I poteri di indirizzo e controllo del Governo sulle attività internazionali delle regioni

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ARTICOLI I poteri di indirizzo e controllo del Governo sulle attività internazionali delle Regioni di DONATO MESSINEO Sommario: 1. Considerazioni introduttive. - 2. Le iniziali chiusure dottrinali e giurispru- denziali nei confronti dell’attività internazionale delle Regioni. - 3. (segue): ... ed il gra- duale superamento: il (cauto) riconoscimento legislativo ad opera del d.P.R. n. 616 del 1977. - 4. La distinzione tra attività promozionali e attività di mero rilievo internazionale e la sua precoce crisi: Corte cost. n. 179 del 1987 versus Corte cost. n. 256 del 1989. - 5. Il difficile rapporto tra la riserva statale in tema di politica estera e la funzione di rappresentanza generale assolta dalla Regione: indicazioni di metodo. - 6. L’esame della normativa vigente ed il significato sistematico del riconoscimento costituzionale del potere estero delle Regioni. - 7. L’art. 6 della legge La Loggia al vaglio della Corte costituzionale. Profili problematici dei ricorsi regionali. - 8. L’elencazione tassativa degli accordi che le Regioni possono stipulare. - 9. (segue): ... ed i germi del suo supera- mento. - 10. L’intervento del Governo nel corso dei negoziati regionali e la sua pro- blematica sindacabilità. - 11. Conclusioni. L’interpretazione adeguatrice dell’art. 6 della legge La Loggia. 1. Considerazioni introduttive L’esame dei poteri di indirizzo e controllo del Governo sulle at- tività internazionali delle Regioni impone di richiamare l’evoluzione che in Italia ha portato, nel 2001, ad un riconoscimento costituzio- nale del loro c.d. «potere estero» da parte del nuovo art. 117, comma 9, Cost., ai cui sensi «nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato». Deve peraltro accennarsi che tale riconoscimento è stato circon- dato, già a livello testuale, da cautele ed elementi contraddittori, e le ambiguità non sono state superate dall’attuazione legislativa ad opera dell’art. 6, l. n. 131 del 2003 (c.d. «legge La Loggia»): invero, tale normativa ha posto ulteriori problemi interpretativi 1 . Del resto, alla 1 V. infra parr. 6 s. Sul profilo, cfr., sin d’ora, F. PALERMO, Il potere estero delle LE REGIONI / a. XXXIX, n. 1, febbraio 2011

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ARTICOLI

I poteri di indirizzo e controllo del Governo sulle attività internazionali delle Regioni

di DONATO MESSINEO

Sommario: 1. Considerazioni introduttive. - 2. Le iniziali chiusure dottrinali e giurispru-denziali nei confronti dell’attività internazionale delle Regioni. - 3. (segue): ... ed il gra-duale superamento: il (cauto) riconoscimento legislativo ad opera del d.P.R. n. 616 del 1977. - 4. La distinzione tra attività promozionali e attività di mero rilievo internazionale e la sua precoce crisi: Corte cost. n. 179 del 1987 versus Corte cost. n. 256 del 1989. - 5. Il difficile rapporto tra la riserva statale in tema di politica estera e la funzione di rappresentanza generale assolta dalla Regione: indicazioni di metodo. - 6. L’esame della normativa vigente ed il significato sistematico del riconoscimento costituzionale del potere estero delle Regioni. - 7. L’art. 6 della legge La Loggia al vaglio della Corte costituzionale. Profili problematici dei ricorsi regionali. - 8. L’elencazione tassativa degli accordi che le Regioni possono stipulare. - 9. (segue): ... ed i germi del suo supera-mento. - 10. L’intervento del Governo nel corso dei negoziati regionali e la sua pro-blematica sindacabilità. - 11. Conclusioni. L’interpretazione adeguatrice dell’art. 6 della legge La Loggia.

1. Considerazioni introduttive

L’esame dei poteri di indirizzo e controllo del Governo sulle at-tività internazionali delle Regioni impone di richiamare l’evoluzione che in Italia ha portato, nel 2001, ad un riconoscimento costituzio-nale del loro c.d. «potere estero» da parte del nuovo art. 117, comma 9, Cost., ai cui sensi «nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato».

Deve peraltro accennarsi che tale riconoscimento è stato circon-dato, già a livello testuale, da cautele ed elementi contraddittori, e le ambiguità non sono state superate dall’attuazione legislativa ad opera dell’art. 6, l. n. 131 del 2003 (c.d. «legge La Loggia»): invero, tale normativa ha posto ulteriori problemi interpretativi1. Del resto, alla

1 V. infra parr. 6 s. Sul profilo, cfr., sin d’ora, F. PALERMO, Il potere estero delle

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persistente mancanza di chiarezza circa i confini del potere estero regionale sembrano avere contribuito taluni orientamenti della giuri-sprudenza costituzionale, che risulta difficile riportare a sistema2. Le incertezze legate all’attuale assetto dei rapporti tra Stato e Regioni inducono, dunque, ad assumere una prospettiva critica nei confronti della vigente disciplina dei raccordi internazionali, sulla cui base si è affermata una prassi governativa della cui legittimità costituzionale può dubitarsi3.

In particolare, la legislazione attuativa dell’art. 117, comma 9, Cost. e la giurisprudenza costituzionale che vi ha fatto seguito sem-brano aver costretto l’attività internazionale delle Regioni entro una cornice estremamente riduttiva, in una linea di sostanziale continu-ità rispetto alla situazione antecedente al 2001. Così, non si è finora rea lizzata la previsione relativa al riconoscimento di una «personalità internazionale alle Regioni» come possibile «epilogo di un lento ma inarrestabile processo di coinvolgimento delle Regioni nella sfera del potere estero», formulata quasi 30 anni fa4.

Richiamare quel pronostico mette certo in luce le aporie della si-tuazione attuale, poiché esso era riferito ad una disciplina costituzio-nale che non prendeva nemmeno in considerazione eventuali attività internazionali delle Regioni.

Eppure, se allora «i tempi non sembra[va]no maturi per l’accogli-mento di una tesi così avanzata»5, ciò non si doveva al disegno costi-tuzionale. È vero che la Carta fondamentale regolava soltanto le rela-zioni internazionali dello Stato, sull’implicito presupposto che questo

Regioni, in La Repubblica delle autonomie, a cura di T. GROPPI e M. OLIVETTI, To-rino 2003, 167; A. RUGGERI, Note minime, «a prima lettura» a margine del disegno di legge «La Loggia», in Il «nuovo» ordinamento regionale. Competenze e diritti, a cura di S. GAMBINO, Milano 2003, 199-205; M. BUQUICCHIO, La «nuova» disciplina delle intese delle Regioni con enti territoriali esteri, in ID. (a cura di), Studi sui rap-porti internazionali e comunitari delle Regioni, Bari 2004, 192 ss.; F. COVINO, Art. 117, 9° co., in Commentario alla Costituzione, a cura di R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI, III, Torino 2006, 2328 ss.; O. SPATARO, Il potere estero delle Regioni nel nuovo Titolo V della Costituzione. Impostazioni teoriche e problemi attuativi, in www.federalismi.it, 2007, 6; M.R. ALLEGRI, Cooperazione transnazionale tra enti sub-statuali: dalla Convenzione di Madrid al GECT, in questa Rivista 2009, 224 ss.

2 V. infra parr. 7 ss.3 V. infra par. 10.4 In questi termini, M. FUMAGALLI MERAVIGLIA, La collaborazione tra Stato e

Regioni in materia di rapporti internazionali, in Autonomia regionale e relazioni inter-nazionali, a cura di G. BISCOTTINI, Milano 1982, 27.

5 Ancora M. FUMAGALLI MERAVIGLIA, La collaborazione cit., 27.

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fosse il titolare esclusivo del potere di stipulare accordi6. Tuttavia, si riteneva possibile una lettura evolutiva della Costituzione: col tempo si sarebbe potuto prendere atto della maturazione delle autonomie regionali, sino a legittimare proiezioni esterne degli indirizzi politici locali, e riconoscere rilevanza a nuove e più partecipate dinamiche di esercizio della sovranità nel campo della politica estera.

L’affermazione di una soggettività internazionale delle Regioni pareva ostacolata più che altro dal modello individuato dalle dispo-sizioni legislative e regolamentari del tempo, che riservavano al Go-verno un controllo preventivo assai penetrante sulle iniziative inter-nazionali delle Regioni, recependo l’«indirizzo giurisprudenziale della Corte costituzionale»7, arroccata su posizioni segnate dalla più in-tensa salvaguardia dei poteri centrali8.

Del resto – sempre nella vigenza dell’originario Titolo V – vi era stato persino chi aveva reputato costituzionalmente necessario il coin-volgimento delle Regioni nelle relazioni internazionali9.

Si perveniva a tale conclusione attraverso un ragionamento fon-dato, sia pure implicitamente, sul generale canone di proporziona-lità. La ricostruzione prendeva le mosse dalla ratio dell’esclusiva at-tribuzione allo Stato della soggettività internazionale, ritenendo che questa fosse da ravvisare nelle «garanzie che solo lo Stato unitaria-mente considerato è in grado di offrire... sul piano della coerenza e non contraddittorietà degli orientamenti di politica estera». Da ciò si deduceva che lo Stato medesimo avrebbe potuto (e dovuto) «farsi garante...» degli «accordi con soggetti esteri, compresi appunto gli Stati, stipulati da altri soggetti del proprio ordinamento interno». Ed infatti, «esistendo... in concreto la soluzione che, attraverso la garan-

6 A tale proposito, si ricordi che G. BISCOTTINI, Rapporti fra Stato e Regioni in materia internazionale, in Autonomia regionale e relazioni internazionali cit., 2, nel presentare i risultati della ricerca da lui diretta, esordiva appunto rilevando come «la mancanza di personalità internazionale da parte delle Regioni» fosse un «dato... mai... messo in discussione», che «trova[va] letterale conferma nelle norme costi-tuzionali, che, da una parte, affermano l’unità dello Stato (art. 5) e, dall’altra, nel trattare della competenza a concludere impegni internazionali, considerano esclusi-vamente l’ipotesi della loro assunzione da parte dello Stato-persona».

7 M. FUMAGALLI MERAVIGLIA, op. loc. cit.8 Come si vedrà nei paragrafi seguenti, la Corte configurava le attività interna-

zionali delle Regioni come oggetto di una delega da parte dello Stato, in deroga al regime costituzionale delle competenze.

9 Era questa la tesi di A. AZZENA, Competenze regionali nei rapporti internazio-nali e accordi fra Regioni a statuto speciale ed enti autonomi territoriali esteri, in que-sta Rivista 1983, 1148 s., donde le citazioni di seguito riportate nel testo.

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zia prestata dallo Stato, consente alle Regioni di esercitare le proprie competenze anche in sede internazionale, questi violerebbe la Costi-tuzione, limitando la competenza regionale al di là dei limiti che ri-sultano da questa imposti, ove non facesse quanto gli è dato di fare per consentire che detta competenza si esplichi pienamente». In altre parole, un generale divieto per le Regioni di stringere contatti con soggetti esteri sarebbe stato un mezzo eccessivo rispetto allo scopo.

Le tesi ricordate, al di là dei loro specifici oggetti, suggeriscono un’ipotesi di lavoro. Esse inducono a valutare problematicamente gli interventi normativi, gli arresti giurisprudenziali e le posizioni dottri-nali che ancora oggi oppongono all’espansione delle autonomie nella dimensione internazionale molti degli ostacoli avanzati in passato (e appresso richiamati), che già 30 anni fa potevano apparire eccessivi ed anacronistici.

Il valore di rottura assunto dal riconoscimento costituzionale del potere estero delle Regioni operato nel 2001 dovrebbe impedire di riempire l’art. 117, comma 9, Cost. di significati desunti dalla pre-gressa esperienza, verso la quale è stata spesso manifestata insoddi-sfazione10.

2. Le iniziali chiusure dottrinali e giurisprudenziali nei confronti dell’attività internazionale delle Regioni

È noto che la Costituzione del 1948, nell’introdurre la Regione quale ente territoriale dotato di autonomia politica, non ne aveva preso in considerazione una possibile proiezione internazionale: anzi, il limite degli obblighi internazionali era una sorta di clausola di chiusura anche nelle materie che gli statuti speciali assegnavano alle rispettive Regioni. La circostanza avvalorava l’idea che lo Stato godesse di competenza esclusiva in tema di relazioni internazionali, attesa l’espressa elencazione delle materie regionali da parte del pre-vigente Titolo V, e la configurazione dello Stato medesimo quale ente a competenza generale11.

10 In generale, per l’invito a non riassorbire sistematicamente le novità appor-tate dalla l. cost. n. 3 del 2001, G. FALCON, Modello e transizione nel nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione, in questa Rivista 2001, 1248.

11 Per la considerazione degli «affari esteri» come «materia» di esclusiva compe-tenza statale, A. LA PERGOLA, Esecuzione degli obblighi internazionali e competenza del legislatore regionale (1960), vedilo in ID., Tecniche costituzionali e problemi delle autonomie «garantite», Padova 1987, 56 ss. Originariamente, il problema era affron-

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Nelle esperienze federali e regionali la tecnica di riparto delle competenze tra centro e periferia tende ad assumere un rilievo più ampio, sino ad offrire indicazioni sistematiche per la lettura dei rap-porti tra i vari enti territoriali, e la definizione dei rispettivi ruoli12. Così, l’omessa indicazione da parte della Costituzione di profili esteri dell’azione regionale era considerata indizio di una riserva statale in tema di politica estera, quand’anche «presupposta e non esplicitata»13. In questo senso, del resto, poteva deporre pure la tra-dizionale presenza nel solo apparato statale di strutture burocratiche e diplomatiche precipuamente destinate alla cura degli affari esteri14.

Ponendo l’accento sul collegamento tra l’assunzione di obblighi internazionali ed i poteri necessari per il loro adempimento si giun-geva alla conclusione che «valendosi dell’esclusiva capacità di stipu-lare trattati internazionali, il potere centrale» avrebbe potuto «sot-trarre ai legislatori locali parte delle loro competenze in via definitiva o, più precisamente, fin tanto che duri il trattato mediatamente inva-sivo delle competenze stesse»15.

A ben vedere, la tesi ora richiamata, c.d. delle «competenze con-nesse», dava luogo a una sorta di «corto circuito» concettuale. Da una parte, infatti, si ammetteva l’intervento dello Stato in materie regionali, laddove questo fosse necessario per soddisfare gli obbli-ghi internazionali; dall’altra parte, però, il riconoscimento esclusivo

tato con riferimento all’esecuzione dei trattati nel diritto interno; che il solo Stato potesse obbligarsi in diritto internazionale costituiva, subito dopo l’entrata in vigore della Costituzione, un presupposto largamente condiviso e che non richiedeva di-mostrazioni: cfr., per tutti, L. PALADIN, Sulle competenze connesse dello Stato e delle Regioni, in Riv. trim. dir. pubbl. 1959, 431 ss., partic. 455 ss.

12 «Il rapporto regola-eccezione proietta la sua immagine oltre gli specifici campi di esperienza ai quali di volta in volta si applica e diviene, appunto, espressivo di un criterio metodico di interpretazione-ricostruzione dell’intero quadro costituzio-nale»: così è stato notato, seppure in un contesto in parte diverso, da A. RUGGERI, Riforma del Titolo V e «potere estero» delle Regioni (notazioni di ordine metodico-ri-costruttivo), in Dir. soc. 2003, 8, corsivo testuale. In senso analogo, sulla possibilità di «individuare in via induttiva, dall’analisi delle competenze legislative, qual è il ruolo dei diversi livelli di governo», sia pure «integrando tale quadro con le norme sui poteri sostitutivi che rimangono in capo allo Stato», A. CHIAPPETTI, Profili costitu-zionali del potere estero delle Regioni, in Studi sui rapporti internazionali e comunitari delle Regioni cit., 15.

13 Cfr. M. OLIVETTI, Il potere estero delle Regioni, in prospettiva comparata, in Scritti in memoria di Livio Paladin, III, Napoli 2004, 1425.

14 Spunti, in tal senso, in S. BARTOLE, Atti e fatti (di rilevanza internazionale) nei conflitti di attribuzioni fra Stato e Regioni, in Giur. cost. 1975, 3128.

15 L. PALADIN, Sulle competenze connesse cit., 456.

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allo Stato della capacità di assumere impegni internazionali era, a sua volta, ricollegato al «principio di effettività», considerandosi «legittimato ad assumere i detti impegni chi si trova[va] effettiva-mente in grado di porre in essere gli atti interni necessari a darvi esecuzione»16. Sembra, allora, che le due proposizioni fondamentali nelle quali si articolava la teoria delle competenze connesse finissero per sostenersi l’una sull’altra, restando entrambe indimostrate.

Ad ogni modo, anche la giurisprudenza costituzionale ha mani-festato a lungo una netta chiusura nei confronti delle attività inter-nazionali delle Regioni. Tale atteggiamento si fondava su due as-siomi, sia pur collegati, tratti dalla dogmatica internazionalistica, os-sia l’esclusiva spettanza della soggettività internazionale in capo allo Stato e la sussistenza solo in capo allo Stato medesimo della respon-sabilità internazionale per l’adempimento degli obblighi assunti: su tali presupposti la Corte in varie occasioni ha negato alle Regioni un ruolo sul piano internazionale, sia per quanto concerneva la stipula di accordi con enti esteri, sia con riferimento all’esecuzione degli ob-blighi internazionali17.

A favore della soluzione indicata dalla Corte, la dottrina ha ad-dotto via via ulteriori argomenti. Così, è stato osservato che il citato

16 Secondo l’espressione di G. BISCOTTINI, Rapporti fra Stato e Regioni cit., 2.17 Cfr. Corte cost. n. 49 del 1963, in cui il giudice delle leggi ha riconosciuto

il rilievo sistematico del limite degli obblighi internazionali, gravante sulla potestà piena ed esclusiva delle Regioni speciali: «poiché soltanto lo Stato è soggetto nell’or-dinamento internazionale e ad esso vengono imputati giuridicamente in tale ordina-mento gli atti normativi posti in essere dalle Regioni, non può dubitarsi della ille-gittimità degli atti da queste compiuti senza l’osservanza delle regole prescritte», n. 2 Cons. dir.; Corte cost. n. 21 del 1968, ove è stata richiamata l’esclusiva spettanza del potere estero allo Stato al fine di escludere i diritti di sfruttamento economico a suo tempo vantati dalle Regioni Sicilia e Sardegna sulla piattaforma continentale: per la Corte, infatti, «per potersi sostenere che... [tale diritto] sia stato trasferito alle Regioni ricorrenti, dovrebbe affermarsi che si possa ritenere passata ad esse anche la competenza a determinarne il limite, vale a dire la competenza a fissare l’ambito della sfera dello Stato con effetti nell’ordinamento internazionale, che attiene invece a quello che si suol designare potere estero, di spettanza esclusiva dello Stato», n. 2 Cons. dir; Corte cost. n. 170 del 1975, in cui sono stati esclusi «dalle attribuzioni regionali gli apprezzamenti di politica estera e la formulazione di accordi con sog-getti propri di altri ordinamenti, compiti spettanti nel nostro sistema costituzionale esclusivamente agli organi dello Stato sovrano»; Corte cost. n. 123 del 1980, per l’af-fermazione che la «competenza a concludere i trattati, o ad aderirvi... nel nostro or-dinamento costituzionale... costituisce una necessaria ed esclusiva attribuzione dello Stato, solo sovrano e solo responsabile degli eventuali illeciti internazionali, anche quando... l’accordo internazionale riguardi materie attribuite alla Regione».

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limite alla potestà legislativa piena ed esclusiva delle Regioni speciali costituito dal rispetto degli obblighi internazionali sarebbe indicativo del monopolio statale sull’assunzione di obblighi internazionali18; si è valorizzata «la previsione negli artt. 80 e 87 della Costituzione di un complesso procedimento di formazione ed adozione degli accordi in-ternazionali tutto riferito ai soli organi supremi titolari dell’indirizzo politico nazionale» per dedurne l’esclusione degli organi regionali dalle relazioni internazionali19; è stata messa in risalto la natura della Regione, ente dotato di autonomia politica, ma – asseritamente – non partecipe della sovranità, per dedurne l’incapacità di stringere ac-cordi con enti esteri: una tale facoltà, si è detto, «varc[herebbe] la soglia della Regione e sal[irebbe] sul piano della sovranità, che ap-partiene alla Repubblica nella sua unità»20.

Del resto, come notato dalla stessa Corte costituzionale nella sent. n. 123 del 1980, la conferma della tendenziale esclusione, nell’origi-nario disegno costituzionale, di una dimensione internazionale delle Regioni si sarebbe potuta desumere proprio dalle uniche norme di li-vello super-primario che, sino al 2001, prendevano in considerazione il problema: si allude all’art. 52, comma 1, dello Statuto speciale

18 Cfr. U. DE SIERVO, Le Regioni italiane ed i rapporti internazionali, in Quad. reg. 1985, 61 s.

19 Sempre U. DE SIERVO, Le Regioni italiane cit., 62; e già A. CASSESE, Art. 87, in Commentario della Costituzione, a cura di G. BRANCA, Bologna-Roma 1978, 238 s., il quale ammetteva, però, «una certa partecipazione, in funzione subordinata, delle Regioni alla stipulazione di accordi “in forma semplificata”», non solo attra-verso la «consultazione da parte del Governo, in fase di negoziazione dell’accordo, delle Regioni territorialmente interessate», ma anche, eventualmente, «sotto forma di negoziazione diretta, ad opera di organi regionali, di un accordo riguardante mate-rie di competenza della Regione, accordo che successivamente potrebbe essere sot-toscritto... o dagli organi centrali, o anche da organi regionali... dopo aver ottenuto l’assenso degli organi centrali».

20 Cfr. A. LA PERGOLA, Regionalismo, federalismo e potere estero dello Stato. Il caso italiano ed il diritto comparato, in Quad. reg. 1985, 949, il quale si riagganciava ad un’affermazione formulata, ma ad altri fini, in Corte cost. n. 49 del 1963. Ma l’argomento, oggi, non potrebbe essere riproposto: come riconosciuto da Corte cost. n. 106 del 2002, «il nuovo Titolo V – con l’attribuzione alle regioni della potestà di determinare la propria forma di governo, l’elevazione al rango costituzionale del diritto degli enti territoriali minori di darsi un proprio statuto, la clausola di residua-lità a favore delle regioni, che ne ha potenziato la funzione di produzione legisla-tiva, il rafforzamento della autonomia finanziaria regionale, l’abolizione dei controlli statali – ha disegnato... un nuovo modo d’essere del sistema delle autonomie». La crescita dei percorsi di diversificazione ed articolazione del potere politico induce, pertanto, a ritenere che anche le dinamiche delle autonomie territoriali concorrano ormai a determinare l’esercizio della sovranità popolare.

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sardo, ai cui sensi «la Regione è rappresentata nella elaborazione dei progetti dei trattati di commercio che il Governo intenda stipulare con Stati esteri in quanto riguardino scambi di specifico interesse della Sardegna»; e all’art. 47, comma 2, dello Statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia, ai cui sensi «la Giunta regionale deve essere anche consultata in relazione alla elaborazione di trattati di commer-cio con Stati esteri che interessino il traffico confinario della Regione o il transito per il porto di Trieste».

Tali disposizioni, nel prevedere (soltanto) forme di partecipazione di (due particolari) Regioni alla elaborazione di trattati stipulati dallo Stato in specifiche materie di interesse regionale, parevano muovere dal presupposto che un ruolo regionale in politica estera fosse, per il resto, escluso21.

In definitiva, era accreditata l’idea che la riserva statale in tema di relazioni internazionali riguardasse «l’intero settore dei rapporti con i vari soggetti di diritto internazionale, quale che [fosse] la ma-teria che ne forma[va] oggetto»: l’esclusiva presenza dello Stato sul palcoscenico internazionale era ricollegata alla sua «funzione di rappresentanza e tutela degli interessi dell’intera comunità ita-liana: anche perciò con riguardo alle materie affidate alla cura delle Regioni»22.

Le posizioni sinora richiamate sembrano presentare un profilo comune, poiché per individuare nel raccordo Parlamento-Governo

21 In senso opposto argomentava, però, una parte della dottrina, proponendo di trarre dalle citate disposizioni un principio generale volto alla partecipazione delle Regioni, anche ordinarie, alla determinazione delle scelte di politica estera e all’ela-borazione dei trattati incidenti su materie regionali, cfr. M. FUMAGALLI MERAVIGLIA, La collaborazione cit., 14 s., anche per ulteriori riferimenti; contra U. DE SIERVO, Le Regioni italiane cit., 63.

22 Così, ma criticamente, L. CONDORELLI, Le Regioni a statuto ordinario e la riserva statale in materia di «rapporti internazionali», in Pol. dir. 1973, 225, lamen-tando le incongruenze di un sistema in cui ai trattati stipulati dallo Stato si consen-tiva di «investire materie di competenza regionale e regolarle, in tutto od in parte, in maniera analitica e dettagliata», 229. In proposito, va ricordato che, già nel 1959, L. PALADIN, Sulle competenze connesse cit., 460 e nota 60, aveva avvertito che «i trattati indicanti allo Stato, quale persona internazionale, direttive da seguire discrezional-mente, o limitantisi a riconoscergli talune facoltà, non toccano all’interno l’ordinaria separazione delle competenze fra potere centrale e poteri locali»: «più precisamente, in tutte le materie di competenza regionale piena o ripartita, lo Stato non può far fronte ai propri obblighi internazionali di rispetto delle direttive stabilite dai trattati, se non riproducendo quelle direttive come tali in proprie leggi di esecuzione e riser-vando quindi ai legislatori locali la corrispondente attività discrezionale di determi-nazione ed attuazione».

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il protagonista esclusivo della politica estera si faceva leva sul cri-terio di riparto delle competenze tra centro e periferia adottato nell’originaria versione del Titolo V, traendone indicazioni di si-stema. Si prendevano le mosse dal rapporto di regola ad eccezione sussistente tra la potestà normativa statale, segnata dalla tendenziale generalità, e quella regionale, tassativa e settoriale, sino a ricono-scere a Stato e Regioni ruoli politico-istituzionali diversi. Secondo l’impostazione più diffusa, lo Stato, rappresentante dell’interesse nazionale, avrebbe potuto «contaminare» qualsiasi settore materiale, facendolo oggetto di accordi internazionali, e correlativamente sot-traendolo (eventualmente anche in toto) alla competenza delle Re-gioni23.

Invero, tale impostazione non era indenne da rilievi critici. Ta-luno faceva notare che anche la cura di interessi locali potrebbe rea lizzarsi attraverso una rete di contatti con l’estero, sino, talvolta, ad imporli, come nel caso della promozione dell’economia turistica regionale. A ben vedere, allora, l’esclusione delle Regioni dalle re-lazioni internazionali non appariva una soluzione giuridicamente necessaria, ma assumeva un significato di politica costituzionale: si trattava del «completamento d’un più vasto disegno di ridimen-sionamento dell’istituto regionale, basato su un certo modo di in-tendere l’interesse regionale e la delimitazione delle competenze regionali»24.

Le radici di tale disegno erano fatte risalire ai lavori dell’Assem-blea Costituente, sia per le resistenze nell’occasione manifestate verso la creazione di forti poteri regionali, dei quali si temeva la spinta cen-trifuga, sia per l’attenzione dedicata, in quella sede, agli strumenti di controllo democratico della politica estera nella configurazione della forma di governo statale25. Ma allora, pur ritenendosi in generale ap-prezzabile l’esigenza di mantenere la politica estera nazionale entro un quadro unitario, il sacrificio apportato al principio autonomistico da una concezione così totalizzante della riserva allo Stato delle rela-zioni internazionali poteva risultare eccessivo ed ingiustificato rispetto all’obiettivo perseguito26.

Tale consapevolezza, unita ad un certo attivismo regionale, del quale si riferisce appresso, ha spinto ben presto la dottrina ad in-

23 Il riferimento riassuntivo è, ancora, ai citati lavori di A. LA PERGOLA.24 L. CONDORELLI, Le Regioni a statuto ordinario cit., 230. 25 Cfr. U. DE SIERVO, Le Regioni italiane cit., 62 s.26 Per una più puntuale confutazione degli argomenti addotti dalle tesi centrali-

ste, per tutti, A. AZZENA, Competenze regionali cit., 1145 ss.

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vocare l’introduzione di strumenti atti a garantire la partecipazione delle Regioni sia nella fase ascendente che in quella discendente del diritto internazionale27.

3. (segue): ...ed il graduale superamento: il (cauto) riconoscimento le-gislativo ad opera del d.P.R. n. 616 del 1977

Le Regioni italiane negli anni ’70 presero ad intessere tutta una serie di contatti con l’estero, sia sul proprio territorio, ricevendo de-legazioni straniere od organizzando eventi che prevedevano la parte-cipazione di operatori economici e rappresentati istituzionali esteri; sia oltre i confini dello Stato, attraverso missioni, incontri di studio, partecipazione di delegati a manifestazioni in cui pubblicizzare la re-altà regionale ed i suoi prodotti tipici28.

Il Governo manifestò resistenze verso codeste iniziative regionali, con aperture solo timide ed occasionali, e comunque oggetto di suc-cessive ritrattazioni29.

Per alcune dottrine, invece, tali attività dovevano ritenersi con-sentite proprio alla stregua degli stessi ragionamenti correntemente condotti dalla Corte: essendo inidonee a far sorgere obblighi giuridici esse non avrebbero impegnato la responsabilità dello Stato, contraria-mente a quanto affermato nelle circolari ministeriali di quegli anni, al fine di giustificare l’atteggiamento restrittivo del Governo30.

27 Cfr. L. CONDORELLI, Le Regioni a statuto ordinario cit. 231 ss.; ampi riferi-menti in D. FLORENZANO, L’autonomia regionale nella dimensione internazionale, Pa-dova 2004, 11 ss.

28 Cfr., in proposito, le periodizzazioni operate da F. PALERMO, Il potere estero delle Regioni, Padova 1999, 87 ss.; P. CARETTI, Potere estero e ruolo «comunitario» delle Regioni nel nuovo Titolo V della Costituzione, in questa Rivista 2003, 556 ss.; D. FLORENZANO, L’autonomia regionale cit., 48 ss.

29 Per l’esame di alcune circolari ministeriali, C. MORVIDUCCI, Rapporti tra Stato e Regioni con riferimento alle attività di «rilievo» internazionale, in questa Rivista 1974, 353 ss.; e P. CARETTI, Regioni e riserva statale relativa ai rapporti internazio-nali, in Giur. cost. 1974, 1391 ss. Sulla «preoccupazione» del Governo «di contestare in radice... [il] proliferare, ai più diversi livelli e nelle più svariate occasioni, di una ricca tessitura di contatti e relazioni fra autorità regionali ed autorità straniere, anche se non portano all’adozione di strumenti formali di raccordo suscettibili di dispie-gare effetti giuridici di un qualche rilievo», S. BARTOLE, Atti e fatti (di rilevanza in-ternazionale) cit., 3126.

30 Cfr. ancora le analisi di C. MORVIDUCCI, Rapporti tra Stato e Regioni cit., 354; P. CARETTI, Regioni e riserva statale cit., 1394; S. BARTOLE, Atti e fatti (di rilevanza internazionale) cit., 3128 s.

I POTERI DI INDIRIZZO E CONTROLLO DEL GOVERNO SULLE ATTIVITÀ... 21

Peraltro, si faceva notare come i contatti con l’estero si presen-tassero spesso funzionali alla cura degli interessi locali, sebbene quasi tutti i decreti di trasferimento delle funzioni disponessero espressamente la riserva allo Stato delle «relazioni» o dei «rapporti internazionali»31. Ciò avrebbe dovuto indurre a ritenere che il potere estero delle Regioni fosse «già nelle cose, cioè implicito nei poteri re-gionali espressamente attribuiti ed enumerati», non già sotto forma di «materia» di competenza regionale, ma come «modo di eserci-zio delle competenze nelle materie assegnate ai fini del loro miglior governo»32.

Sebbene la Corte restasse ferma nel ritenere che le Regioni non potessero stipulare accordi in senso proprio33, sotto la spinta della prassi e della dottrina, si giunse all’introduzione, nel d.P.R. n. 616 del 1977, di una disposizione – l’art. 4, comma 2 – che dedicò per la prima volta espressa considerazione all’attività all’estero delle Regioni. Vi si stabilì che le Regioni non avrebbero potuto svolgere all’estero attività promozionali relative alle materie di loro competenza, se non previa intesa con il Governo e nell’ambito degli indirizzi e degli atti di coordinamento attinenti ai rapporti internazionali34.

La funzione di indirizzo e coordinamento in materia fu esercitata dallo Stato con d.P.C.M. 11 marzo 1980: esso, oltre a precisare la procedura finalizzata all’intesa relativa alle attività promozionali, in-trodusse identici obblighi collaborativi con riferimento agli incontri ufficiali di rappresentanti regionali con organismi rappresentativi dei paesi esteri. Tali incontri, peraltro, erano consentiti solo in occasione dello svolgimento delle attività promozionali medesime. Nel decreto si precisava, inoltre, che le Regioni non avrebbero potuto «valida-mente stipulare con rappresentanti di paesi esteri accordi, intese o altri atti formali, a mezzo dei quali assumano impegni ovvero espri-mano dichiarazioni o valutazioni afferenti alla politica nazionale», e che, in ogni caso, dalle iniziative regionali non sarebbero potuti «de-rivare obblighi, impegni o oneri per lo Stato». Infine, indirizzi in-

31 L. CONDORELLI, Le Regioni a statuto ordinario cit., 227 ss.; P. CARETTI, Re-gioni e riserva statale cit., 1390 s.

32 Secondo le espressioni utilizzate da F. GABRIELE, Conclusioni, in Studi sui rap-porti internazionali delle Regioni cit., 31; ma sul profilo v. anche R. TONIATTI, Po-tere estero e politica economica delle Regioni: il nuovo assetto istituzionale e le ragioni dell’economia territoriale, in questa Rivista 2001, 923 ss.

33 V. ancora la sent. n. 170 del 1975.34 Sull’evoluzione della normativa, v. anche M.R. ALLEGRI, Cooperazione trans-

nazionale cit., 210 ss.

22 D. MESSINEO

tegrativi e specifici obblighi procedurali erano introdotti con riferi-mento a settori particolari.

Ben presto, in dottrina, si è affermata l’idea che gli oneri procedi-mentali disciplinati dall’art. 4, comma 2, d.P.R. n. 616 e dal d.P.C.M. 11 marzo 1980 fossero sproporzionati rispetto a determinati contatti regionali con l’estero, la cui inidoneità a coinvolgere valutazioni di politica estera appariva di evidenza così palmare da indurre qualcuno a parlare persino di attività «internazionalmente irrilevanti»35. Si è af-facciata, così, la categoria delle cc.dd. «attività di mero rilievo inter-nazionale», utilizzata per designare, riassuntivamente, tutta una serie di iniziative atipiche, che nella prassi risultavano sottratte all’ambito di applicazione degli obblighi cooperativi codificati nella normativa richiamata.

4. La distinzione tra attività promozionali e attività di mero rilievo internazionale e la sua precoce crisi: Corte cost. n. 179 del 1987 versus Corte cost. n. 256 del 1989

La soluzione di semplificare gli adempimenti in ordine a taluni contatti regionali con l’estero è stata avallata dalla Corte costituzio-nale nella fondamentale sent. n. 179 del 1987, con cui è stata repu-tata sufficiente, per lo svolgimento di alcune attività, la richiesta, da parte delle Regioni, di un mero «assenso» governativo36.

La sent. n. 179 del 1987 ha dato origine a un ampio dibattito: la distinzione ivi operata tra attività promozionali – ricadenti nell’am-bito di applicazione del d.P.R. n. 616 e del citato decreto di indirizzo e coordinamento – e attività di mero rilievo internazionale è stata tracciata dalla Corte in modo da dar luogo ad uno «strappo verso l’alto» rispetto agli stessi auspici della dottrina, sino ad enfatizzare in misura imprevista i poteri regionali in ambito internazionale37.

La Corte ha preso le mosse dal riconoscimento allo Stato della competenza esclusiva circa la determinazione degli indirizzi di poli-tica estera. Secondo il giudice delle leggi, lo Stato medesimo, attra-verso il citato art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 616 del 1977, avrebbe introdotto una deroga a tale assetto, operando un parziale coinvol-gimento delle Regioni in materia, non imposto dalla Costituzione e

35 Così E. CHELI, Le attività svolte all’estero dalle Regioni, in questa Rivista 1983, 1181 ss.

36 Su tale pronuncia v., in generale, F. PALERMO, Il potere estero cit., 108 ss.37 D. FLORENZANO, L’autonomia regionale cit., 31 ss.

I POTERI DI INDIRIZZO E CONTROLLO DEL GOVERNO SULLE ATTIVITÀ... 23

sempre revocabile. Le attività promozionali oggetto di codesta de-roga sono state definite nella sent. n. 179 come i «comportament[i] legat[i] da un rigoroso nesso strumentale con le materie di compe-tenza regionale, ossia... [i] comportament[i] dirett[i], in tali settori, allo sviluppo economico, sociale e culturale nel territorio dell’ente locale»38. Nell’occasione, la Corte ha precisato che «tali atti non pos-sono comunque concernere le materie contemplate dall’art. 80 Cost., che salvaguarda le funzioni del Parlamento»; che «nei casi anzidetti si ha sempre la responsabilità dello Stato, il quale risponde degli impe-gni assunti anche se l’ordinamento interno eccezionalmente consente l’iniziativa di enti minori»39; e che tali fattispecie integrano «accordi in senso proprio»40.

Le ultime due affermazioni erano certo molto innovative, poiché l’idea che le Regioni potessero stipulare veri e propri accordi, fonti di obblighi giuridici internazionali, era inedita nella giurisprudenza costituzionale, ed anzi si allontanava da vari precedenti41.

Sin qui, comunque, la ricostruzione operata dalla Corte in ordine alle attività promozionali prese in considerazione dal d.P.R. n. 616 e dal d.P.C.M. del 1980.

Il successivo passaggio della sent. n. 179 in cui la Corte ha iden-tificato gli atti di mero rilievo internazionale sottratti all’obbligo dell’intesa richiede un’ampia citazione. Vi si è fatto riferimento ad altre «attività» non esaustivamente classificabili, «di vario contenuto, congiuntamente compiute dalle Regioni e da altri (di norma, omolo-ghi) organismi esteri aventi per oggetto finalità di studio o di infor-mazione (in materie tecniche) oppure la previsione di partecipazione a manifestazioni dirette ad agevolare il progresso culturale o econo-mico in ambito locale, ovvero, infine, l’enunciazione di propositi di-retti ad armonizzare unilateralmente le rispettive condotte»42. Attra-verso tali atti, secondo la Corte, «le Regioni, interessate alla realizza-zione degli scopi connessi alle materie loro devolute, non pongono in essere veri accordi né assumono diritti ed obblighi tali da impegnare la responsabilità internazionale dello Stato, ma si limitano... a preve-dere lo scambio di informazioni utili ovvero l’approfondimento di conoscenze in materie di comune interesse, oppure, ancora, ad enun-ciare analoghi intenti ed aspirazioni, proponendosi di favorirne uni-

38 N. 6 Cons. dir.39 N. 6 Cons. dir.40 N. 7 Cons. dir.41 V. supra par. 2.42 N. 7 Cons. dir.

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lateralmente la realizzazione mediante atti propri o, al più, mediante sollecitazione dei competenti organi nazionali».

Per il giudice delle leggi, tali atti non sarebbero stati nemmeno «suscettibili di essere ricondott[i] nell’ambito dei rapporti internazio-nali» veri e propri, «poiché il loro contenuto non può assolutamente incidere sulla politica estera dello Stato né, come s’è detto, può far sorgere responsabilità di qualsiasi genere a carico del medesimo»: perciò stesso, essi non porrebbero problemi di compatibilità costitu-zionale.

L’esame dei brani riportati consente di confrontare le definizioni dei due tipi di attività offerte dalla Corte: leggendo «in controluce» la descrizione degli atti di mero rilievo internazionale, e ricostruen-done – per così dire – il «negativo», si sarebbe detto che le attività promozionali dessero vita a veri e propri «accordi», da cui sarebbero potuti scaturire «diritti ed obblighi tali da impegnare la responsabi-lità internazionale dello Stato».

È stato fatto notare che «con tale ricostruzione la Corte sembrava avere promosso ed elevato l’attività promozionale all’estero, consen-tendo alle Regioni di operare in un ambito che, fino ad allora, era risultato precluso»43.

Se così fosse stato, ne sarebbe risultato un quadro innovativo e coerente. L’autonomia politica regionale si sarebbe potuta spingere sino all’assunzione di impegni vincolanti per la Repubblica nel suo complesso: lo Stato, attraverso l’intesa, avrebbe concorso alla for-mazione dell’atto promozionale, e dei diritti e degli obblighi oggetto dell’accordo. Per le attività regionali inidonee ad impegnare il succes-sivo esercizio dei poteri di autonomia sarebbe, invece, bastato l’as-senso statale, senza richiedersi una partecipazione del potere centrale alla conformazione del contenuto dell’iniziativa.

Tuttavia, il quadro è divenuto ben presto più complicato: una pronuncia appena successiva, la n. 256 del 1989, ha precluso la li-neare lettura ipotizzata. La Corte ha accolto il conflitto promosso dal Governo contro la Regione Sardegna, volto ad impedire un referendum consultivo indetto dalla Regione medesima, il quale avrebbe avuto ad oggetto la presenza, nel territorio regionale, di basi militari straniere; la presentazione di una proposta di legge volta a vietare il transito e l’approdo, nelle acque territoriali ita-liane, di naviglio a propulsione nucleare o con a bordo armi atomi-

43 Ancora D. FLORENZANO, L’autonomia regionale cit., 34.

I POTERI DI INDIRIZZO E CONTROLLO DEL GOVERNO SULLE ATTIVITÀ... 25

che; la presentazione di una particolare proposta di legge di revi-sione dell’art. 80 Cost.

Nella sent. n. 256 del 1989 si legge che in ordine al «compimento delle... scelte» relative all’attività politica internazionale «e la stipula-zione di accordi e di trattati» la Corte avrebbe «già ritenuto... che rientra nella esclusiva competenza degli organi centrali dello Stato il potere di determinare gli indirizzi di politica estera»44.

È singolare che la Corte, a fondamento di tale affermazione, ab-bia richiamato proprio la sent. n. 179 del 1987, nella quale, come si è visto... si era fatto intendere esattamente l’inverso, e cioè che le attività promozionali delle Regioni fossero suscettibili di dar vita ad impegni internazionali. Detta possibilità, che nella sent. n. 179 assur-geva a criterio identificante delle attività promozionali, nella sent. n. 256 è stata esplicitamente smentita, tanto che in un altro passaggio si legge, ancor più chiaramente, che «il carattere unitario ed indivi-sibile della Repubblica condiziona e subordina le autonomie regio-nali... nelle quali non può essere compresa la potestà di decidere la instaurazione e la gestione dei rapporti internazionali e anche solo di condizionare le scelte di politica estera»45.

A questo punto, il modello bipartito elaborato da Corte cost. n. 179 del 1987 non poteva più fornire la bussola per razionalizzare le prassi regionali. Lo stesso fondamentale presupposto al quale si sa-rebbe dovuta ricollegare la diversificazione degli obblighi collabora-tivi gravanti sulle autonomie (attività promozionali, sottoposte ad in-tesa, versus attività di mero rilievo internazionale, sottoposte a mero assenso governativo) ne usciva vanificato.

La riferita bipartizione, infatti, si ricollegava alla pretesa, strut-turale neutralità delle sole attività di mero rilievo internazionale ri-spetto agli indirizzi di politica estera, ciò che avrebbe giustificato il più tenue regime dell’assenso. Epperò, adesso, tale neutralità veniva ad essere postulata dalla Corte come carattere necessario delle attività internazionali delle Regioni in genere, sino a costituirne un requisito comune, esigito a pena di illegittimità costituzionale.

In definitiva, la vis ordinatrice delle due categorie, già quasi sul nascere, era irrimediabilmente compromessa: non stupisce, allora, che la giurisprudenza costituzionale abbia manifestato la tendenza a leggere gli obblighi collaborativi gravanti sulle Regioni in modo so-

44 N. 5.2 Cons. dir.45 N. 5.2 Cons. dir. (corsivo non testuale).

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stanzialmente omogeneo, valorizzando in ambo i casi i corollari del principio di leale cooperazione46.

La successiva giurisprudenza costituzionale ha fornito ulteriori spunti per il superamento del modello bipartito. Nella sent. n. 204 del 1993, in particolare, la Corte è stata chiamata a giudicare della legittimità di provvedimenti governativi che avevano negato l’intesa in relazione a varie iniziative all’estero programmate dalla Regione Friuli-Venezia Giulia47.

Sebbene la Regione lamentasse, per un verso, la sottoposizione al regime della previa intesa di attività che parevano soggette al mero assenso del Governo, nonché, per altro verso, l’assenza di motiva-zione dei dinieghi opposti dallo Stato, la Corte ha accolto il ricorso reputando sufficiente il riferimento al vizio di motivazione.

Non a caso, si è notato che «la vera novità della sentenza» sa-rebbe stata «rappresentata... dall’aver privilegiato la Corte un ele-mento comune alle diverse ipotesi prospettate più che non gli ele-menti distintivi, opinabili e comunque non decisivi per una cor-retta impostazione dei rapporti Stato-Regioni in questa delicata materia»48.

Alla strada seguita dalla Corte è sembrata sottesa l’unitaria consi-derazione delle attività internazionali delle Regioni, ed il ridimensio-namento del doppio regime sino ad allora affermato. Si è intravista la possibilità di unificare il regime ed i limiti delle attività internazio-nali delle Regioni, alle quali in definitiva poteva soltanto richiedersi di non mettere a repentaglio la coerenza della politica estera italiana. Si è suggerita, allora, una lettura in positivo della sentenza, sino a ri-conoscere alle Regioni una più incisiva proiezione esterna, nel segno di «una legittimazione non più... concepita in chiave derogatoria ri-spetto ad una supposta riserva onnicomprensiva statale, ma in chiave

46 Cfr. partic. M. PEDETTA, Riserva allo Stato dei «rapporti internazionali» e re-gime della «previa intesa» in ordine alle attività delle Regioni all’estero, in Giur. cost. 1985, 1802; e F. PALERMO, Il potere estero cit., 217 ss.

47 Tra cui, ad esempio, la partecipazione di un assessore regionale alla confe-renza indetta da una fondazione italo-americana, finalizzata al rilancio del turismo dagli USA verso l’Italia; ovvero la missione nell’ex Cecoslovacchia di una delegazione regionale nell’ambito dei rapporti di promozione agricola intessuti con quel paese; ovvero ancora la partecipazione di un funzionario regionale e dell’amministratore di un ente dipendente dalla Regione ad una esposizione di prodotti d’arredamento in Canada, per scopi di promozione commerciale delle imprese artigiane friulane.

48 P. CARETTI, Verso un superamento della distinzione tra attività promozionali all’estero e attività di mero rilievo internazionale delle Regioni, in applicazione del principio di leale cooperazione, in Giur. cost. 1993, 1394 ss.

I POTERI DI INDIRIZZO E CONTROLLO DEL GOVERNO SULLE ATTIVITÀ... 27

di esercizio di una competenza regionale “ordinaria”, che non può essere paralizzata se non in seguito ad un ragionevole contempera-mento dei diversi interessi in gioco e comunque mai con un semplice e secco diniego»49.

Il rilievo riconosciuto dal giudice costituzionale all’obbligo di mo-tivazione governativa del diniego ha indotto, insomma, a ritenere che queste ultime potessero esprimere, nelle materie di propria compe-tenza, indirizzi capaci di proiettarsi nella dimensione internazionale, fin tanto che non fosse messa in crisi l’unitarietà della politica estera dello Stato.

5. Il difficile rapporto tra la riserva statale in tema di politica estera e la funzione di rappresentanza generale assolta dalla Regione: indi-cazioni di metodo

L’impianto edificato dalla giurisprudenza costituzionale è stato in-dagato anche sotto altri aspetti. È stato fatto notare come in ordine a certi tipi di attività la procedura di assenso risultasse eccessiva. Il ri-ferimento immediato è all’organizzazione di incontri di studio e/o di generici scambi di informazioni, resi difficoltosi da oneri burocratici sproporzionati rispetto ai caratteri di siffatte operazioni, usualmente prive di implicazioni politiche.

Da un punto di vista speculare, si è rilevato che anche attività apparentemente «di mero rilievo internazionale» potevano, nei fatti, interferire con la politica estera dello Stato, «comportando contatti con istituzioni o organi di Stati stranieri, con contenuti di rilievo internazionalistico»50. Ciò metteva in risalto, sotto un diverso profilo, le aporie della classificazione operata dalla Corte.

L’osservazione è stata formulata a margine di un caso dal grande valore esemplificativo, deciso con l’ordinanza n. 250 del 1988. La Corte aveva reputato manifestamente infondato il conflitto di attri-buzioni proposto dalla Regione Umbria contro il diniego opposto dal Governo in relazione ad una missione umbra in Libano. Era stata progettata una visita nella sede dell’Organizzazione per la Libera-zione della Palestina per scambiare informazioni sulle condizioni de-gli studenti libanesi iscritti in università umbre, ed il Governo aveva

49 Sempre P. CARETTI, op. loc. cit.50 M. PEDETTA, Attività regionali di rilievo internazionale e valutazioni di politica

estera, in questa Rivista 1989, 1117.

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negato l’assenso a tale «missione di studio». La Corte aveva ritenuto non incongruo il divieto, alla luce della «particolare natura e la par-ticolare posizione della Organizzazione per la Liberazione della Pale-stina».

La vicenda offre indicazioni utili ancora oggi: essa dimostra che il tipo di attività posto in essere dalla Regione può risultare non diri-mente per apprezzarne l’incidenza sulla politica estera: il fatto di in-staurare contatti con un particolare interlocutore straniero di per sé potrebbe chiamare in causa complesse valutazioni, sino ad esprimere un indirizzo divergente da quello statale, le volte in cui la Regione manifesti contiguità (o addirittura, comunione d’intenti) con un sog-getto i cui rapporti con lo Stato sono delicati e densi di risvolti pro-blematici, anche alla luce del contesto internazionale.

Peraltro, alla stregua di tali rilievi il (requisito del) legame delle attività promozionali con le materie di competenza regionale, previ-sto dall’art. 4, d.lgs. n. 616 del 1977, è parso perdere di significato. Si è osservato, infatti, che «ciò che pare interessare principalmente la Corte (e il Governo) in relazione al potere estero regionale è la non contraddittorietà di eventuali iniziative regionali con gli indirizzi generali della politica estera statale. Non a caso, quando la Corte ha ritenuto si fosse verificata una simile ingerenza, la qualificazione dell’iniziativa regionale nonché la sua strumentalità rispetto all’eserci-zio di una competenza hanno perduto ogni loro importanza»51.

Gli elementi sin qui forniti evidenziano, insomma, varie falle con-cettuali nella summa divisio invalsa nella giurisprudenza costituzio-nale, e ne manifestano le inefficienze applicative52.

E tuttavia, la descritta sistemazione, oltre ad essere stata richia-mata in successive pronunce53, è stata confermata dal d.P.R. 31 marzo 1994, recante il nuovo «atto di indirizzo e coordinamento in materia di attività all’estero delle Regioni e delle Province autonome». Esso, all’art. 2, ha codificato la categoria delle attività di rilievo internazio-nale delle Regioni, tipizzandole54 e fissandone «definizione e proce-

51 Così M. SOTGIU, Le Regioni come enti a fini generali e le loro attività estere, in questa Rivista 1993, 1336.

52 In proposito v., almeno, anche C. DE FIORES, Riserva allo Stato dei rapporti internazionali e ruolo delle Regioni. Le nuove prospettive del «potere estero», in Giur. cost. 1996, 3013 s.

53 Cfr., almeno, Corte cost. nn. 472 del 1992 e 204 del 1993.54 L’elenco comprendeva le attività di «studio e informazione su problemi vari;

scambio di notizie e di esperienze sulla rispettiva disciplina normativa o amministra-tiva; partecipazione a conferenze, tavole rotonde, seminari; visite di cortesia nell’area europea; rapporti conseguenti ad accordi o forme associative finalizzati alla colla-

I POTERI DI INDIRIZZO E CONTROLLO DEL GOVERNO SULLE ATTIVITÀ... 29

dure di svolgimento». Dette attività venivano dunque sottoposte al previo assenso del Governo, salvo quelle di studio e di informazione, per le quali non era «richiesta alcuna formalità». Si prevedeva anche un’ipotesi di silenzio-assenso, decorsi 20 giorni dal ricevimento della comunicazione da parte del Ministro degli Affari esteri.

È singolare notare come alla stregua di detto d.P.R. il Governo, col proprio diniego, potesse paralizzare l’iniziativa regionale (di mero interesse internazionale) non soltanto in caso di «contrasto delle at-tività... con gli indirizzi politici generali dello Stato», ma persino ove ne riscontrasse l’«esorbitanza dalla sfera degli interessi regionali».

La preclusione merita di essere esaminata alla luce della nota-zione dottrinale poc’anzi riferita, che poneva l’accento sul possibile conflitto tra le iniziative regionali e l’indirizzo statale in tema di po-litica estera, relegando sullo sfondo ogni altra valutazione: per cui, il contrasto dell’attività posta in essere dalla Regione con l’indirizzo po-litico centrale ne avrebbe sancito comunque l’illegittimità.

L’osservazione sembra cogliere il fondamentale problema posto dal rapporto tra le relazioni internazionali dello Stato e delle Regioni: per questo, il suo valore sistematico non risulta oggi intaccato, pur nel mutato quadro costituzionale. Si vuol dire che la Costituzione of-fre all’interprete due dati difficili da contemperare: da una parte la «politica estera» – dapprima implicitamente ascritta allo Stato – oggi è espressamente ricondotta dall’art. 117, comma 2, tra le materie di competenza statale esclusiva; dall’altra parte, la Regione è pur sem-pre ente dotato di autonomia politica, e dunque, secondo un classico insegnamento, capace di perseguire un indirizzo politico proprio, eventualmente anche divergente da quello statale55.

In passato, alcuni interventi del giudice costituzionale avevano valorizzato tale dato, concludendo, ad esempio, per la legittimità di un’erogazione di fondi stanziata da una legge regionale (toscana) a favore di un «Comitato di solidarietà» costituito presso altra Regione (il Piemonte) «al fine di cooperare in un’attività di sostegno a favore

borazione interregionale transfrontaliera», nonché «visite di cortesia nell’area extra-europea, gemellaggi, enunciazione di princìpi e di intenti volti alla realizzazione di forme di consultazione e di collaborazione da attuare mediante l’esercizio unilaterale delle proprie competenze; formulazione di proposte e prospettazione di problemi di comune interesse, contatti con le comunità regionali all’estero ai fini della informa-zione sulle normazioni delle rispettive Regioni e della conservazione del patrimonio culturale d’origine».

55 Il riferimento obbligato è a M.S. GIANNINI, Autonomia (teoria generale e di-ritto pubblico), in Enc. dir., IV, Milano 1959, 364.

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di persone sospese dal lavoro nel corso di una vertenza economica di rilievo politico nazionale»56. A tale proposito, la Corte, pur esclu-dendo che la legge regionale potesse ricondursi alla materia dell’as-sistenza e beneficenza pubblica (o ad altra voce menzionata dall’art. 117 Cost.), l’aveva tenuta indenne da censure, in quanto atipica «forma di collaborazione e di cooperazione solidaristica»57 legata al ruolo di rappresentanza generale della comunità regionale proprio dell’ente esponenziale.

La Corte, allora, aveva notato che «al di là delle finalità in rela-zione alle quali le Regioni possono svolgere le proprie competenze legislative e amministrative nelle materie loro attribuite, sussistono interessi e fini rispetto ai quali le Regioni stesse possono provvedere nell’esercizio dell’autonomia politica che ad esse spetta in quanto enti esponenziali delle collettività sociali rappresentate»58. Tali prin-cipi, si era aggiunto, legittimerebbero «una presenza politica della Regione, in rapporto allo Stato o anche ad altre Regioni, riguardo a tutte le questioni di interesse della comunità regionale, anche se que-ste sorgono in settori estranei alle singole materie indicate nell’art. 117 Cost. e si proiettano al di là dei confini territoriali della Regione medesima»59.

Le possibili ricadute di codesto orientamento giurisprudenziale sul tema del potere estero regionale non sono passate inosservate: è stato notato che enfatizzando la funzione di rappresentanza generale riconosciuta alla Regione anche al di là del riparto operato dall’art. 117 Cost. sarebbe dovuta «venir meno» per entrambi i tipi di attività (promozionali e di mero rilievo internazionale) «la necessaria connes-sione con l’esercizio di una competenza»60.

Ora, come anticipato, il d.P.R. 31 marzo 1994 è andato esatta-mente nel senso opposto, offrendo al Governo la base normativa per ostacolare iniziative regionali asseritamente «esorbitan[ti] dalla sfera degli interessi regionali».

A risultare mortificata da un siffatto controllo sembra proprio l’affermata «pienezza delle potenzialità di partecipazione comunita-ria di cui» pure, secondo le parole di Corte cost. n. 826 del 1988, «ciascuna istituzione» dovrebbe essere «capace», ben al di là delle specifiche competenze ad essa attribuite, e sino a sfociare in atipici

56 Corte cost. n. 829 del 1988, n. 2.4 Cons. dir.57 N. 2.1 Cons. dir.58 N. 2.2 Cons. dir.59 N. 2.2 Cons. dir.60 Così M. SOTGIU, Le Regioni come enti a fini generali cit., 1333.

I POTERI DI INDIRIZZO E CONTROLLO DEL GOVERNO SULLE ATTIVITÀ... 31

«atti di proposta, di stimolo, di iniziative o, anche... intese, accordi o altre forme di cooperazione»61. È pur vero che le forme di coo-perazione evocate dal giudice delle leggi, nella circostanza, erano da questo riferite ai rapporti delle Regioni italiane tra loro (o con enti sub-regionali): ma una volta riconosciuto – e valorizzato – il ruolo della Regione quale interlocutore istituzionale, capace di proiettare autonomi indirizzi politici al di là dei confini di validità – spaziale e materiale – dello stesso «ordinamento giuridico regionale», sarebbe incoerente negare a siffatta azione regionale una dimensione anche internazionale.

Ad ogni modo, la ripartizione contemplata nel d.P.R. del 1994 è venuta meno nel 1997, ad opera della l. n. 59, c.d. «Bassanini I», che, all’art. 8, comma 5, lett. b), ha abrogato le funzioni statali di in-dirizzo e coordinamento previste dal succitato art. 4, comma 2, d.lgs. n. 616 del 1977, le quali, per l’appunto, erano state esercitate attra-verso il riferito d.P.R. 31 marzo 1994. A sua volta, il sistema risul-tante dal d.lgs. n. 112 del 1998, adottato in attuazione della citata l. n. 59 del 1997, ha superato l’obbligo dell’intesa governativa per le attività promozionali all’estero, sostituendola con la previa comuni-cazione dell’iniziativa da parte delle Regioni62, sul presupposto che a queste spettasse svolgere ogni tipo di attività collegata alla «promo-zione dello sviluppo» della propria «comunità» – secondo l’espres-sione di cui all’art. 1, comma 2, della stessa l. n. 59 del 1997.

6. L’esame della normativa vigente ed il significato sistematico del ri-conoscimento costituzionale del potere estero delle Regioni

Le vicende sin qui ripercorse mettono in luce l’angolazione dalla quale pare opportuno guardare al tema del potere estero regionale: e cioè, il tentativo di preservare l’armonia delle relazioni internazio-nali della Repubblica senza «svuotare» il significato politico dell’au-tonoma regionale. Ciò dovrebbe indurre a ricostruire la portata e i limiti della riserva statale in tema di politica estera in modo da assi-curare un equilibrato bilanciamento dei due valori in gioco.

A seguito della riforma del Titolo V del 2001, varie norme costi-tuzionali prendono in considerazione le relazioni internazionali delle

61 N. 2.2 Cons. dir.62 Per una più particolareggiata disamina delle norme di settore contenute nel

d.lgs. n. 112 del 1998, D. FLORENZANO, L’autonomia regionale cit., 163 ss.

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Regioni. Limitando l’attenzione alla fase ascendente del diritto inter-nazionale pattizio, va ricordato che ai sensi dell’art. 117, comma 2, «lo Stato ha legislazione esclusiva», tra l’altro, in tema di «politica estera e rapporti internazionali dello Stato», mentre i «rapporti in-ternazionali... delle Regioni» rientrano tra le materie di competenza concorrente; infine, l’art. 117, comma 9, sancisce che «nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e in-tese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato».

È stato notato che si è «bruscamente passati da un difetto presso-ché totale di previsioni costituzionali... ad un (forse, eccessivo) affol-lamento di formule... tale da portare a sia pur parziali ma consistenti sovrapposizioni», aggravate «dal carattere assai incerto e, in qualche passaggio, persino sibillino delle espressioni... utilizzate», donde un quadro segnato da una certa indeterminatezza: ciò dovrebbe imporre all’interprete di fare ricorso a ragionamenti sistematici per realizzare un’equilibrata composizione tra unità e autonomia63.

Pur a fronte della lamentata vaghezza delle formule, l’espressa considerazione costituzionale delle relazioni internazionali delle Re-gioni dovrebbe almeno imporre di assumere, quale punto di par-tenza, il consolidamento e l’espansione dei poteri regionali, poiché certo «l’introduzione in Costituzione di istituti (o la espressa codifi-cazione di principi) già presenti nella legislazione ordinaria non si-gnifica mera copertura costituzionale..., ma [acquista] un significato diverso e assai più pregnante»64.

Si direbbe, insomma, che la riforma abbia comportato un innal-zamento di piano delle dinamiche regionali che ne hanno formato l’oggetto. L’innovato quadro costituzionale non si presta ad essere semplicisticamente riempito di significato alla luce delle esperienze pregresse. Semmai, pare corretto procedere in senso inverso: l’ade-guatezza della soluzioni prima applicate dovrebbe essere verificata, per così dire, «con occhi nuovi», prendendo le mosse dal mutato pa-rametro costituzionale65. In tale prospettiva, dovrebbe dubitarsi della

63 Cfr. A. RUGGERI, Riforma del Titolo V e «potere estero» delle Regioni cit., 4 s.64 Così P. CARETTI, Il limite degli obblighi internazionali e comunitari per la legge

dello Stato e delle Regioni, in ID., Stato, Regioni, enti locali tra innovazione e conti-nuità, Torino 2003, 69.

65 In generale, subito dopo l’entrata in vigore della l. cost. n. 3 del 2001, si segnalavano i «principi di fortissima carica innovativa, che debbono indurre ad un ripensamento di tutto l’impianto concettuale che in questo settore era stato sino a ieri elaborato», così F. SORRENTINO, Nuovi profili costituzionali dei rapporti tra diritto

I POTERI DI INDIRIZZO E CONTROLLO DEL GOVERNO SULLE ATTIVITÀ... 33

legittimità di prassi eccessivamente continuiste: ciò sembra maggior-mente da ritenere se si tiene conto di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella ricordata sent. n. 179 del 1987.

Nell’occasione, la Corte ebbe a dire, tra l’altro, che le penetranti limitazioni incontrate dalle Regioni nella «instaurazione e gestione dei rapporti internazionali» si ricollegavano alla spettanza esclusiva-mente statale della relativa competenza: il coinvolgimento delle Re-gioni in materia era allora considerato dal giudice delle leggi il frutto di una deroga introdotta dal legislatore ad una regola generale, de-finita – peraltro – «fondamentale»66. Dal rapporto di eccezione a regola si deduceva, peraltro, il carattere tassativo delle attività inter-nazionali consentite alle Regioni: le ipotesi indicate dalla legge erano considerate «di stretta interpretazione, e non [avrebbero potuto] per-ciò essere estese al di là dei casi espressamente previsti»67.

Le affermazioni della Corte sono state valorizzate da una parte della dottrina68 per confutare le tesi che, muovendo da alcune affer-mazioni del giudice costituzionale, tendevano a ricondurre le attività internazionali delle Regioni all’esercizio di una competenza propria delle medesime69.

L’occasione per tali riflessioni è stata fornita dalla sent. n. 290 del 1993, con cui è stato accolto il ricorso proposto dal Governo contro la Regione Sardegna per l’annullamento della «Prima dichiarazione di intenti per una cooperazione commerciale tra la Regione autonoma della Sardegna e la Repubblica Ceca», negoziata e sottoscritta senza dare informazione allo Stato. Nella circostanza la Corte si è astenuta dall’esaminare il contenuto del documento, considerando dirimente il vizio di procedura.

In sede di commento è stata sottolineata la mancanza del ricono-scimento costituzionale del potere estero, che differenziava, allora, la Costituzione italiana da altre Carte fondamentali, quale il Grundgesetz della Repubblica federale tedesca. Secondo questa tesi, la lacuna ostava a «che le attività estere delle Regioni po[tessero] essere costruite come

interno e diritto internazionale e comunitario, in Dir. pubbl. comp. eur. 2002, 1355. Rilievi di metodo già in M. CAMMELLI, Amministrazione e (interpreti) di fronte al novo Titolo V della Costituzione, in questa Rivista 2001, 1285.

66 V. nn. 5-6 Cons. dir.67 Ibidem.68 Il riferimento è S. BARTOLE, Negoziazioni regionali all’estero e assensi o in-

tese statali, in questa Rivista 1994, 624 ss., donde le citazioni riportate di seguito nel testo.

69 V. ad es. P. CARETTI, Verso un superamento della distinzione cit.

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manifestazione di una competenza regionale propria, fondata sulla Co-stituzione, irrevocabile se non nella forma della revisione costituzionale e sottoposta ai normali controlli sull’esercizio delle competenze regio-nali». Pertanto si sarebbe trattato di una «competenza per così dire aggiuntiva... assegnata per volontà del legislatore al di là dei termini segnati dall’art. 80 Cost. e dal legislatore sempre revocabile»; da ciò sarebbe derivata la peculiare incisività dei controlli governativi70.

Se si volge lo sguardo al presente, la tesi richiamata offre spunti per valutare problematicamente la legislazione attuativa dell’ultimo comma dell’art. 117 Cost.: oggi che la «regola fondamentale» indi-viduata nella sent. n. 179 del 1987 è stata capovolta, e la Costitu-zione impone di muovere dal dato opposto, costituito dal principio di un «concorso»71 di Stato e Regioni nella stessa titolarità del po-tere estero, potrebbe proporsi una lettura in positivo della sent. n. 179, sino a guardare con sospetto alla tipizzazione legislativa delle at-tività internazionali delle Regioni effettuata dalla l. n. 131 del 2003, art. 6, di seguito descritta. Potrebbe, cioè, sostenersi che i soli limiti prefigurati dalla Costituzione attengano all’esercizio del potere estero regionale, che deve essere tale da non compromettere il carattere necessariamente unitario della politica estera dello Stato, senza però che il legislatore – ancora oggi, come in passato – possa circoscri-vere ex ante le relazioni internazionali delle Regioni in moduli tipici e chiusi72.

70 Sempre S. BARTOLE, op. ult. cit.71 In questi termini, E. CANNIZZARO, Gli effetti degli obblighi internazionali e le

competenze estere di Stato e Regioni, in Le istituzioni del federalismo 2002, 19.72 La superiore considerazione meriterebbe, peraltro, di essere tenuta ferma an-

che qualora non si condividesse l’idea che l’art. 117, comma 9, Cost. abbia sancito la contitolarità del potere estero da parte delle Regioni. Ed infatti, anche a ritenere che «la nuova disciplina costituzionale incid[a]... non sulla questione della sogget-tività internazionale, ma [soltanto] sulla competenza a stipulare, riconoscendo alle Regioni... la capacità di esprimere validamente decisioni politiche anche mediante attività che abbiano una dimensione internazionale» dovrebbe giungersi comunque alla conclusione che «le Regioni... potranno, in tal modo, e alle condizioni dettate dalla legge statale, concorrere a manifestare la volontà repubblicana, stipulando ac-cordi che impegneranno lo Stato, quale unico soggetto di diritto internazionale, nei confronti delle altre Parti contraenti», così O. SPATARO, Il potere estero delle Regioni cit., 30; ma v. già R. CAFARI PANICO, La nuova competenza delle Regioni nei rapporti internazionali, in Dir. pubbl. comp. eur. 2002, 1327, il quale, sviluppando spunti pre-senti in B. CARAVITA, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V, Torino 2002, 117 ss., ha osservato che «la soggettività internazionale rimane sempre e solo quella della Repubblica, che si manifesta tramite gli accordi conclusi tanto dallo Stato quanto dalle Regioni», poiché Stato e Regioni «concorrono a manifestare la volontà della

I POTERI DI INDIRIZZO E CONTROLLO DEL GOVERNO SULLE ATTIVITÀ... 35

7. L’art. 6 della legge La Loggia al vaglio della Corte costituzionale. Profili problematici dei ricorsi regionali

Come anticipato, l’art. 6 della legge La Loggia ha tipizzato le attività internazionali delle Regioni, secondo la tecnica adoperata in passato dagli atti di indirizzo e coordinamento. Il legislatore del 2003, codificando acquisizioni giurisprudenziali e precedenti norma-tivi comunque anteriori alla riforma del Titolo V, ha preso in consi-derazione le seguenti attività: intese concluse da Regioni e Province autonome, nelle materie di propria competenza legislativa, con enti territoriali interni ad altro Stato, dirette a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale, nonché a realizzare attività di mero rilievo internazionale (comma 2); accordi conclusi dai medesimi enti nelle stesse materie con altri Stati esecutivi ed applicativi di accordi internazionali regolarmente entrati in vigore, o accordi di natura tec-nico-amministrativa, o accordi di natura programmatica finalizzati a favorire lo sviluppo economico, sociale e culturale (comma 3).

Gli obblighi procedimentali previsti nelle due ipotesi sono stati differenziati: mentre nel primo caso è sufficiente che la Regione dia comunicazione prima della firma alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per gli Affari Regionali (D.A.R.) ed al Mi-nistero degli Affari Esteri (M.A.E.), nel secondo caso essa è tenuta a dare alle stesse strutture tempestiva comunicazione dell’avvio delle trattative, così da consentire al M.A.E. l’indicazione di principi e criteri da seguire nella stessa conduzione dei negoziati73. Comun-que, prima di sottoscrivere l’accordo la Regione deve, anche in que-

Repubblica unitariamente intesa traendo dalla Costituzione la propria legittima-zione». Ulteriori sviluppi in E. SCISO, I rapporti internazionali delle Regioni: poteri, competenze, limiti, in Studi sui rapporti internazionali e comunitari delle Regioni cit., 64-66; ed in M. BUQUICCHIO, La «nuova» disciplina delle intese cit., 210 ss.

73 Dal vademecum predisposto dal Ministero degli Affari Esteri si apprende che la procedura si snoda attraverso i seguenti passaggi: dapprima, la Regione invia al M.A.E. (Segreteria Generale – Unità per le attività di rilievo internazionale delle Re-gioni) e al Dipartimento per gli Affari Regionali della Presidenza del Consiglio la bozza di accordo: la S.G.-U.R. dirama la bozza al servizio del contenzioso, all’ufficio legislativo e alle direzioni generali competenti, per il parere di rispettiva competenza. Dal canto suo, il D.A.R. trasmette la bozza ad altri ministeri eventualmente compe-tenti. Raccolti tutti i pareri, la S.G.-U.R. risponde alla Regione. Se in esito alla va-lutazione della bozza scaturisce parere positivo, la Regione è autorizzata alla prose-cuzione delle trattative; in alternativa, alla Regione vengono indirizzate osservazioni tese ad introdurre eventuali modifiche al progetto di accordo. Il vademecum ministe-riale prevede come termine indicativo di conclusione di tale fase 45 giorni dalla data di ricezione della bozza di accordo.

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sto caso, comunicare il relativo progetto al M.A.E. Questo, sentito il D.A.R., ed accertata l’opportunità politica e la legittimità dell’ac-cordo, se del caso conferirà i pieni poteri di firma, in conformità agli strumenti internazionali74.

Il legislatore ha dunque assoggettato ad un doppio controllo, o se si preferisce ad un controllo suddiviso in due fasi, la sola attività internazionale espletata dalle Regioni in rapporto ad altri Stati, pre-vedendo in questo caso un coinvolgimento del Governo anche nella fase che precede la formazione dell’atto: il Governo è messo, così, nelle condizioni di partecipare alla determinazione del contenuto dell’accordo.

Come accennato, l’enumerazione degli atti di rilievo internazio-nale desta perplessità. Oltre agli accordi esecutivi ed applicativi di trattati già esistenti, nell’art. 6 si menzionano solo accordi di natura tecnico-amministrativa e accordi programmatici per lo sviluppo: l’espresso richiamo a questi due tipi di accordi, insieme all’esame dei lavori preparatori, parrebbe deporre per il carattere tassativo della elencazione75.

Al riguardo, non si può omettere di ricordare che la Corte costi-tuzionale, con la sent. n. 238 del 200476, ha tenuto indenne l’art. 6, l.

74 Dal succitato vademecum si desume la complessità anche di questa seconda fase, avviata dalla richiesta dei pieni poteri di firma da parte della Regione, una volta che questa abbia negoziato con la controparte straniera il testo definitivo dell’ac-cordo, recante gli emendamenti eventualmente richiesti nella prima fase. La richiesta di pieni poteri dà – infatti – avvio ad una nuova procedura di consultazione, desti-nata a concludersi entro il termine indicativo di 60 giorni. È in questa fase che av-viene la valutazione finale dell’opportunità politica e della legittimità formale dell’ac-cordo. A tale scopo, la S.G.-U.R. trasmette il testo alla direzione generale geografica competente e, per conoscenza, agli uffici ministeriali già interessati nella prima fase e al D.A.R., con la seguente formula: «(...) La DG (...), anche sulla base dei pareri degli altri Uffici competenti, e sentito il Dipartimento per gli Affari Regionali, è in-vitata a voler valutare l’opportunità complessiva del conferimento dei pieni poteri di firma al Presidente... e, in caso positivo, a trasmettere la richiesta al Servizio del Con-tenzioso, per al predisposizione dell’apposito telegramma da sottoporre all’approvazione del Gabinetto dell’On. Ministro». Il D.A.R. provvede a informare gli altri ministeri competenti e, entro un termine indicativo di 50 giorni, trasmette al Ministero il pa-rere complessivo delle amministrazioni centrali coinvolte. Infine, verificato il rispetto delle condizioni di legge, il Ministero conferisce i pieni poteri al Presidente della Regione con telegramma a firma del Ministro.

75 Sul punto, v. il commento di E. CRIVELLI, in L’attuazione del nuovo Titolo V, parte II della Costituzione, a cura di P. CAVALERI ed E. LAMARQUE, Torino 2004, partic. 154 e nota 30.

76 Annotata da R. DICKMANN, La Corte costituzionale ed il «potere estero» delle Regioni e delle Province autonome, in www.federalismi.it 2004.

I POTERI DI INDIRIZZO E CONTROLLO DEL GOVERNO SULLE ATTIVITÀ... 37

n. 131 del 2003 dalle censure prospettate dalla Provincia autonoma di Bolzano e dalla Regione Sardegna.

Nella circostanza, in effetti, i profili di illegittimità addotti77 non hanno riguardato l’elenco di accordi contenuto nella disposizione, ma l’incisività dei controlli attribuiti al Governo: si era affermato, nei ricorsi, che «la disciplina statale non potrebbe riguardare altro che i “casi” e le “forme” degli accordi e delle intese, mentre l’impugnato art. 6 [sarebbe] and[ato] oltre, non limitandosi ad individuare i tipi di accordi che le Regioni possono concludere con altri Stati e a fis-sare regole procedurali, ma prevedendo poteri di ingerenza nel me-rito da parte dello Stato suscettibili di eliminare sostanzialmente il potere di decisione regionale»78.

I richiamati profili di ricorso fanno emergere un dato per certi versi paradossale, poiché i rilievi mossi contro l’art. 6 hanno riguar-dato proprio quella parte della disciplina che sembra più facilmente legarsi al limite della politica estera dello Stato (ed al suo carattere necessariamente unitario), espressamente considerato dall’art. 117, comma 2, Cost., mentre si nota – per così dire – l’«acquiescenza» delle ricorrenti rispetto alla limitazione degli accordi regionali ope-rata in via generale e astratta dalla legge.

È pur vero che tale operazione, a livello testuale, parrebbe ricon-ducibile all’art. 117, comma 9, Cost., nella parte in cui allude alla disciplina statale dei «casi» in cui «la Regione può concludere ac-cordi (...) e intese»79. Tuttavia, ad attribuire un peso troppo elevato all’argomento letterale, si perverrebbe all’assurdo risultato di negare valore precettivo allo stesso riconoscimento costituzionale del potere estero regionale: un potere che la legge statale potesse circoscrivere e ridimensionare liberamente sarebbe, infatti, oggetto di una garan-

77 ... Oltre ad investire, complessivamente, il carattere analitico della disciplina impugnata, in una materia asseritamente oggetto di potestà legislativa concorrente.

78 N. 1 Cons. dir.79 Per la posizione secondo cui la disposizione costituzionale assegnerebbe alla

legge statale il compito di delimitare anche sul piano sostanziale il potere estero re-gionale, A. D’ATENA, La nuova disciplina costituzionale dei rapporti internazionali e con l’Unione Europea, in Rass. parl. 2002, 932; nello stesso senso, tra gli altri, F. PA-LERMO, Titolo V e potere estero delle Regioni. I vestiti nuovi dell’imperatore, in Le istituzioni del federalismo 2002, 721 s., il quale, però, ha fatto notare che «l’inqua-dramento concreto della singola attività regionale» potrebbe risultare, nei fatti, pro-blematico. Di recente, il dibattito in argomento è stato ripercorso da O. SPATARO, Il potere estero delle Regioni cit., 3; e 26 ss., ove ampi riferimenti, nonché la sottolinea-tura della «naturale potenzialità espansiva» dell’innovazione costituzionale.

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zia costituzionale solo apparente80. Non a caso, è stato rilevato che «preserva[ndo] integro il quadro degli accordi che le Regioni sono abilitate a concludere con soggetti di altri ordinamenti, così come de-scritto nella legge» il giudice delle leggi è sembrato avallare «una let-tura... non poco restrittiva del potere contrattuale costituzionalmente riconosciuto alle Regioni... ora svilito ad una condizione meramente servente rispetto agli accordi fatti dallo Stato, “applicati” (rectius, “attuati”) in ambito locale, ora comunque circoscritto a manifesta-zioni poco gratificanti per l’autonomia, verosimilmente inadeguate ad appagare in pieno il bisogno delle Regioni di raccordarsi in modo ef-ficace con enti esterni, in vista di un’ottimale cura degli interessi loro affidati»81.

80 A tale proposito, è stato fatto notare che «la legge di attuazione sembra... ben al di là del mandato, ad essa conferito dalla Costituzione, di regolamentare le moda-lità di esercizio del potere delle Regioni di concludere accordi e appare piuttosto ispirata all’intento di elidere del tutto la competenza regionale, e riaffermare l’asso-luta unitarietà dello Stato sul piano dei rapporti internazionali. Questa concezione... ha l’effetto di vanificare una delle soluzioni più originali della riforma costituzio-nale... Averne svuotato il contenuto, e reso illusoria la portata innovativa attraverso un sistema così pervasivo di limiti non costituisce certamente uno fra i meriti mag-giori della legge», così E. CANNIZZARO, Le relazioni esterne delle Regioni nella legge di attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione, in Riv. dir. int. 2003, 761 s. Per l’opinione che il «treaty-making power regionale» sarebbe «tale solo nella forma», esaurendosi «nella sostanza in un mero diritto di proposta da parte delle Regioni, sempre discrezionalmente limitabile dal Governo», cfr. F. PALERMO, Il potere estero cit., 174, il quale ha ritenuto che «non poteva essere altrimenti». Tuttavia, «contro i tentativi di svuotamento della nuova attribuzione costituzionale di cui all’u.c. dell’art. 117» Cost. altri fa rilevare «il “verso” necessariamente “incrementale” della revisione del Titolo V, per quanto riguarda la disciplina delle nuove attribuzioni regionali»: così G. PARODI, Il potere estero delle Regioni e delle Province autonome italiane, in Dir. pubbl. comp. eur. 2004, 781.

81 A. RUGGERI, Molte conferme (e qualche smentita) nella prima giurisprudenza sulla Legge La Loggia, ma senza un sostanziale guadagno per l’autonomia (a mar-gine di Corte cost. nn. 236, 238, 239 e 280/2004), in www.federalismi.it 2004, par. 3; v. anche ID., Note minime cit., 203 s., per la tesi che l’art. 117, comma 9, Cost. «perderebbe la gran parte del suo significato e vedrebbe dunque disperso il suo potenziale... innovativo», se davvero «gli unici accordi (in senso lato) raggiungibili dalle Regioni fossero quelli di attuazione ed esecuzione degli accordi stipulati dallo Stato»: «le Regioni, piuttosto, oltre a dare attuazione ed esecuzione agli accordi statali, ne possono fare di propri: ovviamente, nell’un caso e nell’altro, per le sole materie di loro spettanza e, comunque, alle condizioni e nei limiti (sostanziali e procedimentali) fissati dalla legge statale, in rispondenza al canone di “leale cooperazione” e in vi-sta di un’equilibrata composizione delle esigenze di unità e di quelle di autonomia» (corsivi testuali).

I POTERI DI INDIRIZZO E CONTROLLO DEL GOVERNO SULLE ATTIVITÀ... 39

Se pure si è riferito che la Corte, nella vicenda decisa con la sent. n. 238, non era stata direttamente chiamata a pronunciarsi sulla limitazione legislativa degli accordi stipulabili dalle Regioni, sembra che il giudice costituzionale avrebbe potuto comunque esercitare il proprio sindacato su siffatta elencazione senza violare il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato: a tal fine, la Corte avrebbe potuto concretizzare i generici profili di cen-sura addotti dalle ricorrenti con riguardo al carattere analitico della l. n. 131 del 2003 nella materia concorrente dei «rapporti interna-zionali... delle Regioni».

8. L’elencazione tassativa degli accordi che le Regioni possono stipulare

Invero, la limitazione «per tipi» dei raccordi delle Regioni con enti esterni ad opera della legge La loggia appare incongrua anche alla luce di alcune affermazioni contenute nella sent. n. 387 del 2005.

Nella circostanza la Corte ha respinto il ricorso proposto con-tro l’art. 13, l.r. Veneto n. 2 del 2003, recante «Nuove norme a fa-vore dei veneti nel mondo e agevolazioni per il loro rientro». La di-sposizione prevede che «la Giunta regionale, nel caso si verifichino all’estero calamità naturali o particolari eventi sociali, economici o politici, può stipulare accordi con il Governo interessato che preve-dano prestazioni di tipo socio-sanitario» a favore dei veneti emigrati. Secondo il ricorrente, la disposizione sarebbe stata illegittima, poiché la legge regionale era entrata in vigore prima che lo Stato perfezio-nasse e delimitasse il disegno tracciato dall’art. 117, comma 9, Cost.: la disposizione, secondo il Governo, avrebbe tratteggiato un qua-dro di massima necessariamente destinato ad essere «circoscritt[o] da norme statali interposte»82. Così, la Regione avrebbe dovuto at-tendere l’adozione della legislazione attuativa, entrata in vigore solo nelle more del giudizio.

Ai fini della decisione sarebbe stato sufficiente rilevare la soprav-venuta adozione della l. n. 131 del 2003. La Corte, però, si è sentita in dovere di sottolineare «la novità che discende dal mutato quadro costituzionale», in cui «le Regioni, nell’esercizio della potestà loro ri-conosciuta, non operano... come “delegate” dello Stato, bensì come soggetti autonomi che interloquiscono direttamente con gli Stati

82 N. 1 Ritenuto in fatto.

40 D. MESSINEO

esteri» (seppure – si intende – «nel quadro di garanzia e di coordina-mento apprestato dai poteri dello Stato»)83.

L’assunto secondo cui l’entrata in vigore della legislazione statale di attuazione non rappresentava l’antecedente giuridico necessario all’esercizio del potere estero regionale, direttamente fondato nella Costituzione, già di per sé acquista una portata sistematica, poiché impedisce di riconoscere alla legge La Loggia la funzione di perfezio-nare la devoluzione del potere alle Regioni: il rilievo, da solo, offre argomenti per affermare l’illegittimità della pretesa statale di fissare un elenco prestabilito di relazioni regionali tipiche84.

Ma è, forse, ancor più significativo notare come il giudice costitu-zionale, pur prendendo atto della tipizzazione degli accordi regionali (frattanto) operata dall’art. 6, l. La Loggia, e pur richiamandone il collegamento con la lettera dell’art. 117, comma 9, Cost., abbia sotto-lineato che «il Governo [potrebbe] legittimamente opporsi alla con-clusione di un accordo da parte di una Regione, contenuto nei limiti stabiliti dall’art. 117, nono comma, della Costituzione, solo quando ritenga che esso pregiudichi gli indirizzi e gli interessi attinenti alla politica estera dello Stato»85.

A ben vedere, isolando tale affermazione e rileggendola in posi-tivo, dovrebbe dirsi che non spetti al Governo opporsi alla stipula di un accordo regionale in ipotesi esorbitante dai tipi indicati nell’art. 6, l. n. 131, qualora esso non intacchi l’unitario indirizzo della poli-tica estera statale: ciò mette certo in luce la scarsa razionalità della vi-gente disciplina statale, e la necessità di adottarne un’interpretazione anti-letterale.

Deve pure rilevarsi che talvolta la Corte, nel sindacare leggi regio-nali adottate per la disciplina del potere estero, ha del tutto omesso di confrontare la congruità degli accordi in esse previsti rispetto ai figurini elencati nella legge La Loggia. In questo modo, il giudice costituzionale sembra suggerire alle parti di spostare, eventualmente,

83 N. 3 Cons. dir.84 Ed infatti, a suo tempo era stato rilevato che «se l’assenza di normativa di

attuazione non può condizionare l’esercizio del potere di conclusione di accordi, in quanto esso è fondato direttamente sull’art. 117, nono comma, della Costituzione, a maggior ragione tale normativa non dovrebbe poter contenere regolamentazioni così restrittive da svuotarlo di contenuto», E. CANNIZZARO, Le relazioni esterne delle Re-gioni cit., 760.

85 N. 3 Cons. dir., corsivo non testuale.

I POTERI DI INDIRIZZO E CONTROLLO DEL GOVERNO SULLE ATTIVITÀ... 41

l’attenzione sul particolare contenuto che in futuro le Regioni proget-teranno di dare agli accordi medesimi86.

Anche in questo caso, l’atteggiamento del giudice delle leggi ri-sulta sintomatico del riconoscimento di una precettività estrema-mente debole alle categorie elencate nell’art. 6, l. n. 131: la scelta della Corte tradisce, in fondo, l’impossibilità di ricostruire, ex ante ed una volta per tutte, cataloghi di manifestazioni dell’autonomia re-gionale tipicamente lesive della (o, viceversa, tipicamente neutre ri-spetto alla definizione della) politica estera statale87.

A questo proposito, può essere ricordato che talvolta anche al-cune leggi regionali sono state censurate a causa della loro contra-rietà alla riserva statale in tema di politica estera: così, ad esempio, nella sent. n. 285 del 1997, la Corte ha colpito una legge valdostana volta ad introdurre una tassa di circolazione da applicarsi a carico dei veicoli commerciali in entrata ed in uscita dal traforo del Monte Bianco. La Regione, per affermare la propria competenza, aveva in-vocato la funzione di protezione dell’ambiente assolta dalla ridetta tassa, destinata a colpire automezzi le cui immissioni non erano con-formi ai limiti previsti dalla legislazione contro l’inquinamento. La Corte ha adottato una soluzione diversa, ponendo l’accento sulla «ri-levanza oggettivamente internazionale» del traforo, sito al confine tra Italia e Francia, ed oggetto di diverse convenzioni internazionali88: la legge regionale impugnata aveva determinato, secondo la Corte,

86 Cfr., ad es., la sent. n. 242 del 2003, in cui la Corte ha respinto il ricorso avente ad oggetto l’art. 48, l.r. Friuli-Venezia Giulia n. 16 del 2002 in relazione all’art. 117, comma 2, lett. a) e comma 9 Cost., agli artt. 1, 4, 5 e 6 dello Statuto della Regione di cui alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, e all’art. 3, d.P.R. n. 469 del 1987 notando, tra l’altro, come «la violazione della norma costituzionale [fosse] prospettata nel ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri solo in via ipotetica e la doglianza [fosse] volta a censurare intese ed accordi con altri Stati che non risultano in alcun modo stipulati», n. 4 Cons. dir.

87 Anche per chi ha ritenuto che «tutto o quasi è possibile alle Regioni in am-bito estero con il consenso dello Stato, e nulla o quasi in mancanza di tale con-senso», ed ha «saluta[to] con favore» la disciplina apportata dalla legge La Loggia, è stato «inevitabile domandarsi se, in luogo di dettagliate e necessariamente rigide pre-visioni normative (spesso nate vecchie perché si limitano a cristallizzare nella norma la situazione di un dato momento storico in rapida evoluzione...) non risulti più ef-ficace una previsione legislativa quanto più agile e aperta possibile, per consentire un proficuo dispiegarsi della dialettica “azione-diritto”, ossia della contrapposizione, dialetticamente produttiva di nuovo diritto, tra l’attività delle Regioni e l’inquadra-mento che in caso di conflitto abbia a darne la giurisprudenza costituzionale», così F. PALERMO, Il potere estero cit., 175.

88 N. 3 Cons. dir.

42 D. MESSINEO

«un’indebita ingerenza della Regione in un ambito – come quello della conclusione di un accordo con uno Stato estero – certamente di spettanza statale senza possibilità di interferenze da parte di altri enti territoriali»89.

La vicenda ora richiamata appare significativa, poiché corrobora la notazione secondo cui l’idoneità degli atti regionali ad incidere le linee della politica estera dello Stato risulta sganciata dall’appar-tenenza a generi predeterminati. Trova ulteriore conferma l’idea che circoscrivere in via generale e astratta le manifestazioni dell’autono-mia regionale costituisce una misura non solo sproporzionata rispetto alla salvaguardia dell’unità di indirizzo di politica estera, ma, per certi versi, persino inidonea allo scopo90: quelle stesse lesioni che con tale preclusione si intenderebbe evitare, potrebbero essere comunque realizzate attraverso atti di tipo diverso, ad esempio – appunto – con legge regionale.

Sembra, allora, che l’unitario indirizzo di politica estera non possa essere preservato se non mediante un controllo in concreto, ef-fettuato di volta in volta dal Governo sui particolari atti di esercizio del potere estero regionale, senza fare affidamento su divieti di or-dine generale, la cui legittimità costituzionale appare assai dubbia91.

9. (segue): ...ed i germi del suo superamento

In effetti, dall’esame della giurisprudenza costituzionale potreb-bero trarsi spunti nel senso del superamento in via interpretativa di alcuni dei limiti posti dalla legge La Loggia al potere contrattuale co-stituzionalmente riconosciuto alle Regioni. Occorre prendere le mosse dalla sent. n. 285 del 2005, in cui la Corte costituzionale, tra l’altro, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità prospettata dalla

89 N. 4 Cons. dir.90 Sui vari controlli implicati dal sindacato di proporzionalità, tra molti, N. EMI-

LIOU, The principle of proportionality in European law: a comparative study, Londra 1996; e G. SCACCIA, Gli «strumenti» della ragionevolezza del giudizio costituzionale, Milano 2000, 263 ss.

91 Sembra speculare a quella assunta nel testo la posizione di M. OLIVETTI, Il potere estero cit., 1443 s., il quale ha posto l’accento sul riferimento costituzionale alla predeterminazione dei «casi» di esercizio del potere estero regionale per affer-mare che «la funzione della legge di cui all’art. 117, co. 9» sarebbe, tra l’altro, quella di «garantire con norme generali la potestà regionale sul punto, sottraendo la de-terminazione della... portata» degli interventi delle Regioni «a valutazioni effettuate volta per volta dal Governo statale».

I POTERI DI INDIRIZZO E CONTROLLO DEL GOVERNO SULLE ATTIVITÀ... 43

Regione Emilia-Romagna relativamente all’art. 6, d.lgs. n. 28 del 2004, nella parte in cui prevede la stipula di accordi internazionali di reciprocità relativi al riconoscimento come nazionali di opere ci-nematografiche realizzate in coproduzione con imprese estere. «Sul duplice presupposto della competenza legislativa regionale nella materia, e dell’interpretazione secondo la quale dall’insieme delle disposizioni contenute nell’art. 6 risulterebbe “che l’accordo inter-nazionale è concepito come concluso dallo Stato”, la Regione ricor-rente [aveva] argomenta[to]» per l’illegittimità di tale riserva statale, poiché invece, «una volta stabiliti criteri uniformi per il riconosci-mento alle coproduzioni internazionali della nazionalità italiana, “do-vrebbe spettare anche alle Regioni il potere di concludere accordi di coproduzione”»92: di qui, l’asserito contrasto con l’art. 117, comma 9, Cost.

Va rilevato come la Corte, nel rigettare la questione, abbia con-siderato «evidente che nell’ipotesi in cui, al termine della procedura prescritta appunto dall’art. 6, comma 3, della l. n. 131 del 2003, si giunga effettivamente alla stipula di un accordo internazionale in tale particolare ambito, questo accordo disporrà della efficacia sua pro-pria, in quanto speciale e successivo rispetto ai preesistenti accordi internazionali stipulati dallo Stato»93. La Corte ha dunque offerto della disposizione impugnata un’interpretazione diversa da quella prospettata dalla ricorrente, negando la lamentata compressione del potere estero regionale.

L’argomento riportato, con cui il giudice costituzionale ha supe-rato le doglianze della Regione, appare fugace: nondimeno, esso con-tiene una chiara presa di posizione in merito alla possibilità, per le Regioni, di stipulare accordi vertenti su oggetti già lambiti da trattati statali.

Il rilievo suggerisce di riconsiderare l’effettiva portata degli «ob-blighi internazionali», menzionati dall’art. 6, comma 3, l. n. 131 del 2003 quale limite al potere estero regionale.

Invero, sembra che la prassi ministeriale abbia ricostruito il vin-colo con larghezza: nelle linee guida relative al procedimento per la conclusione degli accordi delle Regioni con Stati stranieri, diramato dalla Segreteria generale del Ministero degli Affari Esteri – Unità per le attività di rilievo internazionale delle Regioni, si legge che, a seguito della richiesta di pieni poteri da parte della Regione,

92 N. 2.5 Ritenuto in fatto.93 N. 6 Cons. dir.

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nell’ambito della valutazione dell’opportunità politica e della legit-timità formale dell’accordo, «avrà luogo», tra l’altro «un’approfon-dita analisi» della «coerenza dell’accordo con lo stato delle relazioni bilaterali e con il quadro pattizio in vigore tra l’Italia e la contro-parte estera».

Le linee guida alludono, dunque, al rispetto del «quadro patti-zio in vigore» complessivamente considerato, senza fare distinzione tra accordo e accordo. Sembra, allora, che il generico riferimento operato dalla legge agli obblighi internazionali sia stato – per così dire – «sublimato» in un limite ben più incisivo e penetrante, sul presupposto che il Governo possa paralizzare le iniziative regionali adducendo l’esigenza di rispettare indistintamente tutti i trattati in vigore. La possibilità di accordi regionali di carattere «speciale e successivo» (per usare le parole di Corte cost. n. 285 del 2005), che contengano previsioni particolari e specifiche rispetto a precedenti accordi quadro stipulati dallo Stato non risulta nemmeno conside-rata. A ciò si aggiunga che valorizzando al massimo gli spazi aperti dalla presa di posizione del giudice costituzionale potrebbero per-sino ammettersi soluzioni innovative e derogatorie, introdotte in via pattizia dalle Regioni, con riferimento a profili di dettaglio. A mag-gior ragione, allora, pare di riscontrare uno scollamento tra la let-tura del potere estero regionale presupposta dalla Corte e la prassi governativa.

Più in generale, la soluzione accolta nella sent. n. 285 spinge a valutare problematicamente la stessa tipizzazione legislativa degli atti che le Regioni possono concludere, atteso che, in relazione alla vicenda considerata dalla Corte, non si riesce ad immaginare un accordo regionale speciale e successivo rispetto al vigente quadro pattizio, che possa rientrare tra le categorie contemplate dall’art. 6, comma 3, della legge La Loggia: l’art. 6, d.lgs. n. 28 del 2004, og-getto di attenzione da parte della Corte, ha – infatti – la funzione di ammettere accordi internazionali di reciprocità che deroghino ai requisiti (minuziosamente) previsti dal d.lgs. medesimo per il rico-noscimento della nazionalità italiana dei film prodotti, con riferi-mento ai «lungometraggi ed [a]i cortometraggi realizzati in copro-duzione con imprese estere». Ed allora, i prefigurati atti regionali di esercizio dello jus contrahendi considerato da tale disposizione non si lascerebbero inquadrare né tra gli «accordi di natura tecnico-am-ministrativa», né tra gli «accordi di natura programmatica finalizzati a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale», né tra gli «accordi esecutivi ed applicativi di accordi internazionali regolar-mente entrati in vigore», trattandosi, invece, di fonti internazionali

I POTERI DI INDIRIZZO E CONTROLLO DEL GOVERNO SULLE ATTIVITÀ... 45

richiamate omisso medio dalla legge statale, e da questa abilitate a derogarvi94.

La vicenda ora richiamata induce, allora, a ritenere che il germe del superamento della tipizzazione legislativa delle attività interna-zionali delle Regioni si trovi «in incubazione» nelle pieghe di talune sentenze costituzionali recenti: e tuttavia, si vedrà pure che, accanto a queste, vi sono altre sentenze che tratteggiano una tendenza oppo-sta95. Prima di introdurre l’esame di tale ulteriore filone giurispru-denziale occorre però completare l’analisi di una vicenda già in parte accennata.

10. L’intervento del Governo nel corso dei negoziati regionali e la sua problematica sindacabilità

La citata sent. n. 238 del 2004, oltre a quelli già riferiti96, ha sol-levato ulteriori motivi di perplessità, relativi alla lettura offerta circa i poteri di controllo del Governo.

In proposito, la Corte ha precisato il senso dell’indicazione di «“principi e criteri” da seguire nella conduzione dei negoziati, di cui è parola nel terzo periodo del comma 3, al pari dei “criteri e osservazioni” cui si riferisce il comma 1». Questi, si è detto, «non vanno intesi come direttive vincolanti in positivo quanto al conte-nuto degli accordi, bensì solo come espressione delle esigenze di salvaguardia degli indirizzi della politica estera, e dunque come specificazione del vincolo generale nascente a carico della Regione dalla riserva allo Stato della competenza a formulare e sviluppare tali indirizzi, e dal conseguente divieto di pregiudicarli con attività e atti di essi lesivi»97.

94 Qualora, poi, in attuazione dell’art. 6, d.lgs. n. 28 del 2004, si realizzasse un concorso di accordi statali e regionali, potrebbe farsi riferimento all’auspicio, formu-lato da A. RUGGERI, Riforma del Titolo V e potere estero delle Regioni cit., 32, di «un esito che veda gli accordi fatti dallo Stato ed incidenti sulle materie regionali conformarsi... come meri “accordi quadro”, coi quali pertanto lo Stato si limiti ad obbligarsi unicamente quanto agli obiettivi ma si rimetta in ordine ai mezzi da ap-prestare per il loro conseguimento alle determinazioni specificamente poste in essere dalle Regioni (e solo “sussidiariamente”, eccezionalmente dallo Stato stesso)»; ma in proposito v. anche P. CARETTI, Il limite degli obblighi internazionali cit., 71.

95 V. infra par. 11.96 V. supra par. 6.97 N. 8 Cons. dir.

46 D. MESSINEO

Ora, persino chi ha valorizzato le affermazioni del giudice co-stituzionale, per desumerne il superamento del previgente sistema98, segnato dalla partecipazione «in positivo» del Governo alla determi-nazione del contenuto dell’accordo, ha espresso taluni dubbi. Così, è stato detto che oggi, alla stregua della lettura adeguatrice di cui alla sent. n. 238 del 2004, il ruolo del Governo dovrebbe limitarsi ad un «controllo esterno» sull’atto: ma «la difficoltà di ricostruire un unita-rio indirizzo politico dello Stato in materia internazionale, la necessità di tenere conto di nuove circostanze, in taluni casi la esigenza di ri-servatezza se non di segretezza delle decisioni governative: sono tutti fattori capaci di mettere in crisi la distinzione tra controllo e con-senso, che si è creduto di ravvisare nella sent. n. 238, e alla quale pa-reva affidata la garanzia della posizione regionale»99. Si vuol dire che il carattere trasversale e aprioristicamente indeterminabile del vincolo costituito dagli indirizzi di politica estera dello Stato non sembra of-frire alla Corte un saldo parametro di giudizio per censurare prevari-cazioni governative: ed anzi, è stato preconizzato che principi e cri-teri dettati dal Governo potrebbero facilmente ricevere una connota-zione in senso forte, «tale da portare alla vera e propria redazione di cataloghi minuti e penetranti di comportamenti», complessivamente in grado di ridimensionare fortemente il ruolo delle Regioni100.

A ciò si aggiunga che il sindacato della Corte costituzionale sulle motivazioni di volta in volta addotte per paralizzare le iniziative re-gionali potrebbe risultare assai scivoloso, rischiando di coinvolgere il giudice delle leggi in valutazioni di natura politica, ad esso pre-cluse101. Così, sebbene nella sent. n. 238 del 2004 la Corte abbia sot-tolineato che le osservazioni ed i criteri del Governo dovranno essere

98 ...In controtendenza rispetto alla percezione, invero diffusa, «di una fortis-sima continuità» della sent. n. 238 «rispetto agli orientamenti fatti propri dalla Corte costituzionale prima della riforma, orientamenti che del resto sono puntualmente richiamati in motivazione, e dai quali la Corte mostra di non volersi affatto distac-care», cfr. P. GIANGASPERO, Specialità regionale e rapporti internazionali, in questa Rivista 2006, 67.

99 A. AMBROSI, Politica estera e «attività internazionale delle Regioni» in una sen-tenza interpretativa di rigetto sull’art. 6 della legge n. 131 del 2003, in questa Rivista 2005, 206 ss., partic. 217.

100 A. RUGGERI, Molte conferme cit. «L’affermazione relativa alla compatibilità dei vincoli previsti dalla l. n. 131 del 2003 con il carattere “proprio” delle compe-tenze regionali, a fronte di una disciplina restrittiva come quella della l. n. 131 del 2003, non è particolarmente argomentata, e lascia alcuni dubbi» a P. GIANGASPERO, Specialità regionale e rapporti internazionali cit., 72.

101 Cfr. A. AMBROSI, Politica estera e «attività internazionali delle Regioni» cit., 214 s.; e C. DE FIORES, Riserva allo Stato dei rapporti internazionali cit., 3015.

I POTERI DI INDIRIZZO E CONTROLLO DEL GOVERNO SULLE ATTIVITÀ... 47

«sempre e soltanto relativi alle esigenze di salvaguardia delle linee della politica estera nazionale e di corretta esecuzione degli obblighi di cui lo Stato è responsabile nell’ordinamento internazionale; né po-trebbero travalicare in strumenti di ingerenza immotivata nelle auto-nome scelte delle Regioni»102, non può risultare sempre agevole per il giudice costituzionale arginare eventuali eccessi103.

La realtà è che la politica estera è per sua natura sempre in fieri, e pur essendo una materia considerata dal secondo comma del 117 come oggetto di disciplina legislativa, essa prende corpo da nume-rose e variegate iniziative, le quali solo raramente finiscono per tro-vare espressione nell’adozione di leggi104.

Il vincolo di cui all’art. 117, comma 2, lett. a) è, dunque, estre-mamente fluido e di difficile ricostruzione: paradossalmente, peraltro, la politica estera statale potrebbe definirsi anche e proprio negando il potere di firma richiesto da una Regione in relazione ad uno spe-cifico accordo; o, prima ancora, attraverso la richiesta alla Regione di bloccare le trattative o di modificare le condizioni del negoziato. Si vuol dire che si tratta di un limite la cui precisa fisionomia non sempre preesiste rispetto all’attività internazionale della Regione: in effetti, la politica estera dello Stato si definisce e si precisa anche e proprio nella dialettica tra governo centrale e governo regionale105.

Il rilievo è gravido di implicazioni: si capisce che un limite che, in via di principio, la Regione non può ricostruire a priori, non può formare l’oggetto di previsioni giuridiche precise ed esaustive. Que-sto dato ridimensiona non di poco l’effettività della garanzia costitu-zionale del potere estero regionale.

Per converso, l’azione regionale risulta maggiormente garan-tita nei casi in cui taluni aspetti della politica estera dello Stato ri-

102 N. 8 Cons. dir.103 Sul punto, v. ad es. le perplessità di C. MASTROPIERRO, Il treaty making po-

wer regionale tra novella costituzionale e legge di attuazione. Spunti di riflessione, in Studi sui rapporti internazionali e comunitari delle Regioni cit., 300 s.; cfr., poi, P. MODICA DE MOHAC, Il potere estero delle Regioni, in www.ars.sicilia.it, 2004, 38 ss., anche per una lettura dei poteri di indirizzo e controllo del Governo tributaria della concezione espansiva del principio di sussidiarietà abbracciata da Corte cost. n. 303 del 2003.

104 Cfr. P. GIANGASPERO, Specialità regionale e rapporti internazionali cit., 69; e G. PARODI, Il potere estero delle Regioni cit., 778.

105 Per la notazione che «nuove valutazioni» di politica internazionale «si po-trebbero imporre proprio in occasione dell’esame della specifica attività internazio-nale di una singola Regione», A. AMBROSI, Politica estera e «attività internazionali delle Regioni» cit., 216.

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sultino – per così dire – cristallizzati. Ciò può accadere nel quadro comunitario: ne offre un esempio la sent. n. 258 del 2004, con cui è stato deciso il conflitto sollevato dal Governo nei confronti della Regione Friuli-Venezia Giulia, della Regione Veneto e della Provin-cia autonoma di Bolzano, in ordine ad un «accordo di cooperazione transfrontaliera» da queste stipulato nel 2002 con i Länder Tirolo, Carinzia e Salisburgo della Repubblica austriaca senza previa intesa col Governo medesimo. Secondo il ricorrente, la violazione delle procedure collaborative previste dalla legge sarebbe stata in sé causa di illegittimità dell’atto; si lamentava, inoltre, la lesione della compe-tenza statale in tema di politica estera.

La Corte ha preso le mosse dalla considerazione che l’accordo stipulato dalle Regioni costituiva attuazione del programma comu-nitario denominato Interreg III A Italia-Austria, approvato con la decisione della Commissione europea del 23 novembre 2001, in at-tuazione del regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio del 21 giugno 1999, recante disposizioni generali sui fondi strutturali. L’ac-cordo prevede l’istituzione di autorità e comitati accuratamente de-scritti in conformità alle indicazioni del regolamento CE. La Corte ha testualmente notato che «nel caso in esame non si tratta di stabi-lire generici rapporti di vicinato, quanto di attuare, in modo vinco-lato, gli strumenti destinati alla utilizzazione di fondi comunitari, che già trovano in fonti comunitarie derivate, direttamente applicabili nel diritto interno, la loro disciplina»106: su questa base, essa ha rigettato il ricorso, poiché la politica estera dello Stato non potrebbe essere alterata dall’adempimento di obblighi comunitari già predefiniti sin nel dettaglio.

La Corte, in tale pronuncia, ha realizzato un controllo «per linee interne», confrontando il contenuto dell’accordo stipulato dalle Re-gioni con gli obblighi comunitari. L’esame è stato assai penetrante, sino verificare la conformità delle singole clausole alle norme del re-golamento CE. Il giudice costituzionale non si è appagato di riscon-trare l’astratta incidenza dell’accordo sul piano della politica estera, ovvero la violazione degli obblighi di collaborazione. Il rispetto della politica estera dello Stato era qui accertabile per tabulas, e ciò ha permesso di «sanare» lo scollamento delle Regioni dai paradigmi col-laborativi.

106 N. 8 Cons. dir., corsivo non testuale.

I POTERI DI INDIRIZZO E CONTROLLO DEL GOVERNO SULLE ATTIVITÀ... 49

11. Conclusioni. L’interpretazione adeguatrice dell’art. 6 della legge La Loggia

A questo punto è possibile riassumere e valutare gli esiti cui perviene la giurisprudenza costituzionale sulla legislazione attuativa dell’art. 117, u.c., Cost.

Si è visto che la limitazione legislativa dei «casi» di esercizio del potere estero regionale operata dall’art. 6 della legge La Loggia si ri-collega al disposto dell’art. 117, comma 9, Cost.: tuttavia, la lettura sistematica della disciplina costituzionale del potere estero regionale induce a ritenere che l’unica interpretazione del citato art. 6 compa-tibile con la Costituzione sia quella che ridimensiona la portata pre-cettiva dell’elencazione.

Invero, la ratio della disciplina legislativa di attuazione dell’art. 117, comma 9, Cost. appare costituzionalmente imposta: essa deve essere congegnata in modo da consentire al Governo di neutraliz-zare le manifestazioni del potere estero regionale (che si pongono) in contrasto con l’unitario indirizzo di politica estera abbracciato dallo Stato. Evidentemente, appare «essenziale» che il Governo sia messo nelle condizioni di «conservare la visione globale del complesso dei negoziati in corso da parte delle varie Regioni, in modo da poter ga-rantire unitarietà e coerenza di linee generali, compensazioni e con-tropartite tra un negozio e l’altro»107. Se questa è la ratio dei poteri di indirizzo e controllo del Governo in materia, deve ammettersi che limiti legislativi eccedenti tale scopo mortificherebbero ingiustificata-mente l’autonomia regionale108.

Riguardato in questa prospettiva, l’elenco di accordi contenuto nel citato art. 6 pecca, al contempo, per eccesso e per difetto.

Come si è visto, infatti, illegittime interferenze regionali con la politica estera statale potrebbero derivare anche da accordi del tipo

107 Così G. CASTELLANETA, Possibili modalità tecniche di esercizio del potere estero delle Regioni, in Studi sui rapporti internazionali e comunitari delle Regioni cit., 10, ma il rilievo è diffuso.

108 Osservano, in generale, A. RUGGERI, C. SALAZAR, «Ombre e nebbia» nel ri-parto delle competenze tra Stato e Regioni in materia di emigrazione/immigrazione dopo la riforma del Titolo V, in Quad. reg. 2004, 37 s., che «la determinazione degli oggetti astrattamente idonei ad esser regolati dallo Stato va fatta con criterio (o, me-glio, con metodo) tendenzialmente restrittivo. Come dire che allo Stato va ricono-sciuto unicamente quel tanto che gli è necessario ad appagare il bisogno (vero e pro-prio valore fondamentale!) di unità-indivisibilità dell’ordinamento», corsivi testuali.

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di quelli menzionati nella disposizione in commento109; mentre ac-cordi sicuramente non riconducibili ai «tipi» di cui all’art. 6 non soltanto potrebbero risultare rispettosi del limite costituzionale, ma sono già previsti da vigenti discipline speciali, la cui legittimità pare confermata dalla giurisprudenza costituzionale sopra esaminata110.

Per tali ragioni, l’unica possibilità di escludere l’illegittimità della disposizione sembra quella di riconoscere all’elencazione in essa con-tenuta carattere solo esemplificativo, desumendone indicazioni di massima.

In questa stessa ottica, dovrebbero considerarsi censurabili talune decisioni della Corte costituzionale che, a più riprese, hanno dichia-rato l’illegittimità di leggi regionali recanti discipline generali in tema di attività di cooperazione internazionale svolte dalle Regioni mede-sime: si allude alle sentenze nn. 211 del 2006, 131 del 2008, 285 del 2008.

La sent. n. 211 del 2006 ha avuto ad oggetto la l. prov. Trento n. 4 del 2005. La Corte vi ha dichiarato l’illegittimità delle disposi-zioni che definivano le azioni e gli interventi di solidarietà interna-zionale della Provincia, per il fatto di prevedere «un potere di de-terminazione degli obiettivi di cooperazione solidale e di interventi di emergenza nonché dei destinatari dei benefici sulla base dei cri-teri, per l’individuazione dei progetti da adottare, fissati dalla stessa Provincia»111. Secondo la Corte, «implicando l’impiego diretto di ri-sorse, umane e finanziarie, in progetti destinati a offrire vantaggi so-cio-economici alle popolazioni e agli Stati beneficiari ed entrando in tal modo pienamente nella materia della cooperazione internazionale, la legge provinciale fini[va] con l’autorizzare e disciplinare una serie di attività tipiche della politica estera, riservata in modo esclusivo allo Stato»112.

La sent. n. 211, sembrerebbe precludere, in via generale, l’in-gresso di qualsivoglia scelta regionale in ogni settore che si pre-senti – per così dire – «internazionalmente sensibile».

Il giudice costituzionale ha dato peso alla circostanza che la l. (statale) n. 49 del 1987, recante la «(nuova) disciplina della coope-razione dell’Italia con i paesi in via di sviluppo», all’art. 1 stabilisce che «la cooperazione allo sviluppo è parte integrante della politica

109 Oltre che da provvedimenti diversi dagli accordi internazionali, come ad esempio leggi regionali: v. supra par. 8.

110 V. quanto osservato supra par. 9, a commento di Corte cost. n. 285 del 2005.111 N. 2.2 Cons. dir.112 N. 2.2 Cons. dir.

I POTERI DI INDIRIZZO E CONTROLLO DEL GOVERNO SULLE ATTIVITÀ... 51

estera dell’Italia». Ciò ha indotto la Corte a ritenere che le attività di cooperazione internazionale siano per definizione «destinate ad inci-dere nella politica estera nazionale, che è prerogativa esclusiva dello Stato»113.

A ben vedere, però, nel ragionamento proposto dalla Corte si ravvisa un salto logico: invero, il massimo che può dirsi a proposito dell’art. 1, l. n. 49 del 1987 è che esso contenga una valutazione ge-nerale del legislatore, secondo cui le politiche di cooperazione allo sviluppo concorrono a definire la posizione dell’Italia nell’ambito della comunità internazionale; sulla base dell’art. 117, comma 2, lett. a) potrebbe aggiungersi che la scelta in ordine alla collocazione del Paese in tale scenario spetta allo Stato.

La conclusione formulata dalla Corte, secondo cui tutte le norme regionali che a vario titolo intervengano in tema di cooperazione in-ternazionale, ricadendo nella sfera della politica estera, sarebbero per ciò stesso illegittime, non costituisce affatto lineare conseguenza di tali premesse. Le discipline regionali che prefigurano il procedimento per l’adozione di (particolari categorie) di atti di rilievo internazio-nale non si pongono di per sé in contrasto con la riserva allo Stato della politica estera. Piuttosto, esse danno attuazione al principio di legalità ed esprimono il potere di auto-disciplina di particolari proce-dimenti di esercizio della funzione di indirizzo politico attribuita alla Regione. Eventuali scollamenti dalla politica estera dello Stato po-tranno essere imputati a singoli atti di esercizio del potere estero re-gionale: ma ciò potrà affermarsi solo a seguito di un controllo svolto dal Governo caso per caso sul contenuto dell’attività114.

In tal senso depone, del resto, anche la constatazione che la ma-teria «politica estera» si intreccia inevitabilmente con altre, di com-petenza regionale (si pensi, ad esempio, alla definizione dei diritti sociali degli immigrati)115: ciò costituisce espressione di un feno-meno più generale, particolarmente a seguito della riforma del Ti-tolo V, che ha moltiplicato le interferenze tra competenze centrali e locali. La diffusa sovrapposizione degli ambiti di intervento statali e regionali sembra aver reso sempre più rari i settori attribuiti in esclusiva all’uno o all’altro ente territoriale, e correlativamente più

113 N. 2.2 Cons. dir.114 V. supra par. 8 le conclusioni formulate a proposito della vicenda decisa da

Corte cost. n. 387 del 2005.115 Ulteriori riferimenti, volendo, in D. MESSINEO, «Cittadinanza sociale» regio-

nale e parità di trattamento dello straniero, alla luce della giurisprudenza costituzio-nale, in Nuove autonomie 2007, 143 ss.

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rara l’affermazione dell’incompetenza assoluta della Regione: l’im-migrazione, la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, la tutela della concorrenza, ecc. sono sfere d’intervento in relazione alle quali l’esclusiva competenza statale suole essere declinata (dalla stessa giurisprudenza costituzionale) in termini di adozione delle scelte fondamentali verso cui deve tendere l’azione coordinata di tutti gli enti di cui si compone la Repubblica, piuttosto che in chiave di se-parazione ed esclusione116.

La realtà è che gli «accordi» con enti esteri non sono altro che strumenti giuridici suscettibili di essere riempiti dei contenuti più vari, alcuni dei quali contrastanti con gli indirizzi di politica estera dello Stato ed altri no117. L’azione di enti dotati di autonomia politica quali sono le Regioni si sviluppa per definizione secondo forme fles-

116 Sulla trasversalità delle relazioni internazionali, F. GABRIELE, Conclusioni cit., 30 s.; su taluni limiti alla possibilità di applicare lo schema della separazione delle competenze alle questioni che coinvolgono i rapporti tra Stati, A. RUGGERI, C. SA-LAZAR, «Ombre e nebbia» cit., partic. 43 s.; sul «carattere recessivo che» in gene-rale «vanno assumendo le stesse idee di materia e di potestà esclusiva a seguito della compenetrazione dei diversi interessi e dei diversi livello di governo che insistono sui medesimo oggetti», P. CIARLO, Funzione legislativa ed anarcofederalismo, in Il «nuovo» ordinamento regionale cit., 76; sulla «duttilità» delle competenze finalisti-che, v., poi, A. D’ATENA, Materie legislative e tipologia delle competenze, in Quad. cost. 2003, 21 ss.; R. BIN, I criteri di individuazione delle materie, in questa Rivista 2006, 889 ss.; e, per ulteriori riferimenti, D. MESSINEO, Competenze finalistiche con-correnti e giudizio costituzionale: sindacato teleologico versus limite dei principi, in questa Rivista 2007, 543 ss. Con particolare riferimento all’immigrazione, si ricordi che Corte cost. n. 269 del 2010 ha tenuto indenne da censure l’art. 6, comma 43, l.r. Toscana n. 29 del 2009, secondo cui «La Regione, in conformità alla legislazione statale, promuove intese volte a facilitare l’ingresso in Italia di cittadini stranieri per la frequenza di corsi di formazione professionale o tirocini formativi»: a tal fine, la Corte ha osservato come «obiettivo della norma [sia] chiaramente quello di consen-tire alla Regione di promuovere intese (al fine di agevolare la frequenza degli stra-nieri ai corsi di formazione professionale o tirocini formativi), che si riferiscono ad un ambito di competenza legislativa regionale residuale, corrispondente appunto alla formazione professionale, peraltro espressamente da realizzare “in conformità alla le-gislazione statale” e cioè nel pieno rispetto dei principi della politica estera fissati dallo Stato».

117 Sembra quasi che le aporie della legislazione vigente e della prassi applica-tiva possano essere evidenziate immaginando un parallelismo: la pretesa di preclu-dere la stipulazione da parte delle Regioni di certi tipi di accordi internazionali, ri-collegandosi alla riserva in tema di politica estera, apparirebbe concettualmente assai simile ad un divieto (in ipotesi introdotto dalla legge statale a carico delle Regioni medesime) di stipulare taluni dei contratti tipizzati dal codice... invocando a tal fine, la riserva allo Stato dell’«ordinamento civile», ex art. 117, comma 2, lett. l) Cost.

I POTERI DI INDIRIZZO E CONTROLLO DEL GOVERNO SULLE ATTIVITÀ... 53

sibili e atipiche ed il rispetto degli interessi unitari andrebbe apprez-zato alla stregua di criteri sostanziali118.

Del resto, il divieto di stipulare certi tipi di accordi non appare solo sproporzionato, ma per certi versi anche insufficiente. Nella prassi, infatti, accade sovente che le Regioni aprano «uffici di rap-presentanza (le cosiddette “antenne”) in Paesi per esse strategici», «costituiti mediante un mandato che la Regione conferisce a so-cietà di diritto privato... di curare in suo nome e per suo conto i propri interessi»119: in proposito si sottolinea che «gli uffici di rap-presentanza ai quali si fa riferimento non sono enti pubblici, bensì società private incaricate di seguire i risvolti privatistici dell’attività all’estero delle Regioni (ad esempio la stipula di contratti di acqui-sto, di appalto, ecc...)», e che «nulla impedisce che, alla stregua di qualunque soggetto di diritto privato, le Regioni agiscano jure privatorum»120. Dunque, i contatti stabiliti dalle «antenne» delle Regioni all’estero potrebbero avere talvolta i medesimi oggetti di quelli instaurati con forme pubblicistiche e presentare implicazioni simili, ma evidentemente sfuggono alle maglie della legge La Log-gia.

Come anticipato, analoghi rilievi critici possono formularsi anche in relazione alle sentt. nn. 131 e 285 del 2008, che hanno dichiarato, rispettivamente, illegittimi alcuni artt. della l.r. Calabria n. 4 del 2007 e della l.r. Valle d’Aosta n. 6 del 2007, sempre in tema di coopera-zione allo sviluppo, sulla base delle medesime premesse argomenta-tive di cui alla sent. n. 211 del 2006.

La sent. n. 131, peraltro, non si è limitata a ribadire la ratio de-cidendi allora adottata, ma ha sviluppato uno spunto presente nella

118 Pare pertinente ricordare che ben prima della stesura della l. n. 131 del 2003 – e della stessa riforma costituzionale del 2001 – taluno si chiedeva già se avesse «senso cercare di catalogare le tipologie di attività che le Regioni possono svolgere nel quadro del loro potere estero»: atteso che le distinzioni nel tempo ela-borate erano «giustificat[e] in base alla maggiore o minore... idoneità... ad incidere sui settori riservati allo Stato» sembrava «evidente che in una prospettiva collabora-tiva di concertazione... questa finalità v[enisse] a cadere»: così F. PALERMO, Il potere estero cit., 257 ss.

119 Cfr. ancora G. CASTELLANETA, Possibili modalità tecniche cit., 11: «una volta istituiti, questi uffici diventano a tutti gli effetti i “rappresentanti legali” della Regione in quel determinato Paese, svolgendo attività di ampio raggio, che vanno dalla preparazione delle visite di rappresentanti regionali, al sostegno degli im-prenditori regionali; dalla cura dei contatti con gli imprenditori locali, ad attività di controllo sull’esecuzione in loco dei programmi concordati con Governi ed enti omologhi».

120 Sempre G. CASTELLANETA, Possibili modalità tecniche cit., 12.

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pronuncia del 2006, portandolo alle sue estreme conseguenze. La Corte, infatti, ha affermato che «una legge regionale non p[otrebbe] estendere il meccanismo di controllo, previsto dall’art. 6 della l. n. 131 del 2003, al di fuori del campo di applicazione dettato dalla stessa legge statale che l’ha introdotto nell’ordinamento», visto anche che «l’attività degli apparati dello Stato è necessariamente definita e disciplinata solo dalle leggi statali e non p[otrebbe] essere incremen-tata per effetto di una legge regionale»121.

La constatazione si rendeva necessaria per superare l’eccezione proposta dalla difesa regionale, secondo cui l’illegittimità delle di-sposizioni impugnate sarebbe stata da escludersi tenendo conto di quanto disposto dall’art. 8, comma 7, della stessa l.r. Calabria n. 4 del 2007, ai cui sensi «il documento di programmazione triennale ed il piano operativo annuale» sarebbero stati «comunicati al Ministero degli Affari Esteri ed alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi e per gli effetti delle disposizioni contenute all’art. 6 della legge 5 giugno 2003, n. 131».

Il quadro predisposto dalla legge regionale calabrese risultava, dunque, conforme all’impostazione tesa ad estendere l’applicazione dei profili procedimentali dettati dalla legge La Loggia a forme atipi-che di esercizio del potere estero regionale, negando che la fonte sta-tale richiamata dall’art. 117, comma 9, Cost. sia abilitata ad escludere in via generale e astratta intere categorie di atti regionali.

La Corte ha deciso diversamente: essa ha sancito l’illegittimità delle norme regionali che disciplinavano l’adozione di atti non ricon-ducibili ai tipi elencati dall’art. 6, l. n. 131 del 2003.

La soluzione desta perplessità non soltanto alla stregua dei rilievi già formulati, ma anche alle luce di eccezioni in altra occasione pro-poste dalla difesa di una Regione.

Si consideri la sent. n. 360 del 2005, in cui la Corte costituzionale ha considerato inammissibili per genericità le censure prospettate in relazione ad un’altra legge regionale che pianificava interventi per la cooperazione e la solidarietà internazionale, la l.r. Emilia-Romagna n. 12 del 2002.

Anche in quel caso il Governo lamentava (tra l’altro) che le ini-ziative e gli interventi previsti dalla legge regionale non si concilias-sero con quanto sancito dalla più volte citata l. (statale) n. 49 del 1987 (e dal d.P.R. 31 marzo 1994): per il ricorrente, le fonti statali prevederebbero, infatti, «la partecipazione delle Regioni all’attività

121 N. 3.4 Cons. dir.

I POTERI DI INDIRIZZO E CONTROLLO DEL GOVERNO SULLE ATTIVITÀ... 55

di cooperazione allo sviluppo, che è parte integrante della politica estera nazionale, entro limiti rigorosi e tassativi, attraverso la capacità di attuare iniziative di cooperazione affidate dal Ministero degli affari esteri, ovvero di proporre tali iniziative alla Direzione generale della cooperazione allo sviluppo»122.

Merita di essere sottolineata una delle argomentazioni fatte valere dalla convenuta prendendo le mosse dal carattere trasversale della materia «politica estera». La riserva di questa allo Stato, secondo la Regione, non indicherebbe un vero e proprio settore di intervento; piuttosto, essa «attribuirebbe allo Stato il compito di definire gli obiettivi e gli ambiti dei propri rapporti con gli altri Stati sovrani»123. Nello svolgimento di tale compito, lo Stato è, certo, titolato ad in-tervenire in qualunque materia di competenza regionale: ma ciò non varrebbe ad impedire in generale l’ingresso di atti regionali. Essi sa-rebbero illegittimi solo «quando l’azione disciplinata o svolta da una Regione possa compromettere obiettivi e compatibilità della politica estera nazionale»124.

Ora, la l. n. 49 del 1987 esprime chiaramente una tendenza della politica estera nazionale, che appare rivolta alla cooperazione allo sviluppo; in tale prospettiva, l’art. 1 della l. n. 49 potrebbe deporre persino nel senso opposto a quello invocato dal Governo: in effetti, esso offre argomenti per escludere l’illegittimità di leggi regionali che, sposando la causa della cooperazione allo sviluppo, si collochino nel solco di scelte già tracciate dallo Stato.

Dovrebbe dirsi, insomma, che le leggi statali a volte traducono in principi normativi peculiari indirizzi di politica estera, codificandoli: sicché ogni qual volta «l’azione statale, regionale o degli stessi enti locali» si sia rivolta ad un fine in tal modo formalizzato, la stessa, sino a prova contraria, «dovrebbe dirsi... conforme alla politica estera italiana»125.

Tali considerazioni rafforzano la conclusione sopra avanzata circa la legittimità di discipline regionali volte a porre quadri generali d’inter-vento tesi a razionalizzare le relazioni internazionali dell’ente; e, corre-lativamente, dovrebbe affermarsi la necessità di verificare caso per caso

122 N. 1 Ritenuto in fatto (corsivo non testuale). La Corte ha condiviso quanto osservato dalla difesa di parte regionale circa la complessità e l’eterogeneità della normativa oggetto del giudizio, la quale, per questo, non poteva prestarsi ad una considerazione unitaria. Tale assorbente rilievo è bastato alla Corte per concludere nel senso dell’inammissibilità dell’impugnazione.

123 N. 2 Ritenuto in fatto.124 Ibidem.125 Ibidem.

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la congruenza con la politica estera statale dei singoli atti di esercizio dei poteri regionali, senza fare affidamento su astratte tipizzazioni.

Appare dimostrata l’attitudine del diritto comunitario e delle leggi statali a fornire criteri atti a ricondurre episodi di esercizio del potere estero regionale agli indirizzi della politica estera statale. Sa-rebbe, invece, alquanto problematico utilizzare le «linee di indirizzo in tema di politica internazionale»126 come parametro nei conflitti di attribuzione proposti dal Governo contro gli atti di esercizio del potere estero regionale. Tale ipotesi è stata, talvolta, prospettata in dottrina127: ma si rivela dirimente, in senso contrario, la possibilità di mutamenti dell’indirizzo politico del Governo, sia per la naturale ine-sauribilità della funzione, sia, comunque, in relazione agli svolgimenti della congiuntura internazionale128.

126 Che dovrebbero costituire l’oggetto di apposita deliberazione del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. h), l. n. 400 del 1988.

127 Cfr. A. AMBROSI, Politica estera e «attività internazionali delle Regioni» cit., 215.128 Si ricordi, del resto, che in passato contro la possibilità di «tradurre» in un

«atto di indirizzo e coordinamento... specificazioni dettagliate e puntuali [de]gli indirizzi di politica internazionale invalsi in seno all’Esecutivo», si faceva rilevare «la realtà delle relazioni internazionali, quanto mai eterogenea e cangiante... con-dizionata da fattori di natura eminentemente politica che, in quanto tali, rifuggono da una puntuale e capillare traduzione in formule astratte»: «la invocata specifica-zione degli indirizzi di politica estera» avrebbe determinato «una cristallizzazione di elementi per loro natura insuscettibili di essere racchiusi in involucri confezio-nati secondo criteri e modalità propriamente giuridici», così Q. CAMERLENGO, Ri-flessioni sulle attività internazionali delle Regioni, in questa Rivista 1997, 204.