Post on 11-Apr-2023
L’iconografia del prato fiorito gotico e la
sua introduzione nella pittura veneziana
del Trecento
Sommario
Introduzione...............................................................................................................................................2
1. Il giardino medievale tra realtà e simbolo......................................................................3
Gli esempi biblici e il significato simbolico..................................................................................3
Il recupero del giardino ornamentale..............................................................................................6
2. Il giardino in pittura e l’iconografia della Vergine..................................................9
Rappresentare piante e fiori: la tradizione degli erbari e dei Tacuina sanitatis................9
L’iconografia della Madonna e il legame col giardino...........................................................10
3. Il prato fiorito nella pittura veneziana del Trecento.............................................14
Lorenzo Veneziano e il linguaggio gotico....................................................................................14
I primi esempi di prato fiorito della pittura lagunare..............................................................18
Conclusioni...............................................................................................................................................21
Immagini....................................................................................................................................................23
Bibliografia...............................................................................................................................................27
Introduzione
Il presente lavoro ha il fine di trattare brevemente l’importanza che ricoprì
l’immaginario biblico, e soprattutto quello del Cantico dei Cantici, nell’elaborazione
del topos iconografico del giardino fiorito tipico dell’arte gotica, nel quale spesso fu
collocata la Vergine accompagnata o meno da santi. Lo stretto legame che nella
tradizione esegetica venne a crearsi tra l’immagine del giardino – sempre connesso,
più o meno fortemente, al Paradiso –, la Madonna e l’anima dei santi devoti, unito alla
diffusione maggiore degli spazi verdi nelle città e a un rinato interesse per
l’osservazione naturalistica di piante e fiori espresso attraverso erbari e tacuina
sanitatis, portò alla diffusione di rappresentazioni dove le figure furono collocate
all’interno di rigogliosi prati fioriti, con specie floreali rappresentate più o meno
fedelmente.
L’introduzione del giardino fiorito nella pittura veneziana del Trecento è
attribuibile, sulla base di quanto si è conservato, alla figura di Lorenzo Veneziano,
pittore preminente nell’ambito lagunare del periodo. L’apertura che questo
Maestro mostrò nei confronti degli esiti artistici coevi dell’entroterra veneto e
d’Oltralpe – in particolare di Francia e Boemia – lo portò a elaborare, all’interno del
contesto bizantineggiante della pittura veneziana, un linguaggio originale
caratterizzato dalla compenetrazione tra la tradizione locale e un gusto più
marcatamente gotico.
Il presente elaborato si propone quindi di mettere in evidenza caratteristiche e
fonti di un topos pittorico che ebbe grande fortuna anche nei secoli successivi, e come
questo sia stato sviluppato nello specifico nelle opere di Lorenzo. Tuttavia, l’analisi
puntuale e diretta dei dipinti, in questa sede, è stata possibile solo nel caso
dell’Annunciazione tra santi delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, a causa della
lontananza geografica e dell’impossibilità di reperire adeguate riproduzioni
fotografiche delle altre opere in oggetto.
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1. Il giardino medievale tra realtà e simbolo
Gli esempi biblici e il significato simbolico
Trattare del tema del giardino relativamente al periodo medievale significa
innanzitutto ricostruire i riferimenti culturali coevi che ne influenzarono la forma
ideale, e quindi le più diffuse forme di descrizione, sia essa letteraria o figurativa. La
religione cristiana, infatti, portò a interpretare ogni pianta e ogni fiore da un punto di
vista non solo utilitario o estetico ma anche allegorico; e ciò influenzò fortemente sia
l’organizzazione del giardino concreto sia la sua trasposizione in ambito artistico1.
L’Età di Mezzo conobbe solo in modo indiretto, letterario, i giardini classici in
rapporto ai Campi Elisi e al topos del locus amoenus, e a queste conoscenze accostò i
modelli biblici, talvolta confondendo i termini. Questi ultimi furono soprattutto il
giardino dell’Eden2, archetipo principale in quanto concepito come luogo
dell’innocenza originaria e simbolo del perfetto accordo dell’uomo con Dio3; l’hortus
conclusus del Cantico dei Cantici4, testo che influenzò fortemente la meditazione
mistica medievale, e il giardino di Giuseppe d’Arimatea5, dove Cristo apparse a Maria
Maddalena nelle vesti di hortolanus, ossia giardiniere. Il giardino dell’Eden ben
presto s’incontrò con i Campi Elisi nel Paradiso cristiano, e il suo carattere di3
1 Nella rappresentazione pittorica del giardino influì sicuramente in modo importante l’aspettosimbolico e la tendenza all’esagerazione; tuttavia gli artisti rappresentarono, pur utilizzando una tecnicacombinatoria col fine di rendere chiaro il messaggio allegorico sotteso, elementi che veramenteesistevano o plausibilmente potevano esistere in un giardino coevo. M. Frank, Giardini dipinti: ilgiardino nella pittura europea dal Medioevo al primo Novecento, Verona 2008, p. 41, 51, cfr. anche F.Crisp, Mediaeval gardens, New York 1979, p. 1.2 Gn 2, 8-15: «Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo cheaveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buonida mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e delmale. Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi[…]. Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse».3 P. Bourgain, Le jardin de l'âme, in Sur la terre comme au ciel. Jardins d'Occident à la fin du MoyenÂge, Parigi 2002, p. 19.4 Ct 4, 12-15: « Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata. I tuoigermogli sono un giardino di melagrane, con i frutti più squisiti, alberi di cipro con nardo, nardo ezafferano, cannella e cinnamòmo con ogni specie d'alberi da incenso; mirra e aloe con tutti i miglioriaromi. Fontana che irrora i giardini, pozzo d'acque vive e ruscelli sgorganti dal Libano».5 Gv 20, 14-17. Di questo spazio non è fatta alcuna descrizione.
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eternità venne spesso reso figurativamente attraverso la contemporaneità di
fenomeni naturalmente legati a diverse stagioni6. L’eco di tale immaginario è
avvertibile anche nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, opera nella quale l’autore
collegò il termine hortus al verbo orior, interpretando quindi il primo come “luogo
dove nasce sempre qualcosa”7 grazie all’operosità dell’uomo. La calcolata
organizzazione delle colture è perciò concepita come il mezzo attraverso il quale
è possibile fingere un’eterna primavera e godere, benché parzialmente, delle
condizioni della vita adamitica delle origini8. Il giardino sulla Terra venne quindi a
caricarsi di una serie di significati simbolici e allegorici, e di conseguenza iniziò ad
esser visto come prefigurazione del Paradiso promesso dalle Scritture.
In parallelo, il giardino lussureggiante divenne anche simbolo dell’anima beata,
accuratamente coltivata attraverso la fede e l’esercizio delle virtù. Tale pensiero si
sviluppò soprattutto attorno all’hortus conclusus del Cantico dei Cantici, l’opera più
frequentemente commentata dell’intera letteratura monastica. Il testo venne
interpretato dai primi esegeti in chiave ecclesiologica: l’antica lettura che riconosceva
Dio nello sposo e Israele nella sposa fu modificata sostituendo a quest’ultima la
Chiesa cristiana. Gregorio argomentò, sulla scorta di Origene di Alessandria9, una
diversa interpretazione10 che vedeva nella sposa l’anima individuale; a
6 L’immagine dell’eterna primavera era già presente in età classica nel giardino di Alcinoo sull’isoladei Feaci e in quello di Amore dell’Epithalamium de nuptiis Honorii di Claudiano. F. Cardini, M.Miglio, Nostalgia del paradiso. Il giardino medievale, Bari 2002, p. 5.7 Ivi, p. 12.8 Ibidem. Bisogna anche considerare che il pensiero biblico, e di conseguenza successivamente quellocristiano, concepiva in modo negativo quasi tutte le tipologie di paesaggio perché viste comepericolose o associate all’idea di disordine e disorganizzazione. Da questa generale impostazione eraesclusa la campagna, ordinata secondo i bisogni degli uomini e simbolo della civilizzazione,caratteristiche che si ritrovano anche nel giardino. P. Bourgain, Le jardin de l’âme, cit., p. 18.9Origene, nei suoi Commentari, interpretò il matrimonio del Cantico su due livelli: da una parteecclesiologico, dall’altra mistico-spirituale. B. E. Daley, The closed garden and the sealedfountain: Song of Songs 4:12 in the late medieval iconography of Mary, in Medieval gardens,Washington D. C. 1986, p. 259.10 Gregorio Magno dedicò al Cantico dei Cantici due Sermoni.
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sant’Ambrogio si deve invece l’associazione della sposa del Cantico con la Vergine11.
La spiritualità cistercense del XII secolo elaborò ulteriormente la lettura di Gregorio
Magno con i commenti di Guglielmo di Saint-Thierry e, soprattutto, quello di
Bernardo di Chiaravalle12, secondo il quale all’homo interior, ossia l’anima, veniva
assimilata da una parte la sposa, la cui estasi amorosa diventò estasi mistica nei
confronti del Dio/sposo, dall’altra il giardino, che richiede cure per far germogliare i
fiori e i frutti delle virtù13. Per questo motivo la bellezza dell’anima dei santi fu spesso
immaginata come quella di un giardino eterno e splendente, come dimostra, per
esempio, l’associazione fatta da Ildegarda di Bingen tra sante vergini e giardini
profumati e fiori.
Il recupero del giardino ornamentale
Dei veri e propri giardini intesi in modo affine al senso moderno del termine – ossia
luoghi ricreativi, di piacere – esistevano ben prima del Medioevo e avevano avuto
ampia diffusione ai tempi dell’impero romano14, com’è possibile comprendere dalle
opere naturalistiche e geoponiche di autori quali Varrone, Columella e Plinio. La
caduta dell’impero romano d’Occidente e il conseguente arrivo dei barbari in Italia
comportò dei mutamenti socioeconomici e culturali rilevanti, e probabilmente la
scomparsa, o almeno importante contrazione, degli spazi in antico adibiti a horti,
pomaria e viridaria15.
I giardini dell’alto Medioevo, perlopiù confinati all’interno dei monasteri,
tendenzialmente si organizzarono seguendo la descrizione biblica sia dell’Eden che
del Cantico dei Cantici. La loro presenza era prevista sin dall’originaria Regola
11 M. Frank, Giardini dipinti, cit., p. 6. Ambrogio non lasciò commenti al Cantico, ma i suoiultimi scritti vi fecero spesso riferimento: si tratta di opere di carattere omiletico che riguardano illegame tra il Cantico e la verginità – De virginibus, De virginitate, De institutione virginis edExhortatio virginitatis. Anche Gerolamo seguì questa interpretazione, e la argomentò in un contesto diesortazione alle donne di seguire una vita consacrata alla purezza virginale nell'Adversus Jovinianum.B. E. Daley, The closed garden and the sealed fountain, cit., p. 260.
12 Bernardo si occupò dell’argomento soprattutto nell’Expositio in Canticum Canticorum e neiSermones super Cantica Canticorum.13 P. Bourgain, Le jardin de l’âme, cit., p. 22 e 25.14 F. Crisp, Mediaeval gardens, cit., p. 11.15 F. Cardini, M. Miglio, Nostalgia del paradiso, cit., p. 11.
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benedettina16 sia come spazi con fine pratico – allo stesso tempo alimentare e
terapeutico: si ricordi che il confine tra orto e giardino era piuttosto labile17 – sia in
relazione alla meditazione, come luogo adatto al raccoglimento spirituale18. Il
chiostro del monastero divenne il paradiso stesso, luogo fisicamente a giardino ma
allo stesso tempo spazio prediletto per la coltivazione del “giardino interiore”
dell’anima, curato attraverso la devozione e reso fecondo grazie all’intervento di
Cristo hortolanus. Che gli spazi dedicati al verde all’interno delle abbazie vi fossero,
in abbondanza e ben organizzati, è dimostrato anche dal progetto dell’abbazia
svizzera di San Gallo risalente al IX secolo, nel quale è rappresentata la distribuzione
planimetrica ideale di un monastero benedettino. Questo documento, unico nel suo
genere, fissò delle precise regole di distribuzione degli spazi che vennero poi
applicate anche in realtà più piccole, su scala minore. Ma in particolare è interessante
sottolineare come le zone verdi occupassero una porzione importante del complesso, e
soprattutto che il luogo dedicato al cimitero assunse i contorni del viridarium
d’ascendenza romana, aprendo in questo modo le porte a una nuova idea di giardino
come spazio destinato all’attività contemplativa, ma anche allo svago e al diletto19.
Stesso ruolo venne a ricoprire il giardino laico nel momento in cui si aumentò lo
spazio ad esso dedicato, ossia, probabilmente, a partire dalla metà del XIII secolo: da
questo momento, infatti, iniziarono a prolificare nella letteratura e nell’arte figurativa
numerose descrizioni di spazi adorni di fiori ed alberi. Conferma di quanto detto
viene dalla trattatistica e in particolare, per il Duecento, dal fondamentale trattato di
Alberto Magno intitolato De vegetalibus, composto tra il 1260 e il 126520. In questo
16 Benedetto da Norcia, S. P. Benedicti regula, cum commentariis, in Patrologia latina database( htt p :// p l d. cha d wy c k . c o.u k/al l / f ullt e xt ? A L L = Y & AC T I ON =b yi d & wa r n = N & d iv = 3 &i d= Z 3 000 3 45 4 4 &FILE=../session/1384783177_29117&CURDB=pld). La Regola di San Benedetto non fornivaprecise normative sull’orto, ma ne faceva menzione in relazione all’attività lavorativa dei monaci(per esempio nel capitolo XLVI: «Si quis dum in labore quovis, in coquina, in cellario, in ministerio,in pistrino, in horto, in arte aliqua dum laborat,[…]») e alla necessità di autosufficienza del monastero(Capitolo LXVI: «Monasterium autem, si potest fieri, ita debet constitui, ut omnia necessaria, idest,aqua, molendinum, hortus, pistrinum, vel artes diversae, intra monasterium exerceantur, ut non sitnecessitas monachis vagandi foras, quia omnino non expedit animabus eorum»).17 F. Cardini, M. Miglio, Nostalgia del paradiso, cit., p. VII.18 Questo aspetto venne sottolineato soprattutto nelle successive regole benedettine riformate, inparticolare presso i cistercensi. Ivi, p. 23.19 M. Frank, Giardini dipinti, cit., p. 45.20 Ibidem. Goody sottolinea come quest’opera debba molto al trattato pseudo-aristotelico Deplantis del I a.C., una delle tante opere classiche penetrate in Europa grazie alle traduzioni arabe. Cfr. J.
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testo compare la descrizione di uno spazio che riflette, presumibilmente, la realtà dei
giardini ornamentali allora esistenti e stabilì un modello che rimase canonico anche
per i secoli successivi. L’autore, nella sua descrizione, si rifece ampiamente al
viridarium della letteratura cortese – senza trascurare, comunque, la simbologia
religiosa – ma connotando il luogo con attributi concreti, perfettamente plausibili,
dove il prato fiorito ricopriva un ruolo centrale21. Il successo di cui godette il testo di
Alberto Magno è attestato anche dal fatto che esso fu ripreso nel Liber Ruralia
Commoda di Pietro De Crescenzi, testo composto agli inizi del XIV secolo e che può
essere considerato il più famoso trattato sul giardino medievale. Nel libro VIII
l’autore approfondì ampiamente, come già il suo predecessore, il tema del giardino
ornamentale, i suoi elementi caratteristici e la sua organizzazione interna,
sottolineandone anche il ruolo di luogo simbolo del prestigio di chi vi abita e quindi
finalizzato a suscitare meraviglia22. Allietato da piante e fiori di ogni genere, ma
spesso anche da animali, esso assunse un’importanza fondamentale all’interno di ogni
corte europea e di conseguenza divenne sempre più un tema cardine della cultura
cortese in ogni sua espressione.
Il giardino medievale, le cui caratteristiche costanti – sia in ambito religioso che
laico – furono la presenza di fontane, la ricca vegetazione e il muro di cinta che,
isolandolo dal mondo esterno, intendeva sottolinearne il carattere di spazio “altro”23,
rimase a lungo esclusivo appannaggio da una parte dei monasteri dall’altra dei singoli
signori. Questa situazione si protrasse fino alla costituzione delle signorie, quando la
fine delle lotte interne tra fazioni cittadine e il contestuale consolidamento di un
nuovo ordine sociale comportarono un grande aumento degli spazi a giardino nelle
aree pubbliche24. Se la sicurezza urbana permise il prosperare del giardino in città,
Goody, La cultura dei fiori. Le tradizioni, i linguaggi, i significati dall’Estremo Oriente al mondooccidentale, Torino 1993, p. 188.21 M. Frank, Giardini dipinti, cit., p. 46.22 F. Cardini, M. Miglio, Nostalgia del paradiso, cit., p. VII; A. Conforti Calcagni, Bellissima èdunque la rosa, Milano 2003, p. 16. I documenti pervenutici, però, attestano che in alcuni casi lateoria esposta da Alberto Magno e Pietro De Crescenzi non era seguita: per tutto il periodo medievale ilviridarium mantenne al suo interno anche colture caratteristiche dell’orto. M. Frank, Giardini dipinti,cit., p. 46.23Tali caratteristiche sono quelle dell’hortus conclusus del Cantico dei Cantici.24 Il consolidamento del potere signorile ebbe come effetti da una parte la costruzione di circuitimurari difensivi – o il consolidamento di quelli comunali –, dall’altra la pacificazione internadelle città. Entrambi questi aspetti concorsero a rendere più sicuro lo spazio urbano e quindifavorirono nuove modalità di gestione delle zone pubbliche. A. Conforti Calcagni, Bellissima è dunquela rosa, cit., pp. 29- 33.
7
situazione assai diversa fu invece quella del contado, dove continuò, in un primo
momento, uno stato di sostanziale insicurezza: per l’attecchire e il diffondersi del
giardino anche nella villa fu quindi necessario aspettare l’unificazione e pacificazione
del territorio nel Quattrocento, con la stabilizzazione delle signorie a livello regionale.
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2. Il giardino in pittura e l’iconografia della Vergine
Rappresentare piante e fiori: la tradizione degli erbari e dei Tacuina sanitatis
Specchio del contesto sin qui delineato – il recupero dell’importanza del giardino,
sempre con fine ambivalente tra l’utile e il dilettevole – è il rinato interesse per la
scienza botanica, avvertibile a partire soprattutto dalla seconda metà dell’XI secolo.
Espressione di questa nuova sensibilità furono i numerosi erbari prodotti nei
monasteri benedettini, soprattutto dell’Italia meridionale, che in quel periodo
andavano aggiornandosi sulle conoscenze mediche che la scienza araba, sulla base di
quella greca, aveva elaborato nei secoli IX e X25. In questo clima culturale vennero
composte opere quali De simplici medicina – più tardi conosciuta come Circa instans,
oppure Secreta salernitana – dove le raffigurazioni delle piante furono realizzate con
un’intenzione naturalistica non più dipendente dall’imitazione dei vecchi modelli, ma
da una rinnovata attenzione al vero26. La tradizione degli erbari attecchì rapidamente
in ambiente lombardo, dove presso la giovane signoria dei Visconti si stava avviando
la crescita di una vivace cultura cortese particolarmente ricca di interessi naturalistici.
Dalla fine del Trecento assunse poi rilievo la nuova illustrazione botanica sviluppatasi
a Padova nell’ambito della signoria carrarese e della scuola medica locale, dove la
rinascita degli studi medici fu legata alla figura di Pietro d’Abano27. Il testo più
importante che certifica l’attenzione rivolta dall’ambiente padovano trecentesco alle
ricerche sulle virtù terapeutiche delle erbe e alla rappresentazione delle piante è
costituito dal Liber agregà di Serapiom (fig. 128), dal quale emerge con evidenza il
25Tale bagaglio di conoscenze arrivò anche attraverso la Sicilia e la Spagna, e portò come conseguenzala grande fioritura della scuola medica salernitana nella seconda metà del XII secolo G. MarianiCanova, La tradizione europea degli erbari miniati e la scuola veneta, in Di sana pianta. Erbari etaccuini di sanità, Modena 1988, p. 22.26 Ibidem27 Quest’ultimo diede allo studio patavino i fondamenti di una scienza fondata sulla grande tradizionearaba e salernitana, ma anche su una rinnovata attenzione per la sapienza degli antichi. Ivi, p. 24. 28 La figura illustra la pagina dedicata al cetriolo dell’Erbario carrarese, manoscritto redatto tra lafine del Trecento e l’inizio del secolo successivo e appartenuto a Francesco Novello da Carrara. Ivi, pp.
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rinnovato approccio diretto alla natura. Il testo, costituito da una redazione in volgare
padovano della traduzione latina di un testo del medico arabo Serapiom, è una sintesi
dei precetti di Dioscoride e Galeno, autori antichi che Pietro d’Abano aveva insegnato
ad apprezzare. Le illustrazioni che accompagnano il testo dimostrano una conoscenza
assai accurata delle specie e la volontà di riprodurle con esattezza scientifica:
un’attenzione così scrupolosa è giustificabile soprattutto alla luce della cultura
universitaria patavina e a probabili esigenze legate allo studio29.
Altro filone tradizionale nel quale si sviluppò la rappresentazione di piante e fiori
fu quello dei cosiddetti Tacuina sanitatis. Si tratta di una categoria di testi a sé, tipici
dell’ambiente lombardo del Trecento, ma che ebbero come fonte fondamentale gli
erbari precedenti e contemporanei30. Il testo dei Tacuina è basato sulla medicina araba
– mediata probabilmente dalla Spagna meridionale –; e in particolare sul trattato arabo
di Ibn Butlan intitolato Taqwin al-Sihha. Pochi esempi a noi pervenuti sono dotati di
apparato illustrativo (fig. 231); in questi ultimi casi predominano le raffigurazioni di
erbe fiori e frutti, cui si aggiungono altri elementi naturali, alimenti, venti, stagioni e
considerazioni dei mutevoli stati d’animo degli uomini, in relazione alla teoria
medico-alchemica degli umori32. Il filone dei Taccuina sanitatis nacque come
tipicamente profano e cortese, dove le rappresentazioni, meno “scientifiche” rispetto
agli erbari, svilupparono assai rapidamente i caratteri del nascente gotico
internazionale proveniente dalla Francia. Gli esemplari illustrati dei taccuini
presentano delle raffigurazioni stilisticamente abbastanza omogenee, nell’ambito
delle quali fu figura fondamentale Giovannino de’ Grassi, miniatore e pittore di
spicco della seconda metà del Trecento per il quale si è proposta una formazione
artistica in ambito boemo.
Erbari e Taccuina costituirono un importante punto di riferimento per
24-26; cfr. anche F. Toniolo, Il libro miniato a Padova nel Trecento, in G. Valenzano, F. Toniolo (acura di), Il secolo di Giotto nel Veneto, Venezia 2007, pp. 125-126, 145.29 G. Mariani Canova, La tradizione europea degli erbari miniati e la scuola veneta, cit., p. 24.Federica Toniolo sottolinea come molte delle piante raffigurate appartengano alla flora della fasciamediterranea, quindi perfettamente note e reperibili in Veneto. F. Toniolo, Il libro miniato a Padovanel Trecento, cit., p. 127.30 L. Cogliati Arano, Tacuinum sanitatis, in Di sana pianta. Erbari e taccuini di sanità, cit., p. 13.31 L’immagine è tratta dal manoscritto 459 della Biblioteca Casanatense di Roma. Il codice è databileagli ultimi anni del Trecento e venne eseguito alla corte di Gian Galeazzo Visconti, il quale lo donòsuccessivamente aVenceslao IV, re di Boemia e di Germania. Ivi, p. 15.32 Ivi, p. 16.
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l’affermazione della rappresentazione naturalistica del mondo vegetale nell'arte e,
soprattutto, furono un fondamentale veicolo di trasmissione di conoscenze e gusti
all’interno dell’Europa del tardo Trecento. Tuttavia, il processo di codificazione
del giardino paradisiaco come luogo dai connotati realistici all’interno delle arti
figurative fu lento, e raggiunse il suo apice solo nel Quattrocento33. I primi esempi
trecenteschi del tema spesso puntarono, più che alla riconoscibilità botanica, a un
generale effetto di prato rigoglioso ricco di fiori colorati: in parallelo alla graduale
affermazione del giardino come spazio anche di piacere nel contesto delle corti,
questo modulo iconografico fu utilizzato per arricchire l’immagine dal punto di vista
non solo simbolico, ma anche decorativo e vezzoso.
L’iconografia della Madonna e il legame col giardino
Una vera e propria riflessione teologica su Maria iniziò incidentalmente, ai margini
degli altri argomenti che interessarono la produzione patristica delle origini e in tale
contesto la Vergine comparì, nella maggior parte dei casi, semplicemente come
modello femminile positivo contrapposto a Eva34. Eccezioni in questo generale
panorama furono le già citate interpretazioni mariane del Cantico dei Cantici proposte
da sant’Ambrogio e san Gerolamo, i quali però collocarono la loro riflessione non
all’interno di uno specifico testo di commento biblico, ma nella trattazione del più
generale tema della preservazione della purezza virginale. Una forma di culto mariano
iniziò a svilupparsi attorno al dibattito sul titolo Teotokos – ossia “Madre di Dio”35 –
nel V secolo, soprattutto in Oriente, e si espresse nella forma di litanie di titoli tratti
33 M. Frank, Giardini dipinti, cit., p. 13.34 Emma Simi Varanelli sottolinea come, in realtà, i più importanti temi della mariologia del bassoMedioevo fossero già presenti in nuce in importanti testi patristici e altomedievali. E . SimiVaranelli, Spiritualità mendicante e iconografia mariana. Il contributo dell’ordine agostiniano allagenesi e alle metamorfosi iconologiche della Madonna dell’umiltà, in Arte e spiritualità nell’ordineagostiniano e il Convento San Nicola a Tolentino, Roma 1994, p. 77. Per lo sviluppo generale diquesto paragrafo si veda soprattutto B. E. Daley, The closed garden and the sealed fountain, cit., pp.253-278.35 Nel concilio di Efeso svoltosi nel 431 fu dibattuto, oltre all’argomento della divinità di Gesù Cristo,l’appellativo più idoneo da attribuire alla Vergine tra Theotokos, madre di Dio, e Christotokos, ossiamadre di Gesù in quanto uomo.
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dalla Bibbia, tra cui figuravano anche le espressioni hortus conclusus e fons signatus,
nel Cantico biblico attribuite alla sposa. Tale tradizione raggiunse l’Occidente
europeo in età carolingia, ma l’importante fase di fioritura del culto mariano si ebbe
nella seconda metà del XII secolo a partire dalla Francia del nord, collegata alla quale
si affermò anche una nuova forma di esegesi del Cantico. Il primo e più importante
fra questi commentari fu quello del benedettino Ruperto di Deutz, che interpretò il
testo biblico come un canto d’amore tra Cristo e la Vergine diviso in singole scene
rispondenti ai principali eventi della vita di Maria. In questa chiave, egli lesse le due
immagini sopra citate associandole all’Annunciazione: Maria era un “orto” perché
qualcosa in lei “cresce” – seguendo in questo modo l’etimologia proposta da Isidoro
di Siviglia –, era allo stesso tempo un giardino chiuso perché reso fruttifero solamente
da Dio36. Questo tipo di esegesi ebbe una certa fortuna dal tardo XII secolo in poi,
anche se la devozione mariana rimase a lungo legata all’ambito popolare, mentre
nell’ambiente universitario continuarono ad avere maggiore rilevanza gli altri due
filoni interpretativi, ecclesiologico e mistico.
Da quanto detto emerge come la mentalità medievale fosse facilmente portata
ad associare a Maria l’immagine del fiore e, in generale, ai santi il giardino rigoglioso
come espressione visiva dell’anima virtuosa e accuratamente “coltivata” tramite la
meditazione e la fede. Per quanto l’influenza della letteratura mariana sia stata
probabilmente marginale nell’elaborazione di una nuova iconografia della Vergine e
dell’Annunciazione, la già ricordata fioritura del culto a lei dedicato durante il XII
secolo – collegata anche alla diffusione degli Ordini Mendicanti37 – vide la comparsa
d’importanti novità in tale senso. Se solo nel Quattrocento si sviluppò e diffuse su
ampia scala l’immagine che presenta Maria, da sola o accompagnata da angeli e santi,
all’interno di uno spazio che fa puntuale riferimento al Cantico dei Cantici – grazie
36 È possibile che la lettura di Ruperto sia stata influenzata dalla liturgia del 15 agosto, festadell’Assunzione della Vergine al cielo, durante la quale veniva letto parte del Cantico. B. E. Daley, Theclosed garden and the sealed fountain, cit., p. 264.37 Gli Ordini Mendicanti contribuirono in modo essenziale alla diffusione della devozione mariana e,nello specifico, dell’iconografia della Madonna dell’umiltà contestualmente all’esaltazione della virtùdella humilitas all’interno della regola mendicante. E. Simi Varanelli, Spiritualità mendicante eiconografia mariana, cit., p. 77.
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alla presenza di mura di delimitazione e della fontana che irrora il giardino – risalgono
al Trecento i primi esempi di Madonne inserite nel contesto del prato fiorito38. Fu
probabilmente nella cerchia di Simone Martini che venne elaborata l’iconografia della
Madonna dell’umiltà tra il quarto e il quinto decennio del XIV secolo, nella quale la
Vergine è rappresentata umilmente seduta a terra, solitamente su un cuscino, intenta
ad allattare, o a giocare con il Bambino, oppure accompagnata da simboli
apocalittici39. Il primo esempio noto è il dipinto di Bartolomeo da Camogli conservato
attualmente nella Galleria Regionale di Palermo e datato al 1347 (fig. 3), la cui
impostazione iconografica è fatta risalire a un archetipo di Simone Martini. L’opera
presenta la Vergine che allatta il Bambino all’interno di un arco trilobato retto da
colonnine tortili e incorniciato da una decorazione a finto mosaico. Nei pennacchi è
rappresentata, su scala ridotta, un’Annunciazione: a destra è visibile l’angelo
annunciante, mentre a destra Maria, colta dall’arrivo del messaggero divino durante
la lettura. Il centro dell’opera è occupato interamente dal gruppo sacro: la Vergine è
adagiata a terra in uno spazio dall’ambientazione non meglio definita40 e ai suoi lati è
disposta un’iscrizione in maiuscola gotica che esplicita l’iconografia e, più in basso,
riporta l’anno di esecuzione e il nome dell’artista41. Al di sotto del riquadro principale
sono rappresentati gli strumenti della Passione affiancati da due schiere di
disciplinanti e altri oranti. Se il soggetto principale è collegato dagli
38 Con questa espressione s’intende un particolare topos iconografico dell’arte tardogotica attestato inprimo luogo in Francia e poi diffusosi in tutta Europa, dando vita a un gusto comune per la ricchezza ela sontuosità. Espressione di un mondo e di una cultura aristocratica, l’arte tardogotica spesso tese aprofanizzare personaggi e scene d’ambito sacro; è possibile quindi stabilire un collegamento tra ladiffusione nelle corti del giardino ornamentale, la letteratura cortese cavalleresca, il gusto per ildecorativismo in tutte le forme d’arte e l’imporsi nella pittura e nella miniatura del prato adorno deifiori dai colori e dalle forme più varie.39C. Guarnieri, Lorenzo Veneziano, Cinisello Balsamo 2006, cat. 11, p. 184. Simi Varanelli sottolineacome, a ben vedere, si possano individuare due filoni distinti all’interno della stessa iconografia:quello che la studiosa definisce “curiale” – dove Maria è rappresentata come regina humilitatis ene viene sottolineata la condizione di creaturalità – espressione della posizione del papato nei confrontidegli ideali mendicanti, e quello “sublime” – dove alla Madonna in umiltà vengono accostati degliattributi cosmici della Donna dell’Apocalisse come la luna, il sole e le stelle – elaborata come rispostaalla prima e dalla forte connotazione immaculista. Gli esempi in questa sede esaminati appartengono aquest’ultima tradizione. E. Simi Varanelli, Spiritualità mendicante e iconografia mariana, cit., p. 78-79.40 A. De Floriani, voce Pellerano Bartolomeo, in Enciclopedia dell’Arte Medievale (URL=http ://www. tr eccani. it/e nciclo p ed ia/b ar to lo meo -p eller ano_(Enciclopedia-dell'-Arte-Medievale)/ ).41 (Signum crucis) N(ost)ra d(omi)na de | | humilitate / MCCC | | XXXXVI hoc / opus | | pinsitmag/ister | | B(ar)tolomeu(s) de / Cam| |ulio pintor.
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studiosi pressoché unanimemente a Simone Martini, tuttavia la critica si è
distinta tra coloro che sostengono sia stata Siena il centro propulsore e di
diffusione42, e quelli che invece pensano che l’elaborazione sia avvenuta presso la
curia di Avignone, dove il pittore si trasferì attorno al 1335 e dove era in corso anche
un dibattito teorico attorno al tema dell’umiltà di Maria43. Tale tipo iconografico,
collocando la scena rappresentata in un ideale spazio aperto, si dimostrò ben presto
particolarmente adatto a ospitare il tema del prato fiorito.
42 É. Antoine, cat. n. 17, in Sur la terre comme au ciel, cit., p. 62; M. Frank, Giardini dipinti, cit., p. 8.43 In particolare l’argomento fu elaborato nei trattatelli In salutationem et Annunciationem e InCanticum Deiparae Mariae Virginis, scritti nella città provenzale dall'agostiniano Agostino Trionfo. A.De Floriani, voce Pellerano Bartolomeo, cit.
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3. Il prato fiorito nella pittura veneziana del Trecento
Lorenzo Veneziano e il linguaggio gotico
Lorenzo Veneziano fu tra i pittori del secondo Trecento lagunare sicuramente la
figura di maggiore spicco. La sua produzione pittorica è documentabile tra il 1356,
data riportata sull’opera che si trovava nelle collezioni di Scipione Maffei e che ci è
nota solo dalla menzione che ne fa l’erudito veronese, e il 1372, anno al quale è datata
l’ultima opera nota, ossia il polittico per la chiesa di San Francesco a Rieti44. Il
percorso artistico di questo Maestro si svolse nell’ambito dello stile gotico, che nei
suoi risvolti “internazionali”, però, trovò nell’immediato poco seguito a Venezia.
Nelle opere di Lorenzo, come già in quelle di Paolo Veneziano45 – di cui forse fu
allievo –, è possibile notare una tendenza all’elaborazione di un nuovo linguaggio
costituito alla fusione di caratteristiche della tradizione pittorica veneziana con stimoli
provenienti dalla cultura figurativa di terraferma fin dai Polittico Lion, la prima opera
firmata e datata conservatasi46. La laguna veneta, nonostante la presenza di una forte
tradizione di stampo bizantino, non fu un ambiente privo di stimoli in senso gotico e
naturalistico ma anzi un luogo dal peculiare cosmopolitismo culturale, il che le diede
un ruolo chiave di mediazione tra Occidente e Oriente soprattutto grazie alla
circolazione di prodotti scultorei e di oreficeria47. Inoltre Lorenzo, come altri pittori
44 Secondo Guarnieri è però possibile, su base documentaria, ampliare la cronologia d’attivitàdell’artista fino alla fine dell’ottavo decennio del XIV secolo. C. Guarnieri, Lorenzo Veneziano, cit., p.33.45 Questo artista fu il primo vero innovatore del panorama pittorico del Trecento lagunare. Pedroccoha messo in rilievo come il suo legame con i grandi ordini monastici potrebbe aver influito sulletendenze goticheggianti del suo percorso artistico: francescani e domenicani, infatti, già da tempoerano legati, dal punto di vista architettonico e scultoreo, alla cultura gotica d’Oltralpe. F. Pedrocco,L’arte di Venezia, Firenze 2002, pp. 23-28.46 L’opera presenta due date: 1357, riportata nell’iscrizione sulla cornice, e 1359, dipinta sul tronodella Vergine. La critica ha quindi interpretato quest’ultima come quella di completamento delpolittico. R. Pallucchini, La pittura veneziana del Trecento, Roma 1964, p. 168.47 Guarnieri pone in evidenza come nel periodo in esame, in parallelo ai prodotti di pregioprovenienti da Bisanzio – smalti, stoffe, oggetti suntuari di vario genere –, giunsero a Venezia ancheoggetti dal Nord Europa – sculture, ricami, avori, oreficerie, miniature – che influenzarono lemaestranze locali. A questo si deve aggiungere il peso ricoperto dall’attività dello scultore Marco
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veneziani del suo tempo, non limitò il suo orizzonte figurativo alla sua città ma lo
ampliò guardando con interesse alle vicende artistiche dell’immediato entroterra, in
particolare di Padova. Sono questi i decenni che videro l’avvio del processo
espansionistico di Venezia nell’entroterra veneto, e di conseguenza un infittirsi degli
scambi culturali della Serenissima con Padova, dove lavorò Guariento d’Arpo,
fondamentale figura di riferimento per la formazione dello stile pittorico di Lorenzo48.
In parallelo alla grande vitalità culturale padovana, ormai diventata punto di
riferimento per Venezia, assunsero una certa importanza anche Treviso e Udine, dove
giunsero, dalla fine del quinto decennio del secolo, i pittori Tommaso da Modena e
Vitale da Bologna. Questi a loro volta influenzarono fortemente la produzione
pittorica dei due centri veneti e – soprattutto Tommaso – la cultura figurativa di
Lorenzo con il loro naturalismo e l’attitudine alla narrazione degli eventi sacri con i
modi del fare quotidiano, dove i personaggi sono caratterizzati anche
psicologicamente49.
Gli esordi pittorici noti di Lorenzo fanno emergere fin da subito una personalità
artistica già pienamente formata e aggiornata su quanto si andava producendo nelle
vicinanze di Venezia, e non solo. Nel polittico Lion, infatti, si trovano già in nuce le
principali caratteristiche stilistiche della sua opera, dall’interesse per il giottismo
riformato in chiave gotica del Guariento alla dolcezza cromatica e umana delle figure
sante di Tommaso da Modena, infine alla sinuosità dei panneggi e delle pose dei
santi che richiamano la contemporanea scultura boema e francese50. Il percorso
pittorico del Maestro continuò su questa linea verso esiti sempre più marcatamente
tardogotici, che contribuirono a un generale rinnovamento delle tradizionali
consuetudini veneziane non solo dal punto di vista stilistico, ma anche iconografico: a
lui si devono, infatti, inedite soluzioni come la rappresentazione del tema
dell’Annunciazione al centro di un polittico51 – nel già menzionato polittico Lion
Romano e l’importante progetto di ricostruzione di Palazzo Ducale. C. Guarnieri, Lorenzo Veneziano,cit., pp. 36-37.
48 Ivi, pp. 38-39.49 Ivi, p. 40.50 Riferimenti alla cultura transalpina e boema sono stati proposti in prima battuta da Roberto Longhi,soprattutto in relazione al precoce utilizzo di Lorenzo del giardino fiorito e la generale attenzione agliaspetti della natura. Ivi, p. 49.51 Francesca Flores d’Arcais fu la prima a sottolineare la singolare scelta di rappresentarel’Annunciazione al centro di un polittico veneziano, quando solitamente essa era collocata
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–, ma anche di sant’Agostino in trono del polittico di Arquà52, o infine del Cristo in
maestà, la cui iconografia è fusa con quella della Traditio clavium53 nella tavola
attualmente conservata nel museo Correr. Ma soprattutto, ai fini dell’argomento qui
trattato, gli è attribuibile la precoce introduzione in ambito veneto dell’iconografia
della Madonna dell’Umiltà54 nel dipinto attualmente conservato nella chiesa veronese
di Sant’Anastasia e datato attorno al 1359, raro esempio di tela trecentesca (fig. 4)55.
L’opera presenta, all’interno di uno spazio tripartito da una finta architettura ad
archetti trilobati, la Vergine seduta su un prato mentre allatta il Bambino, circondata
da una schiera di angeli e con ai lati i due santi fondatori dell’ordine domenicano, san
Domenico e san Pietro martire, che presentano i donatori, Cangrande II della Scala e
sua moglie Elisabetta di Baviera. La scena è evidentemente collocata in uno spazio
aperto, unico per tutti i personaggi; tuttavia esso non presenta le caratteristiche del
prato fiorito per la mancanza di una più dettagliata rappresentazione delle specie
vegetali: il prato, infatti, è reso da piatte campiture in verde, senza che vi sia una
qualche forma di resa naturalistica56. Non è comunque un caso che la successiva
comparsa del giardino fiorito vero e proprio all’interno della pittura laurenziana
avvenga proprio nell’ambito di questa tipologia iconografica. L’evoluzione
dello stile di Lorenzo tra il settimo e l’ottavo decennio del secolo, sempre
coerente nella sua linea di apertura al gotico al di fuori di Venezia, proseguì su una via
all’estremità o a lato della tavola centrale del registro superiore. La studiosa, quindi, ipotizzò che iltema fosse stato esplicitamente richiesto dal committente in relazione all’intitolazione dell’altaremaggiore, o scelto per l’importanza che rivestiva a Venezia la festa dell’Annunciazione. F. Floresd’Arcais, Venezia, in La pittura nel Veneto. Il Trecento, Milano 1992, p. 57.
52 C. Guarnieri, Lorenzo Veneziano, cit. p. 61 e cat. n. 34, pp. 204-205.53 Ivi, p. 62 e cat. n. 35, pp. 205-206.54 La precoce diffusione di questa iconografia in terra veneta avvenne forse attraverso la mediazionedi Tommaso da Modena, del quale tuttavia non si conserva nessun esemplare in Veneto. Cfr. ivi, p.50. Per i significati che tale immagine assunse nella produzione del Maestro – in relazione ancheall’uso della parola scritta – e al ruolo che il veneziano ricoprì nella sua diffusione in tutto il Veneto sivedano F. Gasparini, La devozione domenicana alla Madonna dell’umiltà: un inno di inni e C. Rigoni,Il culto della Madonna dell’umiltà e la sua diffusione nel territorio di Vicenza in C. Rigoni, C.Scardellato (a cura di), Lorenzo Veneziano. Le Virgines humilitatis. Tre Madonne “de pannolineo”. Indagini, tecnica, iconografia, Cinisello Balsamo 2011, pp. 42-51, 88-93.55 C. Guarnieri, Lorenzo Veneziano, cit., p. 100 e cat. n. 11, pp. 183-185.56 Le opere di Lorenzo dove i personaggi sono collocati in un prato di questo tipo sono molteplici, el’espediente è funzionale, attraverso la definizione dello spazio con la linea d’orizzonte, alla sensazionedi una maggiore volumetria dei corpi.
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neogiottesca che tocca il suo culmine nel polittici del 1371-72, forse per
influenza di un rinnovato contatto con i contemporanei esiti della cultura figurativa
padovana, che lo portano a porre una sempre maggiore attenzione alla resa corporea,
volumetrica delle figure57.
I primi esempi di prato fiorito della pittura lagunare
Tra le opere attribuite a Lorenzo dalla più recente critica, tre sono i casi nei quali
l’artista adottò una forma di prato fiorito in senso stretto: nella Madonna dell’umiltà
con donatrice attualmente nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Trieste, nel
polittico di San Giovanni Evangelista proveniente dall’omonimo monastero
femminile di Lecce e attualmente conservato nel museo provinciale cittadino, e
nell’annunciazione tra i santi Gregorio, Giovanni Battista, Giacomo Maggiore e
Stefano delle Gallerie dell’Accademia di Venezia58.
La Madonna triestina (fig. 5), altro raro esempio di pittura trecentesca su tela59,
è stata in passato, in tempi non precisabili, pesantemente ridipinta e ampiamente
decurtata sui quattro lati, mentre in origine, probabilmente, aveva un’impostazione
assai simile alla Madonna dell’umiltà veronese, cui è affine anche per iconografia e
57 C. Guarnieri, Lorenzo Veneziano, cit., pp. 62-65. Da questa fase dell’attività del Maestro sembraprendere il via una parte della produzione veneziana degli anni Ottanta, caratterizzata dalrinsaldamento della forma plastica e dalla maggiore attenzione riservata alla razionalità dellarappresentazione spaziale. In questo gruppo di autori è possibile ricordare figure quali Catarino,Giovanni da Bologna, Jacobello di Bonomo e Stefano di sant’Agnese (Ivi, nota 23, p. 70).58 Di queste opere, solo quella delle Gallerie veneziane è con certezza attribuibile a Lorenzo, poichéfirmata e datata. La Madonna dell’umiltà di Trieste presenta strettissime analogie con quella dellachiesa di Sant’Anastasia – a sua volta in passato attribuita a Giovanni da Bologna, ma successivamentericondotta unanimemente alla mano del veneziano –, mentre per il polittico di San GiovanniEvangelista sono state avanzate molte proposte, da Jacobello di Bonomo al Maestro d’Arquà.L’attribuzione a Lorenzo è stata proposta da De Marchi e seguita da Guarnieri, sottolineando comel’opera vada più precisamente ricondotta a un lavoro della bottega del Maestro, con l’interventomassiccio di un anonimo collaboratore. Ivi, cat. 21, 33, 38, pp. 192-193, 202-203, 207-208.59 È attualmente piuttosto difficile riuscire a individuare le motivazioni che portarono alla scelta diquesto materiale rispetto alla più comune tavola lignea. Gli studi svolti negli ultimi decenni hannomesso in luce come la tela fosse un supporto normalmente diffuso presso le botteghe due-trecentesche:anche se considerata di second’ordine a causa della sua maggiore deperibilità, essa presentava ilvantaggio di essere più maneggevole e trasportabile – per esempio con fini processionali –; e non sipuò escludere l’ipotesi di un suo utilizzo per fini figurativi, legati alla possibilità di ottenere unapittura più fluida e luminosa. Ivi, cat. 21, p. 193.
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resa pittorica delle figure. La parte conservata presenta la Vergine avvolta in ricche
vesti nell’atto di allattare il Bambino e guardare teneramente verso lo spettatore.
Il gruppo sacro è contornato di raggi luminosi, attorno ai quali si dispone una schiera
di angeli tratteggiati a biacca, secondo una tecnica più volte utilizzata da Lorenzo –
per esempio nel dipinto di Sant’Anastasia – ma già in uso anche presso Paolo
Veneziano. Nell’angolo in basso a destra si intravede una piccola figura di donna
orante, probabilmente la committente, accanto alla quale si scorge un angolo di
prato fiorito. Se la datazione attorno al 1366 è corretta60, l’opera sarebbe il primo
esempio noto in ambito veneto di tale topos iconografico; tuttavia la particolare
situazione di conservazione del dipinto, come già detto ampiamente decurtato, ne ha
salvato una porzione assai limitata e difficilmente valutabile nelle sue componenti.
Alle immediate vicinanze cronologiche è attribuibile il polittico di San
Giovanni Evangelista (fig. 6). L’opera si sviluppa su due registri sovrapposti e
presenta al centro una Madonna dell’umiltà ritratta nell’atto di allattare il Bambino,
mentre ai lati si dispongono una serie di santi all’interno di una complessa cornice
architettonica composta da archi trilobati, sopra i quali si trova una decorazione a
conchiglia, sorretti da colonnine tortili solo in parte originali61. Nel registro superiore i
santi sono rappresentati a mezzobusto nell’atto di reggere dei libri: si tratta, come
esplicitano le iscrizioni identificative ai lati delle figure stesse, dei quattro evangelisti
accompagnati da san Gregorio, san Gerolamo, sant’Ambrogio e sant’Agostino, i
quattro massimi dottori della Chiesa. Nel registro principale i personaggi sono
rappresentati a figura intera, in uno spazio uniformato dallo sfondo oro interrotto
dall’individuazione della linea d’orizzonte, al di sotto della quale si trova il prato
fiorito. Lo spazio dedicato al tema è esiguo, visibile prevalentemente ai piedi dei santi
Paolo, Pietro e Giovanni battista, e del gruppo centrale della Vergine col bambino.
Quest’ultimo scomparto fu sicuramente eseguito su modello di Lorenzo, dal momento
che presenta forti affinità con gli altri due esempi della stessa iconografia ricordati,
60 La datazione che è stata proposta gravita attorno a quella del polittico Proti – firmato e datato 1366– sulla base di considerazioni stilistiche. Ivi, cat. 20 e 21, pp. 190-193.61 Al momento del ritrovamento il polittico mancava del coronamento a cuspidi e di alcuni archetti,che vennero rifatti nel 1934 a opera del restauratore fiorentino Baccio Venuti Venosta. È possibiledistinguere le parti rifatte da quelle originali grazie all’aquarello ottocentesco eseguito da Pietro Cavotiprima del restauro. Ivi, cat. 33, p. 202.
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ma lo stile appare più asciutto e sbrigativo, privo di quella delicatezza nei passaggi
chiaroscurali tipica della pittura laurenziana: la critica ha quindi attribuito l’opera ad
un lavoro di bottega, con massiccio intervento di un aiutante. La presenza del modulo
del prato fiorito porterebbe a supporre che il diretto modello per lo scomparto centrale
dell’opera sia stato il dipinto triestino, nel quale tuttavia, presumibilmente, il tema era
trattato con più ampio respiro62.
Testimonianza dell’ultima fase nota della produzione di Lorenzo e della linea
marcatamente gotica presa dalla sua pittura dagli inizi dell’ottavo decennio del secolo
è l’Annunciazione tra i santi Gregorio, Giovanni battista, Giacomo e Stefano (fig. 7).
L’opera, firmata e datata al 137163, si sviluppa su cinque tavole attualmente prive
della cornice e leggermente rifilate nella parte superiore, mentre in origine la
composizione era impostata con tutta probabilità all’interno di una struttura
architettonica scolpita ad archetti trilobati. Nello scomparto centrale è proposta
l’Annunciazione, organizzata come già il Maestro aveva fatto nel polittico Lion
ma con delle significative varianti: la struttura architettonica del trono, il libricino
sul grembo della Vergine e, soprattutto, il prato fiorito. Si tratta di un prato dalle
caratteristiche omogenee – tranne che nella tavola rappresentante santo Stefano, dove
sono state inserite delle pietre, riferimento al suo martirio per lapidazione – su tutto il
polittico, che crea quindi un’ambientazione unificata (fig. 8 e 9). Il giardino
rappresentato è caratterizzato da un fitto tappeto erboso nel quale trovano posto anche
specie floreali. Fiori e fogliame sono dipinti accostando macchie di diverse tonalità,
sia per la rappresentazione delle ombre sia per i dettagli dei singoli petali: si tratta
quindi di una resa pittorica “impressionista”, finalizzata a dare l’impressione di
una generica fioritura rigogliosa 64. Le singole specie floreali sono raggruppate in
piccoli cespugli omogenei accostati tra loro, e i colori principali delle corolle sono il
bianco, il rosso e l’azzurro. Si tratta di tonalità assai diffuse nella pittura su tavola
trecentesca in virtù della loro brillantezza, ma anche del significato simbolico
62 Considerando lo spazio a prato della Madonna dell’umiltà veronese, se è lecito supporre per ildipinto di Trieste un’analoga organizzazione spaziale lo è anche per lo spazio dedicato al giardino, chesarebbe stato quindi più ampio rispetto a quello del polittico leccese.63 MCCCLXXI Lâure(n)ci(us) pinsit. La scrittura è dipinta in lettere nere su fondo ocra all’interno delbasamento del trono della Vergine.64 Ad un’analisi ravvicinata del dipinto sembra distinguibile dell’edera; per gli altri fiori non è statoinvece possibile riconoscere le specie precise.
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loro attribuito: il bianco simboleggia la purezza virginale di Maria ma anche,
poiché percepito come assenza di colore, presagio di lutto; il rosso allude all’amore –
in questo caso nel senso sacro del termine – ma anche al sangue e alla futura
Passione di Cristo; l’azzurro infine, come il blu – anche se meno prezioso –, è
etafora di spiritualità e trascendenza.
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Conclusioni
La mentalità medievale, in relazione al ruolo di assoluta centralità che vi ricoprì la
religione cristiana, fu caratterizzata dalla tendenza a interpretare la realtà in chiave
simbolica, e da questa generale impostazione di pensiero non si sottrae il giardino.
Basandosi da una parte sulle testimonianze letterarie d’epoca classica e dall’altra sugli
esempi biblici dell’Eden e del Cantico dei Cantici – e spesso confondendo i termini –,
il mondo del Medioevo giunse a elaborare un immaginario paradisiaco dove fiori e
piante, sia singolarmente che collettivamente, ricoprirono un ruolo di primaria
importanza in virtù dei loro significati allegorici. In particolare l’esegesi in chiave
mistica del Cantico dei Cantici sviluppatasi soprattutto a partire da Bernardo di
Chiaravalle portò al consolidarsi dell’associazione tra rigogliosi giardini e le anime
virtuose. Ispirandosi alle descrizioni bibliche vennero anche strutturati gli spazi verdi
dei monasteri e, successivamente, delle abitazioni signorili: le caratteristiche peculiari
del giardino medievale – la fontana e il muro di cinta soprattutto – sono infatti quelle
presenti nel Cantico biblico.
Il XII secolo vide probabilmente un progressivo ampiamento dello spazio
dedicato alla coltura di piante e fiori, ma soprattutto fu interessato dal recupero
dell’aspetto ornamentale e piacevole del viridarium. Contestualmente si assistette
anche ad un rinato interesse scientifico nei confronti della natura, testimoniato
dagli erbari e dai tacuina santitatis illustrati non più basandosi esclusivamente sugli
esempi antichi ma rinnovando la tradizione attraverso l’osservazione dal vero. Il
generale contesto culturale della società cortese apprezzò particolarmente l’immagine
del giardino, al punto da renderla un proprio aspetto distintivo sia in ambito letterario
sia figurativo. In quest’ultimo ambito assunse la forma del topos iconografico del
prato fiorito gotico, legandosi ben presto alla rappresentazione della Vergine – alla
quale la tradizione devozionale associava già da tempo alcune tipologie floreali,
soprattutto la rosa – soprattutto nelle iconografie della Madonna dell’umiltà e
dell’Annunciazione.
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All’interno dello specifico contesto pittorico veneziano, l’introduzione del
giardino fiorito, allo stato attuale delle nostre conoscenze, è attribuibile a Lorenzo
Veneziano, pittore innovativo che contribuì al rinnovamento dello stile pittorico
lagunare grazie alla sua apertura nei confronti delle esperienze artistiche sia
dell’entroterra veneto sia d’Oltralpe. Il precoce utilizzo del topos del prato gotico in
più di una delle sue opere testimonia la sua curiosità nei confronti del mondo pittorico
al di fuori di Venezia e la sua ricettività nei confronti di mode che si stavano solo in
quei decenni diffondendo e affermando. Il modo in cui il Maestro affronta il tema
non è di tipo “scientifico”, che si basa sulla fedele rappresentazione delle specie
rappresentate, bensì essenzialmente decorativo, affidando in questo modo il
significato simbolico dell’ambientazione all’immagine d’insieme. Anche a
un’analisi ravvicinata65, infatti, non è possibile riconoscere delle specifiche specie
botaniche ben differenziate, e questa impressione sembra inoltre confermata dal fatto
che alcuni fiori si ripetono praticamente uguali ma con fogliame o struttura dello
stelo diversi. L’impressione che deriva quindi dall’analisi dell’opera è quella che il
pittore abbia desiderato, introducendo questo tipo di ambientazione, adeguarsi a
delle tendenze innovative della pittura del tempo per effetto d’insieme,
tralasciando però l’osservazione naturalistica che sarà poi tipica degli esempi del
tema cronologicamente successivi, prima francesi e poi di tutta Europa.
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Immagini
Fig. 1: Cetriolo, da Liber agrega de Serapiom (noto come Erbario carrarese), Londra, British Library,
ms. Eg. 2020, c. 162v.
Fig. 2: Tacuinum sanitatis, Roma, Biblioteca Casanatense, ms. 459
Fig. 3 : Bartolomeo da Camogli, Madonna dell’umiltà, Galleria Regionale di Palermo
Fig. 4: Lorenzo Veneziano, Madonna dell’umiltà, Chiesa di Sant’Anastasia a Verona
Fig. 5: Lorenzo Veneziano, Madonna dell’umiltà, Chiesa di Santa Maria Maggiore a Trieste
Fig. 6: Lorenzo Veneziano, Polittico di San Giovanni Evangelista, Museo provinciale di Lecce
Fig. 7: Lorenzo Veneziano, Annunciazione tra i santi Gregorio, Giovanni battista, Giacomo e Stefano,Gallerie dell’Accademia di Venezia
Fig.8: Lorenzo Veneziano, Annunciazione tra i santi Gregorio, Giovanni battista, Giacomo e Stefano,Gallerie dell’Accademia di Venezia, particolare.
Fig. 9: Lorenzo Veneziano, Annunciazione tra i santi Gregorio, Giovanni battista, Giacomo e Stefano,Gallerie dell’Accademia di Venezia, particolare.
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