Asta A, Bon M, Girotto V, Medas S, Reggiani P, Reperti archeologici provenienti dai sedimenti del...

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237 Boll. Mus. St. Nat. Venezia, 65: 237-252 (2014) Alessandro Asta, Mauro Bon, Valentina Girotto, Stefano Medas, Paolo Reggiani REPERTI ARCHEOLOGICI PROVENIENTI DAI SEDIMENTI DEL CANALE DEL CORNIO (CAMPAGNA LUPIA, LAGUNA DI VENEZIA): ANALISI DEGLI SCAFI MONOSSILI ED EVIDENZE FAUNISTICHE Riassunto. Recenti operazioni di recupero archeologico d’emergenza, lungo il tratto terminale del canale Cornio, tra Campolongo Maggiore e Campagna Lupia (Venezia), hanno consentito di documentare la presenza, in corrispon- denza dell’antico alveo del Medoacus Minor (il ramo meridionale del Brenta), di reperti d’età romana e natanti monossili del IX-XI secolo d.C., in grado di attestare una plurisecolare frequentazione antropica del corso fluviale. Lungo alcuni tratti della scarpata interna dell’argine, consistenti depositi di materiale archeologico, probabilmente costipati intenzionalmente a formare una arginatura artificiale di epoca ignota, hanno restituito numerosi reperti osteologici, in associazione a manufatti di diversa natura, pertinenti a un contesto antico moderatamente antropiz- zato, collocabile tra la piena età repubblicana e la prima età imperiale (II secolo a.C. - I secolo d.C.). Tra i reperti ossei, sono state identificate specie animali domestiche e alcune specie selvatiche tipiche degli ambienti umidi. Particolarmente interessante risulta la presenza di Castor fiber, specie inedita in questo comprensorio territoriale per il periodo considerato. Summary. Archaeological findings from sediments of the Cornio canal (Campagna Lupia, Lagoon of Venice, Italy): analysis of monoxilous hulls and faunal elements. Along the terminal stretch of the Cornio canal, between Campolongo Maggiore and Campagna Lupia (Venice), within the ancient bed of the Medoacus Minor (the southern branch of the Brenta), a centuries-old human presence has been attested. Archaeological excavation activities recovered the presence of parts of Roman artifacts and monoxilous ships from the 19th-11th centuries AD. Substantial amounts of archaeological material yielded numer- ous osteological remains, together with various kind of artifacts, related to a context that can be dated between the full Republican period and the early Imperial age (2nd cent. BC - 1st cent. AD.). Among bone remains, domestic animals and some wild species typical of wetlands were identified. Especially interesting is the presence of Castor fiber, unreported before for the time considered within this territorial district. INQUADRAMENTO ARCHEOLOGICO (V.G.) Le operazioni di sbancamento dei depositi superficiali del letto del canale Cornio, condot- te dal Consorzio di Bonifica Bacchiglione e finalizzate a ottimizzare il deflusso in laguna delle acque del sottobacino Sinistra Brenta, sono state oggetto di assistenza archeologica continua, diretta dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, tra luglio e settembre 2012, per un tratto di circa 300 m a monte dell’idrovora di Lova (fig. 1; referente scientifico dott. Alessandro Asta). Questo settore idrografico, a cavaliere tra i territori comunali di Campolongo Maggiore e Campagna Lupia (Venezia), secondo recenti ricostruzioni geo-pedologiche, sembra coin- cidere con un tratto di un antico ramo del Medoacus (originario nome del Brenta) a valle di Padova, e in particolare con un ramo mediano tra un corso maggiore, passante più a nord tra Stra, Dolo e Mira, e uno dei principali rami meridionali, discendente da S. Angelo di Piove di Sacco verso Bojon e Lova, al quale poi andava probabilmente a congiungersi. Sulla datazione di questo tratto, segnalato geomorfologicamente da un dosso fluviale, sussistono a oggi numerosi dubbi (MOZZI et al., 2004) anche se sembra certo che specifiche

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237Boll. Mus. St. Nat. Venezia, 65: 237-252 (2014)

Alessandro Asta, Mauro Bon, Valentina Girotto, Stefano Medas, Paolo Reggiani

REPERTI ARCHEOLOGICI PROVENIENTI DAI SEDIMENTI

DEL CANALE DEL CORNIO (CAMPAGNA LUPIA, LAGUNA DI VENEZIA):

ANALISI DEGLI SCAFI MONOSSILI ED EVIDENZE FAUNISTICHE

Riassunto. Recenti operazioni di recupero archeologico d’emergenza, lungo il tratto terminale del canale Cornio,

tra Campolongo Maggiore e Campagna Lupia (Venezia), hanno consentito di documentare la presenza, in corrispon-

denza dell’antico alveo del Medoacus Minor (il ramo meridionale del Brenta), di reperti d’età romana e natanti

monossili del IX-XI secolo d.C., in grado di attestare una plurisecolare frequentazione antropica del corso fluviale.

Lungo alcuni tratti della scarpata interna dell’argine, consistenti depositi di materiale archeologico, probabilmente

costipati intenzionalmente a formare una arginatura artificiale di epoca ignota, hanno restituito numerosi reperti

osteologici, in associazione a manufatti di diversa natura, pertinenti a un contesto antico moderatamente antropiz-

zato, collocabile tra la piena età repubblicana e la prima età imperiale (II secolo a.C. - I secolo d.C.). Tra i reperti

ossei, sono state identificate specie animali domestiche e alcune specie selvatiche tipiche degli ambienti umidi.

Particolarmente interessante risulta la presenza di Castor fiber, specie inedita in questo comprensorio territoriale per

il periodo considerato.

Summary. Archaeological findings from sediments of the Cornio canal (Campagna Lupia, Lagoon of Venice, Italy):analysis of monoxilous hulls and faunal elements. Along the terminal stretch of the Cornio canal, between Campolongo Maggiore and Campagna Lupia (Venice),

within the ancient bed of the Medoacus Minor (the southern branch of the Brenta), a centuries-old human presence

has been attested. Archaeological excavation activities recovered the presence of parts of Roman artifacts and

monoxilous ships from the 19th-11th centuries AD. Substantial amounts of archaeological material yielded numer-

ous osteological remains, together with various kind of artifacts, related to a context that can be dated between the

full Republican period and the early Imperial age (2nd cent. BC - 1st cent. AD.). Among bone remains, domestic

animals and some wild species typical of wetlands were identified. Especially interesting is the presence of Castorfiber, unreported before for the time considered within this territorial district.

INQUADRAMENTO ARCHEOLOGICO (V.G.)

Le operazioni di sbancamento dei depositi superficiali del letto del canale Cornio, condot-

te dal Consorzio di Bonifica Bacchiglione e finalizzate a ottimizzare il deflusso in laguna delle

acque del sottobacino Sinistra Brenta, sono state oggetto di assistenza archeologica continua,

diretta dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, tra luglio e settembre 2012,

per un tratto di circa 300 m a monte dell’idrovora di Lova (fig. 1; referente scientifico dott.

Alessandro Asta).

Questo settore idrografico, a cavaliere tra i territori comunali di Campolongo Maggiore

e Campagna Lupia (Venezia), secondo recenti ricostruzioni geo-pedologiche, sembra coin-

cidere con un tratto di un antico ramo del Medoacus (originario nome del Brenta) a valle di

Padova, e in particolare con un ramo mediano tra un corso maggiore, passante più a nord tra

Stra, Dolo e Mira, e uno dei principali rami meridionali, discendente da S. Angelo di Piove

di Sacco verso Bojon e Lova, al quale poi andava probabilmente a congiungersi.

Sulla datazione di questo tratto, segnalato geomorfologicamente da un dosso fluviale,

sussistono a oggi numerosi dubbi (MOZZI et al., 2004) anche se sembra certo che specifiche

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dinamiche di antropizzazione abbiano avuto luogo tra l’età del Ferro e la piena romanità; per

i secoli successivi probabilmente non è possibile parlare di un vero e proprio collasso dell’a-

sta fluviale, ma se ne può supporre un minor carico idrico, con conseguente contrazione delle

frequentazioni antropiche. Allo stesso modo possono essersi verificate divagazioni e diver-

sioni più o meno artificiali per migliorarne o differire altrove il deflusso: in molte mappe medie-

vali il Cornio appare con corsi non sempre sovrapponibili e spesso innestato, e addirittura confu-

so, con altri fiumi, come la Saverga.

La frequentazione antica del territorio in esame è stata suffragata non solo dai numerosi

rinvenimenti di superficie contigui al Cornio (CAPUIS et al., 1994; GIROTTO, 2011), dai quali

provengono alcuni materiali osteologici considerati in questa sede, ma anche e soprattutto dalle

notizie dei copiosi ritrovamenti avvenuti alla fine dell’Ottocento sotto la supervisione uffi-

ciale del dottor Gidoni, all’epoca Regio Ispettore agli Scavi e Monumenti al Distretto di

Dolo, durante alcune operazioni di manutenzione e imbonimento degli argini. Sebbene non

si abbiano riscontri materiali di quei recuperi, dagli appunti di Gidoni oggi sappiamo che

vennero alla luce macine, anfore, mattoni, resti di pozzi, monete, nonché la piroga attualmen-

te conservata ed esposta al Museo di Storia Naturale di Venezia (LEONARDI, 1941; MARTI-

NELLI & PIGNATELLI, 1998; CRISAFULLI, 2011).

Altri elementi importanti (ma quasi del tutto inediti) per l’inquadramento archeologico dell’a-

rea sono la recente scoperta di un pozzo, realizzato con cilindri fittili sovrapposti (BON & TRABUC-

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Fig. 1. Inquadramento geografico delle zone di rinvenimento dei reperti: in grigio: area c.d. Busa de Guia;

in tratteggio sottile: gli argini del Cornio oggetto di vigilanza archeologica; in tratteggio più spesso: area di

rinvenimento dei reperti ossili (cartografia di base CTR a scala 1:10.000, elab. V. Girotto).

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CO, 2005; VIGONI, 2011, 2012) e l’identificazione nel 1998 di un piccolo apprestamento portua-

le costituito da assi lignee, entrambi nel settore a sud dell’attuale idrovora consorziale.

Durante i lavori di sbancamento del 2012 sono state identificate alcune zone in cui la

densità dei rinvenimenti si è dimostrata notevole, a confronto di altre zone più povere; in parti-

colare, i tratti immediatamente più a monte dell’idrovora e della botte a sifone hanno riser-

vato le maggiori sorprese. Sebbene non sia quasi mai stato possibile effettuare una lettura anali-

tica della stratigrafia dell’alveo e della scarpata interna, interessati dall’azione meccanica

della ruspa, a causa dell’abbondante occorrenza dell’acqua di deflusso, dal sommario rico-

noscimento del reciproco allettamento degli accrescimenti alluvionali, soprattutto nei fanghi

di riporto rimossi durante le operazioni, è stato possibile identificare almeno tre grandi fasce

deposizionali, da cui sono emerse le più importanti evidenze archeologiche.

Nel tratto immediatamente a monte della botte a sifone, sull’unghia della scarpata inter-

na in sinistra idrografica, è stato possibile identificare in modo netto i livelli probabilmente

più profondi, relativi all’originale letto antico del Medoacus; essi recavano, entro una matri-

ce fango-limosa grigio-verde, alcuni reperti lignei, sostanzialmente in buono stato di conser-

vazione (reperti 3, 4, 5).

Sopra questo strato sembrava estendersi un livello di accrescimento sabbioso, di spesso-

re vario, in cui, tra residui vegetali e malacofauna, erano ben riconoscibili i materiali archeo-

logici, quasi totalmente riferibili ad età romana (indicativamente tra epoca tardo-repubblica-

na e primo-imperiale); la presenza costante di questo strato sabbioso lungo l’intero tratto del

Cornio oggetto di sorveglianza non era tuttavia accompagnata da una omogenea distribuzio-

ne del materiale antico, il quale sembrava concentrarsi in particolar modo a monte dei due

nodi idrici costituiti dalla botte a sifone e dall’invaso antistante l’impianto idrovoro; conte-

stualmente a tali concentrazioni, sono stati raccolti numerosi reperti ossei, con buona proba-

bilità pertinenti al contesto archeologico antico.

Per quanto abbondanti e in discreto stato di conservazione (grazie alle condizioni anae-

robiche di permanenza all’interno dei materiali di deposito), i manufatti si presentano spes-

so in frammenti e con angoli e spigoli assai smussati, tali da suggerire una prolungata erosio-

ne dovuta al contatto con l’acqua corrente o a ripetute frizioni meccaniche indotte: si può pertan-

to ipotizzare che, considerata pure la natura sabbiosa della matrice dello strato, per la maggior

parte dei rinvenimenti ci si trovi di fronte a depositi di natura secondaria rispetto al contesto

originario di appartenenza.

Relativamente alla natura dei reperti, essi sembrano riferirsi a contesti vari: indizi di strut-

ture domestiche e attività artigianali (laterizi, tessere musive, vasellame da cucina, pesi fitti-

li da telaio, scorie metalliche, reperti osteologici di animali da lavoro o da consumo alimen-

tare) si contrappongono a tracce eloquenti e significative di sepolture, rintracciabili in manu-

fatti di uso personale e in pezzi di vasellame particolarmente pregiato. I numerosi esempla-

ri ceramici e fittili dotati di bolli o segni epigrafici consentono di inquadrare gran parte dei

rinvenimenti dall’età tardo-repubblicana fino alla metà del I sec. d.C., mentre in rari casi non

sembra possibile escludere l’attribuzione ad un orizzonte antecedente alla romanizzazione.

Tra questo strato e il livello attuale dell’alveo odierno sono stati riconosciuti almeno altri

due accrescimenti, di cui uno di matrice fango-limosa. A monte della botte a sifone, inoltre,

sono stati individuati e recuperati alcuni scafi lignei.

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I RESTI DI SCAFI MONOSSILI DEL CORNIO-BRENTELLA: ANALISI ARCHEOLOGICO-NAVALE (S.M.)

I cinque reperti lignei riconducibili a resti di scafi monossili si presentano in cattivo stato

di conservazione, sia per la loro frammentarietà sia per i consistenti distacchi di fibra e per

la forte erosione delle superfici, fattori, questi ultimi, che hanno determinato la perdita delle

tracce di lavorazione e, in vari tratti, anche quella degli spessori originali. Tale situazione,

che rappresenta un grosso limite per l’analisi archeologico-navale, deriva dalle condizioni di

giacitura in cui sono venuti a trovarsi i relitti nel corso del tempo, certamente esposti per lunghi

periodi all’azione erosiva della corrente fluviale e alla fluitazione.

Reperto 1 (fig. 2)

Parte di scafo monossile, di cui si conservano il fondo con accenno della fiancata destra

e un’estremità, segnata da una grossa frattura radiale a V. Nel complesso, lo stato di conser-

vazione è cattivo e la superficie del legno si caratterizza per profondi solchi dovuti ai distac-

chi di fibra e all’erosione.

Analisi dimensionale: lunghezza massima 308 cm; larghezza massima 68 cm; spessore

del fondo da 6 a 11 cm (la parte meglio conservata, quella verso l’estremità, consente però

di ritenere che lo spessore medio del fondo fosse di 9-10 cm); spessore del breve tratto corri-

spondente alla fiancata destra, appena sopra il ginocchio, decrescente da 6 a 3 cm (dato

comunque poco significativo, perché quanto resta della fiancata è fortemente eroso).

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Fig. 2. Reperto 1: frammento di scafo monossile rinvenuto durante i lavori idraulici eseguiti lungo il canale

Brentella-Cornio presso Lova (scala 1:10). Rilievo di S. Medas, novembre 2012.

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Nei limiti di quanto consente lo stato di conservazione, la sezione trasversale dello scafo

sembra di tipo semicircolare (tipo S1 di CORNAGGIA CASTIGLIONI & CALEGARI, 1978, tipo A0

o tipo D1-0-C di ARNOLD, 1996) .

L’estremità conservata ha forma ogivale (tipo B2 di CORNAGGIA CASTIGLIONI & CALEGA-

RI, 1978, tipo D di ARNOLD, 1996) e presenta uno slancio notevole, con angolo di circa 20°

rispetto al piano longitudinale dello scafo. In base al confronto con la monossile medievale

rinvenuta nel fiume Piave (prima metà del IX secolo), presso Ponte di Piave (Treviso) (MEDAS,

2008), questo aspetto potrebbe indicare che l’estremità corrispondeva alla poppa e che lo

scafo poteva essere destinato alla navigazione.

Lo spessore del fondo indica che doveva trattarsi di un’imbarcazione piuttosto grande, forse

di lunghezza intorno agli 8 metri.

Datazione (Laboratorio CEDAD - Università del Salento, Lecce): 1.091 ± 35 BP, corri-

spondente a 880 AD (95.4%) 1020 AD.

Reperto 2 (fig. 3)

Parte di scafo monossile, di cui si conservano il fondo, buona parte della fiancata destra

e parte della fiancata sinistra nel tratto vicino all’estremità. Anche in questo caso lo stato di

conservazione è cattivo, benché, rispetto al reperto 1, i distacchi di fibra e l’erosione delle

superfici risultino di minore entità. Sul fondo si riconoscono due grossi nodi riconducibili ad

altrettanti rami della pianta. Un terzo nodo, eroso e trasformatosi in un foro passante, si trova

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Fig. 3. Reperto 2: frammento di scafo monossile rinvenuto durante i lavori idraulici eseguiti lungo il canale

Brentella-Cornio presso Campolongo (scala 1:10). Rilievo di S. Medas, novembre 2012.

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presso l’estremità, sul lato sinistro, al margine del fondo, in corrispondenza del ginocchio.

L’estremità è frammentaria e non consente di riconoscerne il profilo originale che, tuttavia,

in base al corrispondente profilo nella parte interna dello scafo, si può ipotizzare che fosse

di forma ogivale o arrotondata.

Analisi dimensionale: lunghezza massima 400 cm; larghezza massima 76 cm; lo spesso-

re del fondo, che varia da 8 a 12 cm (si riduce avvicinandosi alla frattura dello scafo), dove-

va attestarsi intorno ai 10 cm; spessore della fiancata destra da 10 a 5 cm (va considerato,

però, che la fiancata risulta piuttosto erosa verso l’estremità superiore); spessore della fian-

cata sinistra, nel tratto conservato, da 6 a 3 cm (poco significativa, perché, anche in questo

caso, l’erosione ha ridotto lo spessore originale della parte più alta).

La sezione trasversale è di tipo quadrangolare-arrotondata (tipo S3 di CORNAGGIA CASTI-

GLIONI & CALEGARI, 1978, più precisamente rimanda al tipo A 1/20 di ARNOLD, 1996, “partie

plane du fond peu développée”). Il fondo è piatto e ha un raccordo arrotondato con le fian-

cate, che si presentano leggermente arcuate e, almeno per quella meglio conservata, la destra,

con un minimo accenno di rientrata.

Come ricordato, risulta difficile identificare la forma originale dell’estremità conserva-

ta, che poteva essere di tipo ogivale (tipo B2 di CORNAGGIA CASTIGLIONI & CALEGARI, 1978,

tipo D di ARNOLD, 1996) o semicircolare (tipo A di CORNAGGIA CASTIGLIONI & CALEGARI,

1978, tipo B+C di ARNOLD, 1996).

La struttura dello scafo è massiccia e la fattura appare piuttosto corsiva; la larghezza e gli

spessori lasciano pensare che si trattasse in origine di una monossile piuttosto grande, lunga

probabilmente intorno agli 8-10 metri.

Lo slancio dell’estremità è modesto, con inclinazione di circa 40° rispetto al piano longitu-

dinale dello scafo. Qualora corrisponda alla prua dello scafo, tale caratteristica potrebbe risul-

tare poco efficiente per uno scafo destinato alla navigazione e più vantaggiosa, invece, per uno

utilizzato come galleggiante di un ponte flottante, di un pontone o di un traghetto (MEDAS, 1997).

Datazione (Laboratorio CEDAD - Università del Salento, Lecce): 828 ± 30 BP, corrispon-

dente a 1160 AD (95.4%) 1270 AD.

Reperto 3 (fig. 4)

Parte di scafo monossile, di cui si conserva soltanto un frammento del fondo piatto

corrispondente alla poppa, come indica chiaramente la scanalatura trasversale (di sezione

quadrata di 3 × 3 cm) funzionale all’inserimento di una tavola lignea di chiusura verticale,

che costituiva, appunto, lo specchio di poppa (estremità di tipo D1 di CORNAGGIA CASTI-

GLIONI & CALEGARI, 1978, tipo L4 di ARNOLD, 1996). All’interno della scanalatura si trova-

va un piccolo frammento ligneo che, con ogni probabilità, costituiva il residuo della tavo-

la dello specchio.

Lo stato di conservazione delle superfici del legno è decisamente migliore rispetto a quel-

lo dei due precedenti reperti, benché siano presenti profonde fessurazioni longitudinali.

Sul lato interno il fondo risulta orizzontale fino alla scanalatura trasversale; quindi, nella

parte posteriore, si solleva con andamento leggermente curvilineo per poi proseguire nuova-

mente con andamento orizzontale nell’ultimo tratto. Davanti alla scanalatura, a 10 cm di

distanza, si trova un foro cieco, non passante, chiuso con un cavicchio ligneo.

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Analisi dimensionale: lunghezza massima 224 cm; larghezza massima 62 cm; spessore

del fondo da 13 a 14 cm; spessore dell’estremità posteriore, oltre la scanalatura, 20 cm.

Lo spessore del fondo indica che doveva trattarsi in origine, anche in questo caso, di uno

scafo massiccio e di notevoli dimensioni, probabilmente lungo intorno ai 10 metri.

La leggera risalita dal fondo verso la fiancata sembrerebbe indicare una sezione trasver-

sale dello scafo di tipo con fondo piatto poco sviluppato e raccordo arcuato con le fiancate

(tipo A 1/20 di ARNOLD, 1996).

Scafi monossili con poppa a specchio ottenuta tramite l’inserimento di un’apposita tavo-

la verticale sono ben noti in Italia e riconducono tutti ad epoca tardo-antica e medievale (alcu-

ne datazioni restano, però, semplicemente congetturali o ipotetiche):

● un esemplare dalla torbiera del lago Fimon (Vicenza), di datazione incerta (CORNAGGIA CASTI-

GLIONI & CALEGARI, 1978);

● un esemplare da Valle Rillo, nel delta del Po presso Comacchio (Ferrara), per cui si è

ipotizzata una datazione ad epoca tardo-antica (BONINO, 1983; BERTI, 1987);

● un esemplare da Valle Pega, nel delta del Po presso Comacchio (Ferrara), per cui si ipotiz-

za una datazione ad epoca tardo-romana (BONINO, 1983; BERTI, 1987);

● un esemplare dal fiume Bacchiglione (Padova), cronologicamente collocabile tra il X e il

XII secolo (BONINO, 1983; MARTINELLI & PIGNATELLI, 2004; ASTA, 2005);

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Fig. 4. Reperto 3: probabile frammento di fondo di scafo monossile (poppa) rinvenuto durante i lavori idraulici

eseguiti lungo il canale Brentella-Cornio presso Lova (scala 1:10). Rilievo di S. Medas, novembre 2012.

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● un esemplare dal fiume Po, presso Boretto (Reggio Emilia), datato tra il VI e il VII seco-

lo con analisi radiometrica; si tratta di uno scafo che originariamente apparteneva a un

natante composto da due o più monossili affiancate (MEDAS, 2014);

● un esemplare dal fiume Po, presso Spinadesco (Cremona) (ALLINI et al., 2014), di datazio-

ne incerta ma forse riconducibile ad epoca alto-medievale o medievale, come indichereb-

bero le caratteristiche morfologiche. Il relitto, che è andato perduto, conservava ancora la

tavola dello specchio di poppa inserita nella scanalatura di alloggiamento. Particolarità

tecniche come gli incassi lungo la sommità delle fiancate e la forte rientrata di queste indi-

cano che si trattava del galleggiante di un natante composto da più scafi;

● un esemplare dal fiume Oglio, località Corte dei Cortesi (Cremona), di datazione incerta;

presentava ancora la tavola dello specchio di poppa, poi andata perduta (ERMENTINI, 1983;

RAVASI & BARBAGLIO, 2008);

● un esemplare dal fiume Adda, in territorio di Formigara (Cremona), di datazione incerta

(ERMENTINI, 1973; RAVASI & BARBAGLIO, 2008);

● un esemplare dal fiume Oglio in territorio di Piadena (Cremona), datato tra VI e VII seco-

lo con analisi radiometrica (RAVASI & BARBAGLIO, 2008; MARTINELLI, 2010).

La chiusura di poppa con lo specchio aggiunto, inserito nell’apposita scanalatura dello scafo,

rappresenta per le imbarcazioni monossili una soluzione diffusa nel tempo e nello spazio, come

testimoniano diversi rinvenimenti europei con un range cronologico che va dalla pre-proto-

storia alle epoche storiche. Tra questi possiamo citare anche la seconda monossile rinvenu-

ta nel villaggio neolitico de La Marmotta nel lago di Bracciano, datata nella seconda metà

del VI millennio a.C., in cui sono presenti tre scanalature trasversali per l’inserimento di

altrettante tavole di chiusura dello scafo, questa volta, però, singolarmente all’estremità di prua

dell’imbarcazione (FUGAZZOLA DELPINO & MAURO, 2014).

Reperto 4 (fig. 5)

Parte di scafo monossile, di cui si conserva soltanto un frammento del fondo piatto

corrispondente alla poppa, come indica, anche in questo caso, la scanalatura trasversale

funzionale all’inserimento di una tavola lignea di chiusura che costituiva lo specchio (estre-

mità di tipo D1 di CORNAGGIA CASTIGLIONI & CALEGARI, 1978, tipo L4 di ARNOLD, 1996).

All’interno della scanalatura si trovano due fori arrotondati, poco profondi, di funziona-

lità incerta. Si potrebbe ipotizzare che i fori, originariamente cilindrici, abbiano assunto la

forma arrotondata a causa dell’erosione; resta comunque incerta la loro funzionalità, poiché

il fissaggio della tavola dello specchio, anche volendo pensare che questa presentasse dei

perni sporgenti che andavano ad incastrarsi nei fori, sarebbe stato già assicurato dalla

scanalatura.

Lo stato di conservazione del legno è discreto, simile a quello del reperto 3; presenta

fessurazioni longitudinali.

Analisi dimensionale: lunghezza massima 136 cm; larghezza massima 25 cm; spessore

del fondo tra 10 e 11 cm; dietro la scanalatura si solleva con andamento leggermente curvi-

lineo, come nel reperto 3, per poi tornare orizzontale all’estremità, dove ha uno spessore di

14 cm.

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Reperto 5 (fig. 6)

Parte di scafo monossile, di cui si conserva soltanto un frammento del fondo piatto corri-

spondente alla poppa, come indica, anche in questo caso, la scanalatura trasversale funzio-

nale all’inserimento di una tavola lignea di chiusura che costituiva lo specchio (estremità di

tipo D1 di CORNAGGIA CASTIGLIONI & CALEGARI, 1978, tipo L4 di ARNOLD, 1996).

Lo stato di conservazione del legno è discreto, simile a quello dei reperti 3 e 4; presenta

fessurazioni longitudinali.

Analisi dimensionale: lunghezza massima 131 cm; larghezza massima 32 cm; spessore del

fondo da 12 a 5 cm (decresce in direzione della frattura); può considerarsi uno spessore origina-

rio medio di 10 cm ca.; dietro la scanalatura si solleva con andamento leggermente curvilineo,

come nei reperti 3 e 4, per poi tornare orizzontale all’estremità, dove ha uno spessore di 13 cm.

Nonostante abbiano lo stesso spessore, la differenza del profilo longitudinale dell’estre-

mità posteriore e le dimensioni della scanalatura lascerebbero escludere che i reperti 4 e 5

potessero appartenere in origine allo stesso scafo.

LA STRATEGIA DI CONSERVAZIONE DEI RESTI LIGNEI (A.A.)

Fin dalla scoperta e recupero dei manufatti lignei, ci si è resi conto della immediata neces-

sità di adottare specifiche strategie di conservazione degli stessi; è noto, d’altronde, che il legno

archeologico proveniente da contesti umidi o comunque subacquei è destinato – qualora non

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Figg. 5-6. Probabili frammenti di fondo di scafo monossile (poppa) rinvenuti durante i lavori idraulici eseguiti

lungo il canale Brentella-Cornio presso Campolongo (scala 1:10). Rilievo di S. Medas, novembre 2012.

5: reperto 4; 6: reperto 5.

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opportunamente trattato – a subire una rapida perdita delle caratteristiche morfologiche e

fisico-chimiche originarie a causa dell’evaporazione della sua componente acquea. Per consen-

tire la prosecuzione delle attività archeologiche di cantiere, si è optato inizialmente per un

ricovero temporaneo di tutti i manufatti lignei presso la sede del Gruppo Archeologico Mino

Meduaco a Campolongo Maggiore. I reperti dopo essere stati sommariamente puliti con

acqua e spazzole morbide, sono stati ricoperti da un telo di polietilene (che garantiva la prote-

zione dagli agenti atmosferici e il rallentamento dell’evaporazione dell’acqua contenuta all’in-

terno delle fibre del legno), disposti all’interno di una vasca lignea realizzata dai tecnici del

Consorzio di Bonifica Bacchiglione e tenuti costantemente umidi. Tale collocazione ha

permesso successivamente di procedere alle attività di documentazione dei reperti.

Nel frattempo, valutata la mancanza di fondi specifici per il restauro dei reperti notevo-

li, considerata la deperibilità degli stessi e l’assenza di spazi idonei alla loro conservazione

definitiva ed esposizione al pubblico, e sulla base di casi analoghi occorsi in altre regioni italia-

ne, il restauratore della Soprintendenza Stefano Buson, d’intesa con la direzione scientifica

dell’intervento archeologico, ha elaborato un progetto di conservazione basato sul reinterro

dei reperti.

Tale progetto è consistito nell’individuazione di una specifica area, a ridosso del Cornio,

su terreno demaniale, con caratteristiche geologiche e di umidità compatibili con la perma-

nenza dei reperti nel sottosuolo. La corretta conservazione dei manufatti in legno bagnato deve

garantire, infatti, il continuo apporto di acqua alle fibre del legno per evitare repentini cambia-

menti morfologici causa di distorsioni, fratturazioni, fenditure e perdite di materiale.

Sulla base di tale progetto, al termine delle operazioni di scavo del canale Cornio, i reper-

ti sono stati trasferiti in un’area idonea, avvolti con un “tessuto non tessuto” ad elevata capa-

cità traspirante in grado di consentire il passaggio di acqua. Contemporaneamente si è proce-

duto allo scavo di una fossa di adeguate dimensioni e profondità, nella quale sono stati stoc-

cati i reperti, dopo aver proceduto a ulteriori strati di protezione in “tessuto non tessuto”, rete

di polipropilene (tipo anti-grandine) e sabbia. Dopo la chiusura, l’area è stata opportunamen-

te topografata e interdetta al transito di mezzi pesanti e a qualsiasi attività di scavo e/o di colti-

vazione, in attesa che tempi migliori possano portare al reperimento di fondi per i restauri e

per l’individuazione di sedi espositive adeguate.

I RESTI FAUNISTICI (M.B., P.R.)

Il campione faunistico, attribuito a una facies romana di età tardo-repubblicana/primo-impe-

riale, è frutto di un recupero parziale e selettivo dai fanghi di riporto della bonifica dell’al-

veo e dalle ricerche di superficie presso le terre limitrofe; in assenza di un vero e proprio conte-

sto stratigrafico i materiali archeologicamente meno diagnostici, come appunto quelli ossei

(soprattutto se frammentari o di sospetta origine spuria) sono stati spesso ignorati o rubrica-

ti solo in modo sommario nell’inventariazione, a favore di reperti morfologicamente e archeo-

metricamente più rilevanti. Lo studio dei materiali osteologici pertanto consente solo un’a-

nalisi superficiale di tipo qualitativo e in questa sede si possono esprimere solo valutazioni

parziali sulle specie rinvenute e sui loro rapporti con il contesto archeologico e stratigrafico.

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Specie domestiche

Sono stati identificati resti di bovini, ovicaprini, suini, cavallo, cane, coniglio e pollame.

La categoria più abbondante è risultata quella dei bovini (Bos taurus). La maggior parte

dei resti appartiene ad animali di taglia molto robusta, di razza ben selezionata comparabile

con quelle di età imperiale. L’esistenza sia di tori che di esemplari femminili è confermata

dal ritrovamento di cavicchie ossee, metapodiali e falangi che presentano uno spiccato dimor-

fismo sessuale. Su alcuni di questi reperti sono state rilevate tracce di macellazione e tagli

che fanno ipotizzare una lavorazione della materia dura di origine animale: in particolare una

scapola tagliata subito sopra l’acromion della spina scapolare e la diafisi di un radio con due

tagli perpendicolari all’asse assiale. In età romana le ossa bovine erano tra quelle maggior-

mente utilizzate per la produzione di manufatti; le scapole erano lavorate sopratutto per la

realizzazione di elementi di intarsio (DE GROSSI MAZZORIN & MINNITI, 2012). Alcuni meta-

podi e altre parti scheletriche appartengono invece ad animali di dimensioni inferiori, confron-

tabili con le razze venete dell’età del Ferro (RIEDEL 1985; RIEDEL & SCARPA, 1988) e di alcu-

ne peculiari razze romane autoctone (BON et al., 2011). Dai dati sulla mortalità (SILVER, 1969)

si evince che la maggior parte degli animali è stata abbattuta in età adulta; solo pochi resti

sono pertinenti ad esemplari giovani.

I suini (Sus scrofa) sono rappresentati da molti denti e da diverse parti scheletriche. Più

della metà dei denti giugali recuperati sono pertinenti ad animali di età compresa fra 6 e 21

mesi, mentre l’altra parte appartiene ad esemplari adulti; un terzo molare inferiore, molto usura-

to, è di un maiale di età senile. Due canini inferiori, un superiore ed un M3 di grandi dimen-

sioni potrebbero essere attribuiti a cinghiale.

Un neurocranio segato longitudinalmente appartiene a capra (Capra hircus) mentre pochi

altri frammenti mandibolari e denti sciolti sono più genericamente attribuibili a capro-ovini.

Scarsi i resti di cavallo (Equus caballus): una emimandibola destra, tre denti giugali, un

incisivo, un metacarpo, un metatarso e una prima falange. Sulla diafisi del metacarpo, circa

a metà della lunghezza assiale, sono presenti diversi segni lasciati da uno strumento da taglio.

Sono stati recuperati circa settanta resti osteologici di cane (Canis familiaris), tra i quali

diciassette emimandibole e un cranio completo. Quasi tutte le parti anatomiche sono perti-

nenti a esemplari di medie dimensioni, “eumetric dog” secondo i parametri proposti da DE

GROSSI MAZZORIN & TAGLIACOZZO (2000); due denti ferini inferiori appartenevano ad anima-

li di grandi dimensioni, mentre sono presenti poche parti anatomiche (due femori, un’ulna e

una tibia) di “hypometric dog” e un mascellare sinistro di un piccolo cane brachicefalo. Nessu-

no dei resti ha caratteristiche dimensionali e morfologiche attribuibili al lupo (Canis lupus).

Tra le specie di bassa corte è presente il coniglio (Oryctolagus cuniculus) – con un cranio,

tre emimandibole e due femori – e pochi resti di pollame (Gallus gallus).

Specie selvatiche

Tra le specie selvatiche sono state identificate cervo, cinghiale, volpe, martora/faina,

lontra, castoro, testuggine europea.

Scarsi i resti di cervo, costituiti da tre metacarpi, un metatarso, una tibia, due astragali e

due porzioni di palco con evidenti tracce di taglio, lasciate probabilmente da una sega metal-

lica. I palchi di cervo erano tradizionalmente lavorati per la produzione di vari oggetti e uten-

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sili robusti ed elastici. In età romana e altomedievale questo materiale era frequentemente utiliz-

zato per la produzione di bottoni, spilloni, aghi, pettini, fibbie per cintura e immanicature per

attrezzi (BALDINO, 2012).

Tra i carnivori sono presenti resti di volpe (Vulpes vulpes), con tre emimandibole; di un

mustelide non ben identificabile (Martes sp.), con una emimandibola destra molto frammen-

taria; di lontra (Lutra lutra) con una porzione temporale-occipitale che presenta una larghez-

za di 55 mm e una altezza occipitale di 35 mm.

Rinvenimenti di lontra in ambiente di pianura sono noti in diversi siti del Neolitico e

dell’età del Bronzo e sono relativi soprattutto a siti palafitticoli nel Vicentino (FABIANI, 1919;

RIEDEL 1948) e ad altri tipi di contesto abitativo nel basso Veronese (ZORZI, 1955; DURAN-

TE PASA et al., 1969; JARMAN, 1976). Sono invece scarsi i reperti attribuibili all’età romana,

forse a causa di un quasi totale abbandono di un’economia di caccia. I resti rinvenuti più recen-

temente sono infatti relativi a contesti particolari, non direttamente connessi con l’attività

antropica (BON et al., 2001; BON & TRABUCCO, 2005).

Il castoro (Castor fiber) è rappresentato da un mascellare sinistro con P4, M1 ed M2, da

una emimandibola sinistra con serie dentaria giugale completa e da un omero sinistro (figg.

7-9). L’omero, lungo 90 mm, presenta morfologia e dimensioni tipiche del castoro europeo.

La diafisi appare appiattita latero-medialmente e la cresta epicondiloidea è pronunciata e

sottile. In prossimità delle epifisi sono presenti limitate esostosi, forse di origine artrosica.

Prendendo in considerazione i parametri anatomici forniti da FREYE (1978), riguardanti la fusio-

ne delle epifisi alle diafisi e l’usura dei denti giugali, possiamo attribuire questi resti osteo-

logici ad uno o più esemplari adulti di età superiore ai dodici anni.

Il ritrovamento del castoro in laguna di Venezia è un dato inedito e di notevole interes-

se. La presenza di questo grosso roditore in epoca tardo-romana è nota solo per Adria, in stra-

ti attribuiti al quinto secolo d.C. (FABIANI, 1919; DAL PIAZ, 1929). Reperti più antichi (dall’età

del Bronzo in poi) sono invece noti per alcune località planiziarie del Veneto, in provincia

di Verona (FABIANI, 1919; DAL PIAZ, 1929; DURANTE PASA et al., 1969; MINNITI, 2010),

Vicenza (LEONARDI, 1946; RIEDEL, 1948; ACCORDI, 1952) e Padova (MARTINIS, 1948; ACCOR-

DI, 1952). Tuttavia l’estinzione del castoro in area costiera sembra relativamente recente ed

è forse avvenuta nel XVI secolo (cfr. BON et al., 1993).

248

Figg. 7-9. Reperti attribuiti a Castor fiber. 7: mascellare sinistro; 8: emimandibola sinistra; 9: omero sinistro

in vista caudale (a sinistra) e mediale (a destra).

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CONCLUSIONI

I resti di scafi monossili esaminati si caratterizzano per la loro notevole frammentarietà

e per il cattivo stato di conservazione. Appaiono interessanti i tre reperti con la scanalatura

funzionale all’inserimento dello specchio di poppa, elemento che trova significativi confron-

ti con scafi di età medievale rinvenuti nell’Italia settentrionale, come d’altronde dimostrano

i risultati delle analisi radiometriche. In tutti i casi, considerando gli spessori del fondo e

delle fiancate, sembra trattarsi di monossili di dimensioni importanti, comprese probabilmen-

te tra gli 8 e i 10 m di lunghezza. In base a quanto si può riscontrare attraverso l’analisi diret-

ta, che resta comunque condizionata dallo stato di conservazione dei reperti, si tratterebbe di

scafi massicci e di fattura corsiva, aspetto che trova ancora una volta paralleli diretti per l’età

medievale. Inoltre, benché non si siano conservati elementi strutturali in grado di confermar-

lo, per le caratteristiche sopra indicate non si può escludere che queste monossili fossero

parti di natanti composti da più scafi affiancati, come traghetti, pontoni o ponti galleggianti.

Le analisi xilotomiche effettuate dimostrano ancora una volta la consuetudine di utilizzare

l’essenza di farnia (Quercus cfr. robur) per la realizzazione di natanti, sia per la sua effetti-

va disponibilità sia per le caratteristiche fisico-chimiche di resistenza all’utilizzo in contesti

umidi e acquei.

Quest’ultimo rinvenimento contribuisce ad allargare le conoscenze attualmente disponi-

bili in merito al patrimonio nautico conservatosi nell’area di Lova; tuttavia, solo un adegua-

to e prossimo approfondimento delle fonti archivistiche potrebbe gettare ulteriore luce e forse

chiarire definitivamente la funzione di questi manufatti all’interno delle attività umane svilup-

patesi in età tardo-medievale lungo il canale Cornio.

Per quanto riguarda i resti faunistici, è già stato sottolineato come le modalità di raccol-

ta e la selettività del campione non consentano un’analisi archeozoologica di dettaglio. Le

specie domestiche sono compatibili con quelle già note nel periodo romano attribuito, soprat-

tutto per le taglie dei bovini e la notevole varietà di razze canine. Segni di macellazione e

tagli fanno pensare, più che a una discarica di materiali utilizzati per alimentazione, a un sito

produttivo. La notevole presenza di animali da pelliccia (coniglio, mustelidi, volpe, castoro,

lo stesso cane) e le ossa lavorate (cervo e bovini) mettono in campo l’ipotesi di materiali scar-

tati dalla lavorazione di materie prime (ossa, palchi e pellicce) per produzione di manufatti.

Queste considerazioni ben si confanno a questo settore archeologicamente riconoscibile come

uno dei comparti portuali del comprensorio dell’antico agro patavino, incentrato sul corso del

Meduacus Minor lungo il quale dovevano probabilmente articolarsi diversi scali fluvio-stra-

dali e poli produttivo-commerciali.

Le specie selvatiche ben si inquadrano invece nel paesaggio naturale presente all’epoca

nell’area di studio, un mosaico continuo di ambienti umidi di foce e foreste mature (cfr. BON

et al., 2001). La presenza del castoro risulta inedita per il Veneziano e costituisce un impor-

tante elemento di ricchezza faunistica. Nel complesso, la fauna selvatica rinvenuta nell’area

di Lova-Campagna Lupia in epoca romana risulta una delle meglio documentate dell’intera

penisola.

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RINGRAZIAMENTI

Si ringraziano il Consorzio di Bonifica Bacchiglione, il Gruppo Archeologico Mino

Meduaco e la Cooperativa Ostis di Campolongo Maggiore per la disponibilità, il supporto

tecnico e logistico.

Nota. Le immagini dei reperti di proprietà statale (rilievi n. 2-6) sono riprodotte su conces-

sione del MiBACT - Soprintendenza Archeologia del Veneto. Divieto di riproduzione.

250

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Indirizzi degli autori:

Alessandro Asta - Soprintendenza Archeologia del

Veneto

Valentina Girotto - Università degli Studi di Padova,

Società Cooperativa Ostis; [email protected]

Stefano Medas - Istituto Italiano di Archeologia

e Etnologia Navale, Venezia

Mauro Bon, Paolo Reggiani - Museo di Storia

Naturale; Santa Croce 1730, I-30135 Venezia, Italia;

[email protected]

252

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