Alle origini della collezione Malabotta. Filippo De Pisis e la Mostra d'Arte d'Avanguardia di...

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Enrico Lucchese Alle origini della collezione Malabotta: Filippo de Pisis e la Mostra d’Arte d’Avanguardia di Trieste (estate 1931)

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Alle origini della collezione Malabotta: Filippo de Pisis e la Mostra d’Arted’Avanguardia di Trieste (estate 1931)

Atti del convegno

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Fig. 1 – Filippo de Pisis, Ilgladiolo fulminato. Ferrara,Museo d’Arte Moderna eContemporanea “Filippo dePisis”, CollezioneMalabotta.

Se si dovesse dare la miglior definizione dell’arte di Filippo de Pisis,

un riferimento necessario lo si troverebbe nella collezione

Malabotta: capolavori di vitalità violenta (fig. 1), dalla qualità pittorica

poeticamente estrema (fig. 2), scelti dal notaio triestino Manlio

Malabotta (1907-1975), sono da dieci anni ormai conservati a Ferrara,

esposti a palazzo Massari.

Le stesse provenienze di molti dei dipinti e dei disegni di que-

sta raccolta si dimostrano ulteriore valore: la Rosa sta buttando (1938)

di Umberto Saba e i Pesci marci (1928) di Giovanni Comisso - per

fare due esempi - raccontano non solo del pittore e dei suoi illustri

appassionati ma pure del nostro Novecento.

Emblema dell’intera collezione Malabotta resta certo Allegro, del-

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Fig. 2 – Filippo de Pisis, La lepre. Ferrara, Museod’Arte Moderna eContemporanea “Filippo dePisis”, CollezioneMalabotta.

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l’estate riminese del ’40, anch’esso già di Comisso (fig. 3): il giovane

dalla pelle color cartone, contemporaneo all’Aviatore scoperto “hom-

mage à Fragonard” sempre antica proprietà Comisso, supera la soglia

del semplice omaggio (e del ricordo di un incontro) per diventare

ispirata creatura di un rinato Correggio, “non Allegro ma Allegri”1.

E, ancora, la Rosa nella bottiglia (fig. 4), di dieci anni dopo, sem-

bra aver perduto l’aria e la luce dei cieli di piombo dei quais pari-

gini, annullate dal neon della clinica di Villa Fiorita: un fiore, la vita

dentro una stretta bottiglia.

Della straordinaria collezione, costituitasi durante il secondo

dopoguerra nel Veneto e per più di un ventennio rimasta nel capo-

luogo giuliano, esiste un’ampia bibliografia specifica che riguarda inol-

tre le opere di altri maestri tuttora a Trieste2. Meno si è indagato

invece sul personaggio Malabotta e soprattutto sulle motivazioni

che lo spinsero a tale impresa. A parte infatti la sua ben nota atti-

vità di conoscitore della grafica depisisiana3, aspetto congruente al

collezionare, e la sua abbastanza studiata produzione poetica dialettale4,

fino a non molto tempo fa erano praticamente dimenticati gli scrit-

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1 Come chiosa lo stesso pittore: si vedainoltre la nota definizione di “nuovo clas-sicismo” coniata per il dipinto da MassimoBontempelli. Per ogni riferimento all’o-pera di Filippo de Pisis, cfr. BRIGANTI 1991.

2 Filippo de Pisis 1978; Filippo DePisis nella collezione Malabotta 1985;Filippo De Pisis. La collezione Malabotta1995; Filippo de Pisis. Opera graficadella collezione Malabotta 1996; Viaggionel ‘900. Le collezioni di ManlioMalabotta 1996; I de Pisis di Manlioe Franca Malabotta. Catalogo gene-rale completamente illustrato 1998;LUCCHESE 2001; De Pisis a Ferrara 2005,in particolare l’intervento di F. FENGA

MALABOTTA, Collezionare de Pisis, pp.75-79.3 Cfr. MALABOTTA 1969; Mostra dell’o-pera pittorica e grafica di Filippo dePisis 1969. Cfr. inoltre MALABOTTA 1974.4 Cfr. MALABOTTA 1990.

Fig. 3 – Filippo de Pisis,Ritratto di Allegro. e Fig. 4 – Rosa nella bottiglia.Ferrara, Museo d’ArteModerna e Contemporanea“Filippo de Pisis”, CollezioneMalabotta.

ti giovanili di Manlio Malabotta critico figurativo.

È in un testo di Patrizia Fasolato l’inizio della riscoperta di

Malabotta poco più che ventenne articolista per testate nazionali e

locali5, spunto che di recente Lorenzo Nuovo ha sviluppato e

approfondito con rilevanti risultati e riflessioni per quanto riguar-

da il periodo 1929-19356.

Partendo dall’importante regesto di Nuovo, emergono nette,

dalle pagine del “Popolo di Trieste” dedicate alle varie Biennali,

Sindacali e Mostre Universitarie, le origini intellettuali di una col-

lezione - allora forse neppure immaginata - e delle sue decise pre-

dilizioni. Sono gli anni della monografia di Malabotta su Giorgio

Carmelich7, gli anni della sua collaborazione a “Emporium”,

“Casabella”, “Il Selvaggio”, “L’Italiano”8: foto e scritti che trovano

nelle opere poi collezionate tracce di contiguità (fig. 5).

Incisivo il primo accenno depisisiano di Malabotta che si cono-

sca:

Il de Pisis ottimo nei suoi romantici paesaggi e nelle natu-re morte e caratteristico per la semplificata foga di colorito-re rapido, coerente e impulsivo

È il 4 maggio 19309, il ventitreenne elogia alla Biennale di Venezia

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5 P. FASOLATO, Manlio Malabotta criti-co e collezionista nella Trieste deglianni Trenta, in Viaggio nel ‘900. Le col-lezioni di Manlio Malabotta 1996, pp.13-25, in particolare le pp. 16-17 perquanto riguarda il tema trattato nelpresente contributo.6 NUOVO 2005; NUOVO 2006. 7 MALABOTTA 1930.8 Per un elenco esaustivo e cronolo-gicamente ordinato, NUOVO 2006, pp.29-36.9M. MALABOTTA, L’inaugurazione delladiciasettesima Biennale d’arte, “IlPopolo di Trieste”, 4 maggio 1930, inNUOVO 2006, pp. 80-89 n. 52.

Fig. 5 – Giorgio Carmelich,Carnevale a Praga. Trieste,Collezione Malabotta.

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con forza moderna, senza trovare molti paralleli con il resto della cri-

tica non solo giuliana10, la retrospettiva di Amedeo Modigliani e la

sezione Appels d’Italie dove, tra gli artisti italiani e stranieri attivi in

quel tempo nella capitale francese, compare appunto il pittore fer-

rarese con tre dipinti (fig. 6)11 destinati ad essere ricordati di nuovo

dallo stesso Malabotta più di un anno dopo:

Ho visto il primo quadro di Filippo de Pisis - un vaso confiori - parecchio tempo fa in casa del povero Fonda: eranostati molto amici, a Parigi. Mi piacque, allora; ma ancor piùmi convinsi del valore dell’artista vedendo all’ultima Biennaleveneziana il suo «archeologo» e le nature morte marine

L’esordio della recensione al piccolo libro di Mario Solmi edito

da Giovanni Scheiwiller12 rivela dunque che Manlio Malabotta aveva

conosciuto le opere depisisiane, stimandole subito, tramite il fiuma-

no Enrico Fonda: l’artista morto nel 1929 a Parigi imparentato e in

corrispondenza con Svevo, anch’egli - come Saba del resto - in con-

tatto con il de Pisis francese13. A Fonda, destinato a non entrare nella

futura collezione Malabotta, vengono dal giovane intellettuale trie-

stino dedicate numerose pagine, quasi a indicarne la funzione di pie-

tra angolare per la comprensione delle sue posizioni critiche14.

Tornando all’articolo sul volumetto di Solmi, Manlio Malabotta

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10 Come ben dimostrato nella prefa-zione di NUOVO 2006, pp. 7-24.11 XVII Esposizione BiennaleInternazionale d’Arte, Venezia 1930,p. 95, cat. nn. 10-12. L’Archeologo (n.10) qui riprodotto era allora proprietàdel commissario ordinatore della sezio-ne, il pittore Mario Tozzi.12M. MALABOTTA, Artisti italiani. Filippode Pisis, in “Il Popolo di Trieste”, 20giugno 1931, in NUOVO 2006, p. 162 n.93. Di Scheiwiller il giovane criticoaveva da poco recensito l’Art ModerneItalien: M. MALABOTTA, «Arte italianamoderna» di Giovanni Scheiwiller, in“Il Popolo di Trieste”, 16 maggio 1931,in Nuovo 2006, pp. 161-162 n. 91.13 Cfr. MALABOTTA 1974 e le osservazionidi NUOVO 2006, pp. 20-24, il quale chia-ma anche in causa (pp. 21-22) i rap-porti epistolari tra Saba e Comisso. 14 Come sottolineato da NUOVO 2006,p. 151. Attende una conferma defini-tiva l’attestazione di una visita diMalabotta allo studio parigino di que-sto pittore, per il quale resta necessa-rio uno studio scientifico articolato, for-mulata da NUOVO 2006, p. 20: l’indi-cazione della “casa del povero Fonda”nel citato articolo del 20 giugno 1931non pare certificare, purtroppo, unacollocazione geografica sicura si taleincontro.

Fig. 6 – Filippo de Pisis,L’Archeologo. Genova,Galleria d’Arte Moderna.

sottolinea la novità delle pubblicazioni Scheiwiller all’interno del

dibattito nazionale:

le sole che testimoniano l’importanza del momento attua-le dell’arte italiana

Nella prospettiva, formulata da tale collana e pienamente accol-

ta dal triestino, di Milano e Parigi centri vitali della produzione arti-

stica del Novecento italiano, Filippo de Pisis va ad assumere un ruolo

di rilievo, a partire dalla sua “formazione, giocata tra scritti d’arte, con-

tatti con i metafisici Carrà e de Chirico fino all’adesione alla linea

parigina e neoimpressionista, da cui de Pisis aveva mutuato anche –

la chiosa sorprende, se non è intesa come mero superamento di sug-

gestioni metafisiche – la «franca e oggettiva osservazione del vero»”15.

Da questa recensione s’apprende inoltre che tre paesaggi urbani

e una natura morta di Filippo de Pisis stavano per essere portati a una

“Mostra d’arte d’Avanguardia” curata a Trieste proprio da Malabotta:

tempi quindi maturi per trasformare in realtà idee e orientamenti

espressi sulla carta, nella prova ambiziosa di un allestimento di opere

non solo di interessanti artisti locali (come in precedenza aveva fatto

per Carmelich) ma anche di maestri di fama internazionale.

Nella sede consueta per le manifestazioni d’arte contemporanea

d’allora, il Padiglione municipale presso il Giardino Pubblico16, la

sezione triestina del Gruppo Universitario Fascista veniva a trovar-

si a gestire, con Malabotta presidente del comitato esecutivo a fian-

co di Claris, Mascherini, Britz e Posar, un’esposizione nei contenu-

ti straordinaria per opere e nomi di artisti rappresentati. Le diffi-

coltà organizzative dell’operazione sono testimoniate dai rinvii della

data dell’inaugurazione, puntualmente registrati con comunicati sul

“Piccolo”17. Forse a causa di tali problemi non pare esistere, dopo

ricerche svolte da Lorenzo Nuovo e da chi scrive, a tutt’oggi il cata-

logo di un evento (e neppure la relativa documentazione fotografi-

ca) che dovette essere veramente sensazionale.

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15 NUOVO 2006, p. 162.16 Per una descrizione di tale spazioespositivo, CESÀRI 1928.17 Alle date 7, 13, 21 giugno 1931.Altri comunicati pubblicitari dell’espo-sizione sono presenti alle date 23, 24,26 giugno 1931.

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A supplire questa mancanza restano comunque quattro articoli

sul “Popolo” di Manlio Malabotta18, capaci di ricostruire l’esposi-

zione aperta il 21 giugno 1931 e chiusa il 12 luglio dopo una pro-

roga di una settimana.

Il primo intervento, del 28 giugno, spiega con determinazione

quali sono le motivazioni della mostra, per destare la cittadinanza

da un conformismo imperante che bolla come “futurista” tutto ciò

che non appartiene a una tradizione figurativa ormai esangue:

perdura troppo la miserabile arte di un tempo miserabile:un’arte borghese, pettegola, striminzita, povera di sapore comedel resto povera di mezzi. Si sa che il pubblico ci è abituato, mail compito di svezzarlo lo hanno appunto le mostre d’arte

Scopo dell’esposizione è quindi mostrare i risultati ultimi, alla

data del 1931, della figurazione moderna, la sua “vitalità”, la sua

“potenza” ormai sganciate dalle esperienze delle avanguardie di

primo Novecento:

sopra e oltre il futurismo ci sono le magnifiche, vigoro-sissime forme dell’arte attuale, splendide testimonianze del-l’epoca in cui viviamo, del suo tormento e della sua interio-rità. Oltre i giochi di linee e alle parate dinamiche del futu-rismo c’è un’arte che analizza, che ricerca l’essenza intimadelle cose, che non si accontenta della cruda impressione visi-va, del lavoro superficiale, né per un processo esclusivamen-te cerebrale si stacca dalla magica realtà

I protagonisti di questa nuova avanguardia vengono dappresso cita-

ti da Malabotta, artisti su cui promette di soffermarsi nel prossimo

articolo sulla Sala Centrale dell’esposizione: de Chirico, Funi, de

Pisis, Sironi, Tosi e Piero Marussig, unico triestino “troppo finora

ignoto” nella sua città. Accanto a loro triestini milanesi e veneziani:

Ed è interessante notare con quanta maggior indipen-denza - mancando scuole locali e tradizioni – procedano iprimi. Vanno ciascuno per la propria strada, chiusi in unmondo particolare. Rivelano i diversi fattori del nostro ambien-te, la strana formazione di esso: di locale c’è appunto questadisparità di intenzioni, questo addentellato di razze.

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18 M. MALABOTTA, Importanza dellaMostra d’arte d’Avanguardia, in “IlPopolo di Trieste”, 28 giugno 1931; M.MALABOTTA, Alla Mostra d’arted’Avanguardia. La Sala Centrale, in “IlPopolo di Trieste”, 10 luglio 1931; M.MALABOTTA, Alla Mostra d’Arted’Avanguardia. Artisti Giuliani, Milanesie Veneti, in “Il Popolo di Trieste”, 12luglio 1931; M. MALABOTTA, Artisti giu-liani, milanesi e veneziani alla Mostrad’arte d’avanguardia, in “Il Popolo diTrieste”, 14 luglio 1931: cfr. NUOVO 2006,pp. 124-139 nn. 94-97.

Vale la pena di ricordare che sempre a giugno ’31 finiva a Roma

la prima Quadriennale d’arte nazionale, inaugurata a gennaio al Palazzo

delle Esposizioni: pur non sapendo se venne visitata anche dal criti-

co triestino, il quale sicuramente ebbe modo di sfogliarne il catalogo19,

essa si dimostra comunque, assieme alla XVII Biennale, preambolo

necessario per la Mostra d’arte d’Avanguardia e per i suoi obbiettivi

dichiarati di rassegna aggiornata della situazione artistica italiana.

Il 10 luglio, annunciato dall’articolo precedente, Manlio Malabotta

presenta ai lettori de “Il Popolo di Trieste” le opere dei sei maestri

appese sulle pareti della Sala Centrale; il loro denominatore comu-

ne risiede nel fatto che costoro

espongono, meno il Marussig, a Trieste per la prima voltae la nostra Galleria d’arte «moderna» nell’arte moderna lasciatroppo a desiderare. Anzi, se ne togli il Casorati20 (ch’è del‘22 ed è assai lontano dalla pittura attuale), il Museo Revoltellaospita solamente raccolte abbastanza interessanti di operedell’800, secolo che in vari casi fu buono ma che di certo nonè più moderno. Da troppo tempo non vi entrano opere impor-tanti, né basta un Carena21 per creare o sviluppare la sensibi-lità artistica nei visitatori. Il nostro Museo è troppo trascura-to: abbiamo a Trieste una Galleria d’arte dello scorso secolotra le migliori in Italia, si deve ora cercare di farla camminarecon i tempi. Se i suoi fondi sono miseri, v’è necessità di usar-li e dosarli con maggior discernimento e con più vasta ampiez-za di vedute, ma sopratutto è necessaria la collaborazione alsuo progresso dei maggiori enti cittadini

All’interno di una polemica, sviluppata qualche mese più tardi22,

sui mali che attanagliavano (e attanagliano) il principale dei musei

giuliani, si innesta il discorso di Malabotta nel duplice ruolo di cri-

tico d’arte e di presidente del comitato esecutivo della Mostra d’ar-

te d’Avanguardia, attento innanzitutto ai casi eclatanti di artisti fore-

sti in patria:

Nomi di maestri, ho detto, nella sala centrale, e mi com-piaccio molto di trovare tra essi quello di un triestino, PieroMarussig il quale, forse ancor più dei suoi vicini, è ignoto danoi. Qui si conosce, o meglio si conosceva, Guido, il decora-

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19 Prima quadriennale d’arte nazio-nale 1931.20 Meriggio di Felice Casorati, espo-sto alla Biennale del 1924 ed acquisi-to lo stesso anno dal Museo Revoltella,cfr. M. MASAU DAN, in Il Museo Revoltelladi Trieste 2004, pp. 128-129 cat. 61. 21 Intende certo l’acquisto, alla PrimaQuadriennale d’Arte Nazionale di Romaall’inizio di quel 1931, della Finestradi Felice Carena del quale il Museopossedeva già una Madonna presa allaBiennale veneziana del 1912: cfr. rispet-tivamente le schede di N. BRESSAN, P.FASOLATO, in Il Museo Revoltella di Trieste2004, pp. 122-125 cat. 58-59.22M. MALABOTTA, Attraverso le sale delMuseo Revoltella, in “Il Popolo di Trieste”,1 novembre 1931, cfr. Nuovo 2006, p.165 n. 104; cfr. inoltre M. MASAU DAN,Le collezioni di Manlio Malabotta, inViaggio nel ‘900. Le collezioni di ManlioMalabotta 1996, p. 7.

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tore. Ma di Piero chi sa che esista? E non è certo bello néammirevole per una città ignorare un figlio che è tra i miglio-ri pittori italiani (caso unico nella storia dell’arte triestina!),che è tra i fondatori del Novecento, che è noto in tutta Europa.Ma il caso Svevo fa legge da noi: si lascia che uno muoia, poisi gode che altri lo scopra o lo abbia scoperto e gli si fa il monu-mento (brutto). Vergognosa indifferenza. Cosi né ci si cura diconoscere l’opera di Piero Marussig – ora che se ne avrebbel’occasione –, né egli ha un lavoro al nostro Museo, né c’è spe-ranza – a meno che non lo voglia regalare – che lo abbia

L’appello fu accolto l’anno seguente dal direttore del Revoltella,

Edgardo Sambo, che acquisì il Ritratto di fanciulla esposto alla VI

Esposizione d’arte del Sindacato Regionale Fascista di Belle Arti

della Venezia Giulia23: molti degli altri dipinti di Pietro Marussig

oggi nel museo triestino provengono, quasi a seguire l’ironica pro-

fezia di Malabotta, da doni e lasciti.

Alla Mostra d’arte d’Avanguardia c’erano cinque opere del pit-

tore triestino, tutti paesaggi24 tranne un capolavoro assoluto del

1920, la Toeletta (fig. 7):

Nella sala centrale c’è l’unica figura cheil Marussig abbia inviato a questa Mostra:«Fanciulla alla toeletta», lavoro non moltorecente. In esso, con cupo, pacato svol-gersi di masse, l’artista conferma la soli-dità del suo procedere: pittura meditata,pensosa, chiusa in un suo mondo. Ho nota-to nelle sue ultime figure una materia piùviva, più ricca, ma anche in esse, come inquesta, c’è il modo particolare del Marussigd’esaminare l’essenza delle cose e delle per-sone, senza frivolità e senza concessioni

Malabotta continua la sua disamina aggre-

gando, nel gruppo dei “continuatori della

tradizione milanese”, all’arte “soda e profon-

da” di Marussig le esperienze di Arturo Tosi

e Alberto Salietti, “per conformità di inten-

zioni, per analogia spirituale”: doveva esser-

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23 Cfr. M. MASAU DAN, in Il MuseoRevoltella di Trieste 2004, pp. 150-151 cat. 78.24 Questi i titoli delle opere, estrapo-lati dall’articolo di Malabotta: Villa al mare(un dipinto con lo stesso titolo era statoesposto alla XVII Esposizione BiennaleInternazionale d’Arte, Venezia 1930,p. 80, cat. n. 21), Lago d’Iseo, Ponticello,nella sala centrale; Iseo nella quintasala, in mezzo agli altri triestini.

Fig. 7 – Piero Marussig,Fanciulla alla toeletta.Collezione privata.

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gli ancora vivo il ricordo dei dipinti dei tre collocati assieme nella

diciannovesima sala della Biennale veneziana dell’anno precedente25.

Di Tosi, allora reduce dalla personale nella prima sala della

Quadriennale romana26, s’ignorano le opere mostrate in quell’esta-

te triestina; la lettura che ne offre Malabotta si applica con facilità

al Paesaggio lombardo – Terre arate (fig. 8) acquisito con una permuta

cinque anni dopo la Mostra d’arte d’Avanguardia dal Museo

Revoltella27;

Paesaggista come pochi in Italia, conosce l’interiorità delpaesaggio e sa renderne con franca e chiara visione i momen-ti emotivi. Paesi lombardi dall’atmosfera lombarda e dallaluce lombarda, interpretati con oggettività libera e acuta, nondeviata da formule né da preconcetti. La tavolozza del Tosiè ricca, saporosa: il suo senso pittorico, completo. Afferra imotivi tonali più bassi, le sonorità cromatiche più intime. Nési ferma o si indugia nel colore, ma controlla le particolaritàformali, fissa i valori plastici: il Tosi cerca e ottiene lo spa-ziato, il completo. L’immediatezza delle sue impressioni, lo svi-luppo essenziale di esse dimostrano un fare ampio, un pro-cedere per piani e negano il dettaglio, il soffermarsi su ele-menti frammentati. Tutto è a posto, e ottenuto con grandesemplicità di mezzi, con efficacia sorprendente

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25 Cfr. XVII Esposizione BiennaleInternazionale d’Arte, Venezia 1930,p. 80 cat. nn. 18-23 (Marussig), 26-31 (Salietti), 32-34b (Tosi).26 Prima quadriennale d’arte nazio-nale 1931, pp. 28-31.27Cfr. S. GREGORAT, in Il Museo Revoltelladi Trieste 2004, pp. 176-177 cat. 99.

Fig. 8 – Arturo Tosi,Paesaggio lombardo – Terrearate. Trieste, Civico MuseoRevoltella.

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Anche Alberto Salietti aveva concorso, ma solamente con un’o-

pera, alla grande mostra nazionale al Palazzo delle Esposizioni28; a

differenza di Tosi, Malabotta segnala i titoli dei due dipinti che par-

tecipano alla mostra organizzata a Trieste. Il profilo dell’artista, assen-

te nelle collezioni museali giuliane, e la descrizione dei dipinti espo-

sti nel luglio del ’31 sono orchestrate nella lode dei valori cromatici

e materici, i medesimi che, seguendo diverse declinazioni, informa-

no pure il lessico della pittura depisisiana. Salietti è per Malabotta

pittore forte, che si compiace di impasti robusti, succosi,che infonde nei soggetti un personale senso melanconico,meditativo. Egli presenta qui una figura e un nudo, caratte-ristici entrambi per le tonalità e lo sviluppo plastico dei corpi.«La figlia del pescatore» è definita nella sua ferma pensositàda un sovrapporsi di pennellate nervose, frizzanti: ne risultauna materia densa, vivida, piena di sottintesi cromatici. Operamolto buona per la sodezza di colore e di massa; a essa peròpreferiamo il luminoso «Nudo con la rosa», composizionemaggiormente libera, dotata di più ampie risorse coloristi-che, dal tessuto tonale più fresco e più fremente

Un anno prima dell’acquisto in biennale del Pastore del Revoltella29,

vengono esposti a Trieste due lavori di Mario Sironi, anch’egli come

Tosi qui giunto dopo una personale all’interno della prima Quadriennale

d’arte nazionale30. Nella Sala Centrale della Mostra d’Arte d’Avanguardia

in Giardino Pubblico compaiono un Nudo e un Paesaggio, titoli di

opere presenti anche nella rassegna romana appena terminata31. La

modernità sironiana è nella sua monolitica forza:

il pittore più potente, più tragico che oggi abbia l’Italia. Ilsuo mondo è grave, poderoso; un mondo in cui la massa èl’incubo, la tragicità il metro. Le sue figure e i suoi paesaggihanno qualche cosa di fatale, di sopranaturale. Spogliatasi daogni elemento descrittivo, da ogni indulgenza per il dettaglio,l’arte del Sironi tende all’essenziale. La profonda umanità chec’è nei suoi lavori, lo spirito tormentato, il senso del grandio-so, dell’universale commovono e si impongono. Il colore, datoda passaggi quasi monocromi, contribuisce a dar valore all’in-sieme, a metterne in rilievo la nuova mentalità. Si osservi nel

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28 Cfr. Prima quadriennale d’artenazionale 1931, p. 203 cat. n. 28: si trat-tava di una Testa di ragazza.29Cfr. S. GREGORAT, in Il Museo Revoltelladi Trieste 2004, pp. 170-171 cat. 94.30 Prima quadriennale d’arte nazio-nale 1931, pp. 113-115. Ovviamentesue opere erano state anche alla XVIIEsposizione Biennale Internazionaled’Arte, Venezia 1930, p. 90, nn. 9-13.31 Prima quadriennale d’arte nazio-nale 1931, p. 114: nn. 1, 8 (Nudo) e 13,15, 18 (Paesaggio).

«Nudo» che il Sironi espone nella sala centrale con quantasobrietà è ottenuta l’essenza plastica e formale della carne e comesia accentrata la materialità greve, pesante del corpo: l’atmo-sfera bruna, squallida aumenta la tragicità e la forza brutale dellavoro. Il suo «Paesaggio» sembra un’apparizione terribile:una casa rustica, dalle pareti bianche interrotte dai vuoti neridelle finestre, e un albero enorme. Masse potenti, gravi, agi-tate da una spiritualità tormentosa, fissate sommariamente daun artista che ha scoperto il significato umano del paesaggio,l’interiorità terribile, opprimente della solitudine.

Vicino alle epifanie di drammatica plasticità di Sironi, pream-

bolo della futura propensione collezionistica per la scultura di Arturo

Martini, è posta per antitesi la serenità classica delle forme di Achille

Funi. La Fanciulla alla toeletta non viene molto apprezzata da

Malabotta, che meglio considera il Porto di Viareggio: sue opere

erano arrivate sia alla Biennale del ’30, nella stessa sala di Marussig

Tosi e Salietti, sia alla Quadriennale di Roma32.

Funi è il più tipico rappresentante del neoclassicismoattuale: sobrio, composto, preciso, ama l’armonia dell’insie-me, la bellezza della composizione. Ora nei lavori recenti s’èfatto più libero, più vivace, ha approfondito il valore spiri-tuale interiore del suo mondo classico. La sua pittura è dive-nuta maggiormente ampia, più sostanziosa, ha perduto la sta-ticità, la freddezza che alcune volte ne danneggiavano il ren-dimento. Anche la tavolozza è più chiara, più varia.

L’attenzione di Malabotta è ormai diretta verso gli ultimi due

artisti che espongono nella sala centrale del Padiglione Municipale

di Trieste, quelli senza dubbio fondamentali all’interno del suo siste-

ma critico:

I pittori, di cui ho parlato finora, vivono tutti a Milano,mentre de Chirico e de Pisis stanno ambedue a Parigi. E l’at-mosfera parigina, ardita e libera, si sente nelle loro opere.Sopratutto in quelle di Giorgio de Chirico che nella metropo-li francese – faro dell’arte del nostro e del passato secolo – hapotuto abbandonarsi alle più sorprendenti avventure, alle espe-rienze più ardimentose. L’ambiente è uno dei più importanticoefficenti dall’arte: se limitato la annienta, se aperto la svi-luppa, la nutre. Influisce enormemente sulla personalità dell’artista,

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32 XVII Esposizione BiennaleInternazionale d’Arte, Venezia 1930,p. 79 nn. 13-17; Prima quadriennaled’arte nazionale 1931, p. 106.

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è il suo ossigeno spirituale. Atmosfere povere, prive di elettri-cità lasciano vivere i solitari, i chiusi in sé stessi, i lontani dallarealtà cotidiana, ma gli artisti esuberanti, di vita, irruenti e vio-lenti ne sono soprafatti, o se ne vanno.

Questa è Parigi: è il titolo del libro, di cui si conserva non casual-

mente una copia presso la biblioteca Malabotta, uscito proprio nel

1931 per le edizioni Ceschina, racconto del mito della città france-

se attraverso la penna di Giovanni Comisso e le illustrazioni di

Filippo de Pisis33.

Quell’anno a Trieste la Sala centrale della Mostra d’arte d’Avanguardia

appare dominata da due dipinti recenti di Giorgio de Chirico34, il

grande assente agli Appels d’Italie e alla Quadriennale romana, al

quale Manlio Malabotta attribuisce, con il solito acume critico, linea-

menti di tragico eroe della pittura contemporanea. Come Funi

Anche Giorgio de Chirico è un classico, ma sente il clas-sicismo come una necessità incombente,come un peso tradizionale. Nelle sue operec’è il sottinteso classico, il ricordo di unmondo eroico di sapore ormai archeolo-gico, ma che ancora si sente e si subisce.Il de Chirico è una personalità inquieta,in movimento continuo: risentì un tempogli influssi di Böeklin, del Picasso, fu meta-fisico, astratto, ora sembra voglia fermarsisulla terra, ma anche adesso c’è nei suoilavori, che a primo vedere sembrerebbe-ro quiete e quasi timide analisi della natu-ra, un senso surrealistico, arcano.

Malabotta propone quale corollario natu-

rale al verbo di de Chirico, di cui il Revoltella

acquisirà un’opera nel 193635, la pittura di un

altro italiano a Parigi, Filippo de Pisis: un’o-

perazione che verrà ripetuta l’anno successi-

vo da Gino Severini nell’allestimento e nella

conseguente illustrazione del catalogo (fig. 9)

298

33 COMISSO 1931.34 Si tratta di un Nudo, nelle paroledi Malabotta “l’opera più importante epiù inquietante di tutta questa mostra”,e di una Natura morta. Presso la Galleriadi Milano era terminata l’11 maggiouna personale dell’artista (Mostra delpittore Giorgio de Chirico 1931), nellaquale furono esposti, tra gli altri dipin-ti, “dodici nudi, tre nature morte” (M.FAGIOLO DELL’ARCO, Attorno al 1930, inGiorgio de Chirico. Gli anni Venti, 1986p. 174).35 Cfr. M. MASAU DAN, in Il MuseoRevoltella di Trieste 2004, pp. 132-133 cat. 63.

Fig. 9 – XVIII EsposizioneBiennale Internazionaled’Arte di Venezia, Venezia1932, ill. 48-49.

della sala 28 Italiani di Parigi della Biennale di Venezia36.

Già si è detto della conoscenza, documentata, di Manlio Malabotta

dell’arte del ferrarese a casa di Enrico Fonda, alla mostra venezia-

na del ’30 e dal volumetto Scheiwiller. Va ora aggiunto che anche alla

Quadriennale a Roma de Pisis era rappresentato da un paesaggio e

quattro nature morte37 e che, infine, tra febbraio e marzo sempre del

1931 presso la Galleria di Roma era stata organizzata una mostra di

sue creazioni recenti38.

L’esame di Malabotta delle opere depisi-

siane portate a Trieste per la Mostra d’Arte

d’Avanguardia è piuttosto sintetico, giustifi-

cato dagli articoli scritti in precedenza. Resta

comunque il suo personale giudizio sui dipin-

ti in esposizione nella Sala Centrale, una

Natura morta marina, che possiamo immagi-

nare simile a quella giunta alla Biennale del-

l’anno seguente, e tre paesaggi urbani.

La prima è l’opera più interessante:colpisce per l’originalità della concezio-ne, per l’insolita unione della natura mortacol paesaggio, e per la vivida bellezza del-

l’impasto cromatico. Nei tre paesaggi sono fissate, con trattirapidi ed essenziali, delle impressioni dell’ambiente parigi-no: strade, viali, sobborghi in cui l’elemento coloristico ha lanota dominante.

Questi ritratti di città, come Quai Voltaire del 1928 (fig. 10),

apparentano l’interesse del giovane Malabotta verso il vedutismo

di Fonda e quello di Maurice Utrillo, di cui quattro litografie “som-

marie, argute descrizioni della vita delle vie di Parigi” furono reca-

te in mostra.

La Mostra d’Arte d’Avanguardia non era costituita solo dalla

parte centrale del Padiglione municipale del Giardino Pubblico di

Trieste: la quarta e la quinta sala venivano occupate da opere di arti-

La Pittura

Alle origini della collezione Malabotta: Filippo de Pisis e la Mostra d’Arte d’Avanguardia di Trieste (estate 1931)

299

36 Cfr. XVIII Esposizione BiennaleInternazionale d’Arte, Venezia 1932,p. 101-105, ill. 48-49.37 Prima quadriennale d’arte nazio-nale 1931, p. 139.38 De Pisis pitture recenti 1931, cfr.BRIGANTI 1991, p. 843.

Fig. 10 - Filippo de Pisis,Quai Voltaire. Ferrara,Museo d'Arte Moderna eContemporanea “Filippo dePisis”, Collezione Malabotta.

Atti del convegno

Enrico Lucchese

sti milanesi, veneti e giuliani, oggetto degli ultimi due articoli di

Malabotta qui esaminati.

Invece di dilungarsi sulla lista dei partecipanti, alcuni di questi

notevoli come Leonor Fini o Marcello Mascherini, unico scultore,

altri con alle spalle la presenza alla Biennale del 193039, pare oppor-

tuno, in questa sede, concludere con due artisti giuliani che, forse

ancora più di Marussig, furono autentici stranieri in casa, prodotti

di una situazione storica e artistica locale di

grande peculiarità rispetto al resto d’Italia:

Interessantissima l’arte giuliana nelmomento attuale: formata di personalitàindipendenti, antitetiche, prodotta da unsovrapporsi di intenzioni, di influssi.Contatti con il settentrione, contatti conl’occidente, sempre più vasti e più fecon-di: ed è molto importante questo ampliar-si dell’orizzonte artistico, limitato untempo a scuole determinate, e certe voltead artisti determinati. Venezia e Monaco– i due poli fissi della nostra arte passata– hanno cessato il loro influsso: gli artistid’oggi hanno una coscienza più profon-da della propria personalità, seguono leloro preferenze istintive, non ricalcano leorme del maestro dato loro dalla sorte.Questa maggior mobilità e libertà d’a-zione mi sembra inoltre segno di una mag-gior comprensione della struttura regio-nale, formata da coefficienti etnici com-

plessi, controllati e uniti dallo spirito basilare, latino.

Come il caso Marussig, come il caso Svevo, come il caso Fittke

(fig. 11), nota Malabotta, esiste anche il caso Bolaffio, il goriziano

attivo a Trieste

l’unico artista che abbia compresa e definita nelle sue telela bellezza della nostra città, la vita interessantissima del porto.Rare volte egli espone: la sua produzione non è a getto con-tinuo, ma è risultato di lungo e attento lavoro, né egli cerca,

300

39 Cfr. XVII Esposizione BiennaleInternazionale d’Arte, Venezia 1930,p. 48 n. 1 (Angelo Ablondi, tre punte-secche), p. 57 nn. 1, 3, 4 (dipinti diRemigio Butera, Luigi Cobianco, MarioO. De Luigi), p. 62 n. 4 (Fini), p. 63 n.23 (Mario Varagnolo).

Fig. 11 – Arturo Fittke,Ragazza buranese. Trieste,Collezione Malabotta.

insistendo con la propria presenza, il successo plateale o,almeno, la notorietà. Il Bolaffio lavora solamente per se stes-so, chiuso in se stesso. La sua pittura è lenta, meditata, profon-da e, soprattutto, solitaria; questo il suo valore e la sua gran-dezza: di aver visto e interpretato le cose come altri mai, diaver trasfigurato pittoricamente il vero in una visione perso-nalissima

La stima verso Bolaffio spinge il presidente del comitato esecu-

tivo della Mostra d’arte d’Avanguardia ad esporre a conclusione

della rassegna dedicata, nella sezione giuliana, a coloro che “hanno

portato nell’arte della nostra terra un con-

tributo nuovo, attuale, e che hanno l’evidente

volontà di darle un significato particolare,

un valore contemporaneo”, un dipinto del

1913, la Cinesina adesso in collezione Malabotta

(fig. 12)40.

Bolaffio precorse il nostro tempo. Noigiovani siamo sbalorditi dalla modernitàdelle sue pitture più remote, di quelle del-l’anteguerra, e siamo portati ad ammette-re e a giustificare il silenzio del pubblicoe della critica sull’opera di questo artista:il Bolaffio fu troppo violentemente inno-vatore per esser accettato. Nel tempo incui la sua arte sbocciò, si dava importan-za solo a certe vuotissime bravure tecni-che, ignorando il contenuto, l’essenza dellapittura: tra il delirare della secessione e il

fiacco borbottìo degli ultimi impressionisti, la purezza e lacostruttività del goriziano, professate e sostenute da lui solo, dove-vano esser trascurate e ignorate: non le si ignora forse ancoroggi, mutati e sviluppati concetti sull’arte? Artisti triestini.

Nella Trieste di inizio anni Trenta operava anche Arturo Nathan,

pittore oggigiorno troppe volte messo sul lettino della psicanalisi, il

quale poteva contare, oltre a delle partecipazioni in importanti

mostre come la Biennale di Venezia e la Quadriennale di Roma, una

serie di interventi di Malabotta sul “Popolo” ma anche su riviste

La Pittura

Alle origini della collezione Malabotta: Filippo de Pisis e la Mostra d’Arte d’Avanguardia di Trieste (estate 1931)

301

40 P. FASOLATO, Manlio Malabotta cri-tico e collezionista nella Trieste deglianni Trenta, in Viaggio nel ‘900. Le col-lezioni di Manlio Malabotta 1996, p.17, pensa che “fu probabilmente inquesta occasione che Malabotta l’ac-quistò”, ipotesi tutta da confermare.

Fig. 12 – Vittorio Bolaffio,La Cinesina. Trieste,Collezione Malabotta.

Enrico Lucchese

d’interesse nazionale quali “Emporium” e “Casabella”. L’originalità

dell’artista triestino è ben chiara al suo principale critico nonché

suo collezionista almeno fin dal 193541:

Egli ama rievocare sulle sue tele un mondo antico, miste-rioso: cozzano in esso due epoche, la classica e la romantica,e si uniscono. Grava il ricordo di tempi lontani: frammenti distatue, rocchi di colonne, velieri, vapori e ruote agiscono inpaesaggi astratti, estatici. La coloritura smorzata, irreale, con-tribuisce a rendere evidente l’intenzione metafisica dell’arti-sta. Questi paesaggi sognanti rivelano un temperamentoprofondo, sensibile, hanno un’anima particolare: e mi sem-bra che citare, come sempre si cita davanti al Nathan, il de Chiricosia fuori posto: pur ammettendo alcune volte contatti pura-mente rappresentativi, non mi riesce di scoprire un’unionespirituale tra i due. Il senso vigoroso, dispotico che determi-na il de Chirico invano lo si cercherebbe nelle calme, solita-rie figurazioni del triestino

L’importante distinzione di Nathan dal corso dechirichiano, da

cui trae certo lemmi ma per un parlare creativo diverso, introduce

alla descrizione dell’opera esposta alla Mostra d’arte d’Avanguardia,

lo Scoglio incantato (fig. 13) dipinto proprio nel 1931 e di lì a pochis-

simo donato dal pittore al Museo Revoltella42

un’isoletta con un’enorme, bianca testa di statua classica,

302

41 GIRMOUNSKY 1935, p. 21.42 Cfr. Il Museo Revoltella di Trieste2004, p. 269 cat. n. 717.

Fig. 13 – Arturo Nathan,Scoglio incantato. Trieste,Civico Museo Revoltella.

Atti del convegno

contro cui si infrange un mare livido, agitato: più lontano unveliero inclinato e nello sfondo un’isola vulcanica col pen-nacchio di fumo. Composizione strana, originale, desolata,che riconferma il valore del Nathan

La lucida sensibilità di Malabotta riesce a catturare l’incanto

della pittura di Nathan: una libertà di approccio che spiega ulte-

riormente la scelta appassionata nei confronti dell’arte di de Pisis,

altro singolare interprete della poetica del Novecento. Le delusio-

ni del regime prima, la follia della guerra poi chiuderanno una sta-

gione felice; nel ’44 Nathan muore a Biberach, l’anno dopo Filippo

de Pisis esegue per Giovanni Scheiwiller la Falena, gemma (fig. 14):

il ricordo minuto di colloqui sottili con la Metafisica43, di accen-

sioni sentimentali e pittoriche su cui rimane un’ombra di malinco-

nica bellezza. In quello stesso 1945, a trentotto anni, Manlio Malabotta

si trasferisce a Montebelluna per la professione di notaio. Era fini-

to il tempo del critico, cominciava quello del collezionista.

La Pittura 303

43 Metafisica 2003.

Fig. 14 – Filippo de Pisis, La falena. Ferrara, Museod’Arte Moderna eContemporanea “Filippo dePisis”, CollezioneMalabotta.

Alle origini della collezione Malabotta: Filippo de Pisis e la Mostra d’Arte d’Avanguardia di Trieste (estate 1931)

Atti del convegno

Enrico Lucchese

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