Economia e società nel basso Medioevo, in La Nostra Storia. Lezioni sulla Storia di Sansepolcro...

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La Nostra Storia LEZIONI SULLA STORIA DI SANSEPOLCRO Antichità e Medioevo a cura di Andrea Czortek Associazione Pro Loco “Vivere a Borgo Sansepolcro” Associazione Storica dell’Alta Valle del Tevere - Centro Studi sul Quaternario onlus Università dell’Età Libera “Città di Sansepolcro” Istituzione Culturale Museo Biblioteca Archivi della Città di Sansepolcro Museo e Biblioteca della Resistenza di Sansepolcro Società Rionale Porta Romana - Circolo delle Civiche Stanze

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La Nostra StoriaLEZIONI SULLA STORIA DI SANSEPOLCRO

Antichità e Medioevo

a cura di Andrea Czortek

Associazione Pro Loco “Vivere a Borgo Sansepolcro”Associazione Storica dell’Alta Valle del Tevere - Centro Studi sul Quaternario onlus

Università dell’Età Libera “Città di Sansepolcro”Istituzione Culturale Museo Biblioteca Archivi della Città di Sansepolcro

Museo e Biblioteca della Resistenza di SansepolcroSocietà Rionale Porta Romana - Circolo delle Civiche Stanze

La Nostra StoriaLEZIONI SULLA STORIA DI SANSEPOLCRO

(Novembre/Dicembre 2009 - Aprile/Maggio 2010)

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Antichità e Medioevo

a cura di Andrea Czortek

Editore Gruppo Grafi consul

FRANCO FRANCESCHI

ECONOMIA E SOCIETÀ NEL TARDO MEDIOEVO

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FRANCO FRANCESCHI

ECONOMIA E SOCIETÀ NEL TARDO MEDIOEVO

«Sebbene gli uomini della città del Borgo San Sepolcro hanno travagliato continuamente nelle guerre, e inimicizie domestiche, nulla di meno non è mancato chi abbia atteso, e dentro e fuori d’affaticarsi di guadagnare qualche cosa per il sostentamento delle loro persone, e il tutto per volontà di Dio, esercitandosi nella lana gl’uomini e nel cotone, o bambagia le donne, fabbricandosi panni di lana buonissimi e fi ni, e in particolare monachini di tutto paragone, e le donne fi lando e tessendo tele di bambagia […] delle quali forniscesi bona parte dell’Italia» (A. GORACCI, Breve historia dell’origine e fondazione della città del Borgo a San Sepolcro, 1636).

Nel panorama degli studi recenti sui centri minori della Toscana, ai quali si deve la revisione di molti luoghi comuni storiografi ci e un approccio innovativo sia ai temi di carattere politico-istituzionale che a quelli di natura socio-economica o culturale, anche Borgo San Sepolcro, Comune «semiurbano» per eccellenza1, ha ricevuto una certa attenzione. Nonostante queste ricerche, legate soprattutto ai nomi di James Banker e Gian Paolo Scharf, di Andrea Czortek, Giuliano Pinto, Bruno Dini e Giovanni Cherubini, di Franco Polcri, Andrea Barlucchi e Francesco Salvestrini, la dimensione economica della storia di Sansepolcro non è stata ancora oggetto di una trattazione di respiro generale. Come ha osservato Gian Paolo Scharf, «probabilmente la diffi coltà di utilizzo della fonte principale, il notarile, ha fi nora scoraggiato tentativi di sintesi e si è perciò preferito mettere in rilievo determinati aspetti dell’argomento, come la produzione di guado e il ruolo di mercato non solo locale»2.

A colmare questa lacuna, naturalmente, non saranno le pagine che seguono, per di più scritte da un non-specialista della storia di quest’area. Il mio contributo

1 A. CZORTEK, Alle origini del comune di Sansepolcro, in «Proposte e ricerche», 36, 1996, p. 19.2 G.P.G. SCHARF, Fiscalità pubblica e fi nanza privata: il potere economico in un comune soggetto (Borgo San Sepolcro 1415-1465, on line sul sito http://www.dspu.it/images/scharf/scharf_saggio.htm, par. 10. Una versione ridotta del contributo è stata pubblicata in Prestito, credito, fi nanza in età basso-medievale, «Quaderni/Cahiers del Centro Studi sui Lombardi, sul credito e sulla banca», 1/1, 2007, pp. 67-112.

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può aspirare a essere solo una panoramica provvisoria (e cronologicamente circoscritta al secolo e mezzo compreso fra l’inizio del Trecento e il momento della sottomissione di Sansepolcro a Firenze), che mi auguro possa almeno illuminare i nuclei fondamentali di un discorso ancora in buona parte da approfondire e precisare.

QUALCHE TRATTO DISTINTIVO

L’aspetto demografi co è quello che per primo colpisce lo storico dell’economia e della società. Secondo James Banker, che ha fornito uno schizzo dell’evoluzione della popolazione biturgense fra XIII e XVII secolo, Sansepolcro contava circa 3.000 abitanti nel 1200 e 5.000 verso il 1340, data considerata come il momento del suo apogeo demografi co medievale. Circa un secolo più tardi la popolazione era scesa a 4.397 unità, per poi risalire a 6.211 nel 15513. A sorprendere non sono tanto i dati trecenteschi, che collocano il Borgo sui livelli demici di centri come Grosseto e San Miniato e subito sotto quelli di Montalcino e Montepulciano al momento della loro massima espansione4, quanto la cifra quattrocentesca. Si tratta, come è noto, di un dato proveniente da un foglietto sciolto nel quale è indicato il numero complessivo delle bocche del Borgo e del suo distretto in vista dell’imposizione della tassa del sale: 4.397 anime nel primo caso – come abbiamo detto – e 1.379 nel secondo5. Per la verità sulla esatta datazione del documento non ci sono certezze, visto che Banker lo ascrive agli anni Quaranta del Quattrocento e Scharf agli anni 1420-21, ovvero prima della grave epidemia del 14256; la sostanza, tuttavia, è che in un’epoca unanimemente riconosciuta come di crisi, o nella migliore delle ipotesi di stagnazione demografi ca legata ai continui assalti delle epidemie, la comunità sembra avere sostanzialmente mantenuto la popolazione del periodo precedente la Peste Nera. Questo andamento può essere spiegato solo in due modi: o l’entità delle perdite conseguenti all’innescarsi del ciclo epidemico fu singolarmente modesta, oppure – e neanche questa è un’ipotesi da scartare in blocco – il recupero fu molto più rapido che nel resto

3 J. BANKER, Death in the Community. Memorialization and Confraternities in an Italian Commune in the Late Middle Ages, Athens (Georgia)-Londra 1988, tab. I.I, p. 34.4 Per questi dati cfr. M. GINATEMPO - L. SANDRI, L’Italia delle città. Il popolamento urbano tra Medioevo e Rinascimento. Secoli XIII-XVI, Firenze 1990, p. 148.5 G.P.G. SCHARF, Borgo San Sepolcro a metà del Quattrocento. Istituzioni e società 1440-1460, Firenze 2003, p. 42.6 BANKER, Death in the Community cit. p. 33; SCHARF, Borgo San Sepolcro a metà del Quattrocento cit., pp. 43-47.

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della Toscana. Se guardiamo al panorama regionale, infatti, troviamo una realtà ben diversa: dalla bella cifra di 1.300.000 anime circa, che rappresentavano il totale della popolazione all’inizio del Trecento, la Toscana vide scendere i suoi abitanti a non più di 420.000-430.000 negli anni Venti del Quattrocento. La perdita fu quindi di oltre due terzi7: un cataclisma immane, aggravato dal fatto che solo nella seconda metà del secolo si registrarono apprezzabili segni di ripresa8. Eppure nella prima metà del Quattrocento Sansepolcro era popolata come Arezzo e Pistoia, che cent’anni prima contavano il doppio o il triplo dei suoi abitanti, superava nettamente Prato, Volterra, Massa Marittima e Cortona, surclassava Colle Valdelsa, Montepulciano, Montalcino e San Miniato9. Neppure nel resto dell’Italia centrale si registrano molti casi di un andamento demografi co comparabile, se non forse quello della vicina Città di Castello e in una certa misura di Perugia10.

Un secondo tratto distintivo di Sansepolcro era la sua ubicazione geografi ca. Posto nell’Alta Valtiberina, ossia nell’area di sutura fra Romagna, Toscana, Marche e Umbria, il Borgo costituiva un luogo di transito obbligato per i traffi ci che mettevano in comunicazione i porti dell’Adriatico compresi fra Rimini e Ancona con i centri manifatturieri e i mercati del bacino dell’Arno. L’abitato rappresentava infatti il punto di riferimento obbligato a oriente di Arezzo, e prima di valicare l’Appennino, per gli uomini d’affari toscani interessati agli scambi con il versante adriatico così come per i mulattieri che organizzavano i trasporti. In Valtiberina, dopo aver superato il crinale appenninico, passava anche una strada importante proveniente da Cesena, che proseguiva per Città di Castello, Perugia, le valli umbre e quindi Roma. Inoltre Sansepolcro era la prima tappa nel viaggio delle greggi che dalle pendici montane si spostavano verso la Maremma (o l’ultima al ritorno)11. Come per altri centri di confi ne, la posizione ‘periferica’ del Borgo rispetto ai grandi centri urbani e la sua collocazione lungo i corridoi di traffi co appenninico e adriatico, infi ne, rendevano più facile lo sviluppo del contrabbando12.

7 G. PINTO, Campagne e paesaggi toscani del Medioevo, Firenze 2002, pp. 58-62.8 GINATEMPO - SANDRI, L’Italia delle città cit., p. 111.9 Ivi, p. 148.10 Ivi, soprattutto la Tabella alle pp. 148-149.11 Cfr. G. PINTO, Borgo San Sepolcro: un centro minore alla periferia della Toscana, ora in G. PINTO, Città e spazi economici nell’Italia comunale, Bologna 1996, pp. 229-230; S. ANSELMI, La presenza ma-latestiana a Sansepolcro: aspetti economici, 1372-1428, in «Proposte e Ricerche», 20, 1988, pp. 73-75.12 S. R. EPSTEIN, Stato territoriale ed economia regionale nella Toscana del Quattrocento, in La Toscana al tempo di Lorenzo il Magnifi co. Politica Economia Cultura Arte. Atti del convegno (Firenze-Siena-

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Un’ultima caratteristica da sottolineare si identifi ca con la storia politica della comunità biturgense, che fu notoriamente molto agitata. Infatti, dopo una fase di progresso dell’istituzione comunale coincidente soprattutto con il XIII secolo, il Trecento vide il susseguirsi delle signorie straniere: nel 1301 fu la volta di Uguccione della Faggiola, nel 1318 dei Tarlati e fra il 1335 e il 1351 di Perugia; arrivarono quindi il breve interludio visconteo, l’assoggettamento a Città di Castello e la sottomissione al pontefi ce, che dal 1371 concesse il vicariato sul Borgo ai Malatesta di Rimini. Dopo l’estinzione della linea legittima della dinastia malatestiana Sansepolcro tornò nelle mani del papa e infi ne, nel 1441, fu inglobata nello Stato fi orentino. Eppure la società del Borgo riuscì «a trovare spazi di crescita, di prosperità e di autonomia relativa fra signori, condottieri e vicari pontifi ci»13. Come ha notato Francesco Salvestrini, le dominazioni politiche susseguitesi, invece di costituire degli elementi di freno o di disgregazione del tessuto economico, rappresentarono occasioni di sviluppo, in quanto permisero di allargare le produzioni e di sfruttare circuiti commerciali sempre nuovi14.

GRANO, BESTIAME E CAMPI DI GUADO

Nel 1458, dinanzi alla Signoria di Firenze, gli «ambasciadori della terra del Borgho a San Sepolcro» affermarono che la «terra […] predetta le più volte s’è governata et governa chon exercitio et industria d’arti et mercatantia»15. Per quanto certamente legata all’occasione in cui fu pronunciata, ovvero la richiesta di esenzioni doganali per il commercio di semilavorati e altri beni fra il distretto biturgense e il Vicariato di Anghiari, la dichiarazione rifl etteva, almeno parzialmente, anche la percezione che della realtà economica avevano gli uomini del Borgo.

Indubbiamente la struttura produttiva di Sansepolcro mostrava una notevole articolazione. In un’ideale panoramica delle attività svolte credo sia corretto partire innanzitutto da quelle derivanti dalla trasformazione dei prodotti della terra: infatti, sebbene le autorità locali ritenessero la comunità «povera di rendita

Pisa 1992), III, Pisa 1996, p. 886.13 G. CHITTOLINI, Prefazione, in SCHARF, Borgo San Sepolcro alla metà del Quattrocento cit., p. 1.14 F. SALVESTRINI, Proprietà fondiaria e gerarchie sociali a Borgo San Sepolcro fra XV e XVI secolo. Dalle fonti fi scali dello Stato Fiorentino, in «Archivio storico italiano», 162, 2004, p. 81.15 Firenze, Archivio di Stato [d’ora in avanti ASF], Dogana di Firenze. Dogana antica e Campioni, 373, c. 240r.

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perché à picholo contado»16, agricoltura e allevamento rappresentavano un tratto marcante dell’economia biturgense e più in generale dell’Alta Valtiberina. In questa prospettiva non bisogna sottovalutare il ruolo del territorio che il Comune controllava. Il distretto del Borgo, che pure non raggiungeva i cento chilometri quadrati ed era quindi più limitato della maggioranza dei territori sottoposti agli altri centri minori della Toscana, era però densamente popolato, contando una ventina di ‘ville’,17 e assai sfruttato sotto il profi lo agrario, soprattutto grazie agli investimenti degli stessi Borghesi. Una fonte abbastanza tarda per il nostro discorso, ma essenziale qual è l’estimo del 1461, mostra che la ricchezza fondiaria complessiva della comunità si attestava sui 5.000 fi orini di coeffi ciente catastale, somma che corrispondeva in teoria a un valore effettivo della terra di 160.000 fi orini. Questa cifra globale era il risultato di differenze sensibili: se, in generale, vigne, orti e campi «alberetati» valevano mediamente più delle altre terre, nell’ambito di una stessa tipologia gli scarti maggiori sembrano essere legati al grado di vicinanza delle unità fondiarie al centro abitato, poiché le stime più alte riguardavano le terre poste a ridosso delle mura18. Nell’insieme la proprietà era ancora piuttosto frazionata e dispersa, mentre la concentrazione di beni in un singolo luogo appariva – per usare le parole di Scharf – «più l’eredità di un passato signorile che il frutto cosciente di una riorganizzazione urbana, permeata di mentalità mercantile»: un’eredità testimoniata dalla relativa frequenza di castellari o palazzi sui fondi19. In questo quadro si spiega anche la scarsa diffusione della mezzadria, peraltro citata negli statuti del 1441, e la rarità dei poderi20, elementi che a quest’epoca caratterizzavano invece una larga parte delle campagne toscane, soprattutto il Fiorentino e il Senese. Un dato di rilievo è che i maggiori possessori di beni fondiari non si identifi cavano con le famiglie dell’élite economica del Borgo ma con le confraternite, la Fraternita di San Bartolomeo in testa, e con l’abbazia camaldolese di San Giovanni Evangelista21.

Dall’estimo emerge una notevole varietà colturale, con la presenza di terre

16 Ibid.17 G.P.G. SCHARF - E. MATTESINI, Cultura e società nella Sansepolcro del Quattrocento: Bartolomeo di Nardo Foni e la sua portata catastale, in «Contributi di Filologia dell’Italia Mediana», 13, 1999, p. 7.18 SCHARF, Fiscalità pubblica e fi nanza privata cit., par. 12.19 Ibid.20 SALVESTRINI, Proprietà fondiaria e gerarchie sociali, pp. 100-101. Di diverso avviso è Franco Polcri, secondo il quale «la mezzadria risulta diffusa» già a metà del Quattrocento: F. POLCRI, Dalla contabilità di una piccola azienda agraria della Valtiberina, secoli XV-XVI, in «Proposte e ricerche», 25, 1990, pp. 145-146.21 SALVESTRINI, Proprietà fondiaria e gerarchie sociali cit., pp. 90-92.

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defi nite «lavorative», almeno in una certa misura destinate alla coltivazione del guado, soprattutto quelle più vicine al Tevere, arative, più propriamente riservate ai cereali, e vignate; ma anche di vigne vere e proprie e di orti, oltre che naturalmente di una percentuale non piccola di incolti composti da sodaglie, selve e boschi, in particolare di cerri e salici, le due specie arboree maggiormente diffuse nella Valtiberina medievale22. Su questi terreni, come pure sulle terre comuni che l’amministrazione biturgense metteva a disposizione dei privati dietro il pagamento di un canone simbolico23, trovava spazio l’allevamento, innanzitutto di bestiame brado ovino e porcino; ma le mandrie sconfi navano non di rado nei campi coltivati a cereali, danneggiando i raccolti e provocando confl itti tra allevatori e coltivatori di cui si ha notizia soprattutto nei primi anni della dominazione fi orentina24.

Nella documentazione d’archivio sono frequenti i riferimenti alla presenza di impianti di trasformazione dei prodotti agricoli, e in primo luogo ai mulini. Negli anni Trenta del Trecento il Comune ne possedeva almeno cinque, quattro dei quali situati lungo la fossa che circondava le mura (collegata ad alcuni torrenti affl uenti del Tevere): uno sorgeva presso la porta San Niccolò (o Romana), un secondo vicino alla porta della Pieve (o Fiorentina), un terzo «ad cantone Ricci», un quarto – detto il Mulino di Mezzo – fra porta San Niccolò e porta Santa Maria Nuova. Il quinto era invece situato lungo un torrente affl uente della fossa, «de subtus monasterii Sancti Leonis versus Burgum», e più precisamente «in via qua itur a porta Sancti Leonis […] ad monasterium predictum»25. Un secolo più tardi il quadro non era cambiato di molto, ma tra gli impianti che rifornivano il Borgo se ne registrava almeno un altro, posto sul torrente Afra, alle propaggini del distretto, in direzione dell’Umbria26. Naturalmente questo censimento è tutt’altro che completo, sia perché limitato ai mulini di proprietà pubblica, sia perché alle macine da cereali si aggiungevano quelle utilizzate per la macerazione delle foglie di guado. Tale, per esempio, era la ruota attiva presso il torrente Grillina, al centro di una struttura rurale di una certa importanza, forse un’antica curtis incastellata che nel 1461 apparteneva a ser Uguccio di Nofri

22 SCHARF, Fiscalità pubblica e fi nanza privata cit., par. 12.23 A. BARLUCCHI, Lo statuto quattrocentesco dell’Arte dei Carnaioli di Borgo Sansepolcro. Note sul commercio della carne alla fi ne del Medioevo, in «Archivio storico italiano», 155, 1997, p. 708.24 SCHARF - MATTESINI, Cultura e società nella Sansepolcro del Quattrocento cit., pp. 18-19.25 ASF, Notarile Antecosimiano, 6862 (Angiolo Fedeli), c. 116r-v (11 settembre 1336). Ringrazio An-drea Czortek per avere attirato la mia attenzione su questo registro, come pure sul 5834.26 SCHARF, Borgo San Sepolcro a metà del Quattrocento cit., pp. 163-164.

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di Francesco da Lussemburgo27; o «l’infrantoio dal guato» situato nella villa di Casaprati, sulle terre della Fraternita di San Bartolomeo e dell’abbazia di San Giovanni28. La raccolta delle foglie29 da cui si traeva il prezioso colorante in azzurro cominciava in maggio e doveva concludersi, secondo il dettato dello statuto municipale del 1441, entro il 15 ottobre. Era proibi to mischiare al guado radici, terra o erbe pa rassite per non compromettere la qualità del prodotto. Dopo la macerazione le foglie venivano ridotte in pasta da cui uscivano pani di forma e peso stabiliti attraverso una scodella-campione nelle mani di un regolatore di pesi del Comune; i pani erano quindi collocati in ambienti asciutti e ventilati defi niti «celle da guado»30 che sappiamo essere ubicati anche nel cuore del centro abitato31. È anche attestata la presenza di frantoi da olive, in particolare nella villa di San Pietro, collocata in una zona di oliveti, e di impianti per la produzione del vino32.

Un notevole rilievo rivestivano le attività collegate all’allevamento del bestiame, come dimostra l’esistenza a Sansepolcro di un’agguerrita Arte dei Carnaioli, che nel 1380 comprendeva 17 membri e 16 nel 145433: a guidarla erano i maggiori allevatori della valle, veri e propri imprenditori in grado di gestire il ciclo completo, dal produttore al consumatore34. La legislazione corporativa, come in altri casi conosciuti, affermava il principio che macellazione e vendita dovessero svolgersi in luoghi separati: così il macello si trovava «lungo le cerchie delle mura di fratri di Servi per fi no da Sancta Maria, sì che il fetore et puza non possa dare alla terra», mentre la beccheria si trovava «infra le due vie Chasseline

27 SCHARF, Fiscalità pubblica e fi nanza privata cit., par. 12.28 SALVESTRINI, Proprietà fondiaria e gerarchie sociali cit., p. 103.29 Veniva eseguita principalmente da donne, le «coglitrici di guado», che Giovanni Cherubini ha trovato citate fra i clienti di un albergo di Arezzo: G. CHERUBINI, La valle Tiberina toscana dal Medioevo al secondo Dopoguerra, ora in G. CHERUBINI, Fra Tevere e Arno. Valli, comunità, signori, Firenze 1992, p. 98 e nota 7.30 Cfr. POLCRI, Il guado nella Valtiberina del secolo XV, in Tessuti italiani al tempo di Piero della Fran-cesca. Catalogo della mostra (Sansepolcro 1992), Città di Castello 1992, pp. 32-35; F. POLCRI, Produ-zione e commercio del guado nella Valtiberina toscana nel ‘500 e nel ‘600, in «Proposte e ricerche», 28, 1992, pp. 27-29.31 «Una cella da guado» nei pressi del «cantone de’ Gratiani» fi gura nella divisione dei beni dei fi gli di Benedetto di Pietro della Francesca: E. BATTISTI, Piero della Francesca, nuova ed. riveduta e aggiornata con il coordinamento scientifi co di M. Dalai Emiliani, II, Milano 1992, pp. 625-626.32 SCHARF, Fiscalità pubblica e fi nanza privata cit., par. 12.33 J.R. BANKER, The Culture of San Sepolcro during the Youth of Piero della Francesca, Ann Arbor 2003, p. 55.34 BARLUCCHI, Lo statuto quattrocentesco dell’Arte dei Carnaioli cit., p. 708; SCHARF - MATTESINI, Cul-tura e società nella Sansepolcro del Quattrocento cit., p. 18.

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et Ghiuzeri et della torre al Pozzo»35. La macellazione, che doveva avvenire il giorno precedente a quello in cui la carne sarebbe stata messa in vendita, veniva effettuata in semplici stabula la cui porta doveva essere lasciata aperta per permettere a tutti, ma soprattutto agli uffi ciali del fi sco, di verifi care la regolarità delle operazioni36. Bisogna anche considerare che esisteva un doppio circuito di macellazione e commercio della carne: quello abituale, gestito dall’Arte in modo monopolistico, e quello occasionale, non regolamentato. A tale proposito sembra profi larsi una contraddizione tra lo statuto della Corporazione, che sanciva il divieto agli estranei di esercitare il mestiere anche saltuariamente, e la normativa cittadina del 1441, secondo la quale, invece, un privato poteva vendere carne propria al minuto senza essere obbligato ad alcun tributo. A complicare la situazione è documentato che i carnaioli venivano talvolta ingaggiati dai privati per macellare le loro bestie37.

Nella logica secondo cui tutte le parti degli animali dovevano essere sfruttate, tipica dell’epoca, all’attività dei macellai si affi ancava la lavorazione delle pelli e del cuoio. Il comparto, già discretamente sviluppato nei decenni centrali del Trecento, si irrobustì in età malatestiana, soprattutto nell’ultimo periodo della dominazione. Del 1378 è il primo statuto conosciuto dell’Arte dei Calzolai, che inquadrava l’intero settore (compresa la concia) e contava allora 31 iscritti38: fra loro non c’erano personaggi di particolare rilievo o destinati ad ascendere i gradini della scala sociale, con l’eccezione di Artino di Santi Pichi, i cui fi gli avrebbero svolto un ruolo di primo piano nella gestione delle fi nanze comunali, e di Piero di Benedetto di Francesco della Francesca, nonno del celebre artista. Nel secondo decennio del Quattrocento, al contrario, la matricola della Corporazione segnala anche la presenza di esponenti di famiglie comprese nell’élite del Borgo, come i Dotti, i Del Vita, i Paci, i Carsidoni, i Foni e altri39. Dalla normativa emergono alcuni aspetti organizzativi della produzione e del commercio: l’utilizzazione sia di «coiame terrazzano» (la materia prima locale) che «forestieri», ma anche di pelli pelose, comprese quelle di animali selvatici; la presenza nelle botteghe di apprendisti e lavoranti, tenuti da settembre a Pasqua ad effettuare straordinari

35 BARLUCCHI, Lo statuto quattrocentesco dell’Arte dei Carnaioli cit., pp. 731-732.36 Ivi, pp. 713-714 e 732.37 Ivi, pp. 707-708.38 A. FANFANI, Le Arti di Sansepolcro dal XIV al XVI secolo, ora in A. FANFANI, Saggi di storia economi-ca italiana, Milano 1936, pp. 89 e 91.39 G.P.G. SCHARF, Mestieri antichi. Il ruolo economico e sociale dei calzolai a Sansepolcro fra Tre e Quattrocento, in Appennino rurale. Memoria, arte, istituzioni, a cura di V. Dini - M. Kovacevich. San-sepolcro 2004, pp. 93-95.

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notturni; il divieto, nei giorni di festa, di «macerare, sgrasciare, afectare, tegnare o scacciare, né radere alchuna pelle overo choio d’alchuna bestia o capricto»; il pagamento di una tassa di immatricolazione maggiorata per i forestieri40. Una supplica rivolta a Pandolfo III nel 1413, poi, ci trasmette il malcontento degli artifi ces, che non potevano più contare sui luoghi nei quali abitualmente svolgevano le loro attività, cancellati dalla ristrutturazione urbanistica voluta dai Malatesta per motivi strategici, e chiedevano nuovi spazi per tendere le pelli in una zona poco abitata: «che per lo tempo futuro possiamo […] tendare dentro da la terra apresso a le cerche cioè da Sancta Croce in fi no a Sancta Maria nova, como tra la via deritta da li detti luochi in giù fi no al muro de la terra, et questo è il più habile luocho che ce sia et meno habitato et lì havemo le celle nostre»41.

IL MONDO DEI MESTIERI

Nello statuto comunale del 1441 numerosi sono i rimandi ai mestieri esercitati nel Borgo e alla loro localizzazione: oltre a quelli già citati vi fi gurano lanaioli, speziali, notai, maestri di grammatica, giudici e avvocati, barbieri, fi sici e cerusici, osti, albergatori e panettieri, sarti, pellicciai e farsettai, tessitori, tessitrici, conciatori e gualchierai. Solo una decina di attività, però, risultano organizzate nella relativa associazione di mestiere42. Nella redazione statutaria del 1571, invece, si parla esplicitamente di 16 Corporazioni43, segno di un sistema corporativo che non aveva perso vigore, ma che, anzi, si era probabilmente rafforzato, almeno sul piano economico-organizzativo. Più diffi cile è farsi un’idea chiara della situazione prima dell’inizio della dominazione fi orentina. La più antica associazione professionale documentata è quella dei Notai, negli anni 1365-67, seguita dalla Corporazione dei Calzolai e dei Sarti nel 1378, dei Lanaioli nel 1379, dei Mercanti intorno al 1380, dei Carnaioli nello stesso anno; di altre Arti – Ortolani, Fornai, Fabbri, Barbieri, Speziali – si ha notizia solo a

40 FANFANI, Le Arti di Sansepolcro cit., pp. 97-103; A. CZORTEK, Prodotti dell’allevamento sul mercato di Sansepolcro secondo lo statuto della gabella del 1358, in Allevamento mercato transumanza sull’Ap-pennino. Atti del convegno (Ponte Presale 1999), a cura di L. Calzolai - M. Kovacevich, Sestino-Badia Tedalda 2000, p. 86.41 SCHARF, Mestieri antichi cit., pp. 98-99.42 PINTO, Borgo San Sepolcro cit., p. 233 e nota 42; SCHARF, Borgo San Sepolcro a metà del Quattrocento cit., pp. 169, nota 368, e 173, nota 378; G. PULETTI, Sansepolcro ai tempi di Piero della Francesca, in Tessuti italiani cit., p. 23.43 FANFANI, Le Arti di Sansepolcro cit., pp. 86 e 90.

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partire dal Quattrocento inoltrato44. Questa cronologia, che sembrerebbe legare lo sviluppo delle Arti all’affermazione del dominio malatestiano sul Borgo, con i suoi positivi effetti sull’economia e la vita sociale, sensibili soprattutto nel primo trentennio45, potrebbe però essere rivista alla luce di una norma statutaria del primo Trecento richiamata da Andrea Czortek. Si tratta della disposizione secondo la quale i «XXIIII rectores populi Burgi», organo di controllo del governo popolare, dovevano essere eletti «de paratis populi»: intendendo il termine parata, secondo quanto avveniva in area padana, quale sinonimo di Arte, si potrebbe infatti concepire il Consiglio dei 24 «come espressione politica delle Corporazioni cittadine»46. Dunque il sistema corporativo di Sansepolcro, come già aveva ipotizzato Amintore Fanfani47, sarebbe stato pienamente formato con almeno mezzo secolo di anticipo rispetto alle prime attestazioni concernenti singole associazioni di mestiere, in linea con la fase di espansione che sembra caratterizzare l’economia locale nel primo Trecento.

Nel quadro delle attività artigianali e manifatturiere presenti al Borgo diversi autori hanno sottolineato l’importanza della produzione dei panni di lana, attestata almeno dalla fi ne del Duecento e indicata nella già ricordata dichiarazione degli ambasciatori biturgensi come «el principale membro sanza il quale agli uomini della detta terra è impossibile potere vivere»48. Una gualchiera, impianto fondamentale nel processo di rifi nitura dei panni, era attiva al ponte di Bovigliano, sul torrente Afra, almeno fi n dal 128849; sul medesimo corso d’acqua, «in loco molendini Lupoli», ne operava un’altra nel 133450. Si tratta di presenze non episodiche se, fra le gabelle appaltate dal Comune nello stesso 1334, fi gurava la gabella «molendinorum, gualcheriarum et rotarum hominum Burgi et districtus»,

44 A. CZORTEK, Associazionismo di pietà e associazionismo di mestiere a Sansepolcro fra medioevo ed età moderna, in Alla scoperta delle radici antiche del vivere d’oggi. Atti delle giornate di studio (San-sepolcro 1998), Sansepolcro 1999, p. 57; BANKER, The Culture of San Sepolcro cit., pp. 50-56.45 Cfr. G.P.G. SCHARF, Il buon governo malatestiano, in La Signoria di Carlo Malatesti (1385-1429), a cura di A. Falcioni, Rimini 2001, pp. 349-350.46 A. CZORTEK, Un’abbazia, un comune: Sansepolcro nei secoli XI-XIII, Città di Castello 1997, pp. 102-103.47 FANFANI, Le Arti di Sansepolcro cit., p. 87.48 ASF, Dogana di Firenze. Dogana antica e Campioni, 373, c. 240r. Cfr. anche G.P.G. SCHARF, Fra economia urbana e circuiti monetari intercittadini:il ruolo degli ebrei a Borgo San Sepolcro a metà del Quattrocento, in «Archivio storico italiano», 156, 1998, pp. 476-477.49 Apparteneva, insieme a un mulino, al monastero di San Leo e all’eremo di Montevicchi: A. CZORTEK, Eremo, convento, città. Un frammento di storia francescana: Sansepolcro, secoli XIII-XV, Assisi 2007, p. 155.50 ASF, Notarile Antecosimiano, 5834 (Cristofano di Fedele), c.n.n. (15 agosto 1334).

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che fruttò un introito di 40 lire cortonesi51. Panni defi niti burgensi vengono citati in un documento notarile del 132652, mentre del 1334 è la notizia della piccola società «in arte et mercatione lane» formata da Biagio di Jacopo, dalla moglie Piera e da Vanni di Cesco grazie al capitale di 18 fi orini e 20 soldi cortonesi assicurato da un quarto socio, Monalduccio Armanni53. Di certo la manifattura laniera era già ben sviluppata nei decenni centrali del Trecento, come provano il commercio di tessuti del Borgo praticato da Bartolo d’Uguccio nel 134854 e l’attività di Giubileo Carsidoni, l’uomo d’affari la cui contabilità è stata studiata da Amintore Fanfani, che nel 1370 risultava titolare di «una botega della arte de la lana» per la quale, oltre alla materia prima, acquistò cardi, pettini, fusi ed altri strumenti destinati alla lavorazione55. In quest’epoca anche negli Statuti della Gabella si trovano riferimenti all’importazione di lana, a imprenditori lanieri che si servivano di manodopera rurale per la fi latura, all’esistenza di gualchiere. Diversi decenni più tardi, nel 1441, lo statuto di Sansepolcro dedicava varie rubriche alla manifattura, tra cui l’obbligo per il notaio del Piano di procedere, su richiesta dei Consoli dell’Arte della Lana, contro «gualcheranos, tractores, conciato res, texitores, texitrices» e tutti coloro che operando in questo settore ne avessero violato le norme56; il divieto di mescolare nei panni seto le di bue, di asino, di capra o fi lamenti di cardatura, pena il pa gamento di una multa, il rogo dei panni stessi e l’estromissione dall’associazione; la proibizione di lavorare lana o far ne incetta senza il consenso dei vertici della Corporazione57.

La materia prima utilizzata era di qualità differenti. La normativa doganale del 1358 segnala il transito nel Borgo di lana viterbese, «sardescha», carfagnina «o vero provinciale», con la quale si confezionavano tessuti piuttosto andanti, ma menziona anche la lana del Garbo (ossia dell’Africa occidentale) «o altra lana simile o vero migliore»58. Giubileo Carsidoni, per esempio, era attivo nell’importazione di lana straniera proveniente da Firenze e da Pisa, che faceva lavorare al Borgo o vendeva all’ingrosso agli artigiani della zona59: lana probabilmente spagnola, come quella che una compagnia di Sansepolcro si faceva inviare direttamente da

51 Ivi, c.n.n. (15 maggio 1334).52 ASF, Notarile Antecosimiano, 7189 (Feo di Rodolfo), c. 127v (15 novembre 1326).53 ASF, Notarile Antecosimiano, 5834, c.n.n. (4 maggio 1334).54 A. FANFANI, Un mercante del Trecento, Milano 1935, p. 28.55 Ivi, pp. 38-40.56 PINTO, Borgo San Sepolcro cit., p. 232.57 PULETTI, Sansepolcro ai tempi di Piero della Francesca cit., p. 24. 58 PINTO, Borgo San Sepolcro cit., p. 230, nota 27.59 FANFANI, Un mercante del Trecento cit., pp. 28-29.

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Barcellona nel 140560. E che i lanaioli biturgensi producessero tessuti di buona qualità si deduce anche dalla specializzazione raggiunta nella colorazione dei panni, se è vero che alla metà del Quattrocento i tintori del Borgo erano in grado di ottenere tre diverse gradazioni di blu61. Mentre nelle valli appenniniche prevaleva dunque – come ha osservato Bruno Dini – un’attività laniera domestico-rurale ed artigianale fi nalizzata alla realizzazione dei panni ‘nostrali’ per il commercio locale62, a Sansepolcro si intravede anche l’organizzazione della ‘manifattura disseminata’ descritta da Federigo Melis e da altri studiosi per le principali città toscane del Tre-Quattrocento e destinata a produrre tessuti per l’esportazione. Si trattava – come è noto – di un sistema costituito da una serie di poli operativi dispersi nel centro urbano e talvolta in campagna (abitazioni, botteghe, impianti ‘industriali’ come le gualchiere), gestiti dai loro titolari con gradi variabilmente ampi di autonomia, ma collegati dall’iniziativa del lanaiolo che, come unico proprietario della materia-base e del semilavorato, dirigeva il processo di trasformazione in tutti i suoi momenti fondamentali: la scelta e la preparazione della materia prima, la fi latura, la tessitura, la tintura e la rifi nitura63. È evidente che per esistere questa forma organizzativa aveva bisogno di capitali di una certa consistenza che potevano essere garantiti soltanto dalla presenza di operatori dalla fi sionomia imprenditoriale o mercantile-imprenditoriale. Ma è altrettanto chiaro che un’altra condizione essenziale era la disponibilità di manodopera, e non solo di quella presente all’interno delle mura del Borgo: «sanza el conchorso de’ circunstanti invano si farebbe l’exercitio dell’arte della lana nella detta terra», scrivevano i rappresentanti della comunità, che chiesero e ottennero nel 1458 la possibilità per i Borghesi di far fi lare la lana nel vicariato di Anghiari, per gli Anghiaresi di comprare panni a Sansepolcro senza pagare gabelle64. Si trattava, peraltro, di una misura in linea con gli accordi siglati già in età malatestiana e in base ai quali si abolivano le imposizioni sui prodotti agricoli che i proprietari di ognuno dei due Comuni traevano dal distretto dell’altro65.

60 Ne parlo più avanti: cfr. il testo corrispondente alla nota 115.61 BANKER, The Culture of San Sepolcro cit., p. 52.62 B. DINI, Brevi cenni sulla vita economica delle valli aretine, in Tessuti italiani cit., p. 18.63 Sui caratteri di questa forma di organizzazione del lavoro mi permetto di rimandare a F. FRANCESCHI, L’impresa mercantile-industriale nella Toscana dei secoli XIV-XVI, in La storia dell’impresa nella lun-ga durata: continuità e discontinuità. Atti del seminario di studi (Venezia 2002), in «Annali di Storia dell’impresa», 14, 2003, pp. 229-249; e relativa bibliografi a.64 ASF, Dogana di Firenze. Dogana antica e Campioni, 373, c. 240r. Cfr. anche SCHARF, Borgo San Sepolcro a metà del Quattrocento cit., p. 112.65 Ivi, p. 97.

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Sempre in ambito tessile occorre ricordare la manifattura dei veli di cotone, i cosiddetti veli ‘borghesani’. Bruno Dini ha osservato come nella Leggenda della Vera Croce Piero della Francesca abbia dipinto tutte le fi gure femminili velate e ha interpretato questa circostanza da un lato come la conferma dell’abitudine largamente diffusa fra le donne del tardo Medioevo di coprirsi il capo con un velo, dall’altro come la prova della familiarità del pittore con un articolo che circolava abitualmente nell’ambiente biturgense66. Sansepolcro, infatti, era parte integrante di un’area di produzione di diverse specie di tessuti di cotone – comprendente Arezzo, Cortona, Perugia, Assisi, Foligno, Todi, Narni, Terni – che complessivamente rappresentava la seconda re gione cotoniera italiana dopo quella lombarda67. I veli venivano fabbricati con la materia prima acquistata nei porti adriatici, prin cipalmente a Fano e ad Ancona. Nella città del Conero, dove il cotone arrivava da Venezia, che a sua volta se ne riforniva soprattutto attraverso la ‘mu da’ di Siria68, la documentazione notarile del XV secolo segnala la presenza di molti operatori economici di città e centri minori toscani, umbri e marchigiani e tra questi dei mercanti di Sansepolcro69; sempre una fonte quattrocentesca, lo statuto dell’Arte dei Mercanti biturgense redatto nel 1434, menziona il «bambagio tento» e la «bambagia battuta»70. In quegli anni operava «nell’arte bambacaria» la società formata da Sodo di Francesco Cittadini, personaggio di un certo rilievo nella fi nanza e nelle istituzioni del Borgo, Matteo di Alberto di Neri e Niccolò di Marco Campanella; nell’associazione Sodo aveva immesso 240 lire e la bottega, mentre gli altri due fi guravano soltanto come soci d’opera71. Sulle forme organizzative di quest’attività, tuttavia, le notizie sono piuttosto scarse: l’opinione corrente è che si trattasse di una «produzione su basi domestiche e domestico-rurali» svolta da manodopera femminile e avviata al mercato grazie all’intervento di mercanti che si rifornivano direttamente presso le lavoratrici72, ma il fatto che gli uomini d’affari mantenessero nelle loro mani sia la fase dell’approvvigionamento della materia prima che quella della vendita dei prodotti fi niti induce a ritenere possibile anche un loro coinvolgimento di natura più propriamente imprenditoriale. Il fatto che nel 1571 esistesse una

66 DINI, Brevi cenni sulla vita economica cit., p. 18. Bisogna però ricordare che i veli dipinti da Piero erano di seta.67 Ivi, pp. 18-19.68 Ivi, p. 18.69 J.-K. NAM, Le commerce du coton en Méditerranée à la fi n du Moyen Age, Brill 2007, p. 405.70 BANKER, The Culture of San Sepolcro cit., p. 53, nota 126.71 SCHARF, Fiscalità pubblica e fi nanza privata cit., par. 10.72 B. DINI, Arezzo intorno al 1400. Produzioni e mercato, Arezzo 1984, pp. 4-5.

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Corporazione dei «Mercatanti e Velettai»73 rafforza questa ipotesi. La contabilità di Giubileo Carsidoni ci informa, oltre che sulla presenza

a Sansepolcro di fabbri e maniscalchi, del resto onnipresenti in questi secoli, anche sull’attività di alcuni armaioli, che egli approvvigionava di ferro e acciaio acquistati in territorio senese74. Tra i fornitori del fondaco Carsidoni nella Città della Vergine vi era Landoccio di Cecco d’Orso, un tintore il cui Memoriale reca traccia di ingenti scambi tra ferro e guado75. Purtroppo non è possibile approfondire il discorso, ma resta il fatto che prima di essere assoggettato alla dominazione fi orentina il Borgo era divenuto il fulcro degli interessi di vari condottieri e delle loro truppe, sempre bisognose di armi; senza contare che la tradizione aristocratica e la vocazione alla professione militare rappresentavano uno dei tratti marcanti della storia dell’intera Valtiberina76. Intrigante è anche la notizia che nel 1443 fu un fabbro bergamasco a realizzare una chiave e una serratura per il palazzo del Comune77, visto che potrebbe essere la spia di una certa capacità, da parte del centro, di attrarre artigiani forestieri.

Riguardo al settore metallurgico è da segnalare anche l’attività degli orefi ci, che nel Cinquecento risultano riuniti in una loro Corporazione78, e la cui vivacità è stata collegata in primo luogo alla committenza ecclesiastica alimentata dall’abbazia di San Giovanni, dalla pieve di Santa Maria e dai conventi degli ordini mendicanti. Negli anni 1346-1347 la documentazione segnala la presenza al Borgo dell’orafo fi orentino Michele di Duccio, mentre nei decenni successivi la scena fu occupata soprattutto da artigiani senesi: il noto Michele di ser Memmo, cui i monaci dell’abbazia di San Giovanni avevano commissionato intorno al 1370 la realizzazione di una croce in argento; maestri altrettanto affermati come Bartolomeo di Tondino e Nello di Giovanni, che in società gestivano nel 1372 un’importante bottega posta in piazza Torre di Berta; il meno conosciuto Francischello di maestro Jacopo, la cui attività fu quasi certamente proseguita dal fi glio Filippo. Di Sansepolcro erano invece Bartolo di Matteo e Vieri di Bernardo, creatori di «arredi liturgici di minor pregio, come un gruppo di turiboli in rame oggi conservati al museo cittadino»79. E di origine locale era anche Angelo di

73 FANFANI, Le Arti di Sansepolcro cit., p. 90.74 FANFANI, Un mercante del Trecento cit., p. 29.75 Cfr. P. GUARDUCCI, Un tintore senese del Trecento. Landoccio di Cecco d’Orso, Siena 1998, p. 202. 76 SCHARF, Borgo San Sepolcro a metà del Quattrocento cit., p. 207; G.P.G. SCHARF, Un residuo ‘signo-rile’ nel cuore del Borgo del Quattrocento: la Torre di Piazza, in «Pagine altotiberine», 10, 2000, p. 86.77 SCHARF, Borgo San Sepolcro a metà del Quattrocento cit., p. 166.78 FANFANI, Le Arti di Sansepolcro cit., p. 90.79 Cfr. S. PICHI, Sansepolcro: orefi ceria dal Medioevo al Cinquecento, Arezzo 2003, pp. 54-65, citazione

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Angelo, che nel 1439 fornì al Comune 12 tazze d’argento del valore di 259 lire da donare a Niccolò Piccinino80. In questi primi decenni del Quattrocento, del resto, la tradizione orafa biturgense proseguiva con fi gure quali Niccolò d’Angelo di Giannino, autore di una croce per la sacrestia della Pieve, e Giovanni di Giorgio, al quale i francescani affi darono l’incarico di eseguire per la loro chiesa un prezioso calice con le armi della famiglia Graziani, detentrice del giuspatronato dell’altare del Crocifi sso81.

Prima di chiudere il discorso sul mondo della produzione vorrei ricordare che, stando a un atto del notaio Cristofano di Fedele, nel 1334 il camerario del Comune pagò a una società formata dal magister Matteo di Gualtiero della Genga, da Riccardo Villani e da Andrea Munaldi 19 fi orini d’oro e 42 soldi e mezzo di denari ravennati «pro constructione et hedifi catione gualcheriarum ad faciendum cartas noviter factas»82. Si tratterebbe, dunque, dell’inizio di una produzione cartaria della quale – a quanto mi consta – non si sapeva niente fi no a oggi. Il riferimento alla gualchiera, la struttura fondamentale nell’organizzazione del lavoro dei cartari di Fabriano83, il collegamento tra Matteo di Gualtiero e il castello di Genga, ubicato nel Fabrianese, la stessa relativa vicinanza fra Sansepolcro e il centro marchigiano, da dove fra Due e Trecento si irradiò in Italia e in Europa la nuova manifattura84, rendono fortemente plausibile l’ipotesi che l’introduzione dell’attività cartaria a Sansepolcro sia avvenuta lungo questa direttrice; che poi sia anche avvenuta per iniziativa dell’organismo comunale, già detentore – come abbiamo visto – di numerosi impianti idraulici, è ulteriore testimonianza del suo dinamismo e caratteristica che avvicina le scelte in materia economica del Comune biturgense a quelle di molti centri marchigiani, i quali «rivendicarono con successo alla proprietà pubblica le principali strutture produttive»85. Il silenzio delle fonti di epoca successiva induce a ritenere che la

a p. 59.80 SCHARF, Borgo San Sepolcro a metà del Quattrocento cit., p. 189.81 PICHI, Sansepolcro cit., p. 65.82 ASF, Notarile Antecosimiano, 5834, c.n.n. (18 aprile 1334).83 G. CASTAGNARI, La fase italiana, in Charta. Dal papiro al computer, a cura di G.R. Cardona. Catalogo della mostra (Milano 1988), Milano 1988, p. 107; M. CALEGARI, Fare la carta alla maniera di Fabria-no: la circolazione dei ‘pratici’ e la diffusione delle pratiche manifatturiere in Europa sul fi nire del Medioevo, in L’era del segno, II, L’impiego delle tecniche e dell’opera dei cartai fabrianesi in Italia e in Europa. Atti delle Giornate europee di studio (Fabriano 2006), a cura di G. Castagnari, Fabriano 2007, p. 78.84 Cfr. G. CASTAGNARI, La diaspora dei cartai fabrianesi. Un’indagine storica aperta, ivi, pp. 13-22; CALEGARI, Fare la carta alla maniera di Fabriano.85 G. PINTO, Le città umbro-marchigiane, in Le città del Mediterraneo all’apogeo dello sviluppo medie-

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produzione della carta non sia decollata, ma un documento ritrovato da James Banker mostra che un secolo e mezzo più tardi venne effettuato il tentativo di aprire una cartiera in Val d’Afra86.

UN MERCATO VIVACE

Caratterizzata da un vario e solido artigianato, Sansepolcro benefi ciava decisamente – come si è già ricordato – della sua dislocazione nel cuore di un’area strategica per i traffi ci. Una posizione che, unita all’intraprendenza dei suoi operatori economici, ne aveva fatto precocemente un luogo di mercato per i prodotti agricoli della Valtiberina e per quelli dell’allevamento del versante occidentale dell’Appennino: anzi, «la più attiva città commerciale fra Rimini ed Ancona sulla costa orientale italiana, Perugia a sud, Arezzo e Firenze ad ovest, Cesena e Forlì a nord»87. Come ha sottolineato Giuliano Pinto, questa funzione trova un evidente rifl esso negli Statuti della Gabella del 1358, che ci consentono di ricostruire la mappa dei beni in entrata e in uscita dal Borgo o che passavano per il distretto. Tra le merci sottoposte a dazio, infatti, compaiono grano, vino, olio, sale, ortaggi, frutta fresca e secca, spezie, carni di vario tipo, formaggi; ma anche legname, lana grezza e fi lata, allume, robbia, guado, cardi, pellame di diverso tipo, metalli, seta, carta «pecorina» e «bambagina», panni di lana, drappi di seta; neppure le greggi e le mandrie che attraver savano il territorio biturgense lungo la via della transumanza tra la monta gna e la Maremma sfuggivano al pagamento della gabella88 e il fatto che la normativa in materia doganale calcolasse le imposizioni da esigere per centinaio di capi testimonia la rilevanza del fenomeno89. Sempre nella seconda metà del Trecento la funzione commerciale di Sansepolcro è ben esemplifi cata dalla ricostruzione della clientela dell’uomo d’affari Giubileo Carsidoni e dei suoi traffi ci. Giubileo aveva intessuto rapporti da un lato con Rimini, Cesena, Fano e con le piazze minori del versante adriatico, dall’altro con Pisa, Firenze, Siena. I suoi fondaci del Borgo erano anche affollati da piccoli mercanti dei centri vicini (Anghiari, San Giustino, Monterchi, Citerna, Città di Castello) che compravano merce all’ingrosso, in parte importata, in parte prodotta in loco. Ac canto ai clienti-rivenditori comparivano in misura

vale: aspetti economici e sociali. Atti del convegno internazionale (Pistoia 2001), Pistoia 2003, p. 258.86 J. BANKER, La vita culturale a Sansepolcro nel Quattrocento, in questo stesso volume, p. 34687 BANKER, The Culture of San Sepolcro cit., pp. 46-47.88 PINTO, Borgo San Sepolcro cit., p. 30.89 CZORTEK, Prodotti dell’allevamento sul mercato di Sansepolcro cit., p. 85.

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maggiore clienti consu matori delle aree vicine. Vastissima la gamma dei beni oggetti del suo interesse: il grano e gli altri cereali, le fave, la frutta, vino e olio, tonnina, saggina, paglia, semi di lino, fi ori di sambuco, zucchero, guado; e ancora cavalli, asini, buoi e pecore; calce, mattoni e laterizi; lana, panni, calze, ferro e rame, lance da cavallo90. Un repertorio che conferma ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, la tendenza degli uomini d’affari del tardo Medioevo a commerciare tutto quello che poteva generare profi tto. Questa mancanza di specializzazione rendeva piuttosto incerti, nel caso di Sansepolcro, anche i confi ni fra le Corporazioni mercantili, poiché una medesima merce poteva essere trattata sia dai membri dell’Arte della Lana che dagli iscritti a quelle dei Mercanti o degli Speziali, anche se non mancarono tentativi di limitare reciprocamente il raggio delle attività consentite91.

Un aspetto da non trascurare è il ruolo che svolgevano i merciai, fi gure di dettaglianti la cui attività, come ho verifi cato nel caso di Arezzo92, poteva però generare una rete di relazioni assai estesa e abbracciare una vastissima gamma di prodotti in metallo, tessuto e cuoio. Proprio nella città di San Donato, presso la bottega di Agnolo di Giovanni, si riforniva negli anni Quaranta del Quattrocento il merciaio biturgense Niccolò di Martino, che acquistava dozzine di coltelli, cinghie e sopracinghie per cavalli, ma anche «giochi di tavola» e «palle rosse a lesena». Della stessa bottega si serviva per saldare i debiti con un brigliaio e le vetture delle minuterie metalliche che vendeva a Siena inviando in pagamento due diverse qualità di bende in cotone, articoli simili ai veli e prodotti sempre a Sansepolcro93.

Resta il fatto che non tutti i tipi di beni e non tutte le transazioni avevano la stessa rilevanza. Al centro degli scambi degli operatori economici di Sansepolcro, che fossero o meno inquadrati in una Corporazione, vi era il guado diretto a Pisa, a Prato e soprattutto a Firenze, ma anche verso gli scali adriatici, compresa Venezia, per essere esportato oltremare. Gli uomini d’affari biturgensi mantenevano in questo commercio, che trovava proprio in Sansepolcro uno dei più importanti «mercati intermedi di accentramento»94 un ruolo di primo piano, acquistando i

90 FANFANI, Un mercante del Trecento cit., pp. 25-35.91 BANKER, The Culture of San Sepolcro cit., pp. 52-53.92 F. FRANCESCHI, Arezzo all’apogeo dello sviluppo medievale. Aspetti economici e sociali, in Petrarca politico. Atti del convegno (Roma-Arezzo 2004), Roma 2006, p. 175.93 B. DINI, La presenza dei valligiani sul mercato di Arezzo, ora in B. DINI, Saggi su un’economia-mondo. Firenze e l’Italia fra Mediterraneo ed Europa (secc. XIII- XVI), Pisa 1995, p. 319.94 F. MELIS, Lazzaro Bracci (la funzione di Arezzo nell’economia dei secoli XIV-XV), ora in F. MELIS, Industria e commercio nella Toscana medievale, a cura di B. Dini, Firenze 1989, p. 183.

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preziosi pani del colorante, talvolta con contratti stipulati ben prima del raccolto e quindi a prezzi più favorevoli, e avviandoli verso i centri manifatturieri95. Si trattava di quantità consistenti, come mostra l’attività di Giovacchino Pinciardi, il mercante studiato qualche anno fa da Giuliano Pinto. Negli anni Sessanta del Trecento Giovacchino, che si era trasferito a Firenze e vi aveva aperto anche una tintoria, costituì con Paolo di Bartolo Morelli una compagnia per la commercializzazione di questo prodotto nella Città del Giglio: la società trattò una media di 200-250 quintali annui di guado proveniente, oltre che dal Borgo, da Mercatello e da Sant’Angelo in Vado96. Secondo un documento di una quindicina d’anni prima, che ho rintracciato fra gli atti rogati dal notaio aretino Guido di Rodolfo, lo zio di Giovacchino Pinciardi, Guido di Cesco, ricevette 230 fi orini dalla vedova di Barfuccio Graziani: una somma destinata a fi nanziare la compagnia che Guido aveva formato per un anno con altri due mercanti del Borgo, Bartolo di Bencio e il già ricordato Bartolo di Uguccio, e per la quale i tre soci avrebbero dovuto versare un terzo del guadagno ottenuto97. Una famiglia dunque, quella dei Pinciardi, tradizionalmente impegnata nel commercio del guado, che evidentemente assicurava ottimi guadagni. Quanto il colorante fosse indispensabile all’industria laniera, del resto, si evince dalla politica dell’Arte della Lana di Firenze, che fi n dagli anni Trenta del Trecento aveva creato in città il cosiddetto Fondaco del Guado, un centro di raccolta e smistamento di tutto il guado destinato ai produttori fi orentini. E si trattava di volumi decisamente rilevanti, se nel 1377 il magazzino ne ospitava oltre 63 tonnellate, mentre altre 167 giacevano in deposito a Città di Castello98.

Anche il commercio delle fi bre tessili, dei panni di lana e degli articoli in cotone era assai diffuso. In un documento notarile del 1326, per esempio, vediamo Jacopo di Tuto da Sansepolcro vendere quattro panni di produzione locale a un sarto aretino e contemporaneamente fornire a un lanaiolo della stessa città 762 libbre di lana99. Alla bottega del biturgense Giglio di Benci si servì nel

95 BANKER, The Culture of San Sepolcro cit., p. 49.96 G. PINTO, Giovacchino Pinciardi da Borgo San Sepolcro, mercante e tintore di guado nella Firenze del Trecento, in La Toscane et les Toscans autour de la Renaissance. Cadres de vie, société et croyan-ces. Mélanges offerts à Charles-M. de La Roncière, Aix-en-Provence 1999, pp. 100-101.97 ASF, Notarile Antecosimiano, 10912, c. 152r (10 dicembre 1353).98 Cfr. F. FRANCESCHI, Istituzioni e attività economica a Firenze: considerazioni sul governo del settore industriale (1350-1450), in Istituzioni e società in Toscana nell’età moderna. Atti delle giornate di studio dedicate a Giuseppe Pansini (Firenze 1992), I, Roma 1994, pp. 90-91.99 ASF, Notarile Antecosimiano, 7189, c. 127v (15 novembre 1326).

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1347 l’abate del monastero di San Veriano presso Arezzo100; e sempre un aretino, nel 1353, acquistò al Borgo una partita di panni «lazzi» e «romagnoli»101, tessuti che nel lessico mercantile del tempo indicavano tipologie piuttosto andanti102. Panni per centinaia di fi orini, «borghesi» e non, venivano smerciati da Bartolo di Uguccio a Perugia, Sant’Angelo in Vado, Urbino e Cesena103. Al Borgo, a Mercatello, Rocca Cignata, Città di Castello, Tizzano, Pistrino trovò invece i suoi clienti Giubileo Carsidoni, che negli anni Settanta si riforniva di tessuti di lana a Firenze ma proponeva anche stoffe di seta («tafeta vergato giallo») e canovaccio acquistato nelle Marche104. Nel 1358 gli Statuti della Gabella di Sansepolcro menzionavano panni «ultramontani, fi orentini, pisani, pratesi, mediolanesi, veronesi», soggetti a un dazio di 30 soldi per soma di mulo in entrata e di 15 in uscita; ma anche aretini, mantovani, orvietani e perugini, tutti con un’imposizione dimezzata105. Nel 1386 i panni «burghesi» fi guravano nei capitoli della Gabella di Fano ed erano sottoposti alle stesse tariffe doganali di quelli di Perugia, Gubbio, Orvieto, Città di Castello e Bergamo106; l’anno successivo comparivano tra le merci registrate alla Gabella di Arezzo con una tariffa di 60 soldi per soma, sensibilmente inferiore a quella applicata ai tessuti fi orentini e pisani (160 soldi), ma doppia rispetto all’imposizione prevista per i tessuti di Colle e Prato (30 soldi)107. In quest’epoca i panni di Sansepolcro venivano venduti anche alle fi ere di Rimini, mentre nella seconda metà del Quattrocento si smerciavano a Roma108. Non cessava, per questo, il commercio locale: le botteghe del Borgo continuavano a soddisfare le richieste degli abitanti dei centri appenninici109.

Quanto ai veli, negli anni Ottanta del Trecento la compagnia di Simo d’Ubertino,

100 G. CHERUBINI, La carestia del 1346-47 nell’inventario dei beni di un monastero del contado aretino, ora in G. CHERUBINI, Signori, contadini, borghesi. Ricerche sulla società italiana del basso Medioevo, Firenze 1974, p. 505.101 ASF, Notarile Antecosimiano, 10912, c. 64v (3 luglio 1353).102 Cfr. H. HOSHINO, L’arte della lana in Firenze nel Basso Medioevo: il commercio della lana e il mer-cato dei panni fi orentini nei secoli XIII-XV, Firenze 1981, pp. 99 e 136.103 FANFANI, Un mercante del Trecento cit., pp. 28 e 53.104 Ivi, pp. 30-32, citazione a p. 31.105 PINTO, Borgo San Sepolcro cit., p. 230, nota 26.106 ANSELMI, La presenza malatestiana cit., p. 74.107 S. R. EPSTEIN, Freedom and Growth. Markets and States in Europe, 1300-1750, Londra 2000, p. 137, nota 94.108 DINI, Brevi cenni sulla vita economica cit., p. 18; HOSHINO, L’arte della lana cit., tab. XLII, p. 286.109 Cfr. G. CHERUBINI, La società dell’Appennino settentrionale (secoli XIII-XV), ora in CHERUBINI, Si-gnori, contadini, borghesi cit., p. 136.

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mercante e lanaiolo aretino studiato da Giovanni Cherubini110, ne vendette a Pisa a vari acquirenti catalani tra cui spicca Piero Maraglieri111; pochi anni dopo Lazzaro Bracci, il «Lazzaro ricco» grande benefattore della Fraternita dei Laici di Arezzo, li spacciava, insieme a quelli aretini e perugini, a Costantinopoli112; la sua bottega pisana, inoltre, ne offriva una quota a operatori economici della nostra area, che li acquistavano per rivenderli a una clientela pisana, e ne inviava il resto in commissione a Genova, ad Avignone e in Catalogna113. L’importanza di questo articolo nel commercio del Mediterraneo occidentale emerge anche dal carteggio del mercante pratese Francesco Datini, come testimonia la corrispondenza tra le sedi di Valenza e Maiorca negli anni fi nali del Trecento114. E proprio una lettera relativa alla Penisola iberica, presente nel carteggio datiniano e pubblicata qualche anno fa da Bruno Dini, apre uno squarcio su quello che può ben essere defi nito un traffi co internazionale avente come punto di partenza il Borgo. La missiva, indirizzata dalla compagnia biturgense di Bartolomeo di Niccolò e Bartolomeo di Santi alla compagnia Datini di Barcellona, recita nella sua parte essenziale: «La chaggione di questa éne che da Giovanni del Fero abiamo che una nave éne venuta di chostì e non n’àno autto nula di nostro. E pertanto ve pregiamo, per lo primo naviglio viene di chostì ci mandiate le 2 sacha di lana ve lasamo […]»115. In sostanza, un membro della compagnia di Sansepolcro era stato in Catalogna, forse portando con sé veli ‘borghesani’, e aveva acquistato della lana lasciandola all’azienda Datini perché si occupasse della spedizione: una spedizione che però, evidentemente, tardava.

Prima di concludere questa disamina è necessario spendere qualche parola anche sul commercio del bestiame e della carne. Sansepolcro, infatti, ospitava un importante mercato settimanale della carne, che si teneva il sabato, e una fi era annuale della durata di cinque giorni, che aveva luogo nei giorni intorno al primo settembre, festa del patrono Sant’Egidio. Sia durante il mercato che durante la fi era i carnaioli venivano esentati dal pagamento delle gabelle previste116, che

110 G. CHERUBINI, La proprietà fondiaria di un mercante toscano del Trecento (Simo d’Ubertino di Arez-zo), ivi, pp. 313-392.111 DINI, Arezzo intorno al 1400 cit., pp. 61-62.112 MELIS, Lazzaro Bracci cit., p. 180.113 DINI, Arezzo intorno al 1400 cit., pp. 62-67.114 Mercanzie e denaro: la corrispondenza datiniana tra Valenza e Maiorca (1395-1398), a cura di A. Orlandi, Valencia 2008 (cfr. l’Índex analitic, alla voce Vels).115 DINI, Arezzo intorno al 1400 cit., p. 130.116 G.P.G. SCHARF, Il mercato al Borgo nel Quattrocento, in Allevamento mercato transumanza cit., pp. pp. 99-100.

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restavano invece in vigore per tutto il resto dell’anno (ma non per i venditori di carne salata). E proprio il regolamento doganale di metà Trecento testimonia della varietà degli animali e delle carni trattate: si parla infatti di buoi, vacche, vitelli, bufali, cavalli, muli e giumenti; di maiali, castroni, montoni, pecore, capre, becchi, agnelli e capretti; di capponi, galline, oche, anatre, pollastri, colombe, piccioni, tortore e fagiani. I dazi di importazione ed esportazione, assai elevati per i bovini, scendevano di molto per l’ingresso nel Borgo e nel suo distretto di ovini e caprini, tassati addirittura meno del pollame, una circostanza che potrebbe rifl ettere una maggiore diffusione di quest’ultimo genere di commercio117. Nel traffi co di bestiame e di carne erano impegnati numerosi personaggi dell’élite economica biturgense e fi n dagli anni Venti del Quattrocento vi si distinse Bartolomeo di Nardo Foni, esponente di rilievo della Corporazione dei Macellai, che vediamo acquistare anche mandrie intere e vendere a più riprese carne alla Fraternita di San Bartolomeo. Proprietario di pascoli, allevatore, mercante in rapporti personali con diversi esponenti del ceto dirigente fi orentino, s’improvvisò perfi no rimatore redigendo in versi la sua portata all’estimo del 1461118.

Numerosi sono gli aspetti del tema assegnatomi che non hanno potuto trovare spazio in questa sintetica trattazione: penso alle reti creditizie, intimamente connesse alle esigenze di un’economia in espansione qual era quella biturgense nel tardo Medioevo e che dal primo Quattrocento vennero rafforzate dalla presenza dei banchieri ebraici e dei loro capitali119; alla distribuzione della ricchezza in una società che mostrava una crescente articolazione in ceti, gruppi organizzati e professioni, ma che esprimeva anche una pluralità di ambienti culturali120; alla fi sionomia di un ceto mercantile e imprenditoriale cresciuto in tempi relativamente rapidi e che già alla metà del Trecento contava esponenti in grado di diversifi care l’impiego dei propri capitali, come mostra la scelta di alcuni membri delle famiglie Dotti e Carsidoni di effettuare corposi depositi fruttiferi presso l’ospedale senese di Santa Maria della Scala121.

117 CZORTEK, Prodotti dell’allevamento sul mercato di Sansepolcro cit., pp. 82-84 e 87.118 SCHARF - MATTESINI, Cultura e società nella Sansepolcro del Quattrocento cit., pp. 13 e nota 22, 16-18 e 24.119 SCHARF, Fra economia urbana e circuiti monetari intercittadini cit.,120 Cfr. BANKER, The Culture of San Sepolcro cit., pp. 2-3 e passim.121 I depositi, dell’ammontare di 500 fi orini e risalenti agli anni 1352-1353, erano intestati a Giovanni e Matteo Carsidoni, a Sovrana vedova di Crescione Dotti e al fi glio Francesco. Ringrazio Gabriella Piccinni per avermi fornito questa informazione, emersa nel corso delle sue ricerche sull’attività di in-termediazione creditizia svolta dall’ospedale. Per una prima discussione dei risultati di questa indagine

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Pur con questi limiti, tuttavia, mi sembra che il discorso abbia messo in evidenza alcuni elementi strutturali del quadro: la peculiarità della vicenda demografi ca del Borgo, capace di mantenere quasi intatta la sua popolazione nel momento più acuto della crisi italiana per poi incrementarla sostanziosamente fra Quattro e Cinquecento; la creazione di un’economia in cui lo sfruttamento della terra si integrava con l’attività manifatturiera e commerciale; il ruolo non secondario svolto dall’autorità pubblica, attenta alla gestione delle risorse comuni e delle strutture della vita economica ma anche aperta – come dimostra il tentativo di impiantare un’industria cartaria nella prima metà del Trecento – allo sviluppo di settori potenzialmente promettenti. In questo senso Sansepolcro appare come uno degli esempi più riusciti, ma soprattutto il più precoce, di quella crescita delle aree della Toscana nord-orientale – Pistoia e la Valdinievole, Scarperia, il Casentino, la Valdichiana, l’Aretino – che si delineò con chiarezza soltanto nella seconda metà del XV secolo122.

cfr. G. PICCINNI, Conti correnti di donne presso l’ospedale senese di Santa Maria della Scala. Interessi, patti, movimenti di denaro (1347-1377), in Dare credito alle donne. Atti del convegno (Asti 2010), in corso di stampa.122 Su questo aspetto cfr. EPSTEIN, Stato territoriale ed economia regionale cit., in particolare pp. 886-888.

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