Fascismo e storia greca

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TRACCE Percorsi internazionali di storia contemporanea Comitato direttivo Elisa Grandi e Deborah Paci

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TRACCE

Percorsi internazionali di storia contemporanea

Comitato direttivoElisa Grandi e Deborah Paci

Nella stessa collana:

Elisa Grandi, Deborah Paci (a cura di)La politica degli esperti.

Tecnici e tecnocrati in età contemporanea

SULLE SPALLE DEGLI ANTICHI

Eredità classica e costruzione delle identità nazionali

nel Novecento

a cura diJacopo Bassi e Gianluca Canè

EDIZIONI UNICOPLI

L’Editore ha cercato di reperire tutte le fonti delle illustrazioni, ma alcune re-stano sconosciute. L’Editore porrà rimedio, in caso di segnalazione, alle invo-lontarie omissioni o ad errori nei riferimenti.

Coordinamento redazionale: Jacopo Bassi, Gianluca Canè

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INDICE

p. 7 Introduzione, di Jacopo Bassi e Gianluca Canè

23 Parte prima IL MODELLO CLASSICO: L’ARCHEOLOGIA E LA STORIOGRAFIA COME STRUMENTI POLITICI

25 Il fascismo e la storia greca di Dino Piovan

39 Il nodo gordiano macedone. Archeologia, identità etnica e appartenenza politica di Maja Gori

53 “Romana la terra, cattolica la fede, italici i destini”. Romanità e italianità a Malta durante il ventennio fascista di Deborah Paci

69 LatetrarchiadiSlobodanMilošević. Imperatori tardoantichi nella Serbia degli anni Novanta di Filippo Carlà

83 Parte seconda NATION-BUILDING ED EREDITÀ CLASSICA

85 La latinità nel Novecento romeno. I dibattiti intellettuali interbellici e le politiche culturali comuniste di Francesco Zavatti

Indice6

p. 101 Le rappresentazioni dell’età romana nella narrazione nazionale algerina di Emmanuel Alcaraz

117 Il Partenone impossibile. Ilclassicismoturcodell’Anıtkabir di Matthew Gumpert

137 Parte terza LA NAZIONE CONTRO L’IMPERO L’Impero romano come modello negativo nel nazionalismo

139 Il mito di Masada nello Stato di Israele di Erminio Fonzo

151 Il druido, il sacerdote e la patria. La Francia tra il 1870 e il 1919 di Julien Bouchet e Laurent Lamoine

165 L’eroe indomito. Viriato nella mitologia nazionalista spagnola di Tomás Aguilera Durán

181 Appendice BUSSOLE

227 Bibliografia

275 Gli autori

Parte prima

IL MODELLO CLASSICO: L’ARCHEOLOGIAE LA STORIOGRAFIA COME STRUMENTI POLITICI

IL FASCISMO E LA STORIA GRECA1

Dino Piovan

1. La storia antica in età fascista

I circa due decenni della storia italiana dominati dal fascismo, tra il 1922 ed il 1943, furono anni di pesante interferenza nel lavoro de-gli storici e soprattutto di dannosa autarchia culturale. Come ebbe a direArnaldoMomiglianoadistanzadiparecchianni,«mancaval’os-sigeno.Icontatticulturali[…]sifeceromoltodifficili»(Momigliano1975e, 197). Nell’ambito delle discipline storiche, ad essere fortemente privilegiata dal regime fu la storia romana. Il fascismo infatti si pre-sentò come erede di Roma, della sua civiltà, del suo Stato e del suo Impero.IlcultodiRomanonfusolo«losloganmiglioreperdiffonde-re i concetti di aggressione e imperialismo» (Momigliano 1986, 131), ma parte integrante e costitutiva dell’ideologia e della cultura fascista e si concretizzò in una miriade di iniziative: la fondazione di riviste quali«Historia»,direttadaEttorePais,professoredistoriaromanaall’universitàdiRoma;lanascitadicentristudicomel’IstitutodiStudiRomani;letantecelebrazioni,inparticolareitrebimillenari:diVirgi-lionel1930,diOrazionel1935ediAugustonel1937;infineunamoleenormedipubblicazioni, come i«Quaderni augustei»o i «Quader-nidell’impero»,mirantiperlopiùa«mettere in luce la“continuità”:tra Roma antica e la Chiesa cattolica, Roma antica e la storia d’Italia, Roma antica e il fascismo» (Canfora 1980, 85). Caratteristiche comuni alla produzione antichistica di quei decenni furono l’assimilazione tra ilfascismoeladittaturacesariana,prima,ilregimeaugusteopoi;inmeritopuòbastare,atitolodiesemplificazione,ladefinizionediCesa-recome«laprimaCamiciaNeranellastoriadellanazione»dapartedi

1AllamemoriadiEmilioGabba,studiosoimpareggiabiledellastoriografiamo-derna sul mondo antico.

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Emilio Bodrero.2 Un altro tratto comune fu la disputa sull’originalità della cultura romana rispetto a quella greca, nell’ambito di un com-plessivo rilancio del mito già risorgimentale, giobertiano-mazziniano, del«primato»italiano,dicuiilprincipaleideologofuilfilosofoGio-vanni Gentile, ministro dell’istruzione nel primo governo Mussolini edancheinseguitounadellepersonalitàpiùinfluentidellaculturanelVentennio.Anchesesulpianoscientificolaquestione,cosìtipicamen-teottocentesca,eraaltempogiàsuperata,essadiedespuntoa«unaricerca puntigliosa di quei tratti fondamentali del “genio della stirpe”» (Bandelli1991,391).Inparticolare,ricorrentifurono«lacontrapposi-zione Grecia-Roma, la svalutazione del primo di questi due poli, la ri-cerca di una tradizione romana univoca e ben distinguibile […], la sva-lutazione della democrazia (volentieri relegata tra i disvalori tipici del mondo greco), ecc.» (Canfora 1980, 82). In sintesi, gli studi di storia antica videro una divaricazione tra storia romana e storia greca, l’una infestata oltremisura dalla retorica e dalla propaganda, l’altra depres-sa ed emarginata anche nell’assegnazione delle cattedre universitarie.

È in tale contesto che va compresa la discussione sulla libertà dei Greci che nasce all’interno della scuola di Gaetano De Sanctis, allora il massimo studioso italiano di storia antica ed uno dei pochissimi pro-fessoriuniversitari(dodiciintotale)cherifiutaronodigiurarefedel-tà al fascismo nel 1931.3 Questa discussione ebbe come protagonisti il maestro e alcuni tra i suoi migliori allievi ed ex allievi, come Aldo Ferrabino, al tempo docente all’università di Padova, Arnaldo Momi-glianoePieroTreves;questiultimidue,purentrambimoltogiovani(il primo era nato nel 1908, il secondo nel 1911), seppero affermarsi precocemente non solo per il dominio degli strumenti tecnici, ma an-che per la capacità di ripensamento critico di temi e problemi basilari. Non fu solo un dibattito erudito tra studiosi di storia antica, anche per l’influenzadelleopereedelpensierodiBenedettoCroce,cheintornoal 1930 era considerato il leader culturale dell’antifascismo e che sul pianostoriograficoelaboravainmanieracompiutalasuaconcezionedella storia come storia della libertà. Molteplici le prospettive e le sug-gestionichevisiintrecciarono,dall’analisistrettamentefilologicaallateoriadellastoriaedellastoriografiafinoallaveraepropriafilosofiadella storia, senza trascurare i risvolti immediatamente politici e ide-ologici. Forse mai come allora nella cultura italiana la storia greca, sia perché sottratta all’orgia retorica della romanolatria sia per i suoi con-

2 La si può leggere ora in Franco 1993, 118.3Sullavicendadelrifiutodelgiuramentofascista,cfr.–oltreallatestimonian-

za di De Sanctis 1970, 143-157 – Goetz 1982 e Goetz 2000.

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tenuti intrinseci, si rivelò il terreno di un serrato confronto sui valori della libertà politica e di pensiero.

2. La ricerca del valore della storia greca: De Sanctis

Quando il fascismo prende il potere, Gaetano De Sanctis4 era ormai ilpiùnoto tragli storici italianidelmondoantico.Scientificamenteera stato allievo di Julius Beloch, lo studioso tedesco chiamato ad in-segnare storia antica all’università di Roma dopo il 1870, nell’ambito di un rinnovamento degli studi perseguito dal nuovo Stato italiano nel momento in cui aveva annesso lo Stato della Chiesa e fatto di Roma la sua capitale. Non è esagerato dire che sia stato Beloch ad introdurre in Italia lo studio moderno della storia greca, fondendo la tradizionale ricercafilologicadellafonti(latedescaQuellenkunde) all’uso massic-cio degli strumenti offerti dall’economia, dalla statistica e dalla demo-grafia(nonsidimentichichelasecondametàdell’Ottocentoèl’epocad’oro del positivismo). La tendenza di Beloch era di modernizzare sia l’economiasia lapoliticadell’antichitàedipostulare«l’unitànazio-nalecomefine“naturale”dellastoriadiunanazioneantica»(Momi-gliano 1955d, 284), secondo la tradizione germanica della Staatsge-schichte, con particolare predilezione per gli Stati forti. Di qui anche lasuaesaltazionediFilippoilMacedone,vistocomel’unificatoredellastoria greca e paragonato agli Hohenzollern di Prussia, cosa che tra l’altro suscitò le vivaci critiche di Croce.5 Da Beloch De Sanctis accolse fondamentali principi di metodo, come l’analisi delle fonti e il pre-supposto unitario-nazionale, interpretato tuttavia alla luce della sua sensibilità di cattolico-liberale, intrisa di spiritualità risorgimentale, da cui scaturiva la sua critica dell’imperialismo antico e moderno (che però non si tradusse in anticolonialismo). Di Beloch invece respinse il materialismo positivistico e il disprezzo dell’individuale, sicché alla storia sociale ed economica preferì quella politico-istituzionale, rico-noscendo il ruolo delle forze morali e intrecciando ricostruzione del passatoe riflessionesulpresente. Inuncerto senso,DeSanctiseranaturalmente predisposto alla lezione crociana sulla contemporaneità della storia, a cui nel corso del tempo si accostò anche esplicitamente,

4PeruncompiutoprofilobiograficodiDeSanctis,cfr.Treves1991;tralabi-bliografiaantecedente,sivedaalmenoGabba1971.

5 Croce 1930, vol. II, 247.

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pur non diventando mai un discepolo di Croce, con cui anzi ebbe talo-ra scontri polemici.6

Sul piano ideologico e politico, De Sanctis proveniva da una fami-gliadifunzionaridelloStatopontificiochedopoil1870sierarifiutatadiservireilnuovoStatounitario;unasvoltafondamentalefuquindinella sua gioventù la convinta adesione all’Italia unita ed il sostegno, anche attivo, alla sua politica coloniale. Tuttavia la mancanza di un partito cattolico fece sì che solo dopo la Prima guerra mondiale, con la fondazione del Partito popolare, partecipasse attivamente alla vita po-litica, fondando a Torino l’Associazione cattolica di cultura, nel 1920, con la scopo di diffondere il pensiero cattolico nella cultura e candi-dandosi senza successo alle elezioni per il Partito popolare.7 Netta fu la contrarietà al fascismo, che si espresse pubblicamente già con l’ade-sione al Manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Croce nel 1925epoi,piùclamorosamente,conilrifiutodelgiuramentonel1931,nonostante gli giungessero sollecitazioni in senso contrario perfinodal Papa. In quel momento De Sanctis insegnava storia greca all’u-niversità di Roma, dove era arrivato da Torino nel 1929 ereditando la cattedra di Beloch.

Di storia greca De Sanctis si era occupato in gioventù con un volu-me, Atthìs,8 incentrato sulla nascita dello Stato dalle strutture tribali arcaiche, un processo a suo parere indissociabile dalla libertà della po-lis.Suciòinfluivanosialalezionedellastoriografiatedescasial’espe-rienza del Risorgimento italiano, come più tardi riconobbe lui stesso.9 Poi per quasi trent’anni si era dedicato alla storia romana, scrivendo un’opera monumentale che gli aveva procurato fama e riconoscimenti internazionali: nel 1925 era stato insignito di una laurea honoris cau-saaOxfordassiemeaWinstonChurchill.ÈsoloallafinedeglianniVenti che egli torna alla storia greca: la coincidenza con il mutamento diregimepoliticoèsignificativaenoncasuale.Masel’atmosferasierafatta poco respirabile nell’ambito degli studi romani, anche gli studi di storia greca non conoscevano un momento felice. Il suo ex allievo Aldo Ferrabino aveva portato all’estremo la concezione, già propria di Beloch, dell’unità nazionale come criterio di valutazione della storia di un popolo e, constatando l’incapacità del popolo greco di approda-re all’indipendenza ed unità della nazione modernamente pensata, ne

6 Sulle differenze tra storicismo crociano e storicismo desanctisiano, cfr. Acca-me1957;suirapportitalvoltadifficiliconCroce,cfr.Dionisotti1989,27-64.

7Sututtociò,sivedaAccame1975,conampiadocumentazione;piùsintetica-mente D’Orsi 2000, 27-29 e 157-159.

8 La prima edizione dell’opera è del 1898, la seconda, riveduta, del 1912.9 Cfr. De Sactis 1936, 97.

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aveva dichiarato il fallimento, non senza echeggiare temi propri dell’i-deologia fascista.

Fu questa presa di posizione che stimolò De Sanctis ad esprime-re per la prima volta in modo esplicito la sua concezione della storia greca nella prolusione del corso romano nel 1929: Essenza e caratteri della storia greca,10 dove per un verso ribadiva fermamente il princi-pio dell’unità nazionale come canone interpretativo della storia greca, dall’altro però ne escludeva Omero e la storia arcaica, giacché di storia di un popolo si dovrebbe parlare solo se c’è la coscienza di essere tale e la volontà di collaborazione: il risultato paradossale è di far iniziare la storia greca nel 481 a.C., cioè dal giuramento antipersiano di gran parte delle città greche. Da questa storia andrebbero inoltre esclusi co-loro che non parteciparono all’alleanza (i Greci d’Occidente e Creta). D’altro canto, il vero ostacolo all’unità nazionale era la libertà delle po-leis contro cui i vari tentativi egemonici (di Atene, Sparta o Tebe) non potevano che fallire. Se la battaglia di Cheronea inaugurerebbe una nuova fase, neppure essa, dopo il breve regno di Alessandro Magno, avrebbeportatoadunarealeunificazione,sicchéèimpossibileparlaredi una storia politica dell’Ellenismo e neppure del periodo seguente alla conquista di Roma.

Per un verso, quindi, De Sanctis riaffermava il principio unitario caro alla storiografia ottocentesca, resomeno esteriore: esso si puòravvisare solo a partire da un moto almeno apparente di “coscienza nazionale”;inciòsiravvisaanchelaricezionedelpensierodiCroce,che concepiva la storia politica come svolgimento cosciente dei popo-li.11 L’esito coerente è che la storia greca diventa una successione di effimereegemonie,destinatealtramontosubitodopoavereraggiuntoilloroculmine.D’altrocantoeglirifiutavadiconsiderare,comefacevaBeloch, la monarchia macedone come la vera risolutrice della storia greca, né accettava la via di Droysen, negando all’Ellenismo il fonda-mentodistoriapolitica:entrambe lesoluzioniavrebberosignificatonegare il valore della libertà delle poleisincui,allafine,ritrovavailva-lore più profondo di quella storia, sia etico sia politico. Semmai torna-va alla lezione di George Grote, lo storico inglese che, a metà dell’Otto-cento, aveva scritto una monumentale storia greca ispirata ai principi delliberalismoradicale;néforsesipuòtrascurarel’influssodiCroceedella sua storia della libertà.

10DeSanctis1932,5-27.SignificativocheillibrouscisseconLaterza,lacasaeditrice di Croce, certo per suo suggerimento.

11 Cfr. Croce 1930, vol. II, 249-251.

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Questa rimeditazione travagliata trova un’ulteriore espressione nella seconda prolusione, non pronunciata per via dell’espulsione dall’università: Essenza e caratteri della storia antica.12 Qui De San-ctis riconosce nella storia antica il presupposto, ideale e reale, della ci-viltà moderna, specialmente per il fondamentale principio della liber-tàdipensiero;nelcontempoperòvaconsideratamoltonegativamentela tendenzaall’imperialismoche lapercorrefinoallafine,perché levarie egemonie si affermano negando la libertà e quindi preparando la propria rovina. Non solo la storia greca, ma tutta la storia antica si chiude secondo De Sanctis con un insuccesso.

L’approdo di questo appassionato ripensamento è costituito dalla Storia dei Greci (I ed. 1939), di cui si noti anzitutto il titolo: non “sto-ria greca” ma “storia dei popoli greci”. In apertura l’autore dichiara di trattare ancora la storia politica greca, salvo subito negarne la possibi-lità concettuale, per la mancanza di unità di sviluppo: di storia politi-ca si può parlare solo per l’interdipendenza con la storia della civiltà. Accanto, quindi, al problema dell’unità dei Greci, sempre rinviata e mai attuata, una notevole importanza viene data alla democrazia ate-niese e ai valori etico-culturali: a spiccare sono la libertà politica e la libertà di ricerca, la Ionia del VI secolo a.C. e l’Atene del V secolo a.C., Tucidide e Socrate. Il punto d’arrivo di questo itinerario è una sorta di separazione tra storia della civiltà e storia politica, pur senza una com-piuta teorizzazione: Kulturgeschichte accanto ed oltre la tradizionale Staatsgeschichte e tale anzi da legittimarla. Se qui sia più forte l’eco della Storia di Europa di Croce o il ritorno a motivi del classicismo tedesco tra XVIII e XIX secolo è dibattuto.13

Qualcosadianalogoaquestaseparazionestoriograficatrapoliticae cultura caratterizzava intanto anche l’uomo De Sanctis. Nel suo anti-fascismo De Sanctis non ebbe esitazioni né ripensamenti, nonostante le conseguenzepesantidel rifiutodelgiuramento, chegli costònonsololacattedra,maperfinol’interdizionedallebibliotechepubbliche,come egli stesso ricordò nella sue memorie.14 Tuttavia egli continuò senza apparente turbamento a dirigere la sezione di Antichità classi-che per l’Enciclopedia Italiana, l’opera diretta da Giovanni Gentile, chediquelgiuramentoerastato ilvero ispiratore. Ilfilosofo,certo,aveva voluto De Sanctis ed altri studiosi antifascisti come collabora-tori all’impresa, secondo l’ambizioso principio che essa doveva espri-

12 De Sanctis 1932, 29-61.13L’influenzadiCroceèaffermatadaMomigliano1961,117,manegatadaSas-

so 1985, 229.14 Cfr. De Sanctis 1970, 143-157.

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mere non un programma di partito, ma la cultura italiana nella sua interezzaenellesuevocimigliori;manonc’èdubbioch’eglimirassea«guidaregliintellettualiitalianiversounaosmosiconilfascismo»,anche se forse è un po’ esagerato affermare che l’Enciclopedia sia stata «il principale strumento attraverso cui il regime operò una politicaculturale» (D’Orsi 2001, 41-42).

Questa contraddizione di De Sanctis può essere compresa solo alla luce di quel senso di missione al servizio della nazione italiana a cui si sentiva chiamato come studioso e come cattolico. In questa separazio-ne tra politica e cultura si rivela una profonda e forse non del tutto consapevoleconnessionetrastoriografiaevita,davveroemblemati-ca per uno storico che concepiva la prima come tensione tra passato e presente ed in questa bipolarità cercava la contemporaneità della storia.15

3. Il fallimento della storia greca: Ferrabino

Aldo Ferrabino era stato uno dei più promettenti allievi di De San-ctis e diBeloch; aveva compiuto gli studi traTorino eRoma, tra il1910eil1916,acquisendounasolidapreparazionefilologico-erudita,manonrimanendoinsensibileal fascinodellafilosofiaidealisticadiCroce e Gentile e avvertendo anzi in maniera sempre più urgente l’esi-genzadiunafilosofiadellastoriacheilluminasseeriempissedisensoquella erudizione e sopperisse con le proprie certezze alle incertezze delle congetture storico-filologiche. I suoi studidi storiagreca sonoaccompagnati da una intensa saggistica di teoria storiograficaneglianni Venti, in cui è chiaro l’allontanamento da Croce e l’avvicinamento aGentile;16sedaunlatoabbraccial’identificazionedifilosofiaesto-ria, dall’altro propone un radicale dualismo tra vero e falso, concreto e astratto, bene e male, contrapponendo la storia civile, incentrata sulla forza organizzata in eserciti, alla storia eterna, unione dell’anima con Dio: in altre parole, pessimismo storico versus metastoria morale-re-ligiosa. Nella storia comunemente intesa, ed anzitutto nella storia gre-ca, Ferrabino non trovava più alcun senso, come traspare già nell’Im-pero atheniese (1927), in cui sia l’impero ateniese sia i politici di Atene sono condannati come incapaci di realizzare l’unità del popolo greco. Nei confronti della democrazia ateniese egli manifesta solo sarcasmo

15 Cfr. De Sanctis 1939, vol. I, 9-10.16 Questi saggi sono raccolti in Ferrabino 1962, opera esplicitamente dedicata

alla memoria di Giovanni Gentile. Per un’analisi più dettagliata, cfr. Piovan 1996.

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edisprezzo:ilpopolodiAtenegliappareunamassa«inquietaemute-vole»,«benlungidalcapireevalutarelaconsistenzaeffettualediciòcheapplaudiva»nelleassemblee,taleche«dimenticavapresto,muta-vaspesso,sacrificavaagliidolinuovigliidolivecchi»(Ferrabino1927,45; 57; 410).Questa critica alla democrazia antica è in consonanzaconilbiasimoversolademocraziamodernapropriodelfascismo;inparticolare, nel momento in cui la forza viene assunta a legge supre-madelloStato,difficilenonpercepireuninflussodirettodelpensieropolitico di Gentile, sostenitore di uno Stato etico senza distinzione tra Stato, famiglia e società civile. Gentile, vale la pena ricordarlo, pre-sentavailpropriopensierocome«liberalismoassoluto»,mainrealtàoffrivaunaidentificazionetraautoritàeleggechenondistinguevatraconsensolibero,manipolatooestorto;nonstupiscechesiaparsaunateoria dello Stato totalitario.17

Il saggio in cui la concezione di Ferrabino si dispiega appieno è La dissoluzione della libertà nella Grecia antica (1929), in cui la storia grecaviene interpretatacomedominatadalconflitto tra libertàdel-le poleis e aspirazione all’egemonia, ossia tra libertà e potenza, che esplode nel V secolo a.C. con i tentativi da parte di Atene e poi di altre cittàdirealizzareun’unione,tuttifalliti;masel’unitàeraimpossibi-le, deve essere ritenuto giusto allora l’asservimento a Roma. Rispetto alleduegrandi tendenzedella storiografiaottocentesca sullaGreciaantica, riassunte nei nomi di Grote e Beloch, Ferrabino respinge l’idea di dramma della libertà propria del primo, mentre del secondo con-testalatesidiFilippoilMacedonecomeunificatore.L’incapacitàdeiGreci di scegliere tra libertà e potenza comporta per lui il giudizio di fallimento della storia greca, mentre il giusto equilibrio sarebbe sta-to raggiunto dai Romani, gli unici nel mondo antico a realizzare una perfetta sintesi di individualità ed universalità, anarchia e panarchia, democrazia e teocrazia, tale da fondare la nazione italiana.

Che qui si sentano gli echi dell’ideologia fascista è innegabile, an-che se si è cercato talvolta di minimizzarla o negarla.18 Ma il valore anche politico della posizione di Ferrabino emerge chiaro là dove l’i-dealiberal-crocianaèequiparataaquellagreca,definita«arbitrariaeinorganica libertà delle iniziative individuali e delle brame» (Ferrabi-no 1931, 391), per non dire dell’esaltazione della romanità, svolta sem-pre più con temi, toni e lessico fascisti: mentre la Grecia è associata a democrazia ed anarchia, e l’Oriente a servitù e teocrazia, Roma è il

17 Cfr. Bobbio 1990, 155-160. 18MinimizzaAccame 1980, 339,ma cfr. Cagnetta 1990, 115-117; fraintende

Mazzarino 1980, 350 sgg. Su Ferrabino e il fascismo, cfr. Canfora 1980, 78-79.

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vero punto di equilibrio, la fusione di autorità e popolo, creatrice del concettodinazione,«enteconciliatoretra lepartiavversedeipochie dei molti» (Ferrabino 1937, 137). Non si dimentichi che il fascismo, oltre a presentarsi come l’erede legittimo di Roma, pretendeva al con-tempo di rappresentare il superamento dell’antitesi tra capitalismo e bolscevismo attraverso la nazione e il corporativismo interclassista.

4. La libertà greca secondo lo storicismo: Momigliano

Arnaldo Momigliano, nato da una famiglia ebraica piemontese, si laurea a Torino con De Sanctis nel giugno 1929, a soli 21 anni, con una tesi sull’opera di Tucidide, frutto sia della lezione desanctisiana sulla critica delle fonti sia, almeno in parte, dello stimolo costituito dall’Im-pero atheniese diFerrabino, sia infine, in certamisura, del diversomododiintenderelastoriadellastoriografiadiCroce.19 Da Ferrabino Momigliano riprende la considerazione del carattere egoistico dell’im-perialismo ateniese, ma non la tesi di un’ideologia dell’unità nazionale che si opporrebbe alla polis.Lariflessionedelgiovanestudiosoprose-gue in quegli anni molto intensamente come attesta la recensione, nel 1931, ad una breve memoria di Croce su Constant e Jellinek intorno alla differenza tra la libertà degli antichi e quella dei moderni,20 in cui è nella celebre conferenza parigina di Constant del 1819 che vie-ne individuato il punto di partenza per una discussione sulla storia della libertà a partire dal mondo antico. L’importanza di questa breve recensione non è da sottovalutare, in quanto essa appare, retrospetti-vamente, come la premessa teorica e lo schizzo progettuale dei temi e problemi che rimarranno centrali in tutta la lunghissima attività di Momigliano. Il giovane studioso si dice d’accordo con Constant e con Croceneldefinirelalibertàgrecacomeildirittodiparteciparealgo-verno, mentre solo più tardi, con l’Ellenismo e la rottura del legame tralibertàespecificaformadigoverno,siaffermerebbeunanozionedi libertà più interiorizzata, destinata a contrapporsi allo Stato, prima con il giudaismo, poi con il cristianesimo, che sottomette lo Stato alla coscienzareligiosa:«loStato,giàcondizionedellalibertàepoilimitedella libertà, ora diventava realizzazione della libertà stessa» (Momi-gliano 1975b, 907), anticipando la libertà moderna.

Per un verso viene qui accolta la nozione della differenza tra la libertà antica e quella moderna, per l’altro elaborato uno schema di

19 Sulla tesi di laurea di Momigliano, cfr. Piovan 1997.20 Cfr. Croce 1931, 294-301 e Momigliano 1975b.

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sviluppo e di progressivo arricchimento del concetto di libertà nel mondo antico, in cui ogni fase ha un suo valore e civiltà greca, elle-nistica, giudaica e romana confluiscono e si riannodano, attraversoil cristianesimo, alla storia e alla coscienza moderne. Questa conce-zione teorica, che molto deve allo storicismo idealistico, sta alla base dei saggi successivi, anzitutto di quello su Demostene,21 pervaso del valore della libertà greca e non disprezzato come in Ferrabino, ma comunque incapace di superare la logica particolaristica della polis. Un’alternativa idealogica nel IV secolo a.C. viene ravvisata nell’idea-le di pace comune22 e in quegli intellettuali, da Isocrate a Teopompo, che magari inconsapevolmente contribuirono a preparare la strada a Filippo e a facilitarne il successo, cooperando a superare la Grecità nell’Ellenismo.23 Filippo quindi non è visto come un bruto domina-tore che distrusse la civiltà greca e neppure come il fondatore di uno Stato nazionale greco, alla Beloch, bensì come a sua volta portatore di valoriqualilapace,laconcordia,lafinedell’oppressionereciproca;dipiù:«Filippoèall’origine(perl’Occidente)diunamentalitàchepor-teràalladissoluzionelainsufficientetroppoegoisticalibertàdeiGreci,come poi quella dei Romani dell’età repubblicana e non si dissolverà a sua volta se non quando il Cristianesimo porrà le condizioni per lo sviluppo di una libertà […] altruistica ed umana» (Momigliano 1934, 179). Nel contempo Momigliano, ripercorrendo gli studi moderni sulla Grecia antica, proponeva il ritorno al primo Droysen, lo scopritore del concetto di Ellenismo come unità culturale e religiosa, integrato dalla coscienza della fondamentale funzione dell’Impero romano come tra-mite tra Ellenismo e cristianesimo, secondo la lezione della Weltge-schichte di Hegel.24

Questa visione della storia greca era il frutto dell’incontro tra il me-todofilologico-storicodellascuoladesanctisianaelaconcezionestori-cistico-crociana di uno sviluppo razionale, in cui ciò che precede viene superato da ciò che segue e non c’è spazio per momenti che siano solo negativi.25 A tratti si direbbe che Momigliano accogliesse anche l’unità difilologiaefilosofiapropostadaCroce:ilvaloreuniversale,filosofico,è la libertà, studiata,filologicamente,nelle suearticolazioni concre-te, anche se a volte trapela un certo disagio al riguardo, come nella premessa al Filippo, dove afferma che bisogna accertare i fatti prima

21 Momigliano 1975c.22 Momigliano 1966b.23 Momigliano 1934, 183-199.24 Cfr. Momigliano 1955b e Momigliano 1955c.25Illuminantel’espressione«razionalitàdelritmodiquellastoria»inMomi-

gliano 1934, 179.

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di interpretarli,perquantopocofilosoficasia ladistinzione.26 Né va forse sottovalutata un’altra componente della formazione spirituale di Momigliano, quella ebraica, l’eredità di una plurisecolare tradizione di cultura non ancorata ad una nazione, ma cosmopolitica e universa-listica.27 Certo, in quegli anni Momigliano cercava di accordare questa matrice ebraica con l’appartenenza alla nazione italiana; di qui, tral’altro, l’analogia tra l’integrazione delle identità regionali nel Risorgi-mentoeilconfluiredell’identitàebraicanellanuovaItaliaedancheilnettorifiutodelprogettosionistaditornareinPalestina.28 Se si tiene conto che proprio in quell’anno il nazionalsocialismo prendeva il pote-re in Germania, ben si comprende che l’indagine storica momiglianea non era estranea a preoccupazioni intellettuali e morali che sorgevano dal presente: non è quindi azzardato parlare di storia contemporanea nel senso crociano.

Quanto al rapporto tra Momigliano e il fascismo, esso è stato più volteoggettodidibattitovivaceeperfinopolemicodopolasuamorte,specie in seguito alla pubblicazione di documenti inediti: dapprima la prolusione che Momigliano pronunciò nel 1936 a Torino, uscita postu-ma a cura dell’amico Dionisotti con l’avvertenza a collocarla nel suo specificocontesto;29 qualche anno dopo emerse tra le carte giovanili anche una tessera datata 1928 del GUM (Gruppo universitario musi-cale),altempoaffiliatoalGUF(Gruppouniversitariofascista),30 che diedelospuntoadun’accesadiscussionesullepaginedel«TimesLi-terary Supplement» sulle possibili simpatie del giovane storico verso il regime fascista.31 Qualche anno dopo fu scoperta la lettera scritta al ministro Bottai nel 1938, dopo l’entrata in vigore delle leggi raz-ziali che avevano espulso gli ebrei dalle università, in cui Momigliano elenca i “meriti” fascisti sia propri sia familiari, allo scopo di ottenere un trattamentomenopesante; aspra lapolemica chene seguì sullastampa italiana.32

26 Momigliano 1934, VII.27 Cfr. Pesante 2002.28 Cfr. ad es. Dionisotti 1989, 19-20 e la lettera antisionista del 1937 citata in

Polverini 2006, 18.29Dionisotti1989,97-103(109-130periltestodell’inedito);cfr.Canfora1990;

Franco 2008, 438-439.30 Di Donato 1995, 219.31 Harris 1996a e Harris 1996b, Murray 1996, Cornell 1996, Dionisotti 1996 e

Dionisotti 1997, Ridley 1996.32PerlaletteradiMomigliano,cfr.Fabre2001;perlapolemica,gliinterventi

di Canfora in Fiori 2001, di Di Donato 2001, di Stille 2001. Condivisibile Franco 2008, 434.

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Non è possibile qui esaminare in dettaglio né i singoli documenti né le diverse valutazioni su di loro. In sintesi, direi che la tessera del 1928nonèdiper sécosasignificativa,poichénonsi trattavadiungruppopolitico;piùsignificativaèlatesseradelPartitofascistapresanegli anni successivi, anche perché non era obbligatoria per chi vo-lesse insegnare all’università, a differenza del giuramento; era peròun fatto abbastanza normale per chi voleva fare carriera negli organi statali e non implica quindi necessariamente adesione ideologica al regime. La lettera del 1938, poi, va inquadrata nel suo contesto: quello di chi si trova improvvisamente senza lavoro, cacciato da una carrie-ra così brillantemente intrapresa senza avere né un’alternativa pro-fessionalenéunpatrimoniopersonalesufficienteasostenereséelapropria famiglia. La lettera era un atto indubbiamente umiliante per chi la scriveva, ma è simile a molte altre scritte nelle stesse circostanze daebreicheconilregimeavevanopacificamenteconvissutopermol-ti anni o l’avevano attivamente sostenuto; testimonia, insomma, diun momento drammatico della vita dell’uomo Momigliano senza per questo macchiare lo studioso. Non sembra tuttavia nemmeno possi-biledire,comehafattoDionisotti,cheMomiglianofosseantifascista;sembra più esatto dire che cercò di convivere con il regime da cui di-pendeva la sua posizione professionale, ben consapevole dei rischi che si potevano correre in caso di dissenso, come lui stesso ricordò anni dopo.33 La collaborazione all’Enciclopedia Italiana, per cui scrisse in setteannicirca200voci,èsignificativadiun’ambiguitàchefucomu-neamoltissimialtri;comesiègiàchiarito,Gentilevolevafarediessauno strumento di costruzione del consenso tra gli intellettuali nonché di promozione culturale per il regime anche fuori d’Italia, al punto da saper coinvolgere anche notori antifascisti come De Sanctis o, restan-do all’antichistica, Plinio Fraccaro e Samuele Levi della Vida, a cui la-sciòdeimargini di autonomia, pur riservando a collaboratori fidatile voci più politicamente importanti o culturalmente delicate.34 Forse anche del giovane Momigliano si potrebbe ripetere quel che disse di sé Norberto Bobbio quando esaminava in maniera autocritica la propria compromissionegiovanile:«lagrandemassadeigiovaniappartenevaa quella zona grigia […] che era un po’ fascista e un po’ no, fascista in certe circostanze e non fascista in certe altre, che sapeva anche eser-

33Momigliano1966c,304:«larealtàovviaerache,perlostessofattodientrarenell’Università, nelle scuole storiche e nell’enciclopedia, ci s’inseriva in organismi fascisti, dove l’imbarazzo era costante e la cautela diventava abito».

34 Su Gentile e l’Enciclopedia Italiana,cfr.Turi2002;sullasezionediantichitàclassiche, si veda Cagnetta 1990.

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citare lo spirito critico di volta in volta, giudicando buone o cattive le decisioni del duce e dei gerarchi» (Bobbio 2004).

5. Demostene apostolo della libertà: Treves

Nelle varie rievocazioni di questo dibattito sulla libertà dei Greci la posizione di Piero Treves è stata spesso poco valorizzata quando non completamente ignorata.35 In realtà, per quanto fosse il più giovane tra tutti, il suo contributo non manca né di originalità né di vigore.

Non si può qui che accennare all’ambiente familiare da cui pro-veniva il giovane Treves:36figliodiClaudio,giàdeputatosocialistaafineOttocento enemicopersonalediMussolini, appartenevaadunambiente di borghesia laica e riformista, amante della poesia e della letteratura, ancorata nella cultura tanto italiana quanto europea. De-terminante per il percorso di Piero fu poi l’incontro con Gaetano De Sanctis, seguendo il quale si trasferì da Torino a Roma dove si laureò, nel novembre 1931, a soli vent’anni. Il lavoro fu pubblicato in volume all’inizio del 1933 dall’editore Laterza grazie alla mediazione di Croce, con il titolo Demostene e la libertà greca; non si tratta di una vera biografiadiDemostene,madellaricostruzionediunperiododistoriagreca, dalla battaglia di Cheronea (338 a.C.) alla morte dell’oratore (321a.C.);laprospettivanonèquellatradizionaledellapuntualedi-samina di eventi né dell’analisi minuta delle fonti, ma semmai di una storia etico-politica secondo il modello crociano, in cui a contare sono le forze morali e spirituali, le differenti idealità politiche e culturali, più che le strategiemilitari o l’organizzazione; la svalutazionedellafiguradiDemosteneel’esaltazionediFilippocomearteficedell’unitànazionale greca vengono entrambe respinte. Se da un lato si ricono-scono i limiti della concezione demostenica che faceva coincidere la libertà di Atene con l’egemonia sulla Grecia, dall’altro l’oratore vie-ne celebrato per l’altissimo senso morale e spirituale della lotta per lalibertàeparagonatopiùvolteaMazzini,entrambi«apostolidellalibertà»(Treves1933,67;131).

Il libro fu severamente recensito sia da parte di studiosi allineati al fascismo37 sia da Momigliano, che lo rimproverò, tra l’altro, di ac-

35 Neppure lo nomina ad es. Tessitore 1984, un saggio peraltro utile per l’in-quadramentofilosoficodiquestodibattito.SullasfortunadellibrodiTreves,cfr.Casali 1980, 146.

36EssenzialeperlaricostruzionedelsuopercorsobiograficoeculturalePertici1994 e Franco 2011.

37SignificativecitazioniinFranco2011,XVI-XVII.

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costareinmodoantistoricolibertàanticaelibertàmodernasfioran-do il«vaniloquio»(Momigliano1975d,939):ungiudizioadirpocoingeneroso. In realtà Treves sapeva distinguere tra concetti antichi e moderni ben più di quanto ammetta Momigliano e netto è in lui, per esempio,ilriconoscimentodelconcettodroysenianodiEllenismo;ciòcheperòTrevesfermamenterifiutaèlavisioneteleologicaabbracciatadaMomigliano,l’ideacheil«ritmorazionaledellastoria»debbain-durre a svalutare la causa dei vinti, i quali invece contribuiscono a fare lastoriasiacondizionandoilvincitoresiacontinuandoadinfluenzarelegenerazionisuccessivecon il loroesempio.«Nessunavicta causa […] fu nella storia così viva e incitatrice e operante quanto la victa cau-sadiDemostene»,capacedidonareaiposteri«unaparola,nonperi-tura, di libertà» (Treves 1933, 192-193). Quello di Treves era un libro mosso da autentico fervore ideale e sorretto da una solida conoscenza delle fonti antiche, di cui non si può sminuire il coraggio, specie se lo si paragona alla produzione del tempo. E tale valore fu colto davvero: èsignificativocheessofigurinella listadi librichecircolavanotra igiovani antifascisti ricordata da Aldo Capitini.38

38 Cfr. Capitini 1966, 100.