Claudio Scaringella Il casualitico
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Claudio Scaringella
Il casualitico
a cura di Francesco Moschini prefazione di Walter Veltroni
A.A.M. ARCHrrETI\JRA ARTE MODERNA
© Voland s.r.l. Roma, 2003 Prima edizione: settemebre 2003
isbn 88-88700· 11 ·0
© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano, 1986, per i brani di Fernando Pessoa tratti da Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soores
© Amélie Nothomb perì brani riportati tratti da internet
© Julija Kisina per il bra no Desideri semplid
i:autore ringrazia Francesco Moschini, franco Purini, Giorgio Battistelli, Amélie Nothomb, Renzo Paris, Valentino Zeichen, Carlo Bordini, Julija Kisina, Reza Gheissarieh, per l'autorizzazione a riprodurre i loro testi
I manoscritti inviati non si restituiscono
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Nel tempo della ricerca lettura e pratica pittorica coesistono nell'angusto spazio del vivere. Da qui nasce la volontà di porre in correlazione creativa le immagini disegnate, dipinte, con brani di personale affezione e proiezione o, ancora, con inediti dedicati da scrittori che hanno in varie forme e tempi incontrato e vissuto lo scorrere del mio tempo. Viene chiaramente in luce che tra i disegni, effettuati circa venti anni prima che leggessi Il libro dell'inquietudine di Fernando Pessoa, e i brani accostati c'è perfetta identità pur nella lontananza fisico/temporale degli autori; come pure Bucare il cosmo si trova evidentemente nell'Universo dei cocomeri. In tutto, seppur criptato, c'è affinità generatrice, che è la ragione dello sforzo editoriale presente, il gioco da percorrere a ritroso. c.s.
• Francesco Moschini Disidentità, discontinuità, fissità
Il volumetto dal titolo criptico Il casualitico di Claudio Scaringella, che
oggi abbiamo finalmente sotto gli occhi nella sua raffinata veste edi
toriale, è il ristùtato di una gestazione molto sofferta, protrattasi per
lunghi anni . È la prima volta però che nello stendere una sia pur bre
ve prefàzione mi sento di assumere con orgoglio la responsabilità to
tale di questo estenuante trascinamento. In genere i ritardi causati dal
sottoscritto in diverse occasioni editoriali cui ho partecipato, sono
sempre stati il frutto di mie esitazioni o riluttanze di fronte a un cre
scente dubbio sul senso del continuare a ostinarsi a fare critica in un
mondo che tende sempre più e soltanto ad accumulare detriti cultu
rali. È diventato per me via via più pressante l'interrogativo asorrosia
no, della metà degli anni Sessanta, sul come, cito a memoria, "ai poe
ti non gli si gelino le parole in bocca". Non era certo un invito all'i
nazione, sicuramente però almeno a rarefare le occasioni del dire. Eb
bene, nel caso di Scaringella ho invece voluto costruire con lui que
sti 'tempi lunghi' perchè avvertivo che tutto ciò era strettamente con
nesso al suo modo di lavorare, al suo modo di vedere, di sentire; ma
soprattutto perché l'avventura in cui ci stavamo imbarcando non era
così decifrabile, circoscrivibile, e certo lasciava aperti esiti imprevedi
bili. Non pensavamo, all'inizio, che si sarebbe trattato di un catalogo
per una mostra di disegni dell'autore ma, oggi, quello che abbiamo di
fronte non è certo un catalogo, semmai 'un'opericciuola', con aspira
zioni alla totalità proprio per la contaminazione tra autori così diver-
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si, tra testi d'occasione e altri scelti come personale antologia, e per la stessa
disseminazione con puntuali ascrizioni ai diversi testi di una particolare scelta
dei disegni.Anche l'avvicinamento tra il sottoscritto e l'autore, che risale a ol
tre quindici anni fa se si escludono le contiguità durante gli anni universitari,
è stato in qualche modo sofferto, fatto di timidi tentativi di approccio, di si
lenziosi confronti in occasione di mostre, finché Scaringella si decise a invitar
mi a casa sua, in una parte straordinaria della periferia romana, mettendomi co
sì a contatto non solo con la bellezza struggente, vista dall'alto, di un intero sca
lo ferroviario, cui facevano da sfondo i Castelli romani, ma anche con l'inten
sità del suo mondo interiore, fatto di lavori eseguiti di notte, su grandi fogli,
strappando il tempo e lo spazio alle cose più concrete del vissuto quotidiano
di chi si ostinava a porsi ancora come eterno e curioso esploratore di mondi
paralleli, pur avendo poi precise responsabilità da portare avanti. Era allora la
scoperta per me di un titanico lavoro sottratto alla nonnalità delle cose che mi
aveva convinto dell'importanza dei deliri di Scaringella: comincianuno così a
prevedere come poter finalizzare quello sforzo enorme di lavoro, sia pur con i
suoi continui ritorni, gli abbandoni, le riprese, le difficoltà a giungere a qual
cosa di più definito e definitivo.Abbiamo impiegato forse troppi anni, per col
pa mia, a cercar di chiudere qualche cosa che di per sé non vorrebbe mai con
cludersi. Questo sembra indicare l'intero percorso della ricerca privatissin1a di
Scaringella, una sorta di costrizione a darsi come 'continuo lavoro interrotto',
volutamente lasciato nella stessa condizione di instabilità e di precarietà con
cui si presentano le figure, gli oggetti, le cose che compaiono nel suo univer
so di rìferin1ento. Nello stesso tempo però al.tre figure del suo immaginario
puntano decisamente su una sospensione, se non su un immobilismo, davvero
sorprendenti per un autore che ha fatto invece della concitazione, del sovver
timento degli equilibri il suo punto di forza. Ecco chiarirsi allora il senso che
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l'autore assegna al suo lavoro, che proprio perché si vuol dare come ipertesto
del tutto artigianale e autobiografico, deve puntare su repentini scambi di ruoli,
di senso delle cose, di metodologie del fare, di motivi e di tecniche. In una sor
ta di instabile nomadismo propenso alla sperimentazione, di ricercata disidenti
tà, se non di spiazzamento di se stesso in quanto auto
re, rifuggendo anzi da una romantica idea di autoria
lità, egli può confrontarsi con opposte polarità all'in
terno del suo stesso lavoro. Dialogano così l'esile
grafia del tratto a penna, nella fantasmagorica rico
struzione di un universo meccanicista in cui si affol
lano stranissimi personaggi e dove si avverte la vici
nanza con le spasmodiche e puntigliose visioni del
Codex di Luigi Serafini e dei desertificati paesaggi lu
nari di Massimo Scolari su cui si stagliano inquietan
ti macchine celibi; e nello stesso tempo l'autore non
esita a r icorrere alla densità cromatica e pittorica, cer
to non per amore di una vagheggiata collocazione
del suo modus operandi all'interno di qualche corren
te artistica figurativa, quanto piuttosto per sottolinea
re con quel tipo di pittura , a volte acerba, a volte per
sino sfrontata nel suo essere stesa velocemente, quasi
negandosi ogni bellezza residuale, una sua idea di an
tigrazioso, di poco accondiscendente, per niente con
solatorio, che il suo ricorrente primitivismo formale
e tecnico tendono ad accentuare. Ma gli stessi riferi
menti cui ho fatto ricorso per spiegare l'opera di
Scaringella, poco chiariscono se non teniamo presen-
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te il suo continuo 'allontanarsi' dal privilegiato 'mondo dorato' della ricerca ar
tistica. Come uno sciamano, con un ruolo però riconosciuto tra i suoi adepti,
egli si costringe a ruoli e visioni profetiche che vanno soltanto interpretate, de
cifrate, e che ciascuno tenderà a ricondurre nell'alveo che più gli sembra con
geniale. Certi affondi allora nel monumentalismo sironiano, stemperati da una
ritrovata fisicità tipica della ricerca transavanguardistica, piuttosto che porre
l'accento stilla vocazione al pezzo straordinario di pittura, ribadiscono la pre
dilezione per la frammentarietà di una zumata che riconduca però lo stesso
esercizio pittorico a una dimensione etica. L'autore insegue pertanto la va
gheggiata armonia tra corpo e ragione, tra reale e immaginario, tra artificio e
natura, coinvolgendo la dimensione onirica, la sua vena più surreale, ma senza
preoccuparsi di contaminarla con una propensione metafisica.
Ecco così contrapporsi in continue sequenze interrotte e poi riprese, vera e
propria successione di fotogrammi, ciascuno nella propria rivendicata autono
ma bellezza, la rievocazione del mito di Sisifo in chiave contemporanea, con
le figure ridotte a manichino che portano il peso del resto del proprio corpo,
ridotto a tronco di piramide. Il ricorso all'archetipo si contamina con il mito,
con la continua allusione a una dimensione paradossale in cui il mostruoso si
alterna all'improvvisa e poetica apparizione, la fatica e il peso della costruzio
ne alla forza e alla brutalità del lavoro, la dimensione solare a quella più tene
brosa, il troppo vicino allo squadernamento visivo da aereopittura, la forza del
l'antico che avanza alla dirompente sconnessione del nuovo che non riesce a
darsi come tale.