Bolle epistemiche, scienza e credenza

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Bolle epistemiche, scienza e credenza Selene Arfini 1. Situazioni di economia cognitiva: euristiche di base Nel gioco di carte Machiavelli o Ramino machiavellico, il cui nome deriva dal noto filosofo fiorentino, ogni giocatore ha inizialmente in mano 10 o 13 carte francesi nascoste agli altri giocatori, può pescare ad ogni turno una carta da un mazzo coperto, non può scartare ed il suo scopo è quello di depositare tutte le carte che ha in mano sul tavolo da gioco seguendo validi schemi combinatori. Inquadrando una tale situazione all’interno della logica agent-based, il giocatore è un agente cognitivo circoscritto in un determinato contesto, il gioco, nel quale possiede un target, l’obiettivo di vincere il gioco, ed un determinato numero di risorse cognitive composte dalle informazioni a sua disposizione e dalle euristiche in grado di applicare per meglio gestire questi dati. A ben vedere, Machiavelli (ed un qualsiasi gioco di carte, in verità) è un esempio paradigmatico di una situazione in cui l’agente è in una condizione di economia cognitiva: non solo non possiede la totalità delle informazioni (non conosce quali carte hanno in mano gli altri giocatori, l’ordine delle carte all’interno del mazzo e la distribuzione delle carte tra giocatori e mazzo), non ha risorse cognitive in grado di ovviare a questa mancanza (anche barando o continuando a pescare dal mazzo non avrebbe alcuna chance di raggiungere il totale controllo delle carte sul tavolo e nelle mani dei suoi avversari) ed ha a disposizione un tempo limitato per agire, scandito dai turni di gioco e dalla celerità degli altri partecipanti. Appare lampante in questo caso la differenza, spesso sottolineata dai già citati Gabbay e Woods, tra scantness (scarsità) e scarcity (povertà) delle risorse cognitive a disposizione di un agente 1 : è vero, infatti, che il giocatore 1 La scarsità delle risorse è, infatti, una qualità comparativa: non implica necessariamente la povertà o l'assenza delle risorse, ma solo una loro minore

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Bolle epistemiche, scienza e credenza Selene Arfini

1. Situazioni di economia cognitiva: euristiche di base Nel gioco di carte Machiavelli o Ramino machiavellico, il cuinome deriva dal noto filosofo fiorentino, ogni giocatore hainizialmente in mano 10 o 13 carte francesi nascoste aglialtri giocatori, può pescare ad ogni turno una carta da unmazzo coperto, non può scartare ed il suo scopo è quello didepositare tutte le carte che ha in mano sul tavolo da giocoseguendo validi schemi combinatori. Inquadrando una talesituazione all’interno della logica agent-based, il giocatoreè un agente cognitivo circoscritto in un determinato contesto,il gioco, nel quale possiede un target, l’obiettivo di vincereil gioco, ed un determinato numero di risorse cognitivecomposte dalle informazioni a sua disposizione e dalleeuristiche in grado di applicare per meglio gestire questidati. A ben vedere, Machiavelli (ed un qualsiasi gioco dicarte, in verità) è un esempio paradigmatico di una situazionein cui l’agente è in una condizione di economia cognitiva: nonsolo non possiede la totalità delle informazioni (non conoscequali carte hanno in mano gli altri giocatori, l’ordine dellecarte all’interno del mazzo e la distribuzione delle carte tragiocatori e mazzo), non ha risorse cognitive in grado diovviare a questa mancanza (anche barando o continuando apescare dal mazzo non avrebbe alcuna chance di raggiungere iltotale controllo delle carte sul tavolo e nelle mani dei suoiavversari) ed ha a disposizione un tempo limitato per agire,scandito dai turni di gioco e dalla celerità degli altripartecipanti. Appare lampante in questo caso la differenza,spesso sottolineata dai già citati Gabbay e Woods, trascantness (scarsità) e scarcity (povertà) delle risorse cognitive adisposizione di un agente1: è vero, infatti, che il giocatore1 La scarsità delle risorse è, infatti, una qualità comparativa: non implicanecessariamente la povertà o l'assenza delle risorse, ma solo una loro minore

ha poche informazioni, è costretto ad agire in un tempolimitato e non ha i mezzi per modificare questa situazione ma,per vincere il gioco e conseguire quindi l’obiettivoprefissato, non ha bisogno di più tempo o maggioriinformazioni ma solo di elaborare ed applicare strategiecognitive in grado di eludere le difficoltà poste dal giocostesso. Le risorse che possiede sono scarse, non povere eparalizzanti e sono il presupposto del concetto di HomoHeuristicus, introdotto nel dibattito negli ultimi decenni delsecolo scorso (Gigerenzer e Brighton, 2009). L’idea si basa su di una diversa concezione del rapporto traprecisione dei risultati e sforzo, inteso come impiego dirisorse cognitive all’interno del processo decisionale. Nelpassato queste nozioni erano analizzate a partire dallapremessa necessaria di un loro rapporto di proporzionalitàdiretta all’interno di una forma di razionalità efficiente. Siriteneva perciò scontato che più grande fosse lo sforzomaggiore sarebbe stata la precisione del risultato. Questatesi, e la sua conseguente ovvietà, vengono stravolte conl’elaborazione del concetto di Homo Heuristicus, il qualeincarna una forma di razionalità efficiente in grado diraggiungere i risultati prefissati impiegando una ristrettaquantità di risorse cognitive. Si deve infatti pensareall’Homo Heuristicus come ad un agente che, utilizzando uninsieme di strategie cognitive, è in grado di eludere lastretta correlazione tra sforzo e precisione, garantendo alleproprie azioni le migliori prestazioni possibili in unasituazione di economia cognitiva. In questo contesto nel quale si va a comporre ciò cheGigerenzen chiama l’Adaptive Toolbox (letteralmente la “cassettadegli attrezzi” del nostro pensare ed agire quotidiano) siinserisce la già definita nozione di Biased Rationality2

(Bardone e Magnani, 2011) della quale si deve approfondire unquantità rispetto a quelle che normalmente possiede un agente istituzionale. Aquesto si aggiunge anche il fatto che l’agente pratico si pone, generalmente,obiettivi modesti, commisurati alla quantità di risorse cognitive a suadisposizione. In questo senso un individuo potrebbe, nonostante la scarsità deglistrumenti ad esso disponibili, avere lo stesso tutti i mezzi per conseguire il suoscopo. (Gabbay e Woods, 2001)

particolare aspetto, o, per meglio dire, l’applicazione di unafallacia specifica che ha dei particolari risvolti all’internodel contesto della logica agent-based. La fallacia inquestione è l‘Argumentum ad Ignorantiam, il cui utilizzo portal’Homo Heuristicus ad agire in base ad una conoscenza che nonpossiede. Infatti, in termini logici, si definiscel’argumentum ad ignorantiam la fallacia secondo la qualequando un agente non conosce una determinata nozione comevera, allora non sarà vera.Questa fallacia ha notevole vantaggio in termini diinvestimento di risorse: la mancanza di conoscenza non vieneinfatti concepita come assenza di conoscenza, ma come saperenegativo. Con l’inserimento di un’informazione irrilevante aifini di determinare la veridicità di una data nozione, vale adire l’ignoranza dell’agente in merito alla verità o falsitàdella stessa, si compone una fallacia in grado di garantiresicurezza all’azione dell’agente, senza che questa sicurezzadebba poggiare su solide basi. In breve il vantaggio che siottiene da questa costruzione è un premissory starting point, uniniziale punto di partenza per prendere una decisione. Per riprendere l’esempio esposto inizialmente, si possonopensare alle decisioni di ogni giocatore al tavolo comesottoposte anche alla fallacia dell’argumentum ad ignorantiam:se ogni giocatore si soffermasse a pensare alle mosse chepotrebbe compiere se pescasse una data carta dal mazzo,probabilmente non sarebbe in grado di proseguire e quellapiccola ignoranza bloccherebbe le sue possibilità di vincereil gioco. Partendo invece dal presupposto che questa carta“non uscirà dal mazzo alla prossima mano” può organizzarsi permanipolare le combinazioni di carte senza quella possibilità,della quale, di fatto, non sa nulla, per continuare a giocare.

2 Difficile sarebbe la traduzione in italiano della formula Biasedrationality: letteralmente si potrebbe chiamare Razionalità Parziale oPrevenuta ma la formula inglese è sufficientemente ambigua per inquadraresia l’utilizzo delle “bias”, letteralmente “pregiudizi” o “errori”,all’interno del procedimento inferenziale, sia facendo riferimento allafaziosità della razionalità stessa o della sua percezione.

Queste vengono definite fast-and-frugal strategy (letteralmentestrategie veloci-e-frugali; Bardone, 2011) che, permettendoalla nostra mente di non arrestarsi di fronte a piccoliostacoli, ci mettono in grado di effettuare scelte quotidianepiù o meno impegnative e, nel contempo, di manipolarel’ambiente cognitivo al fine di perfezionare la decisione. Sono presto evidenti i limiti di questa forma di razionalità:il suo radicarsi su argomenti fallaci la distingue, giàintuitivamente, dalla forma di razionalità con la quale siarriva ad una conoscenza genuina della realtà circostante eche ci permette di inferire sul mondo tesi corrette senzapossibilità d’errore. Nella vita quotidiana, tuttavia, nonsempre disponiamo degli strumenti o delle risorse cognitiveper fondare le nostre credenze su questa migliore forma dirazionalità bensì vi è la necessità di affidare alle fast-and-frugal strategy il compito di determinare il nostro giudizio ela nostra azione. Fondamento logico della Biased Rationality, come si è giàavuto modo di argomentare3, sono le fallacie, la cuivalutazione e definizione nel corso della storia della logicaha subito notevoli cambiamenti e, a partire dalla metà delsecolo scorso, ha dato inizio e corpo ad una rivoluzioneconcettuale in grado affiancare le scienze cognitive a questabranca filosofica. Dalla definizione di Aristotele che le definiva sempliciconcatenazioni di enunciati che sembrano sillogismi (ossiavalide inferenze) ma che in realtà non lo sono alle ultimeconsiderazioni, evidentemente più problematiche a livelloepistemologico, poste all’attenzione della comunità filosoficadal già menzionato John Woods, la costruzione concettualeintorno a questa tematica ha attraversato numerose fasi nelcorso del tempo. Negli ultimi quarant’anni, in particolareall’interno degli ambiti di ricerca sulla cognizione, si èinfatti verificato un mutamento sostanziale di prospettiva cheha avuto un’influenza notevole intorno a questa tematica,

3 Vedi capitolo 1.4

arricchendo e ridefinendo i punti focali delle argomentazionie modificando radicalmente le metodologie di valutazione.A questo riguardo si deve necessariamente menzionare il testodi Hamblin, Fallacies . Egli, rifacendosi alle recenti teoriedell’argomentazione, definisce infatti la fallacia non unenunciato bensì un “argomento che sembra valido ma non loè”(Hamblin, 1970). Questa scelta lessicale esprime lanecessità di porre in luce l’elemento dialogico e pubblico cheun argomento, al contrario di un semplice enunciato o di unaconcatenazione di enunciati, possiede nel linguaggio ordinarioe l’imperativo di affrontare la spinosa questione dellavalidità di un ragionamento fallacie all’interno deimeccanismi della comunicazione. In questo contesto, infatti,non è solo la correttezza di un’inferenza ad essere pernodell’efficacia di un argomento ma entrano in gioco ulteriorifattori quali, per esempio, la capacità persuasiva dell’agentee la sua abilità a manipolare l’attenzione dell’interlocutore.Nell’elaborazione dei “sistemi dialettici”, Hambling, infatti,esamina la questione selezionando uno specifico contesto, ildialogo, e un particolare fine, quello di convincere, chedetermina il campo d’azione delle fallacie. Sempre lungoquesto percorso analitico, lo stesso problema è statoapprofondito anche negli studi condotti dal filosofofinlandese Jaakko Hintikka che, operando un radicale mutamentoconcettuale, le elimina dal campo delle inferenze e lericonsidera all’interno di una teoria dell’interrogazione, nelcontesto di una Dialogiche Logik, più specifica e indirizzatarispetto a quella osservata nei sistemi dialettici (Benzi,2002). La svolta è però compiuta negli anni ’90, quando iltema è stato ripreso e scomposto nella New Dialectic di DouglasWalton, il quale, ribadendo l’importanza di abbandonare unaprospettiva logica puramente formale, monolettica emonotonica, riconferma l’esigenza di avanzare pretese diconoscenza sul contesto nel quale sorgono le fallacie per unaloro più obiettiva valutazione e classificazione. Walton dàcosì origine a sei tipologie specifiche di dialogo nel qualeil giudizio sulla struttura logica dell’assetto dialogico

dipende non solo dallo scheletro formale delle mere inferenzeargomentative messe in atto, ma anche dalla loro efficacia nelraggiungere gli obiettivi verso cui sono orientati ipartecipanti. Infine la tematica viene espressamente inscrittaall’interno di un assetto logico agent-based; nell'articolo Theconcept of fallacy is empty, Woods contribuisce a fondare il temadelle fallacie come ineludibile all’interno di un’indaginebasata sulla Actually Happens Rule e descrive audacemente illoro utilizzo come espressione di virtù cognitive proprioall’interno di questo assetto (Woods, 2007). Questa concezioneè posta a confronto con la definizione composta dalle quattrocaratteristiche da sempre attribuite al ragionamento fallace,che vanno a formare ciò che lui chiama la EAUI conception; inquesta soluzione, le fallacie sono erronee, attraenti (inquanto non sembrano erronee affatto), universali edincorreggibili (inclini, ovvero, ad essere riutilizzate,nonostante le si percepisca come erronee). Rigettando questecaratteristiche in quanto manifesto di una definizione tropporestrittiva e semplicistica del ragionamento fallace, Woodsprende in considerazione specificatamente la valutazione dellacosiddetta Gang of Eighteen, (letteralmente, la Banda deiDiciotto) la lista delle fallacie maggiormente conosciutenella tradizione filosofica, ed articola su di essa due tesispeculari: una negativa ed una positiva.La prima è volta a dimostrare come le diciotto fallacietradizionali non siano in realtà erronee, o, se lo sono, comenon possano essere considerati errori che un agente logico ecognitivo commette comunemente (venendo così ad essere esclusedalla Actually Happens Rule, e quindi anche dalla prospettivaagent-based).La seconda, invece, descrive le fallacie comprese nella Gangof Eighteen, come strategie razionali per compensare lalimitatezza delle risorse cognitive a disposizione; ergo, lefallacie vengono descritte apertamente come virtù cognitive.Il processo cognitivo alla base delle azioni fallaci, vienegiudicato in relazione alla sua efficacia nel conseguirel’obiettivo che l’agente si pone e non esclusivamente in base

alla sua formalizzazione logica. Questa seconda tesi, cheWoods rinforza nel corso del testo, cambia radicalmente lavalidità della EAUI-conception: definendo le fallacie virtùcognitive, seppur all’interno di particolari circostanze,viene messa in dubbio l’assoluta erroneità del loro status e,di conseguenza, modifica anche le altre caratteristiche dellaEAUI definizione. Se le fallacie non sono necessariamentestrutture erronee, sono infatti attraenti, universali edincorreggibili, proprio per questa ragione. Se ci riferiamo,per esempio, ancora alla situazione di gioco, possiamoconsiderare parte integrante delle strategie dei giocatori leazioni volte a distrarre gli avversari o la manipolazionedelle informazioni condivise attraverso bluff o smorfie; nelcompiere questi gesti si inseriscono, infatti, informazioniirrilevanti all’interno del condiviso ambiente cognitivo a cuiattingono, per le proprie inferenze, anche gli avversari.Esattamente questo tipo di operazioni, all’interno dellostudio logico delle fallacie, porta a formulare il discussoproblema della rilevanza ovvero la liceità dell’inserimento,all’interno di un’argomentazione, di informazioni che non sonostrettamente pertinenti per la risoluzione dell’inferenza.Questa tematica, ancora oggi controversa e discussa in ambitologico, garantisce la possibilità di spostare l’ago dellabilancia in maniera significativa verso un’elaborazionemaggiormente proficua dal punto di vista cognitivo: laprospettiva agent-based ci permette di considerare leinformazioni irrilevanti come parte integrante del materialeeco-cognitivo a disposizione degli agenti e di fondare lavalutazione delle fallacie che utilizzano questo tipo di datiper la formulazione delle inferenze in base alla loroefficacia nel contesto nel quale sono applicate. In parolepovere, a livello eco-cognitivo, il dilemma circa la liceitàlogica dell’inserimento di informazioni non rilevanti è menointeressante della questione riguardo l’efficaciaargomentativa che questo stesso inserimento comporta.In ogni caso a questo punto occorre soffermarsi e meglioanalizzare il motivo per il quale un’inferenza viene

formulata, la costituzione degli elementi che introduce el’effettivo esito epistemico a cui giunge in tal modol’individuo; a questo tipo di questioni risponde la dinamicatra dubbio e credenza elaborata dal filosofo americano CharlesS. Peirce.

2. La forza guida del pensiero: la dinamica tra dubbio ecredenza

Lo studio condotto da Charles Peirce in merito alla dinamicacredenziale agente nell’individuo ha inizio nei due saggi,pubblicati tra il 1877 ed il 1878, “La fissazione dellacredenza” e “Come rendere chiare le nostre idee”. In questiscritti, il filosofo attraverso alcuni esempi analizza lemodalità di studio e di utilizzo del ragionamento logicoadottate nel corso dei secoli, dalla Scolastica medievaleall’applicazione di determinate regole inferenziali neiprogetti scientifici di Darwin, Clausius e Maxwell. Questimodelli forniscono a Peirce l’occasione di parlare dell’essereumano come di un animale “per lo più logico”, in quanto dotatodi un meccanismo inferenziale efficiente, ossia in grado diprodurre conclusioni coerentemente derivate da premesse date,ma problematico, in quanto il metodo, per quanto sia corretto,non è ovviamente in grado di dimostrare la verità deglienunciati costruiti, ma solo la loro validità dal punto divista logico. In ciò però sta la particolarità dell’essereumano: nonostante la dubbia verità (e, talvolta,applicabilità) delle inferenze che formula, la sua propensionee determinazione ad elaborarne di nuove e sempre piùsofisticate è motivata da una sete di conoscenza intrinseca edincessante. Per questo motivo la razionalità umana, attraversola mediazione di un sistema (un paradigma) logico e guidata dauna propensione a formulare un’inferenza specifica rispetto adun’altra, elabora un certo tipo di conclusioni differentirispetto ad altre, magari anch’esse legittime, partendo dallemedesime premesse date. Peirce definisce questa propensionel’abito mentale (costituzionale o acquisito) che indirizza ilnostro pensiero, il quale può essere formulato tramite una

proposizione la cui verità sarà determinata dalla validità (overidicità) delle inferenze alle quali darà origine inparticolari contesti. La proposizione, anche chiamata principio-guida di inferenza, potrà, perciò, indirizzare verso la costruzionedi un’inferenza valida o non valida a seconda della suaapplicazione in un particolare tipo di analisi ed a partire dadeterminate informazioni.Per chiarificare questo concetto possiamo vedere in che modosi applica questa teoria ad un caso emblematico della storiadella scienza. Nel corso della trattazione del Dialogo Sopra i Massimi Sistemi delMondo, Galileo, per argomentare in favore del sistemacopernicano e spiegare perché sulla superficie terrestre nonsi avverte il movimento rotatorio della Terra, formula unesempio mentale di grande efficacia retorica. Salviati, ilportavoce del sistema copernicano e del pensiero dell’autoreall’interno del Dialogo, invita ad immaginarsi a bordo di ungran naviglio sottocoperta: nonostante siano presenti numerosielementi che, secondo i sostenitori della tesi aristotelica etolemaica, dovrebbero spostarsi seguendo il movimento dellanave durante cadute (“siavi anco un gran vaso d'acqua, edentrovi de' pescetti; sospendasi anco in alto qualchesecchiello, che a goccia a goccia vadia versando dell'acqua inun altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso”) olanci (“gettando all'amico alcuna cosa, non piú gagliardamentela dovrete gettare verso quella parte che verso questa, quandole lontananze sieno eguali”) non vi sono spostamenti che, difatto, possono indicare alle persone a bordo che la nave siadavvero in movimento.Il principio-guida adottato da Galileo si basa sulla relazioneapparente tra la realtà percepita nel microcosmo e lastruttura del macrocosmo ponendo un riferimento analogico tral’esperienza delle persone presenti su di una navenell’esperimento mentale e la percezione del complesso degliesseri viventi della rotazione del pianeta. Il medesimo principio gli consente anche di formulare la tesi– prima nel Discorso sopra il flusso e il reflusso del mare e successivamente

anche nel Dialogo – secondo la quale le grandi masse d’acqua,composte da fluidi che non sottostanno alle stesse regole deisolidi nel micorcosmo seguano questo sistema anche a livellodel macrocosmo e risentano, perciò, del movimento della Terrail quale direttamente provoca il flusso e reflusso del mare.Lo scienziato cerca di dimostrare questa teoria mediante unesperimento con un vaso collegato ad una corda e sottoposto adun doppio movimento rotatorio a modello degli spostamentidelle acque durante la rotazione terrestre.

Mi son quasi sentito non leggiermente tirare adammettere queste due conclusioni (fatti però ipresupposti necessari): che quando il globo terrestresia immobile, non si possa naturalmente fare il flusso ereflusso del mare; e che quando al medesimo globo siconferiscano i movimenti già assegnatili, è necessarioche il mare soggiaccia al flusso e reflusso, conforme atutto quello che in esso viene osservato.

Mediato dal medesimo principio-guida che gli permette diutilizzare la relazione tra esperienze nel microcosmo amodello dei fenomeni nel macrocosmo per la risoluzione delproblema riguardo la percezione della rotazione terrestre,Galileo quindi compie: 1) un’inferenza corretta riguardo ilmoto terrestre e la percezione che ne hanno gli uomini ed iltrasferimento del medesimo moto agli oggetti fisici, e 2)un’inferenza errata riguardo il fatto che i mari, essendocomposti da fluidi, non siano soggetti allo stesso principioche governa i solidi e quindi si muovano a causa dellarotazione e non assieme ad essa, nonostante partisse dallamedesima premessa veritiera garantita dall’ipotesicopernicana. Si mostra così il fatto che lo stesso principio-guida, che applicato inizialmente per dare origineall’inferenza secondo la quale sulla superficie della Terra ilmovimento rotatorio non è avvertito dagli esseri viventi, nonpuò essere riutilizzato per dare luce anche all’inferenzasecondo la quale, i mari, sono soggetti ad una diversa legge.Nonostante tutto ciò, può essere asserito che la credenza a

cui giunge Galileo è più che soddisfacente per lo scienziato,il quale giudicò la tesi sulla spiegazione del flusso ereflusso del mare abbastanza veritiera e saldamente concretada fungere da prova evidente della tesi copernicana.Proprio questa sicurezza, derivata dall’acquisizione di unacerta credenza tramite il ragionamento inferenziale, vieneposta da Peirce come il risultato ultimo del pensiero. Inquesto senso, quelli che egli chiama “stati mentali” deldubbio e della credenza, sono posti alla base dell’esigenzalogica dell’essere umano. Nell’analisi di questi due stati sideve, infatti, sottolineare una loro particolare differenzapratica: le credenze che modellano i nostri desideri e le nostreazioni manifestano la nostra disposizione ad adottare unparticolare abito mentale, ovvero una particolareproposizione, come principio guida. Riprendendo il precedente esempio, la credenza (veritiera) neldoppio moto rotatorio della Terra, guidata dal principio guidaillustrato, ha conseguito sia la formulazione dell’ipotesisensata riguardo la percezione del movimento terrestre daparte degli esseri umani, sia la teoria sulla causa delmovimento delle maree. La credenza assume quindi un ruolo distatica affermazione di un principio, i cui effetti sono lapresa di posizione e l’adempimento di azioni motivate dallacredenza stessa o in sua difesa, non la sua messa indiscussione o rielaborazione. In tal senso, ci mette incondizione di agire secondo un principio, ma non ci consentedi analizzarlo, non ci spinge all’azione su di esso.Il dubbio, al contrario, è uno stato di insoddisfazione e dirinnegamento che motiva una ben determinata ricerca. Quelloche Peirce denomina “l’irritazione del dubbio” è uno statomentale che non desideriamo, che appare ostile al modello cheabbiamo adottato, uno stato dal quale cerchiamo di uscire eche rifuggiamo proprio a causa della perdita di sicurezza edecisione data dall’abbandono di una credenza. A differenza della statica fiducia e convinzione garantitadallo stato di credenza, il dubbio ci pone infatti in unadinamica ed affannosa ricerca (Peirce usa il termine “lotta”

per enfatizzare il carattere violento di questa condizione)per conseguire un nuovo stato di credenza e di quiete. Questomeccanismo viene paragonato da Peirce al moto di un nervo chereagisce ad una stimolazione tramite un movimento per poiritornare allo stato di rilassamento iniziale. Con ciò siesaurisce l’unico obiettivo del pensiero che, da uno statoiniziale di irritazione (il dubbio) dovuto alla messa indiscussione di una credenza, attraverso il ragionamentoinferenziale raggiunge lo stato di pace conseguenteall’adozione di una credenza differente.In un certo senso questo meccanismo può essere assimilato allostato di crisi, descritto da Kuhn nella sua teoria suiparadigmi scientifici, a cui giunge la “scienza normale”quando il paradigma dominante viene messo in discussione. Ilperiodo di incertezza e stallo causato dalla perdita difiducia in un modello non più adeguato alle esigenzeepistemiche degli scienziati si risolve solo con unarivoluzione scientifica e l’adozione di un nuovo paradigma cheriporta la quiete all’interno della comunità scientifica. In accordo con questa prospettiva, la fissazione di una nuovacredenza è definita come l’unica finalità e sola conseguenzadel ragionamento inferenziale che non solo permettel’assunzione di un particolare stato di sicurezza per ilsoggetto agente, ma anche l’adozione di un determinato abitomentale che gli consente di agire secondo un certo modello,ossia la condizione base per un’agire dotato di senso e scoponel mondo.Secondo Peirce la fissazione di una credenza si attuaattraverso quattro metodi: il metodo della tenacia, il metododell’autorità, il metodo del ragionamento a priori ed ilmetodo della scienza. Il metodo della tenacia consiste,fondamentalmente, nell’evitare situazioni in grado di farvacillare la credenza in questione. Non dubitando dellapresunta consistenza del principio-guida adottato si rimaneancorati ad una forma di sicurezza del proprio conoscere cheviene incrementata non solo dalla presenza stessa dellacredenza, ma anche dalla ferma volontà di credere ad essa. Il

metodo dell’autorità, a differenza del primo, si produce nonsolo a livello individuale, ma comunitario: la credenza vienefissata all’interno di un determinato assetto sociale pervolere e dominio di una qualche figura autoritaria che neimpone l’accettazione. In terzo luogo, il metodo della ragionea priori, quello che Peirce definisce il più intellettuale erispettabile tra quelli finora esposti ed anche quello il cuifallimento è risultato il più evidente nel corso della storiadel pensiero. La specifica credenza è, infatti, assunta comeveritiera perché considerata “in accordo con la ragione” e,come sottolinea Peirce, “non in accordo con l’esperienza, macon ciò che siamo portati a credere. […] Questo metodoconsidera la ricerca qualcosa di simile allo sviluppo delgusto; ma il gusto, sfortunatamente, è sempre più o meno unaquestione di moda”(Peirce, 1984). Con l’analisi di questo metodo viene, altresì, a raffigurarsiil motivo ultimo delle diatribe all’interno della storia dellefilosofie metafisiche e, se è comunque considerato necessarioun raffronto razionale delle credenze con la razionalitàindividuale, ne viene negata la sufficienza per determinare laveridicità delle stesse. In ultima analisi viene preso ilconsiderazione il metodo della scienza, giudicato da Peirce ingrado di fissare una credenza legittimamente veritiera, ingrado di fondare le inferenze legittime su di un realismo chepresuppone l’esistenza di una “permanenza esterna” di oggettireali, i quali sono conoscibili dagli individui.L’acquisizione di una credenza, anche se erronea, non soloprovoca una situazione di pacificazione all’interno delsoggetto agente, per il quale cessa la “lotta” per usciredall’irritazione del dubbio, ma s’instaura anche un meccanismodi azione e reazione all’ambiente, in grado di muoverel’agente a prendere decisioni anche all’interno di situazionidi economia cognitiva nelle quali, senza la disponibilità delsoggetto ad assumere come veritiere e sensate anche inferenzefallaci, sarebbe fortemente limitato.Il fallibilismo, in questo senso, è la teoria che meglioesprime questo complesso di capacità degli individui. Nei

termini di John Woods, questa teoria si basa sul fatto che gliesseri-come-noi hanno due tipi di abbondanza epistemica: unaError Abundance, che esprime semplicemente la nostra propensionea commettere errori, molti errori, e una Knowledge Abundance, cheesprime la nostra volontà costante a sapere ed ad averespecifiche conoscenze (Woods, 2009). La tensione permanentetra queste due componenti ci consente di fondare le nostrecredenze su di un piano non necessariamente solido dal puntodi vista epistemico, ma abbastanza soddisfacente a livellocognitivo da permettere la fissazione della credenza e, diconseguenza, la condizione base per agire. Con le parole diSimon, il fatto che gli esseri umani siano in grado diprendere decisioni e risolvere problemi senza avere lacompletezza delle informazioni a disposizione garantisce lapossibilità di considerare le proprie conclusioni come sempremodificabili e, in qualche misura, come aperte a riceveremodificazioni apportate da maggiori informazioni sullasituazione (Simons, 2000).Ciò che però apre una parentesi di difficoltà in questodiscorso risiede, per lo più, nella costruzione che Peircefornisce sulla fissazione della credenza. Tra le quattropossibilità menzionate, infatti, è dimostrato anche dalleconsiderazioni precedenti che il soggetto agente non sempresceglie di attenersi al metodo della scienza, ma, anzi, hanotevoli vantaggi nel evitare di farlo. L’apertura volontariaa modificare le proprie credenze ormai fissate secondo i tremetodi ritenuti più fallibili secondo Peirce, o anche solo aritenerle modificabili, è un compito più arduo per il soggettodi quanto sia logico supporre.

3. Bolle epistemiche: la fissazione esasperata delle credenze

La riflessione logica ed epistemica, animata dall’interesseper le cause che muovono l’effettivo agente cognitivo iniziaperciò a concentrarsi sulla malleabilità del complesso di

credenze che riveste l’individuo ed il suo habitus peirceano4.Ciò dev’essere considerato anche in luce del tipo di analisiche si affronta: si deve infatti considerare l’oggetto distudio presente alla nostra analisi ed in grado di produrreeffetti nel mondo anche se per sua stessa natura è in continuamutazione e la sua evoluzione non esaurirà mai il campo dipossibilità alle quali potrà rimettersi per cambiare.Oltretutto la questione si complica quando si prendono inconsiderazione sia il meccanismo di generazione e rivoluzionedelle credenze nell’habitus dell’individuo sia laconsapevolezza che l’individuo stesso ha di questo meccanismoagente nel proprio sistema cognitivo.A questo punto è ovvio affermare che se la pienaconsapevolezza della dinamica tra i dubbi e le credenze delsoggetto può essere considerata una condizione possibile anchese ideale, l’analisi della situazione di inconsapevolezza o,addirittura, negazione da parte dello stesso assume trattimolto più interessanti e controversi. La questione può essere esemplificata prendendo inconsiderazione una storiella la cui paradossalità mostra ad unlivello di parossismo il cortocircuito cognitivo tra credenzae consapevolezza di tale credenza: un professore di statistica

4 Per descrivere meglio la condizione intrinseca all’individuo di quiete apparente ed, al contempo, di perenne tensione derivata dallo stato di consapevolezza o di indifferenza verso le proprie credenze – la loro veridicità, condivisione o ingenua assunzione – si potrebbe usare la parolagreca stasis. In greco antico rimanda ad una situazione di crisi o tensione intrinseca alla polis, e veniva usata per designare sia la guerra civile nella quale sfociavano le tensioni tra famiglie in avversarie, sia la presadi posizione dei vari membri della città all’interno di questo scontro; infine, data l’origine etimologica del termine (da istemi, stare, rimanere fermo) ci si riferiva anche alla stasis per parlare della situazione di quiete provvisoria tra una guerra e l’altra, nella quale le tensioni non sono appianate, ma stanno per dare origine ad una nuova guerra. La continuaelaborazione, produzione e modifica delle credenze attraverso crisi create dall’irritazione del dubbio è equiparabile alla natura incessantemente mutevole e soggetta a crisi cicliche della polis arcaica, la quale come l’individuo è intrinsecamente portato a rinnovare il proprio bagaglio credenziale attraverso cicliche rivoluzioni di prospettiva poiché anch’essasoggetta alle mutevoli evoluzioni della situazione di stasis con le quali riorganizzava la sua struttura sociale e politica.

per prendere un aereo porta sempre con sé una bomba; pensa,infatti, che se ci sono basse probabilità che su di un aereovi sia una bomba le probabilità che sul medesimo aereo ve nesiano due sono quasi nulle. Per chiarirci, adesso la questionenon riguarda più la costruzione dell’inferenza fallace delprofessore, ma lo stato di sicurezza ad essa conseguente, chelo porta nonostante l'infondatezza della sua credenza, asalire sull’aereo.Il rapporto tra la consapevolezza o meno di un individuorispetto alla vulnerabilità e legittimità delle propriecredenze ha infatti portato alla concettualizzazione di unsistema cognitivo immunitario la cui struttura si puòracchiudere in quella struttura cognitiva denominata da WoodsEpistemic Bubble (traducibile in italiano con “bolla epistemica”).Questa nozione, in linea con i principi delineati all’internodel pragmaticismo logico di Peirce, si configura grazie aspecifiche linee guida, capaci di mostrare la dinamicaimmunitaria (ed autoimmunitaria) del soggetto conoscente nellesue più immediate ed evidenti manifestazioni (dal professoredi statistica alle espressioni più banali e meno pericolose diincoscienza verso la fondatezza delle proprie credenze). Per iniziare, si può analizzare la struttura delle epistemicbubble in riferimento a quanto esplicato in precedenzariguardo la dinamica dubbio/credenza nello schema logicopragmatico di Peirce. In questo senso può di fatto esseredefinita come una reazione immediata e soddisfacenteall’irritazione del dubbio. La fissazione della credenzanecessaria per la cessazione dello stato di irrequietezza edinsofferenza, come è detto, si compie all’interno del modellocostituito dai quattro metodi delineati – la tenacia,l’autorità, la ragione a priori e la scienza – ed attraversomoduli specifici, i quali prendono consistenza e legittimità aseconda delle circostanze di utilizzo ed in base alla credenzache portano ad assicurare. Così pensata, l'epistemic bubble siconfigura esattamente come il modulo privilegiato nel quale lafissazione della credenza si attua attraverso il metodo dellatenacia.

Il fenomeno è introdotto da Woods con una definizione delladifferenza tra conoscenza e credenza, posta parallelamenterispetto alla dinamica dubbio/credenza di Peirce e alla lucedi una prospettiva agent-based (Woods, 2005). La conoscenza,sotto questi requisiti, è individuata come il possesso, daparte di un agente di un caso, un esempio paradigmatico a sostegno di unatesi (“knoledge is a kind of case-making”) inscritto nella prospettivain prima persona dell’agente, cioè, all’interno del suoassetto credenziale. In questo modo la dinamica dellafissazione della credenza diventa sempre una questione diascrizione di conoscenza, in qualche modo dipendente dallavalutazione della forza dei casi presentati dal soggettostesso a sostegno di una tesi. Così credere ad una determinatanozione è equivalente, nell’ottica in prima personadell’agente, al possedere la conoscenza di quella determinatanozione. Per arrivare alla chiave del problema – poste le due tesi inmerito alla fissazione della credenza ed al sollievo che nelsoggetto provoca l’ascrizione di una determinata conoscenzanella prospettiva in prima persona – si evidenzia:

1) l’intrinseca necessità per la conoscenza di essere semprerecepita in una dinamica di credenza per il soggettoagente;

2) l’impossibilità di avere credenze vacue, ovvero senza lapresenza di conoscenza alcuna per l’individuo (a causadella necessaria ascrizione di conoscenza nell’otticadell’individuo che la dinamica della credenza comporta).

Ciò conduce alla formulazione della controversa Proposizione 6“The down side of belief”, la quale parla della credenza comenecessaria condizione per la conoscenza ed, al contempo, come di unimpedimento al suo conseguimento. Per quanto paradossale, la secondaparte di questa proposizione segue, infatti, dalle riflessioniprecedenti: se è vero che le nostre conoscenze sono recepiteall’interno della dinamica della credenza, e che la lorofissazione in questo frangente risolve l’irritazione deldubbio, ciò non garantisce affatto la verità o la effettività

di queste conoscenze, compromettendo di fatto il nostroassetto conoscitivo. La presenza in noi di credenze false suggella l’evidenteproblematica dello stato precariamente ingenuo della nostraconoscenza. Se, infatti, la percezione di questa precarietàsuggerisce la manipolazione delle informazioni che, sottoforma di credenze, recepiamo, al contempo vi è un meccanismodi immunizzazione di queste credenze rispetto alla nostravalutazione imparziale: tale immunizzazione è garantita dalloro stesso essere percepite come conoscenze, in quanto causadel sollievo dall’irritazione del dubbio.Pur sapendo che vi è differenza tra lo statuto epistemicodella percezione della conoscenza (il sentire di sapere, “feelingof knowing”) e dell’effettivo conoscere in senso stretto,possiamo applicare questa distinzione solo nell’otticadistaccata della terza persona e mai per quanto riguarda lenostre proprie credenze. Ciò si palesa esplicitamente nellaproposizione riguardante la fugacità della verità (Fugitivity oftruth): è vero, infatti, che non c’è conoscenza che non sipossieda senza credere di possederla, ma il contrario non ècosì pacifico: se si ritiene di possedere una qualcheconoscenza ciò non implica che la si possieda davvero. Inquesta dinamica trova spazio e ragione d’uso una duplicedefinizione del concetto di epistemic bubble, in quanto:

1) impossibilità – per il soggetto – di distinguere traconoscenza e semplice credenza

2) il credere di avere una conoscenza effettiva di unadeterminata nozione, senza che questa conoscenza siarealmente presente .

Nella seconda veste (l’accezione più forte del termine), leepistemic bubble sono il risultato di una esasperazione dellafissazione della credenza, nella quale l’utilizzo di unaminima ascrizione di conoscenza ne garantisce, erroneamente,la sua presenza effettiva e completa. Il caso paradigmaticoche dovrebbe fondare una conoscenza, nei termini di Woods, è,all’interno di una epistemic bubble, scelto ed adottato inmaniera funzionale alla tesi. La cernita ed il riconoscimento di

questo esempio emblematico ( o di questa raccolta di esempi)viene gestita a partire dalla affermazione arbitraria dellaparticolare credenza che guida il pensiero. In questo modo, ifatti non saranno mai considerati esempi contrastanti, maverranno, piuttosto, adeguati ed interpretati alla luce dellateoria.L’articolo Cognitive bubbles and Firewalls: Epistemic Immunization in HumanReasoning (Magnani e Bertolotti, 2011) individua la dinamicadell’epistemic bubble nell’ottica della prospettiva agent-based come l’applicazione di una fallacia efficace. Garantendoil sollievo dall’irritazione del dubbio, la presenza di unacredenza inconsistente (che non rispecchia il possesso dellaconoscenza che effettivamente è acquisita) inganna, infatti,la struttura epistemico-cognitiva dell’agente grazie alloschema che corrispondente alla fallacia dell’affermazione delconseguente.

Premessa 1: Se conoscessi P si placherebbe la miairritazione del dubbio rispetto a P

Premessa 2: Si è placata la mia irritazione del dubbiorispetto a P

Conclusione: Conosco P.

Nonostante l’esplicitazione logica di questo ragionamentoporti alla sua chiara identificazione come fallibile, la suaapplicazione nella quotidianità è di vasta portata e quasitotalmente impercettibile per il soggetto. Secondo Woods,infatti, solo a partire dal riconoscimento dell’asimmetria trala prospettiva in prima e terza persona, si può giungere aduna messa in discussione delle credenze fissate. Laconsapevolezza dell’intima correlazione tra conoscenza ecredenza può aprire il soggetto ad un confronto con l’altro ealla messa in discussione delle conoscenze inscritte nel suocomplesso di credenze portando, quindi ad una sempre piùelaborata ridiscussione delle proprie categorie.

La possibilità di questa apertura non la rende però necessaria alsoggetto. Come si è sottolineato nel primo capitolo, lafissazione della credenza è, di norma, un momento di quietedell’individuo, la cui consapevolezza della precarietà delleproprie conoscenze non farebbe altro che rimetterlo in unostato di dubbio, ansia e di insoddisfazione. La possibilitàdell’apertura alla “correzione” tramite la prospettiva diterza persona, benché sia la più auspicabile per la dinamicaconoscitiva del soggetto, è la più ardua da considerare.Lecaratteristiche finora evidenziate, riguardo la dinamicaepistemica del soggetto, portano alla conseguente tesidell’“incorreggibilità delle bubble”: il sollievo per la fissazione diuna credenza e l’esasperazione di questo stato attraverso unadinamica di chiusura dell’individuo nei confronti dellaprospettiva in terza persona, assicura la conservazione delleepistemic bubble all’interno di una dinamica di protezionedelle credenze del soggetto, anche dalla sua stessa volontà dimigliorarsi. In questo modo si può effettivamente parlare diprocesso epistemico autoimmunitario: l’individuo tramitequesto meccanismo non solo evita di essere sottoposto ad unacontinua riesamina e messa in discussione delle proprie ideeda parte di una prospettiva esterna (grazie, appunto,all’esasperata fissazione di una credenza) ma attua lo stessosistema difensivo anche nei confronti di sé e del propriosenso critico, e non ha, perciò, la possibilità di esaminarela propria conoscenza al di fuori della sua rete di credenze. Questo dispositivo di tutela, che è alla base dellacostruzione di credenze e dello stabilirsi in esse dellaconoscenza, attiva un duplice processo di protezione e siconfigura essenzialmente come un processo di auto-immunizzazione. Non vi è solo la difesa da minacce esterne, maanche la difesa da quei meccanismi di manipolazione ericonfigurazione del sistema di credenze che lo stessoindividuo possiede, che sarebbero in grado di migliorare edarricchire la sua struttura conoscitiva. La stessa possibilitàche insorga il dubbio è fortemente compromessa.

Per meglio analizzare questa dinamica è utile riprenderel’esempio della teoria del flusso e reflusso del mareall’interno della struttura dialettica e dimostrativacostruita da Galileo in difesa del sistema copernicano.Leggendo questo modello a partire dalla considerazione dellaconoscenza come costruzione di esempi paradigmatici a sostegnodi una determinata tesi, l’utilizzo da parte di Galileo delmoto delle maree come dimostrazione della rotazione e rivoluzioneterrestre è segno emblematico della presenza di una epistemicbubble all’interno ed alla base della sua struttura teorica.La sua determinazione nell’affermare la tesi copernicana l’ha,infatti, condotto a sostenere una posizione tutt’altro cheevidente e certa. Il flusso e reflusso del mare, all’epoca,non erano solo considerati oggetti di posizioni cosmologichemetafisiche, le quali, partendo da premesse di naturateologica, facevano dipendere il fenomeno dal moto degliastri, ma numerosi studi (tra i quali quello di Keplero)affermavano esplicitamente la relazione tra fasi lunari emaree, osservabile al di fuori della diatriba “tra i massimisistemi del Mondo”. Galileo non solo non ha preso inconsiderazione questa ipotesi ma ha cercato di confutarla infavore di una teoria più debole e dubbia, ma che sembravagarantire al suo sistema maggior equilibrio ed evidenza. Cosìla sua tesi avrebbe tratto beneficio da un caso paradigmaticoche ne confermava le leggi, e rendeva lo scienziato pisanoabbastanza sicuro di conoscere qualcosa che in realtà non sapeva.Questa sua manipolazione delle credenze intorno al sistemacopernicano lo proteggeva – tramite la supposizione di unaconoscenza in realtà non acquisita – sia dagli oppositoridella tesi copernicana, sia dal suo stesso metodo scientifico, chenon era in grado di fare esplodere questa particolareepistemic bubble. In questo modo l’immunità creata come difesadalla propria razionalità – oltre che da quella avversaria –non consentiva dubbi, o incertezze, nei confronti dei casiatti a riconfermare la teoria generale. Con ciò non si intendesottovalutare le ovvie limitazioni epistemiche e scientificheimposte al lavoro di Galileo dalle autorità e dalle

istituzioni ad egli contemporanee, né, naturalmente, si vuolesminuire la radicale genialità dell’impianto metodologico inatto nelle sue opere. L’intento, infatti, è solo quello dimostrare l’incredibile permeabilità del sistema cognitivoumano al processo di embubblement, confermato, a livelloesemplare, dalla semplice presenza di una epistemic bubbleall’interno di un notevolmente complesso sistema scientificocome quello di Galileo.Al di là di questo noto caso esemplare, si deve, infatti, fareriferimento alla dinamica di embubblement, come ad un processocontinuamente attivo nell’individuo: il sistema cognitivodell’essere umano è inevitabilmente predisposto allacostruzione di epistemic bubble. Anzi, per ogni conoscenza chesi possiede, di fatto, si può sempre parlare di un grado diinconsapevole presenza di una bubble intorno ad essa. Entrandoprepotentemente nella dinamica epistemica del dubbio e dellacredenza, la Bubble Thesis assolve la funzione di mediatoreemotivo tra uno stato di inquietudine e la calma presa diposizione credenziale.Senza di essa, non vi sarebbe pace per l’individuo fino allaacquisizione totale della conoscenza. Per quanto effimeropossa essere questo stato di quiete, ci permette di agire nelmondo, di partire da una qualche premessa che noi riteniamofondata. Per tornare all’esempio nonostante Galileo avessetorto rispetto alla teoria delle maree, ciò non di meno questasua forma di sicurezza a riguardo gli ha consentito dipubblicare il Dialogo Sopra i Massimi Sistemi del Mondo, di sostenerecon esso una tesi veritiera e di non rimanere paralizzatodall’effettiva inconsistenza di quella sola posizione teorica.In questo modo la dinamica epistemica autoimmunitaria sipalesa nella sua più completa forma strategica: le credenzedel soggetto non sono difese in una prospettiva unicamenteautolesionista, ma anche per permettergli una presa diposizione nel mondo. Per assurdo, riprendendo l’esempioparadossale citato all’inizio del paragrafo, non èassolutamente straordinario il fatto che il professore siadeterminato a salire sull’aereo data la sua credenza fallace,

ma ne è addirittura motivato e senza di essa non potrebbeagire nel mondo come fa. Questo opportuno rovescio dellamedaglia sarà meglio analizzato in seguito (insieme ad ilmotivo per cui è bene ed utile che le guardie aereoportualisiano efficaci nell’individuazione della fallacia applicatadal professore e nel disarmo dello stesso)5. E’ utile ora soffermarsi sulle caratteristiche especificazioni della dinamica autoimmunitaria in un senso piùampio. Un autore, in particolare ha argomentato in manieraautorevole e feconda questo concetto: il filosofo franceseJacques Derrida ha consentito un approccio teoretico (ebiopolitico) al tema che consente di pensare l’autoimmunitàcome, di fatto, elemento agente in maniera onnipervasivanell’individuo. Se, infatti, l’epistemic bubble può essereconsiderato un modello chiave della dinamica autoimmunitariadel soggetto a livello epistemico – data la sua vasta portatad’azione nella nostra struttura cognitiva – si rende, per dipiù, in grado di essere altresì modellato ed applicato anche acontesti più complessi e mutevoli, diventando così unparadigma estendibile, in maniera più esaustiva, ancheall’intero piano cognitivo fino a raggiungere le dinamiche difondazione della morale. In questo modo è possibile concepirele epistemic bubble – e cognitive e morali (delle quali sitratterà più avanti) – non solo come schemi esemplari distrutturazione della nostra autocoscienza, ma anche comestrumenti di comprensione ed approfondimento di quelladinamica autoimmunitaria del Sé descritta da Derrida inriferimento al più comprensivo piano teoretico.6

5 In riferimento agli argomenti trattati nel capitolo 1, può essere interessante domandarsi se un agente logico può o meno essere affetto dalladinamica delle epistemic bubble. Data la sua conformazione sarebbe ragionevole propendere per una risposta negativa (per l'assenza di influenza da parte dell'ambiente e la mancanza di consapevolezza); in ogni caso sarebbe utile approfondire come questa sua immunità alle epistemic bubble potrebbe determinare la sua produzione e gestione delle inferenze.6 Questo parallelo tra il concetto di autoimmunità legato allo sviluppo dell'epistemologia nel campo delle scienze cognitive e la nozione propriamente teoretica, ideata a partire da una prospettiva linguistico-politica di Derrida potrebbe apparire azzardato o, quanto meno, pretenzioso. A questo giudizio si deve contrapporre l'idea che pretendere

4. Logica, a-logica o il-logica autoimmunitariaLo schema della logica autoimmunitaria prende corpo econsistenza negli scritti di Derrida attraverso – e a favoredi – una rielaborazione della dinamica dell’io vivente, dellavita del vivente e del rapporto tra vita e politica. Quando ilconcetto apparve per la prima volta nel 1993 in Spettri di Marx,non vi era alcuna chiarificazione o riferimento specificoall’utilizzo di questa scelta terminologica. La dinamica fupresentata a livello generale e la presenza problematica edimprescindibile di un altro, un nemico, un avversario nelcorpo vivo dell’io, dalla cui premessa nasce la costruzionedell’impianto autoimmunitario, non venne esplicitamenteaffrontata all’interno dell’argomentazione per stabilirsidirettamente come movimento necessario alla vita del vivente.

“Essi non vogliono sapere che l’io vivente è autoimmune.Per difendere la sua vita, per rapportarsi come ilmedesimo, a se stesso, l’io vivente è necessariamenteportato ad accogliere l’altro all’interno[…]; deve dunquedirigere allo stesso tempo a suo favore e contro di sé ledifese immunitarie apparentemente destinate al non-io, alnemico, all’opposto, all’avversario.”

Per rendere chiara la costruzione di questa tematica, si deveinevitabilmente far riferimento a tre questioni chiave, a piùriprese articolate e manipolate nelle opere di Derrida:l’attenzione e l’interesse nei confronti della biologia, dacui prende significato il concetto di autoimmunità come

che si determini una costruzione teorica come quella delineata finora all'interno di un assetto filosofico unitario non sarebbe solo ardimentoso,ma quanto mai svilente: le implicazioni che derivano dall'applicazione delle strutture logiche, cognitive ed epistemiche esplicate in queste pagine non hanno una chiusura determinata e le loro potenziali affermazioniin numerosi campi culturali sono pressochè ancora sconosciute se non idealmente illimitate. Sarebbe perciò una terribile prova di miopia intellettuale non curarsi delle dinamiche che un concetto complesso come quello di autoimmunità a livello epistemico stabilisce con le sue omonime strutture in campo teoretico.

elemento patologico ed autodistruttivo, la logica a-logica oillogica del pharmakon e, infine, l’analisi del rapporto tra pulsioniconservatrici e pulsioni di morte.Il primo riferimento può essere individuato nel collegamentoche Derrida pone tra autoimmunità ed immunodepressori in Fede eSapere. Simone Regazzoni, nel testo Derrida Biopolitica e Democraziaindividua in questo scritto una stretta connessione dellatematica autoimmunitaria con l’immunodeficienza e il deficitimmunologico. Trova in questo modo spazio di analisi eriflessione l’indagine sulla sindrome da immunodeficienza acquisita(AIDS), più volte emersa nel corpus delle opere derridiane .L’immunodeficienza provocata dalla autodistruzione, odistruzione delle proprie difese, del sé diventa così il pernodi un dialogo con la scienza biologica volto non ad esaurireil discorso sul essere vivente come essere autoimmune ma afornire un’esposizione più nitida dell’aspetto patologico edistruttivo di questa condizione. La formula dalla quale siapre il discorso in tal senso si individua nel passaggiodall’edizione italiana a quella francese (successiva) deltesto, nella quale la “malattia autoimmune” diviene “le virusde l’immuno-deficience humaine” (VIH) (Derrida, 1995).Secondo gli studi del noto medico ed immunologo Jean ClaudeAmeisen, lo sviluppo dell’AIDS sarebbe direttamente collegatoall’apoptosi, o suicidio cellulare, provocato dal virusdell’HIV, dei linfociti preposti a gestire la rispostaimmunitaria. Senza entrare ulteriormente nel merito dellaquestione medica, questa esplicazione della dinamica biologicaautoimmunitaria è in grado di focalizzare l’attenzione sulladistruzione della propria immunità da parte dell’individuo,ovvero sul movimento autoimmune in quanto immune dalla propriaimmunità.In questo modo, seguendo il filo rosso dell’argomentazione siperviene, a partire dalla definizione para-etimologica diindenne, all’elaborazione più completa del concetto diautoimmunità. L’indenne, ciò che non è stato danneggiato, ilpuro, il non contaminato, è quel che Derrida definiscel’oggetto proprio della religione, in rapporto stretto a

livello etimologico con “danno”, derivato da dap-no-m e quindiin relazione con daps, dapis, la festa sacrificale, il banchettosacro. Questo elemento, richiamato come ciò che designa un“processo di compensazione e restituzione, talvoltasacrificale, che ricostituisce la purezza intatta, l’integritàsana e salva, una proprietà ed una proprietà non lesa” è ciòche esplicitamente verrà poi identificato come l’immune,portando all’equivalenza l’uso di questi due termini neltesto. Questo cambio terminologico gli permette di descriverela “pulsione dell’indenne” come effettiva autoimmunitàconsentendogli, perciò di parlare della pulsione immunitaria esalvifica del sé verso il sé. Nella dinamica così descritta siinserisce ciò che Regazzoni, definisce un “qualcosa che ha i tratti diun doppio perturbante che minaccia di dare la morte: una sorta di veleno al cuoredel rimedio” (Facioni, Regazzoni e Vitale, 2012). Ciò consente l’apertura del parallelo tra autoimmunità epharmakon, che Derrida definisce logica – a-logica o illogica –del sé. Il movimento analizzato è al contempo difensivo edautodistruttivo, si pone come unico rimedio al cui interno,contemporaneamente, risiede la minaccia verso ciò che si vuoledifendere. In questo senso sono analizzati i rapporti trapulsioni conservatrici e la pulsione di morte del testo Al di làdel principio di piacere di Freud: all’interno di Speculare - su Freud, unestratto intitolato La vita la morte, Derrida definisce lepulsioni conservatrici “i guardiani della vita ma perciòstesso le sentinelle o i satelliti della morte”(Derrida,1980). Nonostante la dinamica autoimmunitaria all’epoca nonfosse ancora presente nel lessico derridiano, questaformulazione richiama esattamente il concetto che verrà poi acostituire la definizione chiave del rapporto della vita delvivente, della vita del politico e della costituzioneintrinsecamente autoimmunitaria del sé. Tornando al passo già citato di Spettri di Marx, si può ora farriferimento a ciò che l’altro (quell’altro che l’io devenecessariamente accogliere in sé per costituirsi come tale),comporta: la difesa da esso non è che una componentenecessaria per la costruzione del sé a dispetto delle difese

che si costituiscono per la propria stessa protezione. È unmovimento dialettico, di apertura nei confronti di ciò che ilsé da solo non può costituire ma che, in questo stesso modo,non fa che minare l’indennità del sé stesso: il meccanismointrinseco all’io, che ne costituisce la vita ed al contempola sacrifica, non mina le proprie difese unicamente in unamorsa autodistruttiva, ben evidenziata nel parallelo con lapatologia immunodeficiente, ma è anche medicina, rimedio,pharmakon, la cui doppia valenza richiama il tema della morteinscritto inesorabilmente nel cuore della vita stessa. Questodoppio dispositivo lavora inesorabilmente all’interno delmeccanismo costitutivo del Sé e ci consente di utilizzarequesta elaborazione teorica – sebbene difficile da comprenderein maniera sistematica – come registro lessicale e dinamicoapplicabile al meccanismo autoimmunitario della strutturacognitiva ed epistemica dell’ individuo.All’interno dell’articolo citato nel paragrafo precedente,Cognitive Bubbles and Firewalls (Magnani e Bertolotti, 2011), gliautori, dopo aver analizzato il meccanismo delle epiistemicbubble, sottolineano la loro presenza inevitabile nellacognizione degli esseri umani, indipendente dallaconsapevolezza che gli stessi sono in grado di raggiungeredella loro struttura e portata. A questo riguardo, estendonol’azione delle epistemic bubble all’intero complesso dimeccanismi inferenziali utilizzati dagli esseri umani. Ladinamica di costruzione e decostruzione delle credenze, la cuicostituzione prevede la presenza (e minaccia) delle epistemicbubble, non si attiva ed esercita solo nel contestodeterminato della formulazione tetica imposta dalla nascitaspontanea di un dubbio: al contrario, la stretta correlazionecon la prospettiva agent-based adottata, impone un’analisidelle situazioni che concretamente un individuo è posto adaffrontare; ciò presuppone una predisposizione all’embubblementnel più ampio contesto in cui l’individuo è visto e concepitocome agente e nel quale l’attività di problem-solving permanecome sua prerogativa. In questo modo, grazie alla presa d’attodello studio dell’agente cognitivo sotto i requisiti imposti

dalla Actually Happens Rule, gli autori possono parlare dicognitive bubble (bolla cognitiva) e la dinamica descritta inquest’ottica può effettivamente essere riconosciuta come unmodello efficace di autoimmunità cognitiva, condizionato dallalogica – illogica o a-logica – immunitaria derridiana.Ciò consente di aprire nel prossimo paragrafo il discorsoriguardo alla biopolitica, intesa da Derrida come contestofondamentale nel quale si palesa la logica autoimmunitaria, maanche come edificio cardine nel quale si evidenzia la portatadel modello della Bubble Thesis, in quanto meccanismoautoimmunitario non più agente solo a livello individuale masociale e quindi operante in un sistema eco-cognitivo dinicchie cognitive.

5. Biopolitica ed autoimmunitàL’autoimmunità come elemento costitutivo della vita delvivente è posto, negli scritti di Derrida, nel cuore deldiscorso biopolitico, un terreno più ampio ed articolato diquanto la prospettiva finora essenzialmente focalizzata sulladinamica intrinseca all’individuo abbia mostrato. Questa formadi costruzione dialettica permette, però, di articolare in chemodo il meccanismo autoimmunitario permei la struttura basedell’ordinamento sociale proprio a partire dall’individuo, daisuoi stessi sistemi originari. La questione della vita delvivente come punto di partenza e di arrivo della costruzionebiopolitica, consente anche di aprire uno spazio di dialogocon le formule proprie dell’indagine epistemico-cognitivaelaborate a partire dai complessi di dispositivi immunitari, equindi autoimmunitari, degli individui fino a comprenderne ledinamiche che influenzano la costituzione sociale (in quantoformata da sistemi di nicchie cognitive e morali di cuichiariremo i meccanismi più avanti).Il meccanismo che intercorre tra queste due forme di analisifilosofica, per quanto seguano percorsi differenti, possonochiarire, tramite un’interrogazione la cui formulazioneprevede lo studio di oggetti comuni, tra i quali il sistema

politico umano nella sua dinamica complessità. Per iniziare adaffrontare questo ampliamento del discorso, si devenecessariamente fare chiarezza, perciò, su cosa intendeDerrida quando tratta della biopolitica ed in che modo ilmeccanismo autoimmunitario la permei e in che modo essa ne siaprofondamente condizionata.La questione intorno alla biopolitica si annuncia, nelladecostruzione derridiana, come rapporto di incontro e scontrocon il paradigma biopolitico determinato da Foucault. Eglipensa al potere biopolitico, come antitesi e superamento delpotere sovrano: il diritto di lasciar vivere e di dare la morte, dirittodi sovranità, viene alterato – completato o sostituito –dall’innesto di un potere affermativo in favore della vita ed ildiritto diviene biopolitico, quello di far vivere e di lasciaremorire. È così posta una radicale estraneità tra i due tipi dipotere ed il mutamento che avviene nella modernità perl’attenzione che la politica assume nei confronti della vita ene delinea i contorni attraverso un passaggio netto, un salto.Si passa dalla politica della sovranità alla biopolitica,ribaltando la situazione, ponendo – anti teticamente rispettoalla condizione precedentemente in atto – la questione dellavita al centro del contesto politico. Le rielaborazioni cheerediteranno questa tesi, come quella di Giorgio Agamben o diRoberto Esposito, ne sono rifacimento e rimodellamento, mamantengono questo passaggio come nocciolo chiave dellaquestione. Tutto ciò viene contestato da Derrida, il qualeutilizza il termine biopolitica per identificare unacondizione intrinseca alla dinamica di potere, persino delpotere sovrano, che permane anche quando questo tipo disovranità acquista una forma fantasmatica nell’epoca moderna. Iltermine, nell’accezione derridiana, mira ad esplicare ilrapporto tra politikon, bios e zoè in una dinamica che comportal’autoimmunità come chiave del problema. La questionebiopolitica viene così rielaborata e modellata grazie a questanozione cardine nel testo già citato Fede e Sapere, nel quale,attraverso la logica autoimmunitaria, è posto l’accento suquella che può essere definita la pulsione di morte,

intrinseca all’essenza stessa della vita del vivente, cheauto-distrugge ed auto-costituisce la stessa possibilità divita. È ciò che Regazzoni definisce una logica auto-decostruttiva. Lastessa, applicata alla vita del politico prende parte allastruttura delle forme biopolitiche che assume (Regazzoni,2012). La democrazia ne è un esempio paradigmatico.In Stati canaglia e Filosofia del terrore. Dialoghi con Jürgen Habermas e JacquesDerrida, l’autoimmunità democratica si palesa nel caso dell’11settembre; l’attacco terroristico agli Stati Uniti, in quantoatto suicida/omicida per eccellenza, emerge dalla – e contro –la democrazia americana come sintomo più evidente e violentodella sua costituzioneautoimmunitaria. Ciò si evince attraverso tre considerazioniin merito:

1. L’attacco proveniva, innanzitutto, dalla stessademocrazia americana: la preparazione dei terroristi, leloro armi, gli aerei utilizzati, l’aeroporto dal qualesono partiti erano americani, tollerati dagli americani epermessi dalla democrazia americana. La stessa che hadato modo ai terroristi di essere accolti all’interno delpaese e che ne ha subito l’attacco. L’amministrazionestatunitense stessa ne ha, in qualche modo, preso partenon difendendosi a sufficienza da una minaccia la cuiimprevedibilità era altamente relativa.

2. Nella reazione all’attacco terroristico, la democraziadeve fare i conti con le proprie strutture, con ciò cheha permesso l’evento e, perciò, con il suo stessoscheletro autoimmunitario. Questo, però, producenient’altro che un attacco al proprio stesso sistema didiritti ed, al fine di difendersi dall’altro, si difendeanche da se stessa, da ciò che all’interno della propriastruttura l’ha consentito, riproducendo la dinamicaesposta in precedenza di distruzione delle propriedifese, di immunizzazione nei confronti della propriaimmunità.

3. Infine, un terzo momento della dinamica autoimmunitariaviene innescato dalla reazione al trauma – o, meglio,all’effetto del trauma – scatenato dall’11 settembre.“Lapossibilità che il peggio debba ancora venire, che cioèsi ripeta, ma in peggio” nullifica il tentativodell’elaborazione del lutto e motiva una rispostaautoimmune alla stessa prospettiva salvifica che siavrebbe con una consolante accettazione del fatto che ciòche è passato non potrà avvenire ancora. La prospettivache cerca di attenuare o neutralizzare questo effettotraumatico senza, in realtà, scalfirlo crea solo risposteautoimmunitarie, “che nutrono la stessa mostruosità chepretendono di superare”, come la guerra al terrorismo elo spettro di una guerra nucleare. La minaccia chevorrebbe difendere – ma in realtà attacca – la democraziaè fantasmatica ma, proprio per questo, inattaccabile,impensabile.

Questo caso estremo, per quanto mostri con chiarezza ilprocesso autoimmunitario in atto all’interno di una strutturademocratica, non deve suggerire l’idea che in assenza di unattacco diretto ed evidente, le forme della biopolitica sianoprive della auto-affezione immunitaria. Il costituirsi dellospazio democratico come intrinsecamente autoimmune non è soloun ammettere una pulsione auto-distruttiva al suo vertice, maammettere anche che sia un movimento necessario per manteneredinamica, viva e attiva la democrazia stessa. Come nel casodell’autoimmunità quale logica basilare all’interno del nostroparadigma cognitivo ed epistemico, che rende in gradol’individuo di agire e costruirsi un panorama di credenzedalle quali partire per avere azione ed efficacia nel mondo,anche nel modello biopolitico lo schema autoimmunitario svolgeuna funzione di radicale apertura e, nel distruggere leproprie difese, nel difendere un nucleo radicale di principiche costituiscono la nostra sfera biopolitica anche dallapropria configurazione democratica, si apre la possibilità alrischio ed alla chance.

Nell’incontro tra la quantità di rischio che la democrazia, ola dimensione biopolitica in atto, si assume e ladisponibilità di chance che si pone alla propria portata vi èl’equilibrio perennemente precario indispensabile ad unapolitica viva e dinamica.In questo processo di assunzione di rischi e distribuzione dichance si può innestare un discorso cognitivo, epistemico, alquale possiamo fare riferimento per articolare a questolivello le considerazioni biopolitiche derridiane e pensare adun modello politico in grado di abbracciare, senza fondere, ledue prospettive filosofiche: la questione intorno alla nascitae sviluppo delle nicchie cognitive e morali.

6. Nicchie cognitive e logica autoimmunitariaIl termine nicchia cognitiva prende forma dal concetto di “nicchiaecologica” di Gibson con il quale si indica quell’insieme dicaratteristiche ambientali favorevoli allo sviluppo di unadeterminata forma di vita animale; la nicchia ecologica si distinguedall’idea di habitat, per il fatto che non è una meraidentificazione dell’ambiente nel quale vivono forme di vitama rappresenta il modo in cui queste vivono nell’ambiente (Magnani, 2012).All’interno di una nicchia ecologica la pressione selettivanon è solo costituita dalla struttura dell’ambiente stesso, maanche dalle modificazioni ed interazioni che gli animaliapportano durante l’interazione quotidiana con l’ambiente; inquesto modo, all’interno di questa prospettiva naturalisticaed evolutiva, gli animali sono definiti ingegneri ecologici per laloro capacità di manipolazione dell’ambiente al fine dipromuovere i fattori favorevoli alla propria specie e mitigarequelli sfavorevoli.Su questa struttura si delinea la definizione di nicchiacognitiva proposta da Laland, Odling-Smee e Feldman: lamanipolazione dell’ambiente è tale da garantire una specificamodifica della pressione selettiva su una specie e consente aquesta di predisporre la propria esistenza in quanto gruppo,di agire con maggior controllo sull’ambiente stesso e, al

contempo, di influire sugli ambienti selettivi di altre specie(Laland, Odling-Smee, Feldman, 2000).Nel caso della specie umana, la costruzione di apparatisociali e la promozione al loro interno di un sistema dicooperazione segue appunto questo meccanismo. Le strutture checonsentono agli agenti di disporre, all’interno della società,di determinati strumenti cognitivi, che mettono a disposizionelo scheletro meramente fisico del territorio occupato epredispongono la condivisione di progetti (idee e apparatisocio-culturali), sono complessi di nicchie cognitive adiversi gradi di specializzazione. In questo modo lapossibilità per gli agenti di sfruttare gli elementi fornitinelle nicchie eco-cognitive per poi ridistribuirli sotto formadi chance in grado di essere prese ed utilizzate dagli altriagenti della stessa nicchia aumentano e la nicchia cognitivastessa progredisce. Le chance, in questo senso, sono quel tipodi informazioni che possono essere estratte, sfruttate eridistribuite dagli ingegneri ecologici –sono quindi partiintegranti delle nicchie cognitive. Queste informazioni sonoutili, talvolta, allo stesso mantenimento della nicchia cometale: le informazioni inerenti alla sfera morale, volte allaprotezione e assimilazione di determinati principi da partedegli agenti, sono funzionali alla costruzione della stessanicchia cognitiva, e, in questo caso, specificamente morale.Senza ora entrare nel merito della costituzione e dellosviluppo delle nicchie morali (discusse nel capitolosuccessivo), è tuttavia utile anticipare un riferimento almodo in cui le informazioni morali si costituiscono a livellocollettivo negli agenti e il modo in cui essi le ridispongononella dinamica della nicchia cognitiva.Per elaborare questo concetto è necessario riferirsi almeccanismo di embubblement descritto in precedenza. Lastruttura della cognitive bubble – ideata sulla base dell’epistemicbubble, ma potenzialmente presente, più generalmente, in tuttele attività inferenziali del soggetto – si riveste di unparticolare meccanismo autoimmunitario nei casi in cui questeattività inferenziali sono inerenti alla sfera morale e si

rapportano, pertanto, all’assetto sociale eco-cognitivoformato nelle nicchie morali. Le moral bubble (bolle morali;cfr. Magnani e Bertolotti, 2011) sono dispositivi il cuiapparato si fonda su un assetto cognitivo e mantengono lafunzione di esplicare il meccanismo autoimmunitario degliagenti nella dinamica di costruzione e decostruzione deldubbio e della credenza. In questo senso si può affermaresemplicemente che si riferiscono a quel particolare tipo dicredenze che compongono l’assetto etico degli individui che,di fatto, si stabilisce in relazione alla determinata nicchiamorale nella quale le credenze si sviluppano. Se è possibile –ma non necessario – affrontare in un’ottica eco-cognitiva ildiscorso in merito alla portata d’azione delle epistemic bubble(il cui effetto è mitigato dall’interazione tra la prospettivain prima persona e in terza persona), l’analisi diviene invececogente per quanto riguarda la dimensione morale. Infatti,l’effetto che questo processo di embubblement provoca graziealla struttura stessa del suo schema autoimmunitario è dinotevole importanza per la gestione sociale e la condivisionedelle credenze. Non si tratta solo di un processoautoimmunitario intrinseco all’individuo, bensì, nella suadimensione condivisa contribuisce ad evidenziare quelladinamica autoimmunitaria già esplicata nella dimensione piùteoretica della biopolitica. Considerando gli esseri umani come ingegneri cognitivi eassumendo che la loro funzione principale sia la ricerca dichance messe a disposizione all’interno di nicchie più o menosofisticate, è possibile giungere a due conclusioni: la primainteressa il campo più specificamente evolutivo/biologico eriguarda la selezione delle chance messe a disposizione degliagenti in ambiente eco-cognitivo così stratificato. Laselezione, non unicamente a livello cognitivo ma anche morale,delle informazioni e del materiale disponibile nelle nicchiecognitive non può che indirizzare potentemente le scelte e lemodalità di vita degli individui inseriti in tale contesto. Lavitalità di una nicchia dipenderà dalla rielaborazione diqueste da parte dei singoli e dal loro nuovo innesto

all’interno della nicchia. La seconda considerazione èspecificamente inerente all’elaborazione svolta circa ladimensione auto-immunitaria dei soggetti nell’otticabiopolitica ed eco-cognitiva. Se si considera laconfigurazione della logica autoimmunitaria descritta daDerrida a livello eco-cognitivo, è possibile aprire dialogotra queste due prospettive filosofiche in grado di illuminarei meccanismi, talvolta palesemente incoerenti o, illogici,dell’apparato sociale.7 In questi termini la dinamicaautoimmunitaria presente all'interno di una nicchia estesa epotente, come per esempio la democrazia, alla quale si è giàfatto riferimento con il modello paradigmatico dellademocrazia americana, diviene una struttura eco-cognitiva, incui il conflitto tra bolle collettive, morali e cognitive,sottopone la nicchia alla necessità di creare di uno spazio incui le difese contro gli elementi pericolosi e dannosi sonorivolte all'interno dello stesso sistema. Il fanatismoreligioso o il richiamo alla fantomatica anti-politica, peresempio, diventano elementi delle bolle collettive insitenella nicchia democratica che devono essere combattuti dallanicchia stessa, grazie ad un loro riconoscimento come partidella stessa ma immuni rispetto alla possibilità di una lorovera espulsione. La dinamica di costruzione e spostamentodelle bubble fa sì che questo meccanismo sia sempre in azionee, a livello eco-cognitivo, determini la qualità e la vitalitàdi una nicchia cognitiva e ne minacci, al contempo, lafunzionalità ed l’efficacia. In breve, sia a livello individuale sia circoscritta in uncontesto eco-cognitivo, la dinamica autoimmunitaria simanifesta come un bisogno e un’arma a doppio taglio. La suaportata autodistruttiva dev'essere mitigata da un cosciente ecostante ripensamento delle sue forme e nell'adozione di unaprospettiva che ammetta e riconosca, nell'esistenza diconflitti tra bolle collettive generanti una ridefinizionecontinua della nicchia nella quale agiscono, la chiave dellasua stessa stabilità. In un certo senso, tutto ciò è7 Riferimento al testo sulle nicchie terminator (forthcoming)

paragonabile a una sorta di esplosione controllata, il cuiobiettivo risiede nel controllo, cosciente e capillare, deidanni e non nell’arresto della detonazione.

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