Una voce fuori campo: il disegno di Lucrezia, il paragone fra le arti, e gli "amici veneziani" di...

14
voce narrante Una voce fuori campo: il disegno di Lucrezia, il paragone fra le arti, e gli “amici veneziani” di Lorenzo Lotto. Elena Filippi 1. Lorenzo Lotto, Ritratto di donna con disegno di Lucrezia, ca. 1531-1532, London, National Gallery. 1. Il dipinto noto come Ritratto di donna come Lucrezia si trova presso la National Gallery di Londra, misura cm 95 x 110. La scheda più aggiornata, corredata delle informazioni sullo stato di conservazione, è di Jill Dunkerton, Nicholas Penny, Ashok Roy, Two paintings by Lorenzo Lotto in the National Gallery, in “National Gallery technical Bulletin”, 19, 1998, pp. 52-63. È stato esposto da ultimo in Italia in occasione di una mostra organizzata ad Ancona nel 2005 (Pinacoteca Civica Francesco Podesti, 12.04-8.06). Vorrei ringraziare gli organizzatori delle giornate marchigiane per il 450° anniversario lottesco – e specialmente Loretta Mozzoni e Antonio Perticarini – per aver reso particolarmente piacevole il confronto scien- tifico fra gli studiosi intervenuti; non di meno, la Alexander von Humboldt-Foundation, di cui sono attualmente Fellow, che mi ha messo ha disposizione strutture e mezzi con cui svolgere l’indagine. Nella fase conclusiva della rielaborazione del testo per gli Atti mi sono proficuamente confrontata con Andrew John Martin, che pure in altra sede si è interessato di far emergere “il problema del paragone nell’arte e nella teoria artistica del Rinascimento italiano” e soprattutto di area veneta.

Transcript of Una voce fuori campo: il disegno di Lucrezia, il paragone fra le arti, e gli "amici veneziani" di...

voce narranteUna voce fuori campo: il disegno di Lucrezia, il paragone fra le arti,e gli “amici veneziani” di Lorenzo Lotto.

Elena Filippi

1. Lorenzo Lotto, Ritratto di donna con disegno di Lucrezia, ca. 1531-1532, London, National Gallery.

1. Il dipinto noto come Ritratto di donna come Lucrezia si trova presso la National Gallery di Londra, misura cm 95 x 110.

La scheda più aggiornata, corredata delle informazioni sullo stato di conservazione, è di Jill Dunkerton, Nicholas Penny,

Ashok Roy, Two paintings by Lorenzo Lotto in the National Gallery, in “National Gallery technical Bulletin”, 19, 1998, pp.

52-63. È stato esposto da ultimo in Italia in occasione di una mostra organizzata ad Ancona nel 2005 (Pinacoteca Civica

Francesco Podesti, 12.04-8.06). Vorrei ringraziare gli organizzatori delle giornate marchigiane per il 450° anniversario

lottesco – e specialmente Loretta Mozzoni e Antonio Perticarini – per aver reso particolarmente piacevole il confronto scien-

tifico fra gli studiosi intervenuti; non di meno, la Alexander von Humboldt-Foundation, di cui sono attualmente Fellow, che

mi ha messo ha disposizione strutture e mezzi con cui svolgere l’indagine. Nella fase conclusiva della rielaborazione del

testo per gli Atti mi sono proficuamente confrontata con Andrew John Martin, che pure in altra sede si è interessato di far

emergere “il problema del paragone nell’arte e nella teoria artistica del Rinascimento italiano” e soprattutto di area veneta.

5

Cfr. il suo Savoldos sogennantes ‘Bildnis des Gaston de Foix’, Sigmaringen: Jan Thoerbeke Verlag, 1995. Quanto al registro

espositivo, ho ritenuto di mantenere il tono sostanzialmente colloquiale della mia relazione jesina.

2. ‘Voce narrante’: sessione presieduta da Augusto Gentili.

3. Cfr. CAROLI 1980, p. 214.

4. MARIANI CANOVA 1975, 1975, p. 114, n. 208; GOFFEN 1999, p. 121 e 125.

5. PIGNATTI 1986, p. 85.

6. BERENSON 1955, pp. 132sg., tavv. 241 e 242. Sulla stesa linea BANTI 1953, n. 163, sebbene la Studiosa collochi la tela

londinese nelle opere da ascriversi dubitativamente al Maestro.

7. La leggendaria storia di Lucrezia e della violenza da lei subita è tramandata da Tito Livio, Ad urbe condita, alla fine del

Libro I, capp. 58-60.

«E piacemi sia nella storia chi ammonisca e in-segni a noi quello che vi si facci, o chiami con la mano a vedere»(L.B. Alberti, De Pictura, II, 42)

«Nell’anima razionale le immagini sono presen-ti al posto delle sensazioni, e quando essa afferma o nega il bene o il male, lo evita o lo persegue. Perciò l’anima non pensa mai senza un’immagine».(Aristotele, De anima, III, 431a 14-17)

Nella sua prolusione ai lavori del convegno aso­lano del 1980 Pietro Zampetti si chie deva: “A che punto siamo con Lorenzo Lotto?” Vorrei rifarmi a quell’interrogativo, non più nel suo valore ge­nerale – ché, fortunatamente, da allora gli studi sul Maestro so no progrediti in misura notevolis­sima – ma quell’urgente richiesta rimane va li da, direi ine ludibile, per il Ritratto muliebre oggetto di questo mio contributo [fig. 1]1. Vengo an zi tutto a chiarire il titolo della mia relazione nei suoi diversi elementi. “Una voce fuori campo” non è, come potrebbe a tutta prima sembrare, un in-cipit capzi o so, dettato dalla volontà di aderenza alla sezione tematica odierna2. Esso trova la sua ra gion d’essere nei quattro livelli di lettura che a mio giudizio sono individuabili in questo testo figurativo. Aggiungo che “il disegno di Lucrezia” sta a significare che mi discosto, per i motivi che esporrò, da didascalie a questo dipinto che suonano, ad esempio: “Gen til donna in figura di Lucrezia”3, ovvero “Ritratto di gentildonna come Lucrezia”, o anche “Ritratto di don na nelle vesti di Lucrezia”4, perfino “Ritratto di Lucrezia (Va­lier)”5. Mi pare di do ver invece ritornare ad ac­cre di tare quanto annotava Berenson a fine Otto­cen to: a propo sito di questo dipinto si era in fatti espresso semplicemente così: “Por trait of a Lady”6. Punto e basta. Del resto, nel noto inven­tario del 1797 l’opera figurava ascritta a un buon copista di Giorgione, e descritta come “Donna con ri trat to di Lucre zia in mano”. Se noi privassi­mo del suo foglio la signora che addoc chia fuo­ri dal quadro verso lo spettatore, nessuno – in

alcun modo – giudicherebbe di lei con preciso riferi mento all’eroina ro ma na. E non è da dover sospettare che Be ren son non conoscesse la cita­zione da Tito Livio7. Basti pren dere in conside­ra zio ne qualche esempio coevo, rico no scendo frattanto che il tipo della “Lucrezia” incontra all’epoca strepitoso favore oltral pe, significati va­mente nei Paesi Bassi (nelle bot teghe di Jan Gos­saert, Quentin Metsijs, Pieter Coecke van Aelst) e anche in Germa nia (so prat tutto presso Lucas Cranach e Hans Bal dung Grien), nella congiuntu­ra che vede coagire l’interesse per l’an tico, l’in­

2. Joos van Cleve, Lucrezia, ca. 1520, Zürich, Kunsthaus, Ruzicka Stiftung.

6 Voce Narrante

3. Lucas Cranach, 1533, Berlin, Gemäldegalerie.

4. Marcantonio Raimondi (da Raffaello), Lucrezia, ca. 1511, incisione.

flusso della collabora zione Raffaello­Raimondi e la diffusione grafica, nonché l’e mer genza di una certa mor bo sa sensualità, fino ad allora rimasta a queste latitudini, per dir così, sopita8. [figg. 2­4]. Dietrich Schubert ha dedicato a questa fio­ritura tipo lo gica nella produzione dei Paesi Bas­si un ampio sag gio9, ben documentando come il richiamo alla fortitudo dell’ero i na romana, unita men te al decorum sociale e al motivo del memento mori, funzio nas se perfettamente con

l’evo lu zione di quel contesto.Ma procediamo con le osservazioni preliminari sull’opera. A mia scienza, è l’unico caso di una (rappresentazione di) “Lucrezia” il cui strumento di virtù o di martirio è di slo cato e non si scor­ge nemmeno più di tanto. V’è bisogno di gesti esplicativi, che ac com pagnino il fruitore nella in­dividuazione del soggetto/strumento. Per questa via, la mia attenzione è quindi caduta insieme sulla funzione peculiare del cartellino, rispetto

7

8. Meinrad Maria Grewenig, Der Akt in der deutschen Renaissance. Die Einheit von Nacktheit und Leib in der bildenden

Kunst, Freren: Luca Verlag, 1987, pp. 105-108, e note e ill. relative. Basti qui tener presente l’ottima scheda di Andrew

John Martin, che articola le diverse sfumature e sollecitazioni cui questo tema va incontro oltralpe, nel catalogo Il Rinasci-

mento a Venezia, cit., n. 82, p. 366.

9. SCHUBERT 1971, pp. 99-110, oltre a un ricco dossier di immagini (tavv. separate LI-LIX).

10. AIKEMA 2001, pp. 427-436.

11. Per la tavola düreriana della Alte Pinakothek, München cfr. l’esaustiva scheda in Albrecht Dürer. Die Gemälde der Alten

Pinakothek, catalogo della mostra a cura di Gisela Goldberg, Bruno Heimberg, Martin Schawe, Bayerische Staatsgemälde-

sammlungen München, Heidelberg: Edition Braus, 1998, Nr. 12, pp. 440-461. Caratteristiche di questa Lucretia: sguardo

decisamente rivolto all’in su, possanza del gesto, energia volitiva, studio anatomico e delle proporzioni, nonché chiara

allusione al luogo della violenza, il letto sullo sfondo: questo nudo non suscita in alcun modo appettiti sessuali, laddove

intende rivolgere al pubblico un convincimento morale inequivoco! È soprattutto in ambito grafico, tuttavia, che nella

produzione tedesca della prima metà del ’500 ritroviamo disegni e incisioni di questo soggetto, specialmente nell’opera

di Hans Baldung Grien e di Sebald Beham.

12. PUPPI 1981, pp. 393-398.

13. AURENHAMMER 2000, pp. 137-177, recentemente ripreso da HELKE 2004, pp. 76-119.

14. PEDRETTI 1994, pp. 96-109;PADOAN 1992, pp. 97-110; Martin, Savoldos, cit., pp. 40-48 e 73sg; Cranston, pp. 133-

138. Più strettamente connesso alla letteratura artistica e agli aspetti che da questa tema discendono l’utile sintesi di C.

Hessler in HESSLER 2002, pp. 83-97 (ma vd. in specie le osservazioni dedicate alla pittura veneta).

15. Cit. da GOFFEN 2001, pp. 95-135.

16. Cfr. GENTILI 1989, pp. 155-182; e COLI 1989, pp. 183-204.

17. GENTILI1998, pp. 37-41.

18. LEEB 1998a, pp. 40-51.

19. Cfr. POMMIER 2002, in particolare il cap. dedicato ad Alberti.

alle tabulae e alla iscrizioni in capitali romane dei sopracitati esempi oltremontani, e sulla fun­zione del foglio con il veloce schizzo, rispetto alle altre proposte di “Lucrezia” – a figura intera – che richiamano indubitabilmente la statuaria: per restare nel mio am bi to d’interesse e nel gioco dei confronti con il Nord, di cui ha già parlato Bernard Ai ke ma in altra occasione10, chiamo in causa il dipinto düreriano del 1508 e un suo stu­dio prepa ratorio [figg. 5­6]11.Il riferimento alla statuaria mi ha indotto a se­rie di riflessioni, tanto da spin ger mi al l’i potesi – da testare – che uno dei motivi fondamentali tematizzati in que st’o pe ra ri gu ar di esplicitamen­te il paragone fra le arti, come del resto è già stato segnalato per altri ri tratti lotteschi, quali l’Andrea Odoni (1527) [fig. 7], il c.d. Ritratto di architetto di Ber lino, pro ba bil men te Sebastiano Serlio (ca.1530­1535) [fig. 8]12, oltre al più spet ta­colare Tri pli ce ri trat to di ore fice (1530ca., Vienna) [fig. 9]; e non soltanto ritratti, come ci ha fatto osser va re Au r en ham mer, e alludo al “Trionpho del Salvator Yesu” di Vienna (1543­44)13. A di spet­to di que sti ultimi, però, il nostro ritratto vanta una formula senza dubbio più retorica e an che, se vedo bene, una maggiore complessità. In ogni caso, la fre quen tazione da parte di Lotto di quelli che nel titolo ho additato come “gli amici vene­ziani”, ci porta a tenere in de bito conto un fat­tore imprescindibile, che del resto non riguarda soltanto questo Maestro, ma più in generale il clima culturale in Laguna sullo snodo del quarto decen nio del XVI sec., vale a dire, per l’appunto,

il dibattito – piuttosto acceso – sul primato di un’arte fra le sue consorelle e fra le arti figurati­ve, la musica, la lette ra tu ra, come di scen de dal ben noto passo di Leonardo, che aveva varia­mente filiato nei ter ri tori della Sere nissima14. Ma su questo intendo ritornare a breve.La differenza sostanziale fra questo e gli altri ritratti lotteschi testé citati può essere efficace­mente illustrata recuperando un’affermazione di Rona Goffen, secondo cui “la Lucrezia di Lotto è il ritratto di una persona in azione, cioè la narra­zione di una storia” “E quel che narra” – secondo Goffen, ma si dovrà indagare meglio – “è la sua promessa di castità”. Su una tale conclusione sarei più cauta15. Da questo punto di vista, va osser va to in ogni caso che più di uno studioso, nel mentre ha sondato l’originalità dei “ritratti cittadini” di Lot to, per dirla con Gentili16, ne ha colto pure la diversa connotazione originaria: non tanto il perseguimento della “fama” presso i posteri, di una “memoria”, dunque, in grado di garantire eternità all’effigiato, ma piut tosto una carica attualizzante; si tratta, come è stato affermato, di “storie, meta fore”17. Condivido, sot­to questo ri guardo, quanto ha scritto Susanne Leeb sulla peculiare tipo logia ritrattistica messa in campo dal Mae stro: “Mitteilung statt Memo­ria”18, ovvero: trasmissione di una notizia, comu­nicazione di una condizione, di un processo, di una situazione contingente, non già funzione memoriale19. In filigrana si può leggere il peso dell’ermeneutica di Gott fried Boehm e del suo importante lavoro dal titolo Imma gine e indi-

8 Voce Narrante

20. BOEHM 1985. L’Autore sottolinea un aspetto peculiare della ritrattistica lottesca, e cioè: nel mentre è lasciato agli elementi

emblematici della scena il compito di dialogare col passato e con la sfera morale, vi sono componenti che rendono incre-

dibilmente moderni e palpitanti le sue opere (oltre che – come ci ha additato Gentili – sociologicamente intriganti: es. di

ritratto cittadino di nuova specie), pp. 167-169 e 175sg.

21. JAFFE’ 1971, pp. 696-702.

22. Indubbiamente deve aver fatto testo quanto riportato nel saggio di M. Lucco in LUCCO 1996, p. 138. Così si legge quindi

in HUMFREY 1997, p. 110; BONNET 1996 p. 136; Carlo Pirovano, “Ritratto di gentildonna nelle vesti di Lucrezia”, in

Lotto, Electa, Milano 2002, p. 139; Sergio Bertelli scrive che “Lorenzo Lotto celebra castamente Lucrezia Valier, sposa

di Benedetto Pesaro nel 1533, ponendole programmaticamente in mano una riproduzione di Lucrezia col motto…”, in

BERTELLI 2002, p. 91.

vi duo20, anche grazie al quale un artista come Lotto ha po tuto guadagnare in considerazione nel corso degli anni No van ta nel novero della co munità scientifica, e non solo degli storici dell’arte di ascen den za filologica.Qui s’adombra però uno dei problemi interpre­tativi su cui s’arrovella la critica da tempo: chi sarà mai la dama immortalata da Lotto? [fig. 1]. Il che fa poi tutt’uno rispetto alla scoperta delle ragioni della committenza. Giova ripercorrere brevemente le posizioni principali, l’ultima delle quali proposta da Mauro Lucco.A partire dalla proposta di Jaffé (1971), sulla scor­ta della pro venienza del dipinto (collezione Pe­saro)21, la dama è stata riconosciuta come la spo­sa di Be ne detto di Girola mo Pesaro, convolato a nozze il 19 gennaio 1533. Un sicuro in flus so tale ipotesi ha sen za dubbio sortito, se è vero che la bibliografia degli anni No vanta ha sposato qua si in toto questa tesi22.Non sono peraltro mancate in quel lasso di tem­po suggestioni del tutto diverse, perfino antite­tiche. È il caso della proposta di Hans Ost, che muovendo dall’iscri zione di una copia antica, già in collezione Liechtenstein a Vienna, suppo­se per con tro che nella tela sia immortalata una cortigiana e che, pertanto, la chiave di lettura sia tutta giocata sul registro ironico, anzi cinico23. Poco tempo fa una dissertazione sul tema del­la Lucrezia ha tentato di ridare vigore a questa posizione24.Non una cortigiana di rango, ma piuttosto, a mo­tivo di un vestire ritenuto borghese e provincia­le, dovrebbe secondo Jennifer Fletcher trattarsi di una signora che, contra ria mente a Lucrezia Valier, non poteva vantare nobili natali o paren­tele25. Togliamo pure di mezzo il riferimento, da alcuno pure tentato, di assimilare questo dipinto alla ci­tazione – di mano di Lorenzo – nel Libro di spese diverse, alla data 1540, laddove se di una “Lu­crezia” si tratta, è dichiarato esplicitamente che si tratta di una “mezza figura”, e converrà pure tenerne conto, dal momento che a scriverne è lo stesso Maestro. Perciò, non fa al caso nostro.In un recente intervento, Lucco pone forti per­plessità circa l’anzidetta proposta rela tiva a

Lucrezia Valier26, mostrando di saper tornare sui propri convincimenti di un tempo e garan­tendo con ciò la plausibilità di ulteriori indagini sull’argomento. Muo ve dall’affermazione che “non ha una risposta univoca, precisa, al proble­ma di que sto ritratto”, sospettando tuttavia che non si tratti propriamente di un ritratto nu zia le. Per restare, per ora, alla replica a Jaffé, vorrei in breve riassumere quanto espo sto in quella sede da Lucco: a) è un poco irragionevole – e se ne conviene – che il mes saggio dell’ostentato modello di castità promosso dal disegno possa dirsi conve niente a una ipotetica commissione di un quadro sponsale, posto che una certa gioia dei sensi è ingrediente beneaugurante del me­nage matrimoniale27; b) anche dal punto di vista dell’abbigliamento dell’effigiata, esso risulta non conforme – se è vero quanto indagato con acribia da Molmenti – ai colori prediletti dalle gentildon­ne no velle spose, e il richiamo è al rosso della veste di Faustina, moglie di Marsilio Cassotti, ritratta da Lotto nel 1523; c) poiché la dama por­ta l’anello al dito, va da sé, è già maritata. E ci avviciniamo a stringere l’argomentazione di Luc­co. Se l’effigiata risulta essere già maritata, a suo dire men che meno potrà essere Lu cre zia Valier, in quanto troppo esiguo sarebbe stato il lasso di tempo fra la data del le nozze Valier­Pesaro (lo ricordiamo: 19 gennaio 1533) e la nota riguardan­te l’im pe gno di Lotto per l’altare jesino di Santa Lucia per la chiesa di San Floriano (28 gen naio 1533), che coglie il Maestro prossimo alla parten­za. Lucco pro pone quindi di pensare a un’al tra Lucrezia, la moglie di Marcantonio Venier, si gno­re di Sangui netto, la quale – per giunta – fu bru­talmente uccisa nella sua stanza da due soldati ufficialmente al soldo del consorte, la sera del 9 novembre del 1531, forse per ven detta o sempli­ce mente per atto di ruberia. V’è un testimone eccellente, Marin Sanu do, che descrive quanto grande fu l’indignato sconcerto in città. Il bot ti no non fu niente male: quattro catene d’oro, tre gio­ielli e altro ancora. Secondo Luc co, sono esatta­mente quattro i fili dorati che pendono dalla col­lana dell’effigiata (ma io ne continuo a contare cinque!); tredici furono le ferite inferte alla vitti­ma, la mag gior parte di esse mortali, e quantun­

9

5. Albrecht Dürer, Suicidio di Lucrezia, 1518, München, Alte Pinakothek

6. Albrecht Dürer, disegno preparatorio per il Suicidio di Lucrezia, ca. 1508, Wien, Graphische Sammlung Albertina.

23. OST 1981, pp. 131-136.

24. FOLLAK 2002, pp. 71sgg., proponendo un confronto senza dubbio troppo insistito e in parte scorretto nelle premesse

storico-artistiche fra la trattazione di questo tema in Cranach e in Lotto.

25. FLETCHER 1996, p. 135. GOFFEN 1999, pp. 115-131, qui p. 121: “con molta probabilità non raffigura né una nobildon-

na, né una veneziana, visto il tipo di presentazione così informale ed energico”.

26. LUCCO 2004, pp. 78-80.

27. Si aggiunga che a Venezia “la sessualità matrimoniale nel Cinquecento si scontrava con molti ostacoli. Specialmente tra i

ceti superiori gli uomini avevano assunto delle abitudini sessuali molto prima del matrimonio e all’interno di una cultura

illecita. Le giovani che diventavano loro spose si saranno trovate in difficoltà a competere con quelle abitudini e con la

diversa cultura sessuale”. Cit. da Guido Ruggiero, I confini dell’eros. Crimini sessuali e sessualità nella Venezia del Rinasci-

que il cronista taccia sul punto, è possibile che vi sia stato un tentativo di violenza carnale, contro cui la gentildonna cercò invano di resi stere. Ergo: il dipinto potrebbe essere l’omaggio alle concla­mate virtù di una donna che, sempre seguendo Sanudo, dopo oltre 13 anni di matrimonio, an­cora era pia cente, ma al tempo stesso virtuosa. Lucco suggerisce per tutto questo una data zione intorno agli inizi del 1532, che funziona bene sia con la foggia dell’abito, sia più in generale con lo stile di Lotto all’epoca, e, oltretutto, a un anno

almeno dalla partenza per le Marche (feb bra io 1533). Tirando le somme, lo Studioso rivendica per quest’opera maggior ade ren za alla ma te ria­lità degli elementi sulla scena e attenzione alle fonti contestuali. Su questo, all’evidenza, non si può che essere d’accordo.Quello che lascia me, a tutt’oggi, nel dubbio è se proprio qui – e cioè nella precisa individuazione di una fantomatica Lu cre zia storica – risieda al fondo la sostanza del lavoro lottesco. Non vorrei essere fraintesa: non sono a dire che il rinveni­mento e ven tuale di una decisiva “pezza d’ap­poggio” non sarebbe auspicabile, ma ciò non toglie che proprio cercando di far “parlare” gli ingredienti di cui il dipinto si com pone si può, stimo, aggiungere altro lievito a quest’opera di per sé ritenuta “proble ma tica” e, come tale, non esaurita nel la sua lettura. Diciamolo chiaramen­te: se è vero che Lucretia è assunta dall’arte rina­scimentale quale esempio preclaro di castità, la soluzione adottata da Lotto – che pure conoscia­mo per uomo timorato di Dio – su questo punto non convince affatto: basti richiamare, per con­trasto, la vee mente figura dipinta da Dosso Dossi appena qualche anno prima, oggi all’Er mitage di San Pietroburgo.

* * *

10 Voce Narrante

7. Lorenzo Lotto, Ritratto di Andrea Odoni, 1527, Hampton Court, Royal Collections.

8. Lorenzo Lotto, c.d. Ritratto di architetto, ca.1530-1535, Berlin, Gemäldegalerie.

mento, Venezia: Marsilio, 1988, p. 268.

28. Espressioni come queste ricorrono variamente in tutta la più recente bibliografia sul dipinto.

29. Dall’Umanesimo discende un deciso apprezzamento per la figura di Seneca, e per il suicido come estrema forma di digni-

tas homini, che tuttavia cozza contro il fondamentale precetto cristiano della sacralità della vita.

30. GENTILI 1981 p. 416.

31. Su questo mi pare interessante il contributo di Bette Talvacchia, Taking Positions. On the Erotic in Renaissance Culture,

Princeton University Press, Princeton (NJ) 1999, in specie cap. 6: Terms of Renaissance Discourse about the Erotic: Onesto

and Disonesto, pp. 101-124.

32. HULTS 1991, pp. 205-237.

33. Loredana Olivato, Per il Serlio a Venezia. Documenti nuovi e documenti rivisitati, in “Arte Veneta”, 25, 1971, pp. 284-291;

Ead., Dal teatro della memoria al grande teatro dell’architettura. Giulio Camillo Delminio e Sebastiano Serlio, in “Bolletti-

no del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio”, 21, 1979, pp. 233-252.

Tre sono gli obiettivi che mi prefiggo nel mio ap­proccio all’opera di Lotto:una riflessione sul gioco di contrapposizioni, più o meno vistose, che informa i suddetti livelli in­terpretativi;una lettura di questo ritratto che allarga la visua­le a contemplare quelli che a mio avviso sono i quattro livelli di cui l’opera è depositaria;portare in evidenza il fatto che Lorenzo Lotto fu tutt’altro che una specie di mosca bianca, inci­dentalmente sorvolante il cielo veneziano alla svolta degli anni Trenta, ma che invece si inse­risce a pieno titolo e senza troppi problemi nel contesto del dibattito sull’arte, portando il suo contributo. A tema sarà, come anticipavo, il par-agone, esteso però al confronto con l’esperienza letteraria e teatrale, e più in generale filosofica.

Le contrapposizioni che animano la “instabi­le”, “inquieta” e insieme “proble ma ti ca”28 per­ce zione del dipinto provocano – sotto l’aspetto formale – una tensione alimentata dal contra­sto fra segno­colore, fra moto e fissità; rapidità (sprezza tura)­estrema preci sione, adorno­disa­dorno. Se guardiamo al contenuto, invece, ne va del rap por to morte­vita; modello­imita zio ne; an­tico­moderno; modello stoico vs. epi cureo29; nu­di tà eroica­panneggio voluttuoso (paga nesimo­cristianesimo), in altre paro le: vir tus vs. vo lup tas, ma anche virtus e voluptas, nel senso richiamato da Gentili: “nella discus sione uma ni sti ca [incen­trata sulla voluptas] si possono identificare tre percorsi: […] la voluptas è una difficile, a volte ambigua dialettica di sensi e intelletto; ma non ha a priori significato negativo, poiché purificata nella catarsi, può volgersi nel la superiore condi­zione contemplativa della virtus. È l’interpreta­zione dominante, am pia mente diffu sa all’epoca nelle immagini”30. Sappiamo bene come altrove il Maestro non manchi di sot tile ironia e di ca­pacità di sperimentare soluzioni che revocano in dub bio l’univocità di lettura del l’opera e non occorre indugiare su questo aspetto. Aggiungerei anche – latente – la con tro versa e tutta venezia­na dialettica dei termini “onesto­disonesto” sul­

11

10. Lorenzo Lotto (attr.), Ritratto di pittore nello studio, 1530 o poco dopo, Ciudad de Mexico, Collecìon Franz Mayer.

11. Lorenzo Lotto (attr.), Ritratto di pittore nello studio, 1530 o poco dopo, Ciudad de Mexico, Collecìon Franz Mayer (part.)

34. Per una disamina del contesto si rinvia a GARGAN 1980, pp. 1-31.

35. TAFURI 1985, pp. 132-137; TAFURI 1989, pp. 57-66; FIRPO 2001, pp. 92-115.

36. MURARO 1981, qui p. 301.

37. Cfr. Il teatro umanistico veneto: la Tragedia, a cura di Laura Casarsa e Vittorio Zaccaria, Ravenna, 1981.

38. Accanto alla pittura – imitatio naturae – l’arte più tipica per la Venezia dell’epoca è il teatro – imitatio vitae; e la predilezio-

ne nel teatro veneziano per le figure femminili non è semplice manifestazione di sensualità, ma fiducia nella conoscenza

dei sensi, o meglio, si potrebbe dire, del “buon senso”: ecco da quale via discende la percezione della virtù del mercante

intesa come virtù femminile. Vedi. le interessanti osservazioni al riguardo in MOMO 1984, p. 316.

39. Egli narra di una servetta che ai suoi occhi incarna le ragioni di una moderna Lucrezia. L’episodio si svolge, per di più, ai

tempi di papa Adriano VI. Cfr. Matteo Maria Bandello, Novelle, vol. I, a cura di Gioachino Brognoligo, Bari: Laterza, 1910,

pp. 114-120, p. 103.

40. Su questo aspetto si sofferma TAFURI 1985, pp. 90-122

lo scorcio del terzo decennio del Cinquecento31. Non da ultimo, poi, l’intrigante sfida fra paro­la scrit ta, parola evocata (ma si dovrebbe dire “urlo”), ed eloquenza dello sguardo32. Per quel che concerne l’appartenenza di Lotto al cotê culturale veneto, dobbiamo ri le vare quanto segue: quest’opera può essere letta come cartina al torna so le rispetto alla vi vace e proficua ap­partenenza del Nostro alla cerchia degli habitué della comunità do me nicana dei SS. Giovanni e Paolo e, fin qui, tutto chiaro. Lo spi ra glio interes­sante, al me no quale ulteriore prospettiva d’in­dagine, come del resto già rivendicavano Olivato e Puppi33, è offerto dal panorama dei referenti di Lorenzo in quel torno di tempo tra Pa do va, Treviso34 e, per l’appunto, Venezia. Si è cercato a lungo – e ben se ne comprende l’im portanza – il fil rouge di un possibile legame fra il Mae­stro ed esponenti dell’etero dossia di ascendenza luterana35. Ma ancora molto a mio avviso è da scavare in ordine a un altro aspetto, direi non meno rilevante, per afferrare appieno le ragioni artistiche del la sperimentazione lottesca. Lo af­fermava, pur en passant, in un’altra oc casione lottesca Michelangelo Muraro: “Lotto umanizza elementi di una cultura tipi ca mente umanistica. [La sua] partecipazione alle discussioni diffuse fra gli artisti del tempo, e specialmente il suo voler intervenire nella polemica del ‘paragone’ lo mani fe sta […] e del resto aveva stima del suo giudizio autonomo, pur cercando il confronto con Tiziano e altri”36.Torniamo all’ambiente culturale tra Padova e Venezia. È noto che fra gli anni Venti e Trenta del Cinquecento il problema, come diremmo noi oggi, dei “linguaggi” era tema di elezione. Attenti furono gli artisti, che fecero tesoro delle sollecitazioni del passaggio di Leonardo; ma si pensi non di meno alle ricadute sull’evoluzione del genere tragico per il teatro, come è il caso della Sofonisba di G.G. Trissino (1524)37; fino al dome ni ca no Sperone Speroni, di Padova, che pubblicherà il suo Dialogo della rethorica, per inte resse di Daniele Barbaro, a Venezia nel 1546, dove, non da ultimo, si richiama il lettore

al l’esempio del poeta che “dipinge” un amore muliebre infelice e la fatale rovina e mor te38. Per usare una felice espressione di Giorgio Patrizi, riferita a Matteo Bandello, si tratta di indagare “il tragico come pedagogia”. Sia ricordato per inciso che lo stesso Ban dello fa di Lucrezia una delle protagoniste più riuscite delle sue Novelle39.La honesta voluptas – intesa come esperienza estetica – è riconosciuto al tempo come possibile strumento dei sensi per ascendere alle cose su­blimi. In quest’ottica, almeno, le immagini sono indispensabili alla devozione – giusta Alberto Pio da Carpi: poiché gli affetti umani sono mossi dai sensi, la vista è in grado di svolgere una funzione eccitante sulla mente e sull’anima, indirizzando entrambe al bene40.Rispetto al lin guaggio univoco del testo lettera­rio, quindi, l’arte figurativa dispone di qual che arma in più e questo testo di Lotto lo testimonia. Esso si attesta cronologica men te poco dopo l’im­pe ri osa avventura fra sim bol i, materia alchemi­ca, fonti scritturali, del le Tarsie ber gama sche, e

12 Voce Narrante

12. Lorenzo Lotto, Ritratto di donna con disegno di Lucrezia, ca. 1531-1532, London, National Gallery, particolare del disegno.

41. Fondamentale fu il ruolo di fra’ Damiano Loro, per il quale rinvio a FIRPO 2001 pp. 73-75. Si veda anche al contributo di

Mauro Zanchi in questo stesso volume.

42. Studi che aiutano a comprendere, con accenti e prospettive diverse – anche complementari – “la novità del ritratto di

Hampton Court” a partire dall’impaginazione, giusta Andrew J. Martin: COLI, 1989, pp. 183-204; LARSSON 1998, pp.

13-25; MARTIN 2000, pp. 153-170.

43. Da ultimo si veda la bibliografia radunata da Stefania Lapenta per la relativa scheda in Gonzaga. La Celeste Galeria - le

raccolte, catalogo della mostra a cura di Raffaella Morselli, Mantova (Palazzo Te 2.9.-8.12.2002), Milano: Skira, 2002,

pp. 208 sg., n. 53.

44. VERTOVA 1981, pp. 401-414. La convincente interpretazione della Studiosa è stata fatta conoscere al grande pubblico

in occasione delle mostre di Bergamo (1998, e anche Washington e Parigi), e per il Triplo ritratto di Mantova (2002).

45. Anche dal punto di vista delle misure sono ravvisabili motivi di contiguità con il dipinto londinese (cm 95 x 110).

46. Lotto, a cura di L. Vertova, 1955, p. 133, tav. 281. Purtroppo, fino a oggi non sono riuscita a vedere né l’originale, e nem-

meno una buona riproduzione dell’opera, perciò la prudenza sull’autografia è d’obbligo. Spiace dover ammettere che la

didascalia sull’unica monografia recente in materia realizzata in ambito messicano sia troppo vaga. Cfr. MOYSSÉN 1984,

p. 207. ill. a p. 204: “L. Lotto, XVI sec., Retrato de un anticuario, olio su tela”. Più aderente al con¬testo quanto scrive

KAHTKE 1997, p. 306, ill. 162: “Lorenzo Lotto (?), Mann mit Skulpturen, um 1530”.

47. SEIDENBERG 1964, p. 62.

48. Soltanto Kathke si decide per un titolo come il suddetto. Cfr. KAHTKE 1997, p. 306: “Frau mit Zeichnung der Lucrezia”,

sebbene poi non rifugga la tentazione di porre fra parentesi anche il nome di Lucrezia Valier, sia pur in forma interrogativa.

49. Cfr. Dunkerton, Two paintings, cit., pp. 52-63.

50. Aristotele, Poetica, [1450 b]

dunque in un mo mento di particolare esposizio­ne del No stro alle solle citazioni cul turali del suo tempo41. Solo un lustro prima egli era stato chia­mato a rivendicare il gioco delle parti fra pittura, scultura, cultura e religione, nel Ritrat to di An-drea Odoni42. Non appagato, si cimenta in quello che rimane l’e nig ma tico Tri plo ritratto di Vien­na43. Ma un dato è oramai ac qui sito dalla cri tica: qui il Maestro met te a fuoco il paragone fra le arti44. Lo stesso a mio avviso è il tema focalizzato in un’altra tela (cm 94 x 101)45, non molto nota, da Berenson e da Seidenberg per primi accolta nel catalogo del Maestro: un presunto Ritratto di scultore, detto anche Ritratto di antiquario, ma che mi sembra decisamente leggibile come un Ritratto di pittore nello studio, databile anch’es­so intorno all’inizio del 1530 o poco dopo, nella Collezione Franz Mayer di Città del Messico46. [fig. 10] Del resto, uno spiraglio in tal senso si trova proprio nello studio di Seidenberg, quando afferma che in questo dipinto “gli oggetti dispo­sti sulla scena fanno pensare o a uno scultore o a un pittore”47. A ben guardare, vi si scorgono, oltre alla savonarola presente anche nel quadro londinese, una tavolozza e uno stocco da pittore, gessi (forse calchi), un foglio, probabilmente un disegno [fig. 11]. E siamo di nuovo nell’orizzonte di quella serie di opere a cavaliere del quarto decennio, in cui artisti grosso modo coetanei si cimentano in ambiente veneto con il paragone delle arti e con l’autoriflessione sulla pittura.Ciò che ren de invero più ardua la let tu ra del co­evo Ritratto di donna con disegno di Lucrezia48 – nella plateale evidenza della disposizione degli elementi e dei fattori com po sitivi – è il fatto che l’in sieme appa re allo stesso tempo verisimile e

sfuggente. E poi c’è un dato messo a di sposizione solo nel 1999 dal l’indagine riflet to gra fica sulla tela49: la parte più tormentata dai pentimenti corrisponde al disegno [fig. 12], al car tel lino e al tappeto che ricopre il tavolo. Nei due dipinti appena ricordati il confronto è segnata men te fra pittura e scultura, e, più in là, fra natura e arte, fra natura e imitazione. Qui invece il gioco si fa più articolato.Aristotele afferma che “principio e quasi anima della tragedia è il racconto, mentre i caratteri vengono in secondo luogo; qualcosa di simile succede anche nella pittura50, giacché se qual­cuno stendesse alla rinfusa i colori più belli, non procurerebbe tanto piacere quanto chi dise­gnasse in bianco un’immagine...”. In altra sede seguono ulteriori e significative riflessioni del Filosofo. Si tratta di un passo che spiega inci­sivamente una serie di aspetti che giudico pre­senti nel lavoro di Lotto51, e che potrebbe anche essere de ri vato dalla profonda conoscenza che dello Stagirita avevano quei domenicani da lui co nosciuti, che all’epoca insegnavano presso lo Studium Patavinum52, come – giusto un nome – Sisto de’ Medici53. E non di un oscuro passo si tratterebbe qui, ma di un mo mento cruciale del De anima, uno dei testi più familiari ai pa­dri domenicani, peraltro con cla ma tamente fra le persone più colte nella Venezia di quegli anni. Oltretutto, è noto che i testi principali del Filoso­fo furono stampati proprio tra Venezia e Padova a comin ciare dal tardo Quattrocento54. L’opera di Aristotele tocca da vicino la quiddità del senso della vita e della nostra percezione di essa, e su questi argomenti il rovello di Lorenzo, si sa, non trovò mai pace.

13

13. Cristoforo Solari (attr.), Donna sofferente, alabastro, 1515-1520, London, Victoria and Albert Museum.

In Gamma3 vengono esaminate la facoltà dell’immaginazione e la rappresentazione delle cose temibili, per cui si ricevono emozioni cor­rispondenti, dove – si faccia caso – il termine usato è “graphé” – en graphè tà deinà – “cose terribili affidate al disegno”55. Ai fini interpreti e ai traduttori di Aristotele questo certo non pote­va sfuggire; né a chi quegli interpreti interrogava dal punto di vista sia dell’u ma no sia dell’arte. Il che aggiunge nuovo sapore alla nobile tenzone fra le diverse espressioni artistiche56. Qui ne va non solo della gara fra statuaria (i modelli clas­sici e le redazioni rinascimentali) e mezzo pitto­rico, artes cognatae – basti il richiamo alle prove di scultori quali Cristoforo Solari [fig. 13]57, Tullio Lombardo [fig. 14], come pure alla collezione Gri­mani – ma del confronto fra arti figurative e arti della paro la; il che significa recupero della di­mensione ecfrastica dell’immagine, quale valore aggiunto dell’opera, colta nella sua appartenen­za a una tradizione che dall’apprezza mento al­bertiano di Filostrato giunge in Laguna attraver­so le argomentazioni di Leo nardo58, di Pomponio Gaurico (1504) e le operazioni editoriali prima di Aldo Manuzio e poi dell’edi zio ne la ti na a cura di Stefano Negri (Venezia, 1521), per cui il testo acquista finalmente popo la rità.Rona Goffen ha scritto di questa figura muliebre nei termini di “un unicum nella ri trattistica fem­minile dell’epoca”, a causa di “quel suo atteggia­mento quasi ‘atle tico’”59. Mi pare francamente un commento un po’ troppo enfatico, del quale però vale la pena soppesare la molla che lo ha con tutta probabilità provocato. E credo che lo sfondo sia quello della gestualità retorica, che è uno dei motori della scena. La carica semantica

51. Sull’analisi dell’influenza della Poetica di Aristotele nell’arte del Cinquecento veneziano si veda l’ultimo studio di Thomas

Puttfarken, Titian and Tragic Painting. Aristotle’s Poetics and the Rise of the Modern Artist, New Haven-Londo: Yale Univer-

sity Press, 2005, ma contestualmente si tenga conto delle precisazioni contenute nella recensione al volume pubblicata da

Andrew John e Susanne Martin in “Studi tizianeschi”, IV, 2006, pp. 172-173.

52. È importante coglierne anche le premesse. Per questo vd. L. Gargan, Lo Studio teologico e la biblioteca dei domenicani a

Padova nel Tre e Quattrocento, Padova, Antenore, 1971 (Contributi alla storia dell’Università di Padova, 6).

53. MAZZA 1981, p. 360, nota 13, dove fra l’altro si legge: “restano documentati i rapporti del domenicano con esponenti

della cultura e della politica veneta: il Ramusio, il Fracastoro, il Navagero, Francesco Badoero, i membri dell’Accademia

Veneta detta della Fama […] Paolo Manuzio […] e infine lo stesso Aretino”. Su questo contesto ha ripetutamente richiamato

l’attenzione anche Bernard Aikema.

54. Per il De anima sono da menzionare le edizioni: Padova 1472 e Venezia 1497; quanto alla Poetica, a Venezia si stampava

già nel 1508 la terza edizione (1481, 1498) e la Retorica era nota nella prima edizione del 1481, quindi nella manuziana

del 1508. Rinvio alle voci del Dizionario delle opere filosofiche, a cura di Franco Volpi, Milano: Bruno Mondadori, 2000.

55. Aristotele, De anima, Γ 3, 427 b 24. Il termine graphè si riferisce espressamente al disegno, rispetto a pìnax, dipinto.

56. Vd. Puttfarken, pp. e Cranston, The Poetics, cit., pp. 145-147.

57. Cfr. Alison Luchs, The London Woman in Anguish, attribuited to Cristoforo Solari: Erotic Pathos in a Renaissance Brust, in

“artibus et hisotriae”, 47, XXIII, 2003, pp. 155-176.

58. Nel Carnet di Leonardo oggi a Parigi (Ms. 2038 Bibl. Nat. 20r), sebbene si faccia esplicita menzione di Filostrato, è palese

una parafrasi articolata delle Eikones, ove si legge della peculiarità e potenzialità della pittura, a dimostrazione della sua

superiorità rispetto alla poesia. Cfr. il paragrafo: “Come chi sprezza la pittura non ama la filosofia né la natura”.

59. GOFFEN 2001 p. 121.

14 Voce Narrante

14. Gianmaria Mosca (attr.), Lucrezia, 1515-1525, Baltimore,The Walters Art Museum.

15. Bernardo Licinio, Ritratto di un artista e dei suoi cinque allievi, Alnwick, Alwinck Castle 60. André Chastel, Sémantique de l’index, in “Storia dell’arte” 38/40, 1980, pp. 415-417.

61. Leon Battista Alberti, Della Pittura, libro III, 2, p. 113.

62. SHEARMAN 1995. Vd. anche le pre¬ziose osservazioni di CASTELNUOVO 1973.

63. Bertelli traduce: “In nessuna impudica vive l’esempio di Lucrezia”, 2002, p. 92, nota 1.

64. Si rinvia all’ottimo e documentato contributo di Patricia Emison, EMISON 1991, pp. 372-396, specialmente cap. II, pp.

376 sgg.

65. MIZIOŁEK 1996.

66. JED 1989.

67. Agostino di Ippona, De Civitate dei, I, 17-23 e specialmente I, 19. Sull’immagine di Lucrezia nella cultura dell’Europa della

prima età moderna, vd. MULLER-NÖEL 1987, pp. 141-143.

68. GOFFEN 2001 p. 117.

69. Che quivi sussista rispetto alla tipologia considerata, come pure alcuno ha sostenuto di recente (FOLLAK 2002, p. 72), un

dell’indice, giusta Chastel60, intercetta lo spazio “psichico” della scena, e con esso fa i conti. Sem­bra che qui il Maestro non sia dimentico della le­zione di Leonardo, di quanto convenga, dunque, lasciar essere i moti dell’animo, che dovrebbero

essere co mu nicati senza filtri, ma anzi tramite preziosi indicatori, per dotare con ciò l’imma­gine, la figura, di una “irrécusable vérité” (che non fa tutt’uno, per forza di cose, con la verità storica). Con Leonardo veniva a compimento un percorso intellettuale dell’arte sui mez zi che le sono propri e sulle sue potenzialità, che aveva avuto una prima solida af fer ma zi one nella prima età moderna nella trattatistica di Alberti61, che fra i primi a veva saputo sfruttare per la pittura le in di ca zioni retoriche di Quintiliano (Institutiones o ra toriae): «E piacemi sia nella storia chi ammo­nisca e insegni a noi quello che vi si fac ci, o chia­mi con la mano a vedere». La logica di ritratti siffatti, per usare termini cari a John Shear man, è che essi sono “transitive” e “sociable”, pertanto in stretta di pen denza dal l’os ser vatore62.Introduco ora senz’altro quelli che ho chiamati i quattro livelli in cui quest’opera parla di sé al pubblico:È esposta la narrazione liviana (poi ovidiana, nei Fasti, e quindi in Boccaccio, De claris mulieri-bus), che eterna in parole la vicenda di Lucrezia: si tratta del cartellino in cui si riassume il conte­nuto didascalico. La persona ritratta compie un gesto visto so a indicare proprio il cartellino, va­riamente ripiegato e finalmente dischiuso, che si tro va sul tavolo non distante da lei. Esso riporta l’argumentum morale della moglie di Collatino, a cagion del quale si decide per il suicidio: NEC ULLA IMPV DI CA LVCRETIAE EXEMPLO VIVET, ov­vero: “Nessuna donna impudica vivrà secondo l’esempio di Lucrezia”63. Se estrapoliamo la frase

15

“intento parodistico” da parte di Lotto mi pare da escludere con decisione.

70. Un fugace cenno gli dedica Jodi Cranston: “Lotto separately represents her in a blue-coloured ground drawing. The depic-

ted Lucretia, much like the Cariani and Licinio portraits within portraits…”, nel cap. “Familiare Colloquium”, CRANSTON

2000, p. 95.

71. Fa il punto sulla (s)fortuna storiografica relativa a questo Maestro Luisa Vertova, VERTOVA 1985, pp. 371 sgg.

72. Di recente se n’è occupato a più riprese Hans Severin Hansbauer, scheda in Wettstreit, cit., 2002, Nr. 141, pp. 353sg.;

Id., Das oberitalienischen Familienporträt in der Kunst der Renaissance. Studien zu den Anfängen, zur Verbreitung und

Bedeutung einer Bildnisgattung, Phil. Diss., Würzburg 2006, pp. 75-96 (dove però i quadri summenzionati non vengono

analizzati puntualmente); Id., Bernardino Licinios Künstlerfreunde vor dem Spiegel, in “Zeitschrift für Kunstgeschichte”, 67,

2004, pp. 263-278, qui pp. 273sg.

73. Che i due in qualche misura si tenessero d’occhio potrebbe attestarlo anche l’uso coevo dello “stuzzicadenti”, bene in vista,

nel Ritratto di Lucina Brembati (1518) e nel Ritratto di un Ferramosca (intorno 1520 o poco dopo), Vicenza, Pinacoteca Civica.

dal contesto per il quale è stata profe rita, dob­biamo ammettere che essa può fungere sia come testimonianza di una volontà di adesione alla normata pudicitia, sia, per contro, a una sorta di dichiara zione della preferenza per una più indul­gente accettazione della convivenza con volpu-tas. Almeno fino a Raf fa ello rappresentazioni del tema di Lucrezia nelle arti figurative furono estre ma men te rare64. Vale la pena di osservare, del resto, che la trattazione di questo soggetto da parte di maestri toscani del XV sec., in primis Botticelli, e nelle decorazioni per cas so ni nuzia­li65, faceva tutt’uno con l’interpre tazione politica del soggetto offerta da Co luccio Salutati66. Sul gesto della leggen da ria Lucrezia romana grava­va altrimenti l’irre vocabile giudizio di condanna di Agostino, che non ammetteva ragioni circa il suicidio di lei67.Vi è quindi il momento della rappresentazione grafica, che è capace di mostrare l’atto estremo di Lucrezia, riproducendo per rapidi tratti il mo­vimento. Su questo il pittore deve aver molto ri­flettuto, se è vero che primieramente il foglio ri­portava un’immagine a sua volta dipinta con più colori. Occorre subito affermare, giusta Goffen, che il caso in cui compaia in un’opera dipinta anche l’illustrazione di un disegno è di per sé degno di nota, giacché, almeno fino ai celebrati Federstücke di Goltzius (ma dobbiamo attendere la fine del secolo), “questa finzione veniva accu­ratamente evitata”68. Tipologicamente la figurina tratteggiata va osservata te nen do presente che, in parallelo alla diffusione del soggetto di “Lu­crezia a mezzo bu sto”, nelle diverse regioni euro­pee si assiste a una fioritura di proposte “a figura intera”, in stretta dipendenza dal modello raffa­ellesco, inciso dal Raimondi69. E non v’è dubbio che alla mente di Lorenzo sovvenisse la nutrita schiera di esempi grafici, anche oltremontani, di cui sappiamo bene il suo peculiare interesse. Eppure, quella che ci sta dinnanzi è una realiz­zazione estremamente libera, affatto vincolata a qual si voglia modello, nemmeno del grande Raf­faello, suo mentore qualche tempo addietro per i lavori alla Stanza della Segnatura.

Dobbiamo poi considerare la realtà storica della donna immortalata sulla tela – chiun que ella sia – che mostra tratti determinati, energia nei modi, volizione e che co sti tuisce il tramite con la realtà esterna, quella che tocca ciascuno di noi e a cui l’intricata serie dei messaggi viene esibita, non pienamente comunicata però.V’è quindi la “voce fuori campo”: la forza d’ani­mo di un artista come Lorenzo, ca pa ce – nono­stante le traversie, le angustie di vivere in una capitale dell’arte, i cui af fa ri sono gestiti da per­sonaggi umanamente non troppo accondiscen­denti (e i nomi so no quelli di Tiziano, di Aretino, di Sansovino, e via aggiungendo) – di non amma­i nare le proprie urgenze espressive, che punta­no dritto all’epicentro del dibattito sul le finalità espressive della pittura, attingendo voracemente a quanto veniva promos so dal dialogo coevo fra le discipline umanistiche. E non era paladi­no solingo: se pure non era ammesso volentieri alla corte dei grandi sovrani dell’arte veneziana, a ve va sodali con cui condividere il plesso di questioni riguardanti la dialettica realtà­finzione scenica; modello­imitazione; specchio dell’arte e specchio della vita; la gara fra pittura, scultura, architettura, ma anche fra parola e immagine. Certo, va subito riconosciuto che non è crinale a fondo esplorato. Ritengo ad esempio che non sia stato pienamente onorato lo studio del rapporto fra Lorenzo Lotto e Bernardo Licinio70. Sullo stes­so asse cronologico insistono due opere, di cui una assegnata al suo catalogo solo recentemen­te, che investono appieno le tensioni intellettuali di cui qui si ragiona: un Ritratto di un artista e dei suoi cinque allievi [fig. 15], Alnwick, Alwinck Castle71, e un Doppio ritratto di due amici artisti davanti allo specchio [fig. 16], Würzburg, Mar­tin von Wagner Museum der Universität Würz­burg72. Entram bi sono datate in tor no al 1530 o poco dopo, nel periodo in cui Licinio si trovava a Venezia73. Nel dipinto oggi ad Alnwinck (ca. 1532) è chiaramente a tema il rapporto fra mo del lo plastico e resa grafica, unitamente al dialogo fra pittura, scultura e disegno, laddove nel dipinto di Würz burg il gioco fra architettura, pittura, e

16 Voce Narrante

74. Cfr. KAHTKE 1997, pp. 172-181; Cranston, The Poetics, cit., pp. 136-137.

75. “Il quadro di Vienna fu dipinto in un periodo in cui una schietta amicizia univa il Lotto e il Sansovino e i tre Carpan. Esso

testimonia una reciproca confidenza fra il ritrattista e l’effigiato, una confluenza fra le tradizioni di varie arti – pittura,

plastica, incisoria – e una collaborazione nella pratica dell’attività figurativa, al di fuori di quelle dispute intellettualistiche

che non fan progredire né la teoria né l’arte”. Così VERTOVA 1981, pp. 401-414, qui p. 411. Vd. anche HUMFREY 1997,

pp. 110-111.

76. Nella scheda di presentazione dell’opera londinese si legge: “The costly pendant suspended from the gold chain, its pre-

cious stones refracting the light, is virtually without equal in 16th-century Venetian painting”.

77. Cfr. FOLLAK 2002, p. 72sg.

78. GOFFEN 2001, p. 751.

79. Cfr. il repertorio di Mirella Levi D’Ancona, LEVI D’ANCONA 1977, p. 402.

80. Cit. in FOLLAK 2002, p. 72.

81. Si pensi alla valenza del termine “persona” nella ritrattistica di Raffaello. Più in là, vorrei far notare come qui si possa rav-

visare un’attenzione da parte di Lotto per una gestualità che ammicca a forme di teatralità. Su questo aspetto vd. Martin,

Savoldos, cit., Die Gestik des Akteurs, pp. 21sgg.

82. Pur non condividendo il taglio da “gender studies” dell’intervento di Johnson e Matthews Grieco, su un fatto – rimasto

tuttavia al margine del loro percorso d’indagine – le autrici hanno a mio parere colto nel segno. Occorre cioè occuparsi

più attentamente “di un aspetto cruciale dell’immagine, e segnatamente del fatto che la persona effigiata è una donna […]

Speculazioni sulla condotta morale di Lucrezia Valier non sostituiscono adeguatamente l’esame di quanto e come il genere

(maschile/femminile) abbia precise implicazioni nella creazione/lettura/interpretazione (in passato come ai nostri giorni)

di una immagine di questo tipo […] generalmente dipinte da artisti uomini per un pubblico maschile. Ma qui si apre invece

il problema del punto di vista…”. JOHNSON-MATTHEWS GRIECO 1997, pp. 2-4 e note 8, 9 di p. 248.

finzione/funzione dello spec chio è dichia rato mediante gli strumenti di lavoro del le discipline implicate74, e non senza garbata iro nia, quella stessa che pervade il Triplice ritratto di orefice, dove la critica ha da tempo individuato il regi­stro amica le che promana dall’opera lottesca75.

Cercando di chiudere le argomentazioni: a mio avviso siamo di fronte a un Ritratto di donna, la cui carica persuasiva ed emotiva non dipende tanto dalla riconoscibilità im me diata della dama che ci fissa dal suo spazio privato, quanto piut­tosto dalla con ver genza – studiatissima – di fat­tori dissonanti e ambigui. Anzitutto: nel mentre il movi mento del braccio della donna ostenta il disegno, allo stesso tempo lo allontana da sé, sospingendolo al margine della scena, salvo poi riportarlo in auge in virtù dell’inelu dibile gesto dell’altra mano. L’una vestita di tutto punto, allu­de a un’agiatezza di costu mi e di vita: lo denota anche il vistoso monile76, che pende in posizione insolita dal seno di lei, laddove nella essenzialità del tratto l’altra è quasi del tutto discinta, ma nella posa richiama potentemente il valore della pudicitia77. Di qui la nota stonata, per dir così, e la conseguente riflessione fra i poli di virtus e voluptas, che, come un basso ostinato, viene ri­percorsa anche attraverso la citazione del passo di Tito Livio: il fatto è che anche qui non siamo in grado di abbracciare univocamente quanto la cifra del messaggio vuol significare, giacché esso contiene la possibilità di intepretazioni perfino opposte78. Altrettanto si deve ammettere per l’esem pla re di violaciocca adagiato sul tavolo79. Nel Rinascimento questo fiore veniva associa to

all’atto amoroso, dono di una notte d’amore, ma diversamente declinato, a se con da dei contesti, nella duplice polarità allusiva. “La tecnica del contrasto”80 innerva con mi ra bile e calibrato calcolo i diversi ele menti della scena, così da richiedere altret tan to impegno nel riguar­dante, oggi come allora. È un dipinto, di fatto, i cui nessi semantici non risultano delineati con chiarezza: per suo tramite, Lotto ci presenta una personalità/personaggio/persona81, quella del­la donna, che rivendica per sé autonomia e un ruolo paritario rispetto allo spettatore82. Come quest’ultimo, essa possiede una piramide visi­va e un proprio cono spaziale, deli mi tato dal­le direttrici che – dipartendo dalla sedia e dal tavolo – la chiudono in un angolo che si apre verso l’esterno della tela. Entro questo fascio di linee, che sembra uscire dal dipinto incontro allo spettatore, si colloca anche l’imperioso sguardo di lei. Fuori da questo cono, la sua ombra, che cade sulla sinistra, le conferisce uno spessore ulteriore di verità e plausibilità, in quanto la fa risaltare rispetto a qualcosa che – platonicamen­te – possiede minore realtà83. Forte di questa sua autonomia – è lei che diventa la figura par-lante84, non la Lucrezia disegnata – essa in tavola con chi la osserva un dialogo che suscita inter­rogativi. Questi ultimi presup pongono qualcosa di noto e qualcos’altro di ignoto o di non chia­ro. Ebbene, dal suo spazio d’azione essa rinvia col gesto a oggetti (all’interno del dipinto) che possiedono proprio tale carattere ambiguo: sap­piamo interpretare le parole latine sul foglietto, ma non capiamo di preciso quale ruolo affidare loro nel contesto. Riusciamo a decifrare la figura

17

16. Bernardo Licinio (?), Doppio ritratto di due amici artisti davanti allo specchio, Würzburg, Martin von Wagner Museum der Universität.

17. Lorenzo Lotto, Ritratto di donna con disegno di Lucrezia, ca. 1531-1532, London, National Gallery, particolare della collana.

18. Disegno di gioiello, seconda metà del XVI, Firenze, Uffizi, Gabinetto dei Disegni.

disegnata, ma – privata di quel foglietto più volte ripiegato a soltanto per l’occasione riaperto – po­trebbe essere una Lucrezia, una Didone o altra, e non è lampante come si relazioni al personaggio principale… E se fosse un prezioso pezzo di una collezione d’arte, esibito con orgoglio dalla gen­tildonna? Si faccia caso a come esso viene tenuto fra pollice e indice85. Altrettanti motivi di ambi­guità affiorano se esaminiamo senza pregiudizio i suoi vestiti, la posa, la collana e il modo in cui è portata [figg. 17­18]86. Sembra sorpresa, sì, ma da presenza a lei fami liare…Vorrei ricordare quanto accennavo in precedenza sulla componente ami­cale e un po’ ironica di alcuni ri tratti coevi del Lotto. Lei stes sa, comunque, non è chiara men te riconducibile a una fi gu ra di cui qualcuno abbia mai potuto fare nome e cognome.Il tema del paragone fra le arti – così come è sta­to illustrato – rinvia d’altro canto al pittore stesso e alle capacità del mezzo pittorico, qui espresse chiaramente: solo la pittu ra è in grado di racco­gliere e relazionare al proprio interno scrittura, grafica, scultura e arti minori (oreficeria, arte dei tessuti, artigianato), in un ritratto “en ten-sion perpé tu el le”87. Come a dire che tutto questo complesso dialogo interno al dipinto, e che dal­l’interno suscita interrogativi nello spettatore, è possibile solo grazie all’arte del pittore medesi­mo88, che forse ne rappresenta – al di là di tutte le valenze alluse e concrete – il tema principale: una esemplificazione delle potenzialità della pit­tura.

83. Chissà se non vi sia una qualche recondita allusione, ovvero un gioco intellettuale da pictor doctus fra i suoi pari, nell’om-

bra della donna che delinea al tempo stesso potenziali phantasmata platonici e più positive aristoteliche fantasie.

84. Desumo il motivo da FEHL 1990, qui p. 280.

85. Cfr. il repertorio dei gesti di Giovanni Bonifacio, L’arte de’ cenni, Vicenza 1616, qui XXVII.

86. Facendo un’indagine sulla produzione italiana coeva di monili e gioielli mi sono imbattuta in un disegno di orefice della

seconda metà del XVI, conservato al Gabinetto dei Disegni degli Uffizi a Firenze e riprodotto in Luke Syson e Dora Thornton,

Objects of virtue. Art in Renaissance Italy, London: The British Museum Press, 2001, n. 37, p. 56: a livello compositivo

e per l’analoga presenza dei due puttini può essere assimilato all’esempio lottesco, ma con una differenza su cui vorrei

portare l’attenzione. Laddove il foglio fiorentino propone due placide figurine, languidamente poggiate sull’ovale centrale,

Lotto gioca – a mio avviso consapevolmente – col movimento verso il basso evocato dalle braccia dei putti (che mostrano

ambigue zampette da satiri), amplificando il motivo dello scivolamento della collana e, con essa, della scollatura.

87. Cit. BROCK 2006, pp. 11-16, qui pp. 12sg.

88. Si faccia caso alla singolare convergenza su questo approdo da parte di Shakespeare, che a fine secolo proporrà una sua

Lucrece, in cui al meccanismo della immaginazione viene affidato il compito di andar oltre i versi pronunciati sulla scena,

per riuscire soltanto così ad afferrare, ovvero a intuire, il dramma privato dell’eroina, i suoi tormenti, i suoi dubbi (vv.

1412-1428). Come spiega Leonard Barkan, “una tale consapevolezza, che l’occhio dello spettatore può essere arrestato

dai meccanismi della descrizione pittorica – piuttosto che da ciò che viene rappresentato segnatamente in via definitiva – è

inconsueta [per l’ambito elisabettiano]”. Ma qui si fanno i conti con una tradizione che dall’antichità fino ai giorni del

Lotto si era abbeverata alle fonti della lezione ekfrastica, in una cultura dell’immagine, dunque, come lo stesso Barkan non

manca di sottolineare. Cfr. il suo Making Pictures Speak…, in “Renaissance Quarterly”, 48, 1995, qui p. 334. Vd. anche la

ripresa di questo aspetto in Patricia Phillippy, Painting Women. Cosmetics, Canvases, and Early Modern Culture, Baltimore:

The Johns Hopkins University Press, 2006, pp. 47-49.