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159 ANCHISE TEMPESTINI UNA RARITÀ ICONOGRAFICA: MARIA E GIUSEPPE CENSITI A BETLEMME I temi legati alla religione cristiana che sono stati rappresentati dagli artisti dall’epoca paleocristiana al XIX e XX secolo si basano soprattutto sui testi sacri canonici ma in alcuni casi anche sugli scritti che la chiesa cattolica classifica come apocrifi 1 . Se leggiamo in particolare i quattro vangeli canonici, vi cer- cheremo invano la narrazione di alcuni episodi della vita di Maria e di Cristo abitualmente raffigu- rati anche in cicli di affreschi nelle maggiori chiese. Solo nei vangeli apocrifi è narrata la vicenda di Gioacchino e Anna, genitori di Maria, il cui nome non compare neppure nei testi canonici: tuttavia alla loro storia si è già ispirato, per esempio, Giotto negli affreschi della cappella degli Scrovegni a Padova entro il 1305 (fig. 1) e alcuni episodi si trovano in una serie di incisioni di Giandomeni- co Tiepolo (1727-1804). La fuga in Egitto risulta dal vangelo secondo Matteo (II, 13-22), ma in quella nar- razione cercheremmo invano tutti gli aneddoti che la contornano, per esempio nella serie di incisioni eseguite dallo stesso Giandomeni- co Tiepolo a Würzburg nel 1755. Inoltre alcuni artisti, dal Giotto di Padova a Jacopo Bassano, realizza- no composizioni in cui alla Sacra Famiglia vera e propria, formata da Giuseppe, Maria e dal Bambino, si aggiungono uno, due o più giova- ni, che sono figli nati da un primo matrimonio di Giuseppe, dei quali non c’è traccia nei testi adottati dalla chiesa cattolica. Anzi, dalla Controriforma in poi, è prevalsa l’immagine di lui come uomo vo- tato alla castità perpetua. I vangeli apocrifi, in particolare quello dello pseudo-Matteo e il protovangelo di Giacomo, ci trasmettono invece una ricostruzione della persona- lità di Maria che fin da piccola si propone di rimanere vergine e di non legarsi mai ad un uomo fin- ché, giunta all’adolescenza, deve confrontarsi con l’impossibilità di continuare a vivere nel tempio e con la decisione presa dai sacerdoti di affidarla ad un uomo, che sarà appunto Giuseppe. Secondo quan- to si legge nella Storia di Giuseppe il falegname che è giunta a noi in tre redazioni (araba e nei dialetti copti dell’antico Egitto boairico e saidico), Giuseppe aveva avuto da una prima moglie sei figli, quattro maschi e due femmine; avrebbe sposato Maria a circa novant’an- ni di età e sarebbe vissuto fino a centoundici anni; Cristo, circa ventenne, avrebbe assistito alla sua morte, come vediamo, per esempio, in una pala d’altare di Lorenzo Berrettini (1620-1672) nel duomo di Cortona (fig. 2), in un dipinto di Giambattista Piazzetta nella Gemäldegalerie di Kassel, del 1720 circa, in una tela di Giuseppe Maria Crespi (1665-1747) di ubica- zione ignota (fig. 3), in una (fig. 4) di Cesare Ligari (1716-1770) nella chiesa di Santa Caterina ad Albo- saggia (SO). Nella storia dell’arte è raffigurato come un vecchio, con rarissime eccezioni, tra cui ricordo l’Adorazione dei magi affrescata e datata dal Pordenone nel 1520 nel- la cappella Malchiostro del duomo di Treviso (fig. 5), in cui il padre putativo di Cristo appare come un uomo vigoroso che presenta personalmente il Bambino, quasi a rivendicarne la paternità, ai tre visitatori giunti dall’Oriente. Nel Medioevo e nel primo Rinascimen- to, non solo nelle arti figurative, ma anche nelle sacre rappresen- tazioni, Giuseppe è un vecchio sonnacchioso, maldestro, sul quale si ironizza, come sembra fare an- che Robert Campin, il cosiddetto Maestro di Flémalle, nel trittico di Mérode (1427 circa), oggi conser- vato nei Cloisters del Metropolitan Museum of Art di New York, sul cui pannello di sinistra sono ingi- nocchiati i committenti, al centro campeggia l’Annunciazione, cioè il concepimento di Cristo, e a destra, nella stanza attigua, Giuseppe fora una tavoletta con un succhiello (fig. 6); credo si possa vedere in queste circostanze concatenate un’allusione al singolare ruolo maritale da lui svolto. La figura del padre putativo di Cristo sarà rivalutata dalla Controriforma fino a farne un santo raffigurato spesso come protagonista, con il Bambino in braccio 2 . 1. Giotto, Incontro di Gioacchino e Anna alla Porta Aurea, Padova, Cappella degli Scrovegni

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Anchise Tempestini

Anchise TempesTini

Una rarità iconografica:Maria e giUseppe censiti a BetleMMe

I temi legati alla religione cristiana che sono stati rappresentati dagli artisti

dall’epoca paleocristiana al XIX e XX secolo si basano soprattutto sui testi sacri canonici ma in alcuni casi anche sugli scritti che la chiesa cattolica classifica come apocrifi1.

Se leggiamo in particolare i quattro vangeli canonici, vi cer-cheremo invano la narrazione di alcuni episodi della vita di Maria e di Cristo abitualmente raffigu-rati anche in cicli di affreschi nelle maggiori chiese. Solo nei vangeli apocrifi è narrata la vicenda di Gioacchino e Anna, genitori di Maria, il cui nome non compare neppure nei testi canonici: tuttavia alla loro storia si è già ispirato, per esempio, Giotto negli affreschi della cappella degli Scrovegni a Padova entro il 1305 (fig. 1) e alcuni episodi si trovano in una serie di incisioni di Giandomeni-co Tiepolo (1727-1804). La fuga in Egitto risulta dal vangelo secondo Matteo (II, 13-22), ma in quella nar-razione cercheremmo invano tutti gli aneddoti che la contornano, per esempio nella serie di incisioni eseguite dallo stesso Giandomeni-co Tiepolo a Würzburg nel 1755. Inoltre alcuni artisti, dal Giotto di Padova a Jacopo Bassano, realizza-no composizioni in cui alla Sacra Famiglia vera e propria, formata da Giuseppe, Maria e dal Bambino, si aggiungono uno, due o più giova-ni, che sono figli nati da un primo matrimonio di Giuseppe, dei quali non c’è traccia nei testi adottati dalla chiesa cattolica. Anzi, dalla Controriforma in poi, è prevalsa l’immagine di lui come uomo vo-tato alla castità perpetua. I vangeli

apocrifi, in particolare quello dello pseudo-Matteo e il protovangelo di Giacomo, ci trasmettono invece una ricostruzione della persona-lità di Maria che fin da piccola si propone di rimanere vergine e di non legarsi mai ad un uomo fin-ché, giunta all’adolescenza, deve confrontarsi con l’impossibilità di continuare a vivere nel tempio e con la decisione presa dai sacerdoti di affidarla ad un uomo, che sarà appunto Giuseppe. Secondo quan-to si legge nella Storia di Giuseppe il falegname che è giunta a noi in tre redazioni (araba e nei dialetti copti dell’antico Egitto boairico e saidico), Giuseppe aveva avuto da una prima moglie sei figli, quattro maschi e due femmine; avrebbe sposato Maria a circa novant’an-ni di età e sarebbe vissuto fino a centoundici anni; Cristo, circa ventenne, avrebbe assistito alla sua morte, come vediamo, per esempio, in una pala d’altare di Lorenzo Berrettini (1620-1672) nel duomo di Cortona (fig. 2), in un dipinto di Giambattista Piazzetta nella Gemäldegalerie di Kassel, del 1720 circa, in una tela di Giuseppe Maria Crespi (1665-1747) di ubica-zione ignota (fig. 3), in una (fig. 4) di Cesare Ligari (1716-1770) nella chiesa di Santa Caterina ad Albo-saggia (SO). Nella storia dell’arte è raffigurato come un vecchio, con rarissime eccezioni, tra cui ricordo l’Adorazione dei magi affrescata e datata dal Pordenone nel 1520 nel-la cappella Malchiostro del duomo di Treviso (fig. 5), in cui il padre putativo di Cristo appare come un uomo vigoroso che presenta personalmente il Bambino, quasi a rivendicarne la paternità, ai tre

visitatori giunti dall’Oriente. Nel Medioevo e nel primo Rinascimen-to, non solo nelle arti figurative, ma anche nelle sacre rappresen-tazioni, Giuseppe è un vecchio sonnacchioso, maldestro, sul quale si ironizza, come sembra fare an-che Robert Campin, il cosiddetto Maestro di Flémalle, nel trittico di Mérode (1427 circa), oggi conser-vato nei Cloisters del Metropolitan Museum of Art di New York, sul cui pannello di sinistra sono ingi-nocchiati i committenti, al centro campeggia l’Annunciazione, cioè il concepimento di Cristo, e a destra, nella stanza attigua, Giuseppe fora una tavoletta con un succhiello (fig. 6); credo si possa vedere in queste circostanze concatenate un’allusione al singolare ruolo maritale da lui svolto. La figura del padre putativo di Cristo sarà rivalutata dalla Controriforma fino a farne un santo raffigurato spesso come protagonista, con il Bambino in braccio2.

1.  Giotto, Incontro di Gioacchino e Anna alla Porta Aurea, Padova, Cappella degli Scrovegni

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2.  Lorenzo Berrettini, Morte di san Giuseppe, Cortona (AR), Duomo3.  Giuseppe Maria Crespi, Morte di san Giuseppe, ubicazione ignota4.  Cesare Ligari, Morte di san Giuseppe, Albosaggia (SO), Chiesa di Santa Caterina5.  Pordenone, Adorazione dei Magi, Treviso, Duomo, Cappella Malchiostro

Da Luca apprendiamo la storia della nascita di Giovanni Battista, di cui fa parte l’episodio della Visitazione di Maria ad Elisabetta (I, 39-56).

Dei quattro vangeli canonici, solo quelli di Matteo e di Luca narrano la nascita di Cristo e gli

eventi che la precedono. Il vange-lo di Marco e quello di Giovanni iniziano invece con il Battista che predica e battezza nel deserto.

Leggiamo nel vangelo secondo Matteo: “Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di

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Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giu-seppe, suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa par-torirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo po-polo dai suoi peccati. Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergi-ne concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emanuele, che significa Dio con noi. Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signo-re, e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù” (Matteo, I, 18-25).

Nel vangelo secondo Luca è scritto: “In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la

terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirino. Andavano tut-ti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davi-de, dalla città di Nazareth e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo”(Luca, II, 1-7).

I temi dell’Annunciazione, della Visitazione di Maria incinta ad Eli-sabetta a sua volta in attesa della nascita di Giovanni Battista, della Natività di Cristo, dell’Adorazione dei pastori e dell’Adorazione dei magi sono raffigurati regolarmente sia nei cicli figurativi sulla vita di Maria che di Cristo; meno frequen-ti il Sogno di Giuseppe e lo Sposalizio di Maria e Giuseppe; dobbiamo rilevare anche la difficoltà di indi-viduare quando si colloca crono-logicamente il matrimonio; Maria e Giuseppe, secondo Matteo, non sono ancora sposati al momento dell’Annunciazione, ma lo sono, secondo Luca, prima della nascita

di Cristo. Il censimento di Maria e Giuseppe è al contrario una rarità iconografica: nei repertori di An-dor Pigler, Louis Réau, Gertrud Schiller e in Iconclass 3 sono elen-cate pochissime raffigurazioni del tema, anzi, ad eccezione di Réau, viene di solito registrato solo il viaggio di Maria e Giuseppe verso Betlemme: forse il motivo si deve cercare nel fatto che Maria incinta e Giuseppe sono respinti dall’al-bergatore cui Giuseppe dichiara che la moglie, ormai prossima a partorire, è vergine e viene per-ciò considerato bugiardo, o con l’esigenza di evitare che la collo-cazione della coppia al cospetto di un’autorità potesse provocare un errore di lettura che avrebbe potu-to indurre a leggere la scena come quella di un matrimonio; tornerò su questo punto. Secondo Réau, l’episodio della coppia respinta da un albergatore o da un’alber-gatrice, reso popolare dal teatro dei Misteri, è raffigurato nel XV secolo in una miniatura del Miste-ro della Passione di Arnoul Gréban conservato nella Bibliothèque de l’Arsenal a Parigi e in un dipinto datato 1558, opera di Jan Massys nel Museum voor Schone Kunsten di Anversa; non conosco l’origine di questo tema a livello di testo scritto, poiché non ce n’è traccia

6.  Robert Campin, Trittico di Mérode, New York, Metropolitan Museum of Art

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la sua dichiarazione4. L’episodio è rappresentato pure in affreschi della stessa epoca a Kalenitch, in Serbia, nella chiesa di San Nicola di Curtea d’Arges, in Romania, e come paramento esterno della chiesa nel monastero fortificato di Sucevitza, nella Bucovina rumena. Nel XVI secolo Réau registra tre dipinti di Pieter Bruegel, rispetti-vamente nei Musées Royaux des Beaux-Arts di Bruxelles (fig. 8), firmato e datato 1566, nel Museum voor Schone Kunsten di Anversa e nel Musée des Beaux-Arts di Lille, in cui si vede una piazza di una città nordica sotto la neve, con una piccola folla che si accalca

in nessuno dei Vangeli canonici o apocrifi. Può darsi che esso sia nato solo appunto nel teatro dei Misteri nel basso Medioevo.

Per quanto riguarda invece le raffigurazioni del censimento, Réau elenca un mosaico del XIV secolo nella chiesa di San Salvatore a Chora, divenuta nel Cinquecento moschea con il nome di Kariye Camii e oggi Museo a Istanbul, non lontano dalle mura costanti-niane (fig. 7): la Vergine, seguita da Giuseppe che ha vicini a sé i suoi quattro figli maschi, davanti al proconsole Quirino, governa-tore della Siria, viene interrogata e uno scriba è pronto a registrare

7. Mosaicista bizantino, XIV secolo, Censimento di Maria e Giuseppe, Istanbul, Museo Kariye8.  Pieter Bruegel, Censimento a Betlemme, Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts9.  Luca Signorelli, Adorazione dei pastori, London, National Gallery10.  Francesco da Sangallo, Censimento di Maria e Giuseppe, Loreto (AN), Santa Casa

(a fronte)11.  Cesare Nebbia (progetto), Censimento di Maria e Giuseppe, Roma, Santa Maria Maggiore12.  Cesare Nebbia, Censimento di Maria e Giuseppe, Firenze, GDSU

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all’ingresso di un edificio sulla si-nistra, verso il quale si dirige pure Giuseppe tirando un asino su cui è seduta Maria. In Italia conosco solo quattro raffigurazioni del tema: Luca Signorelli, nell’Adora-zione dei pastori conservata oggi nella National Gallery di Londra (fig. 9), colloca al centro della composizione, nel mezzofondo, un edificio con colonne marmoree e timpano su cui si legge la firma del pittore; all’interno di esso e anche all’esterno, sulla sinistra, si accalca una piccola folla di fronte alla quale si vedono impiegati che scrivono e sul fondo una figura sovrastante con in mano un ba-stone di comando: sembra proprio trattarsi, come mi fa notare Matteo Mazzalupi, che qui ringrazio, della scena del censimento a Betlemme, dove non sono presenti Maria e Giuseppe, ormai impegnati in pri-

mo piano intorno al Bambino che è nato nel frattempo5.

Il rilievo marmoreo (fig. 10) pagato a Francesco da Sangallo il 1° ottobre 1532, sul prospetto occi-dentale dell’ornamento marmoreo della Santa Casa di Loreto raffigura Maria e Giuseppe in piedi davanti ad un addetto intento a registrarli; nella figura della Vergine nessun indizio di gravidanza6; si tratta di un rilievo di 136 x 82 cm.

Il programma viene elaborato in seguito ad una bolla pontificia emanata da Giulio II il 7 ottobre 1507: Bramante fu incaricato, sul-la base di una lettera del papa al governatore della Santa Casa circa un mese dopo, di eseguire molti disegni per realizzare “lì cose magne”.

Il 22 giugno 1513 Leone X af-fida ad Andrea Contucci detto il Sansovino la soprintendenza della

Fabbrica lauretana. Francesco da Sangallo ha eseguito da solo uni-camente il censimento, oltre ad intervenire con Niccolò Pericoli detto il Tribolo aggiungendo figu-re di soldati al rilievo della Dormi-tio Virginis eseguito da Domenico Aimo e a realizzare con lo stesso Tribolo il rilievo della Traslazione della Santa Casa dalla costa dalma-ta a quella marchigiana.

La terza raffigurazione è (fig. 11) un dipinto nella cappella Si-stina nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, ciclo i cui dise-gni preparatori furono eseguiti da Cesare Nebbia; quello che raffigu-ra il censimento di Giuseppe e Ma-ria è (fig. 12) il n. 4092 Santarelli nel Gabinetto Disegni e Stampe agli Uffizi di Firenze, tradizional-mente ascritto a Pellegrino Tibal-di; l’attribuzione corretta a Cesare Nebbia è stata annotata il 9 agosto del 1982 da Alessandro Cecchi sul cartone della foto nella fototeca del GDSU ed è stata confermata da Rhoda Eitel-Porter in un arti-colo del 1997 uscito nel “Burlin-gton Magazine”7. L’unica altra raffigurazione del soggetto che io conosco, impaginata in modo molto simile a quella del succitato dipinto nella basilica romana, con Giuseppe davanti al banco del censimento, seguito da Maria, è, come ho scritto all’inizio, quella (fig. 13; Tav. 00) affrescata da Giuseppe Nasini intorno al 1728 sulla facciata della cappella Bichi Borghesi a Scorgiano, frazione di Monteriggioni in provincia di Sie-

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na, il cui territorio si trova in parte nel comune di Casole d’Elsa; un disegno per questa composizione si trova nel British Museum di Londra (fig. 14) ed è stato pubbli-cato nel 2004 da Federica Casprini, autrice di una tesi sulla cappella di Scorgiano, discussa all’università di Bologna nell’anno accademico 1997-98, relatrice Vera Fortunati8; la differenza fondamentale tra la composizione di Cesare Nebbia e quella di Giuseppe Nasini è che nella prima Maria appare eviden-temente in stato di gravidanza avanzata, mentre nella seconda la

sua condizione è accennata solo dalla mano destra che è appoggia-ta sul ventre. A Scorgiano l’affre-sco si trova a sinistra del portale principale e a destra gli corrispon-de la Visitazione; l’abbinamento riprende, scambiandone l’ordine, quello che si trova nel paramento marmoreo della Santa Casa di Lo-reto. Il dipinto di Luca Signorelli, il rilievo di Francesco da Sangallo e i dipinti a Roma e a Scorgiano sono stati completamente ignorati dai repertori iconografici; è diver-tente il fatto che, secondo quanto riferisce Federica Casprini, nelle

vecchie guide l’affresco di Scor-giano veniva letto, cadendo nel-l’equivoco cui accennavo di sopra, come Sposalizio: sembra quasi che in passato certi autori pensassero all’ipotesi di un clamoroso matri-monio civile contratto da Maria e Giuseppe.

La contea di Scorgiano, a sud di Colle di Val d’Elsa, in un terri-torio oggi spartito tra i comuni di Monteriggioni e di Casole d’Elsa, diviso in due parti tuttora apparte-nenti ai discendenti della famiglia Bichi di Siena, è documentata fino dal XV secolo, quando i Bichi si

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divisero in due rami. La loro ori-gine come insigne famiglia senese risale al 1239 ed il nome deriva da Bonico di Mainardo detto Bico.

Il borgo di Scorgiano è costi-tuito oggi da un nucleo di pochi edifici, da una villa padronale con parco e da una serie di poderi sparsi, tra i quali spicca per il suo nome e per la posizione domi-nante quello denominato Palaz-zo, oggi ruralizzato ma risalente sicuramente al Medioevo, come attesta il fatto che al suo interno si è trovato in anni recenti (fig. 15) uno stemma marmoreo datato 1324 della famiglia Colombini di Siena; è il tempo in cui viveva il beato Giovanni Colombini (1304 circa – 1367), fondatore dell’ordine dei Gesuati che si distinse soprat-tutto per l’assistenza ai malati ed agli appestati e che fu sciolto da Clemente IX nel 1668; la congre-gazione femminile è durata invece fino al 1872. A Venezia il nome dei Gesuati è legato alla grande chiesa di Santa Maria del Rosario, edificio ideato da Giorgio Massari e realizzato tra il 1726 ed il 1736, ornato di affreschi di Giambattista Tiepolo e di pale dello stesso pit-tore, oltre che di Sebastiano Ricci e Giambattista Piazzetta. Si tratta di una grande chiesa domenicana che deve il nome con cui è nota alla vicinanza di un edificio quat-trocentesco, pure situato sulla riva delle Zattere, di fronte alla Giu-

15.  Stemma Colombini, 1324, proveniente da Scorgiano (SI), collezione privata16.  Altar maggiore, XVIII secolo, Scorgiano (SI), Cappella Bichi Borghesi

(a fronte)13.  Giuseppe Nasini, Censimento di Maria e Giuseppe, Scorgiano (SI), Cappella Bichi Borghesi14.  Giuseppe Nasini, Censimento di Maria e Giuseppe, London, British Museum

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decca: la chiesa di San Girolamo o di Santa Maria della Visitazione, con annesso convento, che era un tempo la vera chiesa veneziana dei Gesuati e che ha la caratteristica di racchiudere al suo interno un soffitto in cui sono incastonati gli unici dipinti umbro-perugineschi visibili nella città lagunare.

Nella cappella Bichi, poi, dalla seconda metà del Settecento, Bichi Borghesi a Scorgiano era conser-vata fin dall’origine un’immagine venerata a livello locale della Madonna con il Bambino e angeli attribuita un tempo a Giacomo Pacchiarotti, il pittore senese che nel 1982 Alessandro Angelini ha identificato con Pietro Orioli9, ma poi riconosciuta come opera di Giovanni di Lorenzo Cini; una copia di essa è tuttora sull’altar maggiore della cappella come la

vediamo oggi (fig. 16) e che fu consacrata, come scrive Federica Casprini, nel 1741, ma l’originale è pure conservato.

Nell’edificio preesistente, sul quale non sono finora state repe-rite notizie d’archivio esaurienti, la pala dell’altare maggiore o del-l’unico altare esistente, affiancata da due colonne lignee, racchiude-va al centro l’immagine venerata e raffigurava a sua volta (fig. 17) quattro santi a figure intere, due in piedi e due in ginocchio che in origine dovevano affiancare una Madonna in trono, sacrificata per aprire un riquadro nel mezzo; in basso, un paesaggio. Questa pala, risalente ai primi anni del Seicen-to, è stata recuperata in anni recen-ti tra gli oggetti appartenenti agli eredi Bichi Borghesi e riconosciuta dallo scrivente: affidata alle cure

della Soprintendenza nella perso-na di Alessandro Bagnoli, funzio-nario competente per territorio, è stata restaurata e collocata su un altare della Collegiata di Casole d’Elsa (SI), nel cui comune si trova l’attuale cappella Bichi Borghesi; nel medesimo museo sono visibili altri oggetti di un certo valore sto-rico artistico che provengono dalla cappella di Scorgiano.

Sulla facciata, sotto il porti-co, ai lati del portale di accesso, Giuseppe Nasini ha eseguito due affreschi: a destra la Visitazione e a sinistra il Censimento di Giuseppe e Maria. Si tratta di due riquadri che vedo spesso da una quindici-na di anni, ma solo di recente ho potuto constatare che la seconda di queste scene costituisce una vera e propria rarità iconografica. Credo che la loro presenza attesti

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la devozione del committente, il conte Firmano Bichi, per la Santa Casa di Loreto, dove al rilievo di Francesco da Sangallo con il Censimento di Maria e Giuseppe è affiancato quello che raffigura la Visitazione: abbinamento presente pure a Scorgiano, sia pure con l’ordine scambiato.

Tra i testi apocrifi10, il Vangelo dello pseudo-Matteo inizia con la storia di Gioacchino e Anna; riferi-sce del censimento indetto da quel-lo che chiama Cirino, governatore della Siria, ma non parla né della registrazione di Giuseppe e Maria, né dell’impossibilità per loro di trovar posto in un albergo: appena giunti a Betlemme, essi vengono condotti da un angelo nella grotta dove nasce Cristo. Giuseppe, dopo aver affidato ai propri figli Maria ormai prossima al parto, trova poi e fa intervenire le due levatrici, Salome e Zelomi, entrambe visibili (fig. 18) in una Natività di Robert Campin, il cosiddetto, succitato Maestro di Flémalle, eseguita nel 1425 e conservata nel Musée des Beaux-Arts a Digione. Una di esse è visibile pure (fig. 19) nella Nativi-tà esposta sotto il nome di Giovan-ni Bellini nel Museo Amedeo Lia a La Spezia; si tratta di una tavoletta che costituiva il pannello centrale di una sorta di paliotto o dossale

pubblicato da Roberto Longhi nel 1946 con un’attribuzione ad Anto-nio Vivarini. Il complesso, smem-brato, era composto di ventitré tavolette raffiguranti, oltre alla Natività, l’Annunciazione, quattro storie di santi e sedici episodi della Passione di Cristo. Come ho già scritto anni fa11, l’insieme è stato eseguito da due pittori attivi nella bottega di Jacopo Bellini poco pri-ma del 1460; uno dei due, quello che raggiunge un maggior livello qualitativo come disegno e capa-cità di costruire figure credibili, è quasi sicuramente un giovanissi-mo Giovanni Bellini.

Il Protovangelo di Giacomo riferi-sce del fidanzamento di Giuseppe e Maria e del bastone di Giusep-pe da cui vola via una colomba che gli si posa sulla testa; non so invece da quale tradizione nasce l’iconografia del bastone di San Giuseppe che fiorisce e che è pro-posta abitualmente nelle raffigu-razioni pittoriche dello Sposalizio. Narra poi l’Annunciazione e la Visitazione, dopo di che Maria si chiude in casa per nascondere il ventre che si ingrossa. Giuseppe la scopre incinta, rimane dubbioso sul da farsi finché sogna l’angelo che gli spiega cosa sta accadendo. Vengono però scoperti dai sacer-doti e sottoposti, nel Tempio, alla

prova dell’acqua che superano: dopo averla bevuta, la loro pelle non si macchia, fatto che dimostra la loro innocenza. Uno dei figli di Giuseppe tira l’asina durante il viaggio verso Betlemme. Quando Giuseppe va a cercare una levatri-ce, Maria rimane nella grotta, affi-data ai figli del marito. Neppure Giacomo tratta del censimento e dell’albergo.

Il Vangelo dello pseudo-Tommaso, il cui originale è probabilmente greco, pur se esiste un codice re-datto in siriaco, considerato più tardo, inizia con la narrazione dell’infanzia di Cristo che realizza piccoli volatili di argilla e si di-fende dall’accusa di impegnare il sabato in quest’attività battendo le mani e facendo volare via gli uc-cellini. Nei codici latini di questo testo è premesso un capitolo che narra la fuga in Egitto.

Il Vangelo dell’Infanzia arabo-siriaco inizia con la trasferta di Maria e Giuseppe a Betlemme, narrando solo il viaggio e la nasci-ta del Bambino, senza un cenno al censimento.

Il Vangelo dell’Infanzia armeno inizia con la vicenda di Gioacchino e Anna. Riferisce i nomi dei magi, Gaspare, Melchiorre e Baldas-sarre. Giuseppe e Maria vanno a Betlemme perché il parto avvenga

a fronte)17.  Scuola senese, inizio XVII secolo, Pala d’altare, Casole d’Elsa (SI), Collegiata

19.  Giovanni Bellini, Natività, La Spezia, Museo Amedeo Lia

18.  Robert Campin, Natività, Dijon, Musée des Beaux-Arts

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lontano da casa. Passa sotto silen-zio il censimento.

Pure il Libro sulla Natività di Maria inizia con la storia di Anna e Gioacchino. Narra poi il viaggio a Betlemme e la nascita del Bambi-no, trascurando il censimento.

1) A questo proposito ricordo la bella mostra aperta dal 24 aprile al 4 ottobre 2009 a Illegio di Tolmezzo (UD): Apocrifi Memorie e leggende oltre i Vangeli, catalogo della mostra a cura di Alessio Geretti e Se-renella Castri con saggi di Francesca Paola Massara, Gigetta Dalli Regoli, Sara Tarissi De Jacobis, Dušan Buran, Milvia Bollati, Elena Filippi, Ryszard Knapiński, Harald Schwaetzer, Milano 2009.2) Mi sono soffermato sull’iconografia di San Giuseppe molti anni fa: cfr. A. Tem-pestini, Il San Giuseppe di Pellegrino da San Daniele, in ‘Antichità Viva’, X, 5, 1971, pp. 16-21.3) A. Pigler, Barockthemen. Eine Auswahl von Verzeichnissen zur Ikonographie des 17. und 18. Jahrhunderts, II ed., Budapest 1974, 3 voll.; L. Réau, Iconographie de l’art chrétien, II, 2, Paris 1957, p. 217; G. Schiller, Ikonographie der christlichen Kunst, 7 voll., I, Gütersloh 1966, pp. 68-69; H. van de Waal, Iconclass, an iconographic classification sys-tem, System, vol. 7, Amsterdam/Oxford/New York 1981, p. 190.4) Sulla chiesa di Chora si possono consul-tare P. Underwood, The Deisis Mosaic in the Kahrie Cami at Istanbul, in Late Classical and Mediaeval Studies in Honor of Albert Mathias Friend, Jr, a cura di K. Weitzmann, Prince-ton (N. J.) 1955, pp. 254-260: scritto durante i restauri, datava il mosaico ai primi del Trecento; non citava il Censimento. Si veda pure A. Grabar, La décoration des coupoles à Karye Camii et les peintures italiennes du Dugento, in ‘Jahrbuch der österreichischen byzantinischen Gesellschaft’, VI, 1957, pp. 110-124: datava i mosaici al primo Trecento e li riteneva simili agli affreschi contemporanei nel nartece della chiesa della Madonna “Leviška” a Prizren in Macedonia (oggi nel Kossovo), allora ine-diti. Il mosaico raffigurante il Censimento in Kariye Camii è pubblicato in pagine pieghevoli nel fascicolo n. 33 della serie ‘L’arte racconta’, curato da A. Grabar e T. Velmans, Milano/Ginevra 1965, pp. 30-32. Gli autori datano la costruzione della chie-sa tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo, su iniziativa prima di Teodora Doucas, matrigna di Alessio I Comneno e poi di suo nipote Isacco Comneno, raffigurato come donatore nella Deesis. La decorazione che si vede tuttora è frutto del restauro promosso all’inizio del XIV secolo da Teodoro Meto-chite, consigliere dell’imperatore Androni-co II Paleologo. Un commento al mosaico con il Censimento si trova in P. Weiss, Die Mosaiken des Chora-Klosters in Istanbul. Theo-logie in Bildern aus spätbyzantinischer Zeit, Stuttgart/Zürich 1997, pp. 87-88: rileva che

Maria e il governatore Quirino sono più alti delle altre figure e ad essi corrispondono due strutture architettoniche torreggianti, come a volerne sottolineare un ruolo da protagonisti. Giuseppe, con i suoi figli, dice, secondo il Protovangelo di Giacomo, 17, 1: “Farò registrare i miei figli, ma cosa debbo fare con questa ragazza? La farò re-gistrare? Come mia moglie? Mi vergogno.” Secondo questo testo Giuseppe e Maria a quel momento non sarebbero ancora stati sposati. Si veda ancora in generale su Kariye Camii J. Freely e A.S. Çakmak, By-zantine Monuments of Istanbul, Cambridge (Mass) 2004, in part. pp. 269-284, tavv. XLVI-L; H.A. Klein e R.G. Ousterhout (a cura di), Restoring Byzantium, The Kariye Camii in Istanbul and the Byzantine Insti-tute Restoration, in part. N. Teteriatnikov, The Byzantine Institute and its Role in the Conservation of the Kariye Camii, New York 2004, pp. 43-60. Si vedano infine F. Cimok, Mosaics in Istanbul, Istanbul 2005, pp. 118-201: riferisce che la chiesa fu trasformata in moschea nel 1510 da Atik Alì Pasha, Gran Vizir del sultano Bayezit II, coprendo af-freschi e mosaici che hanno potuto quindi esser recuperati attraverso restauri diretti dal 1948 al 1960 prima da Thomas Whit-temore, fondatore dell’Istituto bizantino, e completati da Paul A. Underwood. Nella scena del Fidanzamento di Maria e Giuseppe la mazza di quest’ultimo germoglia. N. Bätzner, Himmlische Gewebe. Zu den Mo-saiken des Chora-Klosters in Istanbul, in J. Endres, B. Wittmann e G. Wolf (a cura di), Ikonologie des Zwischenraums. Der Schleier als Medium und Metapher, München 2005, pp. 193-211: instaura un confronto tra gli affreschi di Giotto a Padova e i mosaici di Kariye Camii, ma riesce a non rilevare che la scena del Censimento si trova solo a Istan-bul: come dire, aria fritta. Fondamentale è infine il saggio di R. S. Nelson, Taxation with Representation. Visual narrative and the political field of the Kariye Camii, in ‘Art History”, vol 22, n. 1, marzo 1999, pp. 56-82, con bibliografia precedente. Ringrazio Sedat Bornovali, traduttore in simultanea della conferenza che ho tenuto a Istanbul, presso il Museo Sabanci, il 20 febbario 2010, per avermi segnalato e fornito questo saggio.5) Sul dipinto oggi conservato nella Na-tional Gallery di Londra si vedano A. Venturi, Luca Signorelli, Firenze 1922, p. 64 e fig. 85: lo considera opera della bottega. L. Dussler, Signorelli, des Meisters Gemälde, Stuttgart, Berlin und Leipzig 1927, p. 202, n. 48, registra la firma del pittore sul fregio del tempio (che è l’edificio in cui si svolge il censimento). Secondo P. Scarpellini, Luca Signorelli, Firenze 1964, pp. 33 e 106, la Natività della National Gallery di Londra è certamente la migliore tra quelle che ci ha lasciato Signorelli ed è quella risalente al 1496 che proviene dalla chiesa di San Fran-cesco a Città di Castello. Già M. Davies, nel suo esemplare catalogo di dipinti della National Gallery di Londra The earlier ita-lian Schools, London 1951, aveva rivalutato come autografo il dipinto, rilevando inoltre

sullo sfondo al centro, sotto un portico, una scena che sembra illustrare il decreto di tas-sazione di Augusto. Davies riteneva molto probabile che si trattasse della pala d’alta-re proveniente da San Francesco in Città di Castello, citata da Vasari e risalente, secondo le antiche fonti, al 1496. C. Baker e T. Henry, The National Gallery Complete Illustrated Catalogue, London 2001, p. 628 registrano pure la gente che si raduna sotto un portico per pagare la tassa.6) K. Weil-Garris, The Santa Casa di Loreto. Problems in Cinquecento Sculpture, New York & London, 1977, 2 voll., I, pp. 249-256, fig. 68; II, Libro Giornale L: 1533 – 1535, f. 15b, n. 1270: F. Sangallo 1533 21 DEC A m° Francesco di Vincenzo [sic] da Sangallo f. cento cinquanta si fanno boni a m Hieroni-mo nostro Thesauriero per tanto pagatoli et per conto di Dti 200 se li da per una historia di marmoro per l’Ornamento della Cappel-la factaci quale fu stimatta da m° Ant° da Sangalo per D 2000 F. Questo è un aggior-namento della tesi presentata dall’autrice nel 1965 presso l’università di Harvard: il rilievo è l’unica raffigurazione del rilievo nota alla studiosa; F. Grimaldi e K. Sordi, Santa Casa di Loreto. Ornamento marmoreo, Loreto 1999, p. 353. Nei documenti citati nel volume l’autore del rilievo viene chia-mato Francesco di Vincenzo da Sangallo, ma, come attesta K. Weil-Garris, non risul-ta nessun Vincenzo nell’albero genealogico degli architetti e scultori da Sangallo: si tratta di Francesco, figlio di Giuliano da Sangallo, che ha lasciato molte opere anche a Firenze. Ringrazio Marco Collareta per avermi segnalato questo rilievo.7) R. Eitel-Porter, Artistic Co-operation in late sixteenth-century Rome: the Sixtine Chapel in S. Maria Maggiore and the Scala Santa, in ‘The Burlington Magazine’, CXXXIX, lu-glio 1997, pp. 452-462, in part. pp. 453-454. L’attribuzione proposta da Cecchi era già stata confermata da Philip Pouncey: cfr. M. Chiarini, G. Dillon, A. Petrioli Tofani, Philip Pouncey per gli Uffizi. Disegni italiani di tre secoli, Catalogo mostra GDSU, Firenze 1993, p. 100.8) F. Casprini, Un contributo ai Nasini: alcuni disegni per gli affreschi della cappella Bichi Borghesi a Scorgiano, in ‘Bullettino senese di storia patria’, CIX, 2002, pp. 556-567; Idem, La cappella Bichi-Borghesi a Scorgiano, tesi di laurea in storia dell’arte moderna, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in D.A.M.S., relatore Prof. Vera Fortunati, anno accademico 1997-98, in part. p. 60; L. Cimino, E. Giffi Ponzi, V. Passeri, Casole d’Elsa e il suo territorio, Catalogo della mo-stra (Casole d’Elsa 1988), Radda in Chianti 1988, in part. pp. 166-173.9) A. Angelini, Da Giacomo Pacchiarotti a Pietro Orioli, in ‘Prospettiva’, n. 29, 1982, pp. 72-78.10) I vangeli apocrifi, a cura di M. Craveri, con un saggio di G. Pampaloni, Torino 2001.11) A. Tempestini, Riflessioni su alcune opere di Giovanni Bellini o a lui attribuite, in ‘Studi di storia dell’arte’, XIV, 2003, pp. 89-108.