L'iconografia del prato fiorito gotico e la sua introduzione nella pittura veneziana del Trecento

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L’iconografia del prato fiorito gotico e la sua introduzione nella pittura veneziana del Trecento Sommario Introduzione...............................................................................................................................................2 1. Il giardino medievale tra realtà e simbolo......................................................................3 Gli esempi biblici e il significato simbolico.................................................................................. 3 Il recupero del giardino ornamentale..............................................................................................6 2. Il giardino in pittura e l’iconografia della Vergine.................................................. 9 Rappresentare piante e fiori: la tradizione degli erbari e dei Tacuina sanitatis................ 9 L’iconografia della Madonna e il legame col giardino...........................................................10 3. Il prato fiorito nella pittura veneziana del Trecento.............................................14 Lorenzo Veneziano e il linguaggio gotico....................................................................................14 I primi esempi di prato fiorito della pittura lagunare..............................................................18 Conclusioni............................................................................................................................................... 21 Immagini....................................................................................................................................................23 Bibliografia...............................................................................................................................................27

Transcript of L'iconografia del prato fiorito gotico e la sua introduzione nella pittura veneziana del Trecento

L’iconografia del prato fiorito gotico e la

sua introduzione nella pittura veneziana

del Trecento

Sommario

Introduzione...............................................................................................................................................2

1. Il giardino medievale tra realtà e simbolo......................................................................3

Gli esempi biblici e il significato simbolico..................................................................................3

Il recupero del giardino ornamentale..............................................................................................6

2. Il giardino in pittura e l’iconografia della Vergine..................................................9

Rappresentare piante e fiori: la tradizione degli erbari e dei Tacuina sanitatis................9

L’iconografia della Madonna e il legame col giardino...........................................................10

3. Il prato fiorito nella pittura veneziana del Trecento.............................................14

Lorenzo Veneziano e il linguaggio gotico....................................................................................14

I primi esempi di prato fiorito della pittura lagunare..............................................................18

Conclusioni...............................................................................................................................................21

Immagini....................................................................................................................................................23

Bibliografia...............................................................................................................................................27

Introduzione

Il presente lavoro ha il fine di trattare brevemente l’importanza che ricoprì

l’immaginario biblico, e soprattutto quello del Cantico dei Cantici, nell’elaborazione

del topos iconografico del giardino fiorito tipico dell’arte gotica, nel quale spesso fu

collocata la Vergine accompagnata o meno da santi. Lo stretto legame che nella

tradizione esegetica venne a crearsi tra l’immagine del giardino – sempre connesso,

più o meno fortemente, al Paradiso –, la Madonna e l’anima dei santi devoti, unito alla

diffusione maggiore degli spazi verdi nelle città e a un rinato interesse per

l’osservazione naturalistica di piante e fiori espresso attraverso erbari e tacuina

sanitatis, portò alla diffusione di rappresentazioni dove le figure furono collocate

all’interno di rigogliosi prati fioriti, con specie floreali rappresentate più o meno

fedelmente.

L’introduzione del giardino fiorito nella pittura veneziana del Trecento è

attribuibile, sulla base di quanto si è conservato, alla figura di Lorenzo Veneziano,

pittore preminente nell’ambito lagunare del periodo. L’apertura che questo

Maestro mostrò nei confronti degli esiti artistici coevi dell’entroterra veneto e

d’Oltralpe – in particolare di Francia e Boemia – lo portò a elaborare, all’interno del

contesto bizantineggiante della pittura veneziana, un linguaggio originale

caratterizzato dalla compenetrazione tra la tradizione locale e un gusto più

marcatamente gotico.

Il presente elaborato si propone quindi di mettere in evidenza caratteristiche e

fonti di un topos pittorico che ebbe grande fortuna anche nei secoli successivi, e come

questo sia stato sviluppato nello specifico nelle opere di Lorenzo. Tuttavia, l’analisi

puntuale e diretta dei dipinti, in questa sede, è stata possibile solo nel caso

dell’Annunciazione tra santi delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, a causa della

lontananza geografica e dell’impossibilità di reperire adeguate riproduzioni

fotografiche delle altre opere in oggetto.

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1. Il giardino medievale tra realtà e simbolo

Gli esempi biblici e il significato simbolico

Trattare del tema del giardino relativamente al periodo medievale significa

innanzitutto ricostruire i riferimenti culturali coevi che ne influenzarono la forma

ideale, e quindi le più diffuse forme di descrizione, sia essa letteraria o figurativa. La

religione cristiana, infatti, portò a interpretare ogni pianta e ogni fiore da un punto di

vista non solo utilitario o estetico ma anche allegorico; e ciò influenzò fortemente sia

l’organizzazione del giardino concreto sia la sua trasposizione in ambito artistico1.

L’Età di Mezzo conobbe solo in modo indiretto, letterario, i giardini classici in

rapporto ai Campi Elisi e al topos del locus amoenus, e a queste conoscenze accostò i

modelli biblici, talvolta confondendo i termini. Questi ultimi furono soprattutto il

giardino dell’Eden2, archetipo principale in quanto concepito come luogo

dell’innocenza originaria e simbolo del perfetto accordo dell’uomo con Dio3; l’hortus

conclusus del Cantico dei Cantici4, testo che influenzò fortemente la meditazione

mistica medievale, e il giardino di Giuseppe d’Arimatea5, dove Cristo apparse a Maria

Maddalena nelle vesti di hortolanus, ossia giardiniere. Il giardino dell’Eden ben

presto s’incontrò con i Campi Elisi nel Paradiso cristiano, e il suo carattere di3

1 Nella rappresentazione pittorica del giardino influì sicuramente in modo importante l’aspettosimbolico e la tendenza all’esagerazione; tuttavia gli artisti rappresentarono, pur utilizzando una tecnicacombinatoria col fine di rendere chiaro il messaggio allegorico sotteso, elementi che veramenteesistevano o plausibilmente potevano esistere in un giardino coevo. M. Frank, Giardini dipinti: ilgiardino nella pittura europea dal Medioevo al primo Novecento, Verona 2008, p. 41, 51, cfr. anche F.Crisp, Mediaeval gardens, New York 1979, p. 1.2 Gn 2, 8-15: «Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo cheaveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buonida mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e delmale. Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi[…]. Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse».3 P. Bourgain, Le jardin de l'âme, in Sur la terre comme au ciel. Jardins d'Occident à la fin du MoyenÂge, Parigi 2002, p. 19.4 Ct 4, 12-15: « Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata. I tuoigermogli sono un giardino di melagrane, con i frutti più squisiti, alberi di cipro con nardo, nardo ezafferano, cannella e cinnamòmo con ogni specie d'alberi da incenso; mirra e aloe con tutti i miglioriaromi. Fontana che irrora i giardini, pozzo d'acque vive e ruscelli sgorganti dal Libano».5 Gv 20, 14-17. Di questo spazio non è fatta alcuna descrizione.

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eternità venne spesso reso figurativamente attraverso la contemporaneità di

fenomeni naturalmente legati a diverse stagioni6. L’eco di tale immaginario è

avvertibile anche nelle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, opera nella quale l’autore

collegò il termine hortus al verbo orior, interpretando quindi il primo come “luogo

dove nasce sempre qualcosa”7 grazie all’operosità dell’uomo. La calcolata

organizzazione delle colture è perciò concepita come il mezzo attraverso il quale

è possibile fingere un’eterna primavera e godere, benché parzialmente, delle

condizioni della vita adamitica delle origini8. Il giardino sulla Terra venne quindi a

caricarsi di una serie di significati simbolici e allegorici, e di conseguenza iniziò ad

esser visto come prefigurazione del Paradiso promesso dalle Scritture.

In parallelo, il giardino lussureggiante divenne anche simbolo dell’anima beata,

accuratamente coltivata attraverso la fede e l’esercizio delle virtù. Tale pensiero si

sviluppò soprattutto attorno all’hortus conclusus del Cantico dei Cantici, l’opera più

frequentemente commentata dell’intera letteratura monastica. Il testo venne

interpretato dai primi esegeti in chiave ecclesiologica: l’antica lettura che riconosceva

Dio nello sposo e Israele nella sposa fu modificata sostituendo a quest’ultima la

Chiesa cristiana. Gregorio argomentò, sulla scorta di Origene di Alessandria9, una

diversa interpretazione10 che vedeva nella sposa l’anima individuale; a

6 L’immagine dell’eterna primavera era già presente in età classica nel giardino di Alcinoo sull’isoladei Feaci e in quello di Amore dell’Epithalamium de nuptiis Honorii di Claudiano. F. Cardini, M.Miglio, Nostalgia del paradiso. Il giardino medievale, Bari 2002, p. 5.7 Ivi, p. 12.8 Ibidem. Bisogna anche considerare che il pensiero biblico, e di conseguenza successivamente quellocristiano, concepiva in modo negativo quasi tutte le tipologie di paesaggio perché viste comepericolose o associate all’idea di disordine e disorganizzazione. Da questa generale impostazione eraesclusa la campagna, ordinata secondo i bisogni degli uomini e simbolo della civilizzazione,caratteristiche che si ritrovano anche nel giardino. P. Bourgain, Le jardin de l’âme, cit., p. 18.9Origene, nei suoi Commentari, interpretò il matrimonio del Cantico su due livelli: da una parteecclesiologico, dall’altra mistico-spirituale. B. E. Daley, The closed garden and the sealedfountain: Song of Songs 4:12 in the late medieval iconography of Mary, in Medieval gardens,Washington D. C. 1986, p. 259.10 Gregorio Magno dedicò al Cantico dei Cantici due Sermoni.

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sant’Ambrogio si deve invece l’associazione della sposa del Cantico con la Vergine11.

La spiritualità cistercense del XII secolo elaborò ulteriormente la lettura di Gregorio

Magno con i commenti di Guglielmo di Saint-Thierry e, soprattutto, quello di

Bernardo di Chiaravalle12, secondo il quale all’homo interior, ossia l’anima, veniva

assimilata da una parte la sposa, la cui estasi amorosa diventò estasi mistica nei

confronti del Dio/sposo, dall’altra il giardino, che richiede cure per far germogliare i

fiori e i frutti delle virtù13. Per questo motivo la bellezza dell’anima dei santi fu spesso

immaginata come quella di un giardino eterno e splendente, come dimostra, per

esempio, l’associazione fatta da Ildegarda di Bingen tra sante vergini e giardini

profumati e fiori.

Il recupero del giardino ornamentale

Dei veri e propri giardini intesi in modo affine al senso moderno del termine – ossia

luoghi ricreativi, di piacere – esistevano ben prima del Medioevo e avevano avuto

ampia diffusione ai tempi dell’impero romano14, com’è possibile comprendere dalle

opere naturalistiche e geoponiche di autori quali Varrone, Columella e Plinio. La

caduta dell’impero romano d’Occidente e il conseguente arrivo dei barbari in Italia

comportò dei mutamenti socioeconomici e culturali rilevanti, e probabilmente la

scomparsa, o almeno importante contrazione, degli spazi in antico adibiti a horti,

pomaria e viridaria15.

I giardini dell’alto Medioevo, perlopiù confinati all’interno dei monasteri,

tendenzialmente si organizzarono seguendo la descrizione biblica sia dell’Eden che

del Cantico dei Cantici. La loro presenza era prevista sin dall’originaria Regola

11 M. Frank, Giardini dipinti, cit., p. 6. Ambrogio non lasciò commenti al Cantico, ma i suoiultimi scritti vi fecero spesso riferimento: si tratta di opere di carattere omiletico che riguardano illegame tra il Cantico e la verginità – De virginibus, De virginitate, De institutione virginis edExhortatio virginitatis. Anche Gerolamo seguì questa interpretazione, e la argomentò in un contesto diesortazione alle donne di seguire una vita consacrata alla purezza virginale nell'Adversus Jovinianum.B. E. Daley, The closed garden and the sealed fountain, cit., p. 260.

12 Bernardo si occupò dell’argomento soprattutto nell’Expositio in Canticum Canticorum e neiSermones super Cantica Canticorum.13 P. Bourgain, Le jardin de l’âme, cit., p. 22 e 25.14 F. Crisp, Mediaeval gardens, cit., p. 11.15 F. Cardini, M. Miglio, Nostalgia del paradiso, cit., p. 11.

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benedettina16 sia come spazi con fine pratico – allo stesso tempo alimentare e

terapeutico: si ricordi che il confine tra orto e giardino era piuttosto labile17 – sia in

relazione alla meditazione, come luogo adatto al raccoglimento spirituale18. Il

chiostro del monastero divenne il paradiso stesso, luogo fisicamente a giardino ma

allo stesso tempo spazio prediletto per la coltivazione del “giardino interiore”

dell’anima, curato attraverso la devozione e reso fecondo grazie all’intervento di

Cristo hortolanus. Che gli spazi dedicati al verde all’interno delle abbazie vi fossero,

in abbondanza e ben organizzati, è dimostrato anche dal progetto dell’abbazia

svizzera di San Gallo risalente al IX secolo, nel quale è rappresentata la distribuzione

planimetrica ideale di un monastero benedettino. Questo documento, unico nel suo

genere, fissò delle precise regole di distribuzione degli spazi che vennero poi

applicate anche in realtà più piccole, su scala minore. Ma in particolare è interessante

sottolineare come le zone verdi occupassero una porzione importante del complesso, e

soprattutto che il luogo dedicato al cimitero assunse i contorni del viridarium

d’ascendenza romana, aprendo in questo modo le porte a una nuova idea di giardino

come spazio destinato all’attività contemplativa, ma anche allo svago e al diletto19.

Stesso ruolo venne a ricoprire il giardino laico nel momento in cui si aumentò lo

spazio ad esso dedicato, ossia, probabilmente, a partire dalla metà del XIII secolo: da

questo momento, infatti, iniziarono a prolificare nella letteratura e nell’arte figurativa

numerose descrizioni di spazi adorni di fiori ed alberi. Conferma di quanto detto

viene dalla trattatistica e in particolare, per il Duecento, dal fondamentale trattato di

Alberto Magno intitolato De vegetalibus, composto tra il 1260 e il 126520. In questo

16 Benedetto da Norcia, S. P. Benedicti regula, cum commentariis, in Patrologia latina database( htt p :// p l d. cha d wy c k . c o.u k/al l / f ullt e xt ? A L L = Y & AC T I ON =b yi d & wa r n = N & d iv = 3 &i d= Z 3 000 3 45 4 4 &FILE=../session/1384783177_29117&CURDB=pld). La Regola di San Benedetto non fornivaprecise normative sull’orto, ma ne faceva menzione in relazione all’attività lavorativa dei monaci(per esempio nel capitolo XLVI: «Si quis dum in labore quovis, in coquina, in cellario, in ministerio,in pistrino, in horto, in arte aliqua dum laborat,[…]») e alla necessità di autosufficienza del monastero(Capitolo LXVI: «Monasterium autem, si potest fieri, ita debet constitui, ut omnia necessaria, idest,aqua, molendinum, hortus, pistrinum, vel artes diversae, intra monasterium exerceantur, ut non sitnecessitas monachis vagandi foras, quia omnino non expedit animabus eorum»).17 F. Cardini, M. Miglio, Nostalgia del paradiso, cit., p. VII.18 Questo aspetto venne sottolineato soprattutto nelle successive regole benedettine riformate, inparticolare presso i cistercensi. Ivi, p. 23.19 M. Frank, Giardini dipinti, cit., p. 45.20 Ibidem. Goody sottolinea come quest’opera debba molto al trattato pseudo-aristotelico Deplantis del I a.C., una delle tante opere classiche penetrate in Europa grazie alle traduzioni arabe. Cfr. J.

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testo compare la descrizione di uno spazio che riflette, presumibilmente, la realtà dei

giardini ornamentali allora esistenti e stabilì un modello che rimase canonico anche

per i secoli successivi. L’autore, nella sua descrizione, si rifece ampiamente al

viridarium della letteratura cortese – senza trascurare, comunque, la simbologia

religiosa – ma connotando il luogo con attributi concreti, perfettamente plausibili,

dove il prato fiorito ricopriva un ruolo centrale21. Il successo di cui godette il testo di

Alberto Magno è attestato anche dal fatto che esso fu ripreso nel Liber Ruralia

Commoda di Pietro De Crescenzi, testo composto agli inizi del XIV secolo e che può

essere considerato il più famoso trattato sul giardino medievale. Nel libro VIII

l’autore approfondì ampiamente, come già il suo predecessore, il tema del giardino

ornamentale, i suoi elementi caratteristici e la sua organizzazione interna,

sottolineandone anche il ruolo di luogo simbolo del prestigio di chi vi abita e quindi

finalizzato a suscitare meraviglia22. Allietato da piante e fiori di ogni genere, ma

spesso anche da animali, esso assunse un’importanza fondamentale all’interno di ogni

corte europea e di conseguenza divenne sempre più un tema cardine della cultura

cortese in ogni sua espressione.

Il giardino medievale, le cui caratteristiche costanti – sia in ambito religioso che

laico – furono la presenza di fontane, la ricca vegetazione e il muro di cinta che,

isolandolo dal mondo esterno, intendeva sottolinearne il carattere di spazio “altro”23,

rimase a lungo esclusivo appannaggio da una parte dei monasteri dall’altra dei singoli

signori. Questa situazione si protrasse fino alla costituzione delle signorie, quando la

fine delle lotte interne tra fazioni cittadine e il contestuale consolidamento di un

nuovo ordine sociale comportarono un grande aumento degli spazi a giardino nelle

aree pubbliche24. Se la sicurezza urbana permise il prosperare del giardino in città,

Goody, La cultura dei fiori. Le tradizioni, i linguaggi, i significati dall’Estremo Oriente al mondooccidentale, Torino 1993, p. 188.21 M. Frank, Giardini dipinti, cit., p. 46.22 F. Cardini, M. Miglio, Nostalgia del paradiso, cit., p. VII; A. Conforti Calcagni, Bellissima èdunque la rosa, Milano 2003, p. 16. I documenti pervenutici, però, attestano che in alcuni casi lateoria esposta da Alberto Magno e Pietro De Crescenzi non era seguita: per tutto il periodo medievale ilviridarium mantenne al suo interno anche colture caratteristiche dell’orto. M. Frank, Giardini dipinti,cit., p. 46.23Tali caratteristiche sono quelle dell’hortus conclusus del Cantico dei Cantici.24 Il consolidamento del potere signorile ebbe come effetti da una parte la costruzione di circuitimurari difensivi – o il consolidamento di quelli comunali –, dall’altra la pacificazione internadelle città. Entrambi questi aspetti concorsero a rendere più sicuro lo spazio urbano e quindifavorirono nuove modalità di gestione delle zone pubbliche. A. Conforti Calcagni, Bellissima è dunquela rosa, cit., pp. 29- 33.

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situazione assai diversa fu invece quella del contado, dove continuò, in un primo

momento, uno stato di sostanziale insicurezza: per l’attecchire e il diffondersi del

giardino anche nella villa fu quindi necessario aspettare l’unificazione e pacificazione

del territorio nel Quattrocento, con la stabilizzazione delle signorie a livello regionale.

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2. Il giardino in pittura e l’iconografia della Vergine

Rappresentare piante e fiori: la tradizione degli erbari e dei Tacuina sanitatis

Specchio del contesto sin qui delineato – il recupero dell’importanza del giardino,

sempre con fine ambivalente tra l’utile e il dilettevole – è il rinato interesse per la

scienza botanica, avvertibile a partire soprattutto dalla seconda metà dell’XI secolo.

Espressione di questa nuova sensibilità furono i numerosi erbari prodotti nei

monasteri benedettini, soprattutto dell’Italia meridionale, che in quel periodo

andavano aggiornandosi sulle conoscenze mediche che la scienza araba, sulla base di

quella greca, aveva elaborato nei secoli IX e X25. In questo clima culturale vennero

composte opere quali De simplici medicina – più tardi conosciuta come Circa instans,

oppure Secreta salernitana – dove le raffigurazioni delle piante furono realizzate con

un’intenzione naturalistica non più dipendente dall’imitazione dei vecchi modelli, ma

da una rinnovata attenzione al vero26. La tradizione degli erbari attecchì rapidamente

in ambiente lombardo, dove presso la giovane signoria dei Visconti si stava avviando

la crescita di una vivace cultura cortese particolarmente ricca di interessi naturalistici.

Dalla fine del Trecento assunse poi rilievo la nuova illustrazione botanica sviluppatasi

a Padova nell’ambito della signoria carrarese e della scuola medica locale, dove la

rinascita degli studi medici fu legata alla figura di Pietro d’Abano27. Il testo più

importante che certifica l’attenzione rivolta dall’ambiente padovano trecentesco alle

ricerche sulle virtù terapeutiche delle erbe e alla rappresentazione delle piante è

costituito dal Liber agregà di Serapiom (fig. 128), dal quale emerge con evidenza il

25Tale bagaglio di conoscenze arrivò anche attraverso la Sicilia e la Spagna, e portò come conseguenzala grande fioritura della scuola medica salernitana nella seconda metà del XII secolo G. MarianiCanova, La tradizione europea degli erbari miniati e la scuola veneta, in Di sana pianta. Erbari etaccuini di sanità, Modena 1988, p. 22.26 Ibidem27 Quest’ultimo diede allo studio patavino i fondamenti di una scienza fondata sulla grande tradizionearaba e salernitana, ma anche su una rinnovata attenzione per la sapienza degli antichi. Ivi, p. 24. 28 La figura illustra la pagina dedicata al cetriolo dell’Erbario carrarese, manoscritto redatto tra lafine del Trecento e l’inizio del secolo successivo e appartenuto a Francesco Novello da Carrara. Ivi, pp.

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rinnovato approccio diretto alla natura. Il testo, costituito da una redazione in volgare

padovano della traduzione latina di un testo del medico arabo Serapiom, è una sintesi

dei precetti di Dioscoride e Galeno, autori antichi che Pietro d’Abano aveva insegnato

ad apprezzare. Le illustrazioni che accompagnano il testo dimostrano una conoscenza

assai accurata delle specie e la volontà di riprodurle con esattezza scientifica:

un’attenzione così scrupolosa è giustificabile soprattutto alla luce della cultura

universitaria patavina e a probabili esigenze legate allo studio29.

Altro filone tradizionale nel quale si sviluppò la rappresentazione di piante e fiori

fu quello dei cosiddetti Tacuina sanitatis. Si tratta di una categoria di testi a sé, tipici

dell’ambiente lombardo del Trecento, ma che ebbero come fonte fondamentale gli

erbari precedenti e contemporanei30. Il testo dei Tacuina è basato sulla medicina araba

– mediata probabilmente dalla Spagna meridionale –; e in particolare sul trattato arabo

di Ibn Butlan intitolato Taqwin al-Sihha. Pochi esempi a noi pervenuti sono dotati di

apparato illustrativo (fig. 231); in questi ultimi casi predominano le raffigurazioni di

erbe fiori e frutti, cui si aggiungono altri elementi naturali, alimenti, venti, stagioni e

considerazioni dei mutevoli stati d’animo degli uomini, in relazione alla teoria

medico-alchemica degli umori32. Il filone dei Taccuina sanitatis nacque come

tipicamente profano e cortese, dove le rappresentazioni, meno “scientifiche” rispetto

agli erbari, svilupparono assai rapidamente i caratteri del nascente gotico

internazionale proveniente dalla Francia. Gli esemplari illustrati dei taccuini

presentano delle raffigurazioni stilisticamente abbastanza omogenee, nell’ambito

delle quali fu figura fondamentale Giovannino de’ Grassi, miniatore e pittore di

spicco della seconda metà del Trecento per il quale si è proposta una formazione

artistica in ambito boemo.

Erbari e Taccuina costituirono un importante punto di riferimento per

24-26; cfr. anche F. Toniolo, Il libro miniato a Padova nel Trecento, in G. Valenzano, F. Toniolo (acura di), Il secolo di Giotto nel Veneto, Venezia 2007, pp. 125-126, 145.29 G. Mariani Canova, La tradizione europea degli erbari miniati e la scuola veneta, cit., p. 24.Federica Toniolo sottolinea come molte delle piante raffigurate appartengano alla flora della fasciamediterranea, quindi perfettamente note e reperibili in Veneto. F. Toniolo, Il libro miniato a Padovanel Trecento, cit., p. 127.30 L. Cogliati Arano, Tacuinum sanitatis, in Di sana pianta. Erbari e taccuini di sanità, cit., p. 13.31 L’immagine è tratta dal manoscritto 459 della Biblioteca Casanatense di Roma. Il codice è databileagli ultimi anni del Trecento e venne eseguito alla corte di Gian Galeazzo Visconti, il quale lo donòsuccessivamente aVenceslao IV, re di Boemia e di Germania. Ivi, p. 15.32 Ivi, p. 16.

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l’affermazione della rappresentazione naturalistica del mondo vegetale nell'arte e,

soprattutto, furono un fondamentale veicolo di trasmissione di conoscenze e gusti

all’interno dell’Europa del tardo Trecento. Tuttavia, il processo di codificazione

del giardino paradisiaco come luogo dai connotati realistici all’interno delle arti

figurative fu lento, e raggiunse il suo apice solo nel Quattrocento33. I primi esempi

trecenteschi del tema spesso puntarono, più che alla riconoscibilità botanica, a un

generale effetto di prato rigoglioso ricco di fiori colorati: in parallelo alla graduale

affermazione del giardino come spazio anche di piacere nel contesto delle corti,

questo modulo iconografico fu utilizzato per arricchire l’immagine dal punto di vista

non solo simbolico, ma anche decorativo e vezzoso.

L’iconografia della Madonna e il legame col giardino

Una vera e propria riflessione teologica su Maria iniziò incidentalmente, ai margini

degli altri argomenti che interessarono la produzione patristica delle origini e in tale

contesto la Vergine comparì, nella maggior parte dei casi, semplicemente come

modello femminile positivo contrapposto a Eva34. Eccezioni in questo generale

panorama furono le già citate interpretazioni mariane del Cantico dei Cantici proposte

da sant’Ambrogio e san Gerolamo, i quali però collocarono la loro riflessione non

all’interno di uno specifico testo di commento biblico, ma nella trattazione del più

generale tema della preservazione della purezza virginale. Una forma di culto mariano

iniziò a svilupparsi attorno al dibattito sul titolo Teotokos – ossia “Madre di Dio”35 –

nel V secolo, soprattutto in Oriente, e si espresse nella forma di litanie di titoli tratti

33 M. Frank, Giardini dipinti, cit., p. 13.34 Emma Simi Varanelli sottolinea come, in realtà, i più importanti temi della mariologia del bassoMedioevo fossero già presenti in nuce in importanti testi patristici e altomedievali. E . SimiVaranelli, Spiritualità mendicante e iconografia mariana. Il contributo dell’ordine agostiniano allagenesi e alle metamorfosi iconologiche della Madonna dell’umiltà, in Arte e spiritualità nell’ordineagostiniano e il Convento San Nicola a Tolentino, Roma 1994, p. 77. Per lo sviluppo generale diquesto paragrafo si veda soprattutto B. E. Daley, The closed garden and the sealed fountain, cit., pp.253-278.35 Nel concilio di Efeso svoltosi nel 431 fu dibattuto, oltre all’argomento della divinità di Gesù Cristo,l’appellativo più idoneo da attribuire alla Vergine tra Theotokos, madre di Dio, e Christotokos, ossiamadre di Gesù in quanto uomo.

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dalla Bibbia, tra cui figuravano anche le espressioni hortus conclusus e fons signatus,

nel Cantico biblico attribuite alla sposa. Tale tradizione raggiunse l’Occidente

europeo in età carolingia, ma l’importante fase di fioritura del culto mariano si ebbe

nella seconda metà del XII secolo a partire dalla Francia del nord, collegata alla quale

si affermò anche una nuova forma di esegesi del Cantico. Il primo e più importante

fra questi commentari fu quello del benedettino Ruperto di Deutz, che interpretò il

testo biblico come un canto d’amore tra Cristo e la Vergine diviso in singole scene

rispondenti ai principali eventi della vita di Maria. In questa chiave, egli lesse le due

immagini sopra citate associandole all’Annunciazione: Maria era un “orto” perché

qualcosa in lei “cresce” – seguendo in questo modo l’etimologia proposta da Isidoro

di Siviglia –, era allo stesso tempo un giardino chiuso perché reso fruttifero solamente

da Dio36. Questo tipo di esegesi ebbe una certa fortuna dal tardo XII secolo in poi,

anche se la devozione mariana rimase a lungo legata all’ambito popolare, mentre

nell’ambiente universitario continuarono ad avere maggiore rilevanza gli altri due

filoni interpretativi, ecclesiologico e mistico.

Da quanto detto emerge come la mentalità medievale fosse facilmente portata

ad associare a Maria l’immagine del fiore e, in generale, ai santi il giardino rigoglioso

come espressione visiva dell’anima virtuosa e accuratamente “coltivata” tramite la

meditazione e la fede. Per quanto l’influenza della letteratura mariana sia stata

probabilmente marginale nell’elaborazione di una nuova iconografia della Vergine e

dell’Annunciazione, la già ricordata fioritura del culto a lei dedicato durante il XII

secolo – collegata anche alla diffusione degli Ordini Mendicanti37 – vide la comparsa

d’importanti novità in tale senso. Se solo nel Quattrocento si sviluppò e diffuse su

ampia scala l’immagine che presenta Maria, da sola o accompagnata da angeli e santi,

all’interno di uno spazio che fa puntuale riferimento al Cantico dei Cantici – grazie

36 È possibile che la lettura di Ruperto sia stata influenzata dalla liturgia del 15 agosto, festadell’Assunzione della Vergine al cielo, durante la quale veniva letto parte del Cantico. B. E. Daley, Theclosed garden and the sealed fountain, cit., p. 264.37 Gli Ordini Mendicanti contribuirono in modo essenziale alla diffusione della devozione mariana e,nello specifico, dell’iconografia della Madonna dell’umiltà contestualmente all’esaltazione della virtùdella humilitas all’interno della regola mendicante. E. Simi Varanelli, Spiritualità mendicante eiconografia mariana, cit., p. 77.

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alla presenza di mura di delimitazione e della fontana che irrora il giardino – risalgono

al Trecento i primi esempi di Madonne inserite nel contesto del prato fiorito38. Fu

probabilmente nella cerchia di Simone Martini che venne elaborata l’iconografia della

Madonna dell’umiltà tra il quarto e il quinto decennio del XIV secolo, nella quale la

Vergine è rappresentata umilmente seduta a terra, solitamente su un cuscino, intenta

ad allattare, o a giocare con il Bambino, oppure accompagnata da simboli

apocalittici39. Il primo esempio noto è il dipinto di Bartolomeo da Camogli conservato

attualmente nella Galleria Regionale di Palermo e datato al 1347 (fig. 3), la cui

impostazione iconografica è fatta risalire a un archetipo di Simone Martini. L’opera

presenta la Vergine che allatta il Bambino all’interno di un arco trilobato retto da

colonnine tortili e incorniciato da una decorazione a finto mosaico. Nei pennacchi è

rappresentata, su scala ridotta, un’Annunciazione: a destra è visibile l’angelo

annunciante, mentre a destra Maria, colta dall’arrivo del messaggero divino durante

la lettura. Il centro dell’opera è occupato interamente dal gruppo sacro: la Vergine è

adagiata a terra in uno spazio dall’ambientazione non meglio definita40 e ai suoi lati è

disposta un’iscrizione in maiuscola gotica che esplicita l’iconografia e, più in basso,

riporta l’anno di esecuzione e il nome dell’artista41. Al di sotto del riquadro principale

sono rappresentati gli strumenti della Passione affiancati da due schiere di

disciplinanti e altri oranti. Se il soggetto principale è collegato dagli

38 Con questa espressione s’intende un particolare topos iconografico dell’arte tardogotica attestato inprimo luogo in Francia e poi diffusosi in tutta Europa, dando vita a un gusto comune per la ricchezza ela sontuosità. Espressione di un mondo e di una cultura aristocratica, l’arte tardogotica spesso tese aprofanizzare personaggi e scene d’ambito sacro; è possibile quindi stabilire un collegamento tra ladiffusione nelle corti del giardino ornamentale, la letteratura cortese cavalleresca, il gusto per ildecorativismo in tutte le forme d’arte e l’imporsi nella pittura e nella miniatura del prato adorno deifiori dai colori e dalle forme più varie.39C. Guarnieri, Lorenzo Veneziano, Cinisello Balsamo 2006, cat. 11, p. 184. Simi Varanelli sottolineacome, a ben vedere, si possano individuare due filoni distinti all’interno della stessa iconografia:quello che la studiosa definisce “curiale” – dove Maria è rappresentata come regina humilitatis ene viene sottolineata la condizione di creaturalità – espressione della posizione del papato nei confrontidegli ideali mendicanti, e quello “sublime” – dove alla Madonna in umiltà vengono accostati degliattributi cosmici della Donna dell’Apocalisse come la luna, il sole e le stelle – elaborata come rispostaalla prima e dalla forte connotazione immaculista. Gli esempi in questa sede esaminati appartengono aquest’ultima tradizione. E. Simi Varanelli, Spiritualità mendicante e iconografia mariana, cit., p. 78-79.40 A. De Floriani, voce Pellerano Bartolomeo, in Enciclopedia dell’Arte Medievale (URL=http ://www. tr eccani. it/e nciclo p ed ia/b ar to lo meo -p eller ano_(Enciclopedia-dell'-Arte-Medievale)/ ).41 (Signum crucis) N(ost)ra d(omi)na de | | humilitate / MCCC | | XXXXVI hoc / opus | | pinsitmag/ister | | B(ar)tolomeu(s) de / Cam| |ulio pintor.

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studiosi pressoché unanimemente a Simone Martini, tuttavia la critica si è

distinta tra coloro che sostengono sia stata Siena il centro propulsore e di

diffusione42, e quelli che invece pensano che l’elaborazione sia avvenuta presso la

curia di Avignone, dove il pittore si trasferì attorno al 1335 e dove era in corso anche

un dibattito teorico attorno al tema dell’umiltà di Maria43. Tale tipo iconografico,

collocando la scena rappresentata in un ideale spazio aperto, si dimostrò ben presto

particolarmente adatto a ospitare il tema del prato fiorito.

42 É. Antoine, cat. n. 17, in Sur la terre comme au ciel, cit., p. 62; M. Frank, Giardini dipinti, cit., p. 8.43 In particolare l’argomento fu elaborato nei trattatelli In salutationem et Annunciationem e InCanticum Deiparae Mariae Virginis, scritti nella città provenzale dall'agostiniano Agostino Trionfo. A.De Floriani, voce Pellerano Bartolomeo, cit.

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3. Il prato fiorito nella pittura veneziana del Trecento

Lorenzo Veneziano e il linguaggio gotico

Lorenzo Veneziano fu tra i pittori del secondo Trecento lagunare sicuramente la

figura di maggiore spicco. La sua produzione pittorica è documentabile tra il 1356,

data riportata sull’opera che si trovava nelle collezioni di Scipione Maffei e che ci è

nota solo dalla menzione che ne fa l’erudito veronese, e il 1372, anno al quale è datata

l’ultima opera nota, ossia il polittico per la chiesa di San Francesco a Rieti44. Il

percorso artistico di questo Maestro si svolse nell’ambito dello stile gotico, che nei

suoi risvolti “internazionali”, però, trovò nell’immediato poco seguito a Venezia.

Nelle opere di Lorenzo, come già in quelle di Paolo Veneziano45 – di cui forse fu

allievo –, è possibile notare una tendenza all’elaborazione di un nuovo linguaggio

costituito alla fusione di caratteristiche della tradizione pittorica veneziana con stimoli

provenienti dalla cultura figurativa di terraferma fin dai Polittico Lion, la prima opera

firmata e datata conservatasi46. La laguna veneta, nonostante la presenza di una forte

tradizione di stampo bizantino, non fu un ambiente privo di stimoli in senso gotico e

naturalistico ma anzi un luogo dal peculiare cosmopolitismo culturale, il che le diede

un ruolo chiave di mediazione tra Occidente e Oriente soprattutto grazie alla

circolazione di prodotti scultorei e di oreficeria47. Inoltre Lorenzo, come altri pittori

44 Secondo Guarnieri è però possibile, su base documentaria, ampliare la cronologia d’attivitàdell’artista fino alla fine dell’ottavo decennio del XIV secolo. C. Guarnieri, Lorenzo Veneziano, cit., p.33.45 Questo artista fu il primo vero innovatore del panorama pittorico del Trecento lagunare. Pedroccoha messo in rilievo come il suo legame con i grandi ordini monastici potrebbe aver influito sulletendenze goticheggianti del suo percorso artistico: francescani e domenicani, infatti, già da tempoerano legati, dal punto di vista architettonico e scultoreo, alla cultura gotica d’Oltralpe. F. Pedrocco,L’arte di Venezia, Firenze 2002, pp. 23-28.46 L’opera presenta due date: 1357, riportata nell’iscrizione sulla cornice, e 1359, dipinta sul tronodella Vergine. La critica ha quindi interpretato quest’ultima come quella di completamento delpolittico. R. Pallucchini, La pittura veneziana del Trecento, Roma 1964, p. 168.47 Guarnieri pone in evidenza come nel periodo in esame, in parallelo ai prodotti di pregioprovenienti da Bisanzio – smalti, stoffe, oggetti suntuari di vario genere –, giunsero a Venezia ancheoggetti dal Nord Europa – sculture, ricami, avori, oreficerie, miniature – che influenzarono lemaestranze locali. A questo si deve aggiungere il peso ricoperto dall’attività dello scultore Marco

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veneziani del suo tempo, non limitò il suo orizzonte figurativo alla sua città ma lo

ampliò guardando con interesse alle vicende artistiche dell’immediato entroterra, in

particolare di Padova. Sono questi i decenni che videro l’avvio del processo

espansionistico di Venezia nell’entroterra veneto, e di conseguenza un infittirsi degli

scambi culturali della Serenissima con Padova, dove lavorò Guariento d’Arpo,

fondamentale figura di riferimento per la formazione dello stile pittorico di Lorenzo48.

In parallelo alla grande vitalità culturale padovana, ormai diventata punto di

riferimento per Venezia, assunsero una certa importanza anche Treviso e Udine, dove

giunsero, dalla fine del quinto decennio del secolo, i pittori Tommaso da Modena e

Vitale da Bologna. Questi a loro volta influenzarono fortemente la produzione

pittorica dei due centri veneti e – soprattutto Tommaso – la cultura figurativa di

Lorenzo con il loro naturalismo e l’attitudine alla narrazione degli eventi sacri con i

modi del fare quotidiano, dove i personaggi sono caratterizzati anche

psicologicamente49.

Gli esordi pittorici noti di Lorenzo fanno emergere fin da subito una personalità

artistica già pienamente formata e aggiornata su quanto si andava producendo nelle

vicinanze di Venezia, e non solo. Nel polittico Lion, infatti, si trovano già in nuce le

principali caratteristiche stilistiche della sua opera, dall’interesse per il giottismo

riformato in chiave gotica del Guariento alla dolcezza cromatica e umana delle figure

sante di Tommaso da Modena, infine alla sinuosità dei panneggi e delle pose dei

santi che richiamano la contemporanea scultura boema e francese50. Il percorso

pittorico del Maestro continuò su questa linea verso esiti sempre più marcatamente

tardogotici, che contribuirono a un generale rinnovamento delle tradizionali

consuetudini veneziane non solo dal punto di vista stilistico, ma anche iconografico: a

lui si devono, infatti, inedite soluzioni come la rappresentazione del tema

dell’Annunciazione al centro di un polittico51 – nel già menzionato polittico Lion

Romano e l’importante progetto di ricostruzione di Palazzo Ducale. C. Guarnieri, Lorenzo Veneziano,cit., pp. 36-37.

48 Ivi, pp. 38-39.49 Ivi, p. 40.50 Riferimenti alla cultura transalpina e boema sono stati proposti in prima battuta da Roberto Longhi,soprattutto in relazione al precoce utilizzo di Lorenzo del giardino fiorito e la generale attenzione agliaspetti della natura. Ivi, p. 49.51 Francesca Flores d’Arcais fu la prima a sottolineare la singolare scelta di rappresentarel’Annunciazione al centro di un polittico veneziano, quando solitamente essa era collocata

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–, ma anche di sant’Agostino in trono del polittico di Arquà52, o infine del Cristo in

maestà, la cui iconografia è fusa con quella della Traditio clavium53 nella tavola

attualmente conservata nel museo Correr. Ma soprattutto, ai fini dell’argomento qui

trattato, gli è attribuibile la precoce introduzione in ambito veneto dell’iconografia

della Madonna dell’Umiltà54 nel dipinto attualmente conservato nella chiesa veronese

di Sant’Anastasia e datato attorno al 1359, raro esempio di tela trecentesca (fig. 4)55.

L’opera presenta, all’interno di uno spazio tripartito da una finta architettura ad

archetti trilobati, la Vergine seduta su un prato mentre allatta il Bambino, circondata

da una schiera di angeli e con ai lati i due santi fondatori dell’ordine domenicano, san

Domenico e san Pietro martire, che presentano i donatori, Cangrande II della Scala e

sua moglie Elisabetta di Baviera. La scena è evidentemente collocata in uno spazio

aperto, unico per tutti i personaggi; tuttavia esso non presenta le caratteristiche del

prato fiorito per la mancanza di una più dettagliata rappresentazione delle specie

vegetali: il prato, infatti, è reso da piatte campiture in verde, senza che vi sia una

qualche forma di resa naturalistica56. Non è comunque un caso che la successiva

comparsa del giardino fiorito vero e proprio all’interno della pittura laurenziana

avvenga proprio nell’ambito di questa tipologia iconografica. L’evoluzione

dello stile di Lorenzo tra il settimo e l’ottavo decennio del secolo, sempre

coerente nella sua linea di apertura al gotico al di fuori di Venezia, proseguì su una via

all’estremità o a lato della tavola centrale del registro superiore. La studiosa, quindi, ipotizzò che iltema fosse stato esplicitamente richiesto dal committente in relazione all’intitolazione dell’altaremaggiore, o scelto per l’importanza che rivestiva a Venezia la festa dell’Annunciazione. F. Floresd’Arcais, Venezia, in La pittura nel Veneto. Il Trecento, Milano 1992, p. 57.

52 C. Guarnieri, Lorenzo Veneziano, cit. p. 61 e cat. n. 34, pp. 204-205.53 Ivi, p. 62 e cat. n. 35, pp. 205-206.54 La precoce diffusione di questa iconografia in terra veneta avvenne forse attraverso la mediazionedi Tommaso da Modena, del quale tuttavia non si conserva nessun esemplare in Veneto. Cfr. ivi, p.50. Per i significati che tale immagine assunse nella produzione del Maestro – in relazione ancheall’uso della parola scritta – e al ruolo che il veneziano ricoprì nella sua diffusione in tutto il Veneto sivedano F. Gasparini, La devozione domenicana alla Madonna dell’umiltà: un inno di inni e C. Rigoni,Il culto della Madonna dell’umiltà e la sua diffusione nel territorio di Vicenza in C. Rigoni, C.Scardellato (a cura di), Lorenzo Veneziano. Le Virgines humilitatis. Tre Madonne “de pannolineo”. Indagini, tecnica, iconografia, Cinisello Balsamo 2011, pp. 42-51, 88-93.55 C. Guarnieri, Lorenzo Veneziano, cit., p. 100 e cat. n. 11, pp. 183-185.56 Le opere di Lorenzo dove i personaggi sono collocati in un prato di questo tipo sono molteplici, el’espediente è funzionale, attraverso la definizione dello spazio con la linea d’orizzonte, alla sensazionedi una maggiore volumetria dei corpi.

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neogiottesca che tocca il suo culmine nel polittici del 1371-72, forse per

influenza di un rinnovato contatto con i contemporanei esiti della cultura figurativa

padovana, che lo portano a porre una sempre maggiore attenzione alla resa corporea,

volumetrica delle figure57.

I primi esempi di prato fiorito della pittura lagunare

Tra le opere attribuite a Lorenzo dalla più recente critica, tre sono i casi nei quali

l’artista adottò una forma di prato fiorito in senso stretto: nella Madonna dell’umiltà

con donatrice attualmente nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Trieste, nel

polittico di San Giovanni Evangelista proveniente dall’omonimo monastero

femminile di Lecce e attualmente conservato nel museo provinciale cittadino, e

nell’annunciazione tra i santi Gregorio, Giovanni Battista, Giacomo Maggiore e

Stefano delle Gallerie dell’Accademia di Venezia58.

La Madonna triestina (fig. 5), altro raro esempio di pittura trecentesca su tela59,

è stata in passato, in tempi non precisabili, pesantemente ridipinta e ampiamente

decurtata sui quattro lati, mentre in origine, probabilmente, aveva un’impostazione

assai simile alla Madonna dell’umiltà veronese, cui è affine anche per iconografia e

57 C. Guarnieri, Lorenzo Veneziano, cit., pp. 62-65. Da questa fase dell’attività del Maestro sembraprendere il via una parte della produzione veneziana degli anni Ottanta, caratterizzata dalrinsaldamento della forma plastica e dalla maggiore attenzione riservata alla razionalità dellarappresentazione spaziale. In questo gruppo di autori è possibile ricordare figure quali Catarino,Giovanni da Bologna, Jacobello di Bonomo e Stefano di sant’Agnese (Ivi, nota 23, p. 70).58 Di queste opere, solo quella delle Gallerie veneziane è con certezza attribuibile a Lorenzo, poichéfirmata e datata. La Madonna dell’umiltà di Trieste presenta strettissime analogie con quella dellachiesa di Sant’Anastasia – a sua volta in passato attribuita a Giovanni da Bologna, ma successivamentericondotta unanimemente alla mano del veneziano –, mentre per il polittico di San GiovanniEvangelista sono state avanzate molte proposte, da Jacobello di Bonomo al Maestro d’Arquà.L’attribuzione a Lorenzo è stata proposta da De Marchi e seguita da Guarnieri, sottolineando comel’opera vada più precisamente ricondotta a un lavoro della bottega del Maestro, con l’interventomassiccio di un anonimo collaboratore. Ivi, cat. 21, 33, 38, pp. 192-193, 202-203, 207-208.59 È attualmente piuttosto difficile riuscire a individuare le motivazioni che portarono alla scelta diquesto materiale rispetto alla più comune tavola lignea. Gli studi svolti negli ultimi decenni hannomesso in luce come la tela fosse un supporto normalmente diffuso presso le botteghe due-trecentesche:anche se considerata di second’ordine a causa della sua maggiore deperibilità, essa presentava ilvantaggio di essere più maneggevole e trasportabile – per esempio con fini processionali –; e non sipuò escludere l’ipotesi di un suo utilizzo per fini figurativi, legati alla possibilità di ottenere unapittura più fluida e luminosa. Ivi, cat. 21, p. 193.

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resa pittorica delle figure. La parte conservata presenta la Vergine avvolta in ricche

vesti nell’atto di allattare il Bambino e guardare teneramente verso lo spettatore.

Il gruppo sacro è contornato di raggi luminosi, attorno ai quali si dispone una schiera

di angeli tratteggiati a biacca, secondo una tecnica più volte utilizzata da Lorenzo –

per esempio nel dipinto di Sant’Anastasia – ma già in uso anche presso Paolo

Veneziano. Nell’angolo in basso a destra si intravede una piccola figura di donna

orante, probabilmente la committente, accanto alla quale si scorge un angolo di

prato fiorito. Se la datazione attorno al 1366 è corretta60, l’opera sarebbe il primo

esempio noto in ambito veneto di tale topos iconografico; tuttavia la particolare

situazione di conservazione del dipinto, come già detto ampiamente decurtato, ne ha

salvato una porzione assai limitata e difficilmente valutabile nelle sue componenti.

Alle immediate vicinanze cronologiche è attribuibile il polittico di San

Giovanni Evangelista (fig. 6). L’opera si sviluppa su due registri sovrapposti e

presenta al centro una Madonna dell’umiltà ritratta nell’atto di allattare il Bambino,

mentre ai lati si dispongono una serie di santi all’interno di una complessa cornice

architettonica composta da archi trilobati, sopra i quali si trova una decorazione a

conchiglia, sorretti da colonnine tortili solo in parte originali61. Nel registro superiore i

santi sono rappresentati a mezzobusto nell’atto di reggere dei libri: si tratta, come

esplicitano le iscrizioni identificative ai lati delle figure stesse, dei quattro evangelisti

accompagnati da san Gregorio, san Gerolamo, sant’Ambrogio e sant’Agostino, i

quattro massimi dottori della Chiesa. Nel registro principale i personaggi sono

rappresentati a figura intera, in uno spazio uniformato dallo sfondo oro interrotto

dall’individuazione della linea d’orizzonte, al di sotto della quale si trova il prato

fiorito. Lo spazio dedicato al tema è esiguo, visibile prevalentemente ai piedi dei santi

Paolo, Pietro e Giovanni battista, e del gruppo centrale della Vergine col bambino.

Quest’ultimo scomparto fu sicuramente eseguito su modello di Lorenzo, dal momento

che presenta forti affinità con gli altri due esempi della stessa iconografia ricordati,

60 La datazione che è stata proposta gravita attorno a quella del polittico Proti – firmato e datato 1366– sulla base di considerazioni stilistiche. Ivi, cat. 20 e 21, pp. 190-193.61 Al momento del ritrovamento il polittico mancava del coronamento a cuspidi e di alcuni archetti,che vennero rifatti nel 1934 a opera del restauratore fiorentino Baccio Venuti Venosta. È possibiledistinguere le parti rifatte da quelle originali grazie all’aquarello ottocentesco eseguito da Pietro Cavotiprima del restauro. Ivi, cat. 33, p. 202.

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ma lo stile appare più asciutto e sbrigativo, privo di quella delicatezza nei passaggi

chiaroscurali tipica della pittura laurenziana: la critica ha quindi attribuito l’opera ad

un lavoro di bottega, con massiccio intervento di un aiutante. La presenza del modulo

del prato fiorito porterebbe a supporre che il diretto modello per lo scomparto centrale

dell’opera sia stato il dipinto triestino, nel quale tuttavia, presumibilmente, il tema era

trattato con più ampio respiro62.

Testimonianza dell’ultima fase nota della produzione di Lorenzo e della linea

marcatamente gotica presa dalla sua pittura dagli inizi dell’ottavo decennio del secolo

è l’Annunciazione tra i santi Gregorio, Giovanni battista, Giacomo e Stefano (fig. 7).

L’opera, firmata e datata al 137163, si sviluppa su cinque tavole attualmente prive

della cornice e leggermente rifilate nella parte superiore, mentre in origine la

composizione era impostata con tutta probabilità all’interno di una struttura

architettonica scolpita ad archetti trilobati. Nello scomparto centrale è proposta

l’Annunciazione, organizzata come già il Maestro aveva fatto nel polittico Lion

ma con delle significative varianti: la struttura architettonica del trono, il libricino

sul grembo della Vergine e, soprattutto, il prato fiorito. Si tratta di un prato dalle

caratteristiche omogenee – tranne che nella tavola rappresentante santo Stefano, dove

sono state inserite delle pietre, riferimento al suo martirio per lapidazione – su tutto il

polittico, che crea quindi un’ambientazione unificata (fig. 8 e 9). Il giardino

rappresentato è caratterizzato da un fitto tappeto erboso nel quale trovano posto anche

specie floreali. Fiori e fogliame sono dipinti accostando macchie di diverse tonalità,

sia per la rappresentazione delle ombre sia per i dettagli dei singoli petali: si tratta

quindi di una resa pittorica “impressionista”, finalizzata a dare l’impressione di

una generica fioritura rigogliosa 64. Le singole specie floreali sono raggruppate in

piccoli cespugli omogenei accostati tra loro, e i colori principali delle corolle sono il

bianco, il rosso e l’azzurro. Si tratta di tonalità assai diffuse nella pittura su tavola

trecentesca in virtù della loro brillantezza, ma anche del significato simbolico

62 Considerando lo spazio a prato della Madonna dell’umiltà veronese, se è lecito supporre per ildipinto di Trieste un’analoga organizzazione spaziale lo è anche per lo spazio dedicato al giardino, chesarebbe stato quindi più ampio rispetto a quello del polittico leccese.63 MCCCLXXI Lâure(n)ci(us) pinsit. La scrittura è dipinta in lettere nere su fondo ocra all’interno delbasamento del trono della Vergine.64 Ad un’analisi ravvicinata del dipinto sembra distinguibile dell’edera; per gli altri fiori non è statoinvece possibile riconoscere le specie precise.

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loro attribuito: il bianco simboleggia la purezza virginale di Maria ma anche,

poiché percepito come assenza di colore, presagio di lutto; il rosso allude all’amore –

in questo caso nel senso sacro del termine – ma anche al sangue e alla futura

Passione di Cristo; l’azzurro infine, come il blu – anche se meno prezioso –, è

etafora di spiritualità e trascendenza.

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Conclusioni

La mentalità medievale, in relazione al ruolo di assoluta centralità che vi ricoprì la

religione cristiana, fu caratterizzata dalla tendenza a interpretare la realtà in chiave

simbolica, e da questa generale impostazione di pensiero non si sottrae il giardino.

Basandosi da una parte sulle testimonianze letterarie d’epoca classica e dall’altra sugli

esempi biblici dell’Eden e del Cantico dei Cantici – e spesso confondendo i termini –,

il mondo del Medioevo giunse a elaborare un immaginario paradisiaco dove fiori e

piante, sia singolarmente che collettivamente, ricoprirono un ruolo di primaria

importanza in virtù dei loro significati allegorici. In particolare l’esegesi in chiave

mistica del Cantico dei Cantici sviluppatasi soprattutto a partire da Bernardo di

Chiaravalle portò al consolidarsi dell’associazione tra rigogliosi giardini e le anime

virtuose. Ispirandosi alle descrizioni bibliche vennero anche strutturati gli spazi verdi

dei monasteri e, successivamente, delle abitazioni signorili: le caratteristiche peculiari

del giardino medievale – la fontana e il muro di cinta soprattutto – sono infatti quelle

presenti nel Cantico biblico.

Il XII secolo vide probabilmente un progressivo ampiamento dello spazio

dedicato alla coltura di piante e fiori, ma soprattutto fu interessato dal recupero

dell’aspetto ornamentale e piacevole del viridarium. Contestualmente si assistette

anche ad un rinato interesse scientifico nei confronti della natura, testimoniato

dagli erbari e dai tacuina santitatis illustrati non più basandosi esclusivamente sugli

esempi antichi ma rinnovando la tradizione attraverso l’osservazione dal vero. Il

generale contesto culturale della società cortese apprezzò particolarmente l’immagine

del giardino, al punto da renderla un proprio aspetto distintivo sia in ambito letterario

sia figurativo. In quest’ultimo ambito assunse la forma del topos iconografico del

prato fiorito gotico, legandosi ben presto alla rappresentazione della Vergine – alla

quale la tradizione devozionale associava già da tempo alcune tipologie floreali,

soprattutto la rosa – soprattutto nelle iconografie della Madonna dell’umiltà e

dell’Annunciazione.

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All’interno dello specifico contesto pittorico veneziano, l’introduzione del

giardino fiorito, allo stato attuale delle nostre conoscenze, è attribuibile a Lorenzo

Veneziano, pittore innovativo che contribuì al rinnovamento dello stile pittorico

lagunare grazie alla sua apertura nei confronti delle esperienze artistiche sia

dell’entroterra veneto sia d’Oltralpe. Il precoce utilizzo del topos del prato gotico in

più di una delle sue opere testimonia la sua curiosità nei confronti del mondo pittorico

al di fuori di Venezia e la sua ricettività nei confronti di mode che si stavano solo in

quei decenni diffondendo e affermando. Il modo in cui il Maestro affronta il tema

non è di tipo “scientifico”, che si basa sulla fedele rappresentazione delle specie

rappresentate, bensì essenzialmente decorativo, affidando in questo modo il

significato simbolico dell’ambientazione all’immagine d’insieme. Anche a

un’analisi ravvicinata65, infatti, non è possibile riconoscere delle specifiche specie

botaniche ben differenziate, e questa impressione sembra inoltre confermata dal fatto

che alcuni fiori si ripetono praticamente uguali ma con fogliame o struttura dello

stelo diversi. L’impressione che deriva quindi dall’analisi dell’opera è quella che il

pittore abbia desiderato, introducendo questo tipo di ambientazione, adeguarsi a

delle tendenze innovative della pittura del tempo per effetto d’insieme,

tralasciando però l’osservazione naturalistica che sarà poi tipica degli esempi del

tema cronologicamente successivi, prima francesi e poi di tutta Europa.

23

Immagini

Fig. 1: Cetriolo, da Liber agrega de Serapiom (noto come Erbario carrarese), Londra, British Library,

ms. Eg. 2020, c. 162v.

Fig. 2: Tacuinum sanitatis, Roma, Biblioteca Casanatense, ms. 459

Fig. 3 : Bartolomeo da Camogli, Madonna dell’umiltà, Galleria Regionale di Palermo

Fig. 4: Lorenzo Veneziano, Madonna dell’umiltà, Chiesa di Sant’Anastasia a Verona

Fig. 5: Lorenzo Veneziano, Madonna dell’umiltà, Chiesa di Santa Maria Maggiore a Trieste

Fig. 6: Lorenzo Veneziano, Polittico di San Giovanni Evangelista, Museo provinciale di Lecce

Fig. 7: Lorenzo Veneziano, Annunciazione tra i santi Gregorio, Giovanni battista, Giacomo e Stefano,Gallerie dell’Accademia di Venezia

Fig.8: Lorenzo Veneziano, Annunciazione tra i santi Gregorio, Giovanni battista, Giacomo e Stefano,Gallerie dell’Accademia di Venezia, particolare.

Fig. 9: Lorenzo Veneziano, Annunciazione tra i santi Gregorio, Giovanni battista, Giacomo e Stefano,Gallerie dell’Accademia di Venezia, particolare.

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