Tiziano e il controllo dell’immagine riprodotta

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Tiziano e il controllo dell’immagine riprodotta. Matteo Mancini I. Orhan Pamuk in un esemplare passaggio narrativo di Istabmul descrive, attraverso l’espressione delle sensazioni provate dal suo io creatore in età infantile, quella che lui stesso definisce como la sua “passione per il disegno” 1 . Ma ciò che più ci interessa è verificare come, nelle parole del grande scrittore del Bosforo, c’è forse una delle chiavi per spiegare la tensione tra disegno e colore che riveste tanta importanza per comprendere la teoria e la pratica della pittura nel Cinquecento europeo. In particolare mi sembra che attraverso le parole di Orhan Pamuk ci possiamo avvicinare nel miglior modo possible alla complessa questione della produzione grafica di Tiziano Vecellio intesa come un ulteriore declinazione del suo ultimo stile. In primo luogo è necessario chiarire alcune questioni di metodo per non creare inutili confusioni. L’analisi del rapporto tra forma e contenuto del chiamato ultimo stile 2 1 La riflessione sulla dialettica tra colore e disegno viene espressa in questi termini: “Non disegnavo guardando la natura, gli oggetti e le strade: disegnavo guardando le forme della mia mente. Il disegno doveva essere semplice come nelle riviste illustrate, nelle vignette o nei libri scolastici per poterlo tenere presente e raffigurarlo. I quadri a olio e i ritratti erano complicati come la vita, anzi più della vita. Oltre a capire com’erano realizzati, non risvegliavano affatto in me la passione e la voglia di dipingere” in O. Pamuk, Istambul, Milano 2006, p. 144. 2 Il tema del non finito in Tiziano trova numerosi riferementi bibliografici, tra i quali, per la loro valenza nella ricerca storiografica contemporanea vale la pena ricordare la ricostruzione del contesto pittorico a partire dagli anni cinquanta in F. Valcanover,"Le dernier Titien et la fin du siècle à Venise", en Le Siècle de Titien. L'âge d'or de la pinture à Venise, Parigi 1993, Catalogo della Mostra, Parigi 1993, pp. 651-656, un concetto poi ribadito in F. Valcanover, Tiziano. I suoi pennelli sempre partorirono espressioni di vita, Firenze 1999, pp. 84-101. Discorso analogo lo troviamo in C. Hope, Titian, London y New York 1980, pp. 144-166, dove si puntualizzano le ragioni del possibile cambio stilistico di Tiziano verso la metà del secolo e dove, soprattutto, si mette in relazione tale evoluzione con l’organizzazione della bottega e della su attività produttiva. A. Gentili, "Tiziano e il non finito", in Venezia Cinquecento, nº 4 (1992), pp. 93-127, ripreso più tardi in Idem, "Ancora sul non finito di Tiziano: materia e linguaggio", in Tiziano. Técnicas y restauraciones, Atti del Simposium Internacional celebrato nel Museo Nacional del Prado, a cura di F. Checa e M. Mancini, Madrid 1999, pp. 171-179, individua nell’ultimo stile le ragioni funzionali di una pittura destinata a committenti specifici, e quindi la modulazione formale della stessa si misura e comprende in ragione del vincolo/sintonia del pittore con quei committenti. F. Checa Cremades, Tiziano e la Monarquía Hispánica. Usos y funciones de la pintura Veneciana in España. Siglos XVI y XVII, Madrid 1994, pp. 95-108 e pp. 169-194, per la ricezione del non finito nella Spagna della fine del

Transcript of Tiziano e il controllo dell’immagine riprodotta

Tiziano e il controllo dell’immagine riprodotta.

Matteo Mancini

I. Orhan Pamuk in un esemplare passaggio narrativo di

Istabmul descrive, attraverso l’espressione delle

sensazioni provate dal suo io creatore in età infantile,

quella che lui stesso definisce como la sua “passione per

il disegno”1. Ma ciò che più ci interessa è verificare

come, nelle parole del grande scrittore del Bosforo, c’è

forse una delle chiavi per spiegare la tensione tra disegno

e colore che riveste tanta importanza per comprendere la

teoria e la pratica della pittura nel Cinquecento europeo.

In particolare mi sembra che attraverso le parole di Orhan

Pamuk ci possiamo avvicinare nel miglior modo possible alla

complessa questione della produzione grafica di Tiziano

Vecellio intesa come un ulteriore declinazione del suo

ultimo stile.

In primo luogo è necessario chiarire alcune questioni

di metodo per non creare inutili confusioni. L’analisi del

rapporto tra forma e contenuto del chiamato ultimo stile2

1 La riflessione sulla dialettica tra colore e disegno viene espressa

in questi termini: “Non disegnavo guardando la natura, gli oggetti e

le strade: disegnavo guardando le forme della mia mente. Il disegno

doveva essere semplice come nelle riviste illustrate, nelle vignette o

nei libri scolastici per poterlo tenere presente e raffigurarlo. I

quadri a olio e i ritratti erano complicati come la vita, anzi più

della vita. Oltre a capire com’erano realizzati, non risvegliavano

affatto in me la passione e la voglia di dipingere” in O. Pamuk,

Istambul, Milano 2006, p. 144. 2 Il tema del non finito in Tiziano trova numerosi riferementi

bibliografici, tra i quali, per la loro valenza nella ricerca

storiografica contemporanea vale la pena ricordare la ricostruzione

del contesto pittorico a partire dagli anni cinquanta in F.

Valcanover,"Le dernier Titien et la fin du siècle à Venise", en Le

Siècle de Titien. L'âge d'or de la pinture à Venise, Parigi 1993,

Catalogo della Mostra, Parigi 1993, pp. 651-656, un concetto poi

ribadito in F. Valcanover, Tiziano. I suoi pennelli sempre partorirono

espressioni di vita, Firenze 1999, pp. 84-101. Discorso analogo lo

troviamo in C. Hope, Titian, London y New York 1980, pp. 144-166, dove

si puntualizzano le ragioni del possibile cambio stilistico di Tiziano

verso la metà del secolo e dove, soprattutto, si mette in relazione

tale evoluzione con l’organizzazione della bottega e della su attività

produttiva. A. Gentili, "Tiziano e il non finito", in Venezia

Cinquecento, nº 4 (1992), pp. 93-127, ripreso più tardi in Idem,

"Ancora sul non finito di Tiziano: materia e linguaggio", in Tiziano.

Técnicas y restauraciones, Atti del Simposium Internacional celebrato

nel Museo Nacional del Prado, a cura di F. Checa e M. Mancini, Madrid

1999, pp. 171-179, individua nell’ultimo stile le ragioni funzionali

di una pittura destinata a committenti specifici, e quindi la

modulazione formale della stessa si misura e comprende in ragione del

vincolo/sintonia del pittore con quei committenti. F. Checa Cremades,

Tiziano e la Monarquía Hispánica. Usos y funciones de la pintura

Veneciana in España. Siglos XVI y XVII, Madrid 1994, pp. 95-108 e pp.

169-194, per la ricezione del non finito nella Spagna della fine del

2

di Tiziano, tanto per ciò che si riferisce alla produzione

pittorica, come per la grafica, ne evidenzia chiaramente

l’adozione come parte di un cosciente linguaggio formale

che ha come obiettivo esprimere, come sempre avviene per le

scelte formali, un messaggio comprensibile per quanto

rigurda il contenuto delle suddette opere. Lo dimostrano in

maniera indiscutibile tre punti sui quali le differenti

posizioni critiche dovrebbe essere concordi.

Uno, le prime traccie tangibili di quella

sperimentazione linguistica appaiono, verso la metà del XVI

secolo, in opere e generi nei quali Tiziano è maestro

affermato: nel ritratto, nei temi mitológici, ma anche

nella pittura di devozione3.

Due, che a partire da Vasari si identifica in quello

stile una decadenza formale, intesa come perdita di qualità

nella realizzazione del disegno dipinto. Un concetto che,

con l’avvento del XVII secolo prende due strade, quella

dell’esaltazione dei “borrones” e delle “macchie distanti”

nella pittura spagnola4; o il contemporaneo recupero di

quegli stessi valori attraverso l’opera giovanile5 di

Tiziano. Un processo, quest’ultimo, propiziato dai pittori

e teorici classicisti, come dimostrano, per esempio i

riferimenti di Boschini o Bellori alle favole dipinte per

Alfonso d’Este in occasione del loro passaggio in Spagna

Cinquecento e inizio del Seicento. D. Rosand, "La mano di Tiziano",in

Tiziano. Técnicas y restauraciones op cit., pp. 127-138, mette in

rapporto direttamente l’ultimo stile con la ricerca formale e

contenutistica dell’artista. Infine la ricostruzione dei rapporti

familiari di Tiziano negli ultimi decenni si trova in L. Puppi, Su/Per

Tiziano, Milano 2004, part. pp. 25-60. 3 Sulla catalogazione della pittura di Tiziano rimando a H. E. Wethey,

The Paintings of Titian. I The Religious Paintings, London 1969; Idem,

The Paintings of Titian. II The Portraits 1971; Idem, The Paintings of

Titian. III The Mitological and Historical Paintings 1975; F.

Valcanover, L’opera completa di Tiziano, Milano 1969; C. Hope, Titian,

op. cit. (nota 2), F. Pedrocco, Titian, London - New York, 2001. 4 Su questo tema di enorme interesse nella storiografia spagnola vedi

A. E. Pérez Sánchez, "Presencia de Tiziano in España", in Goya.

Revista de Arte, nº 135, 1976, pp. 140-159; F. Checa Cremades, Tiziano

e la Monarquía Hispánica, op. cit. (nota 2), pp. 169-194, M. Mena

Marqués, "Titian Rubens and Spain", in Titian and Rubens, Power,

Politics, and Style, Boston 1998, pp. 69-94; J. Portús Pérez, Pintura

y pensamiento in la España de Lope de Vega, Hondarribia 1999, pp. 133-

161; F. Marías Franco, "Tiziano y Velázquez, tópicos literarios y

milagros del arte", in Tiziano, a cura di M. Falomir, Catalogo della

Mostra del Museo Nacional del Prado, Madrid 2003, pp. 111-132. 5 L. Hourticq, La Jeunesse de Titien, Parigi 1919; A. Ballarin, "Le

probléme des oeuvres de la jeunesse de Titien. Avancées et reculs de

la critique", in Le Siècle de Titien, op. cit. (nota 2), pp. 357-366;

P. Joannides, Titian to 1518: the Asumption of Genius, New Haven y

London 2001.

3

per iniziativa del cardinal Ludovisi o come modelli per

Poussin e Du Quesnoy6.

Il terzo, e ultimo chiarimento, riguarda una questione

che potrebbe sembrare di senso comune, ma si trasforma

nell’applicazione di una rigorosa pratica scientifica -di

uso frequente in altre discipline umanistiche- come è lo

studio del rapporto tra quantità di opere prodotte e

qualità delle stesse. Un aspetto che, nel nostro caso

concreto, deve mettere in rapporto le caratteristiche

formali e linguistiche della pittura di Tiziano con

l’estensione temporale della sua produzione pittorica,

proponendo alcune significative domande: è ragionevolmente

possible pensare a un ultimo stile la cui estensione

cronologica, ammettendo una data di nascita di Tiziano tra

il 1485-95, risulta essere di poco inferiore alla metà

della vita professionale dell’artista? E che, sopratutto,

occupa in maniera assolutamente preponderante gli anni

della sua maggiore maturità artistica per qualità della

pittura, organizzazione della bottega, livello e numero dei

committenti? Evidentemente la risposta risiede nella

necessità di considerare la funzione strategica delle

affermazioni vasariane7, ma anche di quelle, fin troppo

retoriche, di Palma8 e, inoltre, valutare il non finito di

Tiziano come una scelta stilistica cosciente nella quale

convivono diversi livelli di finitura formale,

corrispondenti in maniera proporzionale agli interessi del

pittore e dei suoi committenti, come sarà possibile

verificare attraverso lo studio di alcune questioni che

evidenzia il corpus grafico di Tiziano 9. Un insieme di

opere che, soprattutto se analizzate, nell’ambito

complessivo della sua produzione, e non come un corpus a

parte, rivelano una perfetta sintonia ideologica con le

strategie di Tiziano, benché affrontate e risolte

attraverso una differente declinazione formale dei

linguaggi grafici; come indicarono chiaramente, per quanto

riguarda la silografia, gli studi di Michelangelo Muraro e

David Rosand10.

In particolare, per concludere questa prima parte

introduttiva, mi interessa recuperare uno dei topos

6 M. Boschini, Carta del navegar pitoresco, Venezia 1660, pp. 168-169;

G. P. Bellori, Le vite de' pittori scultori e architetti moderni, ed.

anastatica Bologna 1977, [Roma 1672], p. 271 e p. 412. 7 G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e

architettori, Firenze 1568, vol. II, pp. 814-815 e p. 817. 8 M. Boschini, Le Ricche Miniere de la pittura Veneziana, Venezia 1674,

pp. b4v-b5r. 9 Una visione generale della grafica tizianesca nel contesto veneziano

la troviamo in M. Bury, "Printmaking in Age of Titian", in The Age of

Titian, Catalogo della Mostra, National Gallery of Scotland, Edimbugh

2004pp. 278-281. 10 M. Muraro e D. Rosand, Tiziano e la silografia veneziana del

Cinquecento, Vicenza 1976, pp. 43-68.

4

ripetuti con maggior frequenza rispetto al dibattito sulla

pittura di disegno e di colore durante il Cinquecento e poi

costantemente presente nelle letterature artistiche delle

Società di Antico Regime: la figura del pittore ideale

sarebbe la sintesi del disegno di Michelangelo Buonarroti e

del colore di Tiziano Vecellio. Un vero e proprio luogo

comune rispetto al quale la prospettiva d’interpretazione

critico storiografica ha –da sempre- inforcato gli occhiali

vasariani, perdendo di vista, almeno in parte le ragioni

del colore e la funzione svolta da Tiziano in quel

contesto. In quell’affermazione risiede l’identificazione

dell’esistenza di un problema nell’uso del colore da parte

di Michelangelo e più in generale del mondo della “bella

maniera”11 di matrice tosco-romana: probabilmente

un’incapacità a risolvere in maniera efficace la questione

del naturalismo12, intesa como parte del processo di

rappresentazione delle passioni. Un problema che verrà

emendato, e solo in parte, all’inzio del secolo successivo

con l’avvento di Caravaggio13 e del neonato naturalismo

barocco. Una questione che, probabilmente, Tiziano aveva

avvertito già verso la metà degli anni Cinquanta del

Cinquecento e alla quale aveva dato una risposta personale

attraverso il non finito inteso come rappresentazione

figurativa del tragico.

Un processo simile lo troviamo approfondito, in

maniera speculare, da parte del Vecellio nel mondo

dell’incisione grafica. Un supporto che, per ragioni

evidenti, gli avrebbe dovuto impedire di sviluppare

attraverso l’uso del colore quella tensione nella

rappresentazione dei sentimienti e delle passioni propia

della sua pittura. E che, invece, Tiziano concepì come uno

straodinario strumento al servizio della diffusione di

quegli stessi sentimenti e passioni (spesso risolti e

diluiti nella loro dialettica interna), attraverso un

11 Sulla definizione di Bella Maniera e lo sviluppo della stessa vedi

A. Pinelli, La Bella Maniera. Artisti del Cinquecento tra regola e

maniera, Torino 1993, in particolare ci riferiamo al passaggio in cui

si considera la Maniera come “superamento della natura che non

contraddice il necessario fondamento dell’arte nell’imitazione del

naturale ma trova con esso un momento di sintesi”, pp. 94-109

(citazione a p. 100). 12 E’ a questo che probabilmente allude Ludovico Dolce all’affermare

che “né creda alcuno che la forza del colorito consista nella scelta

de’bei colori, come delle belle lacche, bei azzurri, bei verdi, e

simili, percioché questi colori sono belli parimenti senza che e’si

mettano in opera; ma nel sapergli maneggiare convenevolmente”; in a

cura di P. Barocchi, Trattati d'arte del Cinquecento fra Manierismo e

Controriforma, vol. I, Torino 1960, pp. 184-185. 13 Sul naturalismo di Caravaggio vedi F. Bologna, L'incredulità del

Caravaggio, Torino 1992, pp. 139-190, in particolare quando individua

l’analogia Natura/Maniera in contrapposizione al Classicismo (pp. 144-

145), una questione che può essere messa direttamente in rapporto con

la tensione propria dell’ultimo stile di Tiziano.

5

processo di distribuzione oculata e capillare di

iconografie e opere altrimenti inaccessibili e che –spesso-

nella loro versione grafica subivano interessanti processi

di riconversione e adeguamento propio in termini

iconografici e iconologici. Quelle incisioni diventavano,

in tal modo, strumenti essenziali per comprendere14,

attraverso le differenze, l’importanza della relazione tra

la scelta formale e i contenuti propri delle iconologie e

dei loro contesti. Una riconversione marcata da un punto di

riferimento assoluto: il Classicismo, inteso come

rappresentazione figurativa efficace di equilibrio di forme

e contenuti. E che dimostrano l’intento, nella grafica, da

parte di Tiziano di essere sé stesso, ma anche di proporsi

come sintesi tra colore e disegno, di dare risposta

concreta a quel topos, risolvendolo attraverso

un’adeguamento naturalista del classicismo15, proposto,

però, come una valida alternativa al michelangiolismo e ai

suoi epigoni.

II. Nel 1527, oltre ad Aretino e a Sansovino,

arrivarono a Venezia16 fuggiti da Roma numerosi altri

artisti, tra di loro figurava sicuramente Jacopo

Caraglio17. Un’incisore, non solo propenso a comprendere e

fare sua ogni tipo di sperimentazione e di rielaborazione

dei modelli dei grandi maestri18, ma capace di uno stile

propio che, spesso guardava a Raffaello in maniera

indipendente rispetto ai prototipi grafici proposti da

Marcantonio Raimondi19, per lo meno secondo l’opinione di

14 Ne è un caso esemplare la ricostruzione che propone Erwin Panofsky

delle differenze tra le successive versioni della Spagna soccorrendo

la Religione; cfr. E. Panofsky, Tiziano. Problemi di iconografia,

Venezia 1992 [1969], pp. 187-190. 15 Non molto diverso era il contemporaneo giudizio che esprimeva a tale

proposito Sebastiano Serlio “Il Cavalier Titiano, ne cui mani vive una

idea d’una nuova natura non senza gloria de l’Architettura”, come

suggeriva C. Dionisotti, “Tiziano e la letteratura” in Tiziano e il

Manierismo Europeo, Firenze 1978, pp. 259-270, la citazione a p.269. 16 Sugli anni veneziani di Caraglio H. Zerner, "Sur Giovanni Jacopo

Caraglio", in Actes du XXII Congrès International d'Historie de l'Art.

Evolution Générale et devéloppements Régionaux in Historie de l'Art,

Budapest 1972, tomo I, pp. 691-695; tomo II, pp. 219-221, Ill. 1-10,

particolarmente pp. 693-694. 17 Su Caraglio H. Zerner, "Sur Giovanni Jacopo Caraglio", cit. (nota

17), pp. 692-695, L. Barroni e H. Kozakiewicz,"Caraglio", in

Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 1976, vol. 19, pp. 615-618;

M. Cirillo Archer, "Jacopo (Gian Giacomo) Caraglio", in The Ilustrated

Bartsch, USA 1995, 28, vol. 15, pp. 73-74 e immagini ad indicem. 18 P. Barocchi, Trattati d'arte del Cinquecento, op. cit. (nota 8),

vol. I, p. 123. 19 “Ma per tornare alle stampe semplici di rame, dopo che Marcantonio

ebbe fatto tante opere quanto siè detto di sopra, capitando in Roma il

Rosso, gli persuase il Baviera che facesse stampare alcuna delle cose

sue; onde egli fece intagliare a Gian Iacopo del Caraglio veronese,

che allora avevabonissima mano e cercava con ogni industria d’imitare

Marcantonio, [...] e dopo per Tiziano Vecellio in un’altra carta una

6

Pietro Aretino20. A Venezia il suo rapporto con Tiziano, la

cui data estrema è il luglio del 1539, quando emigra in

Polonia, possiamo limitarlo a due sole opere: il ritratto

di Pietro Aretino e la celebre versione a stampa

dell’Annunciazione di Tiziano (fig. 1), opera dipinta per

il monastero di Santa Maria degli Angeli di Murano, e, poi

riconvertita in un dono per l’imperatrice, del quale,

comunque, fece largo uso Carlo V21. Il quadro originale,

perduto all’inizio dell’Ottocento in Spagna22, è conosciuto

negli elementi essenziali della sua iconografia proprio per

l’incisione del Caraglio. Ma si tratta degli elementi

essenziali, perchè nella versione grafica spiccano le

allusioni alla ricontestualizzazione imperiale dell’opera,

prime tra tutte le due colonne d’Ercole, che non sappiamo

se vennero inserite anche nel dipinto o meno, ma che,

comunque, ben svolgono la loro funzione di manifestazione

visiva del legame tra il pittore e l’imperatore in un

momento ancora iniziale di quella straordinaria relazione

di committenza23. Se ci pensiamo, e con tutte le debite

differenze di stile e linguaggio (comunque funzionali in

ciascun contesto specifico), non siamo molto distanti

Natività, che già aveva esso Tiziano dipinta, che fu bellissima; cfr.

G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e

architettori, op. cit. (nota 8), vol. II, p. 305. 20 M. Cirillo Archer, "Jacopo (Gian Giacomo) Caraglio", op. cit. (nota

18), p. 74. 21 Il quadro lo ricorda Vasari: “il quale poi fece, per la chiesa di

Santa Maria degl’Angeli a Murano, una bellissima tavola d’una

Nunziata. Ma non volendo quelli che l’avea fatta fare spendervi

cinquecento scudi, come ne voleva Tiziano, egli la mandò, per

consiglio di messer Piero Aretino, a donare al detto imperatore Carlo

Quinto”; la versione incisa venne ripresa senza varianti da Martino

Rota. Cfr. G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e

architettori, op. cit. (nota 8), vol. II, p. 811; C. Ridolfi, Le

maraviglie dell'arte. Ovvero le vite degli illustri pittori veneti e

dello stato, a cura di D. F. Van Hadeln, Berlino 1914-1924 [Venezia

1648], I, pp. 171-172; H. E. Wethey, The paintings of Titian, I, op.

cit. (nota 3), n.º 10, p. 71; F. Mauroner, Le incisioni di Tiziano,

Venezia 1941, p. 56, n. 5; H. Zerner, "Sur Giovanni Jacopo Caraglio",

cit. (nota 17) p. 692; M. Catelli Isola (a cura di), Immagini da

Tiziano. Stampe dal sec. XVI al sec. XIX dalle collezioni del

Gabinetto Nazionale delle Stampe, Catalogo della Mostra, Roma 1976,

Roma, p. 52, n. 72; C. Hope, Titian, op. cit. (nota 2), p. 102; M.

Cirillo Archer, "Jacopo (Gian Giacomo) Caraglio", op. cit (nota 18),

p. 204; M. Bury, "Printmaking in Age of Titian", op. cit., (nota 10),

p. 285, n. 130. 22 L’originale, si trovava nella cappella del palazzo Reale di

Aranjuez, da dove scomparve all’inizio dell’Ottocento, essendo

ricordato in quella sede fino al 1778; cfr. C. García Frías, "Una obra

perdida de Tiziano: la Anunciación de la antigua Capilla del Palacio

de Aranjuez", Reales Sitios, nº 159 (2004), pp. 74-75; per questa

ragione la stampa di Caraglio ha sostituito nell’immaginario visivo

degli storici dell’arte l’opera perduta. 23 Sulla sua presenza nella collezione di Carlo V; vedi M. Mancini,

"Los últimos cuadros del emperador in Yuste", in El monasterio de

Yuste, a cura di F. Checa Cremades, Madrid 2007, pp. 166-169.

7

dall’ideologia che vige nella rappresentazione a stampa

dell’Aretino e dall’iscrizione che lo accompagna24: la

diffusione, attraverso l’immagine grafica, degli onori

dell’artista al suo apice cortigiano. Nel caso di Aretino,

viene sottolineato il suo essere il flagellum principium25,

in quello di Tiziano essere l’interprete dell’iconografia

devozionale di Carlo V. Inoltre, le due incisioni situano

Caraglio nel circolo più ristretto delle amicizie

aretiniane e tizianesche negli anni di maggior auge della

sintonia ideologica tra i due compari. Se ciò non fosse

sufficiente per rivalutare la presenza veneziana di

Caraglio, e specificamene nel mondo di Tiziano, basti

ribadire che fu l’artista d’origine veronese, e quindi non

veneziano, proprio come il cadorino, a introdurre

quest’ultimo per la prima volta al mondo delle incisioni su

rame26. Una tecnica con la quale mai in precedenza Tiziano

si era cimentato, preferendogli di gran lunga la

silografia, forse proprio per quel calore che i legni

incisi erano in grado di restituire all’immagine in nero27.

In tal senso merita la pena prestare particolare attenzione

alle risorse formali e filologiche -proprie dell’incisone a

stampa- per mezzo delle quali Caraglio dimostra il suo

interesse a una riproduzione fedele dell’opera di Tiziano:

una di esse è degna di essere evidenziata per il suo legame

con il non finito. Ci riferiamo alla maniera con la quale

viene reso il riflesso dell’ombra dell’angelo che si

proietta sul paviemento di fronte alla Vergine, un’ombra

naturale, preziosa che contrasta con quella mistica, che

deriva dallo sfavillio di luce che circonda la colomba

dello Spirito Santo, producendo a sua volta una

moltiplicazione di ombre mistiche sulle pareti

dell’edificio della sinistra, originate proprio dalle

nuvolette che sovrastano la Madonna. Si tratta, forse,

dello spettro vivo, di una delle prime manifestazioni del

non finito di Tiziano, inteso come risorsa formale e

ideologica al servizio del linguaggio pittorico.

In termini generali, attraverso la collazione tra

alcune opere di Caraglio e quelle di Tiziano, non è

difficile dimostrare che il rapporto tra i due artisti non

si sia limitato solo a quelle due incisioni. E’ facile

verificare come Tiziano avesse potuto studiare con

24 D. Petrus. Arretinus. Flagellum. Principium. Veritas odium parit.

Per quanto riguarda quest’incisione vedi M. Cirillo Archer,"Jacopo

(Gian Giacomo) Caraglio", op. cit. (nota 18), p. 204, nº0.61. 25 Sulla rappresentazione di Aretino nella ritrattistica di Tiziano

vedi L. Freedman, Titian’s Portraits Through Aretino’s Lens,

Pennsylvania 1995, pp. 35-44, part. p. 38-39 per la valutazione

iconografico/contestuale dell’incisione di Caraglio. 26 Sulla tecnica di Caraglio H. Zerner,"Sur Giovanni Jacopo Caraglio",

op. cit. (nota 17), p. 692. 27 M. Muraro, D. Rosand, Tiziano e la silografia veneziana del

Cinquecento, op. cit. (nota 11), p. 44.

8

attenzione le numerose carte e forse anche i disegni che il

Caraglio aveva portato con sé, convertendoli in una risorsa

preziosa di tecnica e immagini. Lo dimostrano numerosi

confronti con la serie di incisioni tratte da Perin del

Vaga28, ma sopratutto la quantità di riferimenti presenti

nel Marte e Venere (fig. 2) il cui disegno originale viene

datato intorno al 1530, quando è documentata la sua

spedizione –e forse anche quella dell’incisione- da Venezia

alla Francia29. Comunque la struttura dell’opera dovette

essere conosciuta da Tiziano ben prima del suo viaggio a

Roma e in essa troviamo numerosi spunti per opere che

verrano prodotte dopo quel soggiorno30. In primo luogo la

figura di Venere, la cui posizione della gamba destra e del

braccio potrebbe essere il punto di partenza per

l’elaborazione della posizione della Venere e Adone31 (fig.

3); inoltre, nella figura femminile in primo piano,

riconosciamo il modello di una delle ninfe, quella più

lontana e di spalle, della Diana e Atteone (fig. 4). La

stessa posizione di Atteone, non e molto distante, sia

nella posa che nella resa dell’espressione di stupore, da

quella del Marte del Caraglio. D’altro canto, anche il

personaggio che, dietro a Venere, è intento nel gesto di

sollevare la pesante tenda che occulta la dea, viene

ripreso, con un’abile rotazione, nella figura della ninfa

che svela il peccato di Calisto nel quadro corrispondente.

Infine, molti degli amorini, vengono riutilizzati in

differenti occasioni, come angioletti o mantenendoli come

amorini. Uno in particolare, quello di spalle in volo e con

l’arco, sembra quasi il fratello gemello del primo dei due

che vede Giove/toro rapire Europa (fig. 5), mentre le

gambotte di quello che lo accompagna, sostenendo la

guirlanda di fiori, vengono riprese, quasi senza variazione

28 “Solo fra tanti il Baviera, che teneva le stampe di Raffaello, non

aveva perso molto; onde per l’amicizia ch’egli aveva con Perino, per

intrattenerlo gli fece disegnare una parte d’istorie, quando gli Dei

si trasformano per conseguire i fini de’ loro amori; i quali furono

intagliati in rame da Iacopo Caraglio, eccellente intagliatore di

stampe. Et invero in questi disegni si portò tanto bene, che

riservando i dintorni e la maniera di Perino, e tratteggiando quegli

con un modo facilissimo, cercò ancora dar loro quella leggiadria e

quella grazia che aveva dato Perino a’ suoi disegni”; cfr. G. Vasari,

Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, op. cit.

(nota 8), p. 360. 29 E. A. Carrol, Rosso Fiorentino: Drawings, Prints, and Decorative

Arts, Catalogo della Mostra, National Gallery of Art, Washigton 1987,

pp. 176-179. 30 Sul viaggio romano di Tiziano e il suo interesse per l’Antico, vedi

C. Hope, Titian, op. cit. (nota 2), pp. 86-92; D. Rosand, Tiziano,

Milano 1983, pp. 28-30; R. Zapperi,"Tiziano, i Farnese e le antichità

di Roma", in Venezia Cinquecento,anno II, nº4 (1992), pp. 131-136. 31 Si tratterebbe del complemento formale più adatto a completare la

ricostruzione delle fonti dell’Antico già individuate da D. Rosand,

"Titian and the Bed of Policletes", in The Burlington Magazine, CXVII,

pp. 242-245, pp. 242-245.

9

alcuna, nel putto che si sorregge al mostro marino sempre

nel Ratto d’Europa.

In questi termini, la funzione svolta da Caraglio

getta interessanti lame di luce sulle ragioni strategiche e

formali che portarono Tiziano a perseguire un doppio -e

chiaro- obiettivo, attraverso l’uso delle incisioni:

ottenere una fama universalmente riconosciuta32 e

immediatamente identificabile attraverso l’uso di un

linguaggio classicista. Da tale prospettiva, le incisioni

non si limitano alla mera esecuzione del trasporto su rame

dei modelli di Tiziano, ma perfilano un’orizzonte ben più

complesso in relazione alla produzione pittorica e in

particolare all’ultimo stile e al non finito. Ne è esempio

efficace l’uso strumentale che la storiografia artistica ha

fatto delle stesse per ricostruire, contesti formali,

iconografie e, finanche, per precisare i termini delle

letture iconologiche di alcuni dei quadri di maggiore

interesse del pittore di Pieve di Cadore. Le incisioni sono

state utilizzate, come medium, come strumento lineare e

essenziale per comprendere le sfumature, i contrasti, i

chiaroscuri delle opere dipinte, per capire in sintesi la

funzione essenziale della variante rispetto al modello.

Ecco allora che, forse, il nostro concetto di originale si

vede assolutamente spiazzato rispetto al contesto

cinquecentesco nel quale si muoveva Tiziano e nel quale

bisogna collocare le sue peculiari scelte formali come il

non finito. L’insieme di dipinti che vanno sotto questa

definizione, e che, a parte tutte le loro possibili

classificazioni33, dobbiamo considerare -comunque- come

appartenenti alla sfera dell’eccezione, della variante

originale. Dove per originale intendiamo precisare quella

sottile differenza semantica in grado di attribuire alla

pittura un significato particolare in termini assoluti e

contestuali, rispetto alla genericità dell’incisione.

III. E’,forse, per le ragioni appena esposte che la

gran maggioranza dei suoi collaboratori/interpreti nel

mondo della grafica venivano da tradizioni ben lontane da

quella veneziana (e quando erano di origene veneta, come

Caraglio e i fratelli Fontana, usavano linguaggio formali

propri del mondo tosco-romano), e, allo stesso tempo

32 Il concetto della fama in rapporto alle stampe e alla loro

diffusione viene proposto da Muraro e Rosand per il particolare

contesto posteriore al ritorno dall’esperienza padovana di Tiziano e

vincolato, in particolare, con la ripresa su scala nazionale del

modello di Dürer; cfr. M. Muraro e D. Rosand, Tiziano e la silografia

veneziana del Cinquecento, op. cit. (nota 11), p. 54; ma è anche

interessante metterlo in rapporto all’attività incisoria di Francesco

Marcolini in quegli stessi anni, su questo tema vedi A. Gentili, "Il

problema delle immagini nell'attività di Francesco Marcolini", in Il

giornale storico della letteratura italiana, 1980, pp. 119-124. 33 A. Gentili, "Tiziano e il non finito", op. cit. (nota 2) pp. 95-117.

10

dobbiamo indicare come da loro trasse, come dimostra il

caso di Caraglio, preziose indicazioni su quel classicismo

formale che tanto lo stava interessando. Personaggi come

Giulio Bonasone, Martino Rota, Nicolò Nelli, Luca

Bertelli34, ma sopratutto Cornelis

35 Cort collaborarono in

modo essenziale alla diffusione delle iconografie

realizzate da Tiziano su tela.

In questo senso, a parte la significativa esperienza

con Caraglio, ci sembra di enorme importanza verificare la

coincidenza cronologica tra l’inizio dei primi segnali di

non finito in alcune opere degli anni cinquanta e sessanta

del secolo e l’attività di questi incisori al fianco di

Tiziano. Un semplice elenco catalografico rende

quest’indicazione ben più di un indizio: lo possiamo

verificare con facilità e, finanche, lo ricorda Ridolfi36.

Cornelis Cort è autore delle versioni a stampa di numerose

opere, cominciando da quelle che rappresentano momenti

della devozione cattolica: San Girolamo nel deserto37 (fig.

6), La Maria Maddalena38 (fig. 7), La Gloria

39 (fig. 8), Il

34 Per la distribuzione dei principali interventi nell’opera grafica di

Tiziano su rame e gli interpreti della stessa, vedi M. A. Chiari,

"Sulle incisioni di Tiziano dal Cinquecento all'Ottocento", in Atti.

Classe di Scienze Morali, Lettere ed Arti, Istituto Veneto di Scienze,

Lettere ed Arti, Venezia 1980, tomo CXXXVIII, pp. 9-12 e pp. 44-73. 35 M. Sellink, "Cort Cornelius", en Allgemeines Künstler-

Lexicon,Leipzig 1999, Band 21, pp. 341-344; Idem, “Cornelis Cort” in

The new Hollistein Dutch and Falmish Etchings, Engravings and

Wododcuts 145-1700, part I, Rotterdam 2000, pp. XXIII-XXXIII. 36 C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte, op. cit. (nota 22), I, p. 202. 37 Del quale secondo J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis

Cort, graveur hollandaie, Haya 1948, p. 141, nº 134, esistono sei

stati d’incisione e che è uno dei temi iconografici di maggiore

presenza nella produzione di Tiziano, anche se bisogna segnalare la

assoluta differenza tra questo modello e quelli dipinti. La data di

quest’incisione è 1565. Cfr., C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte, op.

cit. (nota 22), I, p. 202; F. Mauroner, Le incisioni di Tiziano, op.

cit. (nota 22), p. 53, n. 4; M. Catelli Isola (a cura di), Immagini da

Tiziano, op. cit. (nota 22), p. 42, n. 33; M. Sellink, “St Jerome

Penitent in the Wildersness” e “St Jerome reading in the Desert”; in

The new Hollistein, op. cit (nota 34), part II, nº 119-120, pp. 160-

163; M. Bury, "Printmaking in Age of Titian", op. cit., (nota 10), p.

301, n. 143 38 J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis Cort, op. cit.

(nota 40), p. 149, nº 143, identifica due stati della stampa che in

questo caso rimanda direttamente ai modelli pittorici più canonici e

ortodossi dal punto di vista idelogico religioso. Ampio repertorio di

immagini e varianti in M. Sellink, “St Mary Magdalen Repentant in the

Wilderness” in The new Hollistein, op. cit (nota 34), part II, nº 132,

pp. 193-197. Mentre sulle problematiche dell’iconografia di Maddalena

rimando ad A. Gentili, “Der kluge Dissens Tizian: Religiöse Gemälde in

den Jahren der Disziplinierung” y “Maria Maddalena” ambedue in Dar

späte Titian und die Sinnlichkeit der Malerei, Catalogo della Mostra a

cura di S. Ferino Pagden, Vienna 2007, rispettivamente pp. 279-285 y

nº 3.12, pp. 309-311. 39 J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis Cort, op. cit.

(nota 40), p. 117, nº 111, anche in questo caso ci troviamo di fronte

11

martirio di San Lorenzo40 (fig. 9), La Santa Margherita e

il Drago41 (fig. 10) o l’Annunciazione nella sua versione

di San Salvador42 (fig. 11). Per quanto riguarda il primo

quadro, il San Girolamo nel deserto, ci troviamo di fronte

a una iconografia che, seppure si discosta da quelle

proposte nei quadri di Brera, El Escorial e Louvre, era

molto frequente nella tradizione veneziana, come dimostrano

a una riedizione perfettamente coerente con il modello dipinto, con

l’introduzione delle varianti ben conosciute dell’autoritratto del

pittore e del suo accompagnate e viene normalmente datata al 1569;

sulla Gloria cfr. F. Checa Cremades, "Ultimi studi su diverse pitture

di Tiziano del Museo del Prado", in Tiziano. Restauri, tecniche,

programmi, prospettive, Atti del Seminario dell’Istituto Veneto di

Scienze Lettere ed Arti; Venezia 2005, pp. 116-118; e il recentissimo

intervento di F. Checa Cremades, "Venezia, Yuste, El Escorial: Los

cambiantes significados de la Gloria de Tiziano", in El monasterio de

Yuste, op. cit. (nota 24), pp. 135-162. Mentre per quanto riguarda le

diverse tipologie e varianti dell’incisione vedi M. Sellink, “The

Adoration of the Trinity (La Gloria)” in The new Hollistein, op. cit

(nota 34), part II, nº 82, pp. 39-43. 40 J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis Cort, op. cit.

(nota 40), p. 144, nº 139 e p. 147, nº 140; M. Sellink, “The Martyrdom

of St Lawrence” in The new Hollistein, op. cit (nota 34), part II,

nº128, pp. 178-183. Bieren de Haan identifica due stati di quest’opera

che presenta varianti di rilievo tanto rispetto al modello dei

Crociferi come a quello escurialense. In tal senso è significativo

sottolineare la forte caratterizzazione classicista dell’incisone dove

manca assolutamente la presenza di personaggi contemporanei, a favore

di una loro romanizzazione sistematica. Altrettanto importante è

l’assenza di qualsiasi allusione al tempio classicista, la cui

funzione viene sostitutita dalla divinità che acquisisce, attraverso

l’uso abilissimo dei riflessi propri del chiaroscuro, maggiore

importanza nella scenografia generale dell’episodio. Vedi anche 41 J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis Cort, op. cit.

(nota 40), p. 151, nº 145, identifica l’opera come una di quelle

realizzate da Cort in un momento anteriore alla concessione del

privilegio di stampa e, comunque, si tratta di un’incisione da mettere

direttamente in rapporto con il quadro dello stesso tema del Museo

Nacional del Prado, anche se è interessante segnalare la assoluta resa

in chiaro del paesaggio e il protagonismo che riacquisisce il dragone,

rispetto al modello dipinto. Vedi anche vedi M. Sellink, “St Margaret

of Antioch and the Dragon” in The new Hollistein, op. cit (nota 34),

part II, nº 130, pp. 188-189. In relazione al privilegio di Stampa,

appena citato, vedi Archivio di Stato di Venezia, filza 48, citato in

M. A. Chiari, "Sulle incisioni di Tiziano dal Cinquecento

all'Ottocento", op. cit. (nota 36), p. 330; la richiesta e il

carteggio relativo con il Consiglio dei Dieci, si trova in C. Fabbro,

Tiziano. Le lettere dalla silloge dei documenti tizianeschi di Celso

Fabbro, a cura di C. Gandini, Pieve di Cadore 1989, pp. 235-237, nº

176-178. L’importanza della funzione dei privilegi di stampa nel

contesto più ampio della diffuisione e gestione del materiale grafico

a Venezia, viene precisato da G. J. Van der Sman, “Incisori e

incisioni d’Oltralpe a Venezia nella seconda metà del Cinquecento” in

Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini,

Dürer e Tiziano, a cura di B. Aikema, Catalogo della Mostra, Venezia

1999, p. 154. 42 The Ilustrated Bartsch, USA 1986, vol. 52, p. 31, nº 23-II (47); M.

Sellink, “The Annuntiation” in The new Hollistein, op. cit (nota 34),

part I, nº 19, pp. 48-52.

12

numerose opere, prime tra tutte quelle del Lotto43.

Rispetto alle versione dipinte di Tiziano, la stampa del

Cort rinuncia alle questioni più squisitamente penitenziali

e drammatiche a favore dell’immagine patristica del Santo.

Una scelta che allontana, credo definitivamente le

interessanti ipotesi in relazione al quadro di San

Fantin44, soprattutto perché Vasari riferisce che Cort fece

“in una tavoletta un San Girolamo in penitenza”45, benché

il tema della fonte iconografica non sia risolto

definitivamente. In tal modo ci troveremo di fronte a un

altro episodio nel quale l’autonomia delle versioni incise

rispetto a quelle dipinte, pur nella ripresa di modelli

iconografici generali, viene ribadita secondo le linee

proprie di un’abbandono degli elementi più squisitamente

caratteristici di una devozione individuale. Un discorso

ancor più articolato riguarda la Maria Maddalena, di nuovo

l’aspetto di maggiore interesse lo troviamo nella

impossibilità di indicare con precisione il modello dal

quale l’incisore avrebbe tratto la stampa. Esistono

elementi che, come sostenuto da Bierens de Haan e dalla

Catelli Isola46 potrebbero far pensare alla versione

dipinta, attualmente conservata presso l’Ermitage,

altrettanto interessanti paiono essere le ipotesi che

avvicinano la stampa al quadro delle Gallerie Nazionali di

Capodimonte47, o quelle che la mettono in relazione con la

tela perduta dipinta da Tiziano per Filippo II48. In

ciascuno di questi casi si tratta di ipotesi che non

vengono avvallate dal riscontro delle immagini dipinte, se

non per quanto riguarda il tema o il modello iconografico

generale. Un concetto che -e ci preme segnalarlo- dovette

essere ben chiaro al pittore e al suo incisore, ma che

altrettanto chiaro doveva essere qualche anno più tardi a

Carlo Ridolfi, che al parlare di quest’opera la definisce,

nel contesto generale dell’attività di Cort presso Tiziano,

come “la Maddalena pentita nell’eremo”49, senza indicare

un’origine iconografica precisa per la stampa. In tal senso

ci sembra più che plausibile l’ipotesi della Chiari50, che

parla di un processo di produzione nel quale il pittore si

43 A. Gentili, M. Lattanzi, F. Polignano, I giardini di contemplazione.

Lorenzo Lotto, 1503/1512, pp. 162-183. 44 R. Pallucchini, Tiziano, Firenze 1969, p. 339, n. 591; M. A. Chiari,

Incisioni da Tiziano. Catalogo del fondo grafico a stampa del Museo

Correr, Venezia, 1982, p. 49, n. 5. 45 G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e

architettori, op. cit. (nota 8). 46 J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis Cort, op. cit.

(nota 40), p. 149, n. 143; M. Catelli Isola (a cura di), Immagini da

Tiziano, op. cit. (nota 22), p. 41, n. 32. 47 Mayer, “Quelques Notes sur l’Oeuvrede Titien” en Gazette des Beaux-

Arts, nº 20 (1938), p. 299. 48 H. E. Wethey, The Paintings of Titian. I, op. cit. (nota 3), p. 148. 49 C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte, op. cit. (nota 22), I, p. 202. 50 M. A. Chiari, Incisioni da Tiziano, op. cit. (nota 47), p. 51, n. 6.

13

limiterebbe a fornire dei disegni autonomi dai quali trarre

le incisioni, e, forse, si potrebbe andare anche oltre,

ipotizzando un’intervento di finitura la cui responsabilità

ideologica corrisponderebbe al proprio Tiziano, mentre le

soluzioni tecnico formali verrebbero offerte dal Cort. In

tal senso, e specialmente nel caso di modelli iconografici

di grande diffusione nella pittura dell’ultimo Tiziano,

come la Maddalena, l’autonomia dell’incisione rispetto alle

versioni dipinte, si configura come un primo, fondamentale,

punto di partenza per ridiscuterne le attribuzioni: la

corrispondenza con il modello grafico, a volte ritenuta

prova inconfutabile di originalità, potrebbe, invece,

dimostrare giusto il contrario, determinandone la

condizione di versione posteriore. La Gloria, nel

particolare contesto del non-finito di Tiziano, conferma la

necessità di ragionare sulla sua funzione linguistica,

intesa come una risorsa destinata a supportare di volta in

volta le scelte semantiche più adeguate ai diversi

contesti. Gli elementi che differenziano la versione incisa

da quella dipinta, e che in alcuni casi trovano riscontro

nella radiografia del modello originale, li possiamo

identificare nell’introduzione di una secondo eremo nello

sfondo paesaggistico e soprattutto nella radicale

modificazione della figura che storicamente viene

identificata in entrambi i casi come l’autoritratto di

Tiziano. Se nel dipinto il pittore si ritrae in maniera

uniforme con il resto dei personaggi, con il torso coperto

di un semplice panno bianco; nella stampa lo troviamo

inequivocabilmente rappresentato con quegli indumenti che

lo qualificano come pittore, secondo la ben nota

iconografia del contemporaneo autoritratto di Berlino (fig.

12). Infine, è interessante notare come si tratti, in

termini filologici, di una stampa perfettamente coerente

con l’originale dipinto, nel quale le variazioni appena

citate, corrispondono bisogno di adeguarne il decoro alle

nuove circostanze, prime tra tutte l’inevitabile necessità

di ricordare la condizione di pittore imperiale di Tiziano

e allo stesso tempo di segnalare il fatto che lui, al

contrario di Carlo V era ancora in vita51. Strettamente

51 G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e

architettori, op. cit. (nota 8); C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte,

op. cit. (nota 22), I, p. 202; F. Mauroner, Le incisioni di Tiziano,

op. cit. (nota 22), p. 53, n. 6; C. Gould, The Studio of Alfonso

d'Este and Titian's Bacchus and Ariadne, London 1969, pp. 124-125; H.

E. Wethey, The Paintings of Titian. I, op. cit. (nota 3), p. 165, n.

149; M. Catelli Isola (a cura di), Immagini da Tiziano, op. cit. (nota

22), p. 40, n. 29; C. Hope, Titian, op. cit. (nota 2), p. 120; M. A.

Chiari, Incisioni da Tiziano, op. cit. (nota 47), p. 49, n. 5; M.

Mancini, “La Gloria”, in Carlous, a cura di F. Checa, Catalogo della

Mostra, Madrid 2000, p. 509. n. 298; F. Checa Cremades, "Venezia,

Yuste, El Escorial: Los cambiantes significados de la Gloria de

14

vincolata alla relazione con la corte spagnola è anche

l’incisone del Martirio di San Lorenzo, dove è interesante

notare la scomparsa di qualsiasi riferimento architettonico

al tempio pagano, che tanta importanza riceve in entrambe

le opere su tela, anche se con funzioni e spazi prospettici

assolutamente differenti. Forse una strategia formale

destinata a evidenziare in modo ancor più significativo

l’effetto di notturno come condizione contestuale

determinante nella lettura dell’opera. La versione su rame,

si distingue anche per l’assenza di qualsiasi riferimento

contestuale alla contemporaneità negli indumenti dei

diversi personaggi che partecipano alla scena, restituendo

l’episodio storico al mondo dell’antica Roma imperiale,

come narrato dalle fonti. Una circostanza che ci permette,

di nuovo, di verificare l’esistenza di una strategia comune

negli interventi grafici di Cort nell’opera di Tiziano, il

cui denominatore comune risiede nella volontà di

semplificazione e, in occasioni come questa, eliminazione

di qualsiasi riferimento a contesti specifici capaci di

interferire nella lettura e interpretazione degli episodi

narrati. In tal senso, e a dimostrazione dell’autonomia

delle opere grafiche rispetto a quelle dipinte, vale la

pena ricordare, quasi come contrappunto finale, il doppio

richiamo al vincolo con la corte spagnola, nelle figure di

Carlo V e Filippo II, ribadito dalle iscrizioni che

alludono alla condizione di Tiziano come cavaliere cesareo

(sulla graticola) e al figura del re spagnolo come invicto

(sul piedistallo della divinità pagana)52. Nel caso caso

dell’ultima stampa di Cort citata nella nostra listra

iniziale, l’Annunciazione53, constatiamo come, pur

mantenendo inalterata la struttura della composizione,si

proceda a introdurre delle varianti sostanziali nella

tensione tra forma e contenuto. Nella forma, con

Tiziano", op. cit. (nota 24), pp. 135-162; M. Mancini, "Los últimos

cuadros del emperador in Yuste", op. cit. (nota 24), pp. 164-165. 52 VAN MANDER 1604, p. 177, C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte, op.

cit. (nota 22), I, p. 202; F. Mauroner, Le incisioni di Tiziano, op.

cit. (nota 22), p. 53, n. 6; H. E. Wethey, The Paintings of Titian. I,

op. cit. (nota 3), p. 139-140, n. 114-115; M. Catelli Isola (a cura

di), Immagini da Tiziano, op. cit. (nota 22), p. 40, n. 29; M. A.

Chiari, Incisioni da Tiziano, op. cit. (nota 47), p. 49, n. 5; F.

Checa Cremades, Tiziano e la Monarquía Hispánica, op. cit. (nota 2),

p. 75; M. Mancini, Tiziano e le corti d'Asburgo nei documenti degli

archivi spagnoli, Venezia 1998, pp. 366-368, n. 246-247; M. Falomir,

"Tiziano: réplicas", in Tiziano, op. cit (nota 5), p. 280, n. 57. 53 G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e

architettori, op. cit. (nota 8), p. 813; C. Ridolfi, Le maraviglie

dell'arte, op. cit. (nota 22), I, p. 205; H. Tietze, E. Tietze-Conrat,

The Drawings of the Venetian Painters in the 15th and 16th Centuries,

New York 1979, p. 316, n. 1905; H. E. Wethey, The Paintings of Titian.

I, op. cit. (nota 3), pp. 71-72, n. 11; M. Catelli Isola (a cura di),

Immagini da Tiziano, op. cit. (nota 22), pp. 37-38, n. 26; M. Mancini,

"Los últimos cuadros del emperador in Yuste", op. cit. (nota 24), pp.

166-168.

15

l’introduzione del paesaggio aperto del fondo, e un abile

uso del chiaroscuro, riesce a stravolgere completamente il

clima apocalittico dell’originale tizianesco, trasformando

la scena in un momento festoso di ortodossa celebrazione

del momento dell’Annuciazione. Ecco allora che non è più

necessario diluire le forme, scomporre i colori, spezzare i

rapporti cromatici, e tutto può essere risolto in un

tripudio di linee perfettamente equilibrate, di panneggi

che giocano con il chiaroscuro e di gesti immortalati da un

equilibrio chiaramente classicista, iniziando dalla figura

dell’Arcangelo Gabriele e dal colonnato che è dietro di

lui. In questa strategia, anche gli elementi che

ambiguamente qualificano il dipinto di San Salvador,

perdono di valore semantico e possono essere o abbandonati

a se stessi, come è il caso del cinto virginale di Maria,

o, altrimenti, riconvertiti in attributi canonici, come

dimostra il bel vaso con il giglio, che sostituisce

l’ambigua pianta sfavillante dell’originale e il suo ancor

più inquietante contenitore54. Forma e contenuto risultano

ormai stravolti a favore di un nuovo e più efficace

criterio di equidistante e ortodossa propagazione

iconografica.

Per quanto riguarda la storia romana o la mitologia

interpretate, evidentemente, in chiave morale, ricordiamo

Tarquinio e Lucrezia55 (fig. 13), Prometeo o Tizio

56, Diana

e Calisto57 (fig. 14). In rapporto a quest’ultimo tema

54 A. Gentili,"Tiziano e la Religione", in Titian 500, a cura di E.

Manca, Atti del Congresso (Washington CASVA-National Gallery of Art

1993), pp. 153-156. 55 J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis Cort, op. cit.

(nota 40), p. 175, nº 193-194, dove si identificano tre stati

d’incisione, poi riproposti anche da M. Sellink, “The Rape of

Lucretia” in The new Hollistein, op. cit (nota 34), part III, nº 191,

pp. 80-83. Si trata di una delle opere la cui traduzione grafica

presenta maggiore fedeltà rispetto al modello del Fitzwilliam Museum,

ma che è drammaticamente differente rispetto alle tensioni e alle

disgregazioni del colore che costituiscono la principale

caratteristica del quadro della Akademie de Bildenden Künste di

Vienna. 56 J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis Cort, op. cit.

(nota 40), p. 178, nº 192, identifica tre stati di stampa e

soprattutto evidenzia la differenza rispetto al modello dipinto nella

posizione del braccio destro e delle gambe (la presenza dei ceppi),

rendendo l’immagine molto più canonica e leggibile rispetto ai

parametri iconografici dell’epoca. Chiaramente da mettere in rapporto

con l’incisione del Sanuto di analogo tema con quella di Martino Rota;

cfr. H. E. Wethey, The Paintings of Titian. III, op. cit. (nota 3),

pp. 159. Viene normalmente datata al 1566 e inclusa tra i fogli

mandati da Tiziano al Lampsonio e da questi commentati; cfr. C.

Fabbro, Tiziano, op. cit. (nota 44), pp. 239-241, nº 180. Rispetto

alle varianti incise vedi anche M. Sellink, “Titius punished in Hell”

in The new Hollistein, op. cit (nota 34), part III, nº 190, pp. 77-79. 57 J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis Cort, op. cit.

(nota 40), p. 159, nº 157, identifica due stati di stampa, il primo

dei quali viene datato al 1566. rispetto al modello di Edimburgo,

16

iconografico è interessante notare due questioni: primo che

non esiste versione incisa dell’altra opera che la

accompagnava nella composizione ideologica e formale,

parliamo chiaramente del Diana e Atteone. Secondo, che –

forse- le ragioni di quell’assenza risiedono proprio

nell’eterodossia che i due quadri di Edimburgo offrono

rispetto alla lettura lineare della funzione del mito

classico. In tal senso non possiamo considerare una

casualità che un’Atteone addomesticato e quindi positivo,

venga rappresentato al centro dell’incisone, sotto le

spoglie di un tranquillo cervo che accompagna la

Diana/scultura che sormonta la fontana. Una presenza,

quella del cervo, della quale non troviamo traccia nemmeno

nella morigerata versione viennese del dipinto (fig. 15).

Inoltre non possiamo dimenticare che la figura del

personaggio principale di un’altra incisione, San Teodoro e

il Drago58, può essere messa in rapporto immediato con

l’Atteone dipinto nella Diana e Atteone59 come già ho

accennato anteriormente. Una posizione, quella del Santo

patrono di Venezia, che risultò essere particolarmente

efficace e suggestiva per rendere quell’idea di sorpresa

con la quale Tiziano volle caratterizzare il protagonista

del suo dipinto, con il fine di sottolinearne l’innocenza

rispetto all’imminente castigo divino. Uno studio di figura

che di fatto anticipa le sperimentazioni sulla

rappresentazioni delle passioni (sorpresa) del naturalismo

Barocco60.

Gli esempi che abbiamo trattato evidenziano in maniera

estremamente chiara che la funzione di diffusione svolta

dalle stampe del Cort voleva perpetrare, sotto la direzione

ideologica di Tiziano –che, tra l’altro era assolutamente

entusiasta delle opere del fiammingo come conferma la già

citata lettera del Lampsonio-, l’idea di opere fortemente

l’incisione risulta essere più prossima alla versione del dipinto

conservata a Vienna con un chiaro intento di ricondurre nell’ambito

della leggibilità iconografica l’insieme delle ambigue allusioni che

offre la prima versione dipinta. In tal senso è interessante notare

come, per la propria natura del supporto grafico, i vincoli con

l’influenza dei modelli tratti dal Caraglio -indicati in precedenza-

si rivelino ancor più chiari. Un ultima notazione la merita la

rappresentazione della scultura di Diana che occupa il centro della

fontana, dove il chiaroscuro persegue l’obiettivo di restituire alla

scultura un’intensità classicista, assolutamente aliena a ambedue le

versioni dipinte. Interessante anche il repertorio di versioni

pubblicato da M. Sellink, “Diana discover Callisto’s pregnacy” in The

new Hollistein, op. cit (nota 34), part III, nº 189, pp. 75-76. 58 M. A. Chiari, Incisioni da Tiziano, op. cit. (nota 47), p. 64, nº

27. 59 H. Tietze, E. Tietze-Conrat, The Drawings of the Venetian Painters,

op. cit. (nota 56), nº 2013. 60 Sulle questioni delle espressioni dei sentimenti rimando a I. Lavin,

“Bernini’s Portraits of No-Body” in Il ritratto e la Memoria.

Materiali 3, a cura di A. Gentili, P. Morel, C. Cieri Via, Roma 1993,

pp. 161-194.

17

marcate dal classicismo, e nelle quali la funzione della

linea nella sua relazione colorista con il chiaroscuro,

aveva l’unica finalità di sottolinearne proprio il

classicismo. Allo stesso tempo, questa strategia

linguistica perseguiva l’obiettivo di ridurre –e quasi

annullare- gli aspetti più controversi degli originali

tizianeschi, creando prototipi piacevoli alla vista e

spendibili in qualisiasi contesto, come il nome del loro

autore. Lo conferma, tra l’altro, il fatto che fu lo stesso

Tiziano a diffondere quei fogli tra i suoi principali

committenti61. Infine, quegli stessi prototipi si potevano

rivelare eccezionali modelli e fonti d’ispirazione per la

realizzazione di copie e versioni autonome da parte di

altri artisti come effettivamente dimostrò il Seicento

europeo62. Ecco allora che l’insieme di questioni che

abbiamo appena elencato, si offrono come una risposta

scientificamente solvente al ragionevole stupore del

Mauroner al constatare l’entusismo di Tiziano di fronte a

copie “prive di quella grandiosità che è il carattere

precipuo dell’opera tizianesca”63.

IV. Non si tratta di un caso isolato e limitato alla

relazione con Cort, caratteristiche simili le troviamo in

alcune delle incisioni di Martino Rota64, come Il Cristo

della Moneta65, Tizio

66 (fig. 16) o San Pietro Martire

67

(fig. 17); ma anche nelle opere firmate dal bolognese

Giulio Bonasone68, le cui riproduzioni vengono ampiamente

61 Ne è esempio la lettera mandata a Margherita d’Austria nel giugno

del 1567; cfr. C. Fabbro, Tiziano, op. cit. (nota 44), p. 245-246, nº

184, o quella a Filippo II del agosto 1571, cfr. M. Mancini, Tiziano e

le corti d'Asburgo, op. cit. (nota 55), p. 366-367, nº 246. 62 Su questo argomento sono di gran interesse gli scritti complementari

di T. Pignatti, "Abbozzi e ricordi: New Observation on Titian's

Technique, in Titian 500, op. cit. (nota 57), pp. 73-83; W. R.

Rearick, "Titian Later Mytologies", in Artibus et Historiae, nº XVII

(37) 1996, pp. 23-67. 63 F. Mauroner, Le incisioni di Tiziano, op. cit. (nota 22), p. 23. 64 Sulla collaborazione con Martino Rota, cfr. M. A. Chiari, "Sulle

incisioni di Tiziano dal Cinquecento all'Ottocento", op. cit. (nota

36), pp. 331-332. 65 M. Catelli Isola (a cura di), Immagini da Tiziano, op. cit. (nota

22), pp. 51-52, nº 71. 66 J.C.J. Bierens de Haan L'ouvre gravé de Cornelis Cort, op. cit.

(nota 40), p. 174, nº 159, si tratta di una versione in controparte

dello stesso modello iconografico di Cort, realizzato verso il 1570

durante l’assenza del fiammingo da Venezia. In questo caso ci

interesssa segnalare che alla riduzione qualitativa dell’opera, non

corrisponde l’introduzione di alcuna variante significativa

confermando in tal modo la coerenza della strategia ideologica/formale

rappresentata dalle incisioni del Cort. 67 The Ilustrated Bartsch, USA 1980, vol. XVI, p. 256, nº 19; D.

Rosand, Tiziano, op. cit. (nota 32), p. 20; M. Bury, "Printmaking in

Age of Titian", op. cit., (nota 10), p. 306, nº 147. 68 A. Petrucci,"Bonasone Giulio", in Dizionario Biografico degli

Italiani, Roma 1962, vol. 11, pp. 591-595; S. Massari, Giulio

18

lodate dal Vasari69. Per quanto riguarda il primo, Rota, ci

limitiamo a ricordare l’immediato e strepitoso successo del

San Pietro Martire, che venne definito da Vasari come

l’opera “la quale è la più compiuta, la più celebrata e la

maggiore e meglio intesa e condotta che altra la quale in

tutta la sua vita Tiziano abbia fatto ancor mai”70. Una

serie di elogi che sono rimasti costanti nella storiografia

artistica, con l’unica eccezione delle parole spese dal

padre Sigüenza, che al rifersi alla copia del quadro

conservata presso il monastero di San Lorenzo de El

Escorial, si soffermava sulla perdita di decoro del quadro

dovuta al gesto del santo di difendersi dal martirio e

dall’eccessiva trasposizione colorista che Tiziano aveva

raggiunto nella descrizione dei sentimenti e delle passioni

rappresentati proprio attraverso quel gesto71. Un dipinto

rispetto al quale, la funzione delle copie, ma anche e

soprattuto di quest’incisione di Martino Rota, svolgono una

funzione assolutamente essenziale nel completare le

numerose descrizioni ecfrastiche dello stesso,

proporzionando un punto di riferimento grafico essenziale.

Nonostante ciò, non dobbiamo perdere di vista alcune

questioni nel giudicare il rapporto tra la pittura e la sua

trasposizione grafica. In primo luogo il fatto che,

rispetto alla relazione con Cort, quella con Rota

rappresenta un episodio marginale nella traiettoria di

Tiziano e quindi non possiamo calibrare con certezza il

grado d’intervento del maestro rispetto ai prototipi

dipinti; una circostanza alla quale bisogna aggiungere che

il Il martirio di San Pietro Martire era opera molto

conosciuta ed esposta al pubblico da almeno trent’anni

rispetto alla data nella quale se ne realizzó questa

versione a stampa, e, infine che la stessa cartella che ne

attribuisce l’invenzione a Tiziano, sembra dar fede di tale

distanza cronologica. Infine, una lettura attenta della

struttura compositiva della stampa di Rota rivela i debiti

rispetto al modello dipinto del quale quest’opera,

probabilmente, vuole essere una riproduzione molto più

fedele rispetto ai processi creativi promossi e realizzati

da Cort. In tal senso dobbiamo leggere il fatto che si

rinuncia alla squadratura del campo d’incisione,

riproducendo il formato pala d’altare, che,

inevitabilmente, lascia uno spazio bianco, corrispondente

Bonasone, Catalogo della Mostra, Roma 1983, part. pp. 99-100, nº 131;

M. Cirillo Archer, "Giulio Bonasone", in The Ilustrated Bartsch, USA

1995, 28, vol. 15, pp. 217-221. 69 G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e

architettori, op. cit. (nota 8), pp. 308, in particolare ricorda il

Tantalo e Venere e Adone. 70 G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e

architettori, op. cit. (nota 8), p. 810. 71 J. de Sigüenza La fundación del Monasterio de El Escorial, Madrid

1988, [1605], pp. 372-373.

19

alla cimasa della pala, improprio di opere d’invenzione

come quelle del Cort. Anche nella struttura semantica

dell’opera assistiamo alla materializzazione di riferimenti

alla contemporaneità, assenti in altre occasioni, primo tra

tutti l’abbigliamento del carnefice. Un’insieme di

circostanze che se da una parte rivalidano l’indipendenza

di Rota rispetto a Tiziano, dall’altra ne sottolineano la

distanza nei processi creativi e nelle strategie di

diffusione e che, infine, proprio per queste stesse

ragioni, ci possono restituire un’immagine grafica

dell’opera molto più fedele rispetto a quelle diffuse da

Cort, stampatore ufficiale e cum privilegio di Tiziano. Un

immagine che di fatto appare assai distante dai parametri

secondo i quali, attualmente, si valuta il concetto di non

finito in Tiziano e che se, correlata dal positivo giudizio

di Vasari, ma anche dalla natura di quello negativo di

Sigüenza, ci permette di concludere distinguendo la pala

dei Santi Giovanni e Paolo, come un modello formale che

anticipa, in termini canonici, le ragioni semantiche del

non finito.

Per quanto riguarda Bonasone ci interessa centrare la

nostra attenzione nelle versioni a stampa della Deposizione

nel Sepolcro72 (figg. 18-19) del Museo del Prado e della

Crocifissione73 (figg. 20-21) del Monastero di San Lorenzo

de El Escorial. In entrambi i casi si tratta di opere

fortemente vincolate all’intervento esecutivo della

bottega74 (e per questo tanto importanti nel contesto

dell’ultima produzione del pittore e del suo non finito).

Una bottega declinata nell’indefinizione propria della

prima tela75, o nella strategica attribuzione del quadretto

ai pennelli di Orazio76. L’aspetto di maggiore interesse lo

troviamo nella perfetta sincronia formale tra i disegni

attribuiti a Bonasone77, le incisioni da essi derivate e le

72 M. Catelli Isola (a cura di), Immagini da Tiziano, op. cit. (nota

22), pp. 32-33, nº8. 73 G. Fiocco, "A small portable panel by Titian for Philip II", in The

Burlington Magazine, nº 643 (1956), pp. 343-348; J. Milicua,"A

proposito del pequeño crucifijo ticianesco del Escorial", in Archivo

Español de Arte,nº 118, XX (1957), pp. 115-123; M. Catelli Isola (a

cura di), Immagini da Tiziano, op. cit. (nota 22), p. 32, nº7; B.

Bassegoda, El Escorial como Museo, Barcelona 2002, p. 161, n. CP1; C.

García Frías, “Cristus am Kreuz” in Dar späte Titian, op. cit. (nota

41), nº 3.8, pp. 309-311. 74 Lo stato attuale degli studi sulla Bottega in Studi Tizianeschi, nº

4, 2006, ma anche in Tiziano l’ultimo atto a cura di L. Puppi,

Catalogo della Mostra, Milano 2007. 75 Riguardo alle due versión vedi A. Gentili, "Tiziano e la Religione",

in Titian 500, op. cit. (nota 57), pp. 147-154. 76 F. Checa Cremades, Tiziano e la Monarquía Hispánica, cit. (nota 2),

p. 275, nº 56. 77 T. Ketlesen, "A drawing for Giulio Bonasone's print after Titian's

Entombment", in The Burlington Magazine,vol. CXXXVIII, nº 1120, luglio

1996, pp. 446-453.

20

corrispondenti versioni tiziasche in pittura, come se vi

fosse un riferimento comune tra quanto prodotto nella

bottega e l’attività degli incisori, in questo caso

Bonasone. In tal senso spicca la straordinaria

corrispondenza tra la Crocifissione dipinta e quella

incisa, nella disposizione dei personaggi, nella

qualificazione dei loro attributi, nella costruzione delle

relazioni spaziali tra lo sfondo, il primo piano e le

figure. Un processo equivalente lo abbiamo potuto

verificare anche nel rapporto tra le due versioni dipinte

della Deposizione nel Sepolcro, attraverso gli studi

specifici che le sono stati realizzati di recente78. Un

processo affatto nuovo nella pratica di bottega di Tiziano

di quegli anni, come dimostrano il proliferare di varianti

e versioni similari di analoghi soggetti iconografici79, la

cui costante comune si individua in una progressiva perdita

di valore semantico, direttamente proporzionale alla

distanza dal modello originale. Un aspetto che possiamo

considerare come parte essenziale dei meccanismi di

adeguamento da parte della bottega e della sua produzione

alle necessità di un pubblico generico. In questo senso,

ricordiamo le preferenze espresse, per esempio, dal

Marchese di Ayamonte verso la prima maniera del maestro o

il disinteresse di Antonio Pérez in relazione al contenuto

figurativo delle opere a lui destinate80. E’ in tale

contesto che la semplicità formale e l’assenza di

complicazioni semantiche, presenti anche nelle altre opere

di Bonasone, come L’orazione nell’orto (fig. 22), La fuga

in Egitto, La Sacra Famiglia, si trasformano in veri e

propri meccanismi di supporto a un ghigno sempre più

classicista verso i trionfanti modelli formali tosco-

romani.

La conclusione spetta a una delle opere grafiche che

maggior interesse ha destato negli studi tizianeschi e che

ben corrisponde all’Annunciazione di Caraglio da dove siamo

partiti. Parliamo, evidentemente, della già citata versione

a stampa della Religione soccorsa dalla Spagna81 di Giulio

Fontana82 (figg. 23-24). Le varianti che differenziano le

versioni dipinte dall’incisione, non modificano la

struttura spaziale della composizione, ma servono per

evidenziarne le caratteristiche interpretative di maggiore

78 M. Falomir, "Tiziano: réplicas", in Tiziano, op. cit (nota 5), pp.

260-263, nº 47-48. 79 M. Falomir, "Tiziano: réplicas" op. cit. (nota 5), pp. 77-91. 80 M. Mancini, Tiziano e le corti d'Asburgo, op. cit. (nota 55), pp.

99-109. 81 F. Mauroner, Le incisioni di Tiziano, op. cit. (nota 22), p. 57, nº

2; M. Catelli Isola (a cura di), Immagini da Tiziano, op. cit. (nota

22), pp. 49-50, nº59. 82 Su Fontana vedi H. Ecomonopulos, "Giovanni Battista Fontana", in

Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 1997,vol. 41, pp. 677-681,

su Giulio in part. p. 679.

21

rilievo, come segnalava Panofsky83. In particolare ci

interessa sottolinare come l’identificazione del

personaggio che accompagna la Minerva/Bellona

dell’incisione, l’Allegoria della Pace, risponda

perfettamente ai criteri di diffusione e normalizzazione

anteriormente esposti. Ci riferiamo specificamente alla

riduzione semantica che viene adottata da Fontana,

attraverso la rinuncia all’insieme di sfumature

iconologiche che Tiziano aveva organizzato nella figure

allegoriche della Giustizia e dell’Allegoria della Spagna

come incarnazione della Fortezza84 nella lotta contro

l’eresia. In tal senso possiamo interpretare riferimenti

iconologici espliciti come il calice riverso nel suolo,

l’introduzione dell’infedele al centro del mare e il gesto

della Giustizia di alzare “la spada della scomunica [che] è

il nervo della disciplina eclesiástica”85. Un sistema

linguistico perfettamente coerente con una lettura

contestuale, che si faceva interprete delle necessità

ideologico-rappresentative di Filippo II, ma assolutamente

inefficace rispetto alla difusione del modello a stampa di

un tema allegorico più generico. In questo caso, però,

l’aspetto di maggiore interesse risiede nel fatto che,

malgrado l’incisione circolasse almeno dal 1566-1569,

ragionevolmente le cronologie dell’intervento di

modificazione della struttura compositiva devono essere

posteriori. Lo descrive la citazione vasariana riferita al

83 E. Panofsky, Tiziano, op, cit. (nota 15), pp. 187-190. 84 Ripa parla per la Fortezza di “Donna armata, et vestita di color

lionato, il quale colore significa fortezza, per essere somigliante a

quello del Leone; havera il corpo largo, la statura dritta, l’ossa

grandi, il petto carnoso, il color de la faccia fosco, i capella ricci

e duri, l’occhio lucido, non molto aperto, nella mano destra terrà un

asta, con un ramo di rovere, et nel braccio sinistro uno scudo in

mezzo al quale vi sia dipinto un leone che s’azzuffi con un cinghiale

[…]. Si fa donna armata con ramo di rovere in mano perché l’armatura

mostra la forza del corpo, et la rovere quello dell’animo, per

resitere quella delle spade et altre armi materiali, et questa la

soffiar de’ venti aerei et spirituali, che sono i vitii et difetti che

ci stimpolano, a declinar de la virtù […]. Il color della veste simile

alla pelle del leone, mosta come deve mostrarse l’impresa all’uomo,

come il leone che da se stesso a cose grande s’espone e le vili con

animo sdegnoso aborrisce. Forte si dice Hercole nelle favole de’

poeti, et molt’altri in diversi louoghi, c’han combattuto, et vinto i

leoni. L’hasta significa, che non solo si deve oprar forza in

ribattere i danni, che possono venire da altri, come si mostra con

l’armatura di dosso, e col scudo, ma anco reprimendo la superbia, et

l’arroganza altrui con le propie forze. L’hasta nota maggioranza e

signoria, la quale viene facilemente acquistata per mezzo della

fortezza. I segni di Fisonomía son tratti da Aristotile per non mancar

di diligenza in que che si può fare à proposito” cfr. C. Ripa,

Iconologia, edizione a cura di P. Bruscaroli, Milano 1992 [1593], pp.

142-144. 85 Cfr. P. Sarpi, Istoria del Concilio Tridentino,a cura di C. Vivanti,

Torino 1974, p. 1247.

22

156686 e lo ribadisce la proposta di Checa riguardo alla

lettura radiografica, dove si identifica nel disegno

subgiacente il modello destinato a Massimiliano II87.

Un episodio che conferma il controllo ideologico da

parte di Tiziano della produzione grafica, nei termini che

abbiamo definito nel percorso di questo testo, ma

soprattutto indica la possibilità, rispetto ai modelli

grafici, di un reintervento pittorico posteriore

dell’artista, marcato da scelte linguistiche e ideologiche

ben precise e destinate a risolvere la lettura del rapporto

forma/contenuto in relazione alle necessità storico-

contestuali del committente, come conferma il non finito -

perfettamente finito- della Spagna soccorrendo la

Religione88.

86 G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e

architettori, op. cit. (nota 8), p. 817 “Cominciò anco, molti anni

sono, per Alfonso Primo duca di Ferrara, un quadro d’una giovane

ignuda che s’inchina a Minerva, con un’altra figura a canto, et un

mare, dove nel lontano è un Nettunno in mezzo sopra il suo carro: ma

per la morte di quel signore, per cui si faceva quest’opera a suo

capriccio, non fu finita e si rimase a Tiziano”. 87 F. Checa Cremades, "Ultimi studi su diverse pitture di Tiziano del

Museo del Prado", op. cit. (nota 39), p. 122; successivamente ripreso

in M. Falomir, "Tiziano: réplicas" op. cit. (nota 5), pp. 290-291, nº

62. 88 Una circostanza che meriterebbe un ulteriore approfondimento,

soprattutto in rapporto, alla complesso processo di circolazione delle

copie/versioni/varianti di molti dipinti usciti dalla bottega di

Tiziano, a partire dagli anni cinquanta, le cui cronologie, vengono

spesso stabilite in rapporto ai modelli grafici.