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Tiziano e il controllo dell’immagine riprodotta.
Matteo Mancini
I. Orhan Pamuk in un esemplare passaggio narrativo di
Istabmul descrive, attraverso l’espressione delle
sensazioni provate dal suo io creatore in età infantile,
quella che lui stesso definisce como la sua “passione per
il disegno”1. Ma ciò che più ci interessa è verificare
come, nelle parole del grande scrittore del Bosforo, c’è
forse una delle chiavi per spiegare la tensione tra disegno
e colore che riveste tanta importanza per comprendere la
teoria e la pratica della pittura nel Cinquecento europeo.
In particolare mi sembra che attraverso le parole di Orhan
Pamuk ci possiamo avvicinare nel miglior modo possible alla
complessa questione della produzione grafica di Tiziano
Vecellio intesa come un ulteriore declinazione del suo
ultimo stile.
In primo luogo è necessario chiarire alcune questioni
di metodo per non creare inutili confusioni. L’analisi del
rapporto tra forma e contenuto del chiamato ultimo stile2
1 La riflessione sulla dialettica tra colore e disegno viene espressa
in questi termini: “Non disegnavo guardando la natura, gli oggetti e
le strade: disegnavo guardando le forme della mia mente. Il disegno
doveva essere semplice come nelle riviste illustrate, nelle vignette o
nei libri scolastici per poterlo tenere presente e raffigurarlo. I
quadri a olio e i ritratti erano complicati come la vita, anzi più
della vita. Oltre a capire com’erano realizzati, non risvegliavano
affatto in me la passione e la voglia di dipingere” in O. Pamuk,
Istambul, Milano 2006, p. 144. 2 Il tema del non finito in Tiziano trova numerosi riferementi
bibliografici, tra i quali, per la loro valenza nella ricerca
storiografica contemporanea vale la pena ricordare la ricostruzione
del contesto pittorico a partire dagli anni cinquanta in F.
Valcanover,"Le dernier Titien et la fin du siècle à Venise", en Le
Siècle de Titien. L'âge d'or de la pinture à Venise, Parigi 1993,
Catalogo della Mostra, Parigi 1993, pp. 651-656, un concetto poi
ribadito in F. Valcanover, Tiziano. I suoi pennelli sempre partorirono
espressioni di vita, Firenze 1999, pp. 84-101. Discorso analogo lo
troviamo in C. Hope, Titian, London y New York 1980, pp. 144-166, dove
si puntualizzano le ragioni del possibile cambio stilistico di Tiziano
verso la metà del secolo e dove, soprattutto, si mette in relazione
tale evoluzione con l’organizzazione della bottega e della su attività
produttiva. A. Gentili, "Tiziano e il non finito", in Venezia
Cinquecento, nº 4 (1992), pp. 93-127, ripreso più tardi in Idem,
"Ancora sul non finito di Tiziano: materia e linguaggio", in Tiziano.
Técnicas y restauraciones, Atti del Simposium Internacional celebrato
nel Museo Nacional del Prado, a cura di F. Checa e M. Mancini, Madrid
1999, pp. 171-179, individua nell’ultimo stile le ragioni funzionali
di una pittura destinata a committenti specifici, e quindi la
modulazione formale della stessa si misura e comprende in ragione del
vincolo/sintonia del pittore con quei committenti. F. Checa Cremades,
Tiziano e la Monarquía Hispánica. Usos y funciones de la pintura
Veneciana in España. Siglos XVI y XVII, Madrid 1994, pp. 95-108 e pp.
169-194, per la ricezione del non finito nella Spagna della fine del
2
di Tiziano, tanto per ciò che si riferisce alla produzione
pittorica, come per la grafica, ne evidenzia chiaramente
l’adozione come parte di un cosciente linguaggio formale
che ha come obiettivo esprimere, come sempre avviene per le
scelte formali, un messaggio comprensibile per quanto
rigurda il contenuto delle suddette opere. Lo dimostrano in
maniera indiscutibile tre punti sui quali le differenti
posizioni critiche dovrebbe essere concordi.
Uno, le prime traccie tangibili di quella
sperimentazione linguistica appaiono, verso la metà del XVI
secolo, in opere e generi nei quali Tiziano è maestro
affermato: nel ritratto, nei temi mitológici, ma anche
nella pittura di devozione3.
Due, che a partire da Vasari si identifica in quello
stile una decadenza formale, intesa come perdita di qualità
nella realizzazione del disegno dipinto. Un concetto che,
con l’avvento del XVII secolo prende due strade, quella
dell’esaltazione dei “borrones” e delle “macchie distanti”
nella pittura spagnola4; o il contemporaneo recupero di
quegli stessi valori attraverso l’opera giovanile5 di
Tiziano. Un processo, quest’ultimo, propiziato dai pittori
e teorici classicisti, come dimostrano, per esempio i
riferimenti di Boschini o Bellori alle favole dipinte per
Alfonso d’Este in occasione del loro passaggio in Spagna
Cinquecento e inizio del Seicento. D. Rosand, "La mano di Tiziano",in
Tiziano. Técnicas y restauraciones op cit., pp. 127-138, mette in
rapporto direttamente l’ultimo stile con la ricerca formale e
contenutistica dell’artista. Infine la ricostruzione dei rapporti
familiari di Tiziano negli ultimi decenni si trova in L. Puppi, Su/Per
Tiziano, Milano 2004, part. pp. 25-60. 3 Sulla catalogazione della pittura di Tiziano rimando a H. E. Wethey,
The Paintings of Titian. I The Religious Paintings, London 1969; Idem,
The Paintings of Titian. II The Portraits 1971; Idem, The Paintings of
Titian. III The Mitological and Historical Paintings 1975; F.
Valcanover, L’opera completa di Tiziano, Milano 1969; C. Hope, Titian,
op. cit. (nota 2), F. Pedrocco, Titian, London - New York, 2001. 4 Su questo tema di enorme interesse nella storiografia spagnola vedi
A. E. Pérez Sánchez, "Presencia de Tiziano in España", in Goya.
Revista de Arte, nº 135, 1976, pp. 140-159; F. Checa Cremades, Tiziano
e la Monarquía Hispánica, op. cit. (nota 2), pp. 169-194, M. Mena
Marqués, "Titian Rubens and Spain", in Titian and Rubens, Power,
Politics, and Style, Boston 1998, pp. 69-94; J. Portús Pérez, Pintura
y pensamiento in la España de Lope de Vega, Hondarribia 1999, pp. 133-
161; F. Marías Franco, "Tiziano y Velázquez, tópicos literarios y
milagros del arte", in Tiziano, a cura di M. Falomir, Catalogo della
Mostra del Museo Nacional del Prado, Madrid 2003, pp. 111-132. 5 L. Hourticq, La Jeunesse de Titien, Parigi 1919; A. Ballarin, "Le
probléme des oeuvres de la jeunesse de Titien. Avancées et reculs de
la critique", in Le Siècle de Titien, op. cit. (nota 2), pp. 357-366;
P. Joannides, Titian to 1518: the Asumption of Genius, New Haven y
London 2001.
3
per iniziativa del cardinal Ludovisi o come modelli per
Poussin e Du Quesnoy6.
Il terzo, e ultimo chiarimento, riguarda una questione
che potrebbe sembrare di senso comune, ma si trasforma
nell’applicazione di una rigorosa pratica scientifica -di
uso frequente in altre discipline umanistiche- come è lo
studio del rapporto tra quantità di opere prodotte e
qualità delle stesse. Un aspetto che, nel nostro caso
concreto, deve mettere in rapporto le caratteristiche
formali e linguistiche della pittura di Tiziano con
l’estensione temporale della sua produzione pittorica,
proponendo alcune significative domande: è ragionevolmente
possible pensare a un ultimo stile la cui estensione
cronologica, ammettendo una data di nascita di Tiziano tra
il 1485-95, risulta essere di poco inferiore alla metà
della vita professionale dell’artista? E che, sopratutto,
occupa in maniera assolutamente preponderante gli anni
della sua maggiore maturità artistica per qualità della
pittura, organizzazione della bottega, livello e numero dei
committenti? Evidentemente la risposta risiede nella
necessità di considerare la funzione strategica delle
affermazioni vasariane7, ma anche di quelle, fin troppo
retoriche, di Palma8 e, inoltre, valutare il non finito di
Tiziano come una scelta stilistica cosciente nella quale
convivono diversi livelli di finitura formale,
corrispondenti in maniera proporzionale agli interessi del
pittore e dei suoi committenti, come sarà possibile
verificare attraverso lo studio di alcune questioni che
evidenzia il corpus grafico di Tiziano 9. Un insieme di
opere che, soprattutto se analizzate, nell’ambito
complessivo della sua produzione, e non come un corpus a
parte, rivelano una perfetta sintonia ideologica con le
strategie di Tiziano, benché affrontate e risolte
attraverso una differente declinazione formale dei
linguaggi grafici; come indicarono chiaramente, per quanto
riguarda la silografia, gli studi di Michelangelo Muraro e
David Rosand10.
In particolare, per concludere questa prima parte
introduttiva, mi interessa recuperare uno dei topos
6 M. Boschini, Carta del navegar pitoresco, Venezia 1660, pp. 168-169;
G. P. Bellori, Le vite de' pittori scultori e architetti moderni, ed.
anastatica Bologna 1977, [Roma 1672], p. 271 e p. 412. 7 G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e
architettori, Firenze 1568, vol. II, pp. 814-815 e p. 817. 8 M. Boschini, Le Ricche Miniere de la pittura Veneziana, Venezia 1674,
pp. b4v-b5r. 9 Una visione generale della grafica tizianesca nel contesto veneziano
la troviamo in M. Bury, "Printmaking in Age of Titian", in The Age of
Titian, Catalogo della Mostra, National Gallery of Scotland, Edimbugh
2004pp. 278-281. 10 M. Muraro e D. Rosand, Tiziano e la silografia veneziana del
Cinquecento, Vicenza 1976, pp. 43-68.
4
ripetuti con maggior frequenza rispetto al dibattito sulla
pittura di disegno e di colore durante il Cinquecento e poi
costantemente presente nelle letterature artistiche delle
Società di Antico Regime: la figura del pittore ideale
sarebbe la sintesi del disegno di Michelangelo Buonarroti e
del colore di Tiziano Vecellio. Un vero e proprio luogo
comune rispetto al quale la prospettiva d’interpretazione
critico storiografica ha –da sempre- inforcato gli occhiali
vasariani, perdendo di vista, almeno in parte le ragioni
del colore e la funzione svolta da Tiziano in quel
contesto. In quell’affermazione risiede l’identificazione
dell’esistenza di un problema nell’uso del colore da parte
di Michelangelo e più in generale del mondo della “bella
maniera”11 di matrice tosco-romana: probabilmente
un’incapacità a risolvere in maniera efficace la questione
del naturalismo12, intesa como parte del processo di
rappresentazione delle passioni. Un problema che verrà
emendato, e solo in parte, all’inzio del secolo successivo
con l’avvento di Caravaggio13 e del neonato naturalismo
barocco. Una questione che, probabilmente, Tiziano aveva
avvertito già verso la metà degli anni Cinquanta del
Cinquecento e alla quale aveva dato una risposta personale
attraverso il non finito inteso come rappresentazione
figurativa del tragico.
Un processo simile lo troviamo approfondito, in
maniera speculare, da parte del Vecellio nel mondo
dell’incisione grafica. Un supporto che, per ragioni
evidenti, gli avrebbe dovuto impedire di sviluppare
attraverso l’uso del colore quella tensione nella
rappresentazione dei sentimienti e delle passioni propia
della sua pittura. E che, invece, Tiziano concepì come uno
straodinario strumento al servizio della diffusione di
quegli stessi sentimenti e passioni (spesso risolti e
diluiti nella loro dialettica interna), attraverso un
11 Sulla definizione di Bella Maniera e lo sviluppo della stessa vedi
A. Pinelli, La Bella Maniera. Artisti del Cinquecento tra regola e
maniera, Torino 1993, in particolare ci riferiamo al passaggio in cui
si considera la Maniera come “superamento della natura che non
contraddice il necessario fondamento dell’arte nell’imitazione del
naturale ma trova con esso un momento di sintesi”, pp. 94-109
(citazione a p. 100). 12 E’ a questo che probabilmente allude Ludovico Dolce all’affermare
che “né creda alcuno che la forza del colorito consista nella scelta
de’bei colori, come delle belle lacche, bei azzurri, bei verdi, e
simili, percioché questi colori sono belli parimenti senza che e’si
mettano in opera; ma nel sapergli maneggiare convenevolmente”; in a
cura di P. Barocchi, Trattati d'arte del Cinquecento fra Manierismo e
Controriforma, vol. I, Torino 1960, pp. 184-185. 13 Sul naturalismo di Caravaggio vedi F. Bologna, L'incredulità del
Caravaggio, Torino 1992, pp. 139-190, in particolare quando individua
l’analogia Natura/Maniera in contrapposizione al Classicismo (pp. 144-
145), una questione che può essere messa direttamente in rapporto con
la tensione propria dell’ultimo stile di Tiziano.
5
processo di distribuzione oculata e capillare di
iconografie e opere altrimenti inaccessibili e che –spesso-
nella loro versione grafica subivano interessanti processi
di riconversione e adeguamento propio in termini
iconografici e iconologici. Quelle incisioni diventavano,
in tal modo, strumenti essenziali per comprendere14,
attraverso le differenze, l’importanza della relazione tra
la scelta formale e i contenuti propri delle iconologie e
dei loro contesti. Una riconversione marcata da un punto di
riferimento assoluto: il Classicismo, inteso come
rappresentazione figurativa efficace di equilibrio di forme
e contenuti. E che dimostrano l’intento, nella grafica, da
parte di Tiziano di essere sé stesso, ma anche di proporsi
come sintesi tra colore e disegno, di dare risposta
concreta a quel topos, risolvendolo attraverso
un’adeguamento naturalista del classicismo15, proposto,
però, come una valida alternativa al michelangiolismo e ai
suoi epigoni.
II. Nel 1527, oltre ad Aretino e a Sansovino,
arrivarono a Venezia16 fuggiti da Roma numerosi altri
artisti, tra di loro figurava sicuramente Jacopo
Caraglio17. Un’incisore, non solo propenso a comprendere e
fare sua ogni tipo di sperimentazione e di rielaborazione
dei modelli dei grandi maestri18, ma capace di uno stile
propio che, spesso guardava a Raffaello in maniera
indipendente rispetto ai prototipi grafici proposti da
Marcantonio Raimondi19, per lo meno secondo l’opinione di
14 Ne è un caso esemplare la ricostruzione che propone Erwin Panofsky
delle differenze tra le successive versioni della Spagna soccorrendo
la Religione; cfr. E. Panofsky, Tiziano. Problemi di iconografia,
Venezia 1992 [1969], pp. 187-190. 15 Non molto diverso era il contemporaneo giudizio che esprimeva a tale
proposito Sebastiano Serlio “Il Cavalier Titiano, ne cui mani vive una
idea d’una nuova natura non senza gloria de l’Architettura”, come
suggeriva C. Dionisotti, “Tiziano e la letteratura” in Tiziano e il
Manierismo Europeo, Firenze 1978, pp. 259-270, la citazione a p.269. 16 Sugli anni veneziani di Caraglio H. Zerner, "Sur Giovanni Jacopo
Caraglio", in Actes du XXII Congrès International d'Historie de l'Art.
Evolution Générale et devéloppements Régionaux in Historie de l'Art,
Budapest 1972, tomo I, pp. 691-695; tomo II, pp. 219-221, Ill. 1-10,
particolarmente pp. 693-694. 17 Su Caraglio H. Zerner, "Sur Giovanni Jacopo Caraglio", cit. (nota
17), pp. 692-695, L. Barroni e H. Kozakiewicz,"Caraglio", in
Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 1976, vol. 19, pp. 615-618;
M. Cirillo Archer, "Jacopo (Gian Giacomo) Caraglio", in The Ilustrated
Bartsch, USA 1995, 28, vol. 15, pp. 73-74 e immagini ad indicem. 18 P. Barocchi, Trattati d'arte del Cinquecento, op. cit. (nota 8),
vol. I, p. 123. 19 “Ma per tornare alle stampe semplici di rame, dopo che Marcantonio
ebbe fatto tante opere quanto siè detto di sopra, capitando in Roma il
Rosso, gli persuase il Baviera che facesse stampare alcuna delle cose
sue; onde egli fece intagliare a Gian Iacopo del Caraglio veronese,
che allora avevabonissima mano e cercava con ogni industria d’imitare
Marcantonio, [...] e dopo per Tiziano Vecellio in un’altra carta una
6
Pietro Aretino20. A Venezia il suo rapporto con Tiziano, la
cui data estrema è il luglio del 1539, quando emigra in
Polonia, possiamo limitarlo a due sole opere: il ritratto
di Pietro Aretino e la celebre versione a stampa
dell’Annunciazione di Tiziano (fig. 1), opera dipinta per
il monastero di Santa Maria degli Angeli di Murano, e, poi
riconvertita in un dono per l’imperatrice, del quale,
comunque, fece largo uso Carlo V21. Il quadro originale,
perduto all’inizio dell’Ottocento in Spagna22, è conosciuto
negli elementi essenziali della sua iconografia proprio per
l’incisione del Caraglio. Ma si tratta degli elementi
essenziali, perchè nella versione grafica spiccano le
allusioni alla ricontestualizzazione imperiale dell’opera,
prime tra tutte le due colonne d’Ercole, che non sappiamo
se vennero inserite anche nel dipinto o meno, ma che,
comunque, ben svolgono la loro funzione di manifestazione
visiva del legame tra il pittore e l’imperatore in un
momento ancora iniziale di quella straordinaria relazione
di committenza23. Se ci pensiamo, e con tutte le debite
differenze di stile e linguaggio (comunque funzionali in
ciascun contesto specifico), non siamo molto distanti
Natività, che già aveva esso Tiziano dipinta, che fu bellissima; cfr.
G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e
architettori, op. cit. (nota 8), vol. II, p. 305. 20 M. Cirillo Archer, "Jacopo (Gian Giacomo) Caraglio", op. cit. (nota
18), p. 74. 21 Il quadro lo ricorda Vasari: “il quale poi fece, per la chiesa di
Santa Maria degl’Angeli a Murano, una bellissima tavola d’una
Nunziata. Ma non volendo quelli che l’avea fatta fare spendervi
cinquecento scudi, come ne voleva Tiziano, egli la mandò, per
consiglio di messer Piero Aretino, a donare al detto imperatore Carlo
Quinto”; la versione incisa venne ripresa senza varianti da Martino
Rota. Cfr. G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e
architettori, op. cit. (nota 8), vol. II, p. 811; C. Ridolfi, Le
maraviglie dell'arte. Ovvero le vite degli illustri pittori veneti e
dello stato, a cura di D. F. Van Hadeln, Berlino 1914-1924 [Venezia
1648], I, pp. 171-172; H. E. Wethey, The paintings of Titian, I, op.
cit. (nota 3), n.º 10, p. 71; F. Mauroner, Le incisioni di Tiziano,
Venezia 1941, p. 56, n. 5; H. Zerner, "Sur Giovanni Jacopo Caraglio",
cit. (nota 17) p. 692; M. Catelli Isola (a cura di), Immagini da
Tiziano. Stampe dal sec. XVI al sec. XIX dalle collezioni del
Gabinetto Nazionale delle Stampe, Catalogo della Mostra, Roma 1976,
Roma, p. 52, n. 72; C. Hope, Titian, op. cit. (nota 2), p. 102; M.
Cirillo Archer, "Jacopo (Gian Giacomo) Caraglio", op. cit (nota 18),
p. 204; M. Bury, "Printmaking in Age of Titian", op. cit., (nota 10),
p. 285, n. 130. 22 L’originale, si trovava nella cappella del palazzo Reale di
Aranjuez, da dove scomparve all’inizio dell’Ottocento, essendo
ricordato in quella sede fino al 1778; cfr. C. García Frías, "Una obra
perdida de Tiziano: la Anunciación de la antigua Capilla del Palacio
de Aranjuez", Reales Sitios, nº 159 (2004), pp. 74-75; per questa
ragione la stampa di Caraglio ha sostituito nell’immaginario visivo
degli storici dell’arte l’opera perduta. 23 Sulla sua presenza nella collezione di Carlo V; vedi M. Mancini,
"Los últimos cuadros del emperador in Yuste", in El monasterio de
Yuste, a cura di F. Checa Cremades, Madrid 2007, pp. 166-169.
7
dall’ideologia che vige nella rappresentazione a stampa
dell’Aretino e dall’iscrizione che lo accompagna24: la
diffusione, attraverso l’immagine grafica, degli onori
dell’artista al suo apice cortigiano. Nel caso di Aretino,
viene sottolineato il suo essere il flagellum principium25,
in quello di Tiziano essere l’interprete dell’iconografia
devozionale di Carlo V. Inoltre, le due incisioni situano
Caraglio nel circolo più ristretto delle amicizie
aretiniane e tizianesche negli anni di maggior auge della
sintonia ideologica tra i due compari. Se ciò non fosse
sufficiente per rivalutare la presenza veneziana di
Caraglio, e specificamene nel mondo di Tiziano, basti
ribadire che fu l’artista d’origine veronese, e quindi non
veneziano, proprio come il cadorino, a introdurre
quest’ultimo per la prima volta al mondo delle incisioni su
rame26. Una tecnica con la quale mai in precedenza Tiziano
si era cimentato, preferendogli di gran lunga la
silografia, forse proprio per quel calore che i legni
incisi erano in grado di restituire all’immagine in nero27.
In tal senso merita la pena prestare particolare attenzione
alle risorse formali e filologiche -proprie dell’incisone a
stampa- per mezzo delle quali Caraglio dimostra il suo
interesse a una riproduzione fedele dell’opera di Tiziano:
una di esse è degna di essere evidenziata per il suo legame
con il non finito. Ci riferiamo alla maniera con la quale
viene reso il riflesso dell’ombra dell’angelo che si
proietta sul paviemento di fronte alla Vergine, un’ombra
naturale, preziosa che contrasta con quella mistica, che
deriva dallo sfavillio di luce che circonda la colomba
dello Spirito Santo, producendo a sua volta una
moltiplicazione di ombre mistiche sulle pareti
dell’edificio della sinistra, originate proprio dalle
nuvolette che sovrastano la Madonna. Si tratta, forse,
dello spettro vivo, di una delle prime manifestazioni del
non finito di Tiziano, inteso come risorsa formale e
ideologica al servizio del linguaggio pittorico.
In termini generali, attraverso la collazione tra
alcune opere di Caraglio e quelle di Tiziano, non è
difficile dimostrare che il rapporto tra i due artisti non
si sia limitato solo a quelle due incisioni. E’ facile
verificare come Tiziano avesse potuto studiare con
24 D. Petrus. Arretinus. Flagellum. Principium. Veritas odium parit.
Per quanto riguarda quest’incisione vedi M. Cirillo Archer,"Jacopo
(Gian Giacomo) Caraglio", op. cit. (nota 18), p. 204, nº0.61. 25 Sulla rappresentazione di Aretino nella ritrattistica di Tiziano
vedi L. Freedman, Titian’s Portraits Through Aretino’s Lens,
Pennsylvania 1995, pp. 35-44, part. p. 38-39 per la valutazione
iconografico/contestuale dell’incisione di Caraglio. 26 Sulla tecnica di Caraglio H. Zerner,"Sur Giovanni Jacopo Caraglio",
op. cit. (nota 17), p. 692. 27 M. Muraro, D. Rosand, Tiziano e la silografia veneziana del
Cinquecento, op. cit. (nota 11), p. 44.
8
attenzione le numerose carte e forse anche i disegni che il
Caraglio aveva portato con sé, convertendoli in una risorsa
preziosa di tecnica e immagini. Lo dimostrano numerosi
confronti con la serie di incisioni tratte da Perin del
Vaga28, ma sopratutto la quantità di riferimenti presenti
nel Marte e Venere (fig. 2) il cui disegno originale viene
datato intorno al 1530, quando è documentata la sua
spedizione –e forse anche quella dell’incisione- da Venezia
alla Francia29. Comunque la struttura dell’opera dovette
essere conosciuta da Tiziano ben prima del suo viaggio a
Roma e in essa troviamo numerosi spunti per opere che
verrano prodotte dopo quel soggiorno30. In primo luogo la
figura di Venere, la cui posizione della gamba destra e del
braccio potrebbe essere il punto di partenza per
l’elaborazione della posizione della Venere e Adone31 (fig.
3); inoltre, nella figura femminile in primo piano,
riconosciamo il modello di una delle ninfe, quella più
lontana e di spalle, della Diana e Atteone (fig. 4). La
stessa posizione di Atteone, non e molto distante, sia
nella posa che nella resa dell’espressione di stupore, da
quella del Marte del Caraglio. D’altro canto, anche il
personaggio che, dietro a Venere, è intento nel gesto di
sollevare la pesante tenda che occulta la dea, viene
ripreso, con un’abile rotazione, nella figura della ninfa
che svela il peccato di Calisto nel quadro corrispondente.
Infine, molti degli amorini, vengono riutilizzati in
differenti occasioni, come angioletti o mantenendoli come
amorini. Uno in particolare, quello di spalle in volo e con
l’arco, sembra quasi il fratello gemello del primo dei due
che vede Giove/toro rapire Europa (fig. 5), mentre le
gambotte di quello che lo accompagna, sostenendo la
guirlanda di fiori, vengono riprese, quasi senza variazione
28 “Solo fra tanti il Baviera, che teneva le stampe di Raffaello, non
aveva perso molto; onde per l’amicizia ch’egli aveva con Perino, per
intrattenerlo gli fece disegnare una parte d’istorie, quando gli Dei
si trasformano per conseguire i fini de’ loro amori; i quali furono
intagliati in rame da Iacopo Caraglio, eccellente intagliatore di
stampe. Et invero in questi disegni si portò tanto bene, che
riservando i dintorni e la maniera di Perino, e tratteggiando quegli
con un modo facilissimo, cercò ancora dar loro quella leggiadria e
quella grazia che aveva dato Perino a’ suoi disegni”; cfr. G. Vasari,
Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, op. cit.
(nota 8), p. 360. 29 E. A. Carrol, Rosso Fiorentino: Drawings, Prints, and Decorative
Arts, Catalogo della Mostra, National Gallery of Art, Washigton 1987,
pp. 176-179. 30 Sul viaggio romano di Tiziano e il suo interesse per l’Antico, vedi
C. Hope, Titian, op. cit. (nota 2), pp. 86-92; D. Rosand, Tiziano,
Milano 1983, pp. 28-30; R. Zapperi,"Tiziano, i Farnese e le antichità
di Roma", in Venezia Cinquecento,anno II, nº4 (1992), pp. 131-136. 31 Si tratterebbe del complemento formale più adatto a completare la
ricostruzione delle fonti dell’Antico già individuate da D. Rosand,
"Titian and the Bed of Policletes", in The Burlington Magazine, CXVII,
pp. 242-245, pp. 242-245.
9
alcuna, nel putto che si sorregge al mostro marino sempre
nel Ratto d’Europa.
In questi termini, la funzione svolta da Caraglio
getta interessanti lame di luce sulle ragioni strategiche e
formali che portarono Tiziano a perseguire un doppio -e
chiaro- obiettivo, attraverso l’uso delle incisioni:
ottenere una fama universalmente riconosciuta32 e
immediatamente identificabile attraverso l’uso di un
linguaggio classicista. Da tale prospettiva, le incisioni
non si limitano alla mera esecuzione del trasporto su rame
dei modelli di Tiziano, ma perfilano un’orizzonte ben più
complesso in relazione alla produzione pittorica e in
particolare all’ultimo stile e al non finito. Ne è esempio
efficace l’uso strumentale che la storiografia artistica ha
fatto delle stesse per ricostruire, contesti formali,
iconografie e, finanche, per precisare i termini delle
letture iconologiche di alcuni dei quadri di maggiore
interesse del pittore di Pieve di Cadore. Le incisioni sono
state utilizzate, come medium, come strumento lineare e
essenziale per comprendere le sfumature, i contrasti, i
chiaroscuri delle opere dipinte, per capire in sintesi la
funzione essenziale della variante rispetto al modello.
Ecco allora che, forse, il nostro concetto di originale si
vede assolutamente spiazzato rispetto al contesto
cinquecentesco nel quale si muoveva Tiziano e nel quale
bisogna collocare le sue peculiari scelte formali come il
non finito. L’insieme di dipinti che vanno sotto questa
definizione, e che, a parte tutte le loro possibili
classificazioni33, dobbiamo considerare -comunque- come
appartenenti alla sfera dell’eccezione, della variante
originale. Dove per originale intendiamo precisare quella
sottile differenza semantica in grado di attribuire alla
pittura un significato particolare in termini assoluti e
contestuali, rispetto alla genericità dell’incisione.
III. E’,forse, per le ragioni appena esposte che la
gran maggioranza dei suoi collaboratori/interpreti nel
mondo della grafica venivano da tradizioni ben lontane da
quella veneziana (e quando erano di origene veneta, come
Caraglio e i fratelli Fontana, usavano linguaggio formali
propri del mondo tosco-romano), e, allo stesso tempo
32 Il concetto della fama in rapporto alle stampe e alla loro
diffusione viene proposto da Muraro e Rosand per il particolare
contesto posteriore al ritorno dall’esperienza padovana di Tiziano e
vincolato, in particolare, con la ripresa su scala nazionale del
modello di Dürer; cfr. M. Muraro e D. Rosand, Tiziano e la silografia
veneziana del Cinquecento, op. cit. (nota 11), p. 54; ma è anche
interessante metterlo in rapporto all’attività incisoria di Francesco
Marcolini in quegli stessi anni, su questo tema vedi A. Gentili, "Il
problema delle immagini nell'attività di Francesco Marcolini", in Il
giornale storico della letteratura italiana, 1980, pp. 119-124. 33 A. Gentili, "Tiziano e il non finito", op. cit. (nota 2) pp. 95-117.
10
dobbiamo indicare come da loro trasse, come dimostra il
caso di Caraglio, preziose indicazioni su quel classicismo
formale che tanto lo stava interessando. Personaggi come
Giulio Bonasone, Martino Rota, Nicolò Nelli, Luca
Bertelli34, ma sopratutto Cornelis
35 Cort collaborarono in
modo essenziale alla diffusione delle iconografie
realizzate da Tiziano su tela.
In questo senso, a parte la significativa esperienza
con Caraglio, ci sembra di enorme importanza verificare la
coincidenza cronologica tra l’inizio dei primi segnali di
non finito in alcune opere degli anni cinquanta e sessanta
del secolo e l’attività di questi incisori al fianco di
Tiziano. Un semplice elenco catalografico rende
quest’indicazione ben più di un indizio: lo possiamo
verificare con facilità e, finanche, lo ricorda Ridolfi36.
Cornelis Cort è autore delle versioni a stampa di numerose
opere, cominciando da quelle che rappresentano momenti
della devozione cattolica: San Girolamo nel deserto37 (fig.
6), La Maria Maddalena38 (fig. 7), La Gloria
39 (fig. 8), Il
34 Per la distribuzione dei principali interventi nell’opera grafica di
Tiziano su rame e gli interpreti della stessa, vedi M. A. Chiari,
"Sulle incisioni di Tiziano dal Cinquecento all'Ottocento", in Atti.
Classe di Scienze Morali, Lettere ed Arti, Istituto Veneto di Scienze,
Lettere ed Arti, Venezia 1980, tomo CXXXVIII, pp. 9-12 e pp. 44-73. 35 M. Sellink, "Cort Cornelius", en Allgemeines Künstler-
Lexicon,Leipzig 1999, Band 21, pp. 341-344; Idem, “Cornelis Cort” in
The new Hollistein Dutch and Falmish Etchings, Engravings and
Wododcuts 145-1700, part I, Rotterdam 2000, pp. XXIII-XXXIII. 36 C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte, op. cit. (nota 22), I, p. 202. 37 Del quale secondo J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis
Cort, graveur hollandaie, Haya 1948, p. 141, nº 134, esistono sei
stati d’incisione e che è uno dei temi iconografici di maggiore
presenza nella produzione di Tiziano, anche se bisogna segnalare la
assoluta differenza tra questo modello e quelli dipinti. La data di
quest’incisione è 1565. Cfr., C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte, op.
cit. (nota 22), I, p. 202; F. Mauroner, Le incisioni di Tiziano, op.
cit. (nota 22), p. 53, n. 4; M. Catelli Isola (a cura di), Immagini da
Tiziano, op. cit. (nota 22), p. 42, n. 33; M. Sellink, “St Jerome
Penitent in the Wildersness” e “St Jerome reading in the Desert”; in
The new Hollistein, op. cit (nota 34), part II, nº 119-120, pp. 160-
163; M. Bury, "Printmaking in Age of Titian", op. cit., (nota 10), p.
301, n. 143 38 J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis Cort, op. cit.
(nota 40), p. 149, nº 143, identifica due stati della stampa che in
questo caso rimanda direttamente ai modelli pittorici più canonici e
ortodossi dal punto di vista idelogico religioso. Ampio repertorio di
immagini e varianti in M. Sellink, “St Mary Magdalen Repentant in the
Wilderness” in The new Hollistein, op. cit (nota 34), part II, nº 132,
pp. 193-197. Mentre sulle problematiche dell’iconografia di Maddalena
rimando ad A. Gentili, “Der kluge Dissens Tizian: Religiöse Gemälde in
den Jahren der Disziplinierung” y “Maria Maddalena” ambedue in Dar
späte Titian und die Sinnlichkeit der Malerei, Catalogo della Mostra a
cura di S. Ferino Pagden, Vienna 2007, rispettivamente pp. 279-285 y
nº 3.12, pp. 309-311. 39 J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis Cort, op. cit.
(nota 40), p. 117, nº 111, anche in questo caso ci troviamo di fronte
11
martirio di San Lorenzo40 (fig. 9), La Santa Margherita e
il Drago41 (fig. 10) o l’Annunciazione nella sua versione
di San Salvador42 (fig. 11). Per quanto riguarda il primo
quadro, il San Girolamo nel deserto, ci troviamo di fronte
a una iconografia che, seppure si discosta da quelle
proposte nei quadri di Brera, El Escorial e Louvre, era
molto frequente nella tradizione veneziana, come dimostrano
a una riedizione perfettamente coerente con il modello dipinto, con
l’introduzione delle varianti ben conosciute dell’autoritratto del
pittore e del suo accompagnate e viene normalmente datata al 1569;
sulla Gloria cfr. F. Checa Cremades, "Ultimi studi su diverse pitture
di Tiziano del Museo del Prado", in Tiziano. Restauri, tecniche,
programmi, prospettive, Atti del Seminario dell’Istituto Veneto di
Scienze Lettere ed Arti; Venezia 2005, pp. 116-118; e il recentissimo
intervento di F. Checa Cremades, "Venezia, Yuste, El Escorial: Los
cambiantes significados de la Gloria de Tiziano", in El monasterio de
Yuste, op. cit. (nota 24), pp. 135-162. Mentre per quanto riguarda le
diverse tipologie e varianti dell’incisione vedi M. Sellink, “The
Adoration of the Trinity (La Gloria)” in The new Hollistein, op. cit
(nota 34), part II, nº 82, pp. 39-43. 40 J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis Cort, op. cit.
(nota 40), p. 144, nº 139 e p. 147, nº 140; M. Sellink, “The Martyrdom
of St Lawrence” in The new Hollistein, op. cit (nota 34), part II,
nº128, pp. 178-183. Bieren de Haan identifica due stati di quest’opera
che presenta varianti di rilievo tanto rispetto al modello dei
Crociferi come a quello escurialense. In tal senso è significativo
sottolineare la forte caratterizzazione classicista dell’incisone dove
manca assolutamente la presenza di personaggi contemporanei, a favore
di una loro romanizzazione sistematica. Altrettanto importante è
l’assenza di qualsiasi allusione al tempio classicista, la cui
funzione viene sostitutita dalla divinità che acquisisce, attraverso
l’uso abilissimo dei riflessi propri del chiaroscuro, maggiore
importanza nella scenografia generale dell’episodio. Vedi anche 41 J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis Cort, op. cit.
(nota 40), p. 151, nº 145, identifica l’opera come una di quelle
realizzate da Cort in un momento anteriore alla concessione del
privilegio di stampa e, comunque, si tratta di un’incisione da mettere
direttamente in rapporto con il quadro dello stesso tema del Museo
Nacional del Prado, anche se è interessante segnalare la assoluta resa
in chiaro del paesaggio e il protagonismo che riacquisisce il dragone,
rispetto al modello dipinto. Vedi anche vedi M. Sellink, “St Margaret
of Antioch and the Dragon” in The new Hollistein, op. cit (nota 34),
part II, nº 130, pp. 188-189. In relazione al privilegio di Stampa,
appena citato, vedi Archivio di Stato di Venezia, filza 48, citato in
M. A. Chiari, "Sulle incisioni di Tiziano dal Cinquecento
all'Ottocento", op. cit. (nota 36), p. 330; la richiesta e il
carteggio relativo con il Consiglio dei Dieci, si trova in C. Fabbro,
Tiziano. Le lettere dalla silloge dei documenti tizianeschi di Celso
Fabbro, a cura di C. Gandini, Pieve di Cadore 1989, pp. 235-237, nº
176-178. L’importanza della funzione dei privilegi di stampa nel
contesto più ampio della diffuisione e gestione del materiale grafico
a Venezia, viene precisato da G. J. Van der Sman, “Incisori e
incisioni d’Oltralpe a Venezia nella seconda metà del Cinquecento” in
Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini,
Dürer e Tiziano, a cura di B. Aikema, Catalogo della Mostra, Venezia
1999, p. 154. 42 The Ilustrated Bartsch, USA 1986, vol. 52, p. 31, nº 23-II (47); M.
Sellink, “The Annuntiation” in The new Hollistein, op. cit (nota 34),
part I, nº 19, pp. 48-52.
12
numerose opere, prime tra tutte quelle del Lotto43.
Rispetto alle versione dipinte di Tiziano, la stampa del
Cort rinuncia alle questioni più squisitamente penitenziali
e drammatiche a favore dell’immagine patristica del Santo.
Una scelta che allontana, credo definitivamente le
interessanti ipotesi in relazione al quadro di San
Fantin44, soprattutto perché Vasari riferisce che Cort fece
“in una tavoletta un San Girolamo in penitenza”45, benché
il tema della fonte iconografica non sia risolto
definitivamente. In tal modo ci troveremo di fronte a un
altro episodio nel quale l’autonomia delle versioni incise
rispetto a quelle dipinte, pur nella ripresa di modelli
iconografici generali, viene ribadita secondo le linee
proprie di un’abbandono degli elementi più squisitamente
caratteristici di una devozione individuale. Un discorso
ancor più articolato riguarda la Maria Maddalena, di nuovo
l’aspetto di maggiore interesse lo troviamo nella
impossibilità di indicare con precisione il modello dal
quale l’incisore avrebbe tratto la stampa. Esistono
elementi che, come sostenuto da Bierens de Haan e dalla
Catelli Isola46 potrebbero far pensare alla versione
dipinta, attualmente conservata presso l’Ermitage,
altrettanto interessanti paiono essere le ipotesi che
avvicinano la stampa al quadro delle Gallerie Nazionali di
Capodimonte47, o quelle che la mettono in relazione con la
tela perduta dipinta da Tiziano per Filippo II48. In
ciascuno di questi casi si tratta di ipotesi che non
vengono avvallate dal riscontro delle immagini dipinte, se
non per quanto riguarda il tema o il modello iconografico
generale. Un concetto che -e ci preme segnalarlo- dovette
essere ben chiaro al pittore e al suo incisore, ma che
altrettanto chiaro doveva essere qualche anno più tardi a
Carlo Ridolfi, che al parlare di quest’opera la definisce,
nel contesto generale dell’attività di Cort presso Tiziano,
come “la Maddalena pentita nell’eremo”49, senza indicare
un’origine iconografica precisa per la stampa. In tal senso
ci sembra più che plausibile l’ipotesi della Chiari50, che
parla di un processo di produzione nel quale il pittore si
43 A. Gentili, M. Lattanzi, F. Polignano, I giardini di contemplazione.
Lorenzo Lotto, 1503/1512, pp. 162-183. 44 R. Pallucchini, Tiziano, Firenze 1969, p. 339, n. 591; M. A. Chiari,
Incisioni da Tiziano. Catalogo del fondo grafico a stampa del Museo
Correr, Venezia, 1982, p. 49, n. 5. 45 G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e
architettori, op. cit. (nota 8). 46 J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis Cort, op. cit.
(nota 40), p. 149, n. 143; M. Catelli Isola (a cura di), Immagini da
Tiziano, op. cit. (nota 22), p. 41, n. 32. 47 Mayer, “Quelques Notes sur l’Oeuvrede Titien” en Gazette des Beaux-
Arts, nº 20 (1938), p. 299. 48 H. E. Wethey, The Paintings of Titian. I, op. cit. (nota 3), p. 148. 49 C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte, op. cit. (nota 22), I, p. 202. 50 M. A. Chiari, Incisioni da Tiziano, op. cit. (nota 47), p. 51, n. 6.
13
limiterebbe a fornire dei disegni autonomi dai quali trarre
le incisioni, e, forse, si potrebbe andare anche oltre,
ipotizzando un’intervento di finitura la cui responsabilità
ideologica corrisponderebbe al proprio Tiziano, mentre le
soluzioni tecnico formali verrebbero offerte dal Cort. In
tal senso, e specialmente nel caso di modelli iconografici
di grande diffusione nella pittura dell’ultimo Tiziano,
come la Maddalena, l’autonomia dell’incisione rispetto alle
versioni dipinte, si configura come un primo, fondamentale,
punto di partenza per ridiscuterne le attribuzioni: la
corrispondenza con il modello grafico, a volte ritenuta
prova inconfutabile di originalità, potrebbe, invece,
dimostrare giusto il contrario, determinandone la
condizione di versione posteriore. La Gloria, nel
particolare contesto del non-finito di Tiziano, conferma la
necessità di ragionare sulla sua funzione linguistica,
intesa come una risorsa destinata a supportare di volta in
volta le scelte semantiche più adeguate ai diversi
contesti. Gli elementi che differenziano la versione incisa
da quella dipinta, e che in alcuni casi trovano riscontro
nella radiografia del modello originale, li possiamo
identificare nell’introduzione di una secondo eremo nello
sfondo paesaggistico e soprattutto nella radicale
modificazione della figura che storicamente viene
identificata in entrambi i casi come l’autoritratto di
Tiziano. Se nel dipinto il pittore si ritrae in maniera
uniforme con il resto dei personaggi, con il torso coperto
di un semplice panno bianco; nella stampa lo troviamo
inequivocabilmente rappresentato con quegli indumenti che
lo qualificano come pittore, secondo la ben nota
iconografia del contemporaneo autoritratto di Berlino (fig.
12). Infine, è interessante notare come si tratti, in
termini filologici, di una stampa perfettamente coerente
con l’originale dipinto, nel quale le variazioni appena
citate, corrispondono bisogno di adeguarne il decoro alle
nuove circostanze, prime tra tutte l’inevitabile necessità
di ricordare la condizione di pittore imperiale di Tiziano
e allo stesso tempo di segnalare il fatto che lui, al
contrario di Carlo V era ancora in vita51. Strettamente
51 G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e
architettori, op. cit. (nota 8); C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte,
op. cit. (nota 22), I, p. 202; F. Mauroner, Le incisioni di Tiziano,
op. cit. (nota 22), p. 53, n. 6; C. Gould, The Studio of Alfonso
d'Este and Titian's Bacchus and Ariadne, London 1969, pp. 124-125; H.
E. Wethey, The Paintings of Titian. I, op. cit. (nota 3), p. 165, n.
149; M. Catelli Isola (a cura di), Immagini da Tiziano, op. cit. (nota
22), p. 40, n. 29; C. Hope, Titian, op. cit. (nota 2), p. 120; M. A.
Chiari, Incisioni da Tiziano, op. cit. (nota 47), p. 49, n. 5; M.
Mancini, “La Gloria”, in Carlous, a cura di F. Checa, Catalogo della
Mostra, Madrid 2000, p. 509. n. 298; F. Checa Cremades, "Venezia,
Yuste, El Escorial: Los cambiantes significados de la Gloria de
14
vincolata alla relazione con la corte spagnola è anche
l’incisone del Martirio di San Lorenzo, dove è interesante
notare la scomparsa di qualsiasi riferimento architettonico
al tempio pagano, che tanta importanza riceve in entrambe
le opere su tela, anche se con funzioni e spazi prospettici
assolutamente differenti. Forse una strategia formale
destinata a evidenziare in modo ancor più significativo
l’effetto di notturno come condizione contestuale
determinante nella lettura dell’opera. La versione su rame,
si distingue anche per l’assenza di qualsiasi riferimento
contestuale alla contemporaneità negli indumenti dei
diversi personaggi che partecipano alla scena, restituendo
l’episodio storico al mondo dell’antica Roma imperiale,
come narrato dalle fonti. Una circostanza che ci permette,
di nuovo, di verificare l’esistenza di una strategia comune
negli interventi grafici di Cort nell’opera di Tiziano, il
cui denominatore comune risiede nella volontà di
semplificazione e, in occasioni come questa, eliminazione
di qualsiasi riferimento a contesti specifici capaci di
interferire nella lettura e interpretazione degli episodi
narrati. In tal senso, e a dimostrazione dell’autonomia
delle opere grafiche rispetto a quelle dipinte, vale la
pena ricordare, quasi come contrappunto finale, il doppio
richiamo al vincolo con la corte spagnola, nelle figure di
Carlo V e Filippo II, ribadito dalle iscrizioni che
alludono alla condizione di Tiziano come cavaliere cesareo
(sulla graticola) e al figura del re spagnolo come invicto
(sul piedistallo della divinità pagana)52. Nel caso caso
dell’ultima stampa di Cort citata nella nostra listra
iniziale, l’Annunciazione53, constatiamo come, pur
mantenendo inalterata la struttura della composizione,si
proceda a introdurre delle varianti sostanziali nella
tensione tra forma e contenuto. Nella forma, con
Tiziano", op. cit. (nota 24), pp. 135-162; M. Mancini, "Los últimos
cuadros del emperador in Yuste", op. cit. (nota 24), pp. 164-165. 52 VAN MANDER 1604, p. 177, C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte, op.
cit. (nota 22), I, p. 202; F. Mauroner, Le incisioni di Tiziano, op.
cit. (nota 22), p. 53, n. 6; H. E. Wethey, The Paintings of Titian. I,
op. cit. (nota 3), p. 139-140, n. 114-115; M. Catelli Isola (a cura
di), Immagini da Tiziano, op. cit. (nota 22), p. 40, n. 29; M. A.
Chiari, Incisioni da Tiziano, op. cit. (nota 47), p. 49, n. 5; F.
Checa Cremades, Tiziano e la Monarquía Hispánica, op. cit. (nota 2),
p. 75; M. Mancini, Tiziano e le corti d'Asburgo nei documenti degli
archivi spagnoli, Venezia 1998, pp. 366-368, n. 246-247; M. Falomir,
"Tiziano: réplicas", in Tiziano, op. cit (nota 5), p. 280, n. 57. 53 G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e
architettori, op. cit. (nota 8), p. 813; C. Ridolfi, Le maraviglie
dell'arte, op. cit. (nota 22), I, p. 205; H. Tietze, E. Tietze-Conrat,
The Drawings of the Venetian Painters in the 15th and 16th Centuries,
New York 1979, p. 316, n. 1905; H. E. Wethey, The Paintings of Titian.
I, op. cit. (nota 3), pp. 71-72, n. 11; M. Catelli Isola (a cura di),
Immagini da Tiziano, op. cit. (nota 22), pp. 37-38, n. 26; M. Mancini,
"Los últimos cuadros del emperador in Yuste", op. cit. (nota 24), pp.
166-168.
15
l’introduzione del paesaggio aperto del fondo, e un abile
uso del chiaroscuro, riesce a stravolgere completamente il
clima apocalittico dell’originale tizianesco, trasformando
la scena in un momento festoso di ortodossa celebrazione
del momento dell’Annuciazione. Ecco allora che non è più
necessario diluire le forme, scomporre i colori, spezzare i
rapporti cromatici, e tutto può essere risolto in un
tripudio di linee perfettamente equilibrate, di panneggi
che giocano con il chiaroscuro e di gesti immortalati da un
equilibrio chiaramente classicista, iniziando dalla figura
dell’Arcangelo Gabriele e dal colonnato che è dietro di
lui. In questa strategia, anche gli elementi che
ambiguamente qualificano il dipinto di San Salvador,
perdono di valore semantico e possono essere o abbandonati
a se stessi, come è il caso del cinto virginale di Maria,
o, altrimenti, riconvertiti in attributi canonici, come
dimostra il bel vaso con il giglio, che sostituisce
l’ambigua pianta sfavillante dell’originale e il suo ancor
più inquietante contenitore54. Forma e contenuto risultano
ormai stravolti a favore di un nuovo e più efficace
criterio di equidistante e ortodossa propagazione
iconografica.
Per quanto riguarda la storia romana o la mitologia
interpretate, evidentemente, in chiave morale, ricordiamo
Tarquinio e Lucrezia55 (fig. 13), Prometeo o Tizio
56, Diana
e Calisto57 (fig. 14). In rapporto a quest’ultimo tema
54 A. Gentili,"Tiziano e la Religione", in Titian 500, a cura di E.
Manca, Atti del Congresso (Washington CASVA-National Gallery of Art
1993), pp. 153-156. 55 J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis Cort, op. cit.
(nota 40), p. 175, nº 193-194, dove si identificano tre stati
d’incisione, poi riproposti anche da M. Sellink, “The Rape of
Lucretia” in The new Hollistein, op. cit (nota 34), part III, nº 191,
pp. 80-83. Si trata di una delle opere la cui traduzione grafica
presenta maggiore fedeltà rispetto al modello del Fitzwilliam Museum,
ma che è drammaticamente differente rispetto alle tensioni e alle
disgregazioni del colore che costituiscono la principale
caratteristica del quadro della Akademie de Bildenden Künste di
Vienna. 56 J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis Cort, op. cit.
(nota 40), p. 178, nº 192, identifica tre stati di stampa e
soprattutto evidenzia la differenza rispetto al modello dipinto nella
posizione del braccio destro e delle gambe (la presenza dei ceppi),
rendendo l’immagine molto più canonica e leggibile rispetto ai
parametri iconografici dell’epoca. Chiaramente da mettere in rapporto
con l’incisione del Sanuto di analogo tema con quella di Martino Rota;
cfr. H. E. Wethey, The Paintings of Titian. III, op. cit. (nota 3),
pp. 159. Viene normalmente datata al 1566 e inclusa tra i fogli
mandati da Tiziano al Lampsonio e da questi commentati; cfr. C.
Fabbro, Tiziano, op. cit. (nota 44), pp. 239-241, nº 180. Rispetto
alle varianti incise vedi anche M. Sellink, “Titius punished in Hell”
in The new Hollistein, op. cit (nota 34), part III, nº 190, pp. 77-79. 57 J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis Cort, op. cit.
(nota 40), p. 159, nº 157, identifica due stati di stampa, il primo
dei quali viene datato al 1566. rispetto al modello di Edimburgo,
16
iconografico è interessante notare due questioni: primo che
non esiste versione incisa dell’altra opera che la
accompagnava nella composizione ideologica e formale,
parliamo chiaramente del Diana e Atteone. Secondo, che –
forse- le ragioni di quell’assenza risiedono proprio
nell’eterodossia che i due quadri di Edimburgo offrono
rispetto alla lettura lineare della funzione del mito
classico. In tal senso non possiamo considerare una
casualità che un’Atteone addomesticato e quindi positivo,
venga rappresentato al centro dell’incisone, sotto le
spoglie di un tranquillo cervo che accompagna la
Diana/scultura che sormonta la fontana. Una presenza,
quella del cervo, della quale non troviamo traccia nemmeno
nella morigerata versione viennese del dipinto (fig. 15).
Inoltre non possiamo dimenticare che la figura del
personaggio principale di un’altra incisione, San Teodoro e
il Drago58, può essere messa in rapporto immediato con
l’Atteone dipinto nella Diana e Atteone59 come già ho
accennato anteriormente. Una posizione, quella del Santo
patrono di Venezia, che risultò essere particolarmente
efficace e suggestiva per rendere quell’idea di sorpresa
con la quale Tiziano volle caratterizzare il protagonista
del suo dipinto, con il fine di sottolinearne l’innocenza
rispetto all’imminente castigo divino. Uno studio di figura
che di fatto anticipa le sperimentazioni sulla
rappresentazioni delle passioni (sorpresa) del naturalismo
Barocco60.
Gli esempi che abbiamo trattato evidenziano in maniera
estremamente chiara che la funzione di diffusione svolta
dalle stampe del Cort voleva perpetrare, sotto la direzione
ideologica di Tiziano –che, tra l’altro era assolutamente
entusiasta delle opere del fiammingo come conferma la già
citata lettera del Lampsonio-, l’idea di opere fortemente
l’incisione risulta essere più prossima alla versione del dipinto
conservata a Vienna con un chiaro intento di ricondurre nell’ambito
della leggibilità iconografica l’insieme delle ambigue allusioni che
offre la prima versione dipinta. In tal senso è interessante notare
come, per la propria natura del supporto grafico, i vincoli con
l’influenza dei modelli tratti dal Caraglio -indicati in precedenza-
si rivelino ancor più chiari. Un ultima notazione la merita la
rappresentazione della scultura di Diana che occupa il centro della
fontana, dove il chiaroscuro persegue l’obiettivo di restituire alla
scultura un’intensità classicista, assolutamente aliena a ambedue le
versioni dipinte. Interessante anche il repertorio di versioni
pubblicato da M. Sellink, “Diana discover Callisto’s pregnacy” in The
new Hollistein, op. cit (nota 34), part III, nº 189, pp. 75-76. 58 M. A. Chiari, Incisioni da Tiziano, op. cit. (nota 47), p. 64, nº
27. 59 H. Tietze, E. Tietze-Conrat, The Drawings of the Venetian Painters,
op. cit. (nota 56), nº 2013. 60 Sulle questioni delle espressioni dei sentimenti rimando a I. Lavin,
“Bernini’s Portraits of No-Body” in Il ritratto e la Memoria.
Materiali 3, a cura di A. Gentili, P. Morel, C. Cieri Via, Roma 1993,
pp. 161-194.
17
marcate dal classicismo, e nelle quali la funzione della
linea nella sua relazione colorista con il chiaroscuro,
aveva l’unica finalità di sottolinearne proprio il
classicismo. Allo stesso tempo, questa strategia
linguistica perseguiva l’obiettivo di ridurre –e quasi
annullare- gli aspetti più controversi degli originali
tizianeschi, creando prototipi piacevoli alla vista e
spendibili in qualisiasi contesto, come il nome del loro
autore. Lo conferma, tra l’altro, il fatto che fu lo stesso
Tiziano a diffondere quei fogli tra i suoi principali
committenti61. Infine, quegli stessi prototipi si potevano
rivelare eccezionali modelli e fonti d’ispirazione per la
realizzazione di copie e versioni autonome da parte di
altri artisti come effettivamente dimostrò il Seicento
europeo62. Ecco allora che l’insieme di questioni che
abbiamo appena elencato, si offrono come una risposta
scientificamente solvente al ragionevole stupore del
Mauroner al constatare l’entusismo di Tiziano di fronte a
copie “prive di quella grandiosità che è il carattere
precipuo dell’opera tizianesca”63.
IV. Non si tratta di un caso isolato e limitato alla
relazione con Cort, caratteristiche simili le troviamo in
alcune delle incisioni di Martino Rota64, come Il Cristo
della Moneta65, Tizio
66 (fig. 16) o San Pietro Martire
67
(fig. 17); ma anche nelle opere firmate dal bolognese
Giulio Bonasone68, le cui riproduzioni vengono ampiamente
61 Ne è esempio la lettera mandata a Margherita d’Austria nel giugno
del 1567; cfr. C. Fabbro, Tiziano, op. cit. (nota 44), p. 245-246, nº
184, o quella a Filippo II del agosto 1571, cfr. M. Mancini, Tiziano e
le corti d'Asburgo, op. cit. (nota 55), p. 366-367, nº 246. 62 Su questo argomento sono di gran interesse gli scritti complementari
di T. Pignatti, "Abbozzi e ricordi: New Observation on Titian's
Technique, in Titian 500, op. cit. (nota 57), pp. 73-83; W. R.
Rearick, "Titian Later Mytologies", in Artibus et Historiae, nº XVII
(37) 1996, pp. 23-67. 63 F. Mauroner, Le incisioni di Tiziano, op. cit. (nota 22), p. 23. 64 Sulla collaborazione con Martino Rota, cfr. M. A. Chiari, "Sulle
incisioni di Tiziano dal Cinquecento all'Ottocento", op. cit. (nota
36), pp. 331-332. 65 M. Catelli Isola (a cura di), Immagini da Tiziano, op. cit. (nota
22), pp. 51-52, nº 71. 66 J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis Cort, op. cit.
(nota 40), p. 174, nº 159, si tratta di una versione in controparte
dello stesso modello iconografico di Cort, realizzato verso il 1570
durante l’assenza del fiammingo da Venezia. In questo caso ci
interesssa segnalare che alla riduzione qualitativa dell’opera, non
corrisponde l’introduzione di alcuna variante significativa
confermando in tal modo la coerenza della strategia ideologica/formale
rappresentata dalle incisioni del Cort. 67 The Ilustrated Bartsch, USA 1980, vol. XVI, p. 256, nº 19; D.
Rosand, Tiziano, op. cit. (nota 32), p. 20; M. Bury, "Printmaking in
Age of Titian", op. cit., (nota 10), p. 306, nº 147. 68 A. Petrucci,"Bonasone Giulio", in Dizionario Biografico degli
Italiani, Roma 1962, vol. 11, pp. 591-595; S. Massari, Giulio
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lodate dal Vasari69. Per quanto riguarda il primo, Rota, ci
limitiamo a ricordare l’immediato e strepitoso successo del
San Pietro Martire, che venne definito da Vasari come
l’opera “la quale è la più compiuta, la più celebrata e la
maggiore e meglio intesa e condotta che altra la quale in
tutta la sua vita Tiziano abbia fatto ancor mai”70. Una
serie di elogi che sono rimasti costanti nella storiografia
artistica, con l’unica eccezione delle parole spese dal
padre Sigüenza, che al rifersi alla copia del quadro
conservata presso il monastero di San Lorenzo de El
Escorial, si soffermava sulla perdita di decoro del quadro
dovuta al gesto del santo di difendersi dal martirio e
dall’eccessiva trasposizione colorista che Tiziano aveva
raggiunto nella descrizione dei sentimenti e delle passioni
rappresentati proprio attraverso quel gesto71. Un dipinto
rispetto al quale, la funzione delle copie, ma anche e
soprattuto di quest’incisione di Martino Rota, svolgono una
funzione assolutamente essenziale nel completare le
numerose descrizioni ecfrastiche dello stesso,
proporzionando un punto di riferimento grafico essenziale.
Nonostante ciò, non dobbiamo perdere di vista alcune
questioni nel giudicare il rapporto tra la pittura e la sua
trasposizione grafica. In primo luogo il fatto che,
rispetto alla relazione con Cort, quella con Rota
rappresenta un episodio marginale nella traiettoria di
Tiziano e quindi non possiamo calibrare con certezza il
grado d’intervento del maestro rispetto ai prototipi
dipinti; una circostanza alla quale bisogna aggiungere che
il Il martirio di San Pietro Martire era opera molto
conosciuta ed esposta al pubblico da almeno trent’anni
rispetto alla data nella quale se ne realizzó questa
versione a stampa, e, infine che la stessa cartella che ne
attribuisce l’invenzione a Tiziano, sembra dar fede di tale
distanza cronologica. Infine, una lettura attenta della
struttura compositiva della stampa di Rota rivela i debiti
rispetto al modello dipinto del quale quest’opera,
probabilmente, vuole essere una riproduzione molto più
fedele rispetto ai processi creativi promossi e realizzati
da Cort. In tal senso dobbiamo leggere il fatto che si
rinuncia alla squadratura del campo d’incisione,
riproducendo il formato pala d’altare, che,
inevitabilmente, lascia uno spazio bianco, corrispondente
Bonasone, Catalogo della Mostra, Roma 1983, part. pp. 99-100, nº 131;
M. Cirillo Archer, "Giulio Bonasone", in The Ilustrated Bartsch, USA
1995, 28, vol. 15, pp. 217-221. 69 G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e
architettori, op. cit. (nota 8), pp. 308, in particolare ricorda il
Tantalo e Venere e Adone. 70 G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e
architettori, op. cit. (nota 8), p. 810. 71 J. de Sigüenza La fundación del Monasterio de El Escorial, Madrid
1988, [1605], pp. 372-373.
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alla cimasa della pala, improprio di opere d’invenzione
come quelle del Cort. Anche nella struttura semantica
dell’opera assistiamo alla materializzazione di riferimenti
alla contemporaneità, assenti in altre occasioni, primo tra
tutti l’abbigliamento del carnefice. Un’insieme di
circostanze che se da una parte rivalidano l’indipendenza
di Rota rispetto a Tiziano, dall’altra ne sottolineano la
distanza nei processi creativi e nelle strategie di
diffusione e che, infine, proprio per queste stesse
ragioni, ci possono restituire un’immagine grafica
dell’opera molto più fedele rispetto a quelle diffuse da
Cort, stampatore ufficiale e cum privilegio di Tiziano. Un
immagine che di fatto appare assai distante dai parametri
secondo i quali, attualmente, si valuta il concetto di non
finito in Tiziano e che se, correlata dal positivo giudizio
di Vasari, ma anche dalla natura di quello negativo di
Sigüenza, ci permette di concludere distinguendo la pala
dei Santi Giovanni e Paolo, come un modello formale che
anticipa, in termini canonici, le ragioni semantiche del
non finito.
Per quanto riguarda Bonasone ci interessa centrare la
nostra attenzione nelle versioni a stampa della Deposizione
nel Sepolcro72 (figg. 18-19) del Museo del Prado e della
Crocifissione73 (figg. 20-21) del Monastero di San Lorenzo
de El Escorial. In entrambi i casi si tratta di opere
fortemente vincolate all’intervento esecutivo della
bottega74 (e per questo tanto importanti nel contesto
dell’ultima produzione del pittore e del suo non finito).
Una bottega declinata nell’indefinizione propria della
prima tela75, o nella strategica attribuzione del quadretto
ai pennelli di Orazio76. L’aspetto di maggiore interesse lo
troviamo nella perfetta sincronia formale tra i disegni
attribuiti a Bonasone77, le incisioni da essi derivate e le
72 M. Catelli Isola (a cura di), Immagini da Tiziano, op. cit. (nota
22), pp. 32-33, nº8. 73 G. Fiocco, "A small portable panel by Titian for Philip II", in The
Burlington Magazine, nº 643 (1956), pp. 343-348; J. Milicua,"A
proposito del pequeño crucifijo ticianesco del Escorial", in Archivo
Español de Arte,nº 118, XX (1957), pp. 115-123; M. Catelli Isola (a
cura di), Immagini da Tiziano, op. cit. (nota 22), p. 32, nº7; B.
Bassegoda, El Escorial como Museo, Barcelona 2002, p. 161, n. CP1; C.
García Frías, “Cristus am Kreuz” in Dar späte Titian, op. cit. (nota
41), nº 3.8, pp. 309-311. 74 Lo stato attuale degli studi sulla Bottega in Studi Tizianeschi, nº
4, 2006, ma anche in Tiziano l’ultimo atto a cura di L. Puppi,
Catalogo della Mostra, Milano 2007. 75 Riguardo alle due versión vedi A. Gentili, "Tiziano e la Religione",
in Titian 500, op. cit. (nota 57), pp. 147-154. 76 F. Checa Cremades, Tiziano e la Monarquía Hispánica, cit. (nota 2),
p. 275, nº 56. 77 T. Ketlesen, "A drawing for Giulio Bonasone's print after Titian's
Entombment", in The Burlington Magazine,vol. CXXXVIII, nº 1120, luglio
1996, pp. 446-453.
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corrispondenti versioni tiziasche in pittura, come se vi
fosse un riferimento comune tra quanto prodotto nella
bottega e l’attività degli incisori, in questo caso
Bonasone. In tal senso spicca la straordinaria
corrispondenza tra la Crocifissione dipinta e quella
incisa, nella disposizione dei personaggi, nella
qualificazione dei loro attributi, nella costruzione delle
relazioni spaziali tra lo sfondo, il primo piano e le
figure. Un processo equivalente lo abbiamo potuto
verificare anche nel rapporto tra le due versioni dipinte
della Deposizione nel Sepolcro, attraverso gli studi
specifici che le sono stati realizzati di recente78. Un
processo affatto nuovo nella pratica di bottega di Tiziano
di quegli anni, come dimostrano il proliferare di varianti
e versioni similari di analoghi soggetti iconografici79, la
cui costante comune si individua in una progressiva perdita
di valore semantico, direttamente proporzionale alla
distanza dal modello originale. Un aspetto che possiamo
considerare come parte essenziale dei meccanismi di
adeguamento da parte della bottega e della sua produzione
alle necessità di un pubblico generico. In questo senso,
ricordiamo le preferenze espresse, per esempio, dal
Marchese di Ayamonte verso la prima maniera del maestro o
il disinteresse di Antonio Pérez in relazione al contenuto
figurativo delle opere a lui destinate80. E’ in tale
contesto che la semplicità formale e l’assenza di
complicazioni semantiche, presenti anche nelle altre opere
di Bonasone, come L’orazione nell’orto (fig. 22), La fuga
in Egitto, La Sacra Famiglia, si trasformano in veri e
propri meccanismi di supporto a un ghigno sempre più
classicista verso i trionfanti modelli formali tosco-
romani.
La conclusione spetta a una delle opere grafiche che
maggior interesse ha destato negli studi tizianeschi e che
ben corrisponde all’Annunciazione di Caraglio da dove siamo
partiti. Parliamo, evidentemente, della già citata versione
a stampa della Religione soccorsa dalla Spagna81 di Giulio
Fontana82 (figg. 23-24). Le varianti che differenziano le
versioni dipinte dall’incisione, non modificano la
struttura spaziale della composizione, ma servono per
evidenziarne le caratteristiche interpretative di maggiore
78 M. Falomir, "Tiziano: réplicas", in Tiziano, op. cit (nota 5), pp.
260-263, nº 47-48. 79 M. Falomir, "Tiziano: réplicas" op. cit. (nota 5), pp. 77-91. 80 M. Mancini, Tiziano e le corti d'Asburgo, op. cit. (nota 55), pp.
99-109. 81 F. Mauroner, Le incisioni di Tiziano, op. cit. (nota 22), p. 57, nº
2; M. Catelli Isola (a cura di), Immagini da Tiziano, op. cit. (nota
22), pp. 49-50, nº59. 82 Su Fontana vedi H. Ecomonopulos, "Giovanni Battista Fontana", in
Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 1997,vol. 41, pp. 677-681,
su Giulio in part. p. 679.
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rilievo, come segnalava Panofsky83. In particolare ci
interessa sottolinare come l’identificazione del
personaggio che accompagna la Minerva/Bellona
dell’incisione, l’Allegoria della Pace, risponda
perfettamente ai criteri di diffusione e normalizzazione
anteriormente esposti. Ci riferiamo specificamente alla
riduzione semantica che viene adottata da Fontana,
attraverso la rinuncia all’insieme di sfumature
iconologiche che Tiziano aveva organizzato nella figure
allegoriche della Giustizia e dell’Allegoria della Spagna
come incarnazione della Fortezza84 nella lotta contro
l’eresia. In tal senso possiamo interpretare riferimenti
iconologici espliciti come il calice riverso nel suolo,
l’introduzione dell’infedele al centro del mare e il gesto
della Giustizia di alzare “la spada della scomunica [che] è
il nervo della disciplina eclesiástica”85. Un sistema
linguistico perfettamente coerente con una lettura
contestuale, che si faceva interprete delle necessità
ideologico-rappresentative di Filippo II, ma assolutamente
inefficace rispetto alla difusione del modello a stampa di
un tema allegorico più generico. In questo caso, però,
l’aspetto di maggiore interesse risiede nel fatto che,
malgrado l’incisione circolasse almeno dal 1566-1569,
ragionevolmente le cronologie dell’intervento di
modificazione della struttura compositiva devono essere
posteriori. Lo descrive la citazione vasariana riferita al
83 E. Panofsky, Tiziano, op, cit. (nota 15), pp. 187-190. 84 Ripa parla per la Fortezza di “Donna armata, et vestita di color
lionato, il quale colore significa fortezza, per essere somigliante a
quello del Leone; havera il corpo largo, la statura dritta, l’ossa
grandi, il petto carnoso, il color de la faccia fosco, i capella ricci
e duri, l’occhio lucido, non molto aperto, nella mano destra terrà un
asta, con un ramo di rovere, et nel braccio sinistro uno scudo in
mezzo al quale vi sia dipinto un leone che s’azzuffi con un cinghiale
[…]. Si fa donna armata con ramo di rovere in mano perché l’armatura
mostra la forza del corpo, et la rovere quello dell’animo, per
resitere quella delle spade et altre armi materiali, et questa la
soffiar de’ venti aerei et spirituali, che sono i vitii et difetti che
ci stimpolano, a declinar de la virtù […]. Il color della veste simile
alla pelle del leone, mosta come deve mostrarse l’impresa all’uomo,
come il leone che da se stesso a cose grande s’espone e le vili con
animo sdegnoso aborrisce. Forte si dice Hercole nelle favole de’
poeti, et molt’altri in diversi louoghi, c’han combattuto, et vinto i
leoni. L’hasta significa, che non solo si deve oprar forza in
ribattere i danni, che possono venire da altri, come si mostra con
l’armatura di dosso, e col scudo, ma anco reprimendo la superbia, et
l’arroganza altrui con le propie forze. L’hasta nota maggioranza e
signoria, la quale viene facilemente acquistata per mezzo della
fortezza. I segni di Fisonomía son tratti da Aristotile per non mancar
di diligenza in que che si può fare à proposito” cfr. C. Ripa,
Iconologia, edizione a cura di P. Bruscaroli, Milano 1992 [1593], pp.
142-144. 85 Cfr. P. Sarpi, Istoria del Concilio Tridentino,a cura di C. Vivanti,
Torino 1974, p. 1247.
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156686 e lo ribadisce la proposta di Checa riguardo alla
lettura radiografica, dove si identifica nel disegno
subgiacente il modello destinato a Massimiliano II87.
Un episodio che conferma il controllo ideologico da
parte di Tiziano della produzione grafica, nei termini che
abbiamo definito nel percorso di questo testo, ma
soprattutto indica la possibilità, rispetto ai modelli
grafici, di un reintervento pittorico posteriore
dell’artista, marcato da scelte linguistiche e ideologiche
ben precise e destinate a risolvere la lettura del rapporto
forma/contenuto in relazione alle necessità storico-
contestuali del committente, come conferma il non finito -
perfettamente finito- della Spagna soccorrendo la
Religione88.
86 G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e
architettori, op. cit. (nota 8), p. 817 “Cominciò anco, molti anni
sono, per Alfonso Primo duca di Ferrara, un quadro d’una giovane
ignuda che s’inchina a Minerva, con un’altra figura a canto, et un
mare, dove nel lontano è un Nettunno in mezzo sopra il suo carro: ma
per la morte di quel signore, per cui si faceva quest’opera a suo
capriccio, non fu finita e si rimase a Tiziano”. 87 F. Checa Cremades, "Ultimi studi su diverse pitture di Tiziano del
Museo del Prado", op. cit. (nota 39), p. 122; successivamente ripreso
in M. Falomir, "Tiziano: réplicas" op. cit. (nota 5), pp. 290-291, nº
62. 88 Una circostanza che meriterebbe un ulteriore approfondimento,
soprattutto in rapporto, alla complesso processo di circolazione delle
copie/versioni/varianti di molti dipinti usciti dalla bottega di
Tiziano, a partire dagli anni cinquanta, le cui cronologie, vengono
spesso stabilite in rapporto ai modelli grafici.