi per una grande omogeneità ed uniformi-tà di intenti.

In questo quadro generale, i primi due contributi tracciano unprofilo storico, politico e legislativo relativo all’insegnamento dell’in-glese nella scuola primaria italiana.

In particolare, nel capitolo 1 Paolo E. Balboni dell’Università Ca’Foscari Venezia delinea una storia dell’insegnamento delle linguestraniere nella scuola elementare, mettendo in luce come esso sia ca-ratterizzato da due versanti antitetici: quello positivo riguarda il mo-do in cui attraverso alcune fondamentali sperimentazioni su vasta sca-la si sia giunti, nel 1985, alla riforma della scuola che introdusse le lin-gue straniere; quello negativo mostra come demagogia ed incompe-tenza possano rischiare di affossare, dopo oltre vent’anni di consoli-data esperienza, l’esperienza italiana, con indicazioni programmatichescritte da incompetenti e l’insegnamento nelle classi affidato ad inse-gnanti che si vogliono incompetenti.

Strettamente connesso al precedente, il secondo capitolo, dovutoa Maria Cecilia Luise (Università di Firenze), ripercorre le principa-li tappe che hanno portato, dopo anni di sperimentazioni e di pro-getti-pilota, all’inserimento delle lingue straniere come materia cur-

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ricolare nella scuola primaria. Il percorso si svolge attraverso l’analisidelle leggi, dei decreti e delle altre norme che hanno regolamentatoquesta disciplina scolastica e attraverso alcuni approfondimenti sugliaspetti organizzativi e didattici che hanno caratterizzato e caratteriz-zano oggi l’insegnamento della LS ai bambini della scuola primaria.

I successivi quattro capitoli costituiscono nel loro insieme una se-zione dedicata, da varie prospettive, alla dimensione neuro- e psico-linguistica nell’acquisizione precoce delle lingue e in particolare del-l’inglese.

Nel capitolo 3, Michele Daloiso (Università Ca’ Foscari Venezia)propone alcune riflessioni teorico-metodologiche per la didatticadell’inglese nella scuola dell’infanzia e primaria sulla base dei risulta-ti delle più recenti ricerche neuropsicologiche sull’acquisizione lin-guistica in tenera età. La prima parte del contributo delinea alcuniconcetti-chiave desunti dalle neuroscienze evolutive applicate allosviluppo linguistico (periodi critici per l’acquisizione delle lingue,principi regolatori del cervello bilingue, specificità neuropsicologichedei bambini in età scolare), correlandoli ad alcuni fenomeni tipicidell’acquisizione linguistica tra i 3 e i 10 anni. Nella seconda parte,invece, si traggono alcune implicazioni glottodidattiche relative allaprogrammazione educativa e alla pratica didattica, delineando le ca-ratteristiche metodologiche generali che dovrebbe assumere la didat-tica dell’inglese nel ciclo prescolare e primario.

Il quarto capitolo di Patrizia Mazzotta (Università di Bari) si fo-calizza sulle variabili psico-affettive nell’insegnamento dell’inglesenella scuola primaria e nella scuola dell’infanzia. In particolare, dopoun excursus sulle principali teorie di riferimento, il contributo si fo-calizza sulle differenze cognitive tra le diverse fasce di età interessate,sull’importanza della motivazione e sulle diverse variabili della perso-nalità degli apprendenti e sul modo in cui possono influenzare il pro-cesso di acquisizione della lingua. Il capitolo si chiude con alcuni in-teressanti suggerimenti didattici correlati agli aspetti psico-affettivi il-lustrati.

Paolo Torresan (Santa Monica College, California, Stati Uniti) nelsuccessivo contributo illustra la teoria delle intelligenze multiple, al-l’interno di un’ampia visione “ecologica” o “neurocompatibile” degliinterventi educativi. Sulla scorta della complessità che contraddistin-gue la comunicazione umana, presenta una serie di attività di cui ildocente di inglese si può servire per insegnare la lingua nel rispettodelle differenze individuali. Ad arricchire il saggio vi è inoltre un’ap-pendice di esempi concreti.

In un’analisi di questo tipo non poteva mancare un’attenta rifles-sione al contributo della linguistica acquisizionale nella didattica del-l’inglese nella scuola primaria. Se ne fa carico Camilla Bettoni del-

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l’Università di Verona. Constatato che alla fine del ciclo primario lamessa in grammatica del lessico da parte degli alunni è spesso mini-ma o nulla, si vuole suggerire un rimedio. La linguistica acquisizio-nale dimostra come la combinazione (a) di un sillabo grammaticalefondato scientificamente su una solida teoria formale e (b) di un ap-proccio didattico che includa momenti sistematici di focalizzazionesulla forma possa ottenere in poche settimane risultati acquisizionalinon ottenuti in anni di insegnamento impartito oggi in Italia allascuola primaria. Basta scegliere le strutture giuste al momento giusto,ovvero quelle di volta in volta apprendibili, e di insegnarle una pervolta in modo giusto, ovvero in contesti di uso comunicativo dellalingua target.

Nella definizione dei contenuti da offrire agli allievi un ruolo de-terminante lo gioca necessariamente il portfolio. Nel capitolo 7 Flo-ra Sisti (Università di Urbino “Carlo Bo”) riflette sul’acceso dibatti-to sul Portfolio Individuale delle Competenze (PIC), introdotto dalD. L. n. 59 del 2004 e successive linee guida (C. M. n. 84 del 2005),e che si è ora in parte placato, mentre il nuovo strumento di valuta-zione, introdotto con la riforma Moratti, non sembra aver avuto lastessa fortuna del più celebre Portfolio Europeo delle Lingue (PEL).In questo saggio si mettono dunque a confronto i due portfolii e, conriferimento all’esperienza condotta dal gruppo LI ReMar, si presen-tano le caratteristiche di un portfolio elettronico ideato per gli alun-ni della scuola dell’infanzia: un “portfolio parlante”.

I capitoli 8 e 9 si concentrano su aspetti di natura più operativa.In particolare nel primo dei due, Luciana Favaro (Università Ca’ Fo-scari Venezia) offre al lettore una panoramica delle tecniche glottodi-dattiche utilizzabili in età prescolare e scolare. Per quanto riguarda lascuola dell’infanzia, la descrizione delle tecniche viene preceduta daalcune considerazioni sull’approccio comunicativo-formativo e sullametodologia esperienziale, da intendersi come efficace base di pro-grammazione dell’attività glottodidattica e di integrazione della LSnel contesto scolastico di riferimento. Ogni tecnica viene descrittanei suoi aspetti essenziali, segnalando relative strategie d’utilizzo,eventuali punti di criticità e fornendo successivamente un esempio diapplicazione.

Nel nono capitolo, invece, Silvia Drago (Università di Padova)dapprima lancia uno sguardo sintetico ad alcuni elementi teoricicoinvolti nell’insegnamento della lingua inglese come lingua stranie-ra, mentre nella seconda parte vuole offrire delle idee pratiche in pro-spettiva ludica per la foreign language classroom.

Il capitolo 10 (Matteo Santipolo), affronta la questione della di-dattica della dimensione culturale di una lingua come quella ingleseche in realtà veicola una realtà tutt’altro che uniforme e omogenea.

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Dopo una descrizione generale del rapporto tra lingua e cultura el’introduzione e la definizione del concetto di intelligenza culturale,viene analizzato il valore educativo dell’insegnamento della culturache sta alla base della lingua inglese sia come ENL sia come ESL, EFLe ELF. Nella parte finale del contributo vengono altresì fornite alcu-ne considerazioni metdologiche derivanti dall’adozione del concettodi intelligenza culturale.

Il capitolo seguente, dovuto a Luciano Canepari e Maria AssuntaSimionato (entrambi dell’Università Ca’ Foscari Venezia) affrontaun’altra tematica piuttosto complessa, ma di estrema importanza. Èinfatti risaputo che l’insegnamento delle lingue, specie in età preco-ce, dovrebbe puntare in primis sull’oralità e quindi grande spazio do-vrebbe essere dedicato alla pronuncia. Per molte ragioni (spesso lega-te alla scarsa preparazione in materia da parte dei docenti), ciò sap-piamo non accadere. Questo contributo tenta di porre rimedio allasituazione e per far ciò delinea nella I parte le caratteristiche essen-ziali della pronuncia inglese mentre nella II parte traccia brevementele linee principali del ruolo della pronuncia nella didattica anche inriferimento al Quadro Comune Europeo, presentando successiva-mente alcune tecniche didattiche attuabili nella scuola primaria.

I capitoli dal dodicesimo al quindicesimo sono dedicati a partico-lari metodologie oggi impiegate nella didattica dell’inglese.

In particolare il capitolo 12, di cui è autrice Verusca Costenaro(Università di Padova) si propone di analizzare la pratica didattica del-lo storytelling in una nuova prospettiva, che ne evidenzia la proprietà“linguistico-evolutiva”, ossia la capacità di favorire l’acquisizione del-l’inglese LS secondo le tappe tipiche di acquisizione dell’inglese L1.Il contesto scolastico di riferimento è la classe di lingua inglese nellescuole primarie italiane. In particolare, viene esaminata la tipologia distorytelling definita “storytelling linguistico-acquisizionale”, strumentoche permette all’insegnante di esporre gli alunni a racconti in cui leforme linguistiche impiegate seguono il percorso tipico di acquisi-zione dell’inglese come L1, e sono al tempo stesso adattate al conte-sto di acquisizione di una LS. Nel corso del contributo vengono for-niti esempi tratti da un racconto per bambini in lingua originale: The-re’s an Alligator under My Bed di Mercer Meyer. Vengono inoltre pro-poste attività didattiche ludiche che permettano ai discenti di com-prendere, utilizzare, fissare e reimpiegare le forme e regole linguisti-che introdotte induttivamente durante lo storytelling. Nel corso delladiscussione, verranno forniti alcuni suggerimenti per l’impiego dellostorytelling linguistico-acquisizionale anche nelle scuole dell’infanzia.

Uno degli aspetti sui quali da sempre punta l’insegnamento del-l’inglese in età precoce è rappresentato dal lessico. Non sempre, tut-tavia, le metodologie impiegate per insegnarlo sono efficaci e il vo-

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cabolario rischia di ridursi a meri elenchi di parole. Gianfranco Por-celli (Presidente, Associazione Nazionale degli Insegnanti di LingueStraniere – già ordinario di Didattica delle Lingue Moderne, Glotto-didattica e Linguistica Inglese presso le Università Cattoliche di Mi-lano e di Brescia) nel capitolo 13, illustra dunque il Lexical Approachche ha aperto nuove prospettive nell’educazione linguistica – non so-lo nella didattica delle lingue moderne “altre”. Per il suo valore, è unaproposta da recepire fattivamente nel panorama educativo e didatti-co della scuola primaria italiana. Qui ne vengono delineati i tratti es-senziali e tre possibili percorsi applicativi nella scuola primaria, rife-riti all’insegnamento della lingua inglese.

Forse il metodo più in voga negli ultimi anni nella didattica del-le lingue in Italia è costituito dal Content and Language Integrated Le-arning o CLIL. Graziano Serragiotto (Università Ca’ Foscari Venezia),nel capitolo 14, ne propone una versione per la scuola dell’infanzia ela scuola primaria. Vengono considerati i protagonisti, gli ambiti di-sciplinari, la progettazione, la realizzazione e la valutazione di percor-si, proponendo anche una riflessione critica rispetto ad altre situazio-ni di implementazione della metodologia CLIL.

Anche la traduzione, la sua efficacia e utilità è da molti decennioggetto di accesa discussione tra chi si occupa di didattica delle lin-gue, con numerosi sostenitori e oppositori. Nel loro contributo, checostituisce il quindicesimo capitolo del volume, Emilia Di Martino eBruna Di Sabato, entrambe dell’Università Suor Orsola Benincasa diNapoli, cercano di esplorarne l’uso nell’ambito della scuola primariaattraverso l’analisi dei dati raccolti nel corso di una ricerca sul campoche ha coinvolto nove insegnanti di una piccola ma complessa areadella provincia di Napoli. Ciò che tenteremo di dimostrare, median-te il riferimento a documenti “autorevoli” da una parte, e all’espe-rienza di chi vive giorno per giorno la realtà della scuola dall’altra, èche la traduzione, lungi dall’essere attività isolata e specifica della lin-gua straniera, è invece modalità didattica e di studio che caratterizzatutta l’educazione linguistica (e non solo quella): essa ha una forte va-lenza educativa trasversale e si offre come suggestiva immagine delruolo del docente.

Il capitolo 16 si occupa di una problematica di interesse semprecrescente nella scuola italiana di oggi: l’insegnamento dell’inglese agliallievi stranieri il cui numero, come è noto, è in costante crescita. Leautrici Serena Ambroso e Lucilla Lopriore dell’Università Roma Trepresentano i primi risultati di una ricerca sul campo svolta con la col-laborazione di un campione di insegnanti di inglese operanti in clas-si della scuola primaria in cui rilevante è la presenza di allievi non ita-lofoni. I dati provengono da due diverse fonti: quelli quantitativi, daipiù recenti documenti ministeriali e quelli qualitativi da un questio-

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nario allo scopo realizzato. Vengono discussi i numerosi aspetti cheinteragiscono nella composita realtà della scuola primaria e vengonopresentati in dettaglio, riportandoli ad alcuni degli studi teorici nelcampo dell’apprendimento delle lingue straniere anche in contesto diemigrazione, i dati relativi al ruolo positivo che questi allievi sembra-no assumere nella classe e nel percorso di apprendimento della linguainglese.

Il volume si chiude con un contributo di Alberta Novello (Uni-versità di Padova e Università Ca’ Foscari Venezia) che riflette su unaltro importante tema, quello della valutazione, allargando la riflessio-ne anche alle certificazioni linguistiche sempre più in voga oggi. Lavalutazione e la certificazione, infatti, sono temi centrali nell’appren-dimento di una lingua straniera, spesso però trascurati dai protagoni-sti del processo di insegnamento. Il saggio vuole mettere in lucel’aspetto basilare della valutazione nei giovani apprendenti di linguae informare sul nuovo strumento delle certificazioni di inglese perbambini. Viene perciò posto l’accento sulle caratteristiche generali delprocesso valutativo in relazione ai bambini della scuola primaria eviene descritto lo scopo della certificazione, analizzandone il conte-sto di riferimento e l’offerta attuale.

La convinzione di fondo, che sottende tutti i contributi, è comun-que che l’educazione linguistica precoce sia la migliore strategia performare individui plurilingui e quindi dotati di più risorse per auto-promuoversi e socializzare su una scala planetaria, per il superamen-to dell’ego- e dell’etno-centrismo culturale. Ciò, tuttavia, può avve-nire solo a patto che gli approcci, i metodi, le tecniche e i modelli,sia linguistici sia culturali, che vengono proposti siano quanto più ric-chi e ampi possibili e che quindi i docenti di lingue continuino a for-marsi ben oltre il completamente del percorso di studi.

Sosteneva il linguista e filosofo tedesco Wilhelm von Humboldt(1767-1835): “Non si possono insegnare le lingue, si possono solocreare le condizioni affinché vengano apprese”. Gli studi più recenti,condotti soprattutto durante la seconda metà del XX secolo, hannodimostrato empiricamente la correttezza del pensiero del grande stu-dioso. Ecco pertanto che educare alla lingua, e in particolare a quel-la inglese, fin dalla tenera età costituisce la base per l’auspicato Lan-guage Lifelong Learning che, dal punto di vista del docente, può essereconseguito solo attraverso un Language and Language Teaching LifelongLearning.

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