Croce, fascismo, comunismo. IL CANNOCCHIALE, vol. 48, 2012, pp. 141-162

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Fabio Frosini CROCE, FASCISMO, COMUNISMO 1. Il «leader intellettuale dei revisionisti» Scrive Gramsci nella prima metà di aprile del 1932: Elaborazione della teoria della storia etico-politica […] Ma il più significativo della biografia scientifica del Croce è che egli continua a considerarsi il leader intellettuale dei revisionisti e la sua ulteriore elaborazione della teoria storiografica è condotta con questa preoc- cupazione: egli vuole giungere alla liquidazione del materialismo storico ma vuole che questo svolgimento avvenga in modo da iden- tificarsi con un movimento culturale europeo. L’affermazione, fatta durante la guerra, che la guerra stessa può dirsi la «guerra del ma- terialismo storico» 1 ; gli sviluppi storici e culturali nell’Europa orien- tale dal 1917 in poi: questi due elementi determinano il Croce a svolgere con maggior precisione la sua teoria storiografica che do- vrebbe liquidare ogni forma, anche attenuata, di filosofia della praxis 2 . In questo passo, consegnato al quaderno che porta il titolo 1 Cfr. B. Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Laterza, Bari 1928, pp. 294-295, dove si riporta l’opinione dei neutralisti (i socialisti), secondo la quale la guerra non era «chiara guerra d’idee», ma dettata da motivi «industriali e commerciali», «una sorta di guerra del “materialismo storico” o dell’“irrazio- nalismo filosofico”». Cfr. inoltre ivi, p. 347 n., una citazione da G. de Rug- giero, La pensée italienne et la guerre, in “Revue de métaphysique et de mo- rale”, 1916: «Un pensatore italiano – (ero io che avevo ciò detto in conversa- zione) – ha riassunto in modo scientifico questa concezione, affermando che questa guerra gli pareva essere “la guerra del materialismo storico”. È un’os- servazione felice e che invita a riflettere». 2 A. Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1977 2 , pp. 1214-1215. I termini di da- tazione dei testi dei Quaderni sono, qui e altrove, quelli stabiliti da Gianni Francioni e riportati da G. Cospito, Appendice, in Id., Verso l’edizione critica e integrale dei «Quaderni del carcere», in “Studi storici”, 52, 2011, n. 4, pp. 881-904: 896-904 (in cui è specificato anche il contributo di Cospito).

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Fabio Frosini

CROCE, FASCISMO, COMUNISMO

1. Il «leader intellettuale dei revisionisti»

Scrive Gramsci nella prima metà di aprile del 1932:

Elaborazione della teoria della storia etico-politica […] Ma il piùsignificativo della biografia scientifica del Croce è che egli continuaa considerarsi il leader intellettuale dei revisionisti e la sua ulterioreelaborazione della teoria storiografica è condotta con questa preoc-cupazione: egli vuole giungere alla liquidazione del materialismostorico ma vuole che questo svolgimento avvenga in modo da iden-tificarsi con un movimento culturale europeo. L’affermazione, fattadurante la guerra, che la guerra stessa può dirsi la «guerra del ma-terialismo storico»1; gli sviluppi storici e culturali nell’Europa orien-tale dal 1917 in poi: questi due elementi determinano il Croce asvolgere con maggior precisione la sua teoria storiografica che do-vrebbe liquidare ogni forma, anche attenuata, di filosofia della praxis2.

In questo passo, consegnato al quaderno che porta il titolo

1 Cfr. B. Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Laterza, Bari 1928, pp.294-295, dove si riporta l’opinione dei neutralisti (i socialisti), secondo la qualela guerra non era «chiara guerra d’idee», ma dettata da motivi «industriali ecommerciali», «una sorta di guerra del “materialismo storico” o dell’“irrazio-nalismo filosofico”». Cfr. inoltre ivi, p. 347 n., una citazione da G. de Rug-giero, La pensée italienne et la guerre, in “Revue de métaphysique et de mo-rale”, 1916: «Un pensatore italiano – (ero io che avevo ciò detto in conversa-zione) – ha riassunto in modo scientifico questa concezione, affermando chequesta guerra gli pareva essere “la guerra del materialismo storico”. È un’os-servazione felice e che invita a riflettere».

2 A. Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica dell’Istituto Gramscia cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 19772, pp. 1214-1215. I termini di da-tazione dei testi dei Quaderni sono, qui e altrove, quelli stabiliti da GianniFrancioni e riportati da G. Cospito, Appendice, in Id., Verso l’edizione criticae integrale dei «Quaderni del carcere», in “Studi storici”, 52, 2011, n. 4, pp.881-904: 896-904 (in cui è specificato anche il contributo di Cospito).

La filosofia di Benedetto Croce, Gramsci sintetizza il punto diarrivo di un’accidentata e tormentosa riflessione sul filosofo ita-liano; di una riflessione, che lo conduce a cambiare profonda-mente non solo la propria posizione giovanile3, ma quella stessache si profila gradualmente nel corso della stesura dei Quadernidel carcere. Non è qui possibile seguire in dettaglio i passaggiche conducono al giudizio formulato da Gramsci nel 1932. Inquesta sede sia sufficiente ricordare che essi si snodano lungodue direttrici, del resto strettamente collegate: la discussione dellateoria dei distinti, rispetto a cui Gramsci chiarisce poco a pococome l’originalità della filosofia della praxis risieda nel «concettodi unità di teoria e pratica, di filosofia e politica»4; e la valuta-zione delle prese di posizione politiche di Croce, o meglio delcondizionamento politico e della funzionalità pratica delle sueprese di posizione teoriche.

Nel passo sopra riportato, Gramsci riscontra un collegamentopreciso tra piano teorico e piano politico: gli stimoli all’elabora-zione della storia etico-politica sono infatti la guerra mondiale ela rivoluzione russa; ovvero, rispettivamente, la fine del mondoliberale con l’organizzazione e la conseguente entrata nella vitapolitica di masse immense di popolazione, e il tentativo di in-dirizzare questa mobilitazione verso la costituzione di una nuovaciviltà, alternativa a quella borghese.

Ma c’è anche, da subito, un terzo elemento: il fascismo cometeoria e come pratica. Ciò viene fissato già in un rapido appuntonel Quaderno 15, e ripreso ancora nel Quaderno 4, dove Gram-sci registra la coincidenza tra l’elaborazione della nuova impo-stazione storiografica crociana e la sua previsione di una riaffer-mazione del materialismo storico «dopo l’ubbriacatura di astra-zioni ampollose delle filosofie ufficiali ed ufficiale ma special-

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3 Cfr. L. Rapone, Cinque anni che paiono secoli. Antonio Gramsci dal so-cialismo al comunismo (1914-1919), Carocci, Roma 2011, p. 269 (e più in ge-nerale cfr. pp. 259-270). Sul nesso idealismo-politica e idealismo-marxismo nelgiovane Gramsci rimane ancora imprescindibile la consultazione di L. Paggi,Antonio Gramsci e il moderno principe. I. Nella crisi del socialismo italiano,Editori Riuniti, Roma 1970, cap. I (pp. 3-42).

4 Gramsci, Quaderni del carcere, cit., p. 1232.5 Ivi, pp. 119-120.

mente come conseguenza delle condizioni pratiche e dell’inter-venzionismo statale»6. E a quest’ultimo proposito rinvia alloscambio di lettere tra Croce e Corrado Barbagallo pubblicatonel 1928-1929 nella “Nuova Rivista Storica”. Qui Croce inter-viene per rispondere all’osservazione, formulata da Barbagallo,secondo cui la storia etico-politica non è altro che storia fattasecondo Hegel, per cui «per Croce, lo Stato è la premessa ne-cessaria dell’attività etica dell’uomo»7. Solo nel 1925-1928, ag-giunge Barbagallo, Croce ha sentito il bisogno di prendere le di-stanze da Gentile, che in modo coerente ha ridotto la storia allahegeliana «Staatsgeschichte», e ha incluso nella storia anche ciòche «è fuori dello Stato», l’«Antistato»8. In un altro saggio pub-blicato nello stesso numero della rivista, Barbagallo formula unacritica complessiva al neoidealismo, in quanto esso avrebbe con-tribuito alla crisi degli studi storici in Italia. L’attualismo in par-ticolare, egli afferma, «si ciba voluttuosamente di astrazioni, diantitesi, di semoventi trapassi di idee, nei quali e nelle quali èscomparso qualsiasi riferimento alla realtà, viva e concreta, d’o-gni giorno»9.

L’obiettivo dell’intervento di Croce consiste anzitutto nel di-stinguere nettamente, e in radice, il proprio approccio da quellodi Gentile: la «teoria dello Stato come potenza», egli scrive, nonè riducibile alla «teoria dello Stato come etica»10. Anche se lateoria della storia etico-politica fu da lui enunciata nel 1925 inElementi di politica, questa era da sempre la sua pratica storio-grafica, perché da sempre egli fu contro la statolatria prussianadi Hegel11. D’altra parte, Croce concorda con Barbagallo12 su

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6 Ivi, p. 436.7 C. B.[arbagallo], [Nota a] D. Petrini, L’ultimo cinquantennio di sto-

ria italiana, in “Nuova Rivista Storica”, 12, 1928, n. 4, pp. 422-423: 422.8 Ivi, p. 423.9 C. Barbagallo, La crisi degli studî storici, in “Nuova Rivista Storica”,

12, 1928, n. 4, pp. 433-435: 434.10 C. Barbagallo-B. Croce, Intorno alla storia etico-politica: discussione

seconda, in “Nuova Rivista Storica”, 13, 1929, n. 1, pp. 130-133: 130.11 C. Barbagallo-B. Croce, Intorno alla storia etico-politica, in “Nuova

Rivista Storica”, 12, 1928, n. 5-6, pp. 626-629: 626-627.12 Cfr. ivi, p. 629.

ciò, che la storia etico-politica non è un modo per sottrarsi al-l’influenza di Gentile, ma è un «cavallo di battaglia contro il ma-terialismo storico e i suoi derivati»13. In questo modo, la storiaetico-politica viene collocata in una posizione strategica: avversada sempre alle astrazioni e ai logicismi attualistici, essa riaffermaal contempo il primato della cultura, cioè degli intellettuali14, sul-l’economia. La storia etico-politica è insomma una riafferma-zione di un primato dell’etica sottratta alla dimensione angustadello Stato-governo: questa sua latitudine le consente di evitarelo scadimento nelle «astrazioni ampollose», come scrive Gram-sci, e anche nella celebrazione dell’«intervenzionismo statale»;anzi questo approccio storiografico sembra appunto progettatoper tenere sotto controllo le conseguenze che da questo duplicelimite – e cioè dall’attualismo come filosofia ufficiale e dal fa-scismo come regime – possono derivare.

Si spiega così l’annotazione di Gramsci. L’attualismo, egliaveva scritto nel Quaderno 1, «fa coincidere ideologia e filoso-fia»15, mentre il fascismo – secondo un appunto del Quaderno3 – pretende di sanare «una rottura così grave tra masse popo-lari e ideologie dominanti come quella che si è verificata nel do-poguerra […] col puro esercizio della forza che impedisce anuove ideologie di imporsi»16. Entrambi si collocano su un ter-reno che rifiuta le mediazioni, e in tal modo agitano, in teoriae in pratica, un’idea del rapporto tra teoria e pratica, tra econo-mia e ideologia, che riproduce in forma caricaturale una posi-zione primaria del materialismo storico.

Questa posizione parassitaria rinuncia a sviluppare l’egemo-nia borghese a partire da sé stessa, per cui, conclude Gramsci,si ha un ricorso alle armi dell’avversario che finirà per scredi-tare l’intero edificio ideologico tradizionale. Si legge nel Qua-derno 3 che in tal modo «si formano le condizioni più favore-voli per un’espansione inaudita del materialismo storico. La stessa

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13 Cfr. Barbagallo-Croce, Intorno alla storia etico-politica: discussione se-conda, cit., p. 130.

14 Come ben riconosce Barbagallo nella seconda replica a Croce (ivi, p. 132).15 Gramsci, Quaderni del carcere, cit., p. 119.16 Ivi, p. 311.

povertà iniziale che il materialismo storico non può non averecome teoria diffusa di massa, lo renderà più espansivo»17.

Ho citato da testi appartenenti ai primi quaderni: in realtà,all’altezza del 1932 la posizione di Gramsci sarà un’altra, e, inquesto quadro, un altro sarà anche il giudizio sulla funzione po-litica svolta da Benedetto Croce. Pur rimanendo costante l’inte-resse per ciò che egli scrive in particolare «nel secondo dopoguerra»18, cioè nel corso degli anni Venti, la valutazione del rap-porto tra teoria dei distinti, storia etico-politica, materialismostorico, attualismo e fascismo, subisce delle trasformazioni ab-bastanza rilevanti.

2. Oxford 1930

È solo alla fine del 1930, che Gramsci giunge a enunciarel’urgenza di una riflessione sulla specificità della nuova fase delpensiero di Croce. L’elemento scatenante è la lettura del fasci-colo di ottobre 1930 della rivista “La Nuova Italia”. Qui, sottola rubrica Commenti e schermaglie, è pubblicata la «lettera diuno degli intervenuti» al VII Congresso internazionale di filo-sofia, tenutosi a Oxford dal 1° al 5 settembre19. Non è indicatoil nome dell’autore ma Gramsci – come scrive a Tatiana Schu-cht il 1° dicembre 1930 – vi riconosce «forse […] lo stesso Croceo per lo meno […] un suo discepolo»20. Nella lettera

si parla del contraddittorio, avvenuto al Congresso internazionaledei filosofi, tra Benedetto Croce e Lunaciarski a proposito dellaquistione se esiste o possa esistere una dottrina estetica del mate-

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17 Ivi, pp. 311-312.18 Ivi, p. 436. Cfr. ivi, pp. 120, 137-138 («è interessante osservare lo spo-

stamento del Croce dalla posizione “critica” a quella “attiva”»), 421, ecc.19 Cfr. il calendario dei lavori stampato in calce alla cronaca di B. Blan-

shard, The Seventh International Congress of Philosophy, in “The Journal ofPhilosophy”, 10, 1930, n. 22, pp. 589-609: 606-609.

20 La paternità crociana dello scritto è stata dimostrata da R. Pertici, Be-nedetto Croce collaboratore segreto della “Nuova Italia” di Luigi Russo (con“L’estetica marxistica” e altre schermaglie), in “Belfagor”, 36, 1981, n. 2, pp.187-206, spec. pp. 191-195.

rialismo storico. […] Da questa lettera appare che la posizione delCroce verso il materialismo storico è completamente mutata, daquella che era fino a qualche anno fa. Adesso il Croce sostiene,niente di meno, che il materialismo storico segna un ritorno al vec-chio teologismo […] medioevale, alla filosofia prekantiana e pre-cartesiana. Cosa strabiliante21.

In quel testo Croce22 affermava:

Debbo poi osservare al signor Lunatcharsky, che contrariamentealla sua credenza che il materialismo storico sia una concezione re-cisamente antimetafisica e sommamente realistica, quella dottrina è,peggio che metafisica, addirittura teologica, dividendo l’unico pro-cesso del reale in struttura e soprastruttura, noumeno e fenomeno,e ponendo sulla base come noumeno un Dio ascoso, l’Economia,che tira tutti i fili e che è la sola realtà nelle apparenze della mo-rale, della religione, della filosofia, dell’arte e via dicendo23.

Nella lettera citata Gramsci nota come questa definizione nonsolamente cambi profondamente la valutazione che del marxi-smo Croce aveva dato in precedenza24, ma contenga implicazionipolitiche dirette:

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21 A. Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di A.A. Santucci, Sellerio, Pa-lermo 1996, pp. 368-369.

22 In un posteriore appunto, nel Quaderno 10, Gramsci riconosce il nessotra quelle tesi e quanto da Croce già sostenuto in precedenza: «Discorso delCroce alla sezione di Estetica del Congresso filosofico di Oxford (riassuntonella “Nuova Italia” del 20 ottobre 1930): svolge in forma estrema le tesi sullafilosofia della praxis esposte nella Storia della Storiografia italiana nel secoloXIX» (Quaderni del carcere, cit., p. 1291). Cfr. B. Croce, Storia della storio-grafia italiana nel secolo decimonono (1921), 2 voll., Laterza, Bari 19473, vol.2, p. 136: «Il metafisico dualismo di natura e spirito, a dispetto di ogni “ten-denza al monismo” [Labriola], persisteva nella sua crudezza».

23 Il Congresso di Oxford, in “La Nuova Italia”, 1, 1930, n. 10, pp. 431-432: 432. Cfr. il racconto del diverbio in Blanshard, The Seventh Interna-tional Congress of Philosophy, cit., pp. 597-598.

24 «[…] credo che non sarebbe difficile rispondergli, attingendo nelle suestesse opere gli argomenti necessari e sufficienti» (Gramsci, Lettere dal car-cere, cit., p. 369). Cfr. anche Quaderni del carcere, cit., p. 851: «In ciò il Croceinnova “integralmente” tutta la sua critica del materialismo storico». Su que-sto testo, il § 1 del Quaderno 7 [b], tornerò più avanti. Il rinvio al numerodi paragrafo è fatto secondo l’ordinamento stabilito da Gianni Francioni per

Io credo che il Croce abbia ricorso a una gherminella polemicamolto trasparente e che il suo giudizio, più che un giudizio sto-rico-filosofico, sia niente altro che un atto di volontà, abbia cioèun fine pratico. Che molti così detti teorici del materialismo sto-rico siano caduti in una posizione filosofica simile a quella del teo-logismo medioevale e abbiano fatto della «struttura economica» unaspecie di «dio ignoto» è forse dimostrabile; ma cosa significherebbe?Sarebbe come se si volesse giudicare la religione del papa e dei ge-suiti e si parlasse delle superstizioni dei contadini bergamaschi25.

Identificando tutto il marxismo con le sue espressioni dete-riori (di cui si ammette l’esistenza: Gramsci ha qui in mente lacritica da lui stesso rivolta nel Quaderno 4 al «“marxismo” in“combinazione”» sorto dalla necessità politica di «rischiarare lemasse popolari, la cui cultura era medioevale»26), Croce compieuna scorrettezza di ragionamento, un errore logico, la cui ori-gine, però, è pratica. Egli intende schiacciare il marxismo sullesue forme più elementari, perché non vuole o non può conce-dere all’URSS di essere un punto di riferimento culturale com-plessivamente alternativo alla forma di cultura, di cui egli è mas-simo rappresentante. C’è qui il segnale di un’urgenza politica, dicui troveremo le tracce anche nel testo della relazione da Croceletta in quel congresso di filosofia.

Ma c’è un’urgenza politica anche dal lato di Gramsci. Nelmomento in cui scrive la lettera del 1° dicembre 1930, egli haappena interrotto il ciclo di conversazioni politiche sulla Costi-tuente27 e rinunciato a compilare un prospetto sulla storia degliintellettuali, due momenti collegati di un suo tentativo di inter-venire presso il partito in relazione all’impostazione da dare alla

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la nuova edizione critica (in preparazione). A questa farò seguire, tra paren-tesi quadre, quella dell’edizione critica curata da Valentino Gerratana, quandoesse divergano. In questo caso: [G § 1].

25 Gramsci, Lettere dal carcere, cit., p. 369.26 Gramsci, Quaderni del carcere, cit., pp. 422-423.27 Al suo arrivo in carcere ai «primi giorni di dicembre del 1930», Bruno

Tosin trovò un Gramsci «completamente in rotta» con i compagni: «Si eracreata una divisione netta fra Gramsci e gli altri» (cfr. M. Paulesu Quercioli[a cura di], Gramsci vivo nelle testimonianze dei suoi contemporanei, Feltri-nelli, Milano 1977, pp. 227-228).

lotta politica contro il fascismo. Con le sue ricerche sugli intel-lettuali, Gramsci stava giungendo alla conclusione che il regimefascista non era un’escrescenza superficiale, che il suo potere siesercitava facendo leva su aspetti di lungo periodo della storiadella borghesia italiana, e che per abbatterlo occorreva tener contodel suo carattere diffuso, capillare, ciò che escludeva qualsiasistrategia dell’assalto diretto e qualsiasi idea di crollo catastroficodel sistema di potere capitalistico28.

Gramsci si trova insomma, all’inizio di dicembre 1930, in unasituazione di difficoltà politica, che trova un riflesso nel seguenteinciso contenuto nella lettera del 1° del mese: «Se Giulia potessefarlo, dovrebbe informarmi se la polemica Croce-Lunaciarskidarà luogo a manifestazioni intellettuali di qualche importanza»29.Il riferimento non è solo a Giulia, ma anche a Togliatti, viaSraffa30, in un duplice senso: Gramsci chiede di essere tenuto alcorrente del modo in cui dall’URSS si risponde all’obiezione dideterminismo metafisico mossa da Croce31; ma ritiene anche didover segnalare che la discussione sulla teoria e la storia degliintellettuali, e sulla connessa nozione generale di egemonia32, an-dava proseguita precisamente come unica risposta possibile alleaccuse mosse da Croce.

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28 Per un’esposizione approfondita di questi aspetti rinvio al mio Note sulprogramma di lavoro sugli «intellettuali italiani» alla luce della nuova edizionecritica, in “Studi storici”, 52, 2011, n. 4, pp. 905-924.

29 Gramsci, Lettere dal carcere, cit., pp. 369-370.30 Cfr. A. Rossi, G. Vacca, Gramsci tra Mussolini e Stalin, Fazi, Roma 2007,

pp. 27-29; A. Rossi, Tra Gramsci e Togliatti. L’ultimo dibattito: le lettere suCroce, in “La Capitanata”, XLI, 2003, pp. 199-220; Id., Gramsci da eretico aicona. Storia di un «cazzotto nell’occhio», Guida, Napoli 2010, pp. 27-28, 71-72.

31 Gramsci dovette interpretare il saggio di D.S. Mirskij, Bourgeois Hi-story and Historical Materialism (in “Labour Monthly”, July 1931, pp. 453-459) come una risposta che andava nella direzione da lui propugnata. In essola filosofia di Benedetto Croce veniva definita «forse la più coerente espres-sione teorica dell’agonizzante mondo borghese», sviluppatasi «in diretta op-posizione al materialismo storico» (ivi, p. 455). E «l’essenza del marxismo» viveniva individuata nella «indissolubile unità di teoria e pratica», che «ha comesua conseguenza l’unità di storia e politica» (ivi, pp. 457-458). Si legga la let-tera a Tatiana del 3 agosto 1931 («un saggio molto interessante e pregevole»,Lettere dal carcere, cit., p. 440).

32 Su questo concetto cfr. V. Gerratana, Stato, partito, strumenti e istitu-

3. Una «“gherminella” polemica»

Ripensando la natura del fascismo, Gramsci inizia a rivedereanche quello schema a tre – Croce, marxismo (comunismo), fa-scismo – che all’inizio aveva riassunto sotto il segno di una pa-ralisi dell’egemonia borghese. Se il quadro cambia, se il fascismoinizia a profilarsi come forma nuova di egemonia, occorre mu-tare tutti i riferimenti, ivi compresa l’idea che un marxismo vol-garizzato possa essere il fattore che risolve la crisi di egemonia.Tutto diventa più complesso e difficile, perché a ciò si aggiungeun’ulteriore, duplice novità: da una parte il nuovo atteggiamentodi Croce, che occupando un proscenio che raccoglie l’élite filo-sofica internazionale, chiama a raccolta nella lotta contro il co-munismo (come si evince sia dalla discussione con Lunačarskij,sia, come subito vedremo, dalla sua relazione su Antistoricismo);dall’altra, in campo comunista, il blocco di elaborazione teoricasull’egemonia, attestato dalla strategia dell’assalto diretto e dalcatastrofismo a essa collegato.

Il segnale del disagio in cui Gramsci si muove in questo mo-mento è lo schema abbozzato nel primo testo della seconda se-rie di Appunti di filosofia, scritto a brevissima distanza dalla let-tura del fascicolo ottobrino de “La Nuova Italia”, nel novem-bre 1930, e intitolato Benedetto Croce e il materialismo storico.A proposito del discorso del Croce nella sezione di Estetica delCongresso filosofico di Oxford. Qui il modello, da Gramsci giàdelineato in precedenza, della traduzione reciproca di politica efilosofia come forma concreta dell’unità di teoria e pratica, e inquanto tale come elemento caratteristico del materialismo sto-rico33, viene ripreso e combinato con la coppia Riforma-Rina-scimento, anch’essa utilizzata in precedenza da Gramsci – pren-dendo ispirazione dalla crociana Storia dell’età barocca – per

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zioni dell’egemonia nei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, in B. de Gio-vanni et al., Egemonia, Stato e partito in Gramsci, Editori Riuniti, Roma 1977,pp. 37-54; G. Francioni, Egemonia, società civile, Stato. Note per una letturadella teoria politica di Gramsci, in Id., L’officina gramsciana. Ipotesi sulla strut-tura dei «Quaderni dal carcere», Bibliopolis, Napoli 1984, pp. 147-228.

33 Cfr. Gramsci, Quaderni del carcere, cit., pp. 468-469.

pensare la complessa realtà del marxismo, come unità o unifica-zione di masse e intellettuali34.

Questi due elementi di riflessione avevano funzioni differenti.Il criterio della traducibilità dei linguaggi era l’espressione di unafilosofia, il marxismo, che ha conquistato il criterio dell’unità diteoria e pratica, e che per questa ragione è capace di condurreanalisi realistiche dei rapporti tra culture nazionali, eventualmentesmentendo le auto-rappresentazioni ideologiche degli intellet-tuali35. Invece la coppia Riforma-Rinascimento serviva a indicareal marxismo stesso un compito da realizzare, affinché quell’u-nità di teoria e pratica diventasse, oltre che criterio analitico, an-che pratica di massa.

Combinando i due piani in questo testo del Quaderno 7,Gramsci avvia tumultuosamente (il testo è di ardua lettura eviene nella seconda stesura fortemente semplificato)36 una rifles-sione simultanea sui limiti dell’approccio analitico di Croce esulle modalità concrete di unificazione di intellettuali e masse.Egli scrive:

La traduzione dei termini di un sistema filosofico nei termini di unaltro, così come del linguaggio di un economista nel linguaggio diun altro economista ha dei limiti e questi limiti sono dati dalla na-tura fondamentale dei sistemi filosofici o dei sistemi economici; cioènella filosofia tradizionale ciò è possibile, mentre non è possibiletra la filosofia tradizionale e il materialismo storico. Lo stesso prin-cipio della traducibilità reciproca è un elemento «critico» inerenteal materialismo storico, in quanto si presuppone e si postula cheuna data fase della civiltà ha una «fondamentalmente identica» espres-

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34 Cfr. ivi, pp. 421-423. Sull’intervento di queste «tesi di filosofia della sto-ria» nel modello analitico gramsciano cfr. N. De Domenico, Una fonte tra-scurata dei “Quaderni del carcere” di Antonio Gramsci: il “Labour Monthly”del 1931, in “Atti della Accademia Peloritana dei Pericolanti”. Classe di let-tere, Filosofia e Belle Arti, 262, 1991, Vol. 67, pp. 1-34: 15 sgg.

35 «Una [cultura nazionale] è realmente superiore all’altra, ma non semprein ciò che i loro rappresentanti e i loro fanatici chierici pretendono; se cosìnon fosse non ci sarebbe progresso reale, che avviene anche per spinte “na-zionali”» (Gramsci, Quaderni del carcere, cit., pp. 468-469).

36 Cfr. ivi, p. 1468. Nella sua edizione, Gerratana non riconosce questo te-sto (Quaderno 11, 5°, § 2 [G § 47]) come seconda stesura della prima partedi Quaderno 7 [b], § 1 [G § 1].

sione culturale e filosofica, anche se l’espressione ha un linguaggiodiverso dalla tradizione particolare di ciascuna «nazione» o di ognisistema filosofico37.

Il materialismo storico, sulla base dell’unità di filosofia e po-litica, è in grado di tradurre criticamente le espressioni ideolo-giche le une nelle altre. Ed è per questa ragione che esso è “in-traducibile” nei termini della filosofia tradizionale, cioè non puòessere “ridotto” a nessuna forma di pensiero anteriore. Pertanto,sostenendo che il materialismo storico è una dottrina «peggioche metafisica, addirittura teologica», Croce opererebbe una “tra-duzione” di una parte del materialismo storico – quella più ar-retrata – nei termini della vecchia filosofia. Ma si servirebbe atale scopo proprio del metodo del materialismo storico. PerciòGramsci nota che Croce commette «un arbitrio, curioso: avrebbericorso a una “gherminella” polemica, si sarebbe servito di unelemento critico del materialismo storico per assalire in bloccotutto il materialismo storico presentandolo come una concezionedel mondo in arretrato persino su Kant»38. Viceversa, è propriol’esistenza di questo criterio di reciproca riduzione, ciò che rendeil materialismo storico irriducibile a qualsiasi altra filosofia.

Come si vede, Riforma e Rinascimento non sono più tenuteinsieme da un nesso spontaneo: il legame tra i due momenti èun lavoro politico che viene attivamente realizzato dalla tradu-cibilità dei linguaggi. In questo modo, Gramsci inizia a metterein discussione l’idea che il materialismo storico possa risorgeregrazie alla crisi di egemonia. Non casualmente, il testo succes-sivo ricorda l’avvertenza di Lenin nel 1921: «non abbiamo sa-puto “tradurre” nelle lingue “europee” la nostra lingua»39. Gram-sci riprende la questione dalle sue origini politiche, quando nelmovimento comunista internazionale iniziò a rivelarsi un limitedi capacità di traduzione, e Lenin indicò nello sviluppo teoricoe pratico del terreno dell’egemonia il modo in cui realisticamentequel limite poteva essere superato.

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37 Gramsci, Quaderni del carcere, cit., p. 851.38 Ibidem.39 Ivi, p. 854.

Non è un caso se nella Seconda serie di Appunti di filosofiasi affollano le riflessioni sul passaggio dalla guerra di movimentoalla guerra di posizione, che diventa il prisma a partire dal qualerileggere il nesso tra struttura e superstruttura, già esplorato nellaPrima serie, in termini radicalmente anti-economicistici40.

4. Il nuovo Erasmo

Dalla registrazione della «gherminella» discende l’inedito (perGramsci) accostamento, nel § 1 del Quaderno 7 [b]41 [G § 1] enella citata lettera del 1° dicembre 193042, di Croce a Erasmo:come Erasmo, Croce non sa (più) vedere nella Riforma la pre-messa di una nuova civiltà. Ciò s’intende appieno solo se siprende in considerazione, oltre al diverbio con Lunačarskij sul-l’estetica, anche il testo della sua relazione al congresso oxo-niense. Qui infatti Gramsci trovava, come subito vedremo, siala dichiarazione esplicita di avversione di Croce verso il comu-nismo in quanto “antistoria”, sia il suo rifiuto di prendere inconsiderazione la possibilità che esso potesse convertirsi in unnuovo principio di civiltà.

Sotto il segno di Erasmo, alla fine del 1930, Gramsci sembradunque orientarsi verso una lettura che colloca Croce in com-pagnia di Thomas Mann, José Ortega y Gasset, Johan Huizingaed Ernst R. Curtius43: cioè tra chi, all’alba degli anni Trenta ri-flette da liberale sulla crisi profonda dell’Europa dinnanzi al sor-gere dei totalitarismi. Questa lettura è adombrata nel primo com-

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40 Cfr. G. Cospito, Il ritmo del pensiero. Per una lettura diacronica dei«Quaderni del carcere» di Gramsci, Bibliopolis, Napoli 2011, pp. 40-44.

41 Cfr. Gramsci, Quaderni del carcere, cit., pp. 851-852.42 Gramsci, Lettere dal carcere, cit., p. 369.43 Cfr. E. Giammattei, Croce, Oxford 1930, in “Intersezioni”, 27, 2007,

pp. 193-214, poi in Ead., I dintorni di Croce. Tra figure e corrispondenze,Guida, Napoli 2009, pp. 109-131: 119-126. La contestualizzazione del pensierodi Croce all’interno della meditazione europea sulla decadenza e sulla “malat-tia” dell’Occidente, è al centro di D. Conte, Storia universale e patologia delloSpirito. Saggio su Croce, il Mulino, Bologna 2005, pp. 141-236.

mento a caldo, scritto nel Quaderno 6 nel novembre 1930, su-bito dopo aver letto il testo:

Il discorso di Croce al Congresso di filosofia di Oxford è in realtàun manifesto politico, di una unione internazionale dei grandi in-tellettuali di ogni nazione, specialmente dell’Europa; e non si puònegare che questo possa diventare un partito importante che puòavere una funzione non piccola. Oggi si verifica nel mondo mo-derno un fenomeno simile a quello del distacco tra «spirituale» e«temporale» nel Medio Evo […]. I raggruppamenti sociali regres-sivi e conservativi si riducono sempre più alla loro fase iniziale eco-nomica-corporativa, mentre i raggruppamenti progressivi e innova-tori si trovano ancora nella fase iniziale appunto economica-cor-porativa; gli intellettuali tradizionali, staccandosi dal raggruppamentosociale al quale avevano dato finora la forma più alta e compren-siva e quindi la coscienza più vasta e perfetta dello Stato moderno,in realtà compiono un atto di incalcolabile portata storica: segnanoe sanzionano la crisi statale nella sua forma decisiva44.

Gramsci si riferisce probabilmente al seguente passaggio:

[…] e farò l’ipotesi che io […] non riesca a scorgere il quid maiusche si viene preparando tra la rozzezza e la barbarie di quel mo-vimento, e scambii per depressione quella che è elevazione, per in-fermità un fruttifero travaglio spirituale, per terrena pazzia la sacrafollia della croce. Data questa ipotesi, posto il caso che una nuovaciviltà sia in elaborazione, quale dovere spetterebbe a noi, filosofie storici […]? Dovremmo, per un quid maius presunto e che benmerita questa volta di essere accompagnato dal nescio, aiutare al-l’opera di distruzione e abbandonare il nostro posto di combatti-mento per seguire le turbe nemiche verso un segno che non co-nosciamo? […] se, concesso che il nuovo popolo, la nuova storia,la nuova civiltà italiana nascessero dalle invasioni barbariche, vi-vendo uno di noi, cultori del vero, nel quinto o nel sesto secolo,al tempo dei goti o dei longobardi, avrebbe scelto il suo posto ac-canto a un Totila e a un Alboino, o non piuttosto a un Boezio ea un Gregorio? – A questi ultimi, che continuarono la tradizioneromana, e non a coloro che rapinarono e scannarono coi goti e coifedissimi longobardi, si deve se questi barbari cessarono a poco a

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44 Gramsci, Quaderni del carcere, cit., pp. 690-691.

poco di essere barbari e, dando e ricevendo, concorsero a generaregl’italiani dei Comuni e quelli del Rinascimento45.

Pur ammettendo che i rivolgimenti contemporanei siano l’an-nuncio confuso e rozzo di una nuova civiltà, e non una mera«malattia» dell’attuale, compito del sacerdote della verità è di“trattenere” la storia e non di accelerarla, perché solo così si dàveramente alimento alla civiltà nascente, che sarà vera civiltà sesaprà rivivere in sé l’eredità del vecchio mondo, come fecero iComuni e il mondo rinascimentale.

La complessa categoria di “antistoricismo” unisce in un solfascio, come subito riconobbero i partecipanti al convegno46, lavorticosa realtà americana, la corsa sovietica verso l’industrializ-zazione, e la tendenza fascista verso una tradizione immemo-riale. Croce del resto argomenta la reciproca conversione di que-ste forme le une nelle altre, per cui quando caratterizza l’anti-storicismo classicista come quello che «rispetto alla vita sociale,[…] pone il suo ideale in ordinamenti che sopprimano l’inizia-tiva personale, e con ciò la concorrenza, la gara, la lotta»47, vi sipuò riconoscere, oltre al fascismo, anche il bolscevismo. Questoideale, prosegue infatti Croce con una trasparente allusione alpiano quinquennale sovietico, è una razionalistica e astratta «im-posizione dall’alto del ritmo della vita», una «regola che, invecedi essere creata dall’uomo come suo strumento, debba essa crearel’uomo»48. In sostanza, per Croce gli industriali americani, i bol-scevichi, i fascisti sono gli odierni Goti, da cui l’intellettuale ha

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45 B. Croce, Antistoricismo, in “La Critica”, 28, 1930, n. 5, pp. 401-409:408-409.

46 «Between the lines one could read Croce’s reference to what Americastands for in European eyes, and to what he considers the wild experimenta-tion in Russia. The second form of futurism is an exaltation of the absolute,of system and uniformity, which in art would return to a rigorous classicism,and in social matters would suppress individual enterprise by an inflexible rulefrom above. (Surely, said his hearers to themselves, this is Fascism or nothing)»(Blanshard, The Seventh International Congress of Philosophy, cit., p. 592).

47 Croce, Antistoricismo, cit., p. 402.48 Ivi, p. 406.

il dovere di appartarsi: solo così egli potrà trasmettere al futuroi valori che non possono tramontare.

Gramsci riconosce immediatamente il valore politico dellapresa di posizione di Croce, che, per il luogo in cui viene fatta,acquista una straordinaria risonanza internazionale49. Tuttavia eglilegge questo «manifesto politico» più come l’espressione dellacrisi che come l’avvio della sua risoluzione, perché il progettodi cui è latore (favorire il sorgere di una nuova civiltà borgheseproprio grazie alla non partecipazione attiva ai processi in corso)non tiene conto del fatto che – come Gramsci scrive poco piùavanti nello stesso testo –, a differenza di ciò che accadde nelMedioevo, «oggi lo “spirituale” che si stacca dal “temporale” ese ne distingue come a se stante, è un qualcosa di disorganico,di discentrato, un pulviscolo instabile di grandi personalità cul-turali “senza Papa” e senza territorio»50.

Nella stessa luce può essere letto un appunto scritto pocodopo, tra marzo e agosto 1931, su Croce e Giolitti, in cui i duevengono accomunati per il fatto che

non compresero dove andava la corrente storica e praticamente aiu-tarono ciò che poi avrebbero voluto evitare e cercarono di com-battere. In realtà, come Giolitti non comprese quale mutamentoaveva portato nel meccanismo della vita politica italiana l’ingressodelle grandi masse popolari, così Croce non capì, praticamente, qualepotente influsso culturale (nel senso di modificare i quadri direttiviintellettuali) avrebbero avuto le passioni immediate di queste masse51.

Croce, fascismo, comunismo 155

49 Blanshard, The Seventh International Congress of Philosophy, cit., pp.591-592, conferma indirettamente la lettura di Gramsci. Dopo aver ricordatoil commento di Whitehead, secondo cui lo stato della filosofia attuale era pa-ragonabile alla Grecia immediatamente prima di Socrate, cioè a una situazionedi perdita di vecchi paradigmi senza che dei nuovi li abbiano ancora sostituiti,egli prosegue: «There was only one notable exception to this at the Congress,and that was Croce. […] Croce appeared as the one redoubtable advocate ofa philosophy on the grand scale, and his presence, so far as one could judge,aroused more notice than that of any other member. Since his chief paper,printed in Italian, had, even apart from its authorship, a good deal of generalinterest, it deserves special notice».

50 Gramsci, Quaderni del carcere, cit., p. 691.51 Ivi, pp. 779-780.

In questo passaggio, lasciato in stesura unica, il giudizio conil quale Gramsci avvia nei Quaderni la riflessione su Croce ap-pare ribaltato: proprio chi aveva capito che la conflagrazione bel-lica era “la guerra del materialismo storico”, viene assimilato alpolitico che accompagnò la conclusione del liberalismo in Italia.Tutta la riflessione assimilatrice sul mito e sull’ideologia, l’usoaccorto di De Man, l’avvio di una nuova stagione storiografica,la «viva […] coscienza che tutti i movimenti di pensiero mo-derni portano a una rivalutazione trionfale del materialismo sto-rico», l’«intelligenza eccezionale dei pericoli e dei mezzi dialet-tici di ovviarli»52: tutto ciò viene ora messo in ombra. Le con-siderazioni sulla traducibilità come capacità di riconoscere la po-litica sotto le spoglie dell’astrazione, lasciano qui il posto a ungiudizio sbrigativo, che probabilmente esprime più la difficoltà,per Gramsci, di venire a capo della linea d’azione enunciata daCroce – la non collaborazione con le forze barbariche comeunico modo per contribuire realmente al progresso comune –che una risposta coerente a essa.

Nella nota di Gramsci su Antistoricismo si trova infatti unodei rari apprezzamenti per Gentile rispetto a Croce, precisamentein relazione al tema storia/antistoria: «È da vedere in quantol’“attualismo” di Gentile corrisponde alla fase statale positiva, acui invece fa opposizione il Croce. L’“unità nell’atto” dà la pos-sibilità al Gentile di riconoscere come “storia” ciò che per ilCroce è antistoria»53. Proprio quella capacità di tener fermo alle“distinzioni” (e pensare su piani differenti storia e storiografia,e quindi “antistoria” e “antistoricismo”), che è per Gramsci ilpunto di reale superiorità teorica di Croce su Gentile, viene quidubitativamente rovesciata di valore, e Gramsci si chiede se l’ac-centuazione gentiliana del superamento speculativo non corri-sponda poi, in politica, alla capacità di porsi realmente sul ter-reno universale dello Stato.

A testimonianza del carattere oscillante della riflessione diGramsci in queste settimane, si consideri infine il § 17 del Qua-

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52 Ivi, p. 119.53 Ivi, p. 691.

derno 7 [b] [G § 17], scritto anch’esso, come il precedente, nelnovembre-dicembre 1930. In questa nota, intitolata Croce, il rap-porto con Gentile è risolto a favore di Croce, anche se si ag-giunge che il papa occupa una posizione, dal punto di vista ege-monico, di «maggiore importanza» perché «egli è a capo di unapparato direttivo fortemente centralizzato e disciplinato, ciò chenon si può dire del Croce», che è un intellettuale cosmopolitaerede della tradizione rinascimentale54. Riaffermando il nessoCroce-Erasmo, Gramsci proietta qui l’analisi già su un altropiano – quello dell’egemonia come fatto specificamente “rina-scimentale” – che anticipa l’approccio del Quaderno 10.

5. Un «trattato di rivoluzioni passive»

Il commento al discorso di Oxford è soltanto l’avvio di unariconsiderazione complessiva del pensiero di Croce, che Gram-sci intraprende nel corso del 1931 e che lo conduce al giudizioda cui abbiamo preso le mosse. Tale giudizio è reso possibiledall’elaborazione della categoria di “rivoluzione passiva”, che nel1932 diventa, al contempo, anche una chiave di lettura per il fa-scismo. Essa è perciò decisiva per intendere il modo in cui loschema a tre – Croce, fascismo, comunismo – si ridefinisce e sisistema definitivamente.

Non è questo il luogo per ripercorrere il modo in cui il con-cetto di rivoluzione passiva sorge e viene gradualmente elabo-rato nei Quaderni del carcere55. Basterà qui ricordare che essosi emancipa progressivamente dal legame esclusivo con il rinviooriginario al Risorgimento italiano come processo non popolare-nazionale, e passa a designare i processi di costituzione dell’e-gemonia propri della borghesia al potere. Ciò implica un ripen-

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54 Ivi, pp. 867-868.55 Cfr. almeno P. Voza, Rivoluzione passiva, in F. Frosini, G. Liguori (a

cura di), Le parole di Gramsci. Per un lessico dei Quaderni del carcere, Ca-rocci, Roma 2004, pp. 189-207; Id., Rivoluzione passiva, in G. Liguori, P. Voza(a cura di), Dizionario gramsciano 1926-1937, Carocci, Roma 2009, pp. 724-728.

samento anche del Risorgimento, e in questo quadro della atti-vità storiografica di Croce. Nel febbraio del 1932 Gramsci – pro-prio in riferimento a questa attività storiografica – formula l’i-potesi di un nesso tra trasformismo e rivoluzione passiva, dasaggiare anche per il periodo «dal 900 in poi»56; e dopo pochigiorni enuncia il proposito di «stabilire con esattezza il signifi-cato storico e politico dello storicismo crociano» riducendolo«alla sua reale portata»57. Il mese successivo, in marzo, Gramsciprende appunti sull’«equivoco in cui si mantiene la più recentestoriografia del Croce […] basato su questa confusione tra lastoria come storia della libertà e la storia come apologia del li-beralismo»58; e in aprile, nel testo che immediatamente precedequello sulla Storia d’Europa come «trattato di rivoluzioni pas-sive», denuncia per la prima volta il carattere “teologico” delpensiero crociano, ciò che rende «vana» «ogni affermazione di“storicismo”»59.

A questa altezza, l’accostamento di Croce a Erasmo assumeun nuovo significato. Il rifiuto dell’impegno, il tenersi in disparte,l’essere cioè l’intellettuale organicamente contrario al coinvolgi-mento attivo nei processi di formazione della volontà popolare,non è più da interpretare in termini solo negativi, privativi. Que-sta negatività è una forma di azione, esattamente come la passi-vità della rivoluzione passiva è una (nuova) modalità di forma-zione egemonica.

Quando nel 1932 uscì la Storia d’Europa nel secolo decimo-nono, che Gramsci poté leggere in parte60, egli aveva già pronto

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56 Gramsci, Quaderni del carcere, cit., p. 962.57 Ivi, p. 966.58 Ivi, p. 1007.59 Ivi, p. 1082.60 A Gramsci non fu consegnato, finché fu a Turi (cioè fino al novembre

1933), il volume. Ne lesse però i primi tre capitoli in un opuscolo stampatoa parte (B. Croce, Capitoli introduttivi di una storia dell’Europa del secolodecimonono. Memoria letta all’Accademia di scienze morali e politiche dellaSocietà Reale di Napoli dal socio Benedetto Croce, [s.n.], Napoli 1931), giuntoa Turi probabilmente tra la fine del 1931 e l’inizio del 1932. Su tutto ciò rin-vio al mio I “Quaderni” tra Mussolini e Croce, in “Critica marxista”, 2012,n. 4, pp. 60-68.

un giudizio elaborato e del tutto originale, che finiva per rico-noscere due elementi del tutto nuovi: il carattere non dissolu-tivo e “catecontico”, ma costruttivo e a suo modo “rivoluzio-nario” dell’intervento crociano, e, a ciò legato, il fatto che tral’antifascismo crociano e il fascismo vi fosse una parentela or-ganica, anche se tutt’altro che apparente. Quello di Croce, egliafferma in un testo (Quaderno 8 [b], § 71 [G § 236]) dell’apriledi quell’anno,

è un trattato di rivoluzioni passive, per dirla con l’espressione delCuoco, che non possono giustificarsi e comprendersi senza la ri-voluzione francese, che è stata un evento europeo e mondiale e nonsolo francese. (Può avere questa trattazione un riferimento attuale?Un nuovo «liberalismo», nelle condizioni moderne, non sarebbepoi precisamente il «fascismo»? Non sarebbe il fascismo precisa-mente la forma di «rivoluzione passiva» propria del secolo XXcome il liberalismo lo è stato del secolo XIX? All’argomento hoaccennato in altra nota, e tutto l’argomento è da approfondire). (Sipotrebbe così concepire: la rivoluzione passiva si verificherebbe nelfatto di trasformare la struttura economica «riformisticamente» daindividualistica a economia secondo un piano (economia diretta) el’avvento di una «economia media» tra quella individualistica purae quella secondo un piano in senso integrale, permetterebbe il pas-saggio a forme politiche e culturali più progredite senza cataclismiradicali e distruttivi in forma sterminatrice. Il «corporativismo» po-trebbe essere o diventare, sviluppandosi, questa forma economicamedia di carattere «passivo»)61.

Come si vede, l’ipotesi che il fascismo sia la forma di rivo-luzione passiva del secolo XX nasce come un’incidentale dellariflessione sull’attività storiografica di Croce; e a ciò si collegala ripresa di un accenno, fatto nel Quaderno 1, alle corporazioni

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61 Gramsci, Quaderni del carcere, cit., pp. 1088-1089. Non si capisce comeL. Canfora (Spie, URSS, antifascismo. Gramsci 1926-1937, Salerno editrice,Roma 2012), dopo aver riportato l’espressione «cataclismi radicali e distruttiviin forma sterminatrice», possa commentare: «dove oltre tutto il riferimento aquanto accaduto in URSS non potrebbe essere più chiaro» (p. 162). In realtàil riferimento non è affatto chiaro, e non rinvia all’URSS, ma all’Italia, comemostrerò in un saggio di prossima pubblicazione in “Critica marxista”.

come forma di modernizzazione dell’economia e della societàitaliane (a ciò rinvia l’osservazione «All’argomento ho accennatoin altra nota»62).

In questo giro di mesi si consuma definitivamente la valuta-zione dell’attività di Croce come “dissolutiva” dello Stato, maanche, contestualmente, il giudizio della prima metà del 1930 sulfascismo come “regressione corporativa”. Al contrario, oggetti-vamente, in quanto teorizzazione della rivoluzione passiva, lastoriografia crociana appoggia il fascismo come tentativo di usciredalla crisi di egemonia in modo non catastrofico63. Nell’Europadegli anni Trenta è necessario progettare una nuova forma diegemonia capace di assorbire l’urto delle masse mobilitate e sin-dacalizzate, e della rivoluzione del 191764. Il fascismo è l’equi-valente della Restaurazione post-napoleonica e oggettivamenteCroce, teorizzando la rivoluzione passiva come strategia politicaliberale, favorisce un avvicinamento organico, a scala europea,tra il liberalismo in crisi e i nuovi movimenti populisti che cre-scono e si affermano in diversi paesi europei. Egli accetta dun-que implicitamente il fascismo come fatto “europeo” più che ita-liano, perché esso si dimostra capace di reintrodurre le massenello Stato grazie al corporativismo, cioè al graduale superamentodell’individualismo economico, e in questo modo riesce ancorauna volta a riassorbire le classi subalterne dentro le strategie bor-ghesi, evitando che il conflitto sociale dilaghi in modo catastro-fico sul terreno politico.

Questo testo del Quaderno 10 risale all’inizio di maggio 1932.Poco dopo, nella lettera del 6 giugno, Gramsci giunge a un giu-dizio definitivo sul nesso tra Croce e il fascismo proprio in ri-ferimento alla capacità di calamitare in modo passivo le classisubalterne dentro lo Stato. Molti fascisti, afferma Gramsci, «sonopersuasi dell’utilità della posizione presa dal Croce, che crea la

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62 In apparato, Gerratana rinvia (ma dubbiosamente) a Quaderno 8 [c], §36 [G § 36], del febbraio 1932. Ritengo invece che Gramsci alluda a Qua-derno 1, § 135.

63 Mi sono soffermato ampiamente su questi aspetti nel mio Fascismo, par-lamentarismo e lotta per il comunismo in Gramsci, in “Critica marxista”, n.s.,2011, n. 5, pp. 29-35, e in I “Quaderni” tra Mussolini e Croce, cit., a cui rinvio.

64 Cfr. Gramsci, Quaderni del carcere, cit., p. 1824.

situazione in cui è possibile l’educazione reale alla vita stataledei nuovi gruppi dirigenti affiorati nel dopoguerra»65. L’assorbi-mento delle classi subalterne in forma passiva dentro lo Stato

assume una portata imponente nel dopoguerra, quando pare che ilgruppo dirigente tradizionale non sia in grado di assimilare e di-gerire le nuove forze espresse dagli avvenimenti. Ma questo gruppodirigente è più «malin» e capace di quanto si poteva pensare: l’as-sorbimento è difficile e gravoso, ma avviene nonostante tutto, permolte vie e con metodi diversi. L’attività del Croce è una di que-ste vie e di questi metodi; il suo insegnamento produce forse lamaggior quantità di «succhi gastrici» atti all’opera di digestione.Collocata in una prospettiva storica, della storia italiana, natural-mente, l’operosità del Croce appare come la più potente macchinaper «conformare» le forze nuove ai suoi interessi vitali (non soloimmediati, ma anche futuri) che il gruppo dominante oggi possiedae che io credo apprezzi giustamente, nonostante qualche superfi-ciale apparenza. Quando si gettano in fusione corpi diversi da cuisi vuole ottenere una lega, l’effervescenza superficiale indica appuntoche la lega si sta formando e non viceversa. Del resto, in questifatti umani la concordia si presenta sempre come discors, come unalotta e una zuffa e non come un abbracciamento da palcoscenico.Ma è sempre concordia e della più intima e fattiva66.

Qui siamo in un certo senso alla fine di un percorso, chesolo in apparenza ci riconduce allo scritto del 1926 Alcuni temidella quistione meridionale, in cui Benedetto Croce e GiustinoFortunato venivano definiti «i reazionari più operosi della peni-sola»67. La teoria della rivoluzione passiva permette ora a Gram-sci di riconoscere il sorgere di una nuova organizzazione com-plessiva del rapporto tra Stato e società. L’attività di “tratteni-mento” è ora riconosciuta nella sua funzione costruttiva, comeassorbimento dei leaders espressi dai ceti subalterni (i «nuovigruppi dirigenti affiorati nel dopoguerra»), proprio grazie al-

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65 Gramsci, Lettere dal carcere, cit., p. 586.66 Ivi, pp. 586-587.67 A. Gramsci, La costruzione del Partito comunista. 1924-1926, a cura di

E. Fubini, Einaudi, Torino 1971, p. 155.

l’antifascismo metapolitico, nell’organizzazione del nuovo Statofascista.

Croce intende “salvare” i grandi valori dell’umanesimo – maper affermare quale obiettivo? «Per ottenere un’attività riformi-stica dall’alto, che attenui le antitesi e le concilii in una nuovalegalità ottenuta “trasformisticamente”»68. In questo modo Crocecontribuirebbe «a un rafforzamento del fascismo, fornendogli in-direttamente una giustificazione mentale dopo aver contribuitoa depurarlo di alcune caratteristiche secondarie»69, e farebbe cosìda «tramite fra la stabilizzazione del capitalismo, a cui la so-cialdemocrazia tendeva in Europa fin dal dopoguerra, e quellaoperata in Italia dal fascismo»70.

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68 Gramsci, Quaderni del carcere, cit., p. 1261.69 Ivi, p. 1228.70 Rossi, Vacca, Gramsci tra Mussolini e Stalin, cit., p. 53. Il rinvio è evi-

dentemente al quadro disegnato da C.S. Maier, La rifondazione dell’Europaborghese. Francia, Germania e Italia nel decennio successivo alla prima guerramondiale (1975), trad. it. di R. Rossini, il Mulino, Bologna 1999. Ma cfr. an-che A. Salsano, Ingegneri e politici. Dalla razionalizzazione alla «rivoluzionemanageriale», Einaudi, Torino 1987; Id., L’altro corporativismo. Tecnocrazia emanagerialismo tra le due guerre, Il Segnalibro Editore, Torino 2003.