Una lingua senza frontiere: le poesie in Portunhol/Portuñol di Fabián Severo

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA Dipartimento di Lettere-Lingue, Letterature e Civiltà Antiche e Moderne CORSO DI LAUREA IN LINGUE E LETTERATURE MODERNE Tesi di Laurea Magistrale Una lingua senza frontiere: le poesie in Portunhol/Portuñol di Fabián Severo Laureanda Relatore Cristiana Crinò Chiar.ma Prof.ssa Paula Cristina de Paiva Limão Anno Accademico 2013-2014

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA

Dipartimento di Lettere-Lingue, Letterature e Civiltà Antiche e Moderne

CORSO DI LAUREA IN LINGUE E LETTERATURE MODERNE

Tesi di Laurea Magistrale

Una lingua senza frontiere: le poesie in Portunhol/Portuñol di Fabián Severo

Laureanda

Relatore

Cristiana Crinò Chiar.ma Prof.ssa Paula Cristina de Paiva Limão

Anno Accademico 2013-2014

INDICE

INTRODUZIONE

I

CAPITOLO I

Il plurilinguismo in Brasile e in Uruguay

p. 1

I. 1. Lingua storica e Dialetto “ 3

I. 1.1. I significati del termine “dialetto” “ 6

I. 1.2. I dialetti e le parlate “ 12

I. 1.3. Diglossia e Bilinguismo “ 14

I. 2. Il portoghese e lo spagnolo in America Latina

“ 18

I. 2.1. Il portoghese del Brasile “ 20

I. 2.2. Studi dialettologici in Brasile “ 26

I. 3. Lo spagnolo d’America “ 30

I. 3.1. Il dialetto rioplatense “ 32

I. 3.2. Lo spagnolo dell’Uruguay “ 38

CAPITOLO II

Portunhol/Portuñol: la costruzione di una lingua di frontiera

“ 44

II. 1. Frontiera geo-politica tra il Rio Grande do Sul e l’Uruguay

“ 44

II. 1.1. La “terra di nessuno” “ 47

II. 1. 2. La República Oriental del Uruguay “ 51

II. 2. Cos’è la frontiera “ 53

II. 2.1. Una frontiera mobile “ 61

II. 2.2. Identità “doble-chapa” “ 64

II. 2.3. Il contrabbando “formica” “ 66

II. 3. Lingue di frontiera “ 70

II. 4. Il portoghese in Uruguay “ 75

II. 4.1. Designazioni del Dialecto

Fronterizo

“ 79

CAPITOLO III

Il Portunhol/Portuñol nella poesia di Fabián Severo

“ 87

III. 1. Il “problema fronterizo” “ 87

III. 2. Grammatica del portunhol/portuñol “ 91

III. 2.1. Principali aspetti lessicali “ 94

III. 2.2. Semplificazioni morfosintattiche “ 99

III. 2.3. Caratteristiche fonologiche “ 102

III. 3. Musica e Letteratura fronteriza/fronteiriça

“ 107

III. 3.1. Prosa e Versi in portunhol/portuñol “ 110

III. 4. Fabián Severo “ 115

III. 4.1. Noite Nu Norte. Noche En El

Norte e Viento de Nadie

“ 118

CONCLUSÃO

“ 133

APPENDICE INTERVISTA A FABIÁN SEVERO

“ 137

BIBLIOGRAFIA

“ 144

SITOGRAFIA “ 154

i

INTRODUZIONE

Gli anni che stiamo vivendo sono caratterizzati sempre più da cambiamenti

sociali e culturali, dovuti in particolare alla globalizzazione mondiale, la quale ha

completamente rivoluzionato il ventesimo e il ventunesimo secolo.

In tale contesto, interessantissimo è stato il sorgere di numerosi dibattiti legati ai

concetti di “diversità” culturale e linguistica – specie nei paesi dell’America Latina,

dove sono presenti molteplici realtà socio-culturali e linguistiche differenti – e le

questioni riguardanti l’interazione fra la lingua nazionale e i dialetti, ovvero quelle

vivacissime varietà linguistiche capaci, alle volte, di assurgere a lingua letteraria.

Tale dialettica linguistico-culturale dà origine a forme di interferenza o di

mescolanza tra le lingue all’interno di uno stesso territorio, ne è un esempio il

Portunhol/Portuñol sudamericano, varietà della lingua portoghese del Brasile

parlato nel nord dell’Uruguay.

Per comprendere come la lingua o il dialetto portunhol/portuñol si sia, per così

dire, insediato in questo piccolo Stato di lingua spagnola, è importante ripercorrere

la Storia del nord dell’Uruguay, fascia territoriale confinante con il Rio Grande do

Sul, al sud del Brasile. Difatti, nelle zone uruguagie di frontiera con il meridione

brasiliano possono coesistere particolari situazioni di bilinguismo o anche

trilinguismo: le classi medio-alte della società parlano sia lo spagnolo che il

portoghese, o anche il portunhol/portuñol; mentre le persone appartenenti alle

classi basse della società conoscono unicamente il dialetto portunhol/portuñol, ma

riescono a parlare pure lo spagnolo, lingua che hanno appreso a scuola.

Il plurilinguismo che caratterizza la società di frontiera brasiliana-uruguagia si

riversa quindi nella letteratura, la quale, attraverso l’intersezione con i dialetti di

base portoghese presenti nel “Paisito”, diventa il principale motore di diffusione

linguistico-culturale del Portunhol/Portuñol.

ii

Nel primo capitolo ci siamo proposti di delineare una breve panoramica sul

concetto di “lingua storica” – da intendersi come sistema o struttura soggiacente a

quelle che noi definiamo lingua portoghese, spagnola, italiana, ecc.; riconosciute

dai parlanti di uno stesso dominio linguistico e dallo Stato – ovvero la lingua

nazionale o ufficiale; e la nozione di “dialetto”, variante regionale di una

determinata lingua storica.

Basandoci sugli studi riguardanti l’argomento, sappiamo che la principale

differenza tra lingua e dialetto consiste nel valore politico, culturale e letterario che

quest’ultimo non possiede, impedendo in tal modo una sua standardizzazione

ortografica. Il dialetto, tuttavia, può anche identificare una struttura linguistica

autonoma, con delle caratteristiche proprie che si distinguono dalla lingua

nazionale operando una netta separazione tra i due codici linguistici.

In tal caso, il dialetto viene considerato parte fondamentale della formazione

storica e culturale della comunità che lo utilizza e lo riconosce come lingua

materna. Ciononostante, bisogna riconoscere la difficoltà che sussiste nella

distinzione tra lingua e dialetto, specie quando quest’ultimo mostra diversi punti di

contatto con essa.

In effetti, quando ci si trova dinanzi a simili situazioni, assistiamo a due

principali fenomeni linguistici da parte dei parlanti: la diglossia e il bilinguismo.

La diglossia pone le lingue utilizzate dal parlante in una sorta di scala

gerarchica, nella quale il dialetto occupa il secondo posto rispetto alla lingua

nazionale e viene quindi utilizzato esclusivamente in contesti familiari o affettivi,

mentre la lingua nazionale si sceglie per i contesti comunicazionali ufficiali.

Al contrario, il bilinguismo considera le lingue o i dialetti in uso di valore paritario

e, a questo punto, il parlante può scegliere di utilizzarle simultaneamente

all’interno di una conversazione con altri soggetti bilingue, come accade nelle

comunicazioni orali dei parlanti delle zone di frontiera.

Successivamente, abbiamo ripercorso il vissuto storico-linguistico parallelo del

portoghese e dello spagnolo in America Latina, poiché, come sappiamo, sono

state le due principali lingue di colonizzazione nel Nuovo Mondo durante il XV e il

XVI secolo. Il “trasferimento” delle due lingue europee nei territori d’Oltremare ha

inequivocabilmente trasformato la loro struttura interna, generando, specie nel

caso del portoghese del Brasile, varietà linguistiche distinte dalla variante

continentale della lingua.

iii

Dopo un breve excursus storico-linguistico del portoghese del Brasile e dello

spagnolo in Uruguay, abbiamo analizzato le loro peculiarità fonetiche e

morfosintattiche, cercando di individuare quei fenomeni linguistici particolari che

possono essersi dislocati nella grammatica del portunhol/portuñol.

Nel secondo capitolo abbiamo approfondito la Storia della frontiera,

specificatamente quella del Rio Grande do Sul e del nord dell’Uruguay.

Le lotte per il possedimento della Banda Orientale, attuale Uruguay, furono

tantissime, come furono innumerevoli i trattati che si stipularono tra il Portogallo e

la Spagna prima, e il Brasile e l’Argentina dopo, per garantire un’equa spartizione

dei territori del Sudamerica.

È con l’intervento dell’Inghilterra e la firma del Trattato Preliminare che nasce la

Repubblica Orientale dell’Uruguay, una nazione priva, almeno fino al 1830, di

confini territoriali e politici con il sud del Brasile.

I rapporti tra gli abitanti dei due lati della frontiera sono stati in passato, così

come adesso, intensissimi. Le relazioni commerciali, cause principali dei contatti

tra brasiliani ed uruguagi, hanno portato alla creazione di cinque centri urbani bi-

nazionali: Río Branco (UR) e Jaguarão (BR), Artigas (UR) e Quaraí (BR), Aceguá

(UR) e Aceguá (BR), Chuy (UR) e Chuí (BR), Rivera (UR) e Sant’Ana do

Livramento. La frontiera, differentemente da quel che si può pensare, ha

contribuito quindi ad incrementare i contatti tra le due nazioni e a definire un tipo di

identità culturale fronteriza/fronteiriça che necessitava di una nuova varietà

linguistica “mista” – né lo spagnolo, né il portoghese – capace di identificare i

parlanti di quella determinata comunità.

Una distinzione fondamentale è da farsi tra la varietà di portoghese usata dai

parlanti bilingue e il dialetto fronterizo/fronteiriço vero e proprio – il

portunhol/portuñol – che rappresenta un sistema linguistico indipendente.

Le designazioni utilizzate dai parlanti stessi del portunhol/portuñol per definire

tale lingua consentono di percepire un profondo sentimento di inferiorità da parte

degli “aportunõlizados” rispetto ai parlanti del portoghese del Brasile o dello

spagnolo uruguagio.

L’aumento dei parlanti dell’idioma castigliano in Uruguay ha permesso che il

portoghese parlato nella frontiera perdesse di valore sociale e politico, divenendo

il dialetto che caratterizza le persone di basso livello sociale e d’istruzione.

iv

Un altro fattore determinante per la “condanna” del portunhol/portuñol è la

presenza del portoghese brasiliano nella televisione uruguagia, che esaspera, per

così dire, l’insicurezza linguistica della comunità brasiliana-uruguagia.

Non dimentichiamo, tuttavia, che il portunhol/portuñol rappresenta la lingua

materna di gran parte della popolazione uruguagia del nord e che, ancora oggi,

nonostante i canoni stilistici imposti dalla società montevideana, vi sono

fronterizos orgogliosi della propria cultura e della lingua con la quale sono cresciuti

e si sono formati.

Il terzo capitolo si concentra, inizialmente, sul cosiddetto “problema fronterizo”,

vale a dire sulla questione dell’educazione nelle zone di frontiera, tematica in

passato ignorata. È a partire dal 2003 che il governo uruguaiano ha deciso di

istituire il bilinguismo nelle scuole primarie e secondarie – Ley General de

Educación N° 18.437 e Programa de Educación Inicial y Primaria – e considerare

il portunhol/portuñol della frontiera come una delle lingue materne presenti nel

Paese. Attualmente sono tantissimi i giovani cantautori e compositori brasiliani e

uruguaiani che grazie alla musica e le loro canzoni hanno rivalorizzato la cultura e

la lingua della frontiera, è il caso dell’uruguagio Ernesto Díaz, o del brasiliano

Martim César. Altrettanti sono stati gli scrittori del Rio Grande do Sul o

dell’Uruguay, ad esempio, Aldyr Garcia Schlee o Saúl Ibargoyen, che con le loro

singolari narrazioni hanno descritto la frontiera come un luogo pericoloso, di

contrabbando, di violenza, di trasgressioni e, al tempo stesso, l’entrata in un

mondo mitologico, una condizione più che fisica, psicologica, direbbe il poeta

uruguagio Javier Etchemendi.

È in questo contesto che si inserisce la poesia fronteriza contemporanea di

Fabián Severo, giovane autore di due bellissimi libri in portunhol/portuñol: Noite

Nu Norte. Noche En El Norte (2011) e Viento de Nadie (2013).

Nato in Uruguay, nella città di Artigas nel 1981, prima di diventare docente di

letteratura, ha studiato Lingua e Letteratura al CERP (Centro Regional de

Profesores del Norte) di Rivera e, dal 2004, si è trasferito a Montevideo dove

risiede per praticare la sua professione.

L’originalità della sua poesia consiste, a nostro avviso, nell’avere intuito una

dimensione “altra” del portunhol/portuñol, un aspetto linguistico non superficiale

che gli ha permesso di adattare la forma della lingua alle tematiche da lui

affrontate.

v

Il poeta ha saputo “riscrivere” i suoni di questa particolarissima varietà dialettale

del portoghese – che egli stesso definisce lingua materna – per ricostruire la storia

della città natale e rivivere la sua infanzia.

Fabián Severo, attraverso la voce spensierata di un bambino cresciuto in un

quartiere umile della frontiera, ha saputo cogliere ironicamente le speranze della

povera gente. I suoi versi affrontano questioni strettamente correlate alla frontiera

tra il Brasile e l’Uruguay, quindi quelle della lingua portunhol/portuñol o l’identità

fronteriza, ma presentano anche tematiche importanti come la fame, la miseria, la

solitudine, la dignità umana, con un tono mai estremamente duro o panflettistico.

Le poesie descrivono al lettore i ricordi del passato di Fabián Severo, offrendoci

un fedelissimo spaccato di vita quotidiana di una città di frontiera – Artigas – e dei

suoi abitanti, raccontato con parole volte a ricreare melodie e sensazioni

tipicamente fronterizas.

1

CAPITOLO I Il plurilinguismo in Brasile e in Uruguay

In un mondo come quello in cui attualmente viviamo, caratterizzato sempre più

dalla multiculturalità, comincia ad essere ampiamente dibattuta la questione del

multilinguismo o del plurilinguismo.

Il percorso che ci ha guidati nella ricerca e nell’elaborazione di tale lavoro è

stato segnato dalla volontà di far conoscere una delle varietà della lingua

portoghese in America Latina, ovvero quella denominata Portunhol/Portuñol, –

utilizzando le grafie di entrambe le lingue – un insolito dialetto parlato e conosciuto

nelle città di frontiera tra il Brasile e l’Uruguay. Tale dialetto, altresì definito

lenguaje fronterizo – o semplicemente fronterizo – è un’espressione linguistica

particolare che custodisce e racchiude in sé un comune passato storico e sociale,

non esente, tuttavia, da duri scontri politico-militari che si sono susseguiti nel corso

di circa centocinquanta anni.

Lo scopo del presente studio è, pertanto, quello di ripercorrere le origini del

suddetto Portunhol/Portuñol, tenendo ovviamente conto del particolare contesto

storico in cui questo si è generato, e dimostrare come i popoli della frontiera

possano manifestare, attraverso di esso, una cultura e delle tradizioni

assolutamente singolari all’interno di un panorama sociale e linguistico tutt’altro

che compatto e unitario.

Attraversando il percorso socio-storico dei due Paesi, ci rendiamo conto che

anche la famosa “Atene del Río de la Plata”, o la “Svizzera dell’America”1 –

1 Alla fine del secolo XIX, durante l’era Batllista, sotto il governo del presidente José Batlle y Ordóñez, l’Uruguay aveva consolidato la propria organizzazione territoriale e politica raggiungendo alti livelli di benessere, pari a quelli dell’Europa. Grazie a questo, l’Uruguay cominciò ad essere riconosciuto mondialmente come la “Svizzera dell’America”. Importante ricordare che l’Uruguay è stato uno dei primi paesi in Sudamerica a stabilire la legge sul divorzio (1917) e ad approvare il diritto di voto per le donne (http://es.wikipedia.org/wiki/Uruguay).

2

definizioni che, in un passato non più recente e sotto un’ottica assolutamente

eurocentrica, servivano a rappresentare la Repubblica Orientale dell’Uruguay –

perde quell’unità geografica, etnografica e sociale che lo aveva da sempre

accompagnato.2 È a partire dal 1877 circa che l’Uruguay subisce grandissime

trasformazioni a livello politico e linguistico con l’approvazione della Ley de

Educación Común stilata da José Pedro Varela,3 il quale aveva introdotto l’obbligo

dell’insegnamento nella Scuola Primaria della lingua spagnola, idioma nazionale.

L’accettazione di questa legge servì ad assorbire le minoranze linguistiche lì

presenti e a rendere il Paese una nazione cosmopolita, secondo il modello

europeo. Il programma educativo vareliano, tuttavia, ebbe esito positivo nelle aree

urbane centrali del Paese, come Montevideo, cosicché «los hablantes de diversas

lenguas que se integraron al quehacer nacional se asimilaron lingüísticamente a

un español básico preexistente» (GRILLO, 1994: 21) e, di conseguenza, le diverse

lingue che circolavano nel territorio si sottomisero al sistema linguistico vigente.

Nelle zone di frontiera confinanti con il Brasile – il cui sostrato linguistico era il

portoghese – la politica educativa montevideana provocò risultati insperati,

generando nette differenze sociali. Ancora oggi, le classi medio-alte della società

uruguagia del nord sono generalmente bilingue (spagnolo, portoghese) o trilingue

(spagnolo, portoghese, portunhol/portuñol), le classi basse conoscono solamente

il portunhol/portuñol e hanno appreso lo spagnolo a scuola, lingua che utilizzano in

situazioni comunicative “ufficiali”; infine, la minoranza gaucha ha conservato e

continua a parlare il proprio dialetto, consacratosi nella famosa letteratura

gauchesca (IDEM).

2 In realtà, scrive Hugo Achugar, «la homogeneidad de la sociedad y de la cultura uruguaya ha sido por años incuestionada basada en la trilogía: idioma, etnia e historia de un espacio geográfico. La homegeneidad única para el conjunto de la sociedad». Ciò significa che, secondo Hugo Achugar, la classe dirigente del governo uruguaiano ha fagocitato, durante il corso della storia, le diversità del Paese, proponendo un modello unitario e omogeneo e ignorando, senza alcuna preoccupazione, la realtà multietnica che li circondava (GRILLO, 1994: 20). 3 Famoso filosofo e pedagogo uruguagio, José Pedro Varela (Montevideo, 1845 – ivi, 1879), iniziò la sua attività giornalistica a soli 20 anni. Nel 1867 realizzò un viaggio in Europa, a Parigi, dove conobbe lo scrittore francese Victor Hugo. Poco dopo si recò negli Stati Uniti d’America, strinse amicizia con il politico e scrittore argentino Domingo Faustino Sarmiento, il quale contribuì ad accendere in lui l’interesse per l’Educazione. È in questi anni che cominciò a scrivere una serie di lavori volti a stabilire l’insegnamento obbligatorio e gratuito nello Stato uruguaiano. Nel 1868, ritornato in Uruguay, si impegnò nell’attività politica attraverso la direzione del quotidiano «La Paz» di Montevideo, del quale fu direttore fino al 1873. Creò, poi, la Sociedad de Amigos de la Educación Popular e tra il 1874 e il 1876 pubblicò due libri, La educación del pueblo e La Legislación escolar, affermando in essi la necessità di una riforma scolastica. A partire da questo momento, nominato anche Ministro dell’Educazione, decise di occuparsi interamente alle modifiche e al miglioramento del sistema educativo dell’Uruguay. Difatti, nel 1877 impose l’obbligo di frequentare la Scuola Primaria e istituì l’idioma castigliano come unica lingua ufficiale della Nazione (http://www.uruguayeduca.edu.uy/Portal.Base/Web/VerContenido.aspx?ID=209063).

3

È proprio la letteratura a distruggere, per così dire, la visione unitaria e mono-

linguistica dell’Uruguay e ad affermare una nuova identità che include i diversi

elementi sociali, culturali e linguistici presenti nell’area geografica della Banda

Orientale, attraverso il recupero della Storia dell’Uruguay come Paese di frontiera.

Conosciuto in tutto il mondo come il Paese plurietnico per eccellenza, il Brasile

ha, al contrario, da sempre valorizzato le tante culture, tradizioni, lingue e

minoranze etno-linguistiche presenti nel territorio. Come naturale conseguenza del

variegato panorama sociale, la lingua portoghese in Brasile possiede diverse

varietà linguistiche all’interno dell’idioma “base” che, in taluni casi, si distaccano

completamente dal portoghese del Portogallo o portoghese di norma europea.

È necessario, in tal senso, ripercorrere brevemente le fasi storiche del

consolidamento della lingua portoghese in Europa e in America Latina, prestando

particolare attenzione al contatto che questa ha instaurato nel corso dei secoli con

la lingua spagnola del Sudamerica, nello specifico lo spagnolo uruguagio.

Tale percorso servirà, dunque, a rendere chiaro al nostro lettore come il

portunhol/portuñol – lingua di frontiera – sia sopravvissuto nel tempo, divenendo

lingua materna di gran parte dell’attuale popolazione uruguagia del nord e lingua

letteraria della narrativa e della poesia uruguagio-brasiliana.

I. 1. Lingua Storica e Dialetto

Quando ci riferiamo alla lingua portoghese, spagnola, italiana o quella inglese,

alludiamo, senza rendercene conto, a una lingua come prodotto culturale storico,

concepita idealmente come un’unità.

Definita dalla disciplina della Linguistica4 come lingua storica, tale lingua viene

riconosciuta e accettata dai parlanti nativi o dalle comunità dei parlanti che

costituiscono lo stesso dominio linguistico e la utilizzano quotidianamente.

4 Con il termine si è soliti definire lo studio scientifico, peraltro condotto secondo le più diverse ottiche interpretative del linguaggio umano in tutte le sue possibili manifestazioni – comprendendo queste ultime, in generale, le lingue storicamente attestate, i rapporti che possono stabilirsi fra di esse sul piano di una classificazione in termini di parentela genetica o di affinità tipologica, le componenti (fonetiche, morfosintattiche, lessicali e semantiche) loro costitutive – ma con il presupposto di fondo che lo studio in questione, modernamente inteso, si attui comunque per mezzo di osservazioni controllate e verificabili empiricamente con riferimento ad una qualche teoria generale della struttura linguistica (BECCARIA, 1999: 443).

4

Secondo il grammatico brasiliano Evanildo Bechara, una lingua storica

«encerra em si várias tradições linguísticas, de extensão e limite variáveis, em

parte análogas e em parte divergentes, mas historicamente relacionadas»

(BECHARA, 2009: 31). Ciò significa che una lingua storica non può essere

considerata uniforme e invariabile, né tantomeno un sistema unico, poiché

racchiude in sé diverse tradizioni linguistiche, le quali contengono, a un tempo,

analogie e divergenze pur condividendo uno stesso processo storico.

Parlare di lingua portoghese, lingua spagnola, o di qualsiasi altro sistema di

comunicazione linguistica, significa operare un’astrazione o una generalizzazione,

poiché dietro tale denominazione esiste un’immensa gamma di variazioni del

linguaggio che derivano dal complesso delle caratteristiche dei singoli usuari di

quella determinata lingua. Ognuna di queste lingue, intese come sistemi o

strutture,5 sono pertanto delle astrazioni che si concretizzano sostanzialmente solo

nel momento in cui viene proferito un enunciato, mostrandosi sin da subito

notevolmente diversificate.

Consideriamo la lingua come il risultato di un processo storico evolutivo che

organizza la sua struttura interna nel tempo e nello spazio in un insieme di sistemi

contenenti tanto somiglianze quanto differenze a livello fonetico, grammaticale e

lessicale (IDEM).

Come affermano le studiose brasiliane Carlota Ferreira e Suzana Alice

Cardoso, in una lingua storica si possono generalmente distinguere tre principali

tipi di differenze interne:

1. diferenças de espaço geográfico ou diferenças diatópicas;

2. diferenças entre os distintos estratos socioculturais de uma mesma comunidade

idiomática, ou diferenças diastráticas;

3. diferenças entre os tipos de modalidade expressiva, de estilos distintos, segundo

as circunstâncias em que se realizam os atos de fala ou diferenças diafásicas.

(FERREIRA – CARDOSO, 1994: 12).

5 In Linguistica, la lingua viene considerata come un sistema, nel senso che ad un dato livello (fonema, morfema, sintagma) o in una data classe, esiste fra i termini un insieme di relazioni che li collega gli uni in rapporto agli altri in modo tale che, se uno dei termini subisce una modificazione, l’equilibrio del sistema ne risente (DUBOIS, 1983: 277).

5

Le espressioni “variazione diatopica”, “variazione diastratica” e “variazione

diafasica” sono state diffuse dagli studi di uno tra i più grandi studiosi della lingua

di tutti i tempi, Eugenio Coseriu.6

Secondo tali studi, per variazione diatopica si intende la variazione linguistica

creatasi su base geografica. Ciò significa che, le differenze linguistiche – in

particolare ci riferiamo alla fonetica e al lessico – sono più accentuate quando

l’estensione spaziale della lingua è molto vasta. All’interno di ogni varietà locale,

per Coseriu, è inoltre possibile cogliere alcune differenze linguistiche basate sullo

stato sociale del singolo parlante e altre differenze che riguardano invece il

registro, ovvero il livello espressivo proprio di una data situazione comunicativa.

A questo punto, possiamo definire la variazione diastratica come quella

variazione che serve ad individuare la condizione sociale dei parlanti in relazione

alla collettività e alla situazione comunicativa nella quale vengono proferiti gli

enunciati di un discorso.

Per ultima, ma non per questo meno importante, la variazione diafasica,

strettamente correlata al contesto comunicazionale nel quale il locutore si trova

inserito nel momento della realizzazione dell’atto linguistico, la quale permette di

distinguere i differenti stili o registri caratterizzanti la realizzazione del discorso.

Ciascuna di queste differenze si suddivide poi in tre tipologie di sottosistemi

relativamente omogenei che possiedono una coincidenza di tratti linguistici:

a) as unidades sintópicas, que são identificadas mais comumente como dialetos: o

dialeto nordestino, o dialeto de Fortaleza, de Gararu, dos Açores, etc.;

b) as unidades sinstráticas, as de estratos sociais, por exemplo, a linguagem culta,

a da classe média, a popular, etc.;

c) as unidades sinfásicas, ou de estilo de língua, por exemplo, a linguagem formal,

a familiar, a literária, etc. (IDEM).

6 Linguista di origine rumena, nato a Mihăileni il 27 luglio 1921. Ha compiuto gli studi universitari presso l'Università di Roma, e ha insegnato dal 1951 nell'Università di Montevideo e dal 1963 in quella di Tubinga. È cittadino uruguaiano. Studioso di ampie conoscenze, soprattutto classiche e romanze, è autore di numerosi articoli e volumi dedicati alla teoria del linguaggio, alla semantica, alla tipologia. A lui si deve l'elaborazione del concetto di ''norma'' in rapporto e accanto a quello di ''sistema'' (e alle categorie saussuriane classiche di langue e parole). Notevoli anche i suoi contributi sul latino volgare e il latino tardo, sull'etimologia e sulla storia della linguistica (http://www.treccani.it/enciclopedia/eugenio-coseriu/).

6

Le varianti sintopiche dette più comunemente dialetti – intesi qui come varianti

regionali, quali ad esempio il dialetto nordestino, di Fortaleza, di Gararu e il

dialetto delle Azzorre, attirano maggiormente l’attenzione dei linguisti perché vi è

la possibilità di riscontrare al loro interno altrettante variazioni diastratiche o

socioculturali, diafasiche o stilistiche, e così via.

Possiamo quindi affermare che i parlanti di una stessa lingua – provenienti o no

dal medesimo luogo d'origine – parlino in modo diverso gli uni dagli altri,

nonostante padroneggino la stessa lingua nativa.

Difatti, tenendo pure in considerazione il ceto sociale cui essi fanno parte e le

circostanze in cui avviene l’atto comunicativo, i locutori di una lingua possiedono –

nella stragrande maggioranza dei casi senza saperlo – caratteristiche linguistiche

assolutamente differenti. Avremo dunque la presenza simultanea di vari tipi di

linguaggio che possono essere colto, formale, letterario, di classe media, familiare,

popolare, e via dicendo.

In tal modo ci avviciniamo sempre più al concetto di dialetto il quale,

naturalmente, è legato a quello di lingua storica.

I. 1.1. I significati del termine “dialetto”

Le lingue storiche si caratterizzano per il fatto di possedere nella loro struttura

interna la presenza di numerose differenze o variazioni dialettali.

D’accordo con i dizionari di linguistica, chiamiamo variazione o varietà della

lingua il fenomeno in base al quale nella pratica corrente, una determinata lingua,

in un’epoca, in un luogo, in un gruppo sociale dato, non è mai identica a ciò che

essa è in un’altra epoca, o in un altro luogo, o in un altro gruppo sociale (DUBOIS,

1983: 751), ragion per cui molti linguisti preferiscono utilizzare tale espressione

come alternativa neutra e non connotata a termini quali “dialetto” o “parlata”,

carichi di pregiudizi e di stereotipi sociali.

La parola è ripresa dal latino dialectos, che a sua volta è un prestito dal greco

diálektos, termine che designava i diversi sistemi linguistici usati in tutta la Grecia,

ognuno per un determinato genere letterario.7

7 Il dialetto, considerato in Grecia come la lingua di ogni determinata regione, possedeva un proprio sistema lessicale, sintattico e fonetico: quello ionico, ad esempio, veniva utilizzato per il genere storico, non solo nella Ionia, ma in tutta la Grecia; mentre il dorico era usato per il canto corale (DUBOIS, 1983: 89).

7

Daterebbe al 1570 circa l’uso della parola dialetto con riferimento a realtà simili

a quelle per cui viene comunemente impiegata oggi. Per quanto riguarda il suo

significato, tuttavia, non esiste un valore semantico univoco e assolutamente non

ambiguo, né a livello di uso comune, né a livello vocabolaristico, né a livello di

impiego scientifico. Per taluni, il concetto di dialetto si definisce soltanto in

contrapposizione a quello di lingua, per altri è una forma della lingua modificatasi

per l’uso popolare, altri ancora sostengono che si tratti della lingua di una singola

località (BECCARIA, 1999: 219).

Certo è, che la principale differenza tra lingua e dialetto riguarda il valore

politico, culturale e letterario che caratterizzano la lingua, imponendo l’obbligo di

una sua standardizzazione ortografica, oltre al fatto non meno importante che a

differenza del dialetto, essa deve occupare una maggiore estensione geografica

(BECHARA, 2009: 48). Ad ogni modo, nel corso della storia, si sono verificate

situazioni particolari in cui determinati dialetti geografici sono divenuti nuove lingue

autonome o finanche lingue storiche. Sono da esempio in Portogallo il dialeto

mirandês o língua mirandesa, seconda lingua ufficiale del Paese dal 1998 e co-

ufficiale assieme al portoghese nei comuni di Miranda do Douro, Vimioso,

Bragança, Mogadouro e Macedo de Cavaleiros.

Tra i dialetti del Brasile possiamo invece fare menzione di una lingua derivata

da un dialetto italiano, o per meglio dire dal dialetto veneto, il talian – riconosciuto

recentemente come patrimonio nazionale. Questo è arrivato in America Latina

quando, intorno agli anni trenta del Novecento, milioni di immigrati italiani del nord

Italia – in particolare veneti – si stanziarono in Brasile con le famiglie e gli amici

per trovare lavoro.

Generalmente, si è soliti utilizzare il termine dialetto per rappresentare due

principali sistemi linguistici che mai prescindono gli aspetti culturali, storici e

geografici delle singole località dove questo viene parlato:

1. nel primo caso, “dialetto” definisce una varietà della lingua nazionale che

circoscrive una precisa famiglia linguistica;

2. nel secondo caso, il termine identifica una struttura linguistica autonoma

con delle caratteristiche proprie e un vissuto storico distinti rispetto alla

lingua nazionale.

8

Questa seconda e ultima accezione, a differenza della prima considera alcuni

elementi, – quali il possesso o meno di una tradizione letteraria, il numero più o

meno esteso dei parlanti, l’estensione della regione, provincia, singolo centro

abitato che lo utilizza – che permettono agli usuari del dialetto di considerarlo una

vera e propria lingua.

In tal caso, il dialetto prescinde ogni legame di dipendenza con la lingua

nazionale dalla quale si sarebbe staccato per assumere quei tratti peculiari da

essa differenti e, inoltre, non prova alcun senso di inferiorità rispetto alla lingua

che lo dovrebbe gerarchicamente precedere quanto a valore politico e sociale.

Quando ci troviamo dinanzi a una simile situazione, il dialetto viene considerato

parte integrante della formazione storica territoriale della comunità che lo utilizza e

riconosce in esso la propria identità storica regionale.

A tal proposito, è necessario sottolineare che la nozione di “comunità

linguistica” non corrisponde a quella di “nazione” o a quella di “stato”.

La Nazione è, difatti, un insieme di persone accomunate da tradizioni storiche,

lingua, cultura, origine e dalla consapevolezza di appartenere a un’unità

indipendentemente dalla realizzazione in unità politica.

Lo Stato, come sappiamo, è un’entità giuridica e politica, frutto

dell’organizzazione della vita collettiva di un gruppo sociale nell’ambito di un

territorio sul quale essa esercita la sua sovranità.

Pertanto, la comunità di parlanti o comunità linguistica – nella fattispecie quella

bilingue dell’Uruguay – si deve considerare come una comunità che usa una

lingua nella quale si identifica o, ancora meglio, nella quale fa risiedere la parte

principale della propria identità collettiva.

Ciononostante, il dialetto – nel nostro caso specifico il dialetto (o i dialetti)

portoghese(i) dell’Uruguay – non può assurgere a lingua ufficiale poiché, secondo

la collettività manca di valore politico e prestigio letterario, elementi che

contraddistinguono una lingua storica o lingua nazionale.

Per risalire alle origini del dialetto, si è ritenuto opportuno chiarire un altro

concetto ad esso strettamente correlato, quello di “isoglossa”.

9

Secondo il Dizionario di Linguistica di Gian Luigi Beccaria, il termine viene

usato per la prima volta dal linguista italiano Graziadio Isaia Ascoli8 per indicare la

linea immaginaria che su una carta linguistica collega tutti i punti e delimita le aree

aventi in comune il medesimo uso o fenomeno linguistico (che può essere una

particolarità fonetica, morfologica, sintattica o lessicale) e, quindi, il fenomeno

stesso comune a una data area linguistica (BECCARIA, 1999: 403).

L’isoglossa, in sostanza, separa due aree dialettali contigue che divergono nei

rispetti di uno o più fenomeni linguistici.

A seconda che si tratti di fenomeni fonetici, morfologici o lessicali, si parla più

frequentemente di isofona, isomorfa – nel caso della lingua portoghese produrrà

forme del tipo cantemo, falemo, estudemo al posto di quelle grammaticalmente

corrette cantamos, falamos, estudamos e, infine, isolessi, elemento presente in

strutture del tipo me dê um cigarro e dê-me um cigarro usate rispettivamente nel

portoghese del Brasile e in quello del Portogallo (FERREIRA – CARDOSO,1994: 16).

Per distinguere le aree geografiche comunicanti che possiedono diverse

espressioni linguistiche, gli studiosi sono soliti tracciare sulla carta geografica una

linea immaginaria che marca l’andamento di un dato fenomeno nelle singole

parole in cui esso si presenta.

Bisogna precisare, tuttavia, che ogni singolo evento comunicativo è

condizionato da tanti altri fattori che non si limitano alla geografia di una specifica

area linguistica. Giocano un ruolo importantissimo i fattori sociali e culturali o

quelle interferenze dovute a situazioni di contatto con altre lingue non presenti nel

territorio e pertanto difficilmente rappresentabili sulla carta.

Con queste avvertenze, l’isoglossa – intesa come confine di un’area

linguisticamente uniforme rispetto a uno o più fenomeni dati – rappresenta uno

degli strumenti più utilizzati dalla Geografia Linguistica e dalla Dialettologia,9

8 Famoso linguista italiano, Graziadio Isaia Ascoli (Gorizia 1829, Milano 1909) non frequentò scuole, ma si dedicò da autodidatta allo studio delle lingue e della Linguistica, pubblicando a soli diciassette anni il saggio Sull’idioma friulano e sulla sua affinità colla lingua valaca. Entrato in contatto con il mondo scientifico tedesco e con vari studiosi italiani nel tentativo di fondare una rivista, dal 1861 si trasferì a Milano, chiamato a ricoprire la cattedra di Grammatica comparata e lingue orientali (nel 1863 da lui rinominata Linguistica) nell’Accademia scientifico-letteraria. Dapprima studioso di indoeuropeistica, l’Ascoli si orientò poi verso gli studi romanzi e la dialettologia italiana, pubblicando nel 1882 L’Italia dialettale, primo tentativo di classificazione rigorosa dei dialetti italiani (http://www.treccani.it/enciclopedia/graziadio-isaia-ascoli/). 9 La Dialettologia è una disciplina linguistica che si propone di studiare e di descrivere i dialetti, forme particolari nelle quali un idioma si diversifica nella dimensione geografica di un certo territorio. L’osservazione, la raccolta dei fatti sul terreno, la pubblicazione e l’interpretazione dei dati sono le tappe di questa ricerca. A questo fine si utilizzano metodi diversi: la monografia dialettale, il metodo della Geografia Linguistica, gli archivi fonogrammici, ecc. Esiste, inoltre, una dialettologia

10

discipline che oramai da diverso tempo, secondo il linguista uruguaiano Adolfo

Elizaincín, si relazionano con la Linguistica Storica e la Sociolinguistica.

Quest’ultima è un ramo della Linguistica che tenta di organizzare la pluralità di

fenomeni sociali e del linguaggio per stabilire una relazione di causa ed effetto tra

di essi. Si deve al linguista inglese Michael Alexander Kirkwood Halliday10 – il

quale elenca quindici settori della ricerca sociolinguistica – l’enumerazione forse

più completa dei compiti da essa svolti:

1) macrosociologia del linguaggio, demografia linguistica;

2) diglossia, plurilinguismo e pluridialettismo;

3) pianificazione linguistica: sviluppo e standardizzazione;

4) pidginizzazione e creolizzazione;

5) dialettologia sociale, descrizione delle varietà non standard;

6) sociolinguistica dell’educazione;

7) etnografia della comunicazione, situazioni comunicative;

8) registro, repertorio verbale e commutazione di codice;

9) fattori sociali nel mutamento fonologico e grammaticale;

10) linguaggio e socializzazione, il linguaggio nella trasmissione della

cultura;

11) approccio sociolinguistico allo sviluppo linguistico nei bambini;

12) teorie funzionali nei sistemi linguistici;

13) relatività linguistica;

14) microsociologia della conoscenza (linguistica etnometodologica);

15) teoria del testo (BECCARIA, 1999: 677).

storica (lo studio dei dialetti nella prospettiva diacronica), sociale (lo studio dei dialetti sociali, utilizzati in un certo gruppo), strutturale (che applica i metodi strutturali nell’analisi dei dialetti, l’elaborazione dei diasistemi). In ognuno dei casi elencati, le implicazioni geografiche sono evidenti (RUSU, 1989: 69). 10 Nato a Leeds nel 1925, l’Halliday è stato una delle figure più originali e influenti della Linguistica del Novecento. Intorno alla sua opera si è raccolta una feconda scuola di linguistica detta funzionale e sistemica, la quale, sotto la sua guida, si occupava della teoria dell’intonazione e dei fenomeni prosodici, teoria della grammatica, sviluppo del linguaggio nel bambino, linguistica testuale, variazioni di registro, applicazioni della linguistica in campo educativo e dello studio dell’intelligenza artificiale. La sua teoria presenta una visione della Linguistica come semiotica sociale, attraverso l’elaborazione del rapporto fra la configurazione interna del linguaggio e l’organizzazione sociale della comunicazione; ovvero, per l’Halliday la lingua non è solo una parte del processo sociale, ma la sua espressione, quasi metafora dell’azione sociale (http://www.treccani.it/enciclopedia/michael-alexander-kirkwood-halliday/).

11

Vediamo dunque che la Sociolinguistica comprende la maggior parte degli studi

riguardanti quei fattori che la Linguistica tradizionale chiamerebbe extralinguistici,

in particolare la dipendenza del fatto linguistico rispetto a quello sociale e l’analisi

dei comportamenti verbali dei parlanti di fronte agli enunciati da essi stessi

pronunciati. Ecco perché, secondo Adolfo Elizaincín, si deve proprio a questa

nuova scienza il perfezionamento delle materie linguistiche del ventesimo secolo,

fino ad allora ancorate a studi rigidi e piuttosto antiquati:

Estamos frente a una maduración evidente de la lingüística en la segunda mitad del

siglo XX donde ya no hay cabida para las disquisiciones sobre la lingüística “de la

langue” como algo distinto a la lingüística “de la parole”. Y el mérito fundamental de

tal superación le cupo a la sociolingüística la que, al enseñar la relación que había

entre sincronía y diacronía11 (la que, además, podía capturarse en un método

específico e ilustrarse mediante figuras, gráficos y sofisticadas estadísticas) abrió el

paso para una concepción más amplia donde los datos de la “competencia” y los de

la “actuación” no necesariamente deben verse como cuestiones separadas

(ELIZAINCÍN, 2010: 2).

Con tale affermazione, Elizaincín12 vuole quindi far riflettere il lettore

sull’importanza dell’aspetto sociale della lingua, questione chiamata in causa,

come detto sopra, in epoca recente.

È importante rimarcare il fatto che il linguaggio verbale, oltre a essere una delle

capacità innate degli esseri umani, si realizza anche nella vita sociale e nei

comportamenti relazionali degli individui, ragion per cui si è sentita la necessità di

11 È al ginevrino Ferdinand de Saussure che risale la distinzione tra la considerazione sincronica della lingua e quella diacronica. Nel primo caso la lingua viene studiata in un determinato momento, indipendentemente da ciò che era prima o da come è giunta – comprese le trasformazioni che essa ha subito nel corso della storia – ad essere quella che è. Al contrario, nel secondo caso vengono analizzati l’evoluzione e i cambiamenti che una lingua ha subito per arrivare alla sua forma definitiva. La Linguistica Storica, sviluppatasi nei primi decenni del Novecento, si colloca dunque in questa seconda ottica e si preoccupa di studiare la formazione delle lingue storiche (ELIZAINCÍN, 2010: 2). 12 Adolfo Elizaincín (Montevideo, 9 dicembre del 1944), laureato in Letteratura Spagnola all’Universidad de la República di Montevideo, è attualmente considerato uno dei più grandi ricercatori e studiosi del lenguaje fronterizo in Uruguay. Tra le tante pubblicazioni riguardanti il tema in questione ricordiamo: Atlas lingüístico diatópico y diastrático del Uruguay (2000), El español en la Banda Oriental en el siglo XVIII (1997), Sociolinguistics in Argentina, Paraguay and Uruguay (1996), El español de América (1994), Dialectos en contacto. Español y portugués en España y América (1992), Nos falemo brasilero – Dialectos portugueses en Uruguay (1987) e numerosi altri articoli, studi e ricerche pubblicate nelle più importanti riviste nazionali e internazionali (http://www.asale.org/academicos/adolfo-elizaincin).

12

approfondire gli studi dei fenomeni linguistici rapportandoli all’ambiente sociale in

cui questi venivano regolarmente impiegati.

Alla Sociolinguista sono stati inoltre affidati compiti puramente politici: ci

riferiamo agli aspetti di pianificazione linguistica quando in un determinato territorio

sono presenti più varietà della lingua standard, come i famosi dialetti.

Una grande maggioranza di linguisti e studiosi del settore preferiscono rinviare

il termine dialetto alle sole variazioni diatopiche o geografiche. Lo stesso Eugenio

Coseriu, ad esempio, sostiene che tali variazioni – risultanti da una certa somma

di isoglosse, – rappresentino dei sottosistemi organizzati e omogenei dal punto di

vista fonico, morfosintattico e lessicale (FERREIRA – CARDOSO, 1994: 17).

I. 1.2. I dialetti e le parlate

Uno dei problemi più delicati che la Dialettologia deve affrontare è la distinzione

dei concetti di “dialetto” e “parlata” e il loro possibile rapporto come forme

originarie o primarie di un idioma, con le varianti – letterarie e non – della

medesima lingua mano a mano che esse si costituiscono: lingua comune, lingua

popolare, lingua nazionale, lingua letteraria o lingua standard (RUSU, 1989: 52).

Sappiamo che il dialetto rappresenta una varietà geografica di una lingua che si

oppone ad essa a causa di alcune peculiarità fonetiche, morfologiche, sintattiche e

lessicali, le quali permettono di conferirgli una struttura sufficientemente ordinata e

definita rispetto ad altri sistemi linguistici vicini.

Pur distaccandosi dal concetto di dialetto, quello di parlata rimane una nozione

assolutamente relativa. In generale, possiamo dire che le parlate – o patois,13

utilizzando il termine francese – si organizzano in sottoinsiemi definiti subdialetti,

cosicché – allo stesso modo dei dialetti – ognuna di esse sarà fornita di alcune

regole sintattiche e vocaboli che le sono propri e molti altri che sono comuni a

diverse parlate della lingua, o anche a tutte (DUBOIS, 1983: 213).

13 Il termine patois in francese possiede un’ accezione peggiorativa, come suggerisce la modalità della sua formazione (< antico francese pate ‘zampa’ + suffisso -ois dell’a. fr. françois ‘francese’, quasi a dire lo ‘zampese’, un parlare con i piedi). Il patois tende a presentarsi in Francia come una varietà di socioletto di livello popolare. Nell’uso che della parola si fa invece in Italia, essa vale esattamente come dialetto locale, parlata locale, e si differenzia da questi soltanto perché è impiegata per designare, più specialmente, le parlate locali occitane e francoprovenzali delle vallate occidentali del Piemonte e della Valle d’Aosta (BECCARIA, 1999: 531).

13

La delimitazione delle due nozioni permette di condurci verso la descrizione

della struttura dialettale di una lingua e, conseguentemente, della comunità di

parlanti che hanno coscienza di appartenere ad un determinato gruppo dialettale.

Ecco perché, secondo Valeriu Rusu «le parlate e i dialetti costituiscono l’unica

continuità, che s’inscrive attraverso la storia di una collettività umana, nel piano

della comunicazione linguistica, non essendo le altre forme di una lingua, scritte e

orali, che forme derivate dalle parlate» (RUSU, 1989: 28).

Quando intendiamo definire una parlata, un subdialetto o un dialetto, occorre

quindi prestare particolare attenzione non solo agli elementi linguistici, ma anche e

soprattutto a quelli extralinguistici.

I dialetti e le parlate rappresentano, difatti, la cultura di un certo universo

umano, la storia di un popolo e le specificità linguistiche di una certa realtà

regionale. Diversi linguisti, in relazione allo studio dei dialetti della lingua

portoghese, scelgono di ricorrere al termine “falares” – che potrebbe essere

tradotto in italiano come “parlate” – e non “dialetos”, concetto ritenuto adatto a

descrivere un panorama linguistico dialettale particolarmente variegato come

quello dell’Italia (BECHARA, 2009: 31).

Citiamo le parole dei grammatici Cunha e Cintra, i quali, come molti altri esperti

del settore, distinguono i lemmi “falares” e “dialetos” sostenendo una reale

differenza di significato tra questi:

Falar seria a peculiaridade expressiva própria de uma região e que não apresenta o

grau de coerência alcançado pelo dialecto. Caracteriza-se-ia, do ponto de vista

diacrónico, segundo Manuel Alvar, por ser um dialecto empobrecido, que, tendo

abandonado a língua escrita, convive apenas com as manifestações orais. Poder-

se-iam ainda distinguir, dentro dos falares regionais, os falares locais, que, para o

mesmo linguista, corresponderiam a subsistemas idiomáticos de traços pouco

diferenciados, mas com matizes próprios dentro da estrutura regional a que

pertencem e cujos usos estão limitados a pequenas circunscrições geográficas,

normalmente com carácter administrativo (CUNHA – CINTRA, 1996: 4).

Secondo quanto detto sopra, il termine falares descrive quindi la peculiare

manifestazione linguistica di una regione o di un’area geografica limitata – da qui

le espressioni falares regionais (“parlate” regionali) o falares locais (“parlate”

locali) – le quali, a differenza del dialetto, non presentano lo stesso grado di

coerenza o statuto sociale.

14

Potrebbero essere definiti come dialetti “impoveriti”, vale a dire, specifici dialetti

che si basano esclusivamente sull’oralità e che non possiedono alcuna

realizzazione scritta.

Non è facile, tuttavia, stabilire quali siano i limiti tra una lingua e un dialetto,

specie se quest’ultimo mostra numerosi punti di contatto con essa.

In questi casi si possono verificare fenomeni di diglossia per i quali, il dialetto o

lingua nativa, si presta ad essere utilizzato perlopiù in contesti familiari o sociali

ristretti, mentre la lingua nazionale – definita anche lingua ufficiale – è impiegata in

situazioni comunicative estranee al gruppo familiare o sociale di appartenenza.

I. 1.3. Diglossia e Bilinguismo

Il concetto di “diglossia” è legato all’uso funzionalmente differenziato di diversi

codici linguistici o di diverse varietà di un codice linguistico all’interno di una stessa

comunità. Diversamente detto, si ha diglossia quando coesistono nel parlante due

lingue storicamente contigue, la lingua ufficiale standardizzata, appresa a scuola e

usata nello scritto (che chiameremo Lingua A[lta]) e il dialetto nativo acquisito

spontaneamente come lingua prima (Lingua B[assa]), utilizzate rispettivamente in

ambito formale e informale:

Figura 1. Fenomeno della diglossia

LINGUA A = comunicazione

formale

LINGUA B = comunicazione

informale

DIGLOSSIA

15

Il termine diglossia deve la sua fortuna a Charles A. Ferguson, il quale, con la

pubblicazione dell’articolo Diglossia nel 1959, stabilì la distinzione di ruoli e di

funzioni di due o più varietà linguistiche compresenti in una data comunità, che,

secondo il Ferguson, sono varietà caratterizzate da una precisa gerarchia e mai

sovrapposte le une alle altre.14

Il significato del termine “bilinguismo” apparentemente potrebbe risultare chiaro:

si tratta, difatti, della presenza di più lingue all’interno di una singola comunità, o

della facoltà propria di un parlante di dominare contemporaneamente due o più

lingue. Ciò significa che, se da un lato la diglossia pone le due lingue in uso

secondo criteri gerarchici, determinando in tal modo il repertorio linguistico della

comunità; dall’altro, il bilinguismo prevede l’alternanza di due lingue diverse, o

anche la capacità del parlante di sapere utilizzare allo stesso tempo lingue

diverse, ma uguali quanto a valore sociale e prestigio politico.

Figura 2. Fenomeno del bilinguismo

14 La nozione di diglossia è esemplificata dal Ferguson con quattro casi che, ovviamente, riflettono la situazione sociolinguistica dell’epoca: arabo classico ed egiziano, tedesco e svizzero tedesco in Svizzera, francese e creolo di Haiti, katharévusa e dhimotikí in Grecia (http://www.treccani.it/enciclopedia/bilinguismo-e-diglossia_(Enciclopedia-dell’Italiano/).

BILINGUISMO

LINGUA 2

LINGUA 1

LINGUA 3

16

Il bilinguismo è un fenomeno costante nelle zone di frontiera, dove i confini di

stato non corrispondono quasi mai ai confini d’uso delle lingue nazionali

(BECCARIA, 1999: 116). In questi paesi, la condizione di bilingue genera, oltre ai

problemi linguistici, complicazioni psicologiche e sociali nei parlanti, i quali in

determinate situazioni comunicazionali devono usare una lingua non accettata

all’esterno, mentre in altre, sono chiamati ad utilizzare la lingua ufficiale o

comunemente accettata.

Esistono poi alcune teorie che distinguono fra bilinguismo bilanciato, vale a dire

quando un parlante ha pari competenza in entrambe le lingue, e bilinguismo non

bilanciato che si riferisce alla competenza passiva (o ricettiva) di una delle due

lingue. Un’altra distinzione è fra bilinguismo simultaneo, anche detto primario o

naturale, riscontrabile in casi in cui l’apprendimento delle due lingue avviene

naturalmente e in età precoce (1-3 anni) come lingue materne – è il caso dei

bambini nati da genitori di lingue diverse – e quello successivo o secondario che si

verifica durante lo studio di lingue seconde alla lingua materna (IDEM: 117).

In tali circostanze si riscontrano notevoli differenze di risultati: in un caso

l’individuo potrebbe arricchire il proprio repertorio linguistico (bilinguismo additivo),

nell’altro, al contrario, potrebbe danneggiare la competenza in una delle lingue a

vantaggio di un’altra (bilinguismo sottrattivo) per la riduzione nell’uso della lingua

che viene gradualmente abbandonata.15

Le tipologie di bilinguismo sopra elencate ci aiutano a classificare le differenti

comunità linguistiche che utilizzano normalmente due o più lingue.

Generalmente, quando una comunità si serve di due lingue standardizzate ed

elaborate, entrambe adoperabili in contesti di comunicazione formale, si parlerà di

bilinguismo sociale, ma pare che tale situazione sia abbastanza rara.

A questo punto, esaminando le varie nozioni legate al fenomeno del

bilinguismo, ci rendiamo conto dell’impossibilità nel fornire un’unica definizione

che lo possa caratterizzare.

Diversi studiosi hanno cercato, date le difficoltà di una chiara descrizione, di

accorpare i concetti di bilinguismo e diglossia.

15 Per una visione più completa dei significati di “bilinguismo” e delle sue differenti tipologie si raccomanda la lettura dell’articolo Bilinguismo e Diglossia disponibile all’indirizzo internet: http://www.treccani.it/enciclopedia/bilinguismo-e-diglossia_(Enciclopedia_dell’Italiano)/.

17

Joshua Aaron Fishman, linguista statunitense,16 ha indicato, ad esempio,

quattro repertori relazionali logicamente possibili:

1) bilinguismo e diglossia: quando tutta la comunità ha padronanza di

entrambe le lingue, ma le usa in modo funzionalmente differenziato.

A un caso del genere si avvicina il Paraguay, dove più della metà della

popolazione parla sia lo spagnolo che la lingua indigena guaranì.

Gli abitanti delle zone rurali del Paese hanno aggiunto lo spagnolo al loro

repertorio linguistico per adattarsi alle regolamentazioni politiche dell’alta cultura;

gli abitanti delle città – provenienti comunque dalle campagne – hanno conservato

il guaranì come lingua “intima” o semplicemente per una fondamentale solidarietà

di gruppo; (FISHMAN, 1975: 157)

2) diglossia senza bilinguismo: quando all’interno di una comunità con forti

disparità sociali, la maggior parte dei parlanti non ha accesso alla lingua

A (o lingua di comunicazione formale);

3) bilinguismo senza diglossia: tale circostanza tende ad essere una fase

transitoria durante la quale vige incertezza circa l’uso delle lingue.

L’assenza di norme che stabiliscono la separazione funzionale delle

varietà linguistiche, permette ad una delle due lingue di sopraffare l’altra;

4) né diglossia né bilinguismo: si tratta di una condizione rarissima,

riscontrabile solamente in quelle comunità linguistiche molto piccole,

isolate e prive di differenziazioni (IDEM: 169).

Il modello proposto dallo studioso americano, pur essendo stato accolto dalla

Sociolinguistica, non ha avuto particolari seguiti per il fatto di provocare un

indebolimento di teorie storicamente accettate.

16 Famoso linguista e docente emerito di scienze sociali alla Yeshiva University di New York, Joshua A. Fishman (Filadelfia, 1926) ha dato importanti contributi alla Sociolinguistica. Per conoscere la sua bibliografia, visitare il sito ufficiale http://www.joshuaafishman.com.

18

In base allo schema sopra esposto, difatti, il bilinguismo perde la sua accezione

di bilinguismo sociale, logicamente incompatibile con il concetto di diglossia – non

si può essere bilingue o diglottico rispetto alle stesse due lingue – venendo a

coincidere con la competenza bilingue dei parlanti.

La questione si complica ancora di più quando vi è nella medesima comunità

linguistica o nel medesimo soggetto la coesistenza di due sistemi linguistici, di cui

uno corrisponde a una lingua e l’altro ad un dialetto.

I. 2. Il portoghese e lo spagnolo in America Latina

La conquista e la colonizzazione dell’America da parte della Corona Spagnola e

quella Portoghese, rispettivamente cominciate a partire dagli anni 1492 e 1500,

rappresenta uno degli avvenimenti più importanti delle culture latinoamericane (e

non solo) degli ultimi cinquecento anni.

Tale evento spiega il motivo per il quale la lingua spagnola e quella portoghese

percorrono da sempre una storia parallela, intessuta di particolari casi politici che

nel corso del tempo hanno stabilito la nascita di due lingue differenti, originatesi

ognuna dalle regioni – la Castiglia e il Portogallo – che le hanno nei secoli

consolidate.

In effetti, durante i secoli XII e XIII, il Portogallo e la Castiglia si convertono nelle

due grandi potenze europee mondiali le quali, praticamente in modo alternato,

rivendicano bellicosamente l’autorità nei territori d’Oltremare.

Com’è noto, la scoperta dell’America ha dato inizio all’incorporazione nei due

regni peninsulari di nuovi territori, ma anche di popolazioni e di conseguenza di

nuove lingue completamente sconosciute agli europei; tanto per fare un esempio,

prima dell’arrivo dei colonizzatori portoghesi in Brasile, si stima che fossero

presenti e parlate in quei territori circa 1500 lingue diverse.

19

L’avvicinamento ai popoli indigeni, da parte dei colonizzatori europei, implicava

necessariamente un contatto a livello linguistico, fatto che, come è ovvio, ha

generato una profonda trasformazione delle due lingue, le quali dovettero adattarsi

a determinate realtà a loro estranee fino a quel momento:

[…] de manera tal que tanto el portugués americano (de Brasil) como el español

americano conforman, sin perder relacionamento con la matriz lingüística europea,

nuevas realidades lingüísticas claramente discernibles unas de otras (ELIZAINCÍN,

2013: 2).

Nel comparare il portoghese del Brasile con lo spagnolo americano, noteremo,

tuttavia, che la differenziazione innescatasi nelle due lingue a seguito del contatto

con gli idiomi autoctoni dell’America Latina, è palesemente più marcata nella

lingua portoghese che nello spagnolo.

Il linguista uruguagio Adolfo Elizaincín indica come una tra le possibili cause il

concentramento della lingua lusitana all’interno di un unico grandissimo paese,

che è il Brasile, a differenza del castigliano, il quale, una volta arrivato in territorio

americano, si è diramato geograficamente raggiungendo una ventina di nazioni

indipendenti (IDEM).

Nel portoghese brasiliano si riscontrano, difatti, numerose varietà linguistiche, le

quali non impediscono ai parlanti brasiliani dell’idioma portoghese di riconoscersi

come parte di un unico sistema politico.

Quest’ultima è una questione molto lontana dalla realtà americana della lingua

spagnola, poiché, contrariamente al Brasile, si caratterizza di frequenti lotte

politiche tra i parlanti e rivalità regionali abbastanza accese.

Il portoghese brasiliano si è quindi evoluto, in relazione al portoghese del

Portogallo, in maniera radicale rispetto a quanto non lo abbia fatto la lingua

spagnola in ciascuna delle Repubbliche americane conquistate.17

17 Ne è da esempio la permissione di una diversa ortografia della lingua lusofona in Portogallo e in Brasile, condizione impensabile in ambito linguistico ispanico, dove gli aspetti riguardanti le principali regole della lingua e la sua ortografia sono regolati costantemente dalla Real Academia Española de la Lengua, istituzione spagnola che ha sede a Madrid, integrata da diverso tempo all’Asociación de Academias de la Lengua Española, comprendente un numero totale di ventidue accademie (ELIZAINCÍN, 2013: 2).

20

I. 2.1. Il portoghese del Brasile

Il portoghese del Brasile o Portoghese Brasiliano (PB) è il termine che si utilizza

per identificare la varietà della lingua portoghese parlata in Brasile.

Quinto paese più grande al mondo – per estensione territoriale e numero di

abitanti – il Brasile è il principale motore di diffusione dell’idioma portoghese.

L’accrescimento economico degli ultimi decenni e l’importanza che il Brasile

riveste all’interno dell’Organizzazione MERCOSUR,18 fanno sì che la lingua

portoghese, nella fattispecie la variante del portoghese brasiliano, sia quella più

scritta e parlata al mondo.

Ricordiamo, comunque, che le lingue ufficiali del Parlamento del MERCOSUR

sono sia lo spagnolo che il portoghese, lingue che rivestono pari importanza

all’interno dell’Istituzione.19

Esiste, inoltre, un’altra lingua ufficiale integrata dal Parlamento nella sua sede di

lavoro: il guaranì, ufficiale in Paraguay accanto allo spagnolo e parlato in altre città

del Sudamerica da milioni di persone, non solo appartenenti alle popolazioni

guaranis, come Bolivia (nella provincia di Corrientes), Argentina (nella città di

Tacuru) e Brasile (nel Mato Grosso do Sul), dove è lingua co-ufficiale accanto allo

spagnolo e al portoghese.

18 Acronimo dello spagnolo Mercado Común del Sur, in portoghese Mercosul (Mercado Comum do Sul) è un’organizzazione internazionale del Sudamerica istituita dagli stati membri di Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay, Venezuela e Bolivia con il Trattato di Asunción del 1991. Recentemente sono entrati a farne parte, come stati associati, il Cile, il Perù, l’Ecuador, la Colombia, la Guayana e il Suriname (http://www.mercosur.int). 19 Atto ufficiale del Parlamento riguardante le lingue ufficiali : «En el Parlamento do MERCOSUR, todos los idiomas poseen importancia: los documentos son publicados en todas las lenguas oficiales del MERCOSUR y cada Parlamentario tiene derecho a expresarse en la lengua oficial de su preferencia. Se garantiza también, la transparencia y el acceso de todos los ciudadanos a sus trabajos y documentos. Son idiomas oficiales del Parlamento: Español y Português» (http://www.parlamentodelmercosur.org/innovaportal/v/152/2/parlasur/lenguas_oficiales.html).

21

Figura 3. I dati relativi agli Stati membri del MERCOSUR

La variante brasiliana del portoghese ha avuto uno sviluppo estremamente

dinamico che ha modificato in maniera rapida i diversi aspetti delle strutture

interne della lingua, creandone una autonoma rispetto al portoghese di norma

europea.

L’entrata dell’idioma lusofono in America avviene, da principio, nella zona del

nordest brasiliano, dove si stabilisce la primissima capitale del Brasile, Salvador

de Bahia. Da qui comincia la sua incredibile espansione verso il sud, attraverso la

percorrenza della costa atlantica e, successivamente, arriva ad impiantarsi

nell’entroterra continentale (ELIZAINCÍN, 2013: 3).

Gli studi linguistici sul portoghese del Brasile hanno individuato una principale

famiglia linguistica, quella del tupinambá, facente parte del ceppo linguistico tupi-

guaranì.

22

Questa famiglia linguistica comprendeva i dialetti più diffusi e parlati nelle zone

litoranee del Brasile, cosicché nel XVI secolo la lingua tupi cominciò ad essere

appresa dai colonizzatori portoghesi, all’epoca in minor numero rispetto alla

popolazione locale. A partire dal secolo successivo, si trasformò in una vera e

propria lingua di contatto, utilizzata non solo come mezzo di comunicazione

interculturale tra gli indigeni e i portoghesi, ma anche tra gli indios di diverse etnie,

i quali appartenevano a differenti famiglie linguistiche.

Il periodo della colonizzazione la vede diventare una vera e propria lingua

franca, vale a dire una lingua veicolare con base indigena appresa solitamente per

via orale non solo dai colonizzatori portoghesi e dagli indigeni, ma anche dagli

schiavi africani. Prende il nome di língua geral, ed è la prima lingua che riesce ad

apportare importanti modifiche nel lessico del portoghese del Brasile.20

Alla fine del XVII secolo, i bandeirantes, esploratori coloniali portoghesi e

brasiliani, presero parte alle cosiddette “bandeiras”, spedizioni esplorative mirate

alla conquista delle zone più interne e nascoste del continente.

Poco a poco riuscirono ad impadronirsi delle terre del Mato Grosso e del Rio

delle Amazzoni, espandendo i possedimenti portoghesi oltre il confine territoriale

stabilito nel 1494 dal Trattato di Tordesillas. La scoperta di miniere di oro e pietre

preziose spinse milioni di immigranti portoghesi a recarsi in Brasile, fatto che

contribuì all’accrescimento del numero degli abitanti di lingua portoghese.

La grande richiesta di manodopera nelle piantagioni di canna da zucchero

favorì, tra i secoli XV e XVII, l’arrivo di tantissimi schiavi neri provenienti dall’Africa,

mandati a lavorare in diverse terre del Brasile precedentemente occupate e

abitate da portoghesi.

Tale avvenimento sarà determinante a livello linguistico, trattandosi di un

particolare periodo in cui la lingua portoghese assiste allo straordinario

20 Secondo gli studi linguistici relativi a questo periodo storico, nel XVIII secolo vi erano in Brasile due tipi di línguas gerais: la língua geral paulista, parlata nel sud del paese durante il processo di espansione dei bandeirantes e la língua geral amazônica o nheengatú, usata dai colonizzatori nel corso dell’occupazione territoriale amazzonica. La prima di esse cadde in disuso allorquando il numero dei portoghesi in Brasile cominciò a sovrastare quello della popolazione autoctona, contribuendo all’affermazione della lingua portoghese; mentre il nheengatú continuò a mantenersi in vita e ad essere parlato dagli indigeni delle diverse etnie che abitavano il nord del Paese. Anche la lingua tucano parlata nella regione dell’Alto Rio Negro (AM) diventò, verso la metà del XX secolo, grazie alla presenza dei missionari salesiani nella regione, lingua franca di diverse popolazioni indigene, tra le quali Wanana, Tucano, Dessana, ecc. Attualmente è una delle tre lingue ufficiali del municipio di São Gabriel da Cachoeira nello stato dell’Amazzonia (http://www.labeurb.unicamp.br/elb2/pages/noticias/lerNoticia.lab?categoria=2&id=266).

23

arricchimento del proprio vocabolario di espressioni e termini di origine africana,

presenti ancora oggi nella lingua portoghese continentale e americana.

Nel 1808 la Penisola Iberica viene invasa dalla Francia di Napoleone e la corte

portoghese decide di trasferirsi in Brasile, a Rio de Janeiro, città-capitale che

divenne ben presto il fulcro della politica e della cultura lusitana. Il portoghese

diviene allora la lingua più utilizzata all’interno dello stato e s’impone come lingua

nazionale, sovrastando le lingue indigene e quelle africane.

A partire dal 1822 circa, anno in cui viene proclamata l’indipendenza, s’inaugura

l’arrivo in Sudamerica – dopo l’abolizione della schiavitù – di milioni di immigrati

europei, i quali, stanziatisi in quelle terre in cerca di fortuna, riuscirono ben presto

a ripopolare il Paese, lasciando notevoli tracce a livello linguistico.

Questo breve excursus storico permette di verificare le diversità della variante

portoghese brasiliana rispetto a quella europea, in particolare a livello lessicale,

dove si rilevano la presenza di tupinismos, amerindinismos e africanismos.

I tupinismos chiamati anche “brasileirismos”, sono parole prese in prestito

direttamente dalla lingua tupi ed entrate regolarmente a far parte nel vocabolario

portoghese brasiliano. Abbracciano sostanzialmente diversi aspetti della vita

quotidiana collettiva, o dell’ambiente in generale: toponimi (Carioca, Ceará,

Curitiba, Goiás, Iguaçu, Ipanema, Jaraguá, Manaus, Marajó, Niterói, Pará,

Paraná, Pernambuco, Piratininga, Sergipe, ecc.), antroponimi, nomi di fauna e

flora (abacaxi, mandioca, maracujá, pitanga, ecc.), fenomeni atmosferici, utensili,

alimenti, costumi e tradizioni, festività, frasi o suffissi di origine indigena tupi

(ARAUJO, 2008: 2-3).

Gli amerindinismos sono tutte le parole provenienti dalle altre lingue indigene

non appartenenti al tronco linguistico tupi-guaranì.21

Infine, si dicono africanismos le espressioni e i termini che, secondo molti

studiosi, sono relazionati principalmente ai culti afro-brasiliani. Ciò spiega la

numerosa presenza di parole africane collegate all’universo religioso, a quello

della danza, della musica o anche del cibo, le quali designano tipicità del popolo

brasiliano: è il caso di samba, ijexá, atabaque, triângulo, agogô, cuíca, berimbau,

acarajé, abará, ecc. (ARAGÃO, 2010-11: 9).

21 Si tratta delle lingue parlate dai cosiddetti tapuias, nome coniato dai missionari gesuiti per designare quelle popolazioni indigene che abitavano nell’interiore del continente e non parlavano la lingua tupi (http://wikipedia.org/wiki/Português_brasileiro).

24

In Brasile, come afferma lo studioso Eni P. Orlandi, assistiamo pertanto ad un

processo di eterogeneità linguistica attraverso il quale la lingua funziona, per così

dire, in una doppia identità:

O português do Brasil e o de Portugal se filiam a interdiscursividades distintas como

se fôssem uma só, mas não são. São distintos sistemas simbólicos, com distintas

materialidades históricas, mas aparentando a mesma materialidade empírica.22

Secondo tale dichiarazione, il portoghese del Brasile rappresenta un sistema

simbolico differente da quello del portoghese europeo, principalmente per essersi

originato in un altro momento storico, tuttavia, dice Orlandi, condivide con esso la

medesima sostanza empirica.

Possiamo adesso elencare alcuni tratti distintivi della variante della lingua

portoghese in Brasile, i quali, a nostro avviso, marcano in maniera evidente la

differenza con il portoghese di norma continentale.

Secondo il linguista Adolfo Elizaincín, a livello fonetico, pur trattandosi di

fenomeni oramai abbastanza noti, devono essere ricordati:

1) una minore riduzione delle vocali atone rispetto al portoghese di norma

europea (partir, morar e non p-rtir, m-rar);

2) la palatizzazione delle dentali /t/ e /d/ in parole seguite dalla vocale i

come t [ʧ] ío e d [ʤ] ía;

3) la pronuncia del fonema /l/ alla fine di una sillaba o di una parola come

una semivocale: Brasil[w], a differenza del portoghese europeo che ha la

tendenza a velarizzare tale fonema: Brasil[ᵵ];

4) l’elisione, l’aspirazione o la velarizzazione del fonema /r/ alla fine della

parola (senhor, fazer, amar, ecc.);

22 L’articolo dello studioso brasiliano Eni Orlandi lo si può leggere per interno consultando l’indirizzo internet http://www.labeurb.unicamp.br/elb2/pages/noticias/lerNoticia.lab?categoria=1&id=304. Il progetto A Enciclopédia das Línguas no Brasil ha come obiettivo quello di produrre, riunire e far circolare informazioni sul grande numero delle lingue parlate nel paese. Con tale obiettivo, l’enciclopedia, cerca di fornire a tutti coloro che si interessano all’argomento più spiegazioni possibili sui principali aspetti legati alle lingue maggiormente diffuse in Brasile.

25

5) l’introduzione di un elemento vocalico epentetico tra due consonanti:

cap{i}tura, ab{i}surdo, pic{i}nic{i}, ecc.

A livello morfosintattico, tra le differenze più rilevanti, elenchiamo:

1) la diversa distribuzione nell’enunciato delle forme declinate dei pronomi

personali: eu vi ele na rua, quero-lhe conhecer, me diga uma coisa, não tinha

ainda se afastado, al posto delle forme europee eu vi-o na rua, quero

conhecê-lo, diga-me uma coisa, não se tinha ainda afastado;

2) l’uso differente delle preposizioni che indicano movimento o direzione: foi

na praia / foi a praia;

3) l’uso dell’ausiliare ter al posto di haver per determinare uno stato o

un’esistenza: Tem fogo naquela casa / Há fogo naquela casa;

4) la diversa posizione del verbo principale nelle frasi interrogative: Onde

você vai? / Onde vai você?;

5) l’uso della locuzione a gente (a gente vai) come pronome con valore

semantico del pronome personale di prima persona plurale nós, poco usato

in Portogallo (ELIZAINCÍN, 2013: 7).

26

I. 2.2. Studi dialettologici in Brasile

Il primissimo studio che si occupa della classificazione dei dialetti del

portoghese del Brasile risale al 1826 circa ad opera di Domingos Borges de

Barros, Visconte di Pedra Branca e ministro del Brasile in Francia durante gli anni

immediatamente successivi all’indipendenza brasiliana.

Quattro anni dopo la proclamazione dell’indipendenza del Brasile, Barros –

conosciuto anche come Barone Alexander de Humboldt – scrisse su richiesta del

geografo veneto Adriano Balbi,23 un capitolo per il libro francese Atlas

ethnographique du globe pubblicato nel 1826, all’interno del quale vengono

classate circa ottocentosessanta lingue e più di cinquemila dialetti del mondo.

Secondo il Barone Barros, il portoghese del Brasile era totalmente differente da

quello del Portogallo a causa di quel tono aspro, pungente e bellicoso che lo

caratterizzava. Il portoghese brasiliano, al contrario, rifletteva il clima mite del

Sudamerica e la dolcezza degli abitanti di quella terra.24

Le differenze fonetiche tra le due varianti del portoghese sono sempre state

motivo di discussione e dibattiti per gli studiosi della lingua lusitana.

Sono tantissimi i linguisti e gli scrittori che si sono interessati e hanno pubblicato

articoli e saggi sull’argomento, come il noto scrittore portoghese Eça de Queirós

(1845 - 1900), ricordato, in questo contesto, per aver coniato l’espressione

“português com açúcar”, utilizzata per definire il portoghese del Brasile, ma con

un’accezione peggiorativa.25

23 Famoso statistico e geografo (Venezia, 1782 – ivi, 1848). Insegnante di geografia, dimorò qualche tempo in Portogallo, poi a Parigi, dove pubblicò la maggior parte delle sue opere; dal 1835 al 1840 fu a Vienna come consigliere imperiale per la geografia e la statistica; quindi a Milano (1840 - 1846) e infine a Venezia. Il Balbi conseguì fama notevole come geografo, non per idee originali, ma come divulgatore. Nelle sue opere più note (Atlas ethnographique du globe, 1826; Balance politique du globe, 1828; Agrégé de géographie, 1833) sono da lodare soprattutto la critica dei materiali e l'accurata informazione (http://www.treccani.it/enciclopedia/adriano-balbi/). 24 Il testo del Barone Humboldt, contenuto nel libro del Balbi si può consultare all’indirizzo internet (https://books.google.it/books?id=7o_JEkkvS_UC&printsec=frontcover&dq=Atlas+ethnographique+du+globe&hl=it&sa=X&ei=4uYYVdiNDdLXaqWsgMgO&ved=0CCoQ6AEwAA#v=onepage&q=Atlasethnographiqueduglobe&f=false). 25 L’articolo in questione è Eça de Queirós e o Brasil presente nel sito dell’Academia Brasileira de Letras: http://www.academia.org.br/abl_e4w/cgi/cgilua.exe/sys/start.htm?infoid=4276&sid=531.

27

Secondo Carlota Ferreira e Suzana Alice Cardoso, la storia degli studi dialettali

del Brasile si può raggruppare in tre grandi fasi:

1) La prima fase va dal 1826 al 1920, data di pubblicazione di O dialeto

caipira di Amadeu Amaral (1875 - 1929), scrittore che dedicò tutta la vita

agli studi folcloristici del suo Paese e alla Dialettologia. La sua opera

studia il linguaggio caipira paulista delle zone ubicate lungo le valli del

fiume Paraíba, analizzandone minuziosamente le forme caratteristiche e

il vocabolario.

Questi anni segnano l’inizio di una serie di lavori – specie dizionari, vocabolari e

glossari regionali – votati allo studio del lessico e le peculiarità nel portoghese del

Brasile. Un primo studio di natura grammaticale viene pubblicato nel 1879 e

intitolato O idioma hodierno de Portugal comparado com o do Brasil scritto dal

brasiliano José Jorge Paranhos da Silva, opera che ha aperto la polemica sulla

questione della lingua brasiliana (FERREIRA – CARDOSO, 1994: 37-38).

2) La seconda fase inizia con la pubblicazione di O dialeto caipira di

Amadeu Amaral e si caratterizza per la predominanza di lavori e studi

grammaticali sulla lingua.

Un’altra opera importante è O linguajar carioca del lessicologo, etimologo,

filologo e dialettologo brasiliano Antenor Nascentes, pubblicata nel 1922. Il libro ci

propone una suddivisione dei principali dialetti brasiliani basata sulle differenze di

pronuncia tra il Nord e il Sud del Paese.

Il dialettologo brasiliano ha individuato due fondamentali caratteristiche che li

distinguono: l’apertura delle vocali pretoniche nei dialetti del Nord in parole che

non siano diminuitivi o avverbi terminanti in -mente (pègar e còrrer al posto di

pegar e correr); la cadenza particolare delle due varianti, definite – dallo stesso

Nascentes – “cadência cantada ” per i dialetti del Nord e “cadência descansada”

per quelli del Sud.

28

Per ogni gruppo, lo studioso ha poi individuato varietà altre (o subfalares) che

corrispondono ai dialetti amazónico e nordestino contenuti nei dialetti del Nord e i

dialetti baiano, fluminense, mineiro e sulista in quelli del Sud (CUNHA – CINTRA,

1996: 21-23).

Figura 4. Antenor Nascentes e la divisione dialettale del Brasile

3) La terza fase degli studi dialettali in Brasile ha inizio all’incirca negli anni

Cinquanta del Novecento. In questo periodo i linguisti si preoccupano di

implementare gli studi lessicografici e grammaticali sulla lingua a quelli

della Geografia Linguistica.

29

Da qui nasce l’esigenza di realizzare l’Atlante Linguistico del Brasile, che fu

approvato dalla Commissione di Filologia della Casa de Rui Barbosa attraverso il

Decreto 30.643 del 20 marzo del 1952.

Approvata la legge per l’elaborazione dell’Atlante, gli studi della Geografia

Linguistica in Brasile cominciarono a crescere grazie soprattutto all’impegno e la

dedizione dei dialettologi brasiliani, tra i quali ricordiamo – oltre il già citato Antenor

Nascentes –, Serafim da Silva Neto, Celso Cunha e Nelson Rossi (FERREIRA –

CARDOSO, 1994: 44).

L’estensione del territorio, tuttavia, impedì l’istantanea realizzazione di un

atlante nazionale della lingua e i linguisti cominciarono ben presto a comporre

atlanti linguistici regionali in grado di esaminare dettagliatamente determinate aree

geografiche, stabilendo precisi limiti linguistici e politico-amministrativi.

In questi anni, pur tralasciando (solo apparentemente) il principale obiettivo,

l’ideazione degli atlanti regionali, da parte degli studiosi, risultò essere una tappa

necessaria per la successiva elaborazione dell’Atlante Linguistico del Brasile.

Tra il 1960 e il 1962 vede la luce l’Atlas Prévios dos Falares Baianos (APFB), il

primo atlante linguistico brasiliano.

Si deve la sua realizzazione al professore Nelson Rossi dell’Universidade

Federal da Bahia il quale, dopo la raccolta dei dati ottenuti attraverso un

questionario di 182 domande rivolto a cento persone (uomini e donne tra i

venticinque e i sessant’anni) che riguardavano quattro principali aree tematiche

(terra, piante, uomo, animali); ha classificato le varianti della lingua negli stati di

Bahia, Sergipe, nord di Minas, parte est dello stato di Goiás e dell’attuale

Tocantins. Nel 1977 viene pubblicato Esboço de um Atlas Linguístico de Minas

Gerais che ci permette di scoprire l’esistenza di tre diversi dialetti nel territorio di

Minas Gerais: baiano a nord, paulista nel sud-est e mineiro nel centro-est.

Il terzo atlante regionale presentato al pubblico di lettori del Brasile è quello di

Paraíba (ALPB), coordinato dalla professoressa Maria do Socorro Silva de Aragão,

la quale, insieme alla sua equipe di lavoro, ha studiato la zona nordestina del

Paese.

30

A questo seguono l’Atlas Linguístico de Sergipe – ALS I – (1977), l’Atlas

Linguístico do Paraná (ALPR) e, nel 2002, viene pubblicato l’ALERS, Atlas

Linguístico-Etnográfico da Região Sul do Brasil.

Quest’ultimo, sorto grazie al professore Walter Koch, ci interessa

particolarmente poiché prende in esame uno dei tre stati del sud del Brasile – Rio

Grande do Sul – che esaminiamo a livello linguistico nel nostro lavoro.

L’ALERS di Koch si distingue dagli altri per il fatto di non limitarsi all’analisi

linguistica di un solo stato. Difatti, ad essere esaminati sono tutti e tre gli stati

meridionali del paese: Paraná, Santa Catarina e Rio Grande do Sul, per i quali

vengono date informazioni tanto a livello linguistico, quanto culturale.

Si pubblicano in seguito l’Atlas Linguístico Sonoro do Pará (ALISPA), l’Atlas

Linguístico de Sergipe II (ALS II), l’Atlas Linguístico de Mato Grosso do SUL

(ALMS) e l’Atlas Linguístico do Estado do Ceará (ALECE), rispettivamente negli

anni 2004, 2005, 2007 e 2010.26

I. 3. Lo spagnolo d’America

La lingua spagnola si espande in territorio americano a partire dalle aree

caraibiche del Nuovo Continente, zone nelle quali venne a costituirsi il cosiddetto

periodo isleño, o delle origini, della lingua spagnola in America.

Successivamente, quando la conquista e la colonizzazione del Regno di

Castiglia cominciarono a spostarsi verso le regioni centrali del Nuovo Mondo – in

quello che oggi corrisponderebbe approssimativamente allo stato del Messico, – si

assiste alla dura lotta contro i popoli indigeni dell’impero azteca e alla

conseguente e naturale collisione dell’idioma castigliano con le lingue native.

L’occupazione spagnola procede inarrestabile, da questo momento in poi, verso

il sud del Paese, percorrendo la costa dell’oceano Pacifico, fino ad arrivare in Cile.

26 Per maggiori informazioni sulla metodologia del Progetto ALIB, i suoi obiettivi, lo stato delle ricerche e gli studiosi che partecipano all’elaborazione degli atlanti linguistici del Brasile si consulti il sito http://twiki.ufba.br/twiki/bin/view/Alib/WebHome.

31

Durante l’espansione coloniale, la cultura e la lingua spagnola si sono scontrate

e confrontate – così come è avvenuto per la lingua portoghese – con centinaia di

famiglie linguistiche di estensione, complessità e ricchezza difficilmente

immaginabili, grazie alle quali ha potuto incrementare la propria realtà culturale e

linguistica (ELIZAINCÍN, 2013: 3).

A differenza del portoghese, la lingua dell’Impero castigliano è entrata

maggiormente in contatto con popoli e culture di altissima civilizzazione, costituite

da un sofisticato impianto sociale e politico-amministrativo – basti pensare alle

particolari strutture governative degli imperi azteca, maya e inca – che hanno

provocato lotte piuttosto violente e conflitti tra la Spagna e i popoli indigeni non

sempre così facili da sedare.

I colonizzatori spagnoli, nonostante ciò, ebbero modo di mescolarsi anche ad

altri popoli culturalmente e politicamente meno evoluti, è il caso di quelli incontrati

nelle zone del Río de la Plata, incontro che ha generato risultati linguistici ancora

più insoliti. La quasi totalità degli studi sullo spagnolo in America ritiene importante

prendere in considerazione la provenienza dei conquistatori spagnoli che

giungevano a colonizzare il territorio americano, per riuscire a determinare

l’origine e le principali caratteristiche della varietà linguistica che andava

gradualmente costituendosi.

Come sappiamo, lo spagnolo dell’Europa si caratterizza a seconda della

regione dove esso viene parlato, determinando, a grandi linee, quella separazione

linguistica tra il castigliano propriamente detto e parlato al nord della Spagna, e

l’andaluso, variante della lingua spagnola del sud (IDEM: 8).

Seguendo tale linea di lavoro, diversi studiosi e linguisti che si sono occupati

dell’analisi dell’idioma spagnolo di questo periodo storico, hanno confermato che

la maggior parte dei conquistatori che giungevano in America, altro non erano che

originari della regione andalusa, terra meno ricca rispetto al nord della Spagna e,

per tale ragione, con una numerosa presenza di uomini sempre pronti ad

imbarcarsi in cerca di fortuna.

32

Pertanto, abbiamo da un lato il castigliano del nord parlato dai nobili e dagli alti

funzionari del Regno di Castiglia, i quali, una volta insediatisi in America, si

mescolarono con le genti appartenenti alla nobiltà indigena del Messico e del

Perù; dall’altro invece assistiamo allo spostamento dei colonizzatori andalusi nelle

zone costiere del Río de la Plata e dei Caraibi, e al successivo insediamento della

variante andalusa della lingua spagnola in tali regioni.

Se pur in maniera totalmente differente, il contatto della lingua spagnola con le

lingue indigene è stato molto intenso, così come con quelle di provenienza

africana, in particolare nelle zone delle isole caraibiche, in Colombia o Panamá,

dove vi era un numero piuttosto notevole di schiavi neri; al contrario delle regioni

del Río de la Plata – soprattutto a Buenos Aires – la cui incidenza linguistica

africana è assolutamente minima (IDEM).

I. 3.1. Il dialetto rioplatense

Abbiamo detto che le varietà della lingua spagnola parlate in America seguono,

grosso modo, le tradizioni linguistiche dello spagnolo “base”, o spagnolo standard.

Naturalmente, tutte le varianti dello spagnolo americano contengono nella loro

struttura interna delle diversità a livello fonetico, lessicale e semantico innescatesi

nella lingua all’indomani della colonizzazione e dell’assiduo contatto con le

popolazioni indigene locali.

Tale contatto, tuttavia, non ha prodotto gli stessi risultati linguistici nei paesi

sudamericani di lingua spagnola, ne è un esempio lo spagnolo parlato nelle aree

del Río de la Plata che, sostanzialmente, si possono riassumere nei due Paesi

apparentati, per così dire, con le popolazioni europee, ovvero l’Argentina e

l’Uruguay.

33

Figura 5. L’area linguistica rioplatense

Lo spagnolo (o castigliano) rioplatense, difatti, manifesta una minore presenza

degli elementi linguistici indigeno e africano, al contrario di altri paesi

latinoamericani, dove si riflettono nella quasi totalità delle strutture interne della

lingua.

Le correnti migratorie che travolsero l’Argentina e l’Uruguay durante il periodo

che va dal 1870 al 1930 circa diedero origine, nella conca del Plata, a condizioni

etno-linguistiche singolari, contribuendo alla nascita di sistemi linguistici dissimili

da quelli che si sono prodotti nei paesi ad essi adiacenti come Cile, Bolivia,

Paraguay e Brasile.

34

Come sostiene la professoressa Antonella Cancellier «il contesto argentino e

quello uruguaiano sono assimilabili per l’osmosi continua e costante tra le due rive

urbanizzate del Río de la Plata (frequentate dalle stesse navi e dalla stessa

tipologia di materiale umano: emigranti, marinai, avventurieri, ecc.;) e per il fatto di

condividere esperienze e manifestazioni intimamente peculiari, quali per esempio

l’apparizione del tango e la sua persistente vitalità e, nelle zone rurali, la comune e

determinante presenza del gaucho» (CANCELLIER, 1995: 69).

La cosiddetta “valanga migratoria” – comprendente quasi esclusivamente

immigrati dalla Spagna e l’Italia27 – entrava nel paese attraverso il porto di Buenos

Aires, insediandosi nel centro della zona portuaria della città, compresa quella

uruguaiana di Montevideo.

Si viene a creare perciò una situazione di prolungato contatto tra le varietà

dialettali dell’italiano standard – quelle meridionali importanti dal punto di vista

quantitativo e quelle settentrionali, specie il genovese, dal punto di vista

qualitativo, (dato che i documenti del commercio navale venivano spesso stilati in

genovese) – e lo spagnolo locale, determinando l’apparizione di due codici

linguistici particolarmente noti. Ci riferiamo al cocoliche,28 lingua mista di

transizione, e al lunfardo, argot urbano che manifesta uno dei più eclatanti contatti

linguistici tra lo spagnolo rioplatense e i dialetti italiani.

Il primo caratterizza la mescolanza linguistica di spagnolo, dialetto calabrese,

gauchesco e italiano, alterando tutti i livelli della lingua: il lessico, la morfologia, la

sintassi e la fonetica, originando un pastiche della lingua spesse volte

incomprensibile. Ancora oggi, il cocoliche, divenuto una vera e propria lingua

letteraria, sopravvive nel teatro popolare (circo, sainete, grottesco) specie in

Argentina e in Uruguay e serve fondamentalmente a rappresentare la volontà, da

parte dell’emigrante italiano meridionale, di potersi inserire e prendere parte attiva

della società ospitante.

27 Gli italiani occuparono il primo posto tra gli immigranti: il 34% nel 1869, quasi il 49% nel 1895 e attorno al 40% nel 1914, mentre gli spagnoli rappresentarono circa il 20% della popolazione bonaerense, e il 30% restante della massa straniera era formata da francesi, inglesi, tedeschi, irlandesi, belgi, olandesi, svedesi, ebrei russi e polacchi, seguiti da arabi, turchi e armeni (CANCELLIER, 1995: 70). 28 Il nome deriva dal cognome calabrese “Cocoliccio” o “Cuccoliccio”, cognome di Antonio Cocoliche, un emigrato calabrese che lavorava come operaio alla compagnia teatrale dei fratelli Podestá, ridicolizzato per il modo di parlare che voleva imitare lo spagnolo rioplatense. Cocoliche divenne ben presto il nome di un personaggio aggiunto al dramma gauchesco Juan Moreira (1886) di Eduardo Gutiérrez, utilizzato come archetipo patetico dell’emigrato che vuole a tutti i costi “acriollarse” (CONDE, 2011: 179).

35

Il lunfardo è entrato a far parte della lingua parlata dagli argentini e dagli

uruguaiani durante i secoli XIX e XX.

Il termine si è originato a partire dalla corruzione del vocabolo dialettale

“lombardo”, il quale, in dialetto romanesco dell’Italia significa ladrón (CONDE, 2011:

46). Si tratta di un fenomeno linguistico sviluppatosi perlopiù in contesti legati alla

malavita e alla criminalità organizzata che, secondo la Cancellier, si relaziona ad

altri fenomeni linguistici assolutamente somiglianti.

Il lunfardo non rappresenta quindi un caso isolato, ma condivide con altri

prodotti argotici del continente americano (quali la giria in Brasile, la coa in Cile, la

replana in Perù, il caliche in Messico, il pachuco nelle comunità ispano-parlanti del

sud-ovest statunitense, ecc.) la caratteristica di generarsi in un mondo dove la

delinquenza raffigura la realtà storico-sociale di quell’epoca.

Grazie alla sua esuberanza linguistica e alla numerosa presenza di italianismi

che ne arricchiscono il vocabolario – circa il 40% delle parole in esso presenti

sono elementi linguistici dialettali o gergali dell’italiano – è riuscito ad introdursi in

diverse espressioni artistiche come la letteratura, il cinema e la musica,

caratterizzando in particolare il tango, genere musicale che fece divenire il

lunfardo un potentissimo strumento di comunicazione (CANCELLIER, 1995: 81).

Ricordiamo che il nostro lavoro non si occupa di esaminare le specificità di

queste due manifestazioni linguistiche, ragion per cui abbiamo accennato

brevemente alle loro origini, trattandosi di fenomeni appartenenti all’area geo-

linguistica da noi analizzata, quella del Río de la Plata.

Le peculiarità dello spagnolo rioplatense si manifestano particolarmente a livello

fonetico e sono individuabili tanto nella variante porteña, o argentina, quanto in

quella uruguagia, anche se distribuite in maniera differente.

Avremo dunque la presenza dei seguenti elementi linguistici:

1) seseo: fenomeno linguistico della lingua spagnola che consiste nel

pronunciare allo stesso modo i fonemi /s/ e /θ/. Diversamente detto, si

pronunciano la lettera c (davanti le vocali e e i) e la lettera z con il suono

che corrisponde alla lettera s, cosicché per un parlante seseante non vi è

distinzione tra “casa” e “caza”;

36

2) yeísmo: fenomeno fonetico tipico della lingua spagnola – peninsulare e

americana – che consiste nel pronunciare in maniera identica i fonemi /j/

e /Ɨ/, ciò significa, ad esempio, che le parole “maya” e “malla” verranno

pronunciate allo stesso modo;

Nelle città di Buenos Aires, Entre Ríos, Santa Fe (tranne che nella zona nord-

est della città), parte del sud-est di Córdoba, La Pampa e la Patagonia, parte del

territorio del nord-est di Tucumán, in alcuni paesini al centro e al nord-est di Salta

e nel sud-est di Jujuy, in Argentina; e nella totalità dell’Uruguay (specie nella città

di Montevideo) si manifesta un certo tipo di yeísmo definito yeísmo rehilado.29

Questo, oltre a ridurre i due fonemi in un’unica unità come ogni altro dialetto

“yeísta”, gli fornisce la pronuncia di una fricativa postalveolare (o prepalatale)

sonora [ʒ] o di una fricativa postalveolare (o prepalatale) sorda [ʃ]; pronuncia che,

in Uruguay, costituisce la norma standard della lingua spagnola (LUENGO, 2007:

327).

3) inversione di pronuncia tra le lettere /-r/ e /-l/: arma [‘alma], celda

[‘serda];

4) aspirazione o perdita di /-s/ all’interno della parola o alla fine della parola:

per esempio: pasto [‘pahto], vamos [‘bamo]; fenomeno riscontrabile nelle

zone più fortemente influenzate dalla variante andalusa della lingua

spagnola. Oltre che nel Río de la Plata, lo si può ritrovare nelle aree

caraibiche del continente;

5) elisione della /d/ in posizione finale o intervocalica della parola: cansado

[kan’sao], ciudad [sju’da] (ELIZAINCÍN, 2013: 9).

29 Il termine spagnolo rehilamiento viene coniato da Amado Alonso nel 1925. Viene utilizzato per identificare la “vibración que se produce en el punto de articulación de algunas consonantes y que suma su sonoridad a la originada por la vibración de las cuerdas vocales”: ci sarà rehilamiento nella pronuncia castigliana di s e z (mismo, esbelto, juzgar) così come nel rioplatense ayer, mayo (http://lema.rae.es/desen/?key=rehilamiento).

37

A livello morfosintattico, è necessario riferirsi a due fenomeni linguistici che

distinguono in maniera evidente lo spagnolo peninsulare da quello americano:

1) scomparsa del pronome di seconda persona plurale (con funzione

pragmatica di vicinanza) vosotros, sostituito in tutte le varianti del blocco

spagnolo dell’America con il pronome ustedes;

2) Voseo: si tratta di un fenomeno ampiamente e secolarmente discusso

non solo dagli studiosi spagnoli della lingua, ma da tutti gli ispanisti del

mondo. Il voseo è relazionato al diverso uso delle forme pronominali o

verbali di seconda persona singolare e consiste nella sostituzione del

pronome di seconda persona singolare tú / ti con la forma vos, impiegata

come soggetto (Puede que vos tengás razón) e declinata in tutto il

paradigma verbale ad esso corrispondente (Vos comés o comís);

Il voseo è una modalità comunemente accettata dalla norma colta della lingua

spagnola americana e riguarda la sostituzione del pronome di seconda persona

singolare con quello di seconda persona plurale, sia a livello pronominale che a

quello verbale.

In Uruguay, tuttavia, in particolare nella capitale di Montevideo, viene

considerato maggiormente prestigioso l’uso del voseo verbale, situazione che

implica ancora oggi la reticenza, da parte dei montevideani, nel sostituire

completamente l’antico pronome tú di seconda persona singolare con il vos nella

coniugazione dei tempi verbali (IDEM: 10).

Tali caratteristiche sopra elencate, sono da considerarsi comuni allo spagnolo

dell’Argentina e a quello dell’Uruguay, anche se, come vedremo poco dopo, in

Uruguay si manifestano alcuni fenomeni linguistici tipici esclusivamente della

lingua spagnola uruguagia.

38

I. 3.2. Lo spagnolo dell’Uruguay

La storia della scoperta dell’Uruguay è particolare tanto quanto la variante della

lingua spagnola che si è originata in questo piccolo Paese.

Quando i colonizzatori spagnoli arrivarono nella cosiddetta Banda Orientale, si

resero conto della precaria situazione della regione, carente di materiali preziosi e

abitata da indigeni indomiti e ribelli (ELIZAINCÍN, 1992: 744).

Il contatto linguistico tra il castigliano e le lingue native dovette essere stato

particolarmente intenso durante il periodo immediatamente successivo allo sbarco

del comandante spagnolo Juan Díaz de Solís,30 avvenuto nel 1516.

Prova evidente di tale avvicinamento è rappresentata dal mantenimento di una

considerevole parte della toponimia uruguaiana: al di là del nome stesso del

Paese,31 ricordiamo i nomi indigeni di città Bacacay, Aiguá, Aceguá, Arerunguá.

Buona parte della fauna e della flora autoctone è costituita poi da termini

provenienti dal guaranì: ñandú, ananá, caraguatá, cuati, jacarandá, mandioca,

omnú, ed altri di uso quotidiano provengono invece dal quechua, frutto delle

comunicazioni con le zone interne del continente: charque, cancha, zapallo,

guasca, mate, poroto, pucho, yapa (BERTOLOTTI – COLL, 2006: 32).

Ciononostante, come afferma il linguista uruguaiano Adolfo Elizaincín, nessuna

delle lingue indigene presenti in questo territorio ha giocato un ruolo fondamentale

nel processo storico della formazione dello spagnolo in Uruguay (ELIZAINCÍN, 1992:

746), fatto che marca una differenza sostanziale con il resto della lingua spagnola

parlata in Sudamerica.

La scomparsa dell’elemento indigeno nello spagnolo uruguagio è dovuto,

secondo Virginia Bertolotti e Magdalena Coll, ad un processo di “europeizzazione”

degli indios o, probabilmente, ad un totale annientamento di quest’ultimi qualora si

fossero opposti ad “ispanizzarsi” (IDEM).

30 Famoso navigatore di origini incerte (Lebrija, Sevilla ? – Río de la Plata, 1516), ha prestato servizio presso la Corona portoghese e, si pensa quindi fosse stato di nazionalità portoghese. La sua più famosa spedizione avvenne tra il 1515 e il 1516, anni in cui, grazie ad un incarico datogli dall’Impero spagnolo, riuscì a penetrare nell’estuario del Río de la Plata (chiamato per alcuni anni Río de Solís in suo onore) e prese possesso di quelle che oggi corrispondono alle coste dell’Uruguay. Dopo lo sbarco, Solís morì poco tempo dopo per mano di indigeni guaranis (http://www.biografiasyvidas.com/biografia/s/solis.htm). 31 La parola “Uruguay” proviene dal guarani uruguay, termine con il quale il popolo indigeno designava il fiume che oggi separa l’Argentina e l’Uruguay. Si dice che il significato della parola corrisponda allo spagnolo “río de los pájaros” (= fiume degli uccelli) (http://etimologias.dechile.net/?Uruguay).

39

Un ragionamento simile è da farsi per quanto riguarda la sparizione

dell’influenza delle lingue africane.

Entrate nel territorio uruguagio con l’arrivo degli schiavi neri dal porto di Buenos

Aires e dalle zone portuarie di frontiera con il Brasile, tuttavia, hanno potuto creare

un ulteriore contatto, decretando un forte arricchimento del lessico spagnolo

uruguaiano (ELIZAINCÍN, 2002: 256).

L’Uruguay è stato, per diversi secoli, un territorio continuamente conteso dagli

spagnoli e dai portoghesi, i quali, alternativamente e con un susseguirsi di periodi

di guerre e altri di “pace”, popolarono il territorio orientale.

Si ravvisano, pertanto, tre grandi influenze all’interno del tessuto linguistico

dello spagnolo dell’Uruguay: il già citato italiano, lo spagnolo e il portoghese.

Le primissime famiglie arrivate a popolare la città di Montevideo nel 1726

provenivano principalmente dalle isole Canarie, unitesi poco più tardi ad altre

famiglie spagnole di varie regioni, specie quelle di origine andaluse. Ciò significa

che la base linguistica, specificatamente il lessico e l’intonazione dello spagnolo

montevideano, è di origini canarie (ELIZAINCÍN, 1992: 746).

Naturalmente, bisogna pensare che nella zona orientale vivevano anche altre

popolazioni indigene, i criollos e le comunità di neri che si mescolarono agli

spagnoli, dando origine ad un gruppo sociale non particolarmente dotato di basi

culturali. Si può dire, difatti, che la maggior parte delle persone appartenenti a tale

gruppo sociale disconosceva persino la forma scritta della lingua,

caratterizzandosi dunque come analfabeti.

È solo con l’avvento del XIX secolo che Montevideo comincia il suo processo di

modernizzazione, inaugurando quella tanto attesa trasformazione del Paese che

da società prevalentemente rurale, andava ora avvicinandosi ad una realtà

urbana, fortemente vicina a quella europea.

Tale processo evolutivo si riversa, di conseguenza, in ambito linguistico, dando

luogo a delle peculiarità difficilmente riscontrabili nella lingua spagnola parlata

negli altri paesi sudamericani.

Le caratteristiche essenziali dello spagnolo dell’Uruguay, oltre quelle già citate e

in comune con la variante porteña (ricordiamo la presenza del seseo, ampiamente

documentato già a partire dal XVIII secolo, lo yeísmo rehilado; l’aspirazione e la

40

perdita della /-s/ in posizione implosiva;32 l’elisione della /-d/ a fine parola; la

confusione tra /-r/ e /-l/), sono:

1. l’uso del suffisso -ito (e non -illo, -ico, -uelo, -ingo, ecc.;) utilizzato per la

formazione dei diminuitivi di sostantivi e aggettivi: (BERTOLOTTI – COLL,

2006: 35).

-ILLO/-ILLA

-ITO/-ITA

SOSTANTIVI

AGGETTIVI

NUMERO TOTALE

%

SOSTANTIVI

AGGETTIVI

ALTRI

SUFFISSI

NUMERO TOTALE

%

SEC. XVIII-XIX

31

2

33

31

62

10

72

69

SEC. XX

6

6

8

46

18

6

70

92

2. l’alternanza del voseo e del tuteo pronominale o verbale:

I parlanti uruguaiani di lingua spagnola possiedono tre diversi modi di dirigersi

ad una seconda persona ad essi vicina:

a) VOS pronominale + Voseo verbale:

Andá vos misma;

Vos sabés lo que querés sacar (parlante di sesso maschile, contesto

familiare);

b) Tuteo pronominale + Voseo verbale:

Si tú me decís eso, por algo será (giovane studentessa montevideana,

contesto formale);

32 Questo fenomeno rappresenta una variazione diastratica importante in Uruguay: i parlanti che possiedono e sono soliti praticare una norma colta della lingua non aspirano la /-s/ alla fine della parola, a differenza delle persone appartenenti agli strati più bassi o popolari della società che tendono sempre ad aspirarla o finanche eliminarla durante l’atto dell’enunciazione (BERTOLOTTI – COLL, 2006: 34).

41

c) Tuteo pronominale + Tuteo verbale:

¿Tú te acuerdas, de lo que yo te había dicho? (donna colta

montevideana, contesto familiare).

Quest’ultima combinazione (tuteo pronominale + tuteo verbale) è usata

generalmente in contesti nei quali il discorso deve presentarsi formale (la si

adopera, ad esempio, in situazioni legate all’ambiente scolastico, universitario,

ecc.;) o è tipico del linguaggio dei parlanti adulti colti.

Fatto curioso ed interessante è che anche la maggior parte dei bambini

uruguaiani (montevideani), guardando la televisione, arrivano ad imitare il

linguaggio dei cartoni animati doppiati in lingua spagnola, apprendendo,

inconsapevolmente, l’uso di tale forma di trattamento (IDEM: 37).

3. particolare forma di trattamento costituita dalla parola ché.

Questa forma è usata anche nel sud del Brasile e in diverse zone dell’Argentina

a contatto con le aree linguistiche influenzate dalla lingua indigena guaranì, dalla

quale peraltro proviene il termine.

A differenza del guaranì, nello spagnolo dell’Uruguay il ché non possiede alcun

valore pronominale, ma funziona perlopiù come vocativo singolare o plurale,

motivo per il quale appare seguito quasi sempre da un nome riferito a persona o

persone: Ché María, ¿salimos hoy?; Ché gente ¿todos tienen terminado el

trabajo, no? (IDEM: 38).

Per concludere, la tipicità/atipicità dello spagnolo dell’Uruguay, che

maggiormente ha attirato la nostra attenzione, consiste nella netta separazione

dell’idioma tra l’area sud e quella nord del Paese:

Así pues, durante los siglos XVIII y XIX se puede describir la situación lingüística de

la República como un núcleo hispánico establecido en torno a la ciudad de

Montevideo y las orillas del Plata, rodeado a su vez de una zona rural de habla

portuguesa que se funde sin cortes bruscos con los territorios luso-hablantes de lo

que hoy constituye Rio Grande do Sul (LUENGO, 2005: 116).

42

Ciò significa che tra il XVIII e il XIX secolo non esisteva una frontiera vera e

propria tra l’Uruguay e il Brasile.

Tutta la zona sud si era, per così dire, raggruppata in un unico nucleo linguistico

aderente allo spagnolo di Montevideo, mentre la fascia territoriale nord

apparteneva linguisticamente al portoghese del Rio Grande do Sul.

Questa importante presenza del portoghese, che ha originato quello che

abbiamo definito lenguaje fronterizo o portunhol/portuñol, non sorprende se si

pensa che solo durante la metà del XIX secolo vivevano in Uruguay circa 40.000

brasiliani – su un totale di 100.000 abitanti – i quali ovviamente hanno fatto sì che

l’uso dello spagnolo diminuisse, a vantaggio del portoghese, lingua predominante

nelle zone nord del Paese.

Esistono perciò delle caratteristiche originatesi dal contatto dello spagnolo con il

portoghese, le quali, tuttavia, non si ravvisano unicamente nel dialetto fronterizo,

ma si sono radicate nello spagnolo uruguagio attuale.

Basandoci sugli studi linguistici di Adolfo Elizaincín, possiamo, a grandi linee,

riassumerle in tal modo:

1. tendenza ad esprimere il soggetto pronominale di terza persona

singolare.

Si tratta di un fenomeno tipicamente brasiliano che permette la successiva

esplicitazione del pronome di terza persona (singolare ele/ela o plurale eles/elas)

in un enunciato che non comincia con un soggetto pronominale.

È altresì possibile utilizzare il pronome personale soggetto per riferirsi non solo

a persone, ma anche ad oggetti animati e inanimati, come si può notare dalle frasi

in basso riportate, tratte da alcune interviste con parlanti locali:

Porque también el buey… el buey lo llamaban y él viene ¿no?;

sabe que él es prohibido porque siempre...casi siempre termina mal

(refiriéndose al juego de la taba);

Tu monedero esta ahí, arriba de todo...no lo busco porque él estaba ahí ¡arriba

de todo...! (ELIZAINCÍN, 2002: 259).

43

2. sostituzione del verbo haver con il verbo ter (in spagnolo haber por

tener).

È un fenomeno tipico della lingua portoghese del Brasile, il quale si è

gradualmente esteso nel linguaggio di frontiera. Come sappiamo, nel portoghese

attuale tutti gli ausiliari si formano con il verbo ter, mentre nella lingua spagnola

l’uso del verbo tener è ristretto e vincolato ad alcune regole grammaticali: questo,

difatti, può essere utilizzato come ausiliare di un verbo transitivo (“tengo leído el

libro”), ma non di uno intransitivo (* “tengo viajado a Perú).

Nello spagnolo uruguaiano di contatto si possono verificare casi in cui il verbo

ter (tener in spagnolo) venga utilizzato come ausiliare anche in verbi intransitivi.

Possiamo in effetti sentire o vedere scritte frasi del tipo: “tengo viajado mucho a

Rivera”, che mostrano chiare influenze della lingua portoghese nella grammatica

spagnola.

Esiste, infine, una forma particolare del portoghese brasiliano che utilizza il

verbo ter come forma impersonale, per esempio: Tem muitas crianças na praça.

Nello spagnolo di contatto con il portoghese non è ammessa tale sostituzione;

sarebbe impensabile una frase siffatta: “tiene muchos niños en la plaza”, dal

momento che lo spagnolo possiede la forma impersonale hay, costruita con il

verbo haber alla terza persona e l’antico avverbio y, che svolge la medesima

funzione del ter portoghese. Tale sostituzione dei verbi si può manifestare,

tuttavia, nel portoghese parlato in Uruguay, dove è possibile imbattersi in frasi

costruite con il verbo ter al posto dell’haber spagnolo, alla maniera del Brasile:

Mulheres bonita tem sim, tem bastante (IDEM: 260).

Detto ciò, risulta dunque evidente che la lingua portoghese svolga un ruolo

fondamentale all’interno dello spagnolo uruguagio del nord, ma ci riserviamo la

spiegazione e l’analisi di tale contatto linguistico nel prossimo capitolo.

44

CAPITOLO II Portunhol/Portuñol: la costruzione di una lingua di

frontiera

II. 1. Frontiera geo-politica tra il Rio Grande do Sul e l’Uruguay

La storia del Rio Grande do Sul ha da sempre attratto storici, intellettuali,

linguisti e scrittori di tutto il mondo, affascinati dalla particolare cultura di questo

stato situato nell’estremo sud del Brasile.

Probabilmente, non tutti sanno che il Rio Grande do Sul ottenne la sua

conformazione fisica e politica attuale dopo circa duecento anni di lotte e conflitti

tra le due maggiori potenze europee, la Spagna e il Portogallo, all’epoca della

conquista del Nuovo Mondo.

Il Rio Grande do Sul entrò definitivamente a far parte del sistema politico-

amministrativo della Corona Portoghese a partire dal 1737, epoca in cui la

spedizione militare del brigadiere José da Silva Paes1 occupò la Lagoa Mirim (in

spagnolo Laguna Merín) impedendo l’entrata nel territorio dai portoghesi

posseduto da parte degli avversarsi spagnoli.

Nel 1742 i colonizzatori portoghesi fondarono la città di Porto dos Casais,

chiamata successivamente Porto Alegre, attuale capitale del Rio Grande do Sul.

È solo durante il secolo successivo che lo stato meridionale del Brasile acquista

la conformazione odierna, decisosi a stabilire fisse frontiere geografiche e politiche

al confine sud con la Repubblica Orientale dell’Uruguay e a ovest con l’Argentina,

paesi latinoamericani di lingua spagnola.

1 José da Silva Paes (Lisbona, 1679 – ivi, 1760) è stato un militare, ingegnere e amministratore coloniale portoghese. Ha comandato la spedizione militare messa in atto per fondare Colonia del Sacramento e ha fondato, nel 1737, Rio Grande, prima città del Rio Grande do Sul (http://wikipedia.org/wiki/José_da_Silva_Paes).

45

L’instabilità e la mobilità della frontiera tra le colonie spagnole e quelle

portoghesi all’epoca della colonizzazione, e tra gli stati-nazione del Brasile e

dell’Uruguay durante il periodo delle lotte per l’indipendenza, ha dato vita ad una

regione di frontiera caratterizzata da continue guerre civili.

Le guerre tra la Spagna e il Portogallo ora per la difesa del territorio, ora per

l’ampliamento dei propri possedimenti, ha originato una particolare situazione

territoriale che ha avuto ripercussioni specie a livello linguistico. Difatti, ancora

oggi, nella regione fronteriza tra il Brasile e l’Uruguay sono presenti, oltre le

rispettive lingue nazionali e ufficiali – il portoghese e lo spagnolo – i cosiddetti

Dialectos Portugueses do Uruguai (denominati anche DPUS).

Prima di procedere all’analisi linguistica vera e propria del dialetto fronterizo, ci

è parso opportuno dedicare parte di questo lavoro allo studio storico della

formazione della frontiera tra il sud del Rio Grande e il nord dell’Uruguay, poiché,

come vedremo, il portunhol/portuñol è il frutto degli avvenimenti storici e politici

occorsi nei due Paesi durante i secoli.

I confini politici – fittizi – stabilitisi tra le due regioni latinoamericane hanno

permesso una sorta di contiguità storica e culturale che ritrae un fenomeno sociale

e linguistico del tutto eccezionale.

La storia dei due Paesi rimonta al 1494, anno in cui si stravolgono le sorti

dell’intero mondo del quindicesimo secolo. La Spagna e il Portogallo firmano il

famoso Trattato di Tordesillas, il quale stabiliva una netta spartizione tra i due

grandi Imperi di quei territori neo-scoperti nel Nuovo Continente (RIZZON, 2013: 1).

Tale accordo, tuttavia, non risolse le ostilità tra le potenze europee, incitò, anzi,

l’avanzata espansionistica della Corona Portoghese a violare i termini del Trattato.

Il Portogallo, vedendosi mancare la quasi totalità delle terre d’Oltreoceano, decise

di occupare quei territori che, approssimativamente, oggi corrispondono al Rio

Grande do Sul e alla República Oriental del Uruguay, scatenando una lunga serie

di dispute, spesso violente e sanguinose.

La finalità del Trattato di Tordesillas era quella di spostare la linea divisoria

immaginaria dei confini delle rispettive aree di influenza 370 leghe a ovest di Capo

Verde.2

2 Precedentemente, nel 1493, Papa Alessandro VI aveva promulgato una bolla che divideva “equamente” le terre del Nuovo Mondo fra la Castiglia e il Portogallo: quelle a est della linea di demarcazione che andava da un polo all’altro e che passava a cento leghe al largo delle Azzorre, sarebbero divenuti possedimenti del Portogallo; quelle a ovest di questa linea, sarebbero appartenuti alla Castiglia (ALUNNI, 2013: 1).

46

All’epoca, tuttavia, non vi era la possibilità di misurare accuratamente le

distanze geografiche che separavano le terre scoperte, fatto che provocò ulteriori

conflitti tra le potenze portoghese e spagnola.

Le rivalità s’inasprirono quando, nel 1617 circa, i colonizzatori spagnoli

istituirono la Gobernación del Río de la Plata, comprendente i territori orientali

dell’attuale parte meridionale del Brasile e lo Stato dell’Uruguay, situati a est del

Río Uruguay e a nord da quello de la Plata.

Fu così che il 26 gennaio del 1680, i soldati dell’esercito portoghese fondarono

Colonia del Sacramento, guarnigione situata proprio di fronte alla città di Buenos

Aires (quella che più tardi sarebbe divenuta la capitale del Virreinato del Río de la

Plata), per frenare il potere minaccioso dell’America spagnola.3

Per la Spagna, come è ovvio, questa fu considerata una vera e propria

invasione, al contrario, il Portogallo pensò di riappropriarsi dei territori che gli

spettavano di diritto (IDEM). Quasi un secolo dopo, precisamente nell’anno 1726, la

Spagna fonda a duecento chilometri a est di Colonia del Sacramento, la città di

Montevideo, per proteggere le province colonizzate (ELIZAINCÍN, 2001: 2).

In realtà, le lotte di quel periodo furono mosse principalmente dal desiderio di

conquistarsi il dominio sui fiumi che davano accesso diretto ai giacimenti di oro e

d’argento nell’Alto Perù ed anche dall’ansietà di governare il mercato delle pelli di

bestiame, stanziatosi numeroso nelle regioni orientali dopo l’arrivo dei

colonizzatori e dei missionari europei (BANDEIRA, 2006: 78).

Le terre della conca del Plata, difatti, erano considerate, già all’epoca, le più

ricche e fertili del Sudamerica. La presenza degli animali aveva creato un fiorente

commercio legale e illegale di bovini, equini e pelli di animali, soppiantando

persino quello dell’oro e dell’argento.4

Si susseguirono una serie interminabile di trattati – nel periodo coloniale

vennero firmati, ad esempio, quello di Utrecht, il trattato di Madrid,5 di El Pardo,

rispettivamente nel 1715, 1750 e 1761 – fra il Regno di Spagna e quello di

3 Buenos Aires venne utilizzata, almeno solo all’inizio, come città portuale per il commercio spagnolo di schiavi africani destinati a supplire alla mancanza di manodopera nelle piantagioni di canna da zucchero a Cuba (BERDICHEVSKY, 2011: 2). 4 All’epoca, la pelle era divenuta la materia prima essenziale per l’industria sudamericana, fatto che provocò la diminuzione delle esportazioni dell’argento verso l’Europa. La carne de charque, inviata in Brasile e nelle isole caraibiche, serviva oltretutto per il mantenimento alimentare degli schiavi africani (BANDEIRA, 2006: 79). 5 Il Tratado de Madri, conosciuto anche come Tratado de Permuta, delimitava in maniera più precisa i domini delle due Corone stabilendo lo scambio, come dice il nome dello stesso trattato, di immensi territori che, dal punto di vista giuridico, appartenevano all’una o all’altra Corona e, inoltre, prevedeva la cessione di Colonia do Sacramento all’Impero spagnolo (SEGARRA, 1969-1970: 16).

47

Portogallo, che a nulla servirono per sedare i contrasti, anzi alimentarono le ostilità

tra spagnoli e portoghesi nelle colonie americane.

A questo punto, la Spagna rendendosi conto del pericolo cui stava andando

incontro e temendo la presenza del Brasile nel territorio “uruguagio” (così definito

pur non essendo ancora nato ufficialmente lo Stato dell’Uruguay), rafforzò le

proprie difese militari intorno alla baia di Montevideo e costrinse il Portogallo a

cedere Colonia del Sacramento.

II. 1.1. La “terra di nessuno”

Si giunse ad una tregua con il famoso Trattato di Santo Ildefonso, firmato nel

1777, considerato probabilmente come il più singolare fra i trattati stipulati in

quegli anni per la delimitazione dei confini fra i territori appartenenti all’uno o

all’altro Impero. Le stipule in esso contenute vennero accettate – e mai annullate

fino al momento in cui le regioni del Rio Grande do Sul e dell’Uruguay ottennero

l’indipendenza – divenendo, di fatto, la base giuridica delle relazioni tra le

repubbliche ispanoamericane e l’impero del Brasile (RIZZON, 2013: 2).

Con esso, venne anche sancita la nascita di una zona neutrale definita “terra di

nessuno” (in portoghese terra de ninguém), passata alla storia con il nome di

Campos Neutrais.

Si trattava di una vasta area disabitata, la quale, secondo il trattato, non doveva

essere occupata da nessuna delle due regioni in lotta, poiché il suo scopo

principale era quello di ostacolare il contrabbando e le attività illecite nelle zone di

frontiera. Vista la sua condizione di terra senza “padrone”, finì, tuttavia, per

produrre l’effetto contrario, incrementando il commercio clandestino.

Queste immense distese di terra abbandonate, denominate pampas,6

permisero, poi, la nascita di un nuovo tipo sociale.

6 Il termine pampa proviene dall’indigeno quechua e significa “pianura”. Si conosce come “llanura pampeana”, “región pampeana”, o pampa, un’area naturale condivisa da Argentina, sud del Brasile e Uruguay, caratterizzata da una vasta steppa con un elevato livello di umidità e un clima di tipo temperato. Grazie alle condizioni climatiche e geografiche, la pampa si presenta come una delle zone più fertili al mondo, nella quale si coltivano immense quantità di alimenti e si allevano, dai tempi della colonizzazione, diversi animali per la produzione e l’esportazione internazionale di carni e latticini (http://es.wikipedia.org/wiki/Región_pampeana).

48

Ci riferiamo al gaucho, categoria che definiva quegli uomini senza patria, né

casa – in maggioranza disertori, fuggitivi, vagabondi o criminali – portoghesi,

spagnoli, negri o indios, marginalizzati dalla società latifondista dell’epoca, i quali

si dedicavano esclusivamente ad azioni di contrabbando.

La “terra di nessuno” cominciò, dunque, ad essere abitualmente frequentata da

persone provenienti dall’una e dell’altra parte della frontiera divenendo il principale

luogo di interrelazioni e di scambi commerciali più o meno legali.7

Il Portogallo, approfittando della temporanea debolezza politico-militare della

Spagna, cominciò a rendere effettiva la propria sovranità territoriale nella regione

orientale attraverso la donazione di terre alle famiglie portoghesi o brasiliane, e

l’installazione delle prime proprietà, le famose estâncias (conosciute

maggiormente come fazendas), con l’intenzione di occupare definitivamente quei

territori.

A estância pode ser entendida como um estabelecimento rural, de criação de gado,

militarista, relacionada com a consolidação da fronteira entre Brasil e Uruguai. A

análise sobre as estâncias pode revelar muito sobre a economia, a organização

social e cultural da fronteira no século XIX entre os territórios do Rio Grande do Sul

e Uruguai. Primeiramente elas tiveram caráter militar sendo posteriormente

necessário povoar a região para garantir a posse e tornar as terras produtivas. Com

isso iniciou a criação de gado e a vida nas estâncias passou também a ter um

aspeto doméstico e familiar (LIMA – MOREIRA, 2009: 10).

Queste imponenti costruzioni, risalenti al XVIII e XIX secolo – ancora oggi

presenti in molte zone rurali della città di frontiera come Jaguarão, in Brasile, –

venivano concepite come un luogo di assoluta protezione e progettate alla

maniera di vere e proprie fortezze, considerato che la loro principale funzione era,

almeno all’inizio, quella di impedire gli attacchi dei nemici e i saccheggiamenti di

banditi o gauchos che volevano appropriarsi del bestiame.8

7 Il tema del contrabbando e le conseguenze che questo provocava – sentimenti di angustia,

paura, coraggio, pericolo, violenza, corruzione – e tutti gli altri drammi che ruotano attorno ai personaggi che vivono nella frontiera, è stato trattato da autori come i riograndensi João Simões Lopes Neto, Darcy Azambuja, Sergio Faraco e Tabajara Ruas; e dagli scrittori uruguaiani Julián Murguía, Serafín J. García, Julio C. Da Rosa e Mario Arregui (RIZZON, 2013: 2-3). 8 Magistrali descrizioni di questi ambienti si possono trovare nei racconti degli autori uruguaiani José Monegal, del quale ricordiamo in particolare El sargento e Javier de Viana che, in Los amores de Bentos Sagrera (1969), descrive accuratamente l’architettura delle estâncias paragonandole, come dicevamo, a delle fortezze o delle carceri: La estancia de Sagrera era uno de esos viejos establecimientos de origen brasileño, que abundan en la frontera y que semejan cárceles o

49

In un secondo momento, si cominciarono a costruire le estâncias per ripopolare

la regione e assicurarsi il possedimento di quella terra.

Attraverso l’introduzione degli animali, queste acquistarono un aspetto

sicuramente molto più domestico e familiare.9

Nel 1801 scoppiò un conflitto nella Penisola Iberica, il quale, inizialmente, non

provocò ripercussioni negative nelle terre d’Oltreoceano. Tale scontro si concluse

nell’arco di un anno con la firma della pace di Badajoz, ma tale sanzione non frenò

gli animi palpitanti dei luso-brasiliani, i quali colsero l’occasione favorevole per

invadere le altre città appartenenti all’Impero spagnolo, garantendosi il predominio

nel meridione dell’America Latina:

A notícia de paz tendo chegado neste lado do Atlântico meses depois, já no final

daquele ano, houve tempo para que fossem tomados pelos luso-brasileiros os Sete

Povos das Missões, os Campos Neutrais e as terras até o rio Quaraí,

estabelecendo uma delimitação próxima do que se tem na atualidade. Nessa

ocasião, Cerro Largo, atual cidade uruguaia de Melo, chegou a ser invadida, e

grande parte do gado ali existente foi confiscado e levado a terras brasileiras

(RIZZON, 2013: 5).

I movimenti indipendentisti delle colonie ispanoamericane infiammatisi durante

la prima decade del XIX secolo, mossero le truppe luso-brasiliane all’invasione

della cosiddetta Banda Orientale del Río de la Plata tra gli anni 1810 e 1811.

Il 25 maggio del 1810 venne creata la Junta de Mayo10 a Buenos Aires che

permise l’allontanamento dei territori del Virreinato del Río de la Plata dalla

Corona Spagnola.

fortalezas. Un largo edificio de paredes de piedra y techo de azotea; unos galpones, también de piedra, enfrente, y a los lados un alto muro con sólo una puerta pequeña dando al campo. La cocina, la despensa, el horno, los cuartos de los peones, todo estaba encerrado dentro de la muralla (IDEM: 4). 9 Nel 1857, i riograndensi possedevano circa 428 estâncias nella zona di frontiera, le quali occupavano il 30% del territorio orientale (LIMA – MOREIRA, 2009: 7). 10 La Junta argentina sorse come conseguenza della famosa vittoria della Revolución de Mayo della città di Buenos Aires, capitale del Vicereame del Río de la Plata, una dipendenza coloniale spagnola. Al termine della Rivoluzione, venne destituito il viceré Baltasar Hidalgo de Cisneros, all’epoca governatore di Montevideo. La Revolución si scatenò come diretta conseguenza della guerra d’indipendenza spagnola, cominciata due anni prima. Nel 1808 Napoleone Bonaparte aveva convocato Carlo IV di Borbone (re di Spagna fino al 1808) e il figlio Ferdinando VII (re di Spagna dal 1808 al 1813) – i due litiganti nella successione al trono spagnolo – a Bayonne, in Francia, costringendoli ad abdicare a favore del fratello Giuseppe Bonaparte. Tale avvenimento provocò una lotta tra l’Impero francese e la Junta spagnola formatasi a Siviglia, città che cadde in mano ai francesi nel 1810. Un gruppo di capi militari e creoli organizzò dunque un’assemblea straordinaria (Cabildo Abierto) per decidere il futuro del Vicereame, grazie alla quale riuscirono a

50

Nel 1811 ebbe inizio la Revolución Oriental o Artiguista, capeggiata dal

famosissimo lider politico-militare uruguagio José Gervacio Artigas,11 contrario

all’istituzione della Junta porteña. Artigas, nominato Protector de los Pueblos

Libres dalle province di Santa Fe, Corrientes, Entre Ríos, Misiones e Córdoba,

appoggiava la lotta di liberazione nazionale opponendosi all’egemonia della città di

Buenos Aires e alla sua pretesa di avere il monopolio del commercio nel Río de la

Plata. Il lider uruguagio incitava, inoltre, per riuscire nella sua missione, i gauchos

del Rio Grande di San Pedro e gli schiavi neri a ribellarsi contro la Corona

Portoghese – come aveva in precedenza fatto con gli indigeni guaranis delle

Missioni – con l’intenzione di attirarli dalla propria parte (BANDEIRA, 2006: 85).

Per rispondere all’attacco delle truppe uruguaiane, nello stesso anno si

orchestrò una campagna militare portoghese contro Artigas.

A partire da questo momento, si instaurò una sorta di continua competizione

territoriale della Banda Orientale tra argentini e portoghesi.

La lotta nel nord della regione continuò fino a quando Carlos Frederico Lecor,12

comandante dell’invasione portoghese, entrò trionfante a Montevideo nel 1817

assicurandosi il pieno controllo della lotta e costringendo Artigas13 ad esiliarsi in

Paraguay (BEHARES, 2011: 34).

La Banda Orientale, trovandosi in una posizione geografica strategica – tra il

Brasile e l’Argentina attuali – ed essendo bagnata da quei fiumi che garantivano il

commercio internazionale dell’epoca, fu aspramente contesa sia dagli spagnoli

che dai portoghesi.

parlare con il viceré Cisneros, convincendolo a divenire il presidente di una nuova Junta. Il popolo, però, si ribellò in Plaza de Mayo velocizzando le dimissioni di Cisneros, avvenute il 25 di maggio. Venne a costituirsi una nuova giunta composta esclusivamente da porteños, fatto che scatenò continue guerre tra le regioni che accettavano la supremazia di Buenos Aires e le altre che rifiutavano di riconoscerle il potere supremo (www.me.gov.ar/efeme/25demayo/). 11 Condottiero e statista uruguagio (Montevideo, 1764 – Asunción (Paraguay), 1850), affiancò nel 1810 la giunta di Buenos Aires nella rivolta contro la Spagna, ma, successivamente, proseguì da solo tale lotta. Nel 1813 proclamò l’indipendenza delle Provincias Unidas, ottenendo l’inclusione di Montevideo (1815). Attaccato dai brasiliani, dagli argentini e dagli spagnoli, dovette, rapidamente, riparare in Paraguay nel 1820 (http://www.treccani.it/enciclopedia/jose-gervasio-artigas/). 12 Noto generale portoghese (Faro, 1764 – Brasile, 1836), combattè in patria contro Napoleone, diresse poi l’invasione dell’Uruguay da parte del Brasile nel 1816, conquistando Montevideo l’anno successivo. Divenne governatore di Montevideo e partecipò quindi alla guerra tra il Brasile e l’Argentina fino alla firma della pace (http://www.treccani.it/enciclopedia/carlos-frederico-lecor/). 13 La lotta di José Gervacio Artigas presentava un carattere popolare e mirava alla promozione di un progetto politico ancora più radicale rispetto a quello della Rivoluzione di Maggio. Si trattava di un’insurrezione rurale, condotta da contadini che, come il loro capo militare, aspiravano alla costituzione di una repubblica federale che rispettasse l’autonomia e l’uguaglianza di tutte le Province del Río de la Plata (BANDEIRA, 2006: 84).

51

Quest’ultimi riuscirono ad appropriarsi di quel territorio grazie anche, e

soprattutto, all’importanza che il Brasile cominciava da tempo a rivestire nelle lotte

coloniali ispanoamericane.

Difatti, poco tempo prima, il re del Portogallo João VI (1767 - 1826), temendo

l’attacco dell’esercito francese di Napoleone e la sconfitta dell’Impero, fuggì da

Lisbona con la corte, rifugiandosi a Rio de Janeiro nel 1808.

Il trasferimento della famiglia reale in Brasile autorizzò il re a riconoscergli lo

status di Regno dando vita al cosiddetto Regno Unito di Portogallo, Brasile e

Algarve,14 il quale, nel 1821, incorporò ai propri possedimenti la regione orientale

denominandola Provincia Cisplatina. Tra il 1816 e il 1825 il territorio uruguaiano fu

quindi di proprietà portoghese e, successivamente, passò in mano ai brasiliani,

situazione che turbò l’equilibrio della politica e dell’amministrazione spagnola

stabilitasi, nel frattempo, a Montevideo.

Fondata dalla Spagna per ostacolare il dinamismo economico di Colonia del

Sacramento, Montevideo sembrava potersi trasformare in un potentissimo porto

alternativo in competizione con l’argentina Buenos Aires, ma anch’essa cadde in

mano ai luso-brasiliani (BANDEIRA, 2006: 104).

II. 1.2. La República Oriental del Uruguay

Nel 1822, il Brasile ottenne l’indipendenza dal Portogallo, il quale aveva

ordinato la ritirata dell’esercito dalla Provincia Cisplatina, lasciandola in eredità ai

brasiliani. Questo avvenimento incoraggiò le Province Unite del Río de la Plata –

alleanza più tardi conosciuta come Confederazione Argentina – attuali Argentina e

Uruguay – a lottare per riavere tra i vari possedimenti la Banda Orientale.

Dichiarata guerra con l’Impero del Brasile, le lotte si protrassero per circa due

anni fino a quando, il 20 febbraio del 1827, con la famosa Battaglia di Ituzaingó –

conosciuta dai brasiliani con il nome di Batalha do Passo do Rosário – venne

sancita la pace tra gli stati belligeranti.

14 Secondo lo storico brasiliano Luiz Alberto Moniz Bandeira, il re João VI non solo elevò il Brasile alla condizione di Regno, pari al Portogallo, ma gli fornì anche una propria magistratura. Prese poi le misure necessarie affinché l’Assemblea Nazionale si potesse convocare per elaborare la sua Costituzione, e, una volta rientrato a Lisbona, lasciò il figlio, il principe don Pedro, come reggente, dotato di tutti i poteri necessari per poter esercitare in un governo amministrativamente e politicamente autonomo, preparato perfino a sostenere una guerra e la pace (IDEM: 191).

52

Grazie all’intervento dell’Inghilterra – a sua volta interessata all’ottenimento

della supremazia commerciale nelle regioni rioplatensi – fu firmato il Trattato

Preliminare a Rio de Janeiro che diede vita, nel 1828, ad una nuova nazione, la

Repubblica Orientale dell’Uruguay, sorta senza precisi confini geografici o politici

con gli stati vicini (RIZZON, 2013: 6-7).

I limiti territoriali tra l’Uruguay e il Brasile cominciano ad essere stabiliti nel

1830, quando l’Uruguay diventa indipendente.

Il governo uruguaiano si preoccupò sin da subito di riorganizzare la zona nord

del paese creando dei centri urbani ubicati di fronte alle città riograndensi.15

Le frontiere politiche e geografiche tra i due stati si stabilirono definitivamente

nel 1851, con la firma, a Rio de Janeiro, del Tratado de Limites tra l’Uruguay e il

Brasile, risoltosi a vantaggio di quest’ultimo, che ottenne la navigazione esclusiva

nelle acque del Lago Mirim e del fiume Jaguarão:

Reconhecendo que o Brasil está na posse exclusiva da navegação da Lagõa Mirim

e Rio Jaguarão, e que deve permanecer nella, segundo a base adoptada de uti

possidetis, adimitit admittida com o fim de hegar a um accôrdo final e amigavel, e

reconhecendo mais a conveniência de que tenha portos, onde as embarcações

brasileiras que navegão na Lagôa-Mirim possão entrar, e igualmente as Orientaes

que navegaram nos rios em que estiveram esses portos, a Republica Oriental do

Uruguay convem em ceder ao Brasil em toda a soberania para o indicado fim, meia

legua de terreno em uma das margens da embocadura Seballati, que for designada

pela Commissario do Governo Imperial, e outra meia légua em uma das margens

do Tacuari designada do mesmo modo, podendo o Governo Imperial mandar fazer

nesses terrenos todas as obras e fortificações que julgar convenientes.16

Nella seconda metà del XIX secolo, la presenza dei brasiliani nel territorio

uruguagio continuava ad essere considerevole.17

Tale situazione, è facile intuire, determinò aspri contrasti tra le due popolazioni.

15 È così, ad esempio, che viene fondata San Servando (attuale Río Branco), posta esattamente di fronte alla città brasiliana di Jaguarão (LIMA – MOREIRA, 2009: 7). 16 Tutte le stipule del Tratado de Limites tra il Brasile e l’Uruguay si possono leggere sul sito del Ministero delle Relazioni Internazionali del Brasile alla seguente pagina http://dai-mre.serpro.gov.br/atos-internacionais/bilaterais/1851/b_28/. Oltre a questo, il Brasile ottenne il permesso di estradizione degli schiavi fuggitivi e dei criminali e una speciale esenzione dalle tasse sul commercio del bestiame e l’esportazione di carne salata (BERDICHEVSKY, 2011: 4). 17 Dati statistici del 1863 hanno dimostrato che per un totale di 180.000 abitanti in Uruguay, solo 40.000 erano di nazionalità brasiliana (RIZZON, 2013: 7).

53

È solo a partire dal 1909 che il Brasile permise all’Uruguay la libera navigazione

nelle acque del Lago Mirim e del fiume Jaguarão, comprendendo che tale

provvedimento avrebbe potuto intensificare le relazioni commerciali tra i due Stati

e, di conseguenza, incrementare la loro crescita economica.

Durante gli anni successivi, si rafforzano maggiormente i rapporti tra i due Stati,

si promuovono numerosi progetti urbanistici volti a consolidare la loro unione e

creare una costante collaborazione politica tra il Rio Grande do Sul e l’Uruguay.18

II. 2. Cos’è la frontiera?

Secondo Marta Gomes Lucena de Lima e Roberto José Moreira, la

sistematizzazione degli studi sul tema della frontiera si sviluppa a partire dalla fine

del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo.

Grandi studiosi di Geografia Politica come il tedesco Friedrich Ratzel19 hanno

rapportato il concetto di frontiera a quello di stato, concependola come il germe

dell’espansione e della crescita degli stati nazionali.

Lo storico americano Frederick Jackson Turner – noto per l’opera La frontiera

nella Storia americana – volume pubblicato nel 1920 – ha, invece, prescelto la

frontiera come elemento centrale per la sua analisi interpretativa della Storia

nordamericana.20(LIMA – MOREIRA, 2009: 51).

18 Un magnifico esempio è rappresentato dalla costruzione del famoso Ponte Internacional Barão de Mauá – interamente finanziata dal governo uruguagio – edificato per “legare” le città di frontiera di Río Branco (Uruguay) e Jaguarão (Brasile, Rio Grande do Sul), inaugurato nel 1930 http://portal.iphan.gov.br/portal/montarDetalheConteudo.do?id=15972&sigla=Noticia&retorno=detalheNoticia). 19 Geografo ed etnologo tedesco (Karlsruhe, 1844 – Ammerland, (Baviera), 1904), professore di geografia al Politecnico di Monaco (1876 - 1886) e quindi all’Università di Lipsia. Approdato agli studi geografici con una formazione essenzialmente naturalistica, dopo esperienze di viaggi e di corrispondenze giornalistiche, Ratzel divenne il sistematore della Geografia Umana e della Geografia Politica. Tra le sue opere principali si ricordano: Die geographische Verbreitung des Bogens und der Pfeile in Afrika (1876), Anthropogeographie (1882), Völkerkunde (1886 - 1888), Politische Geographie (1897), Das Meer als Quelle der Völkergrösse (1900), Der Lebensraum (1901), Die Erde und das Leben (1901 - 1902) (http://www.treccani.it/enciclopedia/friedrich-ratzel/). 20 Nato nel Wisconsin (Portage) nel 1861, Frederick Jackson Turner è stato professore di Storia presso l’University of Wisconsin, poi ad Harvard. È noto soprattutto per aver formulato la tesi sulla centralità dell’esperienza della frontiera rispetto alla formazione del carattere e dei valori americani. L’opera The frontier in American History, pubblicata nel 1920, costituisce ancora oggi un documento di grande interesse storico per valutare la specificità dell’esperienza e dei fenomeni sociali americani rispetto alla matrice europea da cui essi originariamente derivano (http://www.treccani.it/enciclopedia/frederick-jackson-turner/).

54

In un passato non molto lontano, si pensava alla frontiera esclusivamente come

una semplice linea di demarcazione tra una nazione e l’altra, un qualcosa che

serviva ad indicare un limite o segnalare la fine di un territorio.

In America Latina risulta assolutamente impossibile concepire la frontiera in tali

termini, poiché – considerata anche la fisicità stessa del continente – tale nozione

si spoglia, per così dire, del significato più tradizionale di “confine” rigido e

impenetrabile, per assumere significati altri.

In tal senso, la frontiera smette di essere una sorta di zona off limits per divenire

un’area che invita ad entrare, uno spazio sempre aperto e disponibile

all’integrazione, privo di obblighi o particolari divieti.

La Storia relativa alla zona di frontiera da noi studiata, ci dice che, anticamente,

contadini, allevatori, commercianti o estancieiros (in particolare riograndensi)

erano soliti invadere, principalmente a causa di questioni legate alle attività

commerciali, i limiti territoriali che delimitavano il Rio Grande do Sul e l’Uruguay.

Gli abitanti che vivevano ai due lati della frontiera, per forza di cose, stabilivano

quindi delle relazioni sociali, le quali, con il passare del tempo, si sarebbero

intensificate dando vita alla tipica cultura di frontiera brasiliana-uruguagia.

Secondo Lima e Moreira, tuttavia, bisogna considerare – non dimenticando

l’importanza dei rapporti “pacifici” instauratisi tra uruguaiani e riograndensi –

l’esistenza di conflitti e odi reciproci tra le popolazioni presenti in questa fascia

territoriale che non è brasiliana, né uruguagia:

[...] neste sentido, além dos aspectos de ordem geopolíticas de legitimação do

Estado-Nação (tratados e limites), a fronteira carrega ambigüidades, indefinições, o

que leva determinadas literaturas sobre o tema, a tratar do paradoxo entre fronteira

histórica e fronteira metafórica (IDEM: 52).

La frontiera si caratterizza allora come un luogo dove i limiti geo-politici

divengono indefiniti, lasciando spazio all’indeterminatezza e alle ambiguità.

La società di frontiera acquista una dimensione simbolica e il singolo individuo

che ne fa parte sarà in grado di abbracciare molteplici ordini – da intendersi come i

vari aspetti della vita sociale – nazionali e internazionali.

Il termine “frontiera” rappresenta, pertanto, un luogo geografico di divisione, di

separazione, indica la fine di un territorio all’interno del quale determinati soggetti

sono inseriti (ALVAREZ, 2011: 105), ma, al tempo stesso, designa uno spazio

55

territoriale contraddistinto dall’integrazione e dal contatto tra etnie e lingue diverse,

originatesi dalla trasgressione dei confini politici imposti dalle nazioni.

In tal caso, ci troveremo dinanzi ad una frontiera immaginaria, una dimensione

particolare che dissolve i confini statali, formando proprio attorno alle linee

divisorie dei paesi una fitta rete di relazioni sociali tra più gruppi e individui, una

zona “ibrida”, «preenchida de conteúdo social» (STURZA, 2004: 47).

A fronteira é uma ficção, portanto. É um nome dado a linhas abstratas que, na

realidade, não existem como são; turvamento contínuo do que lhe escapa

incessantemente: microfísica de mobilidade contínuas (DE SOUZA – DE CARVALHO,

2010: 114).

In tali termini, la frontiera è concepita come una finzione, un semplice termine

utilizzato per riconoscere quelle linee di separazione geografica astratte che, nella

realtà, non servono a dividere, ma permettono un’incessante mobilità di persone,

culture, tradizioni e lingue differenti.

Le politiche nazionaliste dei governi, tuttavia, hanno fissato nel corso dei secoli

dei limiti territoriali reali e visibili, delle frontiere geografiche ben definite e stabilite

per ordinare lo spazio, governare e difendere politicamente il proprio territorio.

Più frequentemente ci si trova di fronte a confini territoriali de-materializzati, i

quali sono rappresentati esclusivamente sulle carte geografiche, ma ciò non

significa che tali frontiere siano necessariamente astratte.

Per questa ragione, abbiamo ritenuto importante studiare la geografia dei due

Paesi da noi presi in esame, pensando di offrire al nostro lettore una brevissima

panoramica sui confini territoriali del Brasile e dell’Uruguay.

[…] el primero, un gigante poderoso aunque con abismos sociales que asustan; el

otro, un pequeño país que posee más ganado que habitantes por Km2, pero que a

la vez es uno de los países de referencia mundial en niveles sociales como por

ejemplo en el caso de la tasa de analfabetismo que es aún hoy la más baja de

América Latina, el 2% (RETAMAR – RISSO, 2011: 96-97).

Il Brasile, come dice il passo sopra riportato, è uno dei più grandi ed importanti

paesi dell’America Latina e del mondo, nonostante sia, ancora oggi, investito da

numerose problematiche sociali.

56

Confina con un totale di nove stati sudamericani: l’Uruguay, l’Argentina, il

Paraguay, la Bolivia, il Perù, la Colombia, il Venezuela, la Guiana21 e il

Suriname22; tutti paesi di lingua spagnola (o dove lo spagnolo è stato riconosciuto

come lingua ufficiale) ad eccezione della Guiana e del Suriname che riconoscono,

rispettivamente, l’inglese e l’olandese come idiomi ufficiali.

Figura 1. Le frontiere geo-politiche del Brasile

21 L’inglese è la lingua ufficiale, ma sono molto diffuse alcune lingue caraibiche come l’akawaio, il wai-wai, l’arawak, il patamona e il macuxi, parlate dalle minoranze indigene presenti nel territorio. È ampiamente parlato il creolo guianense, basato sull’inglese, un creolo autoctono non standardizzato che presenta influssi africani e indiani. Il portoghese e lo spagnolo sono lingue altrettanto diffuse nel Paese (http://pt.wikipedia.org/wiki/Guiana). 22 Oltre all’olandese, tra le lingue diffuse in Suriname vi sono: lo sranan tongo, un creolo derivato dall’inglese durante gli oltre vent’anni di colonizzazione dell’Inghilterra e fortemente influenzato dall’olandese, dallo spagnolo, dal portoghese, dalle lingue dell’Africa occidentale e da quelle degli amerindi; l’indostano, una forma di bihari (un dialetto dell’hindi), utilizzato dai discendenti dei lavoratori giunti dall’India nel corso dell’Ottocento; il giavanese, usato dai discendenti dei lavoratori giavanesi giunti nel corso dell’Ottocento; le lingue dei cimarroni, lingue creole di derivazione inglese o portoghese; le lingue degli amerindi (caribi e aruachi); il portoghese; il cinese hakka e il cantonese, il cinese mandarino; e infine l’inglese e lo spagnolo, usate come lingue straniere in ambito perlopiù commerciale o turistico (http://it.wikipedia.org/wiki/Suriname).

57

Il Paese prevede, costituzionalmente, la determinazione di una fascia di

frontiera, considerata fondamentale per la difesa del territorio nazionale. Tale faixa

de fronteira (fascia di frontiera) è stata approvata con la promulgazione

dell’articolo 20 § 2° della Costituzione Federale del Brasile nell’anno 1988.23

L’Uruguay è, al contrario del Brasile, un piccolo Paese costituito da pochi

abitanti che vivono fondamentalmente di agricoltura e di allevamento.

La qualità della vita, tuttavia, è senza dubbio alta rispetto alla media degli altri

paesi dell’America Meridionale, tant’è vero che l’Uruguay è uno dei pochissimi

stati sudamericani che possiede un basso tasso di analfabetismo, corrispondente

al 2% circa. È bagnato al sud dal Río de la Plata e ad est dall’oceano Atlantico.

Confina politicamente con due grandi stati: ad ovest con l’Argentina (paese di

lingua spagnola) e al nord con il Brasile (paese di lingua portoghese).

Figura 2. Le frontiere geo-politiche dell’Uruguay

23 A faixa de até cento e cinqüenta quilômetros de largura, ao longo das fronteiras terrestres, designada como faixa de fronteira, é considerada fundamental para defesa do território nacional, e sua ocupação e utilização serão reguladas em lei (http://www.tse.jus.br/legislacao/codigo-eleitoral/constituicao-federal/constituicao-da-republica-federativa-do-brasil).

58

La frontiera geo-politica tra il Brasile e l’Uruguay si estende per circa mille

chilometri: seicento di questi sono considerati di “fronteiras secas” (“frontiere

secche”), come quelle esistenti tra le città di Sant’Ana do Livramento (BR)/Rivera

(UY), Chuí (BR)/Chuy (UY) e Aceguá (BR)/Aceguá (UY), dove per separare le due

città è posta una semplice strada o, addirittura, una sola via.

Gli altri quattrocento chilometri della frontiera sono caratterizzati dalla presenza

di alcuni elementi naturali, come i fiumi, i quali nel caso delle città Quaraí (BR) –

Artigas (UY) e Jaguarão (BR) – Río Branco (UY), servono a dividere l’Uruguay e il

Brasile (GONÇALVES, 2013: 3).

Nel territorio di frontiera brasiliano-uruguagio sono sorti dunque cinque centri

urbani bi-nazionali: Río Branco (UR) e Jaguarão (BR), Artigas (UR) e Quaraí (BR),

Aceguá (UR) e Aceguá (BR), Chuy (UR) e Chuí (BR), Rivera (UR) e Sant’Ana do

Livramento.

Figura 3. Frontiera Uruguay-Brasile, città di Río Branco (UR) e Jaguarão (BR).

Ponte Internacional Barão de Mauá

59

Figura 4. Città di Artigas (UR) – Quaraí (BR), Puente de la Concordia

Figura 5. Aceguá (UR) e Aceguá (BR). Nella fotografia si vede uno dei tanti “mojones”,

i cippi di confine posti lungo tutta la zona di fronteira seca

60

Figura 6. Chuí (BR) e Chuy (UR), solo una strada separa il Brasile e l’Uruguay

Figura 7. La frontiera “immaginaria” tra Sant’Ana do Livramento (BR), a sinistra

e Rivera (UR), a destra

61

Una realtà storica, geografica e politica particolare e complessa come quella

appena descritta, non può che portare al sorgimento spontaneo di nuove

combinazioni sociali e di naturali unioni tra individui appartenenti a diverse culture,

religioni, etnie e lingue.

Fronteira móvel, limites disputados com aferro. Guerras e contendas. Mas também

trânsito de gentes, de mercadorias, diálogo entre culturas. Choque e

permeabilidade, sobrepondo-se, intercalando-se, entrelaçando-se. A ponto de

produzir uma cultura singular, um modo de vida, com seus sabores, costumes e

dizeres (IDEM: 2).

Il crogiolo socio-culturale e linguistico che caratterizza la frontiera tra il Brasile e

l’Uruguay – frontiera che, come abbiamo visto, è stata palcoscenico di importanti

avvenimenti storici – è uno dei principali motivi che ci ha spinti ad approfondire le

ricerche sulla sua conformazione attuale.

II. 2.1. Una frontiera mobile

Le frontiere geo-politiche tra due o più paesi si caratterizzano generalmente

come dei “luoghi di scambio”.

Tali scambi possono riguardare non solamente i prodotti commerciali, difatti,

nelle zone di frontiera, vi è un continuo movimento di persone, di ideologie, di

pensieri o anche immagini, che rivelano la presenza di barriere o separazioni

culturali, etniche, religiose, politiche e linguistiche.

È importante quindi comprendere, dice lo scrittore jaguarense Aldyr Garcia

Schlee, che nella regione di frontiera tra il Rio Grande do Sul e l’Uruguay i concetti

di Stato, Nazione o Popolo non coincidono alle definizioni ad essi date nelle altre

regioni brasiliane o uruguaiane, ma sono qui completamente sovvertiti.

L’identità culturale ibrida che si è originata in questa fascia territoriale ha

permesso il superamento degli antichi valori legati all’etnocentrismo24 e ha

24 Termine coniato dal sociologo Graham William Sumner (Folkways, 1907) per indicare la tendenza a giudicare i membri, la struttura, la cultura e la storia di gruppi diversi dal proprio, con riferimento ai valori, alle norme e ai costumi ai quali si è stati educati. Quasi sempre l’etnocentrismo comporta la supervalutazione della propria cultura e, di conseguenza, la svalutazione della cultura altrui (http://www.treccani.it/enciclopedia/etnocentrismo/).

62

valorizzato sempre più tutte le differenze culturali, razziali e linguistiche presenti

nel territorio (SCHLEE, 2014: 25).

Le tensioni esistenti tra i concetti di nazione e regione e tra frontiera geo-politica

e frontiera culturale tendono a diluirsi, originando una realtà basata sulla

condivisione culturale e linguistica, nella quale, a ciascuno degli individui dei due

lati della frontiera, è data la possibilità di identificarsi con “l’altro”.25

Come afferma Schlee, la frontiera diviene un luogo di incontro, grazie al quale

si rendono possibili le relazioni tra i brasiliani e gli uruguaiani: «um lugar de

encontro e não de desencontro, um lugar a partir do qual se torna possível a

relação com o outro» (IDEM: 26).

Sono soprattutto i rapporti tra le persone che contribuiscono nella formazione di

un nuovo tipo di identità culturale, quella fronteriza/fronteiriça, che funziona, per

così dire, in maniera multipla. Da un lato, abbiamo l’identità collettiva, ovvero

quella dell’intero gruppo sociale della regione di frontiera, dall’altro quella del

singolo individuo, il quale, una volta adeguatosi al contesto che lo circonda, riesce

a comprendere le specificità del proprio territorio e determinare, successivamente,

le peculiarità che lo distinguono dall’altro. Ciò significa che il confine territoriale

genera divisioni non solamente a livello geografico, ma anche personale, poiché

permette una differenziazione tra i soggetti che popolano la frontiera e gli “altri”,

brasiliani o uruguaiani che non appartengono alla collettività fronteriza/fronteiriça26

(MOTA, 2014: 55).

25 Aldyr Garcia Schlee è originario del Rio Grande do Sul, è nato a Capão do Leão, un paesino vicino alla città Jaguarão, a venti leghe dalla linea divisoria con l’Uruguay. La condizione di cittadino fronteiriço gli ha permesso di vivere una realtà storica, geografica e sociale particolare e di sviluppare una sensibilità letteraria altrettanto peculiare, riscontrabile in ciascuno dei suoi racconti. Si leggano, a titolo esemplificativo, queste poche righe capaci di trasmettere al lettore sensazioni di perplessità e anche di curiosità, derivate da un mondo in cui le frontiere, pur se visibili, sono unicamente immaginarie: Eu vivia perplexo diante do Uruguai, não propriamente diante do mundo; mas, antes, diante daquele outro mundo que era o meu mesmo mundo, tão perto e tão longe, logo ali do outro lado da risca vermelha no cimento da ponte, muy cerca, cerquita, cerquinha, cercado (a risca vermelha no meio da ponte!)... Aquele outro mesmo mundo, separado e unido pelo rio; tão diferente e tão igual; tão distinto e tan distinto; tão distinguido e tan distinguido, tão esquisito e tan exquisito...(SCHLEE, 2014: 27-28). 26 A questo proposito, Adriana Persia ci dice che la frontiera rappresenta, per molti uruguaiani riverensi, più che una separazione tra il Brasile e l’Uruguay, una separazione interna tra la città di Rivera e la capitale dello Stato, Montevideo: La frontera entonces es límite interno que realiza una separación maniquea entre Rivera y Montevideo. La oposición está vista como centro-periferia, donde el centro es el lugar de producción de los discursos legalistas del Estado-Nación. Molti abitanti di Rivera, al momento dell’intervista, hanno dichiarato di non sentirsi parte della Storia nazionale e di non vedersi rappresentati nei personaggi “chiave” che hanno costituito lo Stato uruguagio (http://www.estudioshistoricos.org/libros/adriana-persia.pdf).

63

Nelle città di frontiera tra il Rio Grande do Sul e il nord dell’Uruguay si è venuta

a creare, nel corso del tempo, una nuova categoria sociale che giustappone le

nazionalità brasiliana e uruguaiana.

“Eu sou bem, bem brasileira, só nasci em Rivera mas me registrei aqui”

(vendedora);

“Nací del otro lado pero me educaron de este lado, nunca tuve registro

allá, mi padre sí es brasileiro...viví siempre acá, sólo nací allá y pasé para

acá...la hija de esta hija mía nació allá pero ella nació en Porto Alegre y a

los 3, 4 meses se vino, se va a criar acá ahora, cuando sea grande va a

ser brasileira pero uruguaya” (comerciante);

“Eu sou brasileira...meu esposo é uruguaio, me casei aqui, eu sou natural

brasileira, brasileira mesmo” (vendedora);

“Eu sou uruguaia da linha”27 (professora);

“Mi marido es doble chapa, como se dice aquí, porque la madre es

brasileña, tiene las dos nacionalidades pero el vivió toda la vida acá,

estudió acá” (empregada da prefeitura de Rivera);

“La mayoría de los que están aquí son las dos cosas, hay gente que son

sólo uruguayo acá y hay gente que es casada con brasilero o mujer que

son uruguaya, el hombre es brasilero, si no la mujer es brasilera y el

hombre es o sí no los dos” (vendedor ambulante)28 (SÁNCHEZ, 2002: 59).

27 La linha (linea) è la denominazione popolare del limite politico tra l’Uruguay e il Brasile nelle città di Rivera e Sant’Ana do Livramento. Questo limite è fisicamente rappresentato, al centro delle due città, per mezzo di strade, vie, parchi cittadini o alcuni segnali stradali (SÁNCHEZ, 2002: 13). 28 Le frasi sopra riportate sono state tratte da alcune interviste agli abitanti fronterizos/fronteiriços delle città di frontiera Rivera e Sant’Ana do Livramento, rispettivamente in Uruguay e Brasile. Questo nucleo urbano, costituito da 160.000 abitanti, si caratterizza per essere uno dei più importanti e maggiori centri abitati della frontiera perché permette il transito internazionale di beni e di persone, nonché la diretta connessione tra l’Argentina e il Brasile (IDEM: 15).

64

Il confine tra gli Stati del Brasile e quelli dell’Uruguay sembra costituirsi come un

luogo dove è permesso, o ancora meglio, dove è normale, nascere in un paese e

registrarsi all’anagrafe dell’altro o anche a quella di entrambi («eu sou bem

brasileira, só nasci em Rivera mas me registrei aqui»), oppure nascere in un

paese e studiare in un altro («nací del otro lado pero me educaron de este lado»),

o ancora, frequentare la scuola in Brasile e sposarsi in Uruguay o viceversa («eu

sou brasileira…meu esposo é uruguaio»), e così via.

Leggendo con attenzione le frasi succitate, ci rendiamo conto della complessità

delle relazioni sociali che si sono stabilite tra brasiliani e uruguaiani e della

particolare architettura politica che regola i due Paesi.

Le regole che stabiliscono formalmente il funzionamento delle città di frontiera,

tuttavia, paiono crollare mano a mano che i contatti e i rapporti tra gli abitanti

vanno intensificandosi.

II. 2.2. Identità “doble-chapa”

I limiti territoriali stabiliti dagli Stati nazionali provocano la disgiunzione tra

l’esperienza di nazionalità – ovvero la possibilità di un individuo di definirsi come

brasiliano/-a o uruguaiano/-a – e il posto fisico o reale, nel quale ciascuno degli

individui vive.

Difatti, il soggetto fronterizo/fronteiriço non sempre riesce a definire la propria

nazionalità e, alle volte, può anche “sceglierla” a seconda dei propri bisogni o

interessi, indipendentemente dal luogo di nascita (IDEM: 64).

A identidade é efeito de um processo constante, e sempre inacabado, de

transformação subjetiva, pela mescla, pela angústia de não ser UM consigo mesmo

e nem em relação aos outros (DE SOUZA – DE CARVALHO, 2010: 97).

Gli individui sono educati, dalla nascita, a credere nell’appartenenza ad

un’unica nazione e quindi in un certo senso obbligati a rispettare determinate

regole di governo per difendere la propria identità collettiva e soggettiva, ma

l’identità è un processo in continua trasformazione.

65

Tale processo, se riferito alla condizione identitaria fronteriza/fronteiriça, non

prescinde mai dall’universo molteplice dell’“io”, il quale deve essere considerato in

ogni caso unico e diverso dagli altri.

È in questo contesto che sorgono i cosiddetti doble chapa, persone della

frontiera che possiedono entrambe le nazionalità.

Il concetto di doble chapa sorge verso la fine del decennio degli anni Sessanta

a seguito di alcune predisposizioni politiche, da parte della prefettura di Rivera, in

Uruguay, riguardanti le licenze delle macchine.

Secondo tali provvedimenti, una macchina comprata nella città di Sant’Ana do

Livramento, in Brasile, e quindi immatricolata in quella città o in altri comuni

limitrofi ad essa, avrebbe avuto la possibilità di circolare a Rivera dopo il previo

pagamento di un permesso di circolazione alla prefettura uruguagia. La persona

che si impegnava nel pagamento della licenza riverense aveva il diritto ad una

seconda chapa, ovvero una targa automobilistica uruguaiana, la quale permetteva

la libera circolazione nel dipartimento di Rivera, ma non in altre città dell’Uruguay.

Con il passare del tempo, la nozione di doble chapa cominciò ad acquisire

nuovi connotati e il termine passò ad essere attribuito anche alle persone,

perdendo così il suo valore iniziale di riferimento alle macchine con doppia targa.

Oggigiorno, molti uruguaiani e brasiliani non ricordano o disconoscono l’origine

dell’espressione doble chapa, per il fatto di associarla esclusivamente a quei

soggetti che possiedono documenti legali d’identità di entrambi i Paesi.

La possibilità di nascere in un Paese e registrarsi nell’altro ha dato il via a

numerosissime pratiche illegali per ottenere ambedue le cittadinanze,

generalmente conosciute come trampitas,29 attività poco regolari che sfruttano la

questione del luogo di lavoro o di residenza per ottenere entrambe le cittadinanze:

[...] soy uruguayo con documentación en Brasil por haber trabajado como residente

en Brasil (...) pero la verdad es que vivo acá y viví toda la vida en Rivera, son esas

trampitas que se hacen acá...como si fuera un ciudadano extranjero radicado en

Brasil pero vivía del otro lado, incluso allá en Rivera tuve durante toda la vida coche

brasilero, lo guardaba acá en casa, en una época tenía la doble chapa, justamente

dos patentes...(SÁNCHEZ, 2002: 71).

29 Dallo spagnolo trampa = “contravención disimulada a una ley, convenio o regla, o manera de eludirla, con miras al provecho proprio; acto ilícito que se cubre con apariencias de legalidad”, quindi trappola, tranello, imbroglio, inganno (http://lema.rae.es/drae/?val=trampa).

66

Molti brasiliani o uruguaiani cercano ad ogni costo di ottenere le due nazionalità

per assicurarsi dei benefici economici o sociali dalle istituzioni politiche di entrambi

gli Stati, ma non possono essere considerati veri doble chapa.

Quest’ultimi sono riconosciuti ufficialmente dallo Stato come cittadini

uruguaiani-brasiliani, o brasiliani-uruguaiani e si differenziano dagli altri per

convivere con una situazione di bilinguismo: a casa, ad esempio, parlano una

lingua con il padre e l’altra con la madre (RETAMAR – RISSO, 2011: 98).

II. 2.3. Il contrabbando “formica”

È interessante soffermarsi brevemente sul tema dell’economia e quello del

commercio nella regione di frontiera.

I fronterizos/fronteiriços sono soliti fare le spese quotidiane, come noi tutti, in

base a delle logiche commerciali che privilegiano la vantaggiosità del prezzo del

prodotto, fatto che spinge, ad esempio, molti uruguaiani a comprare in Brasile.

Tale situazione ha dato vita ad una “professione” caratteristica della frontiera,

quella del cosiddetto bagayero30 o sacolera, una sorta di venditore (o di venditrice)

ambulante che trasporta merci comprate in Brasile – o negli altri Paesi confinanti –

per rivenderle successivamente in Uruguay a prezzi molto più convenienti di quelli

proposti dagli esercizi commerciali uruguaiani (SÁNCHEZ: 2002: 75).

Si tratta di un’attività che viene svolta quotidianamente e secolarmente in tutte

le città di frontiera tra il Brasile e l’Uruguay:

30 Il termine viene dallo spagnolo latinoamericano bagayo (m. fam. Bulto, paquete, equipaje.// 2. Conjunto de mercaderías y objetos robados.// 3. Contrabando de escaso volumen.// 4. fig. desp. Mujer fea.), quindi il significato di bagayero, ra sarà quello di contrabandista (contrabbandiere) o vendedor de productos de contrabando (venditore di prodotti di contrabbando) (http://lema.rae.es/damer/?key=bagayo). Interessante notare come la parola si avvicini tantissimo al portoghese bagageiro (da bagagem = n. f. bagaglio) che significa, riferito solo a persone, “portabagagli” o “facchino” (Dicionário de Português-Italiano di Giuseppe Mea, 3a ed., 2009, Porto Editora, Porto – PT). La figura del bagayero o, per le donne, bagayera, (pare, infatti, che tale “professione” sia svolta in maggioranza da donne), corrisponde a quella del piccolo contrabbandiere che, solitamente, opera in gruppo. I bagayeros trasportano da un parte all’altra della frontiera vari prodotti: sigarette, bevande alcoliche, erba mate, zucchero, sale, olio, bevande rinfrescanti in polvere, maionese, gelatina, biscotti, dolciumi, saponi, indumenti, arredi per la camera da letto, scarpe, lingerie, gioielli, ecc.; articoli con marchi di fabbrica particolarmente noti al pubblico, ma venduti a prezzi molto più bassi rispetto a quelli dei negozi (DORFMAN, 20091: 215).

67

Continuamente nos deparamos com transeuntes o dia todo, num vai e vem

constante, que por motivos diversos atravessam a Ponte,31 são comumente

conhecidos por quileiros ou bagageiros. São trabalhadores, trabalhadoras, que a

pé, de carroça, de bicicleta, de moto, atravessam a fronteira do Brasil com Uruguai.

Transportam diversos tipos de materiais, fazem este trajeto vagorosamente, pois

vêm carregando, muitas vezes, quantidades de produtos acima do peso do próprio

corpo, por isso, também são conhecidos por formigas (DO COUTO, 2009: 2).

Questa pratica viene denominata contrabando hormiga o contrabando formiga

(contrabbando formica) per il semplice fatto che uomini e donne di tutte le età

attraversano la frontiera trasportandosi sulle spalle vari prodotti di uso quotidiano:

pane, farina, zucchero, carne, ecc., grazie ai quali si guadagnano da vivere,

proprio alla maniera delle formiche (DORFMAN, 20091: 18).

Si tratta di un tipo di “piccolo” contrabbando comunemente accettato dalla

popolazione locale, tant’è vero che circa il 70% dei fronterizos/fronteiriços lo

descrive come un fenomeno naturale (IDEM: 223) che prende storicamente parte

della formazione sociale e della quotidianità dei paesi di frontiera.

Significativo il racconto Contrabandista (1912) del riograndense Simões Lopes

Neto,32 nel quale si parla del contrabbando di frontiera come una pratica antica,

governata – sostiene lo scrittore – da strategie di sopravvivenza e mai considerato

un crimine punibile con la legge:

31 Regina Célia do Couto si riferisce al Ponte Internacional Barão de Mauá. Difatti, la studiosa si è occupata in particolare della situazione delle città di Jaguarão (BR) e Río Branco (UY), trovandosi di fronte ad una società assolutamente particolare. Secondo quanto detto nel suo lavoro, vi sono molti uruguaiani che vivono a Jaguarão, lavorano, comprano, educano i loro figli nelle scuole brasiliane e si sposano con brasiliani o brasiliane; così come vi sono molti brasiliani che fanno le stesse cose nella città di Río Branco. Interessantissimo il fatto che i programmi radiofonici delle due città vengono trasmessi in entrambe le lingue (DO COUTO, 2009: 2). 32 Nacque a Pelotas, nello Stato di Rio Grande del Sud (Brasile), il 9 marzo 1865 e quivi morì il 14 giugno 1916. Dopo un’infanzia trascorsa nella fattoria del nonno paterno, a contatto con l’ambiente naturale ed umano che avrebbe poi ricreato e fatto vivere nelle sue opere, scrisse dapprima teatro, lasciando una vasta produzione tuttora inedita, e successivamente, dal 1913, si dedicò al giornalismo. Nel 1910 era stata pubblicata la 1a edizione del suo Cancioneiro Guasca che raccoglie la produzione poetica, ispirata alle leggende fiorite nella sua terra attorno agli eroi mitici o agli avvenimenti storici del suo tempo. Del 1912 è la pubblicazione dei Contos Gauchescos e dell’anno seguente quella delle Lendas do Sul. Sia i Contos che le Lendas hanno quasi tutti per protagonista Blau Nunes, personificazione viva, realistica e anche leggendaria del gaúcho riograndense. Semplice e leale, coraggioso, temerario a volte, buon cavalcatore, ottimo tiratore di bolas e di laço, domatore di cavalli, fiero avversario dei nordisti di Rio, partigiano acceso dei separatisti, anzi fanatico sostenitore della Repubblica indipendente del Rio Grande propugnata e realizzata, anche se per breve tempo, dall’eroe nazionale Bento Gonçalves (LOPES NETO, 1956: 1).

68

[...] In questa terra del Rio Grande si è sempre fatto il contrabbando, fin da prima

della conquista delle Missioni. In quei tempi quel che si faceva era senza malizia, e

più per divertirsi e procurare fastidi alle guardie del nemico: una banda di gaúchos

montava a cavallo, entrava nella Repubblica Orientale, e imbarcava un bel numero

di stalloni, agitava il poncho e se ne tornava a briglia sciolta; si separavano i puledri

e si lasciava andare il resto; quelli di lá facevano la stessa cosa con noi; poi furono

mandrie di bovini quelle che venivano spinte di qua, al trotto e al galoppo, lasciando

per via gli animali più fiacchi. Ciò si faceva per dispetto ai castigliani33 ed essi ci

ripagavano vendicandosi nello stesso modo [...] (LOPES NETO, 1956: 121).

Figura 8. Bagayeros fotografati durante il lavoro

33 Così venivano genericamente designate dagli abitanti del Rio Grande do Sul le popolazioni confinanti di lingua spagnola, fossero uruguayani, paraguayani, o anche argentini (IDEM: 269). Spesse volte, come sostiene Isaphi Marlene Jardim Alvarez, tale termine viene tutt’oggi utilizzato dai fronterizos brasiliani per creare una sorta di distanza con gli abitanti dei Paesi vicini. Si veda una frase del tipo: Esses castelhanos são muito calaveras. In questo enunciato il distanziamento si produce sia per mezzo dell’utilizzo del pronome dimostrativo “esses”, sia con la parola “castelhanos” che identifica “l’altro”, l’estraneo, colui il quale sta al di là della frontiera, quindi lo straniero, ed infine con l’aggettivo peggiorativo “calaveras” che secondo il Vocabulário Sul-Rio-Grandense (1964) significa: velhaco, caborteiro.(ALVAREZ, 2011: 112-113).

69

Figura 9. I quileros (o bagayeros, o sacoleras) con in spalla il loro “surtido”,34 “l’assortimento” di

merce da rivendere in Uruguay

L’economia delle zone di frontiera risente particolarmente della situazione

finanziaria del Brasile o dell’Uruguay, ragion per cui molti compratori si dirigono

ora nell’uno, ora nell’altro paese a seconda del valore di mercato della valuta

nazionale e quindi della merce che si vuole acquistare.

34 Interessante fare accenno al Decreto-Legge 15.691, denominato “Cero kilo”, voluto dal Ministero dell’Economia e della Finanza, in collaborazione con la Dirección Nacional de Aduanas nel 2013 per preservare il commercio locale dei Paesi fronterizos/fronteiriços. Secondo tale provvedimento, le persone che si recano in Argentina – ovviamente non in veste di turisti – non possono comprare prodotti o merci (alimenti, medicinali, apparecchi elettronici, combustibili, indumenti) per poi rivenderle in Uruguay (http://www.elobservador.com.uy/noticia/247733/guia-del-34cero-kilo34-con-argentina/). Secondo quanto scritto ne «El Observador», la cero kilo è stata promossa dal governo per far fronte al tipo di cambio sfavorevole in Uruguay in quel periodo: La situación más difícil se vive en Salto y Paysandú, donde la diferencia cambiaria que es de $ 3 a $ 1, se convierte en un gran incentivo para cruzar la frontera y realizar las compras allí (…) Según datos de la DNA y de la Dirección Nacional de Migraciones (DNM) por el puente Salto Grande pasan por días como mínimo unos 5.000 uruguayos, sin contar los que hacen por la vía marítima. (...) En Paysandú la situación es similar, aunque el número de uruguayos que cruzan el puente varía entre 600 y 700 personas, y realizan un surtido de entre $ 2.000 a $ 3.000 (http://www.elobservador.com.uy/noticia/247572/diferencia-de-precios-hasta-los-comerciantes-cruzan-a-argentina-para-comprar-/). Il commercio clandestino, nonostante i numerosi controlli doganali, non si è estinto, anzi, durante i periodi di feste di paese aumenta smisuratamente, dando luogo, lungo le vie delle città al “bagashopping” (http://www.elpais.com.uy/informacion/bagayo-argentino-volvio-calles-saltenas.html).

70

È per far fronte al cambio sfavorevole in Uruguay che nascono, intorno alla fine

degli anni Ottanta del Novecento, i cosiddetti Free shops, la cui installazione nel

territorio è stata approvata da un Decreto-legge del governo uruguaiano del 1986.

Tale disposizione serviva a riattivare l’economia locale e il turismo

internazionale in Uruguay, stabilendo, per l’apertura delle “tiendas libres”,

l’esonero dal pagamento delle tasse di beni o di merci importate dai paesi vicini

per la vendita nelle città uruguaiane di Chuy e di Rivera (SÁNCHEZ, 2002: 38).

I Duty-free shops, o semplicemente Free shops, sono negozi che nascono con

l’intenzione di rivolgersi ai viaggiatori e quindi si trovano comunemente collocati

all’interno degli aereoporti. Gran parte dei beni acquistati in negozi come questi,

sono beni accessori e di lusso, i più gettonati sono soprattutto i profumi, i

cosmetici e gli alcolici costosi, arrivando anche a rappresentare dal 15% al 30%

delle vendite globali di tali prodotti.35

Oggi esistono numerosissimi negozi “senza imposte” in Uruguay, in particolare

si trovano nelle città di Aceguá, Artigas, Chuy, Río Branco e Rivera, aperti per

risollevare l’economia del Paese e per attirare l’attenzione dei turisti stranieri.36

II. 3. Lingue di frontiera

Il multiculturalismo che caratterizza la frontiera tra il Brasile e l’Uruguay ha

forgiato una diversa identità collettiva con specificità culturali che, nonostante il

succedersi delle generazioni, si sono conservate nel tempo diversificandosi da

quelle brasiliane o uruguaiane.

Possiamo affermare di trovarci di fronte ad una comunità “transnazionale”, nel

senso che i limiti della nazionalità hanno oltrepassato quelli territoriali (DO COUTO,

35 Il mercato dei Duty-free shops è un settore che gode di buona salute; si stima che il giro di affari complessivo sia vicino ai 28 miliardi di dollari, suddivisi in 10,7 miliardi per i vini e gli alcolici, 9,9 miliardi per gli accessori e la moda di lusso e 6,9 miliardi per il settore dei profumi e dei cosmetici (http://www.ninjamarketing.it/2012/11/11/duty-free-shops-come-funzionano-e-chi-sono-i-principali-operatori/). 36 Con l’apertura dei Free shops tantissimi turisti brasiliani, incuriositi dalla novità, attraversano la frontiera per acquistare prodotti esenti da tasse. Dato il crescente numero di compratori brasiliani in Uruguay, il Brasile ha approvato nell’ottobre del 2012 un Decreto-legge che permette l’apertura di Duty-Free shops nelle città di frontiera del Rio Grande do Sul per aiutare l’economica e i commercianti brasiliani a recuperare parte delle vendite perdute a causa della concorrenza. Per maggiori informazioni visitare il sito internet http://comprasnafronteira.com.

71

2009: 6), definendo uno spostamento geografico e anche linguistico, attraverso la

costruzione di una lingua di frontiera: il Portunhol/Portuñol.

La nozione di frontiera nell’ambito degli studi linguistici è stata focalizzata in

termini di relazioni tra le grammatiche delle lingue. La maggior parte degli studi

sulle lingue in contatto esplicitano, difatti, le caratteristiche di forme linguistiche

“mescolate”, di una morfosintassi in transizione e ravvisano la presenza di prestiti

lessicali, indice indiscusso dell’esistenza di una grammatica dialettale, o di una

lingua nella quale si sono combinati diversi sistemi linguistici (ALVAREZ, 2011:

105). Nelle zone di frontiera socialmente “fluide” come quelle del sud del Rio

Grande e il nord dell’Uruguay, le relazioni dei parlanti con le lingue ufficialmente

non appartenenti al loro repertorio linguistico, è una normale conseguenza delle

caratteristiche sociali, geografiche e storiche del processo di formazione delle

comunità di questi due Paesi confinanti.

In tal senso, l’incrocio delle lingue dominanti – spagnolo e portoghese – risulta

dalla necessità immediata di un contatto sociale, processo per il quale, durante il

tempo, viene affettato il lessico e la struttura interna della grammatica della lingua

(STURZA, 2004: 152).

Pertanto, si possono verificare trasformazioni nel sistema pronominale e in

quello verbale, cambiamenti nella determinazione del caso, del genere o del

numero, può, ancora, differire l’uso delle preposizioni, l’ordine delle parole nella

frase, la collocazione (qualora fossero presenti) degli articoli in un enunciato, ecc.

(PALACIOS, 2010: 34).

Secondo Azucena Palacios, i principali tipi di cambio linguistico indotti da una

situazione di contatto tra due (o più) lingue sono il prestito linguistico e

l’interferenza linguistica.37

Il primo fenomeno coinvolge entrambe le lingue e si ravvisa in quei parlanti

bilingue “simmetrici” che le dominano allo stesso modo, vale a dire che i parlanti

riescono, in questo caso, ad incorporare elementi della lingua seconda o L2 alla

loro lingua prima o L1, o anche includere il significato di una forma della L1 a

quello di una già esistente nella L2: ad esempio, l’uso del bye nello spagnolo di

Los Angeles al posto di adiós o chao, l’uso della parola lonche per riferirsi ad

37 Il termine “interferenza” è associato, spesse volte, all’idea di un cattivo uso del bilinguismo, ragion per cui alcuni studiosi preferiscono utilizzare il termine trasferenza per riferirsi alle influenze tra due o più lingue (AMARAL, 2008: 41).

72

almuerzo, o ancora registrarse per dire matricularse/inscribirse, come estensione

del significato inglese “to register in a school”, ecc. (AMARAL, 2008: 42).

Nel caso del contatto tra le lingue spagnola e portoghese nella frontiera

uruguagio-brasiliana, Ana Maria Carvalho ha ravvisato alcuni frequenti prestiti

lessicali dall’idioma spagnolo,38 riferendosi in particolare a quei termini

semanticamente correlati a strutture sociali o istituzioni, come nomi di professioni

(doctor, al posto del portoghese standard médico, guardería, invece di creche),

nomi della settimana e indirizzi (plaza al posto del portoghese praça, calle invece

di rua) (CARVALHO, 2014: 187).

Esistono poi alcuni termini che la lingua spagnola e la lingua portoghese

condividono proprio grazie all’intenso contatto tra di esse, per esempio:

mormazo/mormaço: (“calor intenso de verano/tempo abafadiço, bochorno”);

manga/manga: (“conjunto de personas que tienen alguna característica

reprobable en común/grupo, ajuntamento, banda, turma”); manopla/manopla:

(“mano muy grande de una persona/mão grande e malfeita; manzorra,

manápula”); mina/mina: “mujer” (usado por los hombres y según el contexto

puede ser despectivo)/Arg., Bol. y Ur. “mujer”, Bras. Pop. Garota, menina)

(CAVIGLIA – FERNÁNDEZ, 2007: 165-171).

L’interferenza linguistica avviene tra i parlanti bilingue con difficoltà di

apprendimento di una seconda lingua, ciò significa che tale fenomeno si presenta,

maggiormente, quando un parlante bilingue incorpora vari elementi linguistici della

L1 alla L2 (PALACIOS, 2010: 35).

Gli studi della Linguistica di Contatto ci parlano, generalmente, di code-

switching39 o “commutazione di codice”, fenomeno che riguarda il passaggio da

una lingua a un’altra durante la conversazione tra parlanti bilingue che

condividono la stessa coppia di lingue.

38 «In addition, grammatical convergences are frequent in unmonitored speech, a practice that has produced innovative constructions such as of “um” (one) as a pronoun that leaves the semantic actor indeterminate, a calque from the Spanish construction with “uno”» (CARVALHO, 2014: 187). 39 La “commutazione di codice” è un fenomeno che non va confuso con “l’alternanza di codice”, che corrisponde invece alla scelta dell’una o l’altra lingua da parte di un parlante bilingue a seconda della situazione o dell’ambito comunicativo nel quale si trova inserito (famiglia, amici, scuola, università, uffici, negozi, ecc.). L’alternanza è un fenomeno rilevabile per mezzo di sondaggi su larga scala, mentre la commutazione è individuabile attraverso l’osservazione diretta del comportamento effettivo dei parlanti nelle varie circostanze della vita quotidiana (http://www.treccani.it/enciclopedia/commutazione-di-codice_(Enciclopedia_dell’Italiano)/).

73

Il passaggio da un codice linguistico all’altro può essere intrafrasale, se le

inclusioni – unitarie, nel caso di un unico elemento o segmentate, quando

segmenti di una lingua si alternano con parti dell’altra lasciandole entrambe

inalterate – dell’altra lingua ricorrono all’interno della stessa frase; e interfrasale se

il code switching occorre durante il passaggio di una frase all’altra della

conversazione, da parte di uno stesso parlante (MOZZILLO, 2013: 191).

Tale passaggio, se avviene entro una stessa frase e quindi, come dicevamo

poc’anzi, è intrafrasale, può definirsi anche code mixing, o “enunciazione

mistilingue”. Il code mixing richiede una notevole capacità di transizione da una

lingua all’altra, ed è in grado di garantire al parlante una competenza comunicativa

bilingue. Lo stesso fenomeno, anche se raramente, può manifestarsi nella nascita

di una lingua mista, e dunque attraverso un’intensa e stabile commistione di due

repertori linguistici che portano alla formazione di una nuova lingua, la quale, nel

caso della frontiera da noi analizzata, corrisponde al portunhol/portuñol (IDEM).

Lo scambio improvviso di codici linguistici non significa mascherare

un’incapacità comunicativa, o mescolare a-grammaticalmente più idiomi, al

contrario, è sinonimo di una grande abilità linguistica che permette al parlante di

trasmettere informazioni sulla nuova lingua che si viene a creare.

In tal modo, il parlante del portunhol/portuñol ha il potere di enunciare,

attraverso la lingua di frontiera, il territorio fronterizo/fronteiriço dove la nuova

materia linguistica si è originata e annullare totalmente l’ordine gerarchico che

distingueva tra una prima e una seconda lingua (STURZA, 2006: 73).

L’Uruguay e il Brasile hanno costruito, durante il periodo dell’avvento

dell’indipendenza, idee di nazione e di nazionalità differenti e hanno organizzato

l’istituzionalizzazione della loro identità in maniera altrettanto distinta,

promuovendo criteri linguistici – spagnolo nel caso dell’Uruguay e portoghese nel

caso del Brasile – che ignoravano o escludevano la realtà complicata della

regione di frontiera.

Molto probabilmente, in passato, il governo uruguagio non ha saputo affrontare

la questione sociale e linguistica della frontiera con il Brasile e quindi non si è

preoccupato di definire – così come è avvenuto per il sud del Paese – una

pianificazione politica della lingua che potesse inglobare il linguaggio

fronterizo/fronteiriço allo spagnolo parlato nel resto dell’Uruguay:

74

es decir, mientras las cadenas de identificaciones para los hablantes de portugués

o de español son expansivas, y los llevan a ampliar su sentido de comunidad con

gentes lejanas, las identificaciones de los hablantes de portugués del Uruguay son

limitadas, sobre todo en la medida en que se interprete su lengua (por los que

hablan de ella) como imposible de ser colocada en ninguna de las dos cadenas

(FUSTES, 2010: 76).

L’identità dei fronterizos/fronteiriços emerge e si esplicita perciò attraverso la

lingua, essendo questa costitutiva delle relazioni tra i soggetti e lo spazio sociale

dove essi operano.

La frontiera brasiliana-uruguagia costruisce un nuovo universo sociologico e

geo-politico, una sorta di “terzo territorio”, all’interno del quale il parlante si muove

per mezzo di una lingua di frontiera che non appartiene a nessuna delle due

grandi “catene linguistiche”, ma che ha la capacità di identificarlo:

a) puedo hablar en fronterizo para destacar mejor mi región;

b) porque es el idioma que nos identifica como fronterizos;

c) o idioma que mais se usa do lado de cá, na fronteira, é esse portunhol pra gente

se entender (STURZA, 2010: 90).

Queste affermazioni rivelano il forte sentimento di identità e di appartenenza dei

parlanti brasiliano-uruguagi ad una comunità dove «se fala apaisanado»,40

espressione carica di forti valenze simboliche che riassume perfettamente la

mescolanza, o ancora meglio, l’entreverado tra il portoghese e lo spagnolo, tipico

della frontiera (IDEM: 93).

40 “Quando eu falo com eles falo apaisanado”, questa è la risposta data da un ufficiale di polizia civile della cittadina brasiliana di Bagé durante un’intervista sulla lingua utilizzata dai fronterizos/fronteiriços. Secondo Isaphi Marlene Jardim Alvarez, il soggetto-parlante qui interrogato, utilizza l’espressione apaisanado facendo riferimento alla parola paisano, una forma con la quale il parlante definisce i suoi compatrioti. In questo caso, il termine “apaisanado” designa la relazione che si instaura tra soggetti che utilizzano la medesima lingua (ALVAREZ, 2011: 114).

75

II. 4. Il portoghese in Uruguay

La lingua spagnola e la lingua portoghese nella zona dell’attuale frontiera

uruguagio-brasiliana sono rimaste in stretto contatto per circa 250 anni.

L’entrata del portoghese nella cosiddetta Banda Orientale (così si definiva

l’Uruguay in passato) ebbe inizio a partire dal XVII secolo attraverso le incursioni

dei bandeirantes e dei tropeiros41 brasiliani, i quali erano soliti varcare i limiti

territoriali della frontiera con l’intenzione di catturare gli animali per poi rivenderli

clandestinamente in altri paesi del Sudamerica.42

Nel XVIII secolo, i luso-brasiliani occuparono vaste aree territoriali ubicate al

nord del Río Negro, installando delle piccole comunità rurali in quella zona che

sarebbe divenuta il futuro Rio Grande do Sul. Durante questo processo, l’idioma

portoghese si diffuse rapidamente in altre comunità sparse lungo tutta la fascia

territoriale fronteriza/fronteiriça e, intorno agli anni che vanno dal 1821 al 1828, –

quando la Banda Orientale venne annessa alla Provincia Cisplatina – diventò

praticamente l’unica lingua parlata nella regione orientale.

Nel 1830 l’Uruguay riesce ad ottenere, finalmente, l’indipendenza dal Brasile e

per difendere il proprio stato dalle continue invasioni luso-brasiliane comincia a

costruire alcune cittadine di fronte a quelle brasiliane del lato opposto della

frontiera e ad installare degli edifici scolastici monolingue spagnoli nella frontiera

geo-politica con lo stato lusofono.

Tali provvedimenti cambiano in maniera definitiva il quadro sociale e linguistico

del territorio nord-uruguagio. Si pensi solamente che, nel 1877, l’Uruguay decide

di ammettere lo spagnolo come unica lingua ufficiale del Paese, impedendo,

tramite rigide politiche linguistiche e severe censure, l’uso del portoghese anche

nelle zone dove era considerato lingua materna della maggior parte della

popolazione.

41 Il cosiddetto tropeirismo è uno dei capitoli più importanti della formazione gaucha del Rio Grande do Sul e dell’Uruguay. Ottiene l’apice della gloria a partire dal 1725 fino alla fine del secolo, quando l’attività nelle miniere dell’entroterra del Brasile cominciò lentamente a declinare. Una descrizione accurata della figura del tropeiro delle zone di frontiera uruguagio-brasiliane, si trova in http://www.riogrande.com.br/rio_grande_do_sul_como_surgiram_quem_eram_e_o_papel_dos_tropeiros-o3217.html. 42 In quest’epoca, il Rio Grande do Sul possedeva il primato della produzione di charque – carne salata ed essiccata al sole – grazie all’immenso numero di animali stanziatisi nella zona di frontiera nel XVII secolo. Ad introdurre greggi di ovini e mandrie di bovini ed equini furono i missionari gesuiti i quali, nelle cosiddette Missioni Gesuitiche da loro fondate – piccoli villaggi costituiti da numerosi gruppi di indigeni guaranis convertiti – avevano introdotto questi animali per poter alimentare l’intera popolazione indigena (IDEM).

76

Nel periodo che va dagli anni Novanta del secolo XX fino ai nostri giorni, la

situazione linguistica della frontiera è stata caratterizzata da profondi cambiamenti

politici che hanno rivalorizzato nuovamente la lingua portoghese.

L’urbanizzazione di molte comunità fronterizas/fronteiriças ha permesso una

maggiore ricettività e sensibilità, da parte dei parlanti, al portoghese brasiliano

urbano – o il portoghese del Brasile – costringendo, per così dire, il portoghese

uruguagio ad avvicinarsi sempre più alla varietà del portoghese parlato in Brasile,

considerato maggiormente prestigioso a livello sociale (CARVALHO, 2004: 66).

Il primo studioso che ha studiato la presenza di un dialetto misto in Uruguay è

stato il professore uruguaiano José Pedro Rona,43 il quale, nel 1958, durante la

Conferenza Brasiliana di Dialettologia ed Etnografia (CARVALHO, 2003: 127), ha

saputo identificare l’area di influenza dell’idioma portoghese nel nord uruguagio,

proponendo una divisione linguistica del territorio in tre zone principali.44

Rona sosteneva che l’Atlas Linguistico dell’Uruguay (ADDU) avrebbe dovuto

includere una serie di frange, o isoglosse linguistiche, parallele alla frontiera con il

Brasile, corrispondenti ognuna alle zone dove si parlavano varianti più o meno

“castiglianizzate” del portoghese o più o meno “lusitanizzate” del castigliano

dell’Uruguay (HENSEY, 1980: 54).

Attenendoci alla classificazione linguistica del territorio nord dell’Uruguay di

Rona, possiamo distinguere:

1) una prima zona con presenza di parlanti monolingue in portoghese;

2) una seconda zona nella quale si produce il dialetto misto, chiamato dagli

stessi parlanti – monolingue in tale varietà – fronterizo;

3) un’ultima zona dove si parla uno spagnolo influenzato, specie a livello

lessicale, dalla lingua portoghese (AMARAL, 2008: 70).

43 Professore del Dipartimento di Linguistica dell’Universidad de la República de Montevideo, allievo di Berro García ed Eugeniu Coseriu, Rona ha portato avanti le sue ricerche proprio grazie agli insegnamenti di quest’ultimo. È stato il pioniere degli studi del dialecto fronterizo in Uruguay e, nell’analizzare le relazioni esistenti tra le lingue spagnola e portoghese nella frontiera, ha dato vita alla disciplina denominata Linguistica Fronteriza, inaugurando attorno agli anni ‘50 del ventesimo secolo, una tradizione degli studi linguistici sulle lingue di frontiera (STURZA, 2006: 115-116). 44 Da un punto di vista linguistico, Rona identifica tre aree fronterizas/fronteiriças del territorio dell’Uruguay con caratteristiche abbastanza distinte: Chuy, dove v’è poca influenza della lingua portoghese, Cerro Largo e Rivera, dove tale influenza è intensissima e, per concludere, Artigas, dove risulta essere ancora più profonda (MEIRELLES, 2006: 28).

77

La seconda zona linguistico-territoriale rappresenta, ancora oggi, la parte più

significativa di parlanti dell’intera popolazione uruguagio-brasiliana.

Tale dialetto misto parlato nella frontiera – o come lo definiva Rona, dialecto

fronterizo – ha provocato, sin dalla sua scoperta, numerosi problemi nella sua

identificazione e designazione.

Geograficamente, questa lingua si distribuisce lungo tutta la fascia territoriale

della frontiera e nelle zone ad essa adiacenti, venendo a costituire la lingua

materna di una significativa percentuale di popolazione uruguagia.

La lengua hablada a este lado de la frontera lingüística es un español que, si bien

se adapta fonéticamente a las coordenadas fónicas del resto del país, presenta

lexicográfica y morfológicamente numerosísimos portuguesismos [...] Las causas de

la existencia de este lenguaje fronterizo (en realidad, para ser más precisos, de

estos dos lenguajes fronterizos, uno luso-brasileño y el otro español) pueden

hallarse en la composición étnica de la zona y en sus mecanismos económicos (DE

MARSILIO, 1969: 41).

Nel libro El dialecto fronterizo del norte del Uruguay, pubblicato nel 1965, Rona

si è dedicato poi allo studio fonetico e fonologico del dialetto di frontiera,

proponendo l’esistenza di due dialetti fronterizos/fronteiriços: uno di base

portoghese, con influenze lessicali e morfologiche della lingua castigliana e l’altro

di base castigliana, il quale pareva essere non molto dissimile dallo spagnolo

parlato nel resto dell’Uruguay.45

Secondo Horacio de Marsilio, gli ispanoparlanti fronterizos/fronteiriços

utilizzavano una lingua prevalentemente adattata al sistema fonico dello spagnolo

uruguagio, ma, a differenza dei parlanti monolingue dello spagnolo, manifestavano

durante le conversazioni un lessico “contaminato” dai cosiddetti portuguesismos,

termini che originavano diverse varietà dialettali tanto della lingua portoghese,

quanto di quella spagnola.

45 Il dialetto di base portoghese, scrive Rona, «tiene un sistema fonológico, si no total, al menos principalmente portugués y un léxico en el cual predominan los elementos portugueses también. Se trata, en consecuencia, de un dialecto evidentemente portugués con influencia castellana», mentre il dialetto di base castigliana «no se diferencia casi del resto del Uruguay, y las influencias léxicas, morfológicas, y sintácticas portuguesas, aunque numerosas, no llegan a predominar» (CARVALHO, 2003: 127).

78

Tali varianti dialettali corrispondono, per lo studioso uruguagio, al portoghese e

allo spagnolo artiguense, al riverense (definito da Rona, tacuaremboense) e al

melense (DE MARSILIO, 1969: 42).

Il portoghese artiguense rappresenta la varietà dialettale della lingua di frontiera

meno estesa fra le tre. Si parla al nord e al centro del dipartimento di Artigas,

mentre lo spagnolo fronterizo/fronteiriço corrispondente lo troviamo al nord e al

centro della città di Salto:

a livello lessicale rappresenta l’area fronteriza/fronteiriça con una maggiore

quantità di vocabolario spagnolo;

le forme dell’articolo (determinativo e indeterminativo) seguono le regole

della lingua castigliana e anche la morfologia verbale risulta essere

prevalentemente ispanica;

a livello fonetico, la regione lusoparlante di Artigas mantiene il sistema

consonantico portoghese: è molto frequente la confusione tra le consonanti “r” e

“l”, ma tutte le vocali tendono alla pronuncia spagnola. I parlanti

fronterizos/fronteiriços della zona spagnola sono soliti, invece, adattare la loro

varietà linguistica al sistema fonico ispanico dell’Uruguay, anche se vi è la

tendenza a nasalizzare le consonanti bilabiale “m” e dentale/alveolare “n”.

infine, ambedue le zone della varietà della lingua portoghese e spagnola

artiguense si caratterizzano per la presenza del voseo.

Il portoghese riverense è parlato nel sud-est di Artigas, nord-est di Salto, nord di

Tacuarembó, in quasi tutto il dipartimento di Rivera e al nord di Cerro Largo; la

varietà spagnola corrispondente viene utilizzata ad est di Salto, nord-est di

Paysandú e nella quasi totalità del dipartimento di Tacuarembó:

iIl lessico è in prevalenza luso-brasiliano, così come la morfologia del verbo e

dell’articolo;

nella zona spagnola del fronterizo/fronteiriço si seguono le regole verbali del

castigliano, ma sono generalmente utilizzate le forme dell’articolo portoghese;

a livello fonetico, sia il sistema vocalico, sia quello consonantico si adattano

alle norme della lingua portoghese: sono uniformi le pronunce della bilabiale “b”

e della labiodentale “v” come fricative labiodentali. Il sistema fonetico del

fronterizo/fronteiriço spagnolo si attiene, al contrario, alle norme dello spagnolo

79

uruguagio, tranne per la nasalizzazione delle consonanti “m” e “n” e la stessa

pronuncia portoghese delle consonanti “b” e “v”;

si tratta dell’unica regione di frontiera “tuteante”.

Il portoghese melense si parla a Cerro Largo, nel nord-est di Durazno, nel nord

e al centro di Treinta y Tres e lo spagnolo di frontiera corrispondente occupa

invece gran parte del dipartimento di Rocha:

la morfologia delle forme verbali si adatta completamente alle regole della

lingua spagnola;

il lessico sembra essere interamente ispanico, nonostante siano presenti

alcune forme lessicali “aportuguesadas”;

a livello fonetico, il melense si preserva da possibili contaminazioni della

lingua spagnola;

è comune l’uso del “voseo” pronominale e verbale (IDEM: 43-44).

II. 4.1. Designazioni del Dialecto Fronterizo

Risulta assolutamente necessario distinguere la varietà di portoghese usata dai

parlanti bilingue e il fronterizo/fronteiriço vero e proprio che, come afferma il

linguista Federico Hensey,46 rappresenta un sistema linguistico indipendente,

sorto da varie generazioni di contatto tra due culture nazionali e, in un certo senso,

anche da una specie di isolamento regionale (HENSEY, 1980: 55).

Il Fronterizo/Fronteiriço è una variante dialettale del portoghese del Brasile o un

insieme di dialetti a base linguistica portoghese che rappresentano parte

integrante della formazione storica e culturale dell’Uruguay, considerato che si

parla maggiormente nelle comunità rurali dell’entroterra uruguagio, più che nel Rio

Grande do Sul.

46 Autore del libro The sociolinguistics of the Brazilian-Uruguayan border, pubblicato nel 1972. All’epoca, Hensey studiò la situazione linguistica nelle città-gemelle di frontiera Quaraí-Artigas, Livramento/Rivera, Aceguá/Aceguá, Jaguarão/Río Branco, Chuí/Chuy. I suoi studi hanno determinato la presenza del bilinguismo nei parlanti uruguaiani e non in quelli brasiliani e hanno confermato il monolinguismo nella varietà locale del portoghese per le persone anziane. Secondo Hensey, gli uruguaiani bilingue possedevano lo spagnolo come L1, mentre il portoghese corrispondeva alla lingua ricevente le interferenze del castigliano (MEIRELLES, 2006: 34).

80

Ciò spiega il perché gli uruguagi Adolfo Elizaincín e Luis Behares47 nel 1981,

considerata la variabilità del dialetto e ritenendo il termine connotativamente

peggiorativo, hanno coniato il termine plurale “Diale(c)tos Portugueses do(del) Uruguai” (o DPUS) per indicare la compresenza di più dialetti di una stessa

lingua, che è, ovviamente, quella portoghese (CARVALHO, 2003: 128).

Il portoghese dell’Uruguay parlato a Rivera/Sant’Ana do Livramento non sarà

perciò uguale a quello in uso nella città di Chuy/Chuí,48 che a sua volta sarà

diverso da quello in uso a Río Branco/Jaguarão, a quello parlato ad Artigas/Quaraí

o ad Aceguá/Aceguá.

Per alcuni studiosi del linguaggio di frontiera brasiliano-uruguagio, tuttavia, la

designazione DPU(S) di Elizaincín, Behares e Barrios pare essere estremamente

infelice e inopportuna.

Secondo Gabrielle Carvalho Lafin, ad esempio, Dialetos Portugueses do

Uruguay è un’espressione che accentua maggiormente la stigmatizzazione

negativa del termine “dialetto” e quindi inficia la possibilità di poterlo riconoscere

politicamente come una varietà del portoghese parlato nel nord dell’Uruguay

(LAFIN, 2011: 18).

Dello stesso avviso è la studiosa Ana Maria Carvalho, che nelle sue numerose

pubblicazioni sulla lingua della frontiera tra il Rio Grande do Sul e l’Uruguay, ha

portato avanti la tesi secondo la quale il dialetto fronterizo/fronteiriço dell’Uruguay

rappresenti una vera e propria lingua, degna di essere definita come Português

Uruguaio (CARVALHO, 2007: 66).

Il tedesco Harald Thun,49 co-realizzatore dell’Atlante Linguistico dell’Uruguay

(ADDU), ha scelto di utilizzare l’espressione “Portoghese Americano” per riferirsi

47 Tale denominazione viene ripresa dagli stessi autori nel libro – realizzato in collaborazione con la studiosa uruguagia Graciela Barrios – Nos falemo brasilero, Dialectos portugueses en Uruguay, pubblicato nel 1987 a Montevideo (LAFIN, 2011: 18). 48 Le città di frontiera Chuy (UY) – Chuí (BR), si trovano situate in una regione che, anticamente, veniva chiamata regione di Campos Neutrais, area territoriale che secondo il Trattato di Santo Idelfonso (1777) non apparteneva né alla Spagna, né al Portogallo. In questa zona, i limiti territoriali “immaginari” tra le due città sono delimitati semplicemente da una via, il cui nome è Avenida Uruguay nel lato brasiliano, e Avenida Brasil nel lato uruguagio della frontiera (AMARAL, 2008: 74). La maggior parte della popolazione domina entrambe le lingue della regione – il portoghese e lo spagnolo – situazione che provoca un fenomeno di bilinguismo senza diglossia, dove l’alternanza di codici e la mescolanza delle lingue formano parte dell’identità comunitaria dei parlanti (PALACIOS, 2010: 51). 49 Thun ha realizzato, in collaborazione con Adolfo Elizaincín, il progetto Atlas Lingüístico Diatópico y Diastrático del Uruguay. L’obiettivo dell’ATLAS è quello di completare la documentazione della variazione linguistica in tutto lo spazio territoriale dell’Uruguay e delle zone fronterizas/fronteiriças con l’Argentina e il Brasile. È basato nella metodologia della cosiddetta “dialettologia pluridimensionale”: viene registrata “el habla” in 75 località (aspetto diatopico) e in più di 250 gruppi differenziati socio-culturalmente, secondo i criteri “livello di scolarità”, “età” e “sesso” (aspetto

81

alla lingua Portunhol/Portuñol, con l’intenzione di annoverare le altrettante

combinazioni linguistiche “miste” presenti in Paraguay e in Argentina,50 paesi di

lingua spagnola confinanti con il Brasile.

Per quanto riguarda la presenza dell’idioma portoghese in Uruguay, Thun ha

distinto cinque tipi di lenguaje fronterizo originatisi dal contatto tra lo spagnolo

uruguagio e il portoghese del Brasile, a seconda delle differenze spaziali,

temporali e di intensità:

1. zona del portoghese parlato come lingua materna;

2. zona de-lusitanizzata, dove il portoghese è lingua di substrato;

3. zona di adstrato portoghese antico e nuovo;

4. zona di “lusitanità” indiretta;

5. zona di lusismi o occidentalismi peninsulari (LAFIN, 2011: 19).

Il dialetto di frontiera viene denominato anche carimbão o carimbado,

espressioni conosciute esclusivamente in alcune zone rurali della città di

Tacuarembó (IDEM: 20).

Le parole carimbão, carimbado o acarimbado non sono registrate in alcun

dizionario di lingua spagnola e, per tale motivo, esistono, secondo Thun, due

possibili spiegazioni per risalire all’origine del loro significato.

I termini possono essere stati utilizzati anticamente come una sorta di insulto e

rimasti quindi nell’uso del linguaggio comune e quotidiano dei parlanti di frontiera,

o possono essere anche parole derivate dal portoghese carimbo e carimbar,

diffusesi successivamente nella lingua spagnola (KERSCH, 2006: 5).

E2: Carimbão é uma língua que se fala ou outra coisa?

I1: Não, é que a língua brasilera francamente, nós não entendemo ela bem clara

E: Hmm

I1: Como porque quando nós vamo a um banco o algo e pelo [ - ? - ] porque hay

que entender [ - ? - ] por isso nós dizemo que nós temo na frontera temo uma

língua atrasada pero [risos] não é bem clara como a deles (R 1 – CbGII – Mulher,

57 anos).

diastratico, diagenerazionale e diasessuale). Per maggiori informazioni si consulti la pagina web http://portal.iai.spk-berlin.de/Harald-Thun.217+M52087573ab0.0.html. 50 In Argentina, ad esempio, il contatto tra lo spagnolo e il portoghese ha generato il cosiddetto Cangusino, lingua parlata nel Dipartimento di Cainguás, nella frontiera tra il Brasile e il Paraguay (STURZA, 2006: 110).

82

Tra i parlanti delle classi basse della società – monolingue nella varietà del

dialecto fronterizo – regna, come possiamo vedere dai dati raccolti nelle interviste

per la compilazione dell’ADDU, un sentimento di inferiorità rispetto agli altri

parlanti che utilizzano lo spagnolo della capitale uruguagia o il portoghese del

Brasile.

L’aumento dei parlanti della lingua spagnola in Uruguay ha fatto in modo che la

varietà del portoghese parlato nella frontiera perdesse il proprio valore sociale e

politico, rimanendo associato a quelle persone di basso livello sociale51 (IDEM,

2006: 2). Ciò spiega il perché molti uruguagi fronterizos/fronteiriços cercano di

approssimarsi sempre più al portoghese urbano o portoghese di norma brasiliana,

mentre i brasiliani continuano a parlare la propria lingua portoghese, prendendo

comunque in prestito diverse parole dallo spagnolo:

Los DPU pasan a ser vistos entonces como una identidad de la periferia de estas

ciudades y tienen un carácter despectivo para el que no comparte esta realidad, o

sea, el uruguayo de regiones sin fronteras internacionales o el de zonas de frontera

y la clase dominante, mientras que el portugués con préstamos del español no sufre

el prejuicio por parte del lusohablante de la frontera (RETAMAR – RISSO, 2011: 101).

Un fattore assolutamente determinante che interviene nel graduale processo di

“condanna” del dialecto fronterizo è, secondo Ana Maria Carvalho, la costante

presenza del portoghese brasiliano nella televisione uruguagia, che esaspera, per

così dire, l’insicurezza linguistica della comunità:

eu sempre falei assim, mas aprendi também na televisão a hablar o português.

Porque eu escuto mas também aprendo. Eles falam mais correto que nós. Os

artista sabem muito mais porque eles nasceu no Brasil, nós não (bambina

riverense, 9 anni), (CARVALHO, 2004: 74).

Difatti, le persone da lei intervistate per una ricerca sul bilinguismo nel nord

dell’Uruguay hanno dimostrato di non essere particolarmente felici della loro

condizione di bilingue perchè sanno di non parlare il “português de verdade”: 51 Behares (1984) dice che diverse persone si sentono inferiori e si vergognano di parlare il fronterizo . Menziona l’esempio di una madre che ha mandato il figlio a Montevideo per paura che questi potesse apprendere la lingua utilizzata nella frontiera e quindi avere poche possibilità di lavoro in un prossimo futuro (KERSCH, 2006: 2).

83

1. Me molesta usar [s] cuando en portugués verdadero es [z].

2. Me gusta usar [ʤi] en vez de [di]. Nunca uso ‘você’, pero me gustaría usarlo

en vez de ‘tu’ (IDEM). 3. Gosto do jeito que o pessoal fala na televisão porque é brasileiro em si.

Aqui nós somo rompe-idioma (ragazza riverense di classe medio-bassa,

21 anni);

4. Os brasileiro fala bem brasilero, nas novela eles fala bonito. Os brasileiro

fala perfeito, nós aqui fala entreverado (ragazza riverense di classe media,

23 anni) (IDEM: 88).

Le designazioni “rompe-idioma” o “estraga-idioma” sono, a detta di Lafin, le

forme che contengono una maggiore connotazione negativa.

Una forma relativamente “neutra” di riferirsi al fronterizo sembra essere quella

di brasilero o abrasileirado: (LAFIN, 2011: 20)

I: Bueno… aqui nós dizemo baiano... porque semo entreverado... não somo

brasilero nem uruguaio

E: Baiano? Tem outro nome também?

I: Sim... tem... Bueno... dizem brasilero...brasilero não é? Nós semo baiano

entreverado (T3 – Gb GII- Homem) (KERSCH, 2006: 4-5).

In quest’intervista compare un’altra denominazione, quella di “baiano” o

“bayano”, che significa letteralmente “abitante dello stato di Bahia”.

Gli uruguaiani di Montevideo utilizzano tale termine per riferirsi ai parlanti della

regione di frontiera in maniera negativa, paragonandoli, quindi, ai baiani del

Brasile, considerate persone di basso livello sociale:

“En Montevideo nos llaman bayanos… Los montevideanos o alguna gente del

interior lejos de acá... por contacto con los brasileños nos llaman así bayanos”; [...]

Gente... más bien gente común... de bajo nivel eso significa... ese nombre es un

poco peyorativo...no (IDEM: 7).

La definizione data dal dizionario della Real Academia Española (RAE), del

verbo entreverar – usato in Argentina, Bolivia, Perù e Uruguay – è quella di

“mezclar desordenadamente”. Attribuire l’aggettivo entreverado ad una forma

84

linguistica come quella presente nella frontiera tra il Brasile e l’Uruguay, significa

dunque considerarla una lingua mista, una lingua disordinata, caratterizzata dalla

confusione.

È proprio l’idea di confusione a contraddistinguere il termine corrupio, utilizzato

per descrivere sia il dialetto, sia il comportamento e gli atteggiamenti degli stessi

fronterizos/fronteiriços.

Consapevoli di non appartenere linguisticamente a nessuno dei due sistemi

“base” delle lingue nazionali, sembrano “correre” ininterrottamente da una parte

all’altra, così come fa il “corrupio”, famoso gioco per bambini.52 (LAFIN, 2011: 21).

Non si è ancora detto di una designazione che ha provocato, più di tutte, ampi

dibattiti, ottenendo alle volte consensi, altre aspre critiche: quella di

Portunhol/Portuñol, espressione da noi prescelta.

Il termine Portunhol/Portuñol viene utilizzato, indistintamente, per riferirsi a due

situazioni linguistiche differenti:

O termo portunhol designa uma mistura das línguas portuguesa e espanhola,

principalmente na América. No entanto, ele se refere a duas situações lingüísticas

diferentes. Se considerarmos a situação de contato contínuo e direto existente entre

os habitantes das fronteiras do Brasil com os demais países sul-americanos, o

portunhol é o resultado da mistura das línguas. É praticado por esses habitantes

como uma língua intermediária, de comunicação imediata. No entanto, este termo

também tem sido utilizado para referir o processo de interlíngua dos aprendizes da

língua espanhola como língua estrangeira, sobretudo dos brasileiros. Esta

designação do Portunhol serve para definir a situação intermediária da aquisição de

uma das línguas, quando os falantes não falam ainda nem bem uma, nem bem

outra língua.53

52 Riportiamo i significati del termine corrupio del Dicionário Informal : 1) Antigo brinquedo de criança: A criançada acertava as bordas de uma tampinha de garrafa e fazia pequenos cortes no seu beiral deixando-a dentada como catraca de bicicleta; furava dois buraquinhos no meio dela por onde passava uma linha resistente, encontrando sua pontas na outra extremidade, de forma que a tampinha permanecesse no meio do cordão. Com os dedos polegares, de um lado e do outro da linha, retorcia-a bastante, em seguida, esticava-a sucessivamente; a tampinha girava veloz de um lado para outro, produzindo um zumbido interessante. 3) Nome de uma brincadeira infantil: Duas pessoas de frente uma para a outra e de mãos dadas, com os braços esticados e o corpo jogado no atrás, giram o mais rápido possível, rodopiando mesmo para o lado (esquerda ou direita). Enquanto rodopiam ficam repetindo a palavra corrupio até rapidamente pararem de girar (http://www.dicionarioinformal.com.br/significado/corrupio/5867/). 53 Vedere il sito internet Enciclopédia das Línguas no Brasil http://www.labeurb.unicamp.br/elb/americanas/portunhol.html.

85

Nel primo caso si descrive una lingua che si origina dalla mescolanza di due

idiomi – il portoghese e lo spagnolo – in seguito al contatto continuo e diretto tra

gli abitanti delle zone di frontiera tra il Brasile e gli altri paesi sudamericani (non

solo Uruguay, ma anche Argentina e Paraguay).

Il cosiddetto portunhol/portuñol sarà allora quella lingua parlata dai

fronterizos/fronteiriços come lingua intermediaria o di comunicazione immediata:

O idioma que mais se usa do lado de cá, na fronteira, é esse portunhol pra gente

poder se entender (ALVAREZ, 2011: 114).

La seconda accezione del termine è, senza dubbio, quella più nota al lettore e

conosciuta dalle persone che studiano o parlano sia la lingua portoghese che la

lingua spagnola.

Ciò vale a dire che si utilizza il termine portunhol/portuñol quando vogliamo

riferirci al processo di apprendimento della lingua spagnola come lingua straniera

da parte dei parlanti lusofoni (MOTA, 2014: 19).

Questa designazione descrive il processo di apprendimento di una delle lingue,

facendo riferimento a quella lingua che si viene a creare quando il parlante non

domina completamente né lo spagnolo, né il portoghese:54

O “Portunhol” designa uma prática lingüística deficitária, uma passagem entra uma

língua e outra, por isso nem uma língua nem outra. Nesse caso, não está

significada por se constituir em uma relação entre línguas tal como ocorre com as

línguas da fronteira (STURZA, 2006: 131).

La designazione portunhol/portuñol diventa, in tal caso, una specie di nozione

“comodino”, che serve a caratterizzare un determinato repertorio linguistico

realizzato attraverso specificità fonetiche di una lingua “vicina” a quella che si

utilizza (GARCÍA, 2006: 555).

Come più volte ricordato, il portoghese in Uruguay esiste fin da prima del suo

consolidamento come Stato-Nazione, mentre lo studio vero e proprio dell’idioma

castigliano come lengua extranjera ha cominciato ad incrementarsi in Brasile solo

a partire dal 1993, anno in cui venne approvata in Senato la legge numero 4.004, 54 Anche Jonh Lipski si riferisce a questo tipo di uso del termine nello studio Too Close for Comfort? The Genesis of “Portuñol/Portunhol”, affermando che tale manifestazione viene fortemente stigmatizzata da molti linguisti «The firts is that portuñol is undesirable, and the result of laziness, indifference, or lack of respect for the other language and its speakers» (LIPSKI, 2006: 2).

86

che decretava l’obbligo del suo insegnamento nelle scuole di secondo grado e

facoltativo in quelle di primo grado.55

I lusoparlanti in Brasile, considerando lo spagnolo una lingua molto simile al

portoghese,56 sono soliti utilizzare – durante la conversazione con un

ispanoamericano – un portoghese “mal parlato”, ovvero il portunhol, lingua creata

spontaneamente durante la comunicazione tra i parlanti di lingua portoghese e i

parlanti di lingua castigliana.

Il portunhol/portuñol, in tali termini, sarà definito come “interlingua”,57 ossia un

sistema linguistico in costruzione che si trova in bilico tra una lingua e l’altra.

In ambito accademico, tuttavia, il risultato prodotto dall’incrocio di due codici

linguistici differenti, si inserisce nel quadro delle lingue di frontiera e il

portunhol/portuñol diverrà, pertanto, un “ponte” tra lo spagnolo e il portoghese,

una maniera di definire quella lingua “ribelle”, che – come afferma il poeta

uruguagio Fabián Severo – non rispetta geografie, né autorità (SEVERO, 2014: 11).

55 Apresentação: 09/07/1993; Autor: Poter Executivo; Ementa: Torna obrigatória a inclusão do ensino de língua espanhola nos currículos plenos dos estabelecimentos de ensino de 1° e 2° graus. Nova ementa do substitutivo do Senado: Dispõe sobre a obrigatoriedade da implantação da língua espanhola nos currículos plenos dos estabelecimento de ensino medio (http://www.camara.gov.br/sileg/Prop_Detalhe.asp?id=20594&st=1). 56 Secondo alcuni studi linguistici riguardanti le somiglianze tra la lingua spagnola e quella portoghese, il 90% delle parole di ciascuna delle due lingue possiede equivalenti identici o molto simili nell’altra lingua. Il problema, per María Teresa Celada, risiede dunque nel restante 10%, ovvero in quelle parole conosciute come “falsi amici”, i quali sovvertono, per così dire, l’antica credenza della grande somiglianza tra lo spagnolo e il portoghese (CELADA – GONZÁLES, 2000: 41). 57 Secondo il Dizionario di Linguistica e di Filologia, Metrica, Retorica di Gian Luigi Beccaria, il termine “interlingua” possiede fondamentalmente due significati: 1) Nella traduzione automatica, livello di rappresentazione ipoteticamente “neutrale” tra più lingue, in cui si suppone possa essere espresso il contenuto di frasi di qualsiasi lingua, o comunque di un determinato insieme di lingue […] 2) In glottodidattica, il sistema linguistico in cui convivono, generalmente a causa di interferenze, regole della L1 con quelle della L2 nel corso dell’apprendimento di quest’ultima (BECCARIA, 1995: 391-392).

87

CAPITOLO III Il Portunhol/Portuñol nella poesia di Fabián Severo

III. 1. Il “problema fronterizo”

La presenza del Portunhol/Portuñol all’interno di uno Stato-Nazione

territorialmente poco esteso come l’Uruguay, si è rivelata, nel corso del tempo, un

serio problema politico.

L’uso di una lingua minoritaria,1 difatti, è correlata quasi sempre all’idea di

“deficit linguistico”, pensiero generalizzato perlopiù tra i parlanti monolingue dello

spagnolo o del portoghese, i quali considerano il dialetto Portunhol/Portuñol una

varietà linguistica poco corretta. Per trovare una soluzione soddisfacente al

problema, il governo uruguagio ha promosso, nei secoli passati, diverse

pianificazioni linguistiche votate all’impianto di un’educazione monolingue

(spagnolo) o bilingue (spagnolo e portoghese) che potessero gradualmente

permettere la perdita della prima lingua, o del dialetto di frontiera.

Una politica linguistica di questo tipo, tuttavia, specie se applicata nelle zone

della frontiera Uruguay-Brasile, priva inevitabilmente la popolazione di alcuni diritti

basilari, come quello del diritto di utilizzare la propria lingua materna in ogni ambito

della vita privata e della vita pubblica.

1 Nicolás Brian, Claudia Brovetto e Javier Geymonat considerano fondamentale, per la definizione del portoghese uruguagio, la considerazione di tre dimensioni linguistiche che permettono di comprendere nella sua interezza la realtà sociolinguistica della frontiera. Essi definiscono il portoghese uruguagio in base a tre concetti basilari: quelli di lengua fronteriza, lengua minoritaria e lengua de herencia. Il primo concetto fa riferimento alla sua peculiarità geografica che lo inserisce in una situazione di stretto contatto tra lingue e culture differenti; il secondo si utilizza per identificare un determinato gruppo sociale – la comunità di frontiera – all’interno di una collettività più ampia che è quella uruguaiana, mentre l’ultimo concetto comprende, al momento dell’analisi linguistica, il legame personale e storico di ciascuno dei parlanti con la propria lingua materna (BRIAN – BROVETTO – GEYMONAT, 2007: 11).

88

Paradossalmente, in Uruguay, la stragrande maggioranza delle famiglie

appartenenti alle classi alte della società urbana manda i figli a studiare una o più

lingue straniere nei diversi istituti di lingue collocati nel territorio, ignorando – così

come ha voluto fare per molto tempo lo Stato uruguagio – la presenza della lingua

portoghese, grandissima risorsa linguistica del Paese (CARVALHO, 20061: 164).

Come sostiene la Carvalho nei suoi numerosi studi sul portoghese

dell’Uruguay, i parlanti fronterizos/fronteiriços tendono, comunque, ad utilizzare il

portoghese in situazioni comunicazionali ristrette, circoscritte a contesti privati,

familiari e affettivi quasi sempre rurali, mentre lo spagnolo viene impiegato nelle

comunicazioni tra grandi gruppi, vale a dire in ambiti “ufficiali” della vita pubblica,

dove si entra in contatto con parlanti monolingue dello spagnolo delle classi

medio-alte della società uruguagia.

Viene dunque a crearsi, nelle città di frontiera, un tipo di bilinguismo definito

bilinguismo sociale, che rivela nella scelta dell’uso di una delle due lingue –

spagnolo e portoghese – l’importanza dello status socio-economico di ciascuno

dei parlanti, considerato che l’uso del portoghese diminuisce mano a mano che ci

si allontana dalle periferie delle città:

Grafico 1. Scelta delle due lingue a seconda della classe sociale di appartenenza

89

Adulti, giovani e bambini provenienti dalle città fronterizas/fronteiriças sono

cresciuti o crescono, ancora oggi, ascoltando e parlando il portoghese uruguagio a

casa con i familiari, nel vicinato o per le strade con gli amici, mentre negli spazi

pubblici, in contesti ufficiali o a scuola utilizzano esclusivamente lo spagnolo,

lingua ufficiale dell’Uruguay.

A complicare maggiormente la situazione linguistica del nord dell’Uruguay, è la

presenza del portoghese del Brasile che gli abitanti della frontiera ascoltano – e di

conseguenza apprendono – quotidianamente attraverso i mezzi di comunicazione,

in primis, la televisione,2 la quale trasmette diversi programmi televisivi in

portoghese brasiliano.

Già intorno agli anni Sessanta e Settanta del Novecento, quando l’uso del

Portunhol/Portuñol cominciava a divenire un serio problema soprattutto in ambito

scolastico, sono state individuate alcune principali cause che, a detta degli studiosi

del linguaggio fronterizo/fronteiriço, impedivano ai parlanti la conoscenza e il

corretto utilizzo dell’idioma castigliano. Oltre la televisione, un altro potentissimo

mezzo di comunicazione che contribuiva – in passato come adesso – a diffondere

non solo la lingua, ma anche la cultura e le tradizioni del Paese vicino, è

rappresentato dalla radio, la quale trasmetteva, non raramente, programmi

radiofonici brasiliani o canzoni e musica popolare del Brasile.

Il poeta fronterizo/fronteiriço Fabián Severo, del quale parleremo più avanti, fa

anche riferimento a tale situazione in una delle sue poesie – Cuatorse – in

portunhol/portuñol:

Desde piqueno3 vemo seus programa

iscutemo suas música

aprendemo suas palavra

bailemo sus baile

cumemo sua comida

resemo seus santo (SEVERO, 20111: 32).

2 Il compositore uruguagio Ernesto Díaz durante un’intervista – con Fabián Severo – afferma che la televisione uruguagia in passato si guardava pochissimo nella frontiera: «Nosotros mirábamos esos canales, en Artigas la tevé uruguaya casi no se miraba, sólo estaba La Red y no se podía ver, era dictadura […] Mirábamos a Caetano Veloso y a Chico Buarque cuando acá estaban prohibidos» (http://ladiaria.com.uy/articulo/2014/7/gauchos-da-fronteira/). 3 Il libro Noite Nu Norte. Noche En El Norte (2011) di Fabián Severo contiene la traduzione in spagnolo: «Catorce: Desde pequeños/ vemos sus programas,/ aprendemos sus palabras/ bailamo sus bailes/ comemos su comida/ rezamos a sus santos» (SEVERO, 20111: 120).

90

Attorno agli anni ‘70 del ventesimo secolo, si pensava che la difficoltà di

apprendimento della lingua spagnola da parte dei parlanti delle zone di frontiera

derivasse da questioni principalmente economiche.

In realtà, in molte città del Brasile, il materiale scolastico che occorreva ai

bambini per imparare a leggere e a scrivere era più economico rispetto alle città

dell’Uruguay. (LARBANOIS, 1970: 45).

La costante esposizione alle lingue “base” – spagnolo e portoghese – spinge il

parlante bilingue uruguaiano o brasiliano fronterizo/fronteiriço a credere che il

Portunhol/Portuñol sia una varietà linguistica di scarso prestigio sociale e valore

politico. È dunque la stessa società di frontiera a stigmatizzare la propria lingua

materna come una varietà dialettale rurale, non ufficiale e priva di purezza

linguistica:

Eu acho feio o português da fronteira;

Nós tratemo de imitar o português do Brasil;

Eu sempre falei assim, mas aprendi também na televisão a hablar o português.

Porque eu escuto mas também aprendo. Eles falam mais correto que nós. Os

artista sabem muito mais porque eles nasceu no Brasil, nós não (CARVALHO, 2004:

73-74).

A differenza delle comunità di immigrati, dove la lingua minoritaria viene

rapidamente sostituita da quella in uso nel Paese ospitante (tant’è vero che la

terza generazione – per intenderci i primi nipoti degli immigrati – arriva a parlare

esclusivamente la lingua ufficiale del territorio); nelle comunità di frontiera perdura

una condizione di bilinguismo.

I parlanti bilingue uruguaiani-brasiliani continuano ad utilizzare il

Portunhol/Portuñol, nonostante le numerose imposizioni del governo uruguaiano

del XIX secolo (CARVALHO, 20102: 48).

91

III. 2. Grammatica del portunhol/portuñol

L’intenso contatto tra lo spagnolo e il portoghese nella frontiera tra il Brasile e

l’Uruguay ha permesso la nascita e la creazione di nuove costruzioni linguistiche,

espressioni, frasi o semplici parole che si differenziano completamente dalle

lingue nazionali, radicandosi nella grammatica di questa particolare varietà

regionale della lingua portoghese.

Il Portunhol/Portuñol si caratterizza, pertanto, per la compresenza di forme

morfologiche, fonetiche e sintattiche identiche alle lingue “base” e da strutture

grammaticali innovative che fanno parte unicamente di quel complesso di elementi

linguistici che lo vanno a costituire.

In sostanza, esso si diversifica dall’idioma spagnolo e quello portoghese per la

presenza, nella sua struttura interna, di due principali elementi:

1) caratteristiche tipiche del portoghese rurale;

2) influenza della lingua spagnola.

L’area dialettale alla quale appartiene il Portunhol/Portuñol, come sappiamo, è

quella del Rio Grande do Sul, regione dove si parla il cosiddetto português

gaúcho, variante del portoghese che presenta alcune caratteristiche fonologiche –

quali l’intonazione crescente alla fine della frase o un repertorio di cinque vocali in

posizione finale atona invece di tre, – differenti dal portoghese utilizzato nel resto

del Brasile.

Alcune delle caratteristiche del portoghese gaucho si riscontrano sia nel

portoghese uruguagio,4 sia in quello dell’entroterra brasiliano, ad esempio,

l’assimilazione regressiva delle nasali (ansim, al posto del portoghese standard

assim), la de-nasalizzazione (homi invece che homem), la /a/ proclitica (avoar e

non voar) e la /s/ epentetica (despois al posto del depois standard del

portoghese) (CARVALHO, 2007: 65).

4 A questo proposito, il famoso linguista uruguagio Luis Behares, ha affermato che «el Portugués Gaúcho de Fronteira (PGF), hablado en las áreas fronterizas brasileñas con Uruguay y Argentina, y los DPU uruguayos constituyen práticamente una misma variedad lingüística, en sus aspectos principales. No obstante, es posible sostener en base a sólidas evidencias que los DPU presentan estructuralmente algunas variantes que les son propias, lo que se explica por dos factores: su mayor alejamiento y falta de regularización por parte del portugués estándar durante los últimos 200 años; y su contacto constante con el español en la sociedad fronteriza uruguaya durante el siglo XX» (BEHARES, 2007: 127).

92

Il catalogo lessicale del Portunhol/Portuñol manifesta diverse parole oramai

estinte nella varietà urbana del portoghese brasiliano, ma ancora oggi utilizzate

nel linguaggio parlato di molte zone rurali del Brasile: è il caso di açucre

(portoghese standard açucar), bonde (portoghese del Brasile ônibus), causo

(caso), inté (até), fosfro (fósforo), pesco (pêssego) e nhá, forma di trattamento

proclitica che in portoghese standard corrisponde alla parola dona.

Per quanto riguarda il sistema fonetico, a differenza dello spagnolo, il dialetto

portunhol/portuñol conserva le coppie dei fonemi /v/ e /b/, /s/ e /z/ e /ʃ/ e /ʒ/;

tuttavia, la realizzazione vocalica della /l/ in sillaba finale di parola si sostituisce –

anche nel portoghese gaucho – a causa dell’influenza dell’idioma castigliano con

una /l/ alveolare.

Un fenomeno poco studiato è l’oscillazione delle consonanti [m] - [n] alla fine

della parola, specie quando appare il suffisso portoghese –ão: feijão, feijon,

feijaum, feijoun, ecc. (BEHARES, 2007: 132).

Le numerose similitudini tra il portoghese brasiliano rurale e il portoghese

uruguagio rimontano alla storia coloniale del Rio Grande do Sul e dell’Uruguay,

epoca nella quale il portoghese del Brasile è riuscito a penetrare nel nord

uruguagio grazie alla presenza delle comunità lusoparlanti nel territorio.

Tale situazione spiegherebbe, dunque, la provenienza di alcune caratteristiche

morfosintattiche che, grosso modo, si rifanno a quelle del portoghese del Brasile

più evidentemente in contrasto con la norma del portoghese europeo:

1) assenza di concordanza nel numero in alcuni elementi del sintagma

nominale:

“Meu irmão tem umas galinhaø, todos os diaø ele saca três ovoø”.

PORTOGHESE: Meu irmão tem umas galinhas, todos os dias ele saca três ovos;

SPAGNOLO: Mi hermano tiene unas gallinas, todos los dias él junta tres huevos.

2) semplificazione del paradigma verbale:

“Nós trabaia nas vivenda do Cerro Marconi.

93

PORTOGHESE: Nós trabalhamos nas vivendas do Cerro Marconi;

SPAGNOLO: Nosotros trabajamos en las viviendas del Cerro Marconi.

3) generalizzazione del “se” come pronome riflessivo di tutto il

paradigma, dovuta alla lessificazione del pronome con il verbo che lo

segue:

“Nós fazia pão lá, depois se viemo pra cá”.

PORTOGHESE: Nós faziamos pão lá, depois nós vimos para cá;

SPAGNOLO: Nosostros hacíamos pan allá, después nos vinimos para acá

(CARVALHO, 2007: 66).

Nella frase sotto riportata, possiamo notare un altro fenomeno tipico del

Portunhol/Portuñol, che consiste nella sostituzione del suffisso di prima persona

plurale delle forme verbali appartenenti alla prima coniugazione (-ar) “–amo”, con il

suffisso –emo:

“Passemo pelas casa, invitemo os amigo, compremo comida”:

Questo particolare uso del suffisso verbale di prima persona plurale è stato

rilevato, all’incirca negli anni Ottanta del Novecento, dal linguista brasiliano

Gladstone Chaves de Melo,5 come una delle caratteristiche principali del

portoghese gaucho parlato nel Rio Grande do Sul.

Ciò potrebbe significare, secondo Ana Maria Carvalho, che la maggior parte

delle peculiarità linguistiche del Portunhol/Portuñol derivino e, di conseguenza,

continuino a seguire le principali tendenze grammaticali dei dialetti rurali del

portoghese brasiliano (CARVALHO, 2003: 133).

5 Importantissimo filologo e linguista, Chaves de Melo nacque a Campanha (MG) il 12 giugno del 1917 e morì a Rio de Janeiro il 7 dicembre del 2001. Fu professore di Lingua e Linguistica Portoghese e Filologia Romanza all’Universidade Federal do Rio de Janeiro, Universidade Federal Fluminense, alla Pontíficia Universidade Católica do Rio de Janeiro, alla Faculdade de Filosofia e Letras de Juiz de Fora, all’Universidade de Coimbra e all’Università di Tübingen in Germania. Fece parte delle più famose istituzioni nazionali e straniere come l’Academia Brasileira de Filologia, Círculo Lingüístico do Rio de Janeiro, Sociedade de Língua Portuguesa, Academia Portuguesa de História, Associação Internacional de Lusitanistas, Associaçom Galega de Língua (http://www.filologia.org.br/viicnlf/anais/caderno05-03.html).

94

III. 2.1. Principali aspetti lessicali

Poc’anzi abbiamo accennato ad un secondo fattore caratterizzante la lingua

portunhol/portuñol, fondamentale per poterlo definire, quello dell’influenza

dell’idioma castigliano.

È molto frequente trovare all’interno del repertorio linguistico delle comunità

bilingue di frontiera alcuni prestiti lessicali i quali, come affermavano nel

precedente capitolo, si adattano alla morfologia, alla fonetica e alla struttura

grammaticale della lingua che, per così dire, li riceve.

I prestiti dallo spagnolo che si sono stabiliti nel Portunhol/Portuñol durante il

corso del tempo designano perlopiù professioni, istituzioni pubbliche e private,

indicazioni stradali, nomi dei giorni della settimana, mesi, feste nazionali, ecc.

Termini che si riferiscono a precisi contesti della vita pubblica uruguaiana e non

brasiliana, quindi scelti dai parlanti, nonostante la conversazione si stia svolgendo

in lingua portoghese:

A maestra só fala uruguayo

→ PORTOGHESE: A professora só fala uruguaio / SPAGNOLO: La maestra solo

habla uruguayo;

Hoje é martes

→ PORTOGHESE: Hoje é terça-feira / SPAGNOLO: Hoy es martes;

No trabaio dela tem que ficá todo dia na plaza

→ PORTOGHESE: No trabalho dela tem que ficar todo dia na praça /

SPAGNOLO: En su trabajo tiene que quedarse todo el día en la plaza;

Aí después eu consegui outro empleo

→ PORTOGHESE: Aí depois eu consegui outro emprego / SPAGNOLO: Entonces

después conseguí outro empleo;

Passam o dia na calle

→ PORTOGHESE: Passam o dia na rua / SPAGNOLO: Pasan el día en la calle.6

6 Le frasi sono state tratte da Diagnóstico sociolingüístico de comunidades escolares fronterizas en el norte del Uruguay di Ana Maria Carvalho (CARVALHO, 2007: 69) pubblicato nel 2007 nel volume

95

Esistono, inoltre, numerosi prestiti dalla lingua spagnola che appartengono alla

sfera lessicale della vita quotidiana, come per esempio:

1) Faço torta pá eles só nos cumple

PORTOGHESE: “bolo” e “aniversário”;

2) Quando tô nas casa eu gosto de oiá películas

PORTOGHESE: “filmes”;

3) Eu jogo a pelota com o meu irmão

PORTOGHESE: “bola”;

4) Eu vou para a tenda comprar helado

PORTOGHESE: “loja” e “sorvete” (CARVALHO, 2007: 70);

5) Peleia de criança é como peleia de cachorro

PORTOGHESE: “peleja”;

6) Ai vem outro coche. Era o vizinho

PORTOGHESE: “carro”;

7) E lá eu fazia um esfuerzo de falá casteiano, me chamavam a brasilera

PORTOGHESE: “esforço”;

8) Eu tenho esse dolor que me dá esse dolor que me dá nos peito

PORTOGHESE: “dor”;

9) Só se demo regalo

PORTOGHESE: “presente”;

10) Botei num tacho grande, não tinha canasta notei num tacho

PORTOGHESE: “cesto”; Portugués del Uruguay y Educación bilingüe di Claudia Brovetto, Javier Geymonat e Nicolás Brian, in collaborazione con Luis Behares. Abbiamo ritenuto opportuno riportare sia la traduzione in spagnolo, che quella in portoghese – da noi realizzata – per rendere ancora più chiari gli esempi citati.

96

11) Às 4 da manhã me levantava a fazê o pão e a calentá o horno

portoghese: “forno”;

12) Eu vi elas entrá com umas botella aí

portoghese: “garrafa”;

13) Tem gente que tem um color encardido de não se banharem

portoghese: “cor” (CARVALHO, 2003: 140);

14) E aí, nu que seque a água tá pronto u carretero, porqui nu carreteru

naun si usa papa

portoghese “batata” (BEHARES, 2007: 129).

Ancora più interessanti sono quelle forme lessicali tipiche del

Portunhol/Portuñol che non possono essere riscontrate in nessuno dei due dialetti

monolingue. Tali termini possono manifestarsi attraverso le cosiddette “parole

ibride” costruite per mezzo di elementi linguistici di entrambe le lingue:

reloge [řelᴐʒ]: portoghese standard “relógio” [řelᴐʒiw] e spagnolo

standard “reloj” [řelóx];

jubilação: «Eu tenho minha [x]ubilação mas é poquinho» (= jubilación in

spagnolo, termine al quale è stato applicato il suffisso portoghese –ão

alla radice) (CARVALHO, 2003: 139).

Vi sono poi delle parole appartenenti alla lingua portoghese alle quali sono state

adoperate le regole fonologiche dell’idioma castigliano: è il caso di pierto,

risultante dalla dittongazione della parola portoghese perto (cerca in spagnolo);

rodia = portoghese: “joelho” – spagnolo: “rodilla”; pareia = portoghese: “casal” –

spagnolo: “pareja”; sía = portoghese: “cadeira” – spagnolo: “silla”, o anche facero

(“garboso”, “elegante”) per “faceiro” e cachoera (“cascada”, “salto”) per

“cachoeira” (LÓPEZ, 1967: 19).

97

Particolarissimo è il caso di quelle forme verbali provenienti da una radice

lessicale della lingua spagnola alle quali sono state adattate morfologicamente e

foneticamente le regole della lingua portoghese:

1) Não pode andá de bicicleta nem pode manejá um carro

= la radice lessicale del verbo spagnolo “manejar” è stata adattata al verbo

portoghese “dirigir”;

2) Meu irmão é três ano mais véio do que eu, agora cumpliu

= il verbo spagnolo “cumplir” segue le regole morfologiche e fonetiche del

verbo portoghese “fazer” (CARVALHO, 2007: 69).

Esistono alcune forme verbali che producono differenti significati a seconda del

contesto comunicazionale nel quale si trovano inserite, ad esempio:

Intonce agarra i bota, se agarra uma taça de farinha

→ PORTOGHESE STANDARD: “tomar”, “capturar”, “sostener con la mano”;

→ PORTUNHOL-PORTUÑOL: “entrar en un estado, resolverse, tomar una

iniziativa”; “absorver” (Quando a carne agarra fritura já se mistura);

A gente pega u charque; I tein que té bastante azeite ou graxa para que

naum pegue

→ PORTOGHESE STANDARD: “tomar”, “agarrar”;

→ PORTUNHOL-PORTUÑOL: un tipico significato dello spagnolo standard e –

pur se raro – del portoghese gaucho è “adherir una cosa con otra”, specie

quando un preparato aderisce al recipiente nel quale è stato cucinato

(BEHARES, 2007: 142).

98

In diverse occasioni comunicazionali, i parlanti del portoghese dell’Uruguay

prediligono l’avverbio spagnolo “muy” al posto dell’avverbio “muito” del

portoghese:

Muy poca coisa a gente compra em Rivera.

Per quanto riguarda le forme di trattamento, è possibile trovare all’interno di un

enunciato in lingua portunhol/portuñol quelle peculiari della lingua spagnola, così

come quelle del portoghese:

Eu fiz cosa na minha vida que usted no imagina (→ la forma di

trattamento di terza persona singolare “usted” spagnola viene impiegata

al posto del “você” o dei “o senhor/a senhora” del portoghese)

(CARVALHO, 2007: 72).

Interessantissima è la presenza di alcune voci lessicali derivanti dalle lingue

indigene presenti nel territorio orientale anteriormente l’epoca della

colonizzazione, parole che si sono tramandate nei repertori lessicali delle lingue

spagnola e portoghese e che, ancora oggi, si trovano nel Portunhol/Portuñol.

Dal tupi-guarani, deriva, ad esempio il termine gurí (ragazzino),7 dal quechua vi

è porongo8 (brocca di terracotta) e da alcune lingue indigene del nord

dell’America Centrale e del centro-sud del Messico abbiamo chicolate

(cioccolato) e chícara9 (per “jícara” = piccola tazza usata per bere il cioccolato).

7 Gurí, gurisa: «Niño o adolescente/ Hijo» (http://lema.rae.es/damer/?key=gurí). 8 Porongo: «Recipiente para tomar mate, hecho con un porongo seco». Per gli altri significati consultare il Diccionario de americanismos della “Asociación de Academias de la Lengua Española” (http://lema.rae.es/damer/?key=porongo). 9 Jícara (también jíquera): «Taza pequeña, generalmente con el fondo más grueso que las paredes, que se usa para tomar chocolate». Altri significati sono presenti nel Diccionario General de la Lengua Española Vox alla pagina numero 1090.

99

III. 2.2. Semplificazioni morfosintattiche

Nel Portunhol/Portuñol le regole basilari degli idiomi nazionali che lo

costituiscono hanno subito un processo di semplificazione a più livelli: l’uso

preponderante del pronome relativo que ne è un esempio esaustivo, considerando

l’assenza quasi totale delle forme pronominali più complesse all’interno delle

orazioni relative (LAFIN, 2011: 33).

La morfo-sintassi del portoghese uruguagio sembra rispecchiare l’architettura

linguistica dell’idioma lusofono, tuttavia, se non ci si soffermassimo ad una lettura

superficiale degli enunciati, noteremmo sin da subito la forte influenza della lingua

spagnola anche a livello morfologico e sintattico.

Basti ricordare la presenza del pronome oggetto indiretto spagnolo le, preferito

dai parlanti fronterizos/fronteiriços a quello portoghese lhe:

Foram criado mimosinho, nunca nada le faltou,

così come alcune congiunzioni, utilizzate con la funzione di marcatori del

discorso10 tipiche della lingua spagnola, come pues, entonces, pero, o sea:

Pero, pelo que eu estava passando, tô muito meió graças a Deus.

Non è semplice, tuttavia, ravvisare la presenza di strutture sintattiche

provenienti dalla lingua spagnola.

Sappiamo dell’esistenza, ampiamente documentata, della costruzione

impersonale realizzata con il pronome “uno” spagnolo, inesistente nella sintassi

del portoghese standard:

Um nota que tu é bem brasileira < Uno nota que vos sos bien brasileña;

10 I “marcatori del discorso”, detti anche segnali discorsivi, sono elementi linguistici (parole, espressioni, frasi), di natura tipicamente pragmatica, diffusi in specie nella lingua parlata, che, a partire dal significato originario, assumono ulteriori funzioni nel discorso a seconda del contesto: sottolineano la strutturazione del testo, connettono elementi nella frase e tra le frasi, esplicitano la posizione dell’enunciato nella dimensione interpersonale, evidenziano processi cognitivi in atto. I marcatori del discorso costituiscono una classe non morfologica o lessicale, ma funzionale, appartengono infatti a varie categorie: congiunzioni, avverbi, forme verbali, clausole intere (http://www.treccani.it/enciclopedia/segnali-discorsivi_(Enciclopedia_dell’Italiano)/).

100

Ter um fio homem é mais fácil pa um, né? < Tener un hijo varón es más

fácil para uno, ¿no?.

Inoltre, probabilmente sempre per questioni legate all’interferenza con la lingua

castigliana, il Portunhol/Portuñol sostituisce, quasi sempre, la forma del futuro del

congiuntivo portoghese con il presente del congiuntivo:

O pai delas depois que se opere (→ futuro del congiuntivo “operar”)

pode cuidá das crianças (CARVALHO, 2007: 73).

Sempre a proposito delle forme verbali, si è osservata, nel dialetto di frontiera, la

tendenza dei parlanti a prediligere il modo indicativo, riducendo il paradigma

verbale alla terza persona singolare, proprio alla maniera del portoghese del

Brasile (LAFIN, 2011: 37).

Altri casi di semplificazione verbale che si riscontrano nel Portunhol/Portuñol

appartengono alle caratteristiche del portoghese parlato in Brasile:

1. Eu fazeria tudo diferente;

2. Não sei como eles fazerão;

3. O avião tava pá sair, pá nos ir;

4. Moié tudu as planta quando nós tava em frente da Concordia.

Negli esempi 1 e 2, le forme verbali fazeria e fazerão risultano da una

regolarizzazione delle forme condizionale e futuro irregolari del portoghese

standard: fazer + -ia; fazer + -ão; nella frase 3, vi è, invece, l’assenza della

flessione del verbo all’infinito, mentre nell’ultimo enunciato possiamo osservare –

oltre l’assenza del morfema plurale “-s” nei sostantivi tudu e planta – la mancanza

del morfema della prima persona plurale del verbo “estar”: (nós) tava al posto di

(nós) estávamos (CARVALHO, 2003: 132).

101

Quando due lingue “vicine” come il portoghese e lo spagnolo entrano in

contatto, si vengono a creare, secondo quanto detto da Adolfo Elizaincín, nuove

costruzioni linguistiche difficilmente riproducibili o accettabili all’interno delle regole

grammaticali di uno dei due sistemi linguistici “base”.

Un caso del genere è rappresentato dal verbo gustar/gostar.11

In portoghese, come sappiamo, il verbo “gostar” si costruisce obbligatoriamente

con la preposizione de (“eu gosto de”), mentre in spagnolo “gustar” viene

espresso necessariamente con il dativo (“me gusta”).

La somiglianza delle due forme verbali, tuttavia, ha permesso la realizzazione nel

Portunhol/Portuñol di frasi del tipo:

Yo gusto de volver temprano,

Juan gusta de Rosa.

Un curioso esempio di “grammatiche in contatto” è quello che caratterizza il

verbo decir accompagnato dalla preposizione para al posto della preposizione a

spagnola, a causa dell’interferenza con il portoghese “falar para”:

Yo dije para la señora.

Infine, non possiamo dimenticarci di menzionare il caso dei verbi haver/haber, i

quali, nonostante esprimano impersonalità in entrambe le lingue, vengono alternati

nel Portunhol/Portuñol ad una seconda forma verbale impersonale presente nel

portoghese del Brasile, costruita con il verbo ausiliare ter:

Condução aqui não tem, vem o omnibus que pasa ahí;

Tiene niño en la escuela (LAFIN, 2011: 36).

11 Si veda il sito http://congresosdelalengua.es dove si trova la comunicazione – dalla quale abbiamo estrapolato il riferimento – dello studioso uruguaiano Adolfo Elizaincín, proferita in occasione del II Congresso Internazionale della Lingua Spagnola, tenutosi a Valladolid nel 2001.

102

III. 2.3. Caratteristiche fonologiche

Un’analogia tra il digrafo dell’idioma spagnolo ll e quello portoghese lh ha reso

possibile una sua reinterpretazione da parte dei parlanti del portunhol/portuñol.

Dobbiamo precisare che nel portoghese del Brasile si assiste a due tipi di

pronuncia del digrafo lh:

1. palatale laterale [λ];

2. semivocale [j],

anche se quest’ultima pronuncia è fortemente stigmatizzata a livello sociale,

poiché ritenuta una principale caratteristica dei dialetti rurali e del linguaggio di

quei parlanti appartenenti alle classi basse del Brasile.

La vocalizzazione (definita ieismo o yeísmo)12 è una particolarità tipica del

portoghese uruguagio, la quale, tuttavia, sta andando sempre più perdendosi a

causa dell’influenza del portoghese del Brasile.

La tabella che segue mostra chiaramente il modo in cui l’oscillazione della

pronuncia tra [λ] e [j] sia fortemente condizionata dalla classe sociale, dal genere e

dall’età dei parlanti: le classi più alte della società, le donne e i giovani sono

propensi a realizzare la pronuncia standard del digrafo, mentre le classi basse, gli

uomini e gli anziani tendono a pronunciare la tipica semivocale [j] del dialetto

portunhol/portuñol.13

12 Consiste en pronunciar como /y/, en sus distintas variedades regionales, el dígrafo ll (→ ll): [kabáyo] por caballo, [yéno] por lleno. El yeísmo está extendido en amplias zonas de España y de América y, aunque quedan aún lugares en que pervive la distinción en la pronunciación de ll e y, es prácticamente general entre los jóvenes, incluso entre los de regiones tradicionalmente distinguidoras. Su presencia en amplias zonas, así como su creciente expansión, hacen del yeísmo un fenómeno aceptado en la norma culta (http://lema.rae.es/dpd/?key=Yeismo). 13 I dati elaborati da Ana Maria Carvalho coincidono con quelli pubblicati nell’ADDU (Atlas Diatópico y Diastrático del Uruguay (2000) dei già citati Harald Thun e Adolfo Elizaincín. Gli studiosi sostengono che nel nord dell’Uruguay dove si parla il portoghese, l’allofono standard [λ] è quello più utilizzato dalla classe media e dai giovani, mentre la vocalizzazione si realizza nei parlanti delle classi più basse e nelle persone più anziane (CARVALHO, 2003: 137).

103

FATORES DE GRUPO

FATORES

% di [λ]

TOTAL DE OCORRÊNCIA

PESO DE FATOR

ORDEM

ESTILO FORMAL

INFORMAL

82% (292)

39% (532)

356

1381

.86

.38

1

GRUPO SOCIOECON. MÉDIA-MÉDIA MÉDIA-BAIXA BAIXA

76% (326)

55% (290)

27% (208)

429

526

782

.76

.59

.30

2

GÊNERO MULHER

HOMEM

54% (480)

40% (344)

885

852

.59

.41

3

IDADE 16-29

30-49

50-70

58% (324)

44% (263)

40% (237)

559

592

586

.61

.45

.41

4

Tabella 1. Pronuncia di [λ] a seconda dei fattori sociali, stilistici, economici, di genere e di età

L’Uruguay ha poi subito, nel corso del tempo, dei numerosi cambiamenti

riguardanti la pronuncia delle parole contenenti il digrafo ll e la lettera y, grosso

modo riassumibili in uno schema come questo:

SPAGNA /j/ → RÍO DE LA PLATA – secolo XVIII: /ʒ/ → RÍO DE LA PLATA – secolo XX: /ʃ/

Le zone linguistiche appartenenti al territorio del Río de la Plata, come

sappiamo, si caratterizzano per un particolare tipo di ieismo definito yeísmo

rehilado. Con il passare del tempo la pronuncia ha subito un processo di

“assordamento”, divenendo una /ʃ/, tipica del linguaggio dei giovani di tutto il

territorio uruguagio (IDEM: 31).

Come avviene per la pronuncia della lingua spagnola, quella del

Portunhol/Portuñol perde l’occlusione dell’affricata alveopalatale /ʧ/ e si trasforma

in una fricativa: “chuchara” [kuʃára] (portoghese: colher), “boliche” [bolíʃe]

(portoghese: bar), “plancha” [plãnʃa] (portoghese: ferro), “lechuga” [leʃúga]

(portoghese: alface) (CARVALHO, 2007: 74).

104

La pronuncia della consonante spirante /s/ può verificarsi sia come una /s/

(quando appare preceduta a una consonante sorda, <vespa>), sia come una /z/

(quando si manifesta prima di una consonante sonora, <vesgo>) o anche come

un’aspirata /h/ (LUZARDO, 2008: 53).

L’opposizione della pronuncia tra /s/ e /z/,14 ovvero tra una pronuncia sibilante e

l’altra “ciciante” è rappresentata, secondo gli studiosi, da una differenza di genere

abbastanza chiara, poiché i parlanti uomini produrrebbero un’elevata tensione

articolatoria durante l’atto enunciativo della /s/ (LAFIN, 2011: 26).

La caratteristica sicuramente più interessante è quella della non-

palatizzazione15 delle occlusive dentali /d/ e /t/ davanti la vocale /i/, tipica

esclusivamente del portoghese del Brasile, per la quale si producono forme come

[ʤia] al posto di [dia] o [ʧia] al posto di [tia]. Tale fenomeno, tuttavia, ha

cominciato a diffondersi geograficamente a partire dalla città di Rio de Janeiro

verso il sud del Paese, fino a penetrare, poco a poco, nelle zone di frontiera con il

nord dell’Uruguay.

La maggioranza della popolazione uruguagia fronteriza/fronteiriça, specie

quella appartenente ad una fascia di età piuttosto giovane e maggiormente incline

ai cambiamenti, ha cominciato ad utilizzare sempre di più il portoghese del Brasile,

avendo nozione della differenza sociale che lo distingue dal portoghese nativo,

considerato da molti parlanti bilingue «una devastación del español y del

portugués, una lengua fea, de gentes feas y de escaso interés intelectual y

cultural» (BEHARES, 20111: 95).

14 Si racconta che, in passato, un generale, subito dopo una battaglia nella frontiera tra il Rio Grande do Sul e l’Uruguay, aveva suggerito una curiosa soluzione per identificare se i prigionieri di guerra fossero ispano-uruguaiani o luso-brasiliani. Difatti, sarebbe bastato mostrare loro un pezzetto di pane (“pauzinho” in portoghese) e domandargli come si chiamava quell’oggetto. Coloro i quali avessero risposto pau/s/inho, venivano identificati come uruguaiani, gli altri che avrebbero risposto pau/z/inho erano, con buone probabilità, di nazionalità brasiliana (LAFIN, 2011: 26). 15 La palatizzazione è stata ampiamente documentata, anche in tempi non proprio recenti, in numerosi studi riguardanti il portoghese del Brasile. Antenor Nascentes, nel 1922, aveva osservato tale fenomeno nel portoghese del Rio de Janeiro; allo stesso modo Mattoso Câmara lo aveva documentato nel 1970, affermando, tuttavia, che a São Paulo la dentale “pura” era utilizzata più comunemente dai parlanti. L’espansione della palatizzazione si deve al dialetto carioca della città di Rio de Janeiro, considerato un dialetto prestigioso, specie tra i parlanti di quelle varianti del portoghese considerate inferiori. Tale varietà di portoghese – e con esso le peculiarità che lo contraddistinguono, come appunto la palatizzazione, – si è diffuso, successivamente, in tutto il Paese grazie alla Rede Globo, la maggiore delle reti televisive del Brasile situate a Rio de Janeiro (CARVALHO, 2004: 75).

105

A tendência a palatizar entre a classe média, os jovens, e as mulheres, é

representativa do fato de que estes grupos estão usando o valor simbólico desta

nova pronuncia para indexicar uma orientação urbana, diferente das tradições da

comunidade fronteiriça e rural. A classe trabalhadora, os idosos e os homens, que

geralmente recorrem a conexões e recursos locais, por outro lado, favorecem a

variante mais conservadora no dialeto local (CARVALHO, 2004: 79).

L’acquisizione di una delle più importanti caratteristiche del portoghese

brasiliano urbano è avvenuta, ad opinione di Ana Maria Carvalho, per mezzo della

televisione. La popolarità dei programmi televisivi e delle telenovelas brasiliane nel

nord dell’Uruguay ha permesso, difatti, sin dagli anni della dittatura uruguagia,16

un sorprendente incremento del portoghese del Brasile nella regione orientale e,

di conseguenza, la diffusione delle sue peculiarità:

Meu pai e minha mãe falam diferente que eu. Eles falam mais mesclado

E: Onde tu aprendeu a falar assim?

De escuta, de escuta. Trato de imitar mas às vezes é difícil.

E: Imitar de onde?

Da televisão (CARVALHO, 2007: 90).

A differenza dei giovani o delle donne, desiderosi di appartenere ad una

comunità considerata importante a livello sociale, politico e quindi linguistico; le

persone di una certa età, quelle appartenenti alla classe dei lavoratori e la

maggioranza degli uomini fronterizos/fronteiriços, si rifiutano di aderire ad una

cultura che non li rappresenta.

Questi continuano, ancora oggi, ad utilizzare il dialetto nativo con la pronuncia

tipica del Portunhol/Portuñol, per enfatizzare orgogliosamente la loro identità

culturale rurale e di frontiera:

16 Dal 1973 al 1985 il governo uruguaiano aveva imposto nel Paese una rigorosa censura politica che proibiva, fra le altre cose, di guardare la televisione brasiliana per facilitare l’estirparzione del portoghese dalle comunità fronterizas/fronteiriças. Sono numerose le pubblicazioni sul tema della repressione della lingua portoghese nelle riviste di Montevideo di questo periodo: nel 1975, ad esempio, «El Día» pubblica l’articolo “Cómo defender la pureza del idioma español”, nel 1978 «El País» divulga gli articoli intitolati “Aumentar las horas de español contra la penetración idiomática”, “El idioma y la desnacionalización”, “Niño fronterizos: es como se un hijo negara a sus padres”, “La penetración fronteriza y su incidencia idiomática” e, nel 1979, il giornale «La Mañana» esprime chiaramente l’appoggio alla campagna in difesa dell’idioma nazionale promossa intorno agli anni Settanta dal Ministero della Cultura dell’Uruguay attraverso la pubblicazione dell’editoriale ‘El Ministério de la Cultura y la defensa del idioma’ (CARVALHO, 20061: 155).

106

«No português da televisão há muito [ ʧ i], dizem ‘para [ʧi], [ʧira]. Aqui é [ti],

[tira]. Yo hablo portuñol, não falo [ʧi]» (IDEM: 92).

GRUPOS DE

FATORES

FATORES

PERCENTUAL

DE

PALATIZAÇÃO

TOTAL N DE

MARCADORES

FATOR

PESO

FATOR

ORDEM

IDADE

16-29

30-49

50-70

61% (625)

13% (82)

2% (12)

1017

637

594

0.91

0.29

0.05

1

GRUPO

SÓCIOECONÔMICO

CLASSE MÉDIA-MÉDIA CLASSE MÉDIA-BAIXA CLASSE TRABALHADORA

52% (401)

24% (165)

19% (153)

764

693

791

0.81

0.34

0.30

2

SEXO

FEMENINO

MASCULINO

35% (498)

29% (311)

1166

1082

0.60

0.39

3

Tabella 2. Fenomeno della palatizzazione a seconda dei fattori extralinguistici

In realtà, la mescolanza linguistica venutasi a creare nelle città uruguaiane-

brasiliane fronterizas/fronteiriças ha scatenato nell’animo dei parlanti uruguaiani

del Portunhol/Portuñol, un profondo conflitto di identità culturale, una sorta di lotta

interna tra la lealtà linguistica e la lealtà nazionale.

Il Portunhol/Portuñol è, sì, una varietà linguistica che non possiede una

grammatica o un dizionario, ma è una lingua particolarissima che come afferma

Luis Behares, «es de una hermosura natural imponderable, como la de toda

variedad lingüística escasamente legislada y maniatada por las gramáticas y los

diccionarios, y que la gente que la habla debe sentirse orgullosa de tenerla como

su madre» (BEHARES, 20111: 95).

107

III. 3. Musica e Letteratura fronterizas/fronteiriças

Nel corso dei secoli, il fenomeno linguistico del Portunhol/Portuñol si è fatto

spazio nei vari ambiti dell’arte brasiliana e uruguagia, in particolare è entrato a far

parte della musica e della letteratura definite fronterizas/fronteiriças.

Diverse manifestazioni artistiche in portunhol/portuñol, contraddistinte da

elementi “popolari”, hanno cominciato a circolare nel resto del mondo,

permettendo la conoscenza di un universo sociale e linguistico assolutamente

singolare:

Toda una serie de manifestaciones del mundo de la música y también de la

literatura, marcadas sin duda por el rasgo de “populares”, han pasado a realizarse

en un portuñol que resulta de la suma de determinados elementos de uno y otro

idioma. Nacido como un registro popular, espontáneo y fruto de las necesidades de

comunicación oral, este portuñol ha ido ganando adeptos, y con ello, consistencia

(GARCÍA, 2006: 558).

L’influenza della musica del Brasile, in particolare l’impatto ritmico della bossa

nova, sorta attorno agli anni ‘60 grazie a Vinicius de Moraes17 cominciò a sentirsi

ben presto in Uruguay e, di lì a poco tempo, cantautori, musicisti, scrittori ed

intellettuali si riunirono per lavorare ad un progetto che potremmo definire di

“neoculturazione” o “ibridazione culturale” (PEYORU, 2011: 158).

Nelle ultime decadi si è osservato il sorgere di una cultura regionale di frontiera,

la quale ha trovato nella musica una maniera singolare di esprimersi.

Considerata la vastità di nomi che potrebbero essere inclusi in una “lista” di

musicisti di frontiera ci limiteremo a menzionare pochi noti attuali cantautori nati

proprio nella frontiera uruguagio-brasiliana. Questi artisti trattano il tema della

frontiera da un punto di vista geografico, socio-storico, ma anche linguistico e

psicologico utilizzando il Portunhol/Portuñol come uno strumento in grado di

“raccontare” la bellezza e l’unicità della frontiera e, allo stesso tempo, denunciare,

la difficile realtà che la caratterizza.

17 Vinicius de Moraes (Rio de Janeiro, 1913 – ivi, 1980) è stato un noto giornalista, poeta, drammaturgo, diplomatico e musicista brasiliano. Alla fine degli anni ‘50 e gli inizi degli anni ‘60 del Novecento, Vinicius si trasferisce in Uruguay per lavorare nella Secretaria das Relações Exteriores. Sono anni in cui, insieme ad altri artisti, diffonde in Uruguay la bossa nova (http://www.viniciusdemoraes.com.br/pt-br/vida).

108

Uno di essi è il brasiliano Martím César, rappresentante del gruppo poetico-

musicale “Caminhos de Si”, con il quale si è presentato in diversi eventi sociali e

letterari del Rio Grande do Sul e dell’Uruguay.

È stato nominato ai premi Açorianos 2010 come migliore autore di testi musicali

del Rio Grande do Sul.18

Un altro compositore che merita di essere nominato è Chito de Mello,

cantautore doble-chapa di Rivera/Sant’Ana do Livramento che ha lanciato

numerosi dischi musicali tra i quali ricordiamo “Rompidioma”, “Pa’ toda la

Bagacera”, “Deja pa’ mí que soy cañoto”, “Soy del bagazo nomás”, “Véin para cá

que tinsinemo”, “Nauncunfunda Kukumbunda”, riscuotendo particolare successo.

Le sue canzoni sono da ritenersi una perfetta sintesi della logica grammaticale

della mescolanza tra il portoghese e lo spagnolo, vere e proprie “lettere di

presentazione” non solo di se stesso, ma anche della lingua che ha “ideato” per

cantare la frontiera.19

Significativa l’introduzione scritta in portunhol/portuñol del libro Soy del Bagazo

nomás:

Noso lenguaje entreverado téin muintas asesiones y conotasáun: Portuñol,

Espagués, DPU, Dialeto Fronterizo, Carimbaú, PU y ainda máis. Temus varias

ventaja na nosa idioma pués náun téin reglas (siscreve de cualqué yeito).20

Anch’egli protagonista del film-documentario A Linha Imaginária/La línea

imaginaria,21 insieme allo scrittore Aldyr Garcia Schlee (di Jaguarão/Río Branco), il

musicista uruguagio Ernesto Díaz e il poeta Fabián Severo, ha più volte affermato

che la sua lingua madre è il Portunhol/Portuñol:

18 È, inoltre, autore di cinque libri di poesia e racconti: Poemas ameríndios, Poemas do baú do tempo, Sob a luz de velas e Dez sonetos delirantes e Um Quixote sem cavalo (http://www.martimcesar.com.br/apresenta.htm). 19 Il cantautore ha anche creato un blog personale – chitodemello.blogspot.com.br – nel quale, di volta in volta, inserisce tutti i testi musicali per farli leggere al pubblico nazionale ed internazionale (Ali até quem está no Japão pode me ler e ouvir”, dice nel corso di un’intervista) (http://zh.clicrbs.com.br/rs/entretenimento/noticia/2014/09/artistas-usam-portunhol-da-fronteira-brasil-uruguai-para-criar-obras-liricas-e-singulares-4591649.html). 20 Si tratta del secondo libro di Chito de Mello. In precedenza aveva pubblicato Rompidioma (http://www.derivera.com.uy/?p=762). 21 Realizzato nel 2014 dai brasiliani di Pelotas Cíntia Langie e Rafael Andreazza, gli stessi produttori del lungometraggio “O Liberdade, sobre o bar homônimo de choro” (http://zh.clicrbs.com.br/rs/entretenimento/noticia/2014/09/artistas-usam-portunhol-da-fronteira-brasil-uruguai-para-criar-obras-liricas-e-singulares-4591649.html).

109

Yo nací nuna frontera donde se juntan dos pueblo/ Y se fala misturáo/ Con

sotaque brasilero/ Donde se cantan milongas/ Sambas, tangos y boleros/ Al

ómnibus llaman: bônde/ Y los duraznos son: péscos.

Per ultimo, ma non per questo meno importante, citiamo il giovane cantautore e

musicista uruguagio Ernesto Díaz (Artigas, 1973) il quale, in collaborazione con

Fabián Severo, organizza diversi spettacoli in giro per le città dell’Uruguay e del

Brasile, facendo conoscere al pubblico le canzoni e le poesie di frontiera.

Nel 2014 esce il suo primo disco da solista, Cualquier Uno, con composizioni

che abbracciano generi musicali come il candombe, la bossa nova, la musica

popolare e folcloristica e naturalmente canzoni in portunhol/portuñol, lingua che

utilizza con estrema naturalezza e senza particolari artifici, «de uma manera

incosciente», dice lo stesso cantautore.22

Nel corso di un’intervista, a proposito del Portunhol/Portuñol afferma:

[...] Cuando empezás a extrañar lo hacés en portuñol, en tu lengua materna, sea la

que sea. Es la lengua más urgente, la del dolor, del amor y del placer, de todo lo

más emergente, urgente. Cuando te pasa algo te angustías, llorás; ésa es tu lengua

materna [...] 23

Ernesto Díaz fa parte del quartetto Tercera Fundación (con Carlos Giráldez,

Lucía Gatti, y Sara Genta) dal 2007 e del Yair Trío (con Yair Flores e Ney Peraza)

dal 2002. Accompagna la band di Fernando Ulivi dal 2003 e prende parte con

Carlos Giráldez e Sara Genta al gruppo Trifulca dal 2004.

Notevole è la sua collaborazione con gli studiosi del portunhol/portuñol Luis

Ernesto Behares e Gerardo Holzmann, con i quali ha pubblicato il libro Na

fronteira nós fizemo assim (Universidad de la República – Grupo Montevideo,

Librería de la Facultad de Humanidades y Ciencias de la Educación, 2004), una

ricerca sulla letteratura e sulla lingua della frontiera uruguagio-brasiliana.

Sempre assieme all’uruguagio Behares ha scritto il libro Os som de nossa terra

(UNESCO, Universidad de la República – Grupo Montevideo, Montevideo, 1998).

22 Per maggiori informazioni si veda il sito http://www.lr21.com.uy/cultura/1216184-ernesto-diaz-fabian-severo-musica-poesia-artigas-frontera. 23 Intervista a Ernesto Díaz e Fabián Severo del 18/07/2014, Gauchos da fronteria, in http://ladiaria.com.uy/articulo/2014/7/gauchos-da-fronteira/.

110

Inoltre, è autore degli articoli “Productos artísticos-verbales fronterizos”

(Segundo Seminario sobre Educación y Lenguaje en Áreas de Frontera, UNESCO,

Universidad de la República – Grupo Montevideo, Montevideo, 1979) e

“Presentación a la cocina del interior”, La Cocina Uruguaya (Revista Placer –

Câmara de Representantes del Poder Legislativo, Montevideo, 2007).

Dicevamo poco prima che anche Ernesto Díaz è uno dei protagonisti del film-

documentario A Linha Imaginária/A línea imaginaria (2014), realizzato da Cíntia

Langie e Rafael Andreazza con l’intenzione di rendere manifesta una realtà socio-

culturale e linguistica poco conosciuta sia nel sud dell’Uruguay, che in altri stati del

Brasile.24

III. 3.1. Prosa e Versi in portunhol/portuñol

Gli scrittori contemporanei uruguagio-brasiliani che più fra tutti hanno trattato

con enfasi le tematiche della frontiera e hanno rimaneggiato – a volte visibilmente,

altre meno – il dialetto regionale nella loro narrativa sono il brasiliano Aldyr Garcia

Schlee25 e l’uruguagio Saúl Ibargoyen.

Aldyr Garcia Schlee è un grandissimo intellettuale che vanta una carriera anche

come docente universitario e giornalista. È stato redattore e grafico del giornale

Última Hora, ha fondato il giornale Gazeta Pelotense e ha vinto il premio Esso de

Reportagem nel 1963. Ha fondato la Faculdade de Jornalismo della Universidade

Católica de Pelotas, dalla quale è stato espulso durante la dittatura militare in

Brasile del 1964. Disegnatore professionista, è stato inoltre incaricato di ideare la

divisa della Nazionale di calcio brasiliana (verde-gialla), comunemente conosciuta

come “camiseta canarinho”. Numerosi sono stati i premi ricevuti per la sua

produzione letteraria, tra i quali ricordiamo il premio Bienal Nestlé de Literatura

Brasileira (vinto due volte) e il premio Açorianos de Literatura (ricevuto per cinque

volte).

24 Le informazioni riportate nel testo sono state estrapolate dalla pagina web personale di Ernesto Díaz, consultabile attraverso il link seguente http://cualquieruno.blogspot.it/. 25 Si veda il sito internet http://wp.ufpel.edu.br/congressoextensao/premios/.

111

Schlee ha pubblicato principalmente libri di racconti basati sulla storia comune

tra il Brasile e l’Uruguay, scritti prevalentemente in lingua portoghese.26

Nel leggere i racconti dei libri Contos de sempre (1983) e Uma terra só (1984),

il lettore riesce a percepire come i personaggi abbiano difficoltà ad esprimersi

attraverso una sola lingua, sostituendola con un linguaggio misto, tipico della

frontiera, e in Linha divisória (1998), persino il narratore decide di contaminare la

propria lingua – il portoghese – con elementi linguistici provenienti dallo spagnolo.

Saúl Ibargoyen, autore uruguaiano della frontiera Rivera/Sant’Ana do

Livramento, è stato un noto poeta e novellista. Dopo essersi trasferito in Messico,

ha cominciato ad interessarsi alla frontiera e “ripensarla” da un punto di vista

letterario, trasformando l’area rurale fronteriza/fronteiriça uruguagio-brasiliana nel

micro-universo della sua letteratura. Facendosi ispirare dall’ibridazione culturale e

linguistica presente nel territorio di frontiera, Ibargoyen ha dato vita ad un

complicato mondo immaginario – “Rivramento” – che simboleggia, a un tempo,

l’uruguaiana Rivera e la brasiliana Sant’Ana do Livramento (GRILLO, 1992: 22).

Il linguaggio letterario utilizzato nelle sue opere rileva la presenza di una

mescolanza di lingue che predilige l’ortografia dello spagnolo, ma inserisce forme

lessicali “miste” composte da elementi della lingua spagnola e quella portoghese,

come, per esempio: “berso” (= portoghese: berço, spagnolo cuna) “diñero” (=

portoghese: dinheiro, spagnolo: dinero), “fariña” (= portoghese: farinha, spagnolo:

harina) “paisiño” (= portoghese: paisinho, spagnolo: paisito) o “filio” (= portoghese:

filho, spagnolo: hijo) (GARCÍA, 2006: 562).

La presenza di combinazioni linguistiche tra l’idioma spagnolo e quello

portoghese o l’alternanza dei due codici linguistici all’interno delle opere letterarie

uruguagio-brasiliane non si può considerare un fatto nuovo.

È nel 1967 che la professoressa Brenda V. de López aveva già individuato

l’influenza dell’idioma luso-brasiliano nella letteratura uruguagia di autori “classici”

come Bartolomé Hidalgo, Eduardo Acevedo Díaz, Javier de Viana, Adolfo Montiel

Ballesteros, Carlos Reyels, Serafín J. García, Osiris Rodríguez Castillos, Juan

José Morosoli, Enrique Amorim, Agustín Ramón Bisio, José Monegal e Eliseo

Salvador Porta, i quali, seppure in maniera differente, hanno modellato il sistema

26 Nel corso di un’intervista lo scrittore dice che l’unico libro di racconti scritto in lingua spagnola è El día en que el Papa fue a Melo, pubblicato in Uruguay nel 1991 e redatto in portoghese solo nel 1999, anno in cui venne pubblicato in Brasile con il titolo O dia em que o Papa foi a Melo (http://zh.clicrbs.com.br/rs/entretenimento/noticia/2013/10/aldyr-garcia-schlee-trata-da-fronteira-imaginada-em-sua-literatura-na-setima-entrevista-da-serie-4314401.html).

112

fonetico e morfo-sintattico della lingua spagnola “sfruttando” la ricchezza lessicale

del vocabolario fronterizo/fronteiriço a loro disposizione (LÓPEZ, 1967: 18).

Si tratta, tuttavia, di autori che, come afferma Rosa Maria Grillo, usano il

Portunhol/Portuñol in maniera limitata, generalmente nelle parti dialogate del testo

narrativo o in quelle che servivano a caratterizzare quei personaggi di bassa

estrazione sociale, estranei al consenso civile urbano; quali i «gauchos,

campesionos y contrabandistas sobre todo» (GRILLO, 1992: 22).

L’unico poeta uruguagio, riverense di nascita, che ha cercato di scrivere versi

poetici nella propria lingua materna è stato Agustín Ramón Bisio, creatore della

cosiddetta “poesia fronteriza”. Rappresentativa, in tal senso, è la raccolta poetica

Brindis Agreste pubblicata nel 1947, nella quale si può vedere l’alternanza tra lo

spagnolo uruguagio e il dialetto locale. Anche Bisio utilizza un’ortografia variabile,

alterna, difatti, la pronuncia delle vocali e e o, con i e u, modifica spesso i termini

della lingua castigliana, scambia i suoni delle consonanti r e l e f – j / b – g,

contrae le preposizioni em e para alla maniera della lingua portoghese

(nu/no/nel/pra/pa), e, infine, inserisce nei suoi componimenti alcune espressioni

tipiche della lingua parlata, generando un linguaggio poetico assolutamente

innovativo nel panorama letterario uruguagio dell’epoca (LOPES, 2010-2011: 9).

Por supuesto que el portuñol no es nuevo. Es tan vieja su existencia como la de

una frontera entre Uruguay y Brasil que implica la permanente mezcla de culturas.

Lo que sí es nuevo, sin antecedentes en la literatura uruguaya, es que haya

escritores que opten enteramente por esta forma lingüística como vehículo de

expresión de sus obras.27

L’uso del Portunhol/Portuñol vero e proprio nella letteratura è apparso nel 1992,

con la pubblicazione della novella Mar Paraguayo dello scrittore brasiliano Wilson

Bueno, dove, peraltro, è contenuta una magnifica prefazione del famoso poeta

argentino Néstor Perlongher,28 intitolata Sopa Paraguaia, la quale, in un certo

senso, vuole definire la varietà linguistica di frontiera:

27 PIGNATARO, Jorge, 2011, Cuidado con deslumbrarnos por lo novedoso, in «Diario El Pueblo» http://www.diarioelpueblo.com.uy/titulares/cuidado-con-deslumbrarnos-por-lo-novedoso.html. 28 Nasce in Argentina nel 1949 (Avellaneda, Buenos Aires) e muore nel 1992 a São Paulo in Brasile, dove si era trasferito nel 1981. Pochi lo ricordano come acceso attivista politico nella lotta contro le discriminazioni all’omosessualità (essendo esso stesso una vittima di razzismo omosessuale) operante nel Frente de Liberación Homosexual durante gli anni ‘70 del Novecento (http://www.icarodigital.com.ar/numero6/eldamero/perlongher/perlongher.htm).

113

[...] Essa mistura tão imbricada não se estrutura como um código

predeterminado de significação; quase diríamos que ela não mantém fidelidade

exceto a seu próprio capricho, desvio ou erro. O efeito do portunhol é

imediatamente poético. Há entre as duas línguas um vacilo, uma tensão, uma

oscilação permanente: uma é o “erro” da outra, seu devir possível, incerto e

improvável. Um singular fascínio advém desse entrecruzamento de “desvios” (como

diria um lingüista preso à lei). Não há lei: há uma gramática, mas é uma gramática

sem lei; há uma certa ortografia, mas é uma ortografia errática: chuva e lluvia

(grafadas de ambas as maneiras) podem coexistir no mesmo parágrafo, só para

mencionar um dos incontáveis exemplos [...] (PERLONGHER, 1992: 8-9).

Il passo sopra riportato è particolarmente importante perché ci aiuta a

comprendere che ciascuno degli scrittori uruguagi o brasiliani

fronterizos/fronteiriços utilizzano il Portunhol/Portuñol a seconda dell’effetto

poetico che vogliono realizzare all’interno delle loro opere letterarie. Difatti, tale

dialetto o lingua, si caratterizza per la sua malleabilità, qualità che permette al

prosatore o al poeta di creare innumerevoli e libere trasposizioni linguistiche che,

solo raramente, rimangono fedeli alle grammatiche delle due lingue nazionali.

I processi di incorporazione e manipolazione linguistica che si attraversano

durante la ricerca di un metalinguaggio letterario variano, allora, a seconda della

sensibilità letteraria e musicale dell’autore:

As criações lexicais estilísticas, presentes, sobretudo, no texto literário, são, na

maioria das vezes, resultado da criatividade lexical do autor, que, conhecendo a

língua, tem a capacidade de brincar com as unidades lexicais e criar novas

unidades não atestadas (CARDOSO, 2010: 218).

La conoscenza di entrambe le lingue gli permette di assumere un doppio ruolo:

quello di autore-creatore, poiché, nel comporre il proprio testo letterario, gioca, per

così dire, con le unità lessicali del portoghese e dello spagnolo, originando nuove

espressioni linguistiche non attestate in nessuna delle lingue “base”.

È necessario ricordare che il portunhol/portuñol non è un dialetto parlato

esclusivamente nella frontiera tra il Brasile e l’Uruguay.

Il Brasile confina con altri Paesi di lingua spagnola, come l’Argentina o il

Paraguay, con i quali si sono venuti a creare diversi tipi di contatti sociali e

linguistici.

114

È proprio in territorio paraguaiano che si pubblica la prima edizione di un libro di

poesie in Portunhol/Portuñol intitolato Dá gusto andar desnudo por estas selvas:

Sonetos Salvajes (Travessa dos Editores – Curitiba, 2003), di Douglas Diegues.

Poeta, traduttore e critico letterario, Diegues nasce a Rio de Janeiro nel 1965 da

padre brasiliano e da madre bilingue in spagnolo e guaranì.

Si trasferisce da bambino a Ponta Porã (MS), città di frontiera tra il Brasile e il

Paraguay e, successivamente, vive in modo alternato nelle città di Asunción

(Paraguay) e Campo Grande (Brasile). Tra le sue opere ricordiamo in particolare

Uma Flor (Eloisa Cartonera – Buenos Aires, 2005); Rocio (Jakembo Editores –

Asunción, Paraguay, 2007); El Astronauta Paraguayo, (Yiyi Jambo – Asunción,

2007); La Camaleoa, (Yiyi Jambo – Asunción, 2008); DD erotikito salbaje, (Felicita

Cartonera – Asunción, 2009); Sonetokuera en alemán, portuñol salvaje y guarani

(Mburukujarami Kartonera – Luquelandia, Paraguay, 2009); Triplefrontera Dreams

(Katarina Kartonera, 2010); La felicidad versus el dia de San Nunka (Poemas

inéditos); Garbacho el rey de los perros paraguayos (relatos inéditos); El amor

non tiene dueño (Sonetos salvajes inéditos); Bichos Paraguayos (Mitologia

callejera robada nel Mercado Kuatro); Amantes perfectos (Relatos salvajes

inéditos); El domador de yakarés (Biografia klandé inventada del personaje mais

famoso de la literatura triple frontera); La última cumbia de la calle última

(Protonoubelle em bersos) e Maká Fútbol Club (Relatos fuboleros).29

Come aveva fatto lo scrittore Wilson Bueno, – al quale peraltro Diegues si ispira

– il poeta fronterizo/fronteiriço decide di andare oltre la ri-elaborazione linguistico-

letteraria del Portunhol/Portuñol di frontiera per inventare un altro nuovo sistema

linguistico. Questo tipo di portunhol/portuñol, definito da egli stesso “selvaggio”,

sorge da una mescolanza particolare tra il portoghese, lo spagnolo e la lingua

indigena guaranì, ma, nonostante sia il frutto di complessi e numerosi artifici

letterari, Diegues afferma che si tratta di una scelta linguistica legata alla forte

necessità di far rivivere la propria lingua materna.

È dunque l’urgente bisogno di ricordare il passato, di ritrovare le proprie radici e

far rivivere la lingua materna, che spinge il giovane Fabián Severo a “riscoprire” –

durante “l’esilio” nella capitale uruguagia – il portunhol/portuñol della terra natale.

29 Per informazioni sullo scrittore fronterizo/fronteiriço e per leggere alcuni bellissimi versi in “portunhol selvagem”, si consiglia di visitare il suo blog, consultabile alla pagina internet http://portunholselvagem.blogspot.como.br/.

115

Lontano da Artigas, il poeta sente la «necessità fisica e sentimentale» di

scrivere sulla frontiera, di placare la nostalgia della sua città, «delle strade, dei

suoni, degli aromi e delle persone» con le quali ha vissuto la sua infanzia.

Scrivere di tematiche e di personaggi fronterizos/fronteiriços lo ha quindi in un

certo senso obbligato ad utilizzare, o anche ricreare, una lingua capace di evocare

una realtà che lo spagnolo non avrebbe potuto fargli riscoprire:30

O portunhol é a minha verdadeira língua materna. É aquela que eu escutava

quando estava no ventre da minha mãe e aquela que aprendi a falar nos primeiros

anos de vida, antes da alfabetização formal. Quanto estou sentimental, uso o

portunhol. É o idioma mais urgente, o dos meus afetos.31

III. 4. Fabián Severo

Fabián Severo è nato in Uruguay, nella città fronteriza/fronteiriça di Artigas nel

1981. Prima di diventare docente di letteratura, ha studiato Lingua e Letteratura al

CERP (Centro Regional de Profesores del Norte) di Rivera.

Nel 2004 si è trasferito a Montevideo, capitale dell’Uruguay, dove risiede

attualmente per praticare la sua professione di docente.

In collaborazione con i suoi alunni ha pubblicato le raccolte poetiche Fruto del

desierto (Rumbo, 2008), Huellas de viento en la arena (Rumbo, 2009) e Los Soles

de la Tormenta (Rumbo, 2010), libri scritti dai suoi alunni e dichiarati di interesse

educativo dal Ministero dell’Educazione e della Cultura dell’Uruguay.

A partire dal 2010 è uno dei responsabili del Taller de Escritura della Asociación

General de Autores del Uruguay (AGADU) e anche assistente accademico nella

Facoltà di Lettere del progetto ProArte del Consejo Directivo Central de la

Administración Nacional de Educación Pública (ANEP) dell’Uruguay.

30 Intervista a Fabián Severo in https://www.youtube.com/watch?v=rlNk29JiAxE. 31 Si legga l’articolo Artistas usam portunhol da fronteria Brasil-Uruguai para criar obras líricas e singulares alla pagina internet http://zh.clicrbs.com.br/rs/entretenimento/noticia/2014/09/artistas-usam-portunhol-da-fronteira-brasil-uruguai-para-criar-obras-liricas-e-singulares-4591649.html.

116

Nello stesso anno vince il Premio Morosoli32 di bronzo nella categoria “Poesia”.

Pubblica diverse raccolte di poesie, tra le quali ricordiamo Labriegos del papel II

(Rumbo, 2005), Las voces del mundo III (Centro Hispanoamericano de Artes y

Letras, 2007), La fantástica casa de las palabras errantes (Rumbo, 2008) e

Príncipes del Talión. Muestra de escritores uruguayos (2009).

Nel 2005, Fabián Severo conosce a Montevideo il giovane compositore

artiguense Ernesto Diáz, con il quale stringe sin da subito una profonda amicizia.

Insieme ad altri artisti fronterizos/fronteiriços uruguaiani-brasiliani, decidono di

viaggiare per tutto il Paese e nelle città del Brasile, organizzando bellissimi

spettacoli poetico-musicali, nei quali si esibiscono entrambi facendo conoscere al

pubblico canzoni o poesie in portunhol/portuñol, spesse volte sconosciute alla

cultura artistico-letteraria del resto dell’Uruguay o del Brasile.

Nel 2011 prende parte alla Delegación Artística, riunitasi durante le “Jornadas

de la Cultura Uruguaya en Cuba” e, l’anno successivo, viene invitato come

scrittore ospite alla Fiera Internazionale del Libro di Cuba.

A La Habana, in occasione del Encuentro de Jóvenes Escritores de América

Latina y el Caribe, ha avuto modo di condividere con tantissimi altri giovani scrittori

il proprio universo poetico e il suo pensiero letterario, riflettendo, con essi, sulla

funzione del poeta oggigiorno e raccontando quindi della realtà geografica, socio-

storica e linguistica che lo ha invogliato a scrivere Poesia.

In tale occasione ha pronunciato un suggestivo intervento il quale, a nostro

avviso, può essere considerato come una vera e propria definizione ed

interpretazione della sua lingua materna e della sua poesia:

[...] Un día, quise escribir poemas sobre ciertos recuerdos, pero no encontraba el

sonido de mi calle. Los versos se partían como un trozo de tierra reseca, las

palabras quedaban lejos de la lluvia que mojaba aquellos días. Entonces descubrí,

que debería intentar recrear el sonido de la máquina de coser de mi madre o la

sonrisa con que el Caio me invitaba a remontar cometa. Y allí surgió eso parecido al

portuñol, palabras torcidas que traían el olor a humedad de la pared de mi cuarto.

Del idioma materno son las palabras del afecto, de la ternura, de las emociones, de

la pasión. No puedo recrear ni expresar mi pasado sin ellas.

32 Concesso dal 1995 dalla Fundación Lolita Rubial. Si realizza annualmente nel Teatro Lavalleja nella città di Mina. Dedicato allo scrittore uruguagio Juan José Morosoli, premia il supporto di scrittori, intellettuali e artisti alla cultura e letteratura uruguaiana (http://www.fundacionlolitarubial.org/marco1.html?pmintro.html).

117

Desde que escribí Noite nu Norte, un libro de poemas en portuñol, he pasado por

muchos interrogatorios que casi siempre comenzaban con la misma pregunta:

¿Por qué escribiste en portuñol?

No se por qué escribo en portuñol.

A veces estoy mirando el cielo a esa hora en que se vuelve confuso de color y

siento angustia de no saber quién soy. Entonces, tomo un lápiz y voy dibujando en

la hoja esas imágenes que vi vivir o alguien me contó que vivió, que viví o soñé,

porque uno también tiene derecho a soñar aunque no tenga con qué. Las imágenes

surgen como cuando era niño y calcaba figuras, yo solo las rescato de la memoria

afectiva que las registró en la lengua que me cuidó con amor. Ojalá pudiera

explicarle a la gente, que a veces, cuando estoy recordando aquella tristeza que

había en mi tierra, las palabras van saliendo una arriba de otra, todas entreveradas,

palabras torcidas. Hay días en que intento enderezarlas, pero no puedo, ellas

empiezan a perder su música, su sabor. Las palabras enderezadas son hueso sin

carne, muriendo en mis cuadernos. Pero otras veces, las dejo así, todas torcidas, y

entonces regreso a mis diez años y ando descalzo por la calle, corriendo con la

Gabriela o ayudando a la María a arrancar naranja. Las pocas veces que me pasa

eso, me siento menos triste, me olvido que afuera el mundo es tardecita. Por unos

segundos, vuelvo a tener los sueños que caminaban en el medio de las piedras sin

saber que las palabras tenían dueño, cuando creía que el mundo era todo mío [...]33

Nel 2014 ha poi pubblicato il libro NósOtros (Rumbo Editorial), una raccolta

poetica accompagnata da un CD-ROM, all’interno del quale il poeta stesso recita

diverse poesie.

Interessantissime sono le pubblicazioni dei libri di poesie in Portunhol/Portuñol

Noite nu Norte. Noche en el Norte. Poesía de la frontera34 (Rumbo Editorial,

Montevideo, 2011) – per il quale ha ricevuto una menzione speciale dal Ministero

dell’Educazione e della Cultura durante la cerimonia dei Premios Anuales de

Literatura nel 2012 – e Viento de Nadie (Rumbo Editorial, Montevideo, 2013).

33 Poesía de Frontera. Qué palabra es de dónde en la geografía de la Poesía, intervento pronunciato durante l’Encuentro de Jóvenes Escritore de América Latina y el Caribe nella Fiera Internazionale del Libro di Cuba (La Habana, 14 febbraio 2012) in http://fabiansevero.blogspot.it/search/label/Ponencias. 34 Si tratta della seconda edizione del libro, quella che comprende le poesie tradotte in lingua spagnola. La prima edizione risale all’anno 2010 e si intitola Noite nu Norte – Poemas en portuñol (Ediciones Del Rincón, Montevideo, 2010) (http://fabiansevero.blogspot.it/).

118

III. 4.1. Noite Nu Norte e Viento de Nadie

Noite nu Norte. Noche en el Norte. Poesía de la frontera (2011) e Viento de

Nadie (2013) sono i primi due libri di poesie del poeta Fabián Severo, pubblicati in

Uruguay e scritti in Portunhol/Portuñol.

Appaiono nel panorama letterario contemporaneo uruguagio inaspettatamente,

considerato che gli uruguaiani hanno da sempre letto narrativa e poesia in lingua

spagnola. Fabián Severo, nell’utilizzare una modalità dialettale non standardizzata

compie un vero e proprio atto di coraggio (PEYROU, 2011: 164) e stravolge quei

modelli estetico-stilistici, culturali, sociali e antropologici che caratterizzano la

civiltà e la cultura dell’Uruguay.

Difatti, Il vecchio mito del “Paese omogeneo” ha contribuito a negare l’esistenza

della cultura fronteriza/fronteiriça, ritenuta da molti barbara e antimoderna e

rifiutare, di conseguenza, il dialetto parlato nella frontiera (IDEM: 166). Le politiche

repressive del governo uruguaiano messe in atto durante la dittatura avevano

proibito l’uso del Portunhol/Portuñol nelle scuole e nei luoghi pubblici, ignorando

l’educazione nelle zone nord-est dello Sato (BROVETTO, 2010: 26).

È solo a partire dal 2003 che il governo promuove alcuni atti legislativi di

politiche linguistico-educative volti ad introdurre negli istituti scolastici delle città

uruguaiane-brasiliane di frontiera dei programmi educativi bilingue.

Nel 2008 viene promulgata, ad esempio, la Ley General de Educación N°

18.437,35 la quale riconosce la realtà plurilingue della società uruguagia ed accetta

il portoghese dell’Uruguay come altra lingua materna presente nel Paese.

Lo stesso anno viene introdotto il cosiddetto Programa de Educación Inicial y

Primaria che introduce nelle scuole pubbliche l’obbligo dell’insegnamento delle

lingue straniere, in particolare l’inglese e il portoghese – quest’ultima lingua

materna o seconda lingua per la maggioranza degli alunni delle località

fronterizas/fronteiriças e lingua straniera per tutti gli altri – anche nelle scuole di

frontiera con il Brasile:

35 Capitolo VII, Articolo 40 – 5): «La educación lingüística tendrá como propósito el desarrollo de las competencias comunicativas de las personas, el dominio de la lengua escrita, el respeto de las variedades lingüísticas, la reflexión sobre la lengua, la consideración de las diferentes lenguas maternas existentes en el país (español del Uruguay, portugués del Uruguay, lengua de señas uruguaya) y la formación plurilingüe a través de la enseñanza de segundas lenguas y lenguas extranjeras» (http://www.parlamento.gub.uy/leyes/AccesoTextoLey.asp?Ley=18437&Anchor=).

119

[...] La motivación para introducir la enseñanza del portugués (lengua materna para

algunos niños y segunda lengua para otros) en el contexto fronterizo, deriva en

primera instancia de la necesidad de reconocer y respetar la identidad lingüística de

la población escolar de esa zona, pero también – y no menos importante – de la

localización geográfica de nuestro país, que plantea la necesidad de comunicación

a nivel regional [...] 36

In tale prospettiva, le pubblicazioni delle poesie in Portunhol/Portuñol di Fabián

Severo potrebbero essere concepite come un tentativo da parte del poeta di

sottrarsi alla chiusura mentale volutamente creata dall’alta società dell’Uruguay e

fuggire da quelle logiche vincolanti del consumo e del mercato editoriale attuali.

Egli stesso afferma nel corso di un’intervista:

[…] porque lo que a vos te impone el sistema educativo es que el portuñol no es

uruguayo; es habla de pobre, malo e incorrecto [...]37

La scelta di utilizzare una lingua minoritaria come il dialetto portunhol/portuñol e

la volontà di affrontare tematiche legate alla Storia della frontiera, attraverso

l’inserimento di personaggi fronterizos/fronteiriços, portano il poeta a maturare

riflessioni, specie in Noite Nu Norte. Noche En El Norte, sul Portunhol/Portuñol da

egli stesso parlato:

A veces parece que lo que le otorga la categoría de idioma a un dialecto es la

escritura. En el portuñol no existe una gramática, un diccionario, hay que inovar,

improvisar.38

Fabián Severo è pienamente consapevole di scrivere in una modalità linguistica

priva di grammatica, dizionari o codificazioni ortografiche, di utilizzare dunque un

dialetto.

36 Ciò non significa che la varietà locale del portoghese venga utilizzata come lingua di istruzione. Tale compito spetta al portoghese “standard”: «En la frontera, las variedades estandarizadas del español y el portugués serán las lenguas de instrucción empleadas en las aulas escolares», in Programa de Educación Inicial y Primaria, ANEP (Administración Nacional de Educación Pública) – Consejo de Educación Primaria, 2008, p. 55. 37 Intervista al poeta Fabián Severo e al cantautore Ernesto Díaz, in http://ladiaria.com.uy/articulo/2014/7/gauchos-da-fronteira/. 38 Intervista a Fabián Severo in “El truco de la serpiente – Emisora del sur”: No soy de ningún lado, soy de la frontera http://fabiansevero.blogspot.it/search/label/Entrevistas.

120

Il Portunhol/Portuñol è, come egli stesso afferma, una lingua che si deve

sempre innovare, improvvisare, una lingua sin dueño, “senza padrone” recita la

poesia Nove del libro Noite Nu Norte:

Artigas teim uma lingua sin dueño.

In questo brevissimo verso si può vedere la presenza di elementi linguistici tipici

dello spagnolo come la preposizione “sin” e il sostantivo “dueño” ed altri della

lingua portoghese come il verbo ausiliare “teim” (< tem), l’articolo indeterminativo

“uma” e il sostantivo “lingua” (< língua).

Noite Nu Norte e Viento de Nadie sono concepiti in Portunhol/Portuñol; lo

afferma lo stesso poeta in Des (SEVERO, 20111: 28), componimento del primo libro

di poesie che esplicita la problematica relativa alla questione della rielaborazione

scritta del dialetto di frontiera:

Miña lingua le saca la lengua al disionario

baila um pagode ensima dus mapa

i fas com a túnica i a moña uma cometa

pra voar, livre i solta pelu seu.

Secondo il linguista Luis Behares, il poeta innesca, nel momento della scrittura

della sua lingua materna, una “lotta contro la parola”, contro cioè quella stessa

lingua che lo identifica, ma, allo stesso tempo, lo rende “diverso” dagli altri

compatrioti.

Singolare la presenza, all’interno della poesia, dei termini “túnica” (grembiule) e

“moña” (nastro), i quali simboleggiano in Uruguay l’istituzione scolastica.

Severo, tuttavia, intende inserire queste due parole spagnole per indicare che

nella frontiera uruguagio-brasiliana la scuola rappresenta principalmente

l’imposizione della lingua spagnola, diversa dalla lingua parlata nelle zone di

frontiera (BEHARES, 20111: 99).

Ecco, allora, che la lingua materna riappare nella memoria del poeta divenendo,

come afferma il cantautore Ernesto Díaz, «la lengua más urgente, la del dolor, del

amor y del placer, de todo lo más emergente, urgente».39

39 Intervista a Ernesto Díaz di Daniel Feix del 05/09/2014, Artistas usam portunhol da fronteira Brasil-Uruguai para criar obras líricas e singulares, consultabile alla pagina internet

121

Fabián Severo comprende l’importanza di mettere per iscritto quei ricordi del

passato e dell’infanzia vissuta in una piccola cittadina di frontiera:

Uno Vo iscrevé las lembransa pra no isquecé40

utilizzando una modalità linguistica che colma certe mancanze affettive e gli

permette di non dimenticare i momenti trascorsi ad Artigas, una «terra persa nel

Nord che neppure appare sulle cartine» geografiche:

Onse Artigas e uma terra pirdida nu Norte

qui noum sai nus mapa (SEVERO, 20111: 29).

Severo scrive Poesia nella sua lingua materna, servendosi di parole,

espressioni, suoni e ritmi dei propri affetti.

Ricostruisce quella lingua che, come ha affermato, «ascoltava quando ancora si

trovava dentro il ventre della madre e che ha imparato a parlare durante i suoi

primi anni di vita, ancora prima di frequentare la scuola»:

O portunhol é a minha verdadeira língua materna. É aquela que eu escutava

quando estava no ventre da minha mãe e aquela que aprendi a falar nos primeiros

anos de vida, antes da alfabetização formal. Quando estou sentimental, uso o

portunhol. É o idioma mais urgente, o dos meus afetos.41

Ogni verso del poeta sembra essere dettato dalla logica grammaticale di quella

che vogliamo definire “lingua del ricordo”:

http://zh.clicrbs.com.br/rs/entretenimento/noticia/2014/09/artistas-usam-portunhol-da-fronteira-brasil-uruguai-para-criar-obras-liricas-e-singulares-4591649.html. 40 In Noite Nu Norte. Noche En El Norte. Poesía de la Frontera (SEVERO, 20111: 19). 41 Intervista a Fabián Severo, Daniel Feix del 05/09/2014, Artistas usam portunhol da fronteira Brasil-Uruguai para criar obras líricas e singulares, consultabile all’indirizzo internet http://zh.clicrbs.com.br/rs/entretenimento/noticia/2014/09/artistas-usam-portunhol-da-fronteira-brasil-uruguai-para-criar-obras-liricas-e-singulares-4591649.html.

122

Asvés

toi lembrando la tristeza

que había en mi tierra

y las palabra van saliendo

una arriba de otra

intreveradas […]

Egli stesso dice che le parole cominciano ad uscire velocemente una dopo

l’altra, mescolate, entreveradas, quando il ricordo della tristezza che c’era nella

sua terra arriva a pulsare dolorosamente nel suo cuore insieme al tempo che

passa:

Hay días

que intento inderesar ellas

mas no puedo

impesan a perder el olor

a quedar seim vida

puro oso sin carne

morrendo en mis cuaderno.

Mas otras vez

yo las dejo asím

tortas

y intonce

volto a tener diez año

y ando descalzo na calle

correndo con la Gabriela

ayudando la María arrancar laranya

y me sinto menos triste [...]

e proprio grazie alle parole “torte” scritte sul quaderno, il passato acquista

nuovamente vita, ritorna a quei dieci anni trascorsi felici, quando ancora si poteva

correre scalzi per le strade e non ci si sentiva tanto tristi come adesso:

123

Misqueso que afuera el mundo es de tardisiña

Vuelvo a tener los sueño que tenía

cuando caminaba nu meio das pedra

sin saber que las palabras tenían dueño

y el mundo era todo mío.42

Il ricordo diventa quindi una lingua dei sentimenti, un dizionario di volti, suoni,

sensazioni e profumi che ricompaiono sulla carta del poeta in Portunhol/Portuñol.

L’originalità della poesia di Fabián Severo, a nostro avviso, consiste nell’aver

intuito una duplice dimensione del Portunhol/Portuñol: quella musicale, che

imprime ai versi un tono assolutamente singolare, vicinissimo al linguaggio parlato

dagli uruguagi-brasiliani, e quella della capacità di condensare le immagini del

passato in magnifiche idee scritte: Trinticuatro Mi madre falava mui bien, yo intendía.

Fabi andá faser los deber, yo fasía.

Fabi traseme meio litro de leite, yo trasía.

Desí pra doña Cora que amañá le pago, yo disía.

Deya iso gurí i yo deiyava.

Mas mi maestra no intendía.

Mandava cartas en mi caderno

todo con rojo (igualsito su cara) i asinava imbaiyo.

Mas mi madre no intendía.

Le iso pra mim ijo i yo leía.

Mas mi madre no intendía.

Qué fiseste meu fío, te dise que te portaras bien

i yo me portava.

A istoria se repitió por muintos mes.

Mi maestra iscrevía mas mi madre no intendía.

Mi maestra iscrevía mas mi madre no intendía. 42 Palabra Torta, poesia di Fabián Severo (http://fabiansevero.blogspot.it/).

124

Intonses serto día mi madre intendió i dise:

Meu fío, tu terás que deiyá la iscuela

i yo deiyé (SEVERO, 20111: 58).

L’idea della poesia Trinticuatro contenuta in Noite Nu Norte nasce proprio dal

ricordo di un piccolo aneddoto familiare. Il poeta racconta durante un’intervista:43

«mi primo volviendo de la escuela, con la túnica y la moña. Cuando él saluda, mi tía

le pregunta: ¿Por qué você está falando así? Y él le responde que la maestra le

había dicho que debía hablar de esa forma, que a partir de ahora ella le iba a

enseñar. “Pero tú no tein que falar como tua maestra, tú tein que falar como eu, que

soy tua mãe”. En ese momento, ella se da vuelta y me dice: “Fabi, vos que

estudiaste, decí pra él que tiene que hablar como yo, que soy su madre”. En ese

momento, me fui rápido de la clase y mientras llegaba a mi casa escribía el poema

mentalmente. [...] Y me di cuenta de que ahí había algo que sólo podía decir en

portuñol».

Nel vedere la zia insistere con il figlio sul modo in cui quest’ultimo avrebbe

dovuto parlare – non in spagnolo come la maestra, ma in portunhol/portuñol

«como eu, que soy tua mãe» – Fabián si rende conto, perciò, di dover scrivere

necessariamente in Portunhol/Portuñol.

Facile immaginare che la contrapposizione delle due figure femminili – la madre

e la maestra – rappresenta, all’interno del componimento, l’eterno “conflitto” tra la

lingua materna e la lingua ufficiale dell’Uruguay.44

Da un punto di vista linguistico, il componimento presenta elementi lessicali

innovativi, risultanti da una strana mescolanza tra le lingue spagnola e portoghese

che vogliono creare un particolare effetto poetico-musicale: intendí, deiyava,

imbaiyo, ijo, fío, intonses, iscuela.

Tali combinazioni mirano principalmente a riprodurre la fonetica, i suoni e la

pronuncia del vero linguaggio parlato nella frontiera: i-e-ntendía (< entender); fas-z-er (< fazer); los deber-es- (< deberes); tras-z-ía (< trazer); di-s-ía (< dizer);

mui(n)tos (< muitos); i-e-ntons(-c)e-s- (< entonces); s-c-erto (< certo); fí(lh)o (<

filho); i-e-scuela (< escuela).

43 Intervista a Fabián Severo in (http://ladiaria.com.uy/articulo/2014/7/gauchos-da-fronteira/). 44 La poesía de Fabián Severo, articolo del professore Uruguay Cortazzo (Universidade Federal de Pelotas) pubblicato in http://fabiansevero.blogspot.it/search/label/Artículos.

125

L’intenzione di Fabián Severo, tuttavia, non è quella di effettuare una traduzione

o una trascrizione della varietà linguistica presente nel nord dell’Uruguay.

In realtà, secondo Luis Behares, egli compie una “translitterazione”:

Transliterar es de otro orden, ciertamente paradojal: se apoya en la letra o en el

texto para hacer del habla un otro totalmente otro, pero sin embargo no puede dejar

de responder al mismo que lo origina. Tarea difícil que el verdadero hablante acaba

haciendo con su lengua materna sin notarlo, a pesar de la enorme dificultad, y que

para el que intenta transliterar una lengua extranjera aunque conocida es una tarea

agobiante y angustiante (BEHARES, 20111: 97).

In tal senso, il Portunhol/Portuñol diverrà nelle mani del poeta nuova materia da

plasmare, con la quale potrà ottenere il ritmo e l’armonia musicale di quella lingua

materna “riscoperta” grazie alla memoria e al riaffiorare dei ricordi del Fabián

Severo bambino.

Profondissimo il significato contenuto negli ultimi tre versi della poesia

Trinticuatro: la scelta del bambino di abbandonare la scuola corrisponderebbe,

simbolicamente, alla lealtà che il poeta decide di mantenere alla lingua d’origine e

alla comunità linguistica alla quale appartiene.

Nella poesia Tresi dichiara poi fedeltà alla sua identità di fronterizo/fronteiriço:

Antes,

eu quiría ser uruguaio

agora

quiero ser daquí (SEVERO, 20111: 31).

Si delinea un altro importante argomento che attraversa l’intera lirica di Severo:

la questione dell’identità fronteriza/fronteiriça e della frontiera, tema «che lo

preoccupa e lo appassiona allo stesso tempo».45

Bellissima e significativa la risposta del poeta alla domanda “Che significa per

Lei la frontiera?”, che gli abbiamo rivolto durante la nostra intervista:

45 Las fronteras de la palabra. Fabián Severo, el poeta uruguayo que escribe en portuñol, intervista pubblicata ne «El Observador» il 21/09/2012 (http://www.elobservador.com.uy/noticia/260632/las-fronteras-de-la-palabra/).

126

Yo no sé qué es la frontera. Tal vez, la frontera sea varios lugares; una forma de

mirar; un lugar donde los mapas se pegan o se despegan; un estuario, donde el

agua dulce del río se mezcla con el agua salada del mar, allí crecen especies que

no crecen en otros lugares, los fronterizos somos esas especies. Tal vez la frontera

no sea.

Nosotros, los “frontera”, vemos que los conceptos se desarman, que lo que algunos

llaman “patria”, “país”, “nación”, “idioma”, “cultura”, no significa lo mismo para

nosotros. Como dice el poeta. “si me preguntan ¿qué es mi patria?, diré no sé”.

Los “frontera” somos de acá y de allá. A veces, no sabemos de dónde somos.

Comemos arroz de Brasil con carne uruguaya, y nuestros platos son una mezcla.

Bailamos, amamos, hablamos, sentimos fronterizamente.

Quisiera que mi poesía fuera fronteriza, en el fondo y en la forma, que mi versión

escrita del portuñol solo adquiriera validez porque escribo sobre temas fronterizos,

con personajes y escenarios, ritmos y tonos fronterizos. No quisiera que mi poesía

llamara la atención solo por la forma como fue escrita, quisiera que esa forma fuera

la adecuada para comunicar. La Literatura es una forma de comunicarnos.

La frontiera nord di Artigas/Quaraí, afferma il nostro poeta, non corrisponde ad

una patria, un paese, una nazione, un idioma o una cultura.

Essa viene presentata al lettore come l’entrata in una dimensione spazio-

temporale mitologica, un luogo di possibilità infinite, uno spazio senza limiti e

confini, dove le diversità con “l’altro” si annullano completamente («comemos

arroz de Brasil con carne uruguaya»); distruggendo l’identità imposta dalla politica

dei governi nazionali e affermando una nuova identità, quella dei «los “frontera”»,

“Los Se Ninguéim”, come recita la poesia Treis:

Noum sei como será nas terra sivilisada

mas ein Artigas

viven los que tienen apeyido.

Los Se Ninguéim

como eu

semo da frontera

neim daquí neim dalí

no es noso u suelo que pisamo

neim a lingua que falemo (SEVERO, 20111: 21).

127

Il poeta ci pone di fronte ad un luogo indefinito e abbandonato, una specie di

limbo, direbbe il poeta uruguagio Javier Etchemendi (ETCHEMENDI, 2011: 13).

Artigas e uma estasión abandonada

a esperansa ditrás de um trein que no regresa

uma ruta que se perde rumbo ao sur (SEVERO, 20111: 20)

Una realtà che, specie nel libro Viento de Nadie, è immobile, statica: Este

pueblo e uma siesta nu meio das pedra [..]; Nada cambió pur aquí/ Desde que

sinventó el ombre/ las caye siguen intrando nas casa [..],46 completamente sola:

1 Queim noum cuñese a frontera

no sabe lo ques la soledá (SEVERO, 2013: 15).

Nel leggere questi versi, il lettore potrebbe pensare che la solitudine e la

tristezza siano gli unici sentimenti a “regnare” nella poesia di Fabián Severo e

nella frontiera, e senza dubbio, ciò è in parte vero.

Il poeta ci racconta una realtà quotidiana dura, difficile, tragica, infelice, vista e

vissuta personalmente:

30 Eu vi tristeza nus plato

fome nus ojo

soledá en las boca.

Cuñesí us que ficárum

i soñé los que se fueron.

Descubrí que la jente

morre na vereda

mordendo um pastito

resein arrancado (IDEM: 44).

46 I versi delle poesie citate sono contenute nel libro Viento de Nadie (2013). Si tratta rispettivamente della 5 (p.19) e la 7 (p.21).

128

Entrambi i libri raccontano di un’infanzia umile, trascorsa in un piccolo quartiere

di frontiera molto povero, dove la sofferenza, i patimenti, la fame e la miseria

caratterizzano la vita della gente fronteriza/fronteiriça, sempre pronta ad affrontare

i problemi con gesti semplici di solidarietà che ci emozionano:

Vintioito Antes, fas mucho tiempo

los visiño se ayudavan.

Como la ves aqueya

que se prendió fuego la casa del Correa.

Todos ayudamo sacá las cosa pra la vereda

mientras la Mama yorava i gritava

se batendo nu peito.

Dispós todos ayudemo limpá

i cada um fue trasendo alguna coisa.

Asta nu bar du Carlito fiserum rifa.

Otra ves

cuando el Julio teve quir se operá in Montivideu

i la María pasó como un mes solita con todo us gurí

los visiño fiserum partido de futebol

i la entrada era cualqué cosa que la yente pudese da.

Yo me lembro

la tarde que yegó el carro de cabayo del Lula

carregadiño de cumida i de ropa.

Los ombre descarregavan

i las mujer ayudavan a ordená las cosa.

Asvés yo volto pasá nu bairro

mas ya noum e como antes

agora no anda nadie nas vereda

i as porta sempre están feyada (SEVERO, 20111: 48).

Quello che più ci sorprende è la capacità di Fabián Severo di descrivere la

tristezza e le difficoltà della frontiera con la giusta dose di ironia:

129

Trintiuno A mim me gustava los cumpleaño

aunque casi nunca pudía i.

Asvés no tiña ropa, asvés no tenía regalo.

Cuando nos pudía comprá regalo

nos comprava bombacha, calsonsiyo o meia.

Si el cumpleaño era de niña

i nos noum tiña diñeiro

nos agarrava alguna joya de las madre.

Una vuelta pasó algo mui ingrasado.

El Caio avía yevado una bombaya

de regalo pra Gabriela

i cuando nos istava jugando la escondida

el se emburró porque avían feito trampa

intonses entró nu cuarto

i sacó de ensima da cama

donde istavan todos los regalo

la primera bombacha que encontró

i se foi.

Si pudíamo ir

nos aproveitava pra cumé.

A mi me gustava los posiyo con ensalada rusa

i los sánguche

mas iso sempre era lo que menos avía

lo que mas avía era gayetita salada con maionese

i un pedaso de morrón insima.

Nos nunca iva

mas cuando pudía

era uma fiesta (SEVERO, 20111: 52-53).

130

In questa poesia vi è la presenza di un linguaggio assolutamente peculiare che

incorpora elementi tipici dello spagnolo rioplatense, come bombacha47 (mutande)

e del portoghese, ad esempio la parola meia (calze). Evidente il fenomeno della

vocalizzazione (o yeísmo): calsonsiyo, joya, bombaya, posiyo, gayetita, quello

della non concordanza tra genere e numero nei sostantivi e nelle forme verbali: los

cumpleaño, nos pudía, nos comprava, nos noum tiña, nos agarrava, de las madre,

nos istava jugando, los regalo, nos aproveitava, los posiyo, los sánguche, nos

nunca iva e la creazione di parole che simulano la pronuncia del portoghese del

Brasile: asvés al posto di “as vezes”, noum per dire “não”, ingrasado invece di

“engraçado”.

Severo mostra, inoltre, al lettore una grandissima sensibilità poetica nel modo in

cui riesce ad affrontare il tema della natura, in particolar modo, l’elemento

dell’acqua, capace, a un tempo, di generare e di distruggere la vita.

In Viento de Nadie si scorge una costante contrapposizione tra il “mare” e il

“fiume”, che fa pensare, metaforicamente, alla diversità esistente tra gli abitanti

dell’Uruguay del sud, o della capitale, e quelli che abitano la frontiera nord

uruguagio-brasiliana: 12 Nu meu río noum yega el mar.

Deve ser que disen quel agua del es dulse

cosa que noum creio

purque desde niño yo intré na picada

i para mi

la agua tiene gusto de agua.

Dulse son los chicholo48

i la rapadura de chala49 que repuna.

Tein yente que cuñes el mar

i dis cosas bunita

duns barco que se vaum atrás del sol.

47 Bombacha: «Prenda interior femenina que cubre desde la cintura hasta el arranque de las piernas, con aberturas para el paso de estas» (http://lema.rae.es/damer/?key=bombacha). 48 Chicholo: «Dulce de guayaba o de melaza de azúcar de caña, envuelto en hojas de maíz» (http://lema.rae.es/damer/?key=chicholo). 49 Chala: «Conjunto de hojas que envuelven la mazorca de maíz» (http://lema.rae.es/damer/?key=chala).

131

Este río no mueve barco

i u sol sempre istá lejos

purque si se aserca

la agua desaparece (SEVERO, 2013: 26).

Durante lo studio e l’analisi delle poesia ci siamo interrogati sul perché il poeta

oppone l’acqua dolce del fiume all’acqua salata del mare, e lo stesso Fabián

Severo ci ha risposto così:

En la frontera de Viento de Nadie no está el mar, está el río, el arroyo, el río que se

va a morir en el mar, donde viven los barcos, pero para los personajes de ese libro,

el río, su agua, es muy importante.

Tal vez, su río no tenga la grandeza del mar y no sea tan venerado, pero para ellos

es muy importante. Hay una canción que dice: “meu rio é mas mar que o mar”.

Il fiume, dunque, rappresenta la ricchezza della frontiera, la fortuna dell’essere

un individuo fronterizo/fronteiriço. Tale fortuna, tuttavia, è stata vista come un

gravissimo problema da molta gente, la quale, stanca della povertà della frontiera,

ha deciso di andare via per sempre da quel posto dimenticato da Dio (Um e felís

con tan poca cosa i neim iso Dios da para uno)50 e senza speranza, tentando di

trovare la fortuna economica e la felicità a Montevideo, come “Silvana” – «que se

foi pra Montevideu/ istudiá pra maestra/ um día yo crusé con eya nel sentro/ ela

me miró i yo levanté la maun pra saludá/ i eya deu volta la cara i se foi» (SEVERO,

20111: 88).

Ma, per Fabián Severo è impossibile ignorare il passato, significherebbe

sembrare un pozzo pieno di terra:

15 Yunto i isparramo recuerdo.

Un ombre seim memoria

e um poso yeio de tierra

um aljibe muerto de sé

vasío du ruido da agua (SEVERO, 2013: 29).

50 Poesia 29, p. 43 di Viento de Nadie (2013).

132

Il poeta non vuole dimenticare le proprie origini, cancellare gli affetti, le

emozioni, i dispiaceri che lo hanno accompagnato fino all’età adulta.

Il modo che ha di pensare, di sentire, di parlare e creare lo deve

esclusivamente al proprio passato, e ci dice:

Personalmente, no puedo olvidar de donde vengo, mi infancia humilde en un barrio

humilde de Artigas, la casa por terminar, los vecinos casi siempre en la pobreza,

esperando el milagro, los sonidos que escuchaba de mi madre o de mi abuela...

Siento orgullo de haber nacido y vivido allí.

La frontera me dio una manera de pensar y sentir, de hablar, de crear. Soy de

determinada forma porque viví lo que viví, si lo olvido, puedo correr el riesgo de no

saber quién soy.

Privandoci dei ricordi nessuno di noi sarebbe la persona che oggi è, e senza la

memoria di quel passato vissuto nella frontiera, Fabián Severo pensa di correre

realmente il rischio di non sapere più chi egli sia.

Ovunque noi andiamo, qualunque cosa facciamo e qualsiasi posto abitiamo,

non possiamo mai dimenticare da dove veniamo, saremo sempre costretti a

sentire una fortissima nostalgia delle nostre radici.

31 Tua terra vai cuntigo

por mas que tu cruse u puente

buscando otra sombra.

Ayá van tar te lembrando

con saudade de raís (SEVERO, 2013: 45).

133

CONCLUSÃO

A presença da língua portuguesa no Uruguai resulta de um longo processo de

ocupação territorial e linguística por parte dos luso-brasileiros na época da

colonização. A ocupação das zonas fronteiriças do Uruguai obedecia, de fato, às

intenções expansionistas da Coroa Portuguesa em meados do século XVIII, anos

nos quais os soberanos da Península Ibérica decidiram instalar ao longo da

fronteira Brasil-Uruguai numerosas guarnições militares e distribuir porções de

terra aos portugueses, assim como aos brasileiros, para garantir o predomínio

comercial nas águas do bacia do Plata.

Em seguida, o Império Espanhol, apercebendo-se da ameaça de Portugal e da

possibilidade de perder os territórios conquistados no Novo Mondo, obrigou-o a

sancionar o Tratado de São Ildefonso, em 1777.

Este, decretou a formação de uma zona neutral, denominada “Campos

Neutrais”, constituída por grandes espaços vazios da região oriental os quais,

imediatamente, foram sendo invadidos por ambas as populações, favorecendo o

contrabando e as atividades ilícitas. Deste modo, muitos brasileiros, atraídos pela

riqueza das terras orientais e pela abundância de gado nativo ali existente,

estabeleceram-se definitivamente no interior do Uruguai, em quase trezentos

quilómetros de extensão.

Nessas regiões, é presente a ideia de que fronteiras e sujeitos assumem

significado ao moverem-se entre uma língua e outra, criando um espaço de

contato intenso entre a língua portuguesa do Brasil e a espanhola rioplatense.

A comprovação da existência e da difusão do Português e dos seus dialetos no

norte da Banda Oriental foi delineada pelo linguista uruguaio José Pedro Rona em

1965, quando publicou o livro El dialecto fronterizo del norte del Uruguay.

No seu estudo, o linguista confirmou que as zonas uruguaianas de contato com

o Brasil foram fortemente afetadas pela presença linguística dos portugueses, em

um primeiro momento, e logo, dos brasileiros.

134

O intenso contato entre as línguas portuguesa e espanhola originou um dialeto

misto ao qual designou “dialecto fronterizo”, de base portuguesa, mas com

influências do castelhano.

A designação Dialecto Fronterizo é o ponto de partida para os demais termos

atribuídos à mistura da línguas portuguesa e espanhola.

Se perguntamos aos falantes fronterizos quais línguas se falam na fronteira,

provavelmente, eles vão atribuir diferentes nomes: brasileiro, bayano, carimbão,

estraga-idioma, misturado, entreverado, entre outros.

Nos anos sessenta do século vinte, o linguista americano Federico Hensey,

concentrou os seus estudos, diferentemente de Rona, nas comunidades urbanas

fronteiriças brasileiras-uruguaias, corroborando a presença de bilinguismo em

território uruguaiano. Portanto, no norte do Uruguai haverá falantes bilíngues do

português do Uruguai e do espanhol regional, o uruguaio, e falantes monolíngues

de uma mistura de línguas, a qual Hensey descreve como “interlecto”, utilizada

principalmente nas áreas rurais e nas periferias urbanas.

Representando uma ameaça de “corrução” da língua espanhola, a presença

massiva da língua portuguesa e dos dialetos com base portuguesa praticados no

norte do Uruguai foi tratada, desde a implantação do idioma castelhano como

língua oficial do Estado, qual fosse um problema para extirpar. O interessante é

que para o Uruguai o português tem sido língua hegemônica antes do processo

de escolarização, enquanto o espanhol era língua minoritária.

Em 2007, a professora Ana Maria Carvalho, ao pesquisar a atitude linguística

dos uruguaios de Rivera, decidiu nomear esse dialeto “português uruguaio”.

Segundo os seus estudos, a língua portuguesa falada pelos bilíngues uruguaios

que vivem nas áreas urbanizadas do país é uma variante dialetal do português

brasileiro urbano, enquanto o português “mesclado”, falado nas periferias e nos

contornos rurais das cidades, corresponde ao dialeto fronteiriço de base

portuguesa teorizado por Rona.

Existem, então, duas variantes de uma única língua que, no caso específico da

fronteira entre o Rio Grande do Sul e o Uruguai, corresponde ao Português.

Devido a compresença de múltiplas variedades linguísticas do mesmo dialeto,

os estudiosos uruguaios Adolfo Elizaincín, Luis Behares e Graciela Barrios, no

livro Nos falemo brasilero – Dialectos portugueses en Uruguay (1987) – optaram

pela denominação “dialectos portugueses del Uruguay”, ou DPU(S).

135

Além dessas designações tipicamente académicas, conhece-se também o

termo portunhol/portuñol, designação por nós escolhida para a realização deste

estudo. A dificuldade em definir a língua como portunhol/portuñol reside nos

sentidos que foram elaborados, ao longo dos séculos, pelo senso comum.

De fato, a maioria das pessoas, sabem que o termo se usa comummente para

referir-se ao “mal falar” de uma das línguas que constitui a língua mista.

Esse conceito remete para ao processo de adquisição do idioma castelhano

por parte dos falantes lusófonos, uma situação intermediária, conhecida como

“interlíngua”, na qual os estudantes misturam as línguas a nível gramatical,

comportando transformações no discurso proferido pelo sujeito enunciador.

Porém, o portunhol/portuñol define também o fenómeno linguístico de contato

que se origina na fronteira Brasil-Uruguai e que, no caso uruguaio, representa

uma prática linguística instituída, uma espécie de terceira língua, utilizada –

antigamente, como agora – em todos os âmbitos artísticos, sobretudo – como

vimos nos capítulos da nossa tese – na música e na literatura.

Escritores, inteletuais, músicos e poetas de fronteira parecem querer reinvidicar

uma linguagem e uma cultura absolutamente única no panorama artístico e

literário atual. Eles misturam temas, sentimentos e “sabores” tanto brasileiros,

quanto uruguaios para expressar e descrever uma realidade sociolinguística

absolutamente “entreverada”.

Entre os vários autores que usam o portunhol/portuñol, o nosso estudo incidiu

na obra poética do jovem uruguaio Fabián Severo – autor de dois livros de

poemas escritos, ou ainda melhor, “concebidos” em portunhol/portuñol, trata-se

de Noite Nu Norte (2011) e Viento de Nadie (2013).

O poeta utiliza para escrever os seus versos uma variedade dialetal que não é

normatizada ou seja, uma língua que não possui gramáticas ou dicionários, mas

que lhe permite representar, ao mesmo tempo, a história da região onde ele viveu

e a sua história pessoal, caracterizada pela fome e miséria.

Ao analisar os seus poemas, observamos que a ortografia é variável, já que o

autor emprega a transcrição ortográfica que mais lhe agrada, às vezes mais

ligada ao sistema linguístico espanhol, outras mais relacionada com a língua

portuguesa, da qual tenta reproduzir a fonética.

136

O importante é sublinhar que Fabián Severo nunca pensou em redigir um

manifesto ou suportar uma defensa do portunhol/portuñol, a sua intenção é

unicamente, como ele mesmo afirma em uma resposta da magnífica entrevista

que nos deu, escrever Poesia.

Trata-se de uma poesia fronteiriça «no fundo e na forma», a qual apresenta

temas, personagens e cenários fronteiriços que adquirem significado só se

escritos e descritos em portunhol/portuñol.

O poeta tenta passar a escrito os sons e os silêncios que ouve na sua cabeça,

trabalha sobre a musicalidade e o significado das palavras, originando uma

fronteira de palavras que naceram para viver juntas.

137

INTERVISTA A FABIÁN SEVERO (27/03/2015)

1) O que significa para si a fronteira? É um termo que pode denominar a sua poesia?

Yo no sé qué es la frontera. Tal vez, la frontera sea varios lugares; una

forma de mirar; un lugar donde los mapas se pegan o se despegan; un

estuario, donde el agua dulce del río se mezcla con el agua salada del mar,

allí crecen especies que no crecen en otros lugares, los fronterizos somos

esas especies. Tal vez la frontera no sea.

Nosotros, los “frontera”, vemos que los conceptos se desarman, que lo que

algunos llaman “patria”, “país”, “nación”, “idioma”, “cultura”, no significa lo

mismo para nosotros. Como dice el poeta. “si me preguntan ¿qué es mi

patria?, diré no sé”.

Los “frontera” somos de acá y de allá. A veces, no sabemos de dónde

somos. Comemos arroz de Brasil con carne uruguaya, y nuestros platos son

una mezcla. Bailamos, amamos, hablamos, sentimos fronterizamente.

Quisiera que mi poesía fuera fronteriza, en el fondo y en la forma, que mi

versión escrita del portuñol solo adquiriera validez porque escribo sobre

temas fronterizos, con personajes y escenarios, ritmos y tonos fronterizos.

No quisiera que mi poesía llamara la atención solo por la forma como fue

escrita, quisiera que esa forma fuera la adecuada para comunicar. La

Literatura es una forma de comunicarnos.

138

2) Noite Nu Norte e Viento de Nadie parecem mostrar a fronteira, em particular a cidade de Artigas, como uma região abandonada (“Artigas e uma estasión abandonada”; “Artigas e uma terra pirdida nu Norte qui noum sai nus mapa”) imóvel, estática (“Artigas ta feyado con candado”; “Artigas e dumingo”; “Este pueblo e uma siesta nu meio das pedra”), sem Deus (“Us visiño se arrodiyan atrás de Dios/ mas el noum ispera a nadies.”; “Um e felís con tan poca cosa/ i neim iso/ Dios da para uno”), sem futuro (“... alguien dis que veim u futuro/ mas el polvo tapa las palabra”) e sem esperança (“... A isperansa e uma orasión prus dumingo/ i u lunes nunca yega”). Porém, ao mesmo tempo, a fronteira é única no tempo e no espaço, a entrada em um mundo mitológico, diria Javier Etchemendi. Foi uma intenção consciente?

Existe un objetivo consciente en la creación del universo de los dos libros.

Desde formatos y tonos distintos, Noite Nu Norte más narrativo, Viento de

Nadie más lírico. Cierta temática se repite, pero cada libro, tiene una

columna vertebral distinta.

3) Sendo o portunhol/portuñol uma língua “construída” e ao mesmo tempo “intuída”, como se realiza (ou não realiza) a escolha das palavras em uruguaiano e em brasileiro presentes na sua poesia? Essa escolha está vinculada à linguagem poética ou aos conteúdos que nela se exprimem?

Cuando recuerdo, cuando siento, cuando pienso, lo hago en portuñol.

Luego, hago un intento por pasar al papel esos sonidos y silencios que

escucho en mi cabeza, y allí experimento con mi versión escrita del portuñol.

Trabajo sobre la musicalidad y el significado de las palabras, las voy

combinando para que adquieran el tono acorde a la temática para que el

libro resulte verosímil. El portuñol me brinda mucha musicalidad pero el

español me brinda variedad de léxico. El trabajo del escritor es combinar

palabras, encontrar las palabras que nacieron para vivir juntas.

139

4) A sua escrita em “língua materna” está associada a uma qualquer reivindicação do ponto de vista cultural ou é simplesmente expressão cultural?

El portuñol o DPU o Portugués del Uruguay no necesita que los artistas lo

reivindiquen. Es al revés, los artistas lo necesitamos para poder existir.

Escribo en portuñol porque es la versión escrita que más se parece a los

sonidos que escucho en mi cabeza. No es mi intención hacer un manifiesto

ni una defensa del portuñol, mi objetivo es escribir poesía, independiente de

la forma que utilizo. Quisiera que el lector descubriera algún verso que

genere alguna sensación en él: alegría, tristeza, saudade, etc.

No puedo negar que existe un grupo de poetas/académicos/críticos que se

oponen a que construya poemas en mi lengua materna, pero considero que

eso es normal. Siempre que alguien experimenta formas o temáticas que se

salen de la norma o de lo común, se genera cierta resistencia. Si tuviera que

defender algo, defendería mi derecho a crear en mi lengua materna, luego el

tiempo dirá si logré o no, crear una poesía que merezca existir.

Si la poesía es buena, no importa en qué idioma esté escrita... si en

portugués o español o espanglés o portuñol...

5) O que poderá ser feito a nível político, social e cultural para que a língua e a cultura fronteriça possam sobreviver aos preconceitos?

El centralismo de los países hace que las fronteras sean, muchas veces

ignoradas. Brasil no es solo Río de Janeiro, y Uruguay no es solamente

Montevideo. El concepto de Estado/Nación, tan defendido por cierta clase

política/académica/cultural/artística es muy cuestionado, diríamos que no se

adapta a la realidad de las regiones. Brasil es varios países, podríamos decir

que es un país imposible, un país que no es. Con Uruguay pasa lo mismo, a

pesar de ser más pequeño.

140

6) Noite Nu Norte dá-nos a impressão de ser concebido como um mini-diário, onde o sujeito lírico percorre a sua meninice apresentando aos leitores temas tão difíceis e profundos, quais a identidade, a solidão, a fome, a miséria, a dor e a dignidade do ser humano, entre outros. Como foi construir ou redescobrir uma personagem que conseguiu ficar alegre – “taum que um se enye de tristeza” – apesar da realidade dolorosa que vivia?

El personaje recuerda y describe su infancia. Procuré recrear la voz de un

niño para que no cayera en el panfleto. Intenté combinar lo trágico y lo

cómico, para que recordara sus desgracias con humor y ternura, como lo

haría un niño. Creo que, en algunos poemas, he logrado mi objetivo, algunos

se aproximan a lo que me hubiera gustado escribir.

7) Ao ler os poemas conteúdos em Viento de Nadie, ressalta uma grande sensibilidade poética quanto ao modo de aproximar-se e de tratar o tema da natureza, especialmente o elemento da água, criadora e destruidora ao mesmo tempo. Como pode explicar a contraposição entre o mar e o rio em Viento de Nadie?

El compositor Ernesto Díaz, en su canción “Madre Sabiá” dice: “soy de lejos

del mar / soy de allá”. En la frontera de Viento de Nadie no está el mar, está

el río, el arroyo, el río que se va a morir en el mar, donde viven los barcos,

pero para los personajes de ese libro, el río, su agua, es muy importante. Tal

vez, su río no tenga la grandeza del mar y no sea tan venerado, pero para

ellos es muy importante. Hay una canción que dice: “meu rio é mas mar que

o mar”.

141

8) Um dos debates mais discutidos acerca do tema da tradução na literatura diz respeito à intraduzibilidade do texto poético. Os poemas do livro Noite Nu Norte foram traduzidos há pouco tempo para o inglês. Se, como diz o músico Ernesto Díaz, o portuñol/portunhol «es la lengua más urgente, la del dolor, del amor y del placer, de todo lo más emergente», a transposição em tradução dos seus versos, ou ainda melhor, o uso de uma outra língua acabaria por substituir as suas palavras, as suas imagens e os seus sentimentos?

No me preocupa qué pueda pasar con la traducción. No sé inglés, no sé qué

vio el traductor, qué criterios utilizó. Tal vez, las imágenes que he creado

sobrevivan a las traducciones o tal vez no, pero eso no lo puedo manejar.

9) Na fronteira imperava a pobreza e a gente sofria inumeráveis injustiças, mas apesar disso alí as casas «pur a metade» e parecidas a «cajas de fósforos» eram «siempre abertas». No passado, todos se ajudavam nos momentos de dificuldade e cada um participava para resolver os problemas dos outros. A sua poesia, às vezes, contem uma extrema mensagem de solidariedade, que parece ser contraposta àquela de «soledá», a que mais se explicita.

Tal vez, la frontera no fuera tan solidaria, pero todo tiempo pasado fue mejor.

Es el mito de la época dorada, tal vez, el personaje idealiza la frontera al

recordar, pero eso nunca lo podremos saber.

142

10) Quando se mudou para Montevideo encontrou mais “Luisitos” e “Silvanas” ou houve alguém que, como o Manuel, não se esqueceu das suas origens? Porque acha que a gente, uma vez encontrada a sua felicidade, recuse o passado fingindo não se lembrar do lugar de onde vem?

No creo que las personas encuentren la felicidad. Nadie puede ser feliz en

este mundo que nos tocó vivir. Puede suceder que a veces, la gente se

distraiga y tenga pequeños momentos de felicidad.

No sé qué pasará con las otras personas. Dedico mis días a interpretar a la

gente, las veo caminar, comer, amar e intento entenderlas, pero no puedo, la

vida no se puede comprender, por suerte.

Personalmente, no puedo olvidar de donde vengo, mi infancia humilde en un

barrio humilde de Artigas, la casa por terminar, los vecinos casi siempre en

la pobreza, esperando el milagro, los sonidos que escuchaba de mi madre o

de mi abuela... Siento orgullo de haber nacido y vivido allí. La frontera me dio

una manera de pensar y sentir, de hablar, de crear. Soy de determinada

forma porque viví lo que viví, si lo olvido, puedo correr el riesgo de no saber

quién soy.

Sé que existen personas que intentan olvidar su pasado, que sienten

vergüenza de sus orígenes y también he intentado entenderlas.

11) Sua poesia é intimamente musical. Acha que é devido à simples escolha dessa mistura entre español e português ou tem que ver com a sua ligação aos “ritmos” e às “harmonias” das lembranças. Nunca pensou em transpor os poemas em música?

Mi sueño era ser músico pero como no pude, me dediqué a escribir, a hacer

música con las palabras. La musicalidad es condición fundamental de la

Literatura, siempre que uno acerque un libro al oído, ese libro debe sonar

bien. También he escrito letras de canciones junto a Ernesto Díaz.

143

12. Existe uma alma, um sentir “portunhol”?

Existe un sentir fronterizo. Los “frontera” nos pensamos, nos descubrimos y

descubrimos el mundo a través de nuestra lengua materna. Las palabras

son todo lo que somos.

Yo, primero, me pienso en portuñol (o como quieran llamarlo los estudiosos),

después hago la traducción al español y se lo cuento a la gente que no

entiende los sonidos de mi tierra.

144

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