Tobit Aretalogo_Miscellanea Prato

11
ASSOCIAZIONE BIBLICA ITALIANA Supplementi alla RIVISTA BIBLICA 56 Milani-Zappella - II bozza.indd 1 15/04/13 11.06

Transcript of Tobit Aretalogo_Miscellanea Prato

ASSOCIAZIONE BIBLICA ITALIANA

Supplementi alla RIVISTA BIBLICA

56

Milani-Zappella - II bozza.indd 1 15/04/13 11.06

Rivista BiBlicaOrgano dell’Associazione Biblica Italiana (A.B.I.)

Pubblicazione trimestrale

Comitato direttivo:Luca Mazzinghi, Presidente dell’A.B.I. – Direttore: Angelo Passaro – Vice-direttore: Roberto Vignolo

Comitato di redazione:Flavio Dalla Vecchia, Ettore Franco, Giorgio Jossa, Maurizio Marcheselli, Rosario Pistone, Gian Luigi Prato, émile Puech, Horacio Simian-Yofre

Comitato scientifico:Jesús Asurmendi, Giuseppe Bellia, Eberhard Bons, John J. Collins, Ermenegildo Manicardi, Ida Oggiano, Romano Penna, Alexander Rofé, Joseph Sievers, Joseph Verheyden, Ida Zatelli

Responsabile di Supplementi alla Rivista Biblica: Antonio Pitta

Segretari di redazione: Roberto Mela, Giuseppina ZarboDirettore responsabile: Alfio Filippi

supplementi alla Rivista Biblica 22. Dalbesio A., Quello che abbiamo udito e veduto 23. Carbone S.P., La misericordia universale di Dio in Rom 11,30-32 24. Cilia L., La morte di Gesù e l’unità degli uomini (Gv 11,47-53; 12,32) 25. Cent’anni di esegesi. I. L’Antico Testamento, a cura di J.-L. Vesco 26. Cent’anni di esegesi. II. Il Nuovo Testamento, a cura di J. Murphy-O’Connor 27. D’Alario V., Il libro del Qohelet 28. Tarocchi S., Il Dio longanime 29. Grasso S., Gesù e i suoi fratelli 30. Deiana G., Il giorno dell’espiazione 31. Biguzzi G., I settenari nella struttura dell’Apocalisse 32. Sembrano L., La regalità di Dio 33. La Parola di Dio cresceva (At 12,24), a cura di R. Fabris 34. Il deposito della fede. Timoteo e Tito, a cura di G. De Virgilio 35. Romanello S., Una legge buona ma impotente 36. Initium Sapientiae, a cura di R. Fabris 37. Biguzzi G., Velo e silenzio. Paolo e la donna in 1Cor 11,2-16 e 14,33b-36 38. Mysterium Regni ministerium Verbi (Mc 4,11; At 6,4), a cura di E. Franco 39. Bulgarelli V., L’immagine della rugiada nel libro di Osea 40. Marino M., Custodire la Parola 41. Vironda M., Gesù nel Vangelo di Marco 42. Betori G., Affidati alla Parola 43. Cortese E., La preghiera del Re 44. Grech P., Il messaggio biblico e la sua interpretazione 45. Doglio C., Il primogenito dei morti 46. «Il vostro frutto rimanga» (Gv 16,16), a cura di A. Passoni Dell’Acqua 47. «Generati da una Parola di verità» (Gc 1,18), a cura di S. Grasso – E. Manicardi 48. Amici R., «Tutto ciò che Dio ha creato è buono» (1Tm 4,4) 49. Ciccarelli M., La sofferenza di Cristo nell’Epistola agli Ebrei 50. Nuovo Testamento: teologie in dialogo culturale, a cura di N. Ciola – G. Pulcinelli 51. De Virgilio G., La teologia della solidarietà in Paolo 52. Palazzo R., La figura di Pietro nella narrazione degli Atti degli apostoli 53. Marcato M., Qual è la volontà di Dio? (Rm 12,2b) 54. «La Parola di Dio non è incatenata» (2Tm 2,9), a cura di A. Pitta – G. Di Palma 55. Salvadori P., Tu non sei così! 56. «Ricercare la sapienza di tutti gli antichi» (Sir 39,1), a cura di M. Milani – M. Zappella

Milani-Zappella - II bozza.indd 2 15/04/13 11.06

«RiceRcaRela sapienza

di tutti gli antichi» (sir 39,1)

Miscellanea in onore di Gian Luigi Prato

a cura di

MARCELLO MILANI – MARCO ZAPPELLA

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

Milani-Zappella - II bozza.indd 3 15/04/13 11.06

Tobit l’aretalogoIl Libro di Tobit secondo l’onciale Sinaitico

come esempio di propaganda religiosa

Marco Zappella

Introduzione

Tra gli studiosi si è ormai diffusa la convinzione che il manoscritto Si-naitico trasmetta il testo più antico del Libro di Tobit (d’ora innanzi TbS).1 Nei loro commentari al Libro di Tobit, però, i diversi autori adottano, per lo più, TbS come forma testuale di riferimento per poi «migliorarla» tramite il confronto con le altre testimonianze testuali: il genere del commento si è così poco alla volta trasformato in un catalogo di varianti testuali e tematiche, slegate l’una dall’altra e slacciate da una qualsivoglia trama narrativa.2 Personalmente ritengo che, data la situazione testuale pluriforme tipica del Libro di Tobit, sia giunto il momento di affrontare ogni voce della tradizione testuale nella sua singolarità, così da co-glierne le peculiarità narrative e tematiche e, attraverso di esse, vagliare la bontà o meno di determinate lezioni.3

In questo contributo dedicato a Gian Luigi Prato, che nel 1989 mi ha di-schiuso il mondo delle aretalogie, vorrei mostrare la bontà di questo approccio trattando il caso di TbS 13,1.

Narrazione e propaganda religiosa in TbS 13,1

L’incipit dell’inno celebrativo finale (kai. ei=pen euvloghto,j…) offre un interessante caso di supposta corruttela o lacuna. Nel suo commentario,

1 L’ultimo a difendere, in maniera corposa, la maggiore antichità dell’onciale Vaticano è stato P. Deselaers, Das Buch Tobit. Studien zu seiner Entstehung, Komposition und Theologie (OBO 43), Universitätsverlag – Vandenhoeck & Ruprecht, Freiburg-Göttingen 1982.

2 Si veda in questo senso il pur ottimo commentario di C.A. moore, Tobit. A New Translation with Introduction and Commentary (Anchor Bible 40A), Yale University Press, New Haven-London 1996, che contiene una ricca messe di informazioni e annotazioni bibliografiche, quanto preziosi giudizi e analisi, ma tutto ciò a un Libro di Tobit inesistente. Lo stesso si dica del commentario di J. Vílchez línDez, Tobia e Giuditta (Commenti biblici), Borla, Roma 2004 (ed. sp. 2000).

3 è quanto tento di fare nel mio commentario (Tobit, San Paolo, Roma 2010) e nel mio contributo dal titolo «Presunte corruttele testuali e lacune narrative nel Libro di Tobit secondo il manoscritto greco Sinaitico», in Alla luce delle Scritture. Studi in onore di Giovanni Odasso, Paideia, Brescia 2013, 117-134.

Milani-Zappella.indd 151 27/05/13 10.09

152 Marco Zappella

Fitzmyer lo elenca tra le «omissioni di parole o frasi ridotte e in genere di scarsa importanza»;4 in fase di commento, integra la lezione di 4Q200 6,4-5 ([rwm]aw5 txwbXtb hlht bwtkw ybwj rbd !kb), suffragata dalla Vetus latina (tunc locutus est Thobis et scripsit orationem in laetitia et dixit) e dall’oncia-le B (kai. Twbi.t e;grayen proseuch.n eivj avgalli,asin kai. ei=pen), e così tra-duce: «Then Tobit spoke up and composed a song of praise and said». Moore si premura di motivare l’omissione dell’onciale S, riprendendone la ragione da Zimmermann:6 «l’occhio del copista è saltato dal primo kai, al secondo».7 La spiegazione pare così convincente che lo stesso Littman ritiene che «la Vorlage di S conteneva l’introduzione più lunga e S l’ha abbreviata».8

Accettando la versione lunga dell’introduzione all’inno celebrativo del c. 13, è inevitabile poi vedere in quest’ultimo l’esecuzione del comando angelico espresso in 12,20 (gra,yate pa,nta tau/ta ta. sumba,nta u`mi/n: «scrivete tutto quello che vi è capitato»)9 e abbinarlo all’(in apparenza) identico comando impartito a Mosè in Dt 31,19.22.10 In linea teorica ciò sarebbe ammissibile per i rami testuali che in Tb 13,1 recano il verbo «scrivere», non di certo per l’onciale S. Ma an-che sul piano contenutistico il confronto non regge, essendo le due situazioni del tutto diverse. Infatti, i due passi sono abbinati poiché tanto Mosè quanto Tobit, ormai prossimi a morire, ricevono l’ordine di mettere per iscritto un canto che serva da ammonimento al popolo. Ma, anzitutto, l’inno di Tobit funge non da monito bensì da invito alla speranza; in secondo luogo, la connessione tra inno e morte di Tobit si ritrova soltanto in alcuni codici della Vetus latina (Regio 3564, Monacense, Bobbiense, Bibbia di Roda: ut consumati sunt sermones confessio-nis Thobi, mortuus est in pace…), mentre negli onciali S e B i due elementi sono

4 J.A. Fitzmyer, Tobit (Commentaries on Early Jewish Literature), de Gruyter, Berlin 2003, 5.5 La lettura di Fitzmyer è contestata da M. Hallermayer, Text und Uberlieferung des Buches Tobit

(Deuterocanonical and Cognate Literature Studies 3), Berlin-New York 2008, 155, n. 873, che esclude che si possa leggere [rwm]aw.

6 F. zimmermann, The Book of Tobit. An English Translation with Introduction and Commentary (Jewish Apocryphal Literature), Harper & Bros. for Dropsie College, New York 1958, 112. Non può non essere sottovalutata l’importanza di questo commentario. Benché criticato per le sue proposte emendative «originali» (nel duplice senso del termine), è stato tuttavia il capostipite di una serie di commentari a testi eclettici del Libro di Tobit. La sua scelta è stata lucidamente giustificata da zimmermann, Tobit, 39-42, che offre la seguente motivazione: «Se dobbiamo scegliere tra B e S, la nostra scelta cadrebbe indubbiamente su S. B, però, offre tante lezioni corrette (cioè buone varianti), supplisce a carenze così gravi di S e contri-buisce significativamente a reintegrare il racconto, che sarebbe un grave errore trascurare il suo contributo […]. Inevitabilmente la nostra conclusione è che dobbiamo (must) usare le due versioni. Perciò un testo eclettico […] è un imperativo metodologico» (p. 41).

7 moore, Tobit, 277.8 r.J. littman, Tobit. The Book of Tobit in Codex Sinaiticus (Septuagint Commentary Series), Brill,

Leiden 2008, 149.9 Così, per esempio, tra gli antichi: il minuscolo Ferrara 187 (= GIII: kai. e;graye Tw.bit th.n proseuch.n

tau.thn eivj avgalli,asin kai. ei=pen); tra i contemporanei: P. rota scalabrini, «Il “Libro”: l’Angelo necessa-rio. Teologia della scrittura nel libro di Tobia», in Studia Patavina 50(2003), 865-884 («Tobi non si limita a proclamare il suo Cantico della misericordia divina [Tb 13,1], ma lo redige per iscritto»: p. 868). Forse per ovviare a una simile stranezza, la versione ebraica del Libro di Tobit (Costantinopoli 1516) inizia così il c. 13: «In quel tempo Tobia scrisse con gioia tutti questi fatti (~yrIb'D>h;), mentre Tobit disse: “Benedetto YHWH…”».

10 Cf., per esempio, Fitzmyer, Tobit, 305, e rota scalabrini, «Il “Libro”», 881-883.

Milani-Zappella.indd 152 27/05/13 10.09

Marco
Replace
Marco
Replace
Ü

Tobit l’aretalogo 153

decisamente staccati (anzi, nel primo la dicitura kai. sunetele,sqhsan oi` lo,goi th/j evxomologh,sewj Twbei,q di TbS 14,1 segnala con chiarezza la conclusione del «ca-pitolo» e ne preannuncia uno nuovo).

Riassumendo, anzitutto l’inno del c. 13 è non tanto una preghiera gioiosa (orationem in laetitia / proseuch.n eivj avgalli,asin) quanto un pubblico11 inno cele-brativo nei confronti di YHWH e del suo agire nella storia del popolo, del singolo e di Gerusalemme (ben definito perciò in TbS come oi` lo,goi th/j evxomologh,sewj). In secondo luogo, esso rappresenta non l’esecuzione della seconda parte del man-dato angelico («scrivete tutto quello che vi è capitato»), ma la conclusione innica di tutto il libro, dove confluiscono le altre composizioni oranti che costellano lo scritto. Infine, omettendo il verbo gra,fw, l’inno del c. 13 nell’onciale S è agganciato direttamente alla conclusione del c. 12. L’iniziale kai. ei=pen sembra introdurre il discorso diretto preparato da «benedicevano (huvlo,goun), cantavano inni (u[mnoun) a Dio, celebrandolo (evxwmologou/nto) per le sue meraviglie» (12,22). Dunque, la lezione breve di TbS 13,1 ha una sua plausibilità interna e una coeren-za narrativa con quanto la precede e la segue.

Tale coerenza narrativa è rafforzata da altre due lezioni proprie di TbS. L’ordine angelico di 12,20, inaugurato in 12,6, si compone di due momenti: celebrare YHWH e scrivere quanto accaduto. Il primo momento è esplicita-to da due verbi sinonimici, ma con valenze semantiche differenti: euvloge,w ed evxomologe,w.12 I due discendenti di Neftali si attengono alla prima parte del co-mando di Raffaele non soltanto con l’inno del c. 13. Infatti, il solo onciale S an-nota che, una volta risalito in cielo il messo angelico e ultimato il canto, Tobit, al pari di Tobia, trascorre tutta la vita a «benedire (huvlo,goun) Dio e celebrare (evxwmologou/nto) la grandezza di Dio» (TbS 12,22). Questo è uno di quei casi emblematici in cui l’attestazione di Qumran (4Q198 1,1: lxdml @swhw), oltre-tutto convergente con la Vetus latina (deum colere) e con l’onciale B (fobei/sqai), non va considerata migliore di quella attestata dall’onciale S, o quanto meno non utilizzabile per emendare quest’ultimo. La seconda lezione concerne proprio Tobia: in 14,15 soltanto nell’onciale S si annota che il figlio «benedisse (evulo,ghsen) il dio YHWH per sempre».13

11 La valenza pubblica è espressa dal prefisso evx-. Il sostantivo greco può sovrapporsi all’italiano «confessare», «confessione».

12 Ora, se il primo verbo – equivalente greco dell’ebraico $rb piel – ha un largo uso nell’opera (anche come augurio di saluto tra persone) e si indirizza anzitutto a YHWH, il secondo invece – equiva-lente dell’ebraico hdy hifil – si concentra negli ultimi tre capitoli e si indirizza a persone che stanno oltre la cerchia dei parenti o dei correligionari. Prima del c. 12 il verbo ricorre soltanto in 11,17, dove conferma tale valenza: secondo l’onciale S, la evxomolo,ghsij di Tobit si rivolge (evnanti,on) agli abitanti di Ninive (oi` en Nineuh,; più generica è la formulazione dell’onciale B: oi` qewrou/ntej auto,n, ovvero quelli che stanno presso la porta di Ninive). Costoro sono sorpresi «al vederlo camminare con passo spedito e senza bisogno di essere guidato» (più sobrio l’onciale B); Tobit, da parte sua, «confessava loro che Dio aveva avuto pietà di lui e gli aveva restituito la vista» (la seconda parte è omessa dall’onciale B). Già da ciò si nota come l’elemento aretalogico della guarigione sia più accentuato in TbS che in TbB.

13 Alcuni codici della Vetus latina testimoniano soltanto: benedixit dominum in omnibus quae fecit in filiis Niniue et Assur (Regio 3564, Monacense, Bobbiense, Bibbia di Roda).

Milani-Zappella.indd 153 27/05/13 10.09

154 Marco Zappella

Quindi, soltanto TbS illustra con coerenza l’adesione di Tobit (e del figlio) al mandato angelico, per quanto concerne la sua attuazione in termini di testimo-nianza orale prestata per tutta la vita.14 Resta da interrogarsi su quando o Tobit o Tobia abbiano dato il via alla stesura scritta di quanto occorso loro, apparizione angelica compresa.15 Il testo non lo indica esplicitamente, ma proprio tale macro-omissione narrativa non può non essere intenzionale: la menzione di uno scritto all’interno del Libro di Tobit avrebbe dato origine a un’opera altra rispetto all’o-pera stessa. Quindi, avendo scartato l’opzione di una dettatura (in)direttamente divina del testo,16 non rimaneva altro da fare che lasciare al lettore/ascoltatore l’identificazione dell’opera che aveva tra le mani o che stava ascoltando con la testimonianza scritta da Tobit su ordine del messo angelico.

Si ha quindi una stretta relazione tra celebrazione orale di YHWH da parte di Tobit (cc. 13–14) e celebrazione scritta da parte dell’autore (Libro di Tobit): la composizione scritta rimane come «memoriale» perenne di quanto accaduto; in qualità di rotolo (bi,bloj), diventa anche il supporto materiale tramite cui la evxomologh,sij orale di Tobit e di Tobia permane nel tempo (nel solo onciale S il libro si conclude con eivj tou.j aivw,naj tw/n aivw,nwn).

Rimane da chiedersi quale sia il contenuto della evxomologh,sij orale e scritta di Tobit e, dunque, quale ne sia la finalità. In precedenza avevo definito il Libro di Tobit «un efficace manifesto propagandistico della giusta condotta da parte del pio ebreo in un contesto di diaspora».17 Ma oltre alla giusta condotta (e per un lettore/ascoltatore pagano più che essa) il libro punta anche a propagandare la guarigione di un uomo cieco. Il duplice mandato angelico, avendo a oggetto «tut-to quello che vi è capitato», non può non concernere la vicenda di guarigione di Tobit. Ciò avvicina il Libro di Tobit secondo la versione dell’onciale S – nelle sue intenzionalità non certo nel suo esito stilistico – alle aretalogie e Tobit agli are-talogoi. I due termini, invero usati con parsimonia già nell’antichità, sono coniati nel IV secolo a.C. e testimoniano un radicale cambiamento nel rapporto dell’uo-mo greco con le proprie divinità. L’eroe omerico vive con i suoi dèi quasi come in simbiosi: essi stanno concretamente o al suo fianco o contro di lui. In seguito

14 Quindi, sul mero piano della coerenza narrativa interna, il testo dell’onciale S esclude la possibili-tà che i cc. 13–14 siano stati aggiunti successivamente. Questa possibilità non va esclusa a priori, benché la loro presenza sia attestata in tutti i testi frammentari di Qumran eccetto 4Q197. Questi ultimi infatti, come già sottolineato, non vanno identificati con l’Ur-Tobit. Ma, a mio modo di vedere, speculare su versioni derivanti da ipotesi rischia di lasciare troppo spazio alla fantasia.

15 Benché posteriore, va citato un papiro del II secolo d.C. scoperto a Ossirinco (P.Ox. 1381), ove si narra una storia di guarigione: si ritrova un libro che deve essere tradotto in greco; l’incaricato di ciò ne ritarda la traduzione e si ammala; mentre si sottopone con la madre al rito dell’incubazione, costei vede la febbre andarsene dal figlio e gli vuole rivelare quanto ha compiuto la divinità (th/n tou/ qeou/ mhnu,ein areth,n); ma il figlio risanato ha visto Asclepio in persona e come ha operato il miracolo. Cf. anche P.Ox. 1382.

16 Come avviene, per esempio, con la Torah canonica comunicata da YHWH (cf. Es 34,28) o con il cosiddetto Libro dei giubilei, dettato a Mosè dall’Angelo della Presenza (1,27: così secondo la versione ebraica di Qumran; secondo quella etiopica invece YHWH ordina all’angelo di scrivere per Mosè).

17 Cf. M. zaPPella, «L’immagine dell’elezione come strumento dell’esaltazione apologetica di Israele secondo quattro testi ebraici in lingua greca (Tobia, ben Sira, Giuditta, Ester)», in Ricerche Storico Bibliche 17(2005), 193-196.

Milani-Zappella.indd 154 27/05/13 10.09

Tobit l’aretalogo 155

le divinità, che Eschilo chiama ripetutamente polissou/coi qeoi,, favoriranno il bene del singolo tramite la polis e le sue disposizioni normative (no,moi e qesmoi,). In epoca ellenistica giunge a compimento questo processo di personalizzazione e interiorizzazione del rapporto con il divino. Ora si ricerca la manifestazione (evpifa,neia) della divinità e del suo potere (du,namij o avreth,) non più nel mito ma nel presente, non più nella storia della polis ma in quella dell’individuo. La divi-nità olimpica è divenuta la divinità della swthri,a.18 L’intervento risanatore, speri-mentato in modo particolare nei santuari di Asclepio inizialmente e – poi sempre più spesso – di Iside e Serapide,19 viene proclamato in inni o racconti composti per celebrare l’evento. Tali inni sono stati rinvenuti in notevoli quantità presso i templi di tutto il bacino del Mediterraneo.20 VAretalo,goi erano detti coloro che re-citavano, e quindi tramandavano, tali inni.21 Ciò facendo, puntavano a diffondere il culto della propria divinità: nel caso delle aretalogie abbiamo a che fare con un vero e proprio fenomeno di propaganda religiosa.

Un episodio molto conosciuto in età ellenistica è la miracolosa guari-gione di Demetrio Falereo per intervento di Serapide. Diogene Laerzio ricor-da infatti che il filosofo, perduta la vista ad Alessandria, la riacquistò grazie all’intervento di Serapide e che, dopo essere stato guarito, compose dei peana in onore della divinità che venivano cantati ancora ai tempi di Diogene (Vite e dottrine dei filosofi illustri 5,76). Del resto, numerosi erano i santuari in cui si invocavano queste e altre divinità per la guarigione (u`pe.r swthri,aj) di ma-lattie degli occhi, una delle più comuni patologie dell’epoca. Comune all’area mediterranea era poi la convinzione che la malattia andava attribuita a un in-

18 Sintetico, ma completo e tuttora valido, è W. aly, «Aretalogoi», in Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft. Neue Bearbeitung begonnen von Georg Wissowa, Supplemento vol. VI, Metzlersche Verlagsbuchhandlung, Stuttgart 1935, 13-15; ripreso in buona misura anche da M.P. nilsson, Geschichte der griechischen Religion. Die hellenistische und römische Zeit (Handbuch der Altertumswissenschaft 5), vol. II, Beck, München 21961, 228. Sugli aretalogoi cf. nilsson, Geschichte, 228-229.

19 Il culto a Iside-Medica si diffuse fino alla Mauritania, anche sotto la dinastia dei Severi (III secolo d.C.). In proposito cf. benseDDik nacéra, Esculape et Hygie en Afrique. Recherches sur les cultes guéris-seurs, Académie des inscriptions et belles-lettres, Paris 2010, I, 203-205.

20 La mole della bibliografia in proposito ha assunto proporzioni imbarazzanti. Mi limito a citare, a proposito di Asclepio, F. marcattili, «Un tempio di Esculapio a Pompei. Strutture, divinità e culti del cosiddetto tempio di Giove Meilichio», in F. marcattili – l. romizzi (edd.), Contributi di archeologia vesuviana, L’Erma di Bretschneider, Roma 2006, II, 11-76. Sul culto a Iside cf. L. bricault, Atlas de la diffusion des cultes isiaques (IVe s. av. J.-C. – IVe s. apr. J.-C.) (Mémoires de l’Académie des inscriptions et belles-lettres 23), Boccard, Paris 2001; L. bricault – m.J. Versluys – P.G.P. meyboom (edd.), Nile into Tiber. Egypt in the Roman World. Proceedings of the IIIrd International Conference of Isis Studies, Leiden, May 11-14 2005, Brill, Leiden 2007 (di cui segnalo in particolare i seguenti contributi: M. malaise, «La diffusion des cultes isiaques. Un problème de terminologie et de critique», 19-39; G. sFameni GasParro, «The Hellenistic face of Isis: Cosmic and saviour goddess», 40-72; N. belayche, «Les dévotions à Isis et Sérapis dans la Judée-Palestine romaine», 448-469); J. alVar, Romanising Oriental Gods. Myth, Salvation and Ethics in the Cults of Cybele, Isis and Mithras, Brill, Leiden 2008, 177-192 (etica isiaca); 318-336 (preghiera, guarigione, incubazione).

21 Per un insieme di ragioni, che qui non conviene enucleare, tali personaggi apparvero a molti ro-mani del I secolo d.C. come dei fanfaroni e dei bugiardi: in una sua satira Giovenale paragona Ulisse, che alla mensa di Alcinoo ripercorre le proprie traversie provocando o l’indignazione (bilem) o il riso (risum), a un mendax aretalogus (15,16); Svetonio narra che Augusto, per coinvolgere gli invitati più reticenti, faceva venire «musici, istrioni, ballerini del circo e, soprattutto, aretalogi» (Vita di Augusto 74,5).

Milani-Zappella.indd 155 27/05/13 10.09

156 Marco Zappella

tervento divino avente prima una funzione punitiva in seguito all’infrazione di regole etiche o rituali da parte dell’individuo, poi, una funzione terapeutica e, quindi, riabilitativa.22

Nel caso di Iside, la posta in gioco era molto ampia, come ci attesta lo stori-co del I secolo a.C. Diogene Siculo. Egli narra che secondo gli egiziani

Iside ha scoperto molti farmaci che danno la salute, e aveva grande esperienza della scien-za medica […]. A dimostrazione di ciò, essi dichiarano di addurre non racconti favolosi (muqologi,aj), come i greci, ma fatti palesi (pra,xeij evnargei/j), perché quasi tutto il mondo abitato rende testimonianza (marturei/n) in loro favore, gareggiando nel rendere onore alla dea per la sua epifania nel corso delle cure […] molti, privati della speranza dai medici a causa della difficile natura della loro malattia, da lei sono salvati (sw,zesqai), mentre tanti, completamente privi dell’uso degli occhi o di qualche altra parte del corpo, qualora facciano ricorso a questa dea, si ristabiliscono nelle condizioni precedenti. [Iside, acclamata come sw,teira dai greci e come salutaris dai romani,] benefica il ge-nere umano con i suoi responsi oracolari e le sue cure (qerapeiw/n) (Biblioteca storica 1,25,2-7).

In questo contesto culturale e religioso si percepisce immediatamente la dif-ferenza di modalità espressive rispetto alla guarigione tra i testi classici dell’AT ebraico e il Libro di Tobit. Mentre, per esempio, nel Salterio la persona risanata promette di offrire un sacrificio nel tempio radunando il gruppo dei familiari, nel Libro di Tobit, invece, il ringraziamento è espresso lodando pubblicamente il dio guaritore, tra l’altro componendo uno scritto celebrativo. L’autore dell’opera as-sume le vesti di un aretalogo, che lascia alle generazioni future una storia esem-plare (cf. 14,15).23 L’avallo divino rafforza la verosimiglianza di tale storia agli occhi dei lettori/ascoltatori non soltanto di allora, ma anche del nostro tempo. Va evidenziato che ciò concerne non soltanto l’opera originale in ebraico o in ara-maico, ma, di rimbalzo, anche la sua traduzione in greco.

Conclusione

Il Libro di Tobit, data la sua peculiare situazione testuale, richiede un approccio che non si affidi esclusivamente alla critica (inter)testuale: ciò può valere per il cosiddetto GI, ma non per l’onciale S, che è nel contempo testo e

22 Mi limito alla più recente e qualificata bibliografia in italiano: G. sFameni GasParro, «Iside salutaris: aspetti medicali e oracolari del culto isiaco tra radici egiziane e metamorfosi ellenica», in eaD., Oracoli profeti sibille. Rivelazione e salvezza nel mondo antico, LAS, Roma 2002, 327-342; eaD., «Taumaturgia e culti terapeutici nel mondo tardo-antico», in e. Dal coVolo – G. sFameni GasParro (edd.), Cristo e Asclepio: culti terapeutici e taumaturgici nel mondo mediterraneo antico fra cristiani e paga-ni. Atti del Convegno internazionale, Accademia di studi mediterranei, Agrigento, 20-21 novembre 2006, LAS, Roma 2008, 13-53.

23 Sorge spontanea una connessione con l’incipit dell’opera, così come attestato dagli onciali S e B (bi,bloj lo,gwn), da alcuni codici della Vetus latina (liber sermonum: Regio 3564, Bobbiense, Bibbia di Roda, Sangermanense 15), dalla versione siriaca (ktb’ dml’) e da un manoscritto ebraico del XIII secolo (ybwj yrbd: BM Add. 11639). Ovviamente si tratta soltanto di una suggestione tutta da verificare.

Milani-Zappella.indd 156 27/05/13 10.09

Tobit l’aretalogo 157

libro.24 Esclude anche un tipo di critica letteraria che opera raffrontando tra-duzioni del medesimo libro (come avviene invece fecondamente nel caso del Libro di Ester)25 o motivi letterari rintracciabili in opere simili alla nostra.26 è giunto il momento di concentrarsi sui singoli testi vettori di tradizioni (e non solo di traduzioni), facendone emergere varianti e peculiarità narrative, per poi ricomporre un quadro generale in grado di integrare e rispettare differenze e somiglianze.27

Accostandosi con questo atteggiamento al Libro di Tobit secondo l’onciale S, emerge che si tratta di un racconto costruito attorno a una trama di rivelazione,28 che ne racchiude due tra loro intrecciate. Rappresentando la vicenda di un cieco risanato e quella di un giovane felicemente realizzato (con moglie, figli e vita agiata), il racconto si manifesta come eloquente esempio di propaganda religiosa. C’è da chiedersi se il Libro di Tobit secondo l’onciale S non vada letto, tra l’altro, proprio su questo sfondo: i giudei, della diaspora o meno, venivano a conoscen-za o a diretto contatto con numerosi miracoli di guarigione, che costituivano una testimonianza della validità degli altri dèi e una forte tentazione di abbandonare il proprio.29 Con il Libro di Tobit l’autore entra nell’arena del dialogo inter-reli-

24 Non intendo minimamente difendere alcun acritico feticismo o fideismo testuale. Studi recenti mostrano come il singolo codice veicoli non solo un testo ma anche una comprensione dello stesso tramite sia la scelta di determinate lezioni sia la divisione del testo secondo unità di senso. In questa ottica si ve-dano J.W. olley, Ezekiel. A Commentary based on Iezekiēl in Codex Vaticanus (Septuagint Commentary Series), Brill, Leiden 2009; e gli studi, apparsi nella serie Pericope varata da M.C.A. Korpel ed edita dalla casa editrice Brill, che si ispirano al delimitation criticism.

25 Cf. J.-C. haeleWyck, «The Relevance of the Old Latin Version for the Septuagint, with Special Emphasis on the Book of Esther», in Journal of Theological Studies 57(2006), 439-473 e, in sintesi, M. zaPPella, «Narrativa e storiografia giudaica in epoca ellenistica», in P. merlo (ed.), L’Antico Testamento. Introduzione storico-letteraria, Carocci, Roma 2008, 262-266.

26 L’avere voluto stendere il Libro di Tobit sul letto di Procuste della novella o della fiaba ha con-tribuito soltanto a chiarire che l’opera si può ricondurre ma non ridurre ad esse. I paralleli con narrazioni simili, compresa la Storia di Achikar, servono soltanto per alcuni motivi e risultano comunque troppo va-ghi. Si veda, per esempio, W. soll, «Tobit and Folklore Studies: With Emphasis on Propp’s Morphology», in D.J. lull (ed.), SBL 1988 Seminar Papers, Scholars, Atlanta, GA 1988, 39-53. Finora è mancato uno studio sistematico di stampo narratologico. L’assai citata e sfruttata tesi di Irene Nowell (The Book of Tobit. Narrative Technique and Theology, difesa a Washington presso la Catholic University of America nel 1983) è rimasta inedita.

27 Andrebbe rivalutato e approfondito lo studio di D.C. simPson, «The Chief Recensions of the Book of Tobit», in Journal of Theological Studies 14(1912-1913), 516-530.

28 I commentatori non evidenziano a sufficienza l’uso del verbo u`podei,knumi nel Libro di Tobit: 1,19; 4,2.20; 5,7.9.11; 7,10; 8,14; 9,5; 10,7.8; 12,6.11 (2x); 13,4 (in corsivo i passi del solo onciale S); 11,15 (evpidei,knumi); 13,8 (dei,knumi solo nell’onciale B). Particolarmente significative sono le occorrenze dei cc. 12 e 13.

29 In TbS 12,14, il messo angelico rivela a Tobit di essere stato mandato a lui da YHWH peira,sai se. Che il passo sia oscuro lo dimostra il fatto che quasi ogni manoscritto ha trasmesso un proprio testo (impressionante la diversità tra i manoscritti della Vetus latina). Concentrandoci sulla lezione dell’onciale S, si nota che in bocca al messo angelico viene messo lo stesso verbo utilizzato diverse volte nel libro del Deuteronomio (tre volte la forma semplice: 4,34; 13,4; 33,8; quattro vol-te la forma composta con evk-: 6,16[2x]; 8,2.16) e sempre corrispondente all’ebraico hsn. Ora, in Dt 13,2-4 si prevede questa situazione: «Se tra i tuoi appare un profeta o un sognatore (evnupniazo,menoj) che, annunciando un segno (shmei/on) o un prodigio (te,raj), ti propone: “Seguiamo dèi stranieri (qeoi/j e`te,roij) e rendiamo ad essi culto”; anche se il segno o il prodigio si compie, non dare retta a quel profeta o sognatore. Si tratta infatti di una prova del Signore (o[ti peira,zei ku,rioj u`ma/j), vostro Dio, per vedere se amate il Signore, vostro Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima». Mi chiedo se questi

Milani-Zappella.indd 157 27/05/13 10.09

gioso dell’epoca (seconda metà del III secolo a.C.), ne accetta la sfida e formula una risposta-proposta in sintonia con la più ortodossa tradizione d’Israele ma al tempo stesso aperta alla nuova temperie.

segni prodigiosi e questa figura di sognatore o interprete di sogni non possano avere un collegamento con i riti dell’incubazione, occasione di prodigiose guarigioni.

Milani-Zappella.indd 158 27/05/13 10.09