The Commedia dell'Arte in Naples: A Bilingual Edition of the 176 Casamarciano Scenarios. 2 vols....

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1 Introduzione uando nel 1896 Benedetto Croce donò alla Bibliote- ca Nazionale di Napoli i due volumi manoscritti di scenari della Commedia dell’Arte di tardo Seicento appartenuti al Conte di Casamarciano Annibale Sersale, da lui fortunosamente recuperati, non era ignaro dell’ec- cezionale valore storico che nel corso degli anni quella sin- golare e cospicua testimonianza avrebbe assunto nell’analisi di un fenomeno per molti versi ancora oscuro e controverso quale il teatro dell’improvvisazione; nonostante le sue cre- scenti riserve sulla dignità dell’arte attorica, il suo contr ibu- to di appassionato ricercatore sarebbe rimasto tra i più signi- ficativi di un’epoca di riscoperte e verifiche che in tempi più recenti avrebbe portato, sulla scia di felici intuizioni, al ri- conoscimento di un livello culturale non indifferente da at- tribuirsi all’interprete, punto di riferimento inquietante ma essenziale nell’eterogeneità delle fonti e nel mutare degli indirizzi critici. Allo zibaldone napoletano e alle immediate suggestioni di lettura avanzate sarebbe toccato, tuttavia, uno strano destino: vittima del carattere composito e monumen- tale che un minuzioso lavoro compilativo tradisce già a par- tire dal mero dato quantitativo (la raccolta del Sersale conta ben centottantatré soggetti comici), il magnum opus avrebbe suscitato sempre interessi parziali, divenendo termine di ri- scontro di studi sul repertorio e campo di escursione per in- terventi antologici talora anche discutibili, o sarebbe stato equivocamente acquisito in quanto traccia, sia pur vistosa e particolare, della enorme diffusione che una peculiare espe- rienza della comunicazione scenica ebbe lungo tutto il di- ciassettesimo secolo, nelle aree più disparate e a contatto con i linguaggi tutti del sapere contemporaneo, fin quasi a decretarne, in alcuni casi, una sorta di non autosufficienza documentaria, un’effettiva insussistenza ad onta del clamore e dell’apparente varietà di toni, generi, forme che in quelle fabulae si sono sedimentati e tramandati. Se qui si propone un’edizione integrale dei codici del Casamarciano, è nella persuasione che le poche risposte a cui per oltre un secolo questi testi hanno offerto un rilevante contributo non equivalgano agli interrogativi che ancora sol- levano, sulla natura del canovaccio, scrittura sperimentale segnata da un rapporto ambiguo e impegnativo con uno spettacolo assente e reale, sulle ragioni di una collezione assolutamente non selettiva, sulle oscillazioni che si regi- strano in una resa verbale divisa tra memoria e prefigurazio- ne infinita dell’evento, esercizio letterario e funzionalità tea- trale, necessità di codificazione permanente ed esigenze di adattamento e di trasformazione implicite nella vita materia- le di artisti e compagnie. Più che approdare a soluzioni uni- voche e definitive, le esemplificazioni confluite nella raccol- ta e la trama di relazioni interne ed esterne che vi si delinea attestano l’entità e lo spessore di una ricerca di equilibri e di “tradizione” su cui grava il sospetto di una “impresa belli s- sima, e pericolosa” quanto inesorabilmente votata all’insuccesso. E in tal senso sembra che le prospett ive di indagine collegate alla specifica dimensione di corpus dello zibaldone siano ben lungi dall’esaurire le loro straordinarie potenzialità. Rimangono invece in larga parte enigmatici i percorsi concreti e le modalità organizzative attraverso cui si raduna- rono e trascrissero i soggetti, come le evidenti connessioni con una pratica dello spettacolo tuttora prive di immediati riscontri oggettivi. Un dato, però, è certo: in maniera som- messa, silenziosa, quei minimi compendi scenici riflettono con la loro ricchezza di accenti la frenetica attività spettaco- lare che fu tratto distintivo della Napoli seicentesca. Dagli Q

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1

Introduzione

uando nel 1896 Benedetto Croce donò alla Bibliote-

ca Nazionale di Napoli i due volumi manoscritti di

scenari della Commedia dell’Arte di tardo Seicento

appartenuti al Conte di Casamarciano Annibale Sersale, da

lui fortunosamente recuperati, non era ignaro dell’ec-

cezionale valore storico che nel corso degli anni quella sin-

golare e cospicua testimonianza avrebbe assunto nell’analisi

di un fenomeno per molti versi ancora oscuro e controverso

quale il teatro dell’improvvisazione; nonostante le sue cre-

scenti riserve sulla dignità dell’arte attorica, il suo contribu-

to di appassionato ricercatore sarebbe rimasto tra i più signi-

ficativi di un’epoca di riscoperte e verifiche che in tempi più

recenti avrebbe portato, sulla scia di felici intuizioni, al ri-

conoscimento di un livello culturale non indifferente da at-

tribuirsi all’interprete, punto di riferimento inquietante ma

essenziale nell’eterogeneità delle fonti e nel mutare degli

indirizzi critici. Allo zibaldone napoletano e alle immediate

suggestioni di lettura avanzate sarebbe toccato, tuttavia, uno

strano destino: vittima del carattere composito e monumen-

tale che un minuzioso lavoro compilativo tradisce già a par-

tire dal mero dato quantitativo (la raccolta del Sersale conta

ben centottantatré soggetti comici), il magnum opus avrebbe

suscitato sempre interessi parziali, divenendo termine di ri-

scontro di studi sul repertorio e campo di escursione per in-

terventi antologici talora anche discutibili, o sarebbe stato

equivocamente acquisito in quanto traccia, sia pur vistosa e

particolare, della enorme diffusione che una peculiare espe-

rienza della comunicazione scenica ebbe lungo tutto il di-

ciassettesimo secolo, nelle aree più disparate e a contatto

con i linguaggi tutti del sapere contemporaneo, fin quasi a

decretarne, in alcuni casi, una sorta di non autosufficienza

documentaria, un’effettiva insussistenza ad onta del clamore

e dell’apparente varietà di toni, generi, forme che in quelle

fabulae si sono sedimentati e tramandati.

Se qui si propone un’edizione integrale dei codici del

Casamarciano, è nella persuasione che le poche risposte a

cui per oltre un secolo questi testi hanno offerto un rilevante

contributo non equivalgano agli interrogativi che ancora sol-

levano, sulla natura del canovaccio, scrittura sperimentale

segnata da un rapporto ambiguo e impegnativo con uno

spettacolo assente e reale, sulle ragioni di una collezione

assolutamente non selettiva, sulle oscillazioni che si regi-

strano in una resa verbale divisa tra memoria e prefigurazio-

ne infinita dell’evento, esercizio letterario e funzionalità tea-

trale, necessità di codificazione permanente ed esigenze di

adattamento e di trasformazione implicite nella vita materia-

le di artisti e compagnie. Più che approdare a soluzioni uni-

voche e definitive, le esemplificazioni confluite nella raccol-

ta e la trama di relazioni interne ed esterne che vi si delinea

attestano l’entità e lo spessore di una ricerca di equilibri e di

“tradizione” su cui grava il sospetto di una “impresa bellis-

sima, e pericolosa” quanto inesorabilmente votata

all’insuccesso. E in tal senso sembra che le prospettive di

indagine collegate alla specifica dimensione di corpus dello

zibaldone siano ben lungi dall’esaurire le loro straordinarie

potenzialità.

Rimangono invece in larga parte enigmatici i percorsi

concreti e le modalità organizzative attraverso cui si raduna-

rono e trascrissero i soggetti, come le evidenti connessioni

con una pratica dello spettacolo tuttora prive di immediati

riscontri oggettivi. Un dato, però, è certo: in maniera som-

messa, silenziosa, quei minimi compendi scenici riflettono

con la loro ricchezza di accenti la frenetica attività spettaco-

lare che fu tratto distintivo della Napoli seicentesca. Dagli

Q

2 Introduzione

influssi della commedia classica e cinquecentesca alle storie

mirabili del siglo de oro, dalle finalità liturgico-

moraleggianti alla vis comica della farsa locale, dagli accor-

di patetico-pastorali alle tensioni verso la composizione me-

lodrammatica, le avventure di Coviello e Pulcinella assimi-

larono tutto e a tutto impressero l’inconfondibile impronta

di una scienza nata nel teatro e per il teatro. Tra le sale pub-

bliche e i palazzi aristocratici, a Corte e nei larghi cittadini,

in ville e monasteri, chiese e accademie gli scenari del Ca-

samarciano conobbero con ogni probabilità splendori e mi-

serie, consacrazioni e spunti di rinnovamento, restituendo i

bagliori di un esercizio rappresentativo che si nega allo

sguardo approfondito quanto più rivela il suo sorprendente

dinamismo, la sua irriducibilità a schemi e modelli rigorosi

e distinti. E la tenacia di un collezionismo scevro da dichia-

razioni impegnate ma completamente assorto nella valoriz-

zazione del proprio oggetto è forse anche elementare conno-

tato ideologico, sottile e accorata partecipazione ad un pro-

getto di salvaguardia del patrimonio espressivo e poetico

elaborato da uno spiccato professionismo che a Napoli si

espresse, contestualmente, nelle forme della trattatistica e

dell’esegesi, della svolta drammaturgico-scenografica e am-

ministrativa, dell’approfondimento nell’allestimento e nella

concertazione, della decisiva innovazione musicale.

Agli autori-attori di questa storia non è possibile dare

volti e nomi, ma solo garantire l’eco di una presenza viva e

dissimulata, ricomporre le immagini sbiadite di un’inven-

zione retorica e sociale. Ed oggi, riprodurre i relitti di una

fatica lunga e tortuosa è stato un doveroso tributo alle om-

bre.

3

Capitolo primo

Proposte per una lettura e interpretazione

degli scenari Casamarciano

1. Gli scenari nel sistema testuale della Commedia dell’Arte

In questa rinuncia della fantasia alla misura, all’ordine, all’equilibrio è il sintomo del prevalere dell’attore sul testo; o, per meglio dire, del dislocarsi dell’esperienza dei creatori di questo teatro (i quali andrebbero tutti riguardati nella loro du-plice personalità di autori e di attori) dal momento del testo a quello dello spettacolo. Paradossalmente, si potrebbe osservare che tra la presenza di un testo smisurato e la sua totale scom-parsa non c’è alcuna differenza, i due estremi si equivalgono.1

Discorrendo delle contaminazioni interpretative riscontrabili

nell’opera del Ruzante, la cui attività si svolse in concomi-

tanza con l’evolversi di quel tecnicismo scenico culminato

nella Commedia dell’Arte, Ludovico Zorzi dichiara

l’equivalenza teorica tra l’ipertrofia del testo drammatico e

la sua assenza: entrambe trasferiscono alle multiformi com-

petenze dell’attore un progetto comunicativo altrove predi-

sposto e garantito dalla “sorvegliata” lucidità dell’autore.

Che la convergenza dei due termini in un’unica figura pro-

duca il sovrapporsi di percorsi e atteggiamenti differenti,

dove appaiono fluttuanti e incerti i confini tra scrittura lette-

raria e cultura della rappresentazione, è un dato ricorrente

nella moderna storia del teatro, alle origini di fenomeni in-

tricati per la loro controversa risonanza sui distinti sistemi di

cui partecipano, e con notevoli implicazioni metodologiche

sul piano esegetico; altrettanto problematico, però, può dirsi

il netto differimento di un equilibrio creativo alle ragioni

dello spettacolo, che, oltre ad esasperare il carattere evane-

scente dell’evento, si esprime comunque in una dinamica di

frantumazione e ricomposizione di elementi spesso mutevoli

ed eterogenei.

Se infatti l’identità di autore e attore mira ad

un’integrazione delle prospettive dissimili imposte dai ruoli,

recuperando nelle convenzioni drammaturgiche realtà e

suggestioni della propria militanza artistica e portando sulla

scena le istanze di puntualità e rigore legate ai principi poe-

tici della stesura regolare, il loro divergere materiale non si

spinge mai fino ad un regime di totale indifferenza recipro-

ca, e sperimenta invece una gradualità di soluzioni, che va-

riano tanto in rapporto alla singola performance quanto in

linea con le tensioni generali all’interno di un variegato

mondo produttivo. Né il testo smisurato, né la sua scompar-

sa hanno in sé valore negativo: costituiscono le manifesta-

zioni antitetiche di un gioco dialettico in cui massima è

l’egemonia dell’interprete, nella forma di una selezione in-

condizionata di segmenti funzionali al suo lavoro come di

un’assoluta libertà inventiva, priva di vincoli esterni e remo-

ti. Nell’intervallo tra i due poli si registra una pluralità di

opzioni, dalla collaborazione preliminare dell’idea recitativa

sull’elaborazione letteraria ad un impegno di tipo consunti-

vo sugli esiti della pratica scenica, dal contributo d’autore

alla riformulazione di uno spettacolo alla connotazione

drammaturgica su misura delle qualità espressive di perso-

naggi specifici.2

Nella sua fondamentale ipotesi di vendita del teatro, af-

fermazione di un fascinoso immaginario, conquista di spazi

e platee permanenti, riconoscimento di una professionalità

non occasionale e non emarginata, la Commedia dell’Arte si

orientò decisamente verso l’esaltazione della componente

attorica, sia perché fu la sua duttilità ed energia a soddisfare

l’esigenza di intensificare l’offerta di divertimento, sia per-

ché ad essa toccò di abbattere barriere linguistiche, sociali,

geografiche per una straordinaria rifondazione della scena.3

Fu un’impresa epocale, ed in fondo riconducibile ad unità

solo a condizione di non perderne le infinite ed autonome

occorrenze dislocatesi lungo un arco cronologico pluriseco-

lare e a contatto con dimensioni culturali e ambientali non

assimilabili, ciascuna portatrice di significati ed intenti pale-

4 Capitolo primo

si o segreti.4 Se tuttavia il virtuosismo, il plurilinguismo, il

gusto eclettico e “maraviglioso” dei repertori, la cristallizza-

zione e il rilievo delle maschere (ulteriore elemento di in-

quietante continuità fra episodi di epoche e latitudini diver-

sissime) sono da ritenersi il riflesso di un’«insanabile crisi

ideologica»,5 tentativi di colmare un tragico vuoto con la

frenesia e il bagliore dell’effimero, ad onta dell’indiscutibile

apporto alla ridefinizione dell’esercizio spettacolare in tutta

Europa, quel che risalta è, in ultima analisi, il collocarsi del

fenomeno Improvvisa al di sotto di quei livelli di consape-

volezza etico-contenutistica che solo una drammaturgia ag-

giornata e profonda può conseguire. La creatività d’attore,

se oltrepassa i limiti di un fattivo coinvolgimento nei dise-

gni d’autore, può rivelarsi sospetta: sovverte la linearità di

un avvicinamento al pubblico, compromette una trasmissio-

ne concettuale, sposta l’accento dalla maggiore o minore

coerenza di un discorso provocatorio su metodi di mera af-

fabulazione e spunti di una abilità tutta fugace ed esteriore.

In quest’ottica, il progressivo slittamento di un rapporto dia-

lettico verso la supremazia del talento interpretativo corri-

sponderebbe ad un fattore irreversibile di degenerazione,

come se la dispersione di una misurata architettura verbale

documentata dalla scrittura preventiva provocasse un preoc-

cupante appiattimento di temi e questioni cruciali sulla vi-

vacità estemporanea, brillante ma caduca, di una voce e di

un corpo recitante.

Non è escluso che la Commedia dell’Arte, in alcune sue

epifanie, sia stata anche questo, piacere della messinscena

fine a se stesso, iterazione disarmante di schemi e stilemi,

lazzi sfrenati e acrobazie avulsi da un ordinato contesto, fa-

scinazione strumentale ad obiettivi minimi di sopravviven-

za, tradizione incapace di rinnovarsi e sclerotizzata in for-

mule obsolete6 (ma si tratta di un destino non estraneo ad

altri generi e fenomeni nella storia dello spettacolo): nel suo

complesso, però, rimase un’esperienza di successo legata

all’insorgere di una mercatura anomala e pericolosa, che

riuscì a muoversi proprio sull’area di raccordo tra i due e-

stremi dell’assenza e della sterminata presenza di un testo,

proponendo il dissolversi dell’autore nell’attore, o meglio

una coincidenza dei due termini sub specie histrionis.7 Quel

che la contraddistinse fu, da un lato, l’eclissi del dramma-

turgo (ché in realtà il ricorrere di titoli prestigiosi tra le rap-

presentazioni dei comici dimostra quanto fosse diffuso il

confronto con la letteratura coeva), dall’altro l’infrangersi di

una consueta—e imperante—nozione di testo in una parcel-

lizzazione dagli usi molteplici, in un’articolata connessione

di “ruoli” universali e innumerevoli “parti”, pronta a riaffio-

rare nella concertazione. Tutto questo rese estremamente

sottile e artificiosa ogni relazione tra profilo biografico e

vita scenica del personaggio, in una contrapposizione tra

identificazione e distanziamento che emerge soprattutto nel

passaggio dall’esibizione momentanea alla ribalta storica

affrontato dalle più illustri personalità;8 aumentò le opportu-

nità performative riducendo tempi e difficoltà negli allesti-

menti;9 aprì ai comici italiani la strada delle corti e delle

piazze all’estero, con un ritorno di immagine che fu anche

proiezione fuorviante,10 e, soprattutto, lasciò confluire in un

patrimonio di risorse narrative ed espedienti del mestiere

qualsiasi novità letterario-drammatica fosse stata sottoposta

ad una compiuta destrutturazione ed assimilazione nella col-

laudata strategia compositiva.11

Più che sul rifiuto, l’improvvisazione si fondò su

un’ardita concezione del livello verbale dell’azione teatrale,

che ne fissò l’istante genetico all’effettivo svolgimento dello

spettacolo, non prima tuttavia di aver manipolato e acquisito

in un ampio ed elastico bagaglio culturale quei requisiti lin-

guistici e poetici necessari a sorreggere gli andamenti di una

fabula prescelta. Conseguenza non irrilevante di una simile

procedura fu il radicamento di una mentalità professionisti-

ca, dal momento che l’aggiornamento e la preparazione

dell’interprete si trovarono svincolati dalle urgenze della

messinscena e si affidarono anche a fasi e modi irrelati ed

indipendenti dagli imminenti impegni di compagnia.12 Altro

è, forse, il paradosso della Commedia dell’Arte: ed è che

quell’apparente insofferenza ad un impianto drammaturgico

preliminare si tradusse in una proliferazione di forme testua-

li tutte ispirate all’officina del rappresentare, il cui unico

tratto comune—nella diseguaglianza degli approcci—rimase

una connaturata precarietà. In questo può cogliersi

l’ineliminabile punto debole di una pronunciata emancipa-

zione dell’attore: di fronte al predominio pressoché incon-

trastato dell’hic et nunc teatrale, si acuisce il bisogno di

fermare comunque le «mobili parvenze»13 in documenti che

richiamino l’esemplarità di una ricerca individuale o la trac-

cia di un’invenzione sempre uguale e sempre diversa, la

conferma del favore ottenuto da precise elaborazioni o il se-

gno di una felice intuizione. Scompare una premessa lettera-

ria, ma non la ragione assoluta di un testo. Nel caso specifi-

co, fu come se, nell’assenza di una scrittura drammatica da

intendersi come memoria collettiva, si ribadisse più forte

l’esigenza di riprendere il miracolo di un evento così parti-

colare per via di frammenti minuti, resoconti parziali o la-

conici strumenti di lavoro. E il paradosso agì anche in pro-

spettiva storica, se è vero che alla peculiarità del fenomeno

si sostituì negli anni una sua lettura univoca fino a diventare

riduttiva, se alle sue originarie energie poetiche ed eversive

rinviano per lo più solo i commenti allarmati e perplessi dei

denigratori coevi, se più tenaci sono state le ombre critiche e

i giudizi vulgati su una vicenda plurisecolare per molti versi

irrimediabilmente misteriosa.14

La Commedia dell’Arte inseguì il suo testo: la variante

stilistica più congeniale a riflettere la trionfante oralità delle

sue tecniche di organizzazione e trasmissione del sapere, la

versione meno lontana da quella tensione esecutiva in cui

poté riassumersi la sua inedita disciplina. Lo inseguì mossa

da un istinto di conservazione e fiera della propria alterità,

nei programmi ambiziosi—e contraddittori—con cui i comi-

ci più avveduti e intellettualmente agguerriti vollero consa-

Proposte per una lettura e interpretazione 5

crare la loro assoluta e indiscussa perizia,15 negli approdi

alla drammaturgia regolare,16 negli scritti memorialistici e

apologetici che furono innanzitutto emblema di una non tra-

scurabile preparazione,17

o anche negli itinerari autocelebra-

tivi che scandirono lo studio e la carriera “esemplare” di in-

terpreti come Giovan Battista Andreini.18 Fu un obiettivo

laborioso e costante, dove spesso la scelta di conferire digni-

tà letteraria ad un’accorta specializzazione professionale e-

quivalse pur sempre ad una fuga dal teatro, ovvero al va-

gheggiamento di uno status che la letteratura avrebbe rico-

nosciuto ed il teatro avrebbe continuato a negare. In tal sen-

so, l’operazione più significativa e bizzarra fu quella di

Flaminio Scala, che nel 1611, dando alle stampe il Teatro

delle favole rappresentative,19 promosse nella sede istitu-

zionale del libro la sintesi di un universo spettacolare eleva-

ta a modello di azione e ricerca, una raccolta di soggetti che,

sottratti al consumo scenico, aspirava a conquistare spazi

permanenti nella letteratura coeva senza rinunciare alla pro-

pria fisionomia originaria di strumento.20 Nessuna delle so-

luzioni praticate, però, si rivelò in grado di documentare

l’improvvisazione: il testo scomparso poté solo riaffiorare in

una costellazione di materiali segnati dalla parzialità, dalla

frammentazione, da un ambiguo rapporto con lo spettacolo

di cui vorrebbero farsi testimonianza. Dell’«immenso mare

di carte manoscritte»21 essenziale all’attività dei comici so-

pravvivono reliquie di diversa entità e valore, alcune prezio-

sissime per la sagacia e la raffinatezza della cultura scenica

che da esse si sprigionano (e si pensi allo Scénario di Do-

minique Biancolelli, opera aperta di una strategia interpreta-

tiva vigile e continua22), altre prive di qualsiasi suggello au-

torevole e relegate ad una loro sobria referenzialità. Tutte si

muovono in quel difficile scarto tra la dissimulazione

dell’autore e l’irruenza canonica dell’attore, a riprova che

nulla rappresenta l’intrinseca natura dell’Arte se non la vi-

sualizzazione di questo tortuoso bipolarismo, e tutte in fon-

do inautentiche, se si guarda al fatto che ognuna, nel suo ge-

nere, tradisce una maggiore funzionalità alle ragioni

dell’una o dell’altra figura.

In questa sommersa produzione testuale spiccano i ca-

novacci, perché teoricamente equidistanti dal carattere di

espressione drammaturgica come dall’immediata apparte-

nenza ad un concreto esercizio rappresentativo.23 Generici,

tirate, dialoghi esibiscono il punto d’arrivo di un’indagine

letteraria imperniata sull’“effetto” teatrale; sono brandelli di

una tessitura verbale incognita, indizio di più sottili legami

con la cultura del tempo, pezzi di bravura che possono co-

munque ricondursi ad una recitazione ispirata al plurilingui-

smo e al pluristilismo, ma, soprattutto, esiti di

un’improvvisazione che lascia traccia di sé solo nel momen-

to in cui si sedimenta in un testo definito, rivendicando

all’interprete una competenza extra-performativa e, dunque,

allontanandosi dalla scena.24 Il lazzo—qualunque sia l’etimo

del termine, che allude ad una sequenza codificata o indi-

pendente da un singolo contesto tematico—è elemento eso-

terico per eccellenza, e proprio nella sua fissità minima, in

un grado di concertazione preesistente ad ogni inveramento

drammatico si manifesta la sua congruenza ad un sapere i-

strionico. La sua trascrizione rientra nel gusto aneddotico di

tanta attenzione al teatro e risale alla più tarda documenta-

zione sull’Improvvisa, quasi a indicare che quegli antichi e

noti tecnicismi cominciavano a richiedere forme di trasmis-

sione non iniziatica; oltre a non esaurire le modalità di co-

struzione dello spettacolo, quella microunità semantica non

esiste al di fuori dell’esecuzione che la vivifica per pochi

attimi, e la sua illustrazione non è evocazione di una vis co-

municativa, è già intervento critico, Arte che non può farsi

scrittura.25 In entrambi i casi superstite è solo un risultato

dell’improvvisazione. A questa logica di dubbio avvicina-

mento ai due estremi di una delicata identità professionale

sfuggono i soggetti comici, indifferenti ad una loro dignità

estetico-letteraria e al tempo stesso subordinati ad un’abilità

attorica, che è principale (se non unica) destinataria di quei

nuclei informativi così specialistici.26 Se quel che rimase

agli autori nel recitare all’impronto fu il livello della combi-

nazione dei casi,27 questa partecipazione non si risolse mai

in prove di eleganza stilistica e compositiva, né intese mai

sconfessare il principio della sua esclusiva giustificazione

alla luce di un lavoro minuzioso di concertazione, al punto

che può rivelarsi tutt’altro che semplice verificarne la fun-

zionalità (peraltro variabile secondo l’esperienza dei comi-

ci). D’altro canto, nulla traspare di una resa espressiva diret-

ta; tutto resta ai limiti di un’improvvisazione che è, ad un

tempo, presupposto e retaggio di un essenziale profilo narra-

tivo, schema potenziale per uno spettacolo.

Eppure, la peculiarità strutturale e lo spessore informati-

vo degli scenari—relitti di un uso organizzativo sopravvis-

suti ad una fatale consunzione grazie a circostanze o interes-

si fortuiti—non hanno suscitato altra eco nelle analisi delle

tecniche dell’Arte se non un generale e pressoché unanime

disorientamento. Le metafore che scandiscono un secolo e

oltre di riflessioni e ricerche insistono tutte sull’idea della

morte, valorizzando in effetti un incontestabile dato esterio-

re, ovvero che, eccezion fatta per il pionierismo intellettuale

isolato dello Scala, il criterio stesso di radunare quei com-

pendi intrinsecamente legati ad esigenze sceniche sembre-

rebbe obbedire più a motivazioni di carattere antiquario che

ad un riconoscimento della loro attualità o del loro pregio,

per altri versi smentito da una vistosa, arida povertà forma-

le.28 Il problema è che un canovaccio non è testimonianza

della verve attorica tout court; è piuttosto punto di media-

zione per eccellenza tra la progettualità e l’esercizio concre-

to di questo teatro, immagine di una realtà già irrimediabil-

mente consumatasi tra il pubblico e gli artisti e contempora-

neamente sottile prefigurazione del suo infinito ripetersi e

rinnovarsi. Nasce programmaticamente come sezione di una

performance in cui risulta assente quell’elemento verbale al

quale l’utilizzo dello stesso codice fa costante riferimento; è

ad un tempo sostegno e vincolo di una creatività autonoma,

6 Capitolo primo

determinandone tempi e limiti di contenuto; si offre come

memoria e come preparazione del lavoro scenico, in rappor-

to sia al contributo creativo di una serie continua di repliche

sia alla vita materiale delle compagnie che riprendono le va-

rie trame modificandole, adattandole, alterandole, infonden-

do in esse nuovi spunti e nuova linfa, in perenne equilibrio

tra la registrazione di un evento e la prospettiva di una rilet-

tura nell’avvenire. Ciò che si trascrive in un soggetto non è

un’ideale composizione dello spettacolo; è un rapporto di

forze, un sistema di equilibri tra gli intenti comunicativi im-

prescindibile in fase di concertazione. Va da sé che in tal

senso gli espedienti retorici della formularità,

dell’iterazione, del didascalismo evidente o implicito posso-

no rivelarsi ben più incisivi e non solo sintomatici di una—

deliberata—irrilevanza estetica.

Proprio in virtù di questa collocazione paraletteraria, che

si protende verso il gioco scenico senza mai svelarlo, si è

osservato come il «valore anche documentario dello scena-

rio deriva dalla sua rinuncia alla riproduzione».29 Rispetto

alla preponderante dimensione attorica, l’intervento d’autore

è allusivo e complesso, soffermandosi «su due tipi di mon-

taggio, quello che deriva dall’intersecarsi di diverse storie, e

quello che deriva dall’accostarsi, dal contrapporsi, dal ri-

spondersi o dallo svilupparsi di ben individuate tonalità

spettacolari».30 Il senso principale della scrittura, pertanto,

non è nella lettera del percorso narrativo, quanto nella con-

catenazione ritmico-tonale che lascia intuire. In questo mo-

do, il canovaccio aspira a farsi cifra e presagio

dell’esecuzione teatrale; paradossalmente, a confronto con

altre esperienze testuali promosse dai comici

la commedia con tutte le battute «verbo a verbo» si scioglie-rebbe da quella posizione cruciale occupata dallo scenario, al crocevia fra operazione letteraria e operazione spettacolare, fra materiale di lavoro e idea dell’opera, per restituire «fedelmen-te» il solo involucro verbale dello spettacolo, per testimoniare

dell’operazione letteraria, retorica dei comici.31

Strumento privilegiato del mondo dell’improvvisazione,

il soggetto tende a riflettere l’evolversi e la ri-

attualizzazione di un livello di comunicazione scenica, re-

cuperandone sul piano grafico la fluidità e la viva attitudine

sperimentale. Se si moltiplicano le stesure di una stessa tra-

ma, è perché si vuole adattarla ad un mutato insieme di rap-

porti; quel che rimane oggi è una voce tra infinite modula-

zioni, brevi momenti di una storia trascorsa nel silenzio. E

questi testi della Commedia dell’Arte sono anche segnali

intermittenti dell’attrito tra la conservazione del mestiere e

l’innovazione intellettuale e poetica: concepiti per l’attore,

scoprono inquietanti vie di fuga alla fragilità del vir-

tuosismo, mettono in crisi, spesso inconsapevolmente, il po-

tere evocativo di un’oralità dominante in nome di una parola

scritta sommessa e vilipesa.

2. La raccolta Casamarciano tra forme del testo e idea del-

lo spettacolo

Nel quadro delle problematiche sottese agli scenari, lo

zibaldone che Annibale Sersale, Conte di Casamarciano,

compilò sul finire del diciassettesimo secolo (ora alla Bi-

blioteca Nazionale di Napoli, segn. XI AA 40 - 4132) risalta

tanto per la specificità di alcune sue caratteristiche esteriori

quanto per la varietà di accenti e l’ampiezza di repertorio

documentate. Colpisce innanzitutto la monumentalità del

corpus, che vanta ben centottantatré soggetti distribuiti in

due volumi manoscritti, con una confusa percezione della

disparità dei generi trattati («comedie, ed opere bellissime»

recita uno dei due frontespizi): una simile estensione sembra

escludere qualsiasi ipotesi di allestimento ad uso di compa-

gnie, mentre è verosimile che i codici si siano formati in se-

guito ad una lunga e paziente ricognizione a stretto contatto

con il mondo dei teatranti, e, se si presta fede ad una delle

possibili interpretazioni dell’aggettivo “proprij” con cui

l’aristocratico napoletano descrive il contenuto della raccol-

ta, a suggello di una passione militante non altrimenti nota.

È estremamente arduo pronunciarsi sul numero e sulla con-

sistenza degli antigrafi, per i quali gli unici criteri di ricono-

scimento relativamente affidabili—in assenza di significati-

ve impennate linguistico-stilistiche per la maggior parte del-

la collezione—sono la presenza ricorrente per un gruppo

circoscritto di soggetti di alcune maschere e l’evidente avvi-

cendarsi di copisti e impianti strutturali. Al primo caso sono

da ascriversi—con buona attendibilità—i canovacci che pre-

vedono la presenza di Ramidoro e Magnifico (cfr. i/86-93) o

l’alternanza fra Cardellino e Pulcinella (e si vedano Tre orbi

- ii/76, Rosalba bizzarra - ii/78, Avaritia - ii/79, Salernitana

- ii/80); al secondo si riferiscono Festino amoroso colle cin-

que lettere cambiate (ii/87), Amanti licenziati (ii/88), Non

amando amare (ii/89), Moglie di sette mariti (ii/90), che

chiudono il manoscritto XI AA 40 e si distinguono per fi-

sionomia e tratti grafici. Altri raggruppamenti possono iden-

tificarsi sulla scorta di microconnessioni fra blocchi di in-

terpreti,33 su un’imprecisa e presto abbandonata scansione

alfabetica34 o sull’affinità tematica, come, ad esempio, la

rapida successione delle furberie di Covello in un’ampia se-

zione del manoscritto XI AA 4135 o le serie dei drammi di

ascendenza spagnola36: va detto però che la diffusione delle

figure tipicamente napoletane e la sostanziale omologazione

linguistica riscontrabile nel corpus impediscono non di rav-

visare fonti e precedenti ma di segnalare con esattezza nu-

clei preliminari di provenienza e assemblaggio dei materiali.

D’altronde, il principale fattore discriminante nello zi-

baldone è la difformità tipologica dei soggetti nell’uno e

nell’altro volume—con la sola eccezione degli ultimi quattro

del manoscritto XI AA 40,37 che riprendono le caratteristi-

che del primo codice: ad un modello contraddistinto da

un’ordinata dislocazione di personaggi, “robbe”, “apparen-

ze” e da una ripartizione minuziosa per atti e scene si con-

Proposte per una lettura e interpretazione 7

trappone un continuum interrotto dall’esclusiva suddivisione

per atti ed un’irregolare segnalazione degli altri riferimenti

utili allo spettacolo. È certo che nel suo Dell’arte rappre-

sentativa premeditata, ed all’improvviso38

Andrea Perrucci

negli stessi anni mostra di conoscere solo una delle due so-

luzioni testuali: il particolare è interessante perché così la

testimonianza del Sersale (come quella più tarda

dell’Adriani39) sfugge al processo normativo del trattatista e

rinvia alla natura sperimentale e instabile di queste scritture

idealmente proiettate verso la pratica teatrale. La polimorfa

cultura dell’Arte lascerebbe ipotizzare una concorrenzialità

tra le due varianti sin dagli albori del professionismo; po-

trebbe invece esistere un rapporto genetico, di filiazione

dell’una dall’altra, se si considera che un esplicito richiamo

dei segmenti performativi sottintende comunque

un’elaborazione supplementare e ad un ordito semplificato

si sostituisce una migliore articolazione dei momenti sceni-

ci. Va da sé che la maggiore premeditazione del testo impo-

ne al discorso una più serrata coesione stilistica e sintattica,

ovvero segna una pur minima concessione alla “letterarie-

tà”. Il problema si ricollega strettamente alla qualità del

progetto redazionale della raccolta, dove spicca non soltanto

la straordinaria escursione tra i modelli drammaturgici più

in voga nel Seicento (la commedia cinquecentesca di deri-

vazione classica o novellistica, la farsa, il concettismo spa-

gnolo del siglo de oro, il moralismo paraliturgico ed edifi-

cante, la pastorale, il racconto magico e fantastico, la trage-

dia storica), ma il gusto collezionistico assolutamente non

selettivo, che può definirsi antologico solo se si osserva che

ad essere esemplificate nello zibaldone non sono semplici

trame, ma potenziali sviluppi scenici che possono avere an-

che strutture narrative identiche o molto simili. Quindi, la

differenza nelle tecniche di stesura è un ulteriore meccani-

smo di quel montaggio ritmico-tonale perseguito dai cano-

vacci, l’indizio più evidente di equilibri diversi nello spetta-

colo che si trascrivono e si suggeriscono implicitamente.

Il motivo dell’emarginazione pulcinellesca è alla base di

tre distinti soggetti, Policinella burlato (i/56), Policinella

pazzo per forza (i/91) e le celeberrime Disgratie di Pollici-

nella (ii/23). Al medesimo plot dello sposo stolto e raggirato

corrispondono intonazioni nettamente dissimili per esiti co-

mici come per eventuali complicazioni dell’intreccio. Nel

primo l’esordio è affidato alle smanie dell’innamorata Isa-

bella:

Atto primo scena prima Gratiano, Isabella e Rosetta Appletta il padre ad accasarla presto, come anche Rosetta, Gra-tiano promette contentarle, e via […]

Scena 4 Policinella solo e poi Isabella e Rosetta L’amore di Isabella, e batte, escono Isabella e Rosetta, Polici-nella fa scena amorosa con Isabella, quale lo sprezza, et entra, Rosetta fa scena amorosa con Policinella, quale la sprezza di-cendo non voler vaiasse […] Policinella resta dicendo volerla

cercare al padre […].

È fondamentale che qui la storia si avvii su una duplice

premessa: è chiaro il disdegno della giovane che il padre

promette poi in moglie a Policinella, ed è sintomatico che

quest’ultimo rientri nelle mire amorose della serva, quasi a

ripristinare una correttezza di rapporti socio-culturali (e di

economia teatrale, beninteso) che la sua iniziativa sovverte

rischiosamente per lui. A delineare con fare lamentoso e

preoccupato la situazione è, nel Policinella pazzo per forza,

l’amante deluso: Atto primo scena prima Florindo e Covello (Città)

Florindo sue passioni per haver sentito che la sua Flaminia sta

per maritarsi con un tal gentil’huomo chiamato Policinella, quale si sta aspettando da Sicilia […] Florindo voler fare in maniera di disturbar queste nozze, e tocca il poco genio che ha con lui Magnifico padre di Flaminia, per la qual causa non ha potuto sposarla […]

cui fa riscontro l’insofferenza dell’altra vittima:

Scena 2 Flaminia e Corallina, poi Magnifico

Flaminia esagera il capriccio di suo padre di volerla maritare ad uno con chi ella non v’ha genio, Corallina la consiglia ad op-

porsi alla volontà del padre; in questo esce Magnifico, e li dice stare aspettando da hora in hora il di lei marito Policinella, qua-le è un gentil’huomo molto ricco […] resta discorrendo sopra la fortuna della figlia in haver ritrovato un marito così ricco come Policinella, quale, benché l’habbian detto che sia un gof-fo, ciò non importa, sendo meglio che sia goffo che un di questi zerbinotti, e che perciò non l’ha voluta dare a Florindo, che la pretendeva […].

Ovviamente la distensione illustrativa tiene già conto dei

risvolti interpretativi (sembra cioè che questa seconda ver-

sione contenga indicazioni sugli effettivi contenuti

dell’improvvisazione o ne trascriva i risultati episodici), ma in realtà modifica sostanzialmente l’impianto di base. Da un

lato, emerge una conflittualità tra vecchi e innamorati che

possa giustificare in futuro la solidarietà del padre verso lo

sposo burlato e agisca da ulteriore motore della storia;

dall’altro, la vicenda si arricchisce di un nuovo significato,

prospettando sullo sfondo quell’uomo “ricco” e “goffo”, che

è anche lontano, estraneo ad un mondo socio-affettivo che

già si proclama autosufficiente.

Molto più concitato è l’attacco delle Disgratie di Polli-

cinella, dove è ancora il disagio provocato dal matrimonio

inatteso a innescare l’azione

Isabella da casa viene lamentandosi con

Coviello suo servo del poco affetto di Oratio, e della fede datali prima di andare allo studio, e doppo un così lungo tempo non haver possuto haver lettera […]

Oratio ritorno alla padria, e lo amore di Isabbella, e vo-lercela domandare per sposa al padre; in questo

Dottore vede quello, si rallegra di sua venuta, dopo scena Oratio gli chiede la figlia per sposa, lui dice ha-

verla casata con un mercante di pietre pumici napolitano, ed havere haùto le lettre, che in breve sarà per sposar la figlia in Bolognia, mostrando-

8 Capitolo primo

gli la lettra di quello, e lasciandosela cadere, par-te, lui doloroso resta, e voler rimproverar la sua donna, batte

Isabella vedendo Oratio, con allegrezza corre per abbra-

ciarlo, lui, discostandosi da quella, la rimprovera, lei, per non poter parlare, si affligge

Coviello vede Oratio, corre con allegrezza, lui tira la spa-da per ucciderlo, Coviello chiede la causa del suo cordoglio? Lui li dice il tutto del madrimonio d’Isabella, loro dicono non saperne nulla, vedono un foglio in terra, Oratio conosce esser la lettra dello sposo, caduta al Dottore, la pigliano, la leggono, e sen ridono delli spropositi, Coviello li

dice lui disturbare il tutto […].

Innegabilmente lo snodarsi della traccia privo di pause

logico-grafiche imprime alle istruzioni un movimento più rapido, che meglio riflette la doverosa consequenzialità di

messaggi verbali, gesti e reazioni. Qui si interpone una sce-

na di disinganno, che bilanci la letizia del ritorno di Orazio e

dell’“affare” del Dottore riportandosi ai lamenti di Isabella,

ma soprattutto l’apparizione del “forestiero” è amplificata

dalla presenza virtuale delle sue battute grazie alla lettura

della missiva, che opportunamente si è lasciata cadere. Le

“invenzioni” di Coviello partono dagli spropositi dello spo-

so in arrivo: se altrove il corso degli eventi si complica e si

dipana in vista del matrimonio tra i due amanti, nelle Di-

sgratie Pollicinella è immediatamente bersaglio di una di-

versità comportamentale ed intellettuale. Tali scelte inter-pretative mirate adombrano con ogni probabilità precise e-

secuzioni teatrali;40 tuttavia, il soggetto in questione riporta

a margine due possibili versioni della lettera pulcinellesca,41

a conferma della percezione secondo cui per ogni momento

scenico si offrono sempre innumerevoli soluzioni. E dunque

il collezionismo onnivoro del Sersale sembra tralasciare

qualsiasi interesse per la rappresentatività di una trama, mo-

strandosi in effetti più attento alle varie declinazioni di

un’idea scenica. Rivelando un aspetto non secondario per

l’intelligenza del canovaccio in quanto strumento dell’Arte:

per la sua natura ambigua di «sineddoche del testo o dello spettacolo»,42 «punto di equilibrio tra base e vincolo

all’improvvisazione dei comici nel fare teatro»,43 il rapporto

tra la scrittura e la messinscena è tutt’altro che lineare, e vi-

ve di una costante interazione tra i due termini. La funzione

di uno scenario non si esaurisce nel suo essere nucleo di ori-

gine dell’evento teatrale, presagio di una rappresentazione

da realizzare, ma si avvale dell’opzione inversa, quella di

farsi memoria di un esito effettivo da cui possano dipartirsi

altre occasioni drammatiche, sostegno dello spirito conser-

vatore della creatività attorica nel continuo impulso

all’invenzione. Essere distante insieme dalla nitida e defini-tiva organizzazione testuale dell’autore e dall’effimero ver-

bale dell’interprete implica un divario anche cronologico

dalla scena, che è a un tempo passato e futuro di quella

complessa ipotesi spettacolare.

In altre parole, il carattere consuntivo44 è tratto dominan-

te anche di queste ”scalette” più o meno articolate, in cui

l’analisi e la registrazione a posteriori dell’evento si mesco-

lano e si confondono con la prospettiva aprioristica di un

ausilio alla concertazione: un’operazione non dissimile, nei

metodi, dagli appunti di lavoro del Biancolelli, dove può

leggersi, nell’ottica di un percorso creativo tutto individuale,

questa stessa contaminazione che qui si trasferisce sul piano

oggettivato della fabula schematica. La selezione su cui si fonda lo zibaldone del Casamarciano trae origine dunque da

una singolare coscienza dello scarto attorico che si produce

a partire da una medesima idea narrativa: uno scarto che può

ritenersi tanto significativo da indurre ad acquisire le varian-

ti come se fossero altrettante ri-creazioni, portatrici ormai di

messaggi e spunti non sovrapponibili alle attestazioni prece-

denti.

Ed è per questo che Policinella pazzo per forza e le Di-

sgratie di Pollicinella si affiancano al Policinella burlato;

lasciano trapelare ipotesi scenico-contenutistiche che posso-

no ricondursi ad unità solo se si guarda al mero pretesto nar-rativo. Il primo percorre la strada della magnificazione di

una pazzia simulata e attribuita al malcapitato forestiero

come unico stratagemma di emarginazione, volgendo in

chiave comico-satirica un momento topico della più nobile

improvvisazione; l’altro intensifica in un crescendo vortico-

so di trovate quell’isolamento socio-affettivo da cui si origi-

na il movimento teatrale (e si pensi che uno degli inganni

inseriti nel Policinella burlato compare come ulteriore op-

portunità di amplificazione). Lo conferma l’inizio dell’atto

terzo:

Pollicinella sopra le sue disgratie; in questo

Coviello Policinella […] li racconta le sue disgratie, Coviello li dice il Dottore era un mago stre-gone, e che la figlia era bruttissima, e lui per incanti la fa parer bella a tutti, ma aveva le gambe di legnio, gli occhi di vetro, la testa di cocozza, li denti di cera, e che sotto portava la bocca della montagnia di Somma, larga sei miglia e fonda in quantità, e che stij in cer-

vello, che tutto quel che l’era soccesso erano machine del Dottore […]

Dottore lo vede, lo rimprovera huomo di due mogli, e Pollicinella lo chiama stregone, sono accon-trasti; in questo

Tartaglia li riprende, che sempre facevano lite, Pollici-nella li dice che il Dottore era un stregone, e tutte le sue disgratie erano sue fintioni, e che

la figlia era bruttissima, con le gambe di le-gnio, l’occhi di vetro, la capo di cocozza e le denti di cera, come sotto ha la bocca dello monte di Somma, larga sei miglia e fonda in quantità, Dottore adirato vole occiderlo […].

Il brano è esemplare di questa tattica compositiva in bili-

co tra passato e futuro. Se il criterio redazionale di un cano-

vaccio si risolvesse in un’estrema sintesi informativa, non

v’è dubbio che la puntuale riproposta al Dottore da parte di

Pulcinella della descrizione surreale e oscena che Coviello

riserva alla sposa costituirebbe un caso inammissibile di ri-

Proposte per una lettura e interpretazione 9

dondanza, sia per i contenuti dettagliati che delimitano lo

spazio di ri-creazione dell’interprete, sia per l’inequi-

vocabile ripetitività delle indicazioni. Forse è proprio nella

totale corrispondenza delle due sequenze, invece, il senso

prioritario della scrittura specialistica: è assolutamente ne-

cessario che il secondo dialogo riproduca l’identica succes-

sione argomentativa del primo, perché l’ascoltatore stupefat-

to e sollevato diventi accusatore tronfio e ridicolo e, soprat-

tutto, perché l’inaudita e assurda rivelazione si trasformi in gesto dissennato e inconcludente. Tocca a Pulcinella sovver-

tire la patetica credulità del malcapitato forestiero in una di-

vertente aggressione, tanto più efficace quanto più aderente

alla subdola istigazione dello zanni furbo. Di nuovo lo sce-

nario accoglie tracce di una concreta esecuzione, ma cari-

candole di una valenza precettiva che sia considerata e ri-

spettata nelle successive elaborazioni di quel soggetto: tec-

nica minimale di sopravvivenza dell’Arte come mestiere,

piccolo trucco retorico per alludere ad una realtà mai pre-

sente, che tuttavia rinuncia ad un rigoroso funzionalismo

senza mai approdare ad un più alto livello estetico. A queste sottintese responsabilità di equilibrio della

messinscena si ricollega la vexata quaestio dell’esuberante

epifania pulcinellesca nella raccolta, da sempre elemento

discusso in quanto palese termine di origine/adattamento

delle trame in area napoletana o di sopraffazione quantitati-

va e qualitativa che una brillante tradizione autonoma eser-

citerebbe sul tessuto connettivo dei canovacci. In proposito,

sono lapidari i commenti negativi sull’invadenza della ma-

schera (che compare in quasi tutti gli scenari), dotata di una

tale autosufficienza espressiva da travolgere ogni istanza di

fantasia e di misura nella tentazione dell’one man show, in

un andamento discontinuo e irregolare culminante nella strepitosa ma irrelata prova d’attore.45 Che negli anni di al-

lestimento dello zibaldone Pulcinella vantasse già una lunga

e proficua militanza nell’immaginario—teatrale e non—

d’Europa è di sicuro un fattore non ininfluente per il succes-

so e la tenuta di queste fabulae.46 Il suo contributo all’unità

tonale dello spettacolo si affida proprio alla singolarità di un

carattere che è summa di una stratificazione di immagini,

adattabilità al contesto dinamico della scena, proiezione di

aspettative, la cui consistenza sovratemporale è—in questa

fase della sua storia—tutt’altro che cristallizzata in un cam-

po limitato di reazioni verbali, mimiche, gestuali. Ancor meno persuasiva è l’idea secondo cui l’irrompere della ma-

schera devasterebbe il nitore dell’ intrigo neoclassico, della

tragicommedia spagnola o della concentrazione melodram-

matica: nella teatralità seicentesca simili contaminazioni

non sono peregrine, ed anzi prolungano l’esistenza e la vita-

lità di storie vetuste con un gusto metamorfico ossequioso e

irriverente. La crucialità di Pulcinella si costruisce intorno

all’ampia gamma delle sue prestazioni, ricco mercante, ser-

vo scaltro o balordo, forestiero, oppure geniale, straordinaria

macchina di travestimenti e finzioni. Nel rarefatto realismo

dei drammi dell’Arte, dove la connotazione geografico-

culturale s’impone e si dissolve in un principio superiore di adattabilità delle trame ad ogni pubblico e ad ogni situazio-

ne, il suo ruolo eccezionale è termine neutro di ritmo e in-

ventiva, motore di un’azione che può evolversi verso una

sua linearità come giustapporre le sue performances in un

vuoto generale, facendone il portavoce di idee e perplessità

o accontentandosi del suo sberleffo fragoroso ma innocuo.47

L’alternarsi di locuzioni succinte ed enigmatiche quali “fatti

lazzi”, “scena come va”, “sue esagerazioni” alle istruzioni

minute di molti passaggi sono spia ancora una volta della

natura controversa di queste scritture, dove qualsiasi fiducia incondizionata alla creatività attorica si irrigidisce nella

formula specialistica e arida mentre l’esplorazione di attitu-

dini interpretative costringe il testo alla digressione didasca-

lica e alla perdita di quel requisito di sobria referenzialità in

cui dovrebbe esaurirsi. E il Pulcinella che, nella Comedia in

comedia (ii/39), «con carta in mano, dice studiarsi la parte

sua» (a. II), ironizza ambiguamente sul potere sinistro che le

sorti teatrali gli assegnano, oltre quella duplice simulazione,

ergendosi quasi a metafora di quella “scienza” e “disciplina”

senza le quali non v’è teatro, e non v’è Arte.

3. Il dramma delle parole: varianti e formularità nei cano-

vacci

Il caso del Policinella burlato non è isolato: sono nume-

rosi i richiami interni tra soggetti dal titolo diverso e appa-

rentemente privi di reciproca connessione. L’amante inaver-

tito (i/26) ricompare con abiti e accenti femminili in Eularia

balorda (ii/45), Il finto Re (i/49), Il finto Prencipe (i/48) e

Nuovo finto Principe (ii/11) si pongono sulla stessa linea del

fantastico capovolgimento sociale; Trapule di Covello (i/35)

e Malitie di Covello (i/36) vivono di accorgimenti e trovate

dissimili sul medesimo tema dell’amore contrastato e infine vittorioso. Solo per il Basalisco del Bernagasso (i/23-24),

tuttavia, si registra l’eccezione dell’accostamento di due va-

rianti, esplicitamente dichiarato dalla dicitura «d’altro mo-

do» aggiunta alla seconda versione. In quest’ultima

l’impianto risulta semplificato, forse in ragione

dell’organico effettivo che la ebbe in repertorio, ma di sicu-

ro a vantaggio del plot centrale, tra i più famosi delle scene

dell’Arte: un uomo e una donna, perdutisi durante una fuga

d’amore, si ritrovano sotto mentite spoglie—e attribuendo

l’uno all’altro la colpa di quanto accaduto—al servizio dello

stesso padrone, un vecchio mercante prodigo e facoltoso, la cui insana generosità consente al giovane innamorato di

consumare una vendetta eccessiva e ingiustificata che si ri-

torce contro il suo stesso benefattore, fino al sospirato chia-

rimento e al matrimonio dei due amanti. È probabile che il

successo di questa trama sia da ascriversi non soltanto alle

aperture moralistiche suggerite dagli esiti dell’intreccio (il

valore e i limiti della disponibilità verso il prossimo, la ven-

detta come momento irrazionale e cieco dell’agire umano, le

insidie dell’adulazione e dell’ipocrisia48

), ma anche

all’esaltazione del gusto per il sovvertimento teatrale, con

Pulcinella/Arlecchino nei panni dell’anziano protagonista,

mortificato dai dispetti e dagli atteggiamenti dei suoi dipen-denti, gli innamorati nel ruolo dei servi, con tutte le con-

10 Capitolo primo

traddizioni possibili (e lui per di più costretto a immedesi-

marsi nella bruta e risibile spavalderia di un improbabile

Basalisco, Capitano in disgrazia), le figure dei comprimari

complici—volontari o involontari—degli equivoci entro e

fuori la scena. Anche in questa circostanza i due testi tradi-

scono una diversa distribuzione degli “effetti” tematici nello

spettacolo, un sapiente dosaggio in vista di un equilibrio complessivo, come può desumersi già dal confronto delle

prime sequenze.

Atto Primo Scena prima Policinella e Spinetta

Da casa, facendo allegrezza per una lite guadagnata; Spinetta si rallegra, e doppo lazzi Policinella parte, Spinetta resta e si la-

gna della fortuna per esser divenuta serva per trovare a Lelio, e fatta scena entra […]

Scena 4 Capitano solo Sopra l’amore di Spinetta, e volerla domandare a Policinella; in questo

Scena 5 Policinella e detto Ode dal Capitano che vorrebbe Spinetta, Policinella con molti lazzi glie la niega, quello lo minaccia e parte, Policinella per voler trovar qualche bravo, e per andare alla posta via

Scena 6 Lelio solo Da pitocco fa sua narrativa sopra di Flaminia, e che per tal cau-sa sia ridotto così miserabile; in questo

Scena 7 Policinella e detto Con lettere havute alla posta, Lelio li fa li soliti lazzi colla stanga, poi fa il lazzo solito delle monete, e fatto più volte que-sto, Policinella li domand<a> il nome? quello dice chiamarsi Basalisco del Barnagasso, Policinella sempre fa suoi lazzi, poi

li domanda si vuol stare con lui? quello dice di sì, e poi colli soliti lazzi lo veste, e doppo Policinella per dar la nuova alla serva batte

Scena 8 Spinetta e detti Policinella li dice del servo pigliato, quelli si vedeno, fanno ammiratione, Policinella suoi lazzi, e dopo la solita scena de i nomi e doppo i soliti lazzi, Policinella entra in casa […].

Tra le entrate e le uscite dei vari personaggi il racconto

verte sull’incontro di Flaminia e Lelio, i cui monologhi ten-

dono a corrispondersi in attesa che Pulcinella li costringa ad

un’insostenibile coabitazione, senza tuttavia rivelare più del

necessario per destare la complicità del pubblico (solo al

termine provvederanno «a conoscere la puntualità d’ambe-

due, facendo racconto ad invicem, come si sperderno per

l’assalto de masnadieri doppo la fuga dalla padria» - a. III);

si introduce contemporaneamente il motivo della rivalità

amorosa tra Lelio e il Capitano, quasi a fornire un pretesto—

attraverso le minacce dell’uomo respinto—alle paure del

vecchio Policinella e alla sua ricerca di un altro servitore.

Nella seconda versione il ritmo sembra rallentare in dialoghi

più distesi e dettagliati:

Atto primo scena prima Policinella e Fidalma Sopra del bon servire, Policinella lamentandosi, et essa scusan-

dosi, come anche si lamenta Policinella del moschito dell’amanti che ragirano sotto la sua casa, essa sue discolpe, come anche non potere esser sola a servire, Policinella voler pigliare un servidore che sia bravo, e per andare alla posta par-

te, resta Cintia lamentandosi della fortuna, che sotto finto nome l’ha indotta a servire, poiché, mentre se ne fuggiva con Alfonso suo inamorato, furno assaliti da masnadieri, e si disperse dall’amante, publica sue qualità e padria, e via.

Di sicuro questo attacco ricorda più da vicino la corri-

spondente memoria biancolelliana del Basilisco de Berna-

gasso ou Le Dragon de Moscovie del suo Scénario,49 con

uno scambio di battute tra padrone e serva che accentua la

bonarietà burbera ma superficiale del vecchio e l’inade-

guatezza della gentildonna nel ruolo di una maldestra—e

desiderata—fantesca. Segue dunque l’apparizione dell’eter-

no rivale:

Scena 2 Don Consalvo e Covello

Doppo scena di braùra e lazzi soliti palesa a Covello l’amore di

Fidalma, e doppo scena batteno

Scena 3 Fidalma e detti

Fidalma lo scaccia, et entra, Covello lo consulta a cercarla a

Policinella, quello dice haverlo fatto più volte, et havergliela

negata, concludeno d’andar con Bravi e farsela dare per forza,

e via

alla quale si contrappone un felice affaire:

Scena 4 Giangurgolo solo

L’amore di Fravoletta, e batte Scena 5 Fravoletta e detto

Scena amorosa, e via

per poi ritornare al motivo conduttore dell’intera pièce:

Scena 6 Alfonso solo

Tutto lacero, discorre di sue miserie e disgrazie, e come fu as-

salito da masnadieri mentre se ne fuggiva con Cintia, suppo-

nendo esserno stati amanti di quella, giaché poi <n>on la trovò

dove lasciolla, dichiara sua qualità e padria, e dice non haver

modo da vivere; in questo

Scena 7 Policinella e detto

Con lettere della posta, mentre vuol leggere l’elemosina non

s’accorge d’Alfonso, quale doppo lazzi li cerca l’elemosina, e

fanno la scena di questo ad un par mio, si replica questa scena

più volte, e termina colla borsa delli venti docati. Alfonso fa li

soliti lazzi del misero tornese e li restituisce la borsa, Policinel-

la, ammirato di questo, li dice se vuol stare con esso, e come si

chiama? lui risponde di sì, e chiamarsi Basalisco del Barnagas-

so; Policinella li domanda se si fida fare il bravo? e lui fa la

scena della bile quando li salta, poi Basalisco lo veste, e doppo

vestito Policinella batte […].

Le spiegazioni dello smarrimento iniziale della

coppia sono quindi anticipate al principio della narrazione: i

discorsi dei due innamorati devono a questo punto corri-

spondersi nei minimi particolari, ed il loro ritrovarsi non

sortirà alcun effetto di sorpresa, ma darà spazio ad un risen-

timento assolutamente ineludibile nella loro presentazione,

momento di autentica incandescenza teatrale:

Proposte per una lettura e interpretazione 11

Scena 8 Fidalma e detti Policinella li dice haver preso un servo e bravo insieme, quella si maraviglia di veder Policinella vestito in quel modo, poi, fat-

ti lazzi, Policinella li mostra Basalisco, quelli maravigliati si ri-conoscono e fanno scena di rabbia e lazzi in secreto, poi essa dice a Policinella che quel servo li pare un birbante, che ne lo mandi, quello si sdegna e fa il lazzo della bile, Polcinella lo placa, doppo fanno la scena de i nomi replicandosi il lazzo del-la bile, in fine Basalisco appoggiando Fidalma la porta in casa, facendo loro sdegni, doppo ne porta Policinella appoggiandolo, e via.

È evidente come la seconda versione intensifichi il

motivo dello scontro, della vendetta, insista sulla precisa

caratterizzazione dei personaggi e, soprattutto, sul ritmo av-

volgente delle tensioni di cui è ignaro e farà le spese il solo

Pulcinella. Forse per questo motivo si ridimensiona la satira

pedantesca del Notaio (nel primo Basilisco il conflitto di

competenza tra i due esperti è un segmento di ilarità esaspe-

rante per lo sfortunato mercante) e si riequilibrano le svolte

narrative della trama. Il particolare più interessante, tuttavia,

consiste nel fatto che l’amplificazione illustrativa non elimi-

na quegli elementi di formularità così tipici dei canovacci

(«doppo lazzi», «fatti lazzi», «scena di braùra», «scena di

rabbia»), ma li integra in un tessuto informativo dove al

prevalere di un’analisi a posteriori dello spettacolo si oppo-

ne la persuasione di una loro duratura funzionalità. Ancor

più enigmatico forse è il primo dei canovacci con la ripetuta

indicazione dell’aggettivo “soliti” accanto agli elementi pre-

costituiti del fare scenico, che non esclude la puntualizza-

zione di alcuni tratti essenziali al progresso dell’azione,

mentre nella sequenza a tre fra Fidalma, Alfonso/Basilisco e

Pulcinella il concetto stesso di lazzo appare più sfumato e

complesso: a quelli cui è riservata una notazione generica e

transitoria si aggiungono azioni circoscritte per significato

ed estensione e comunque legate ad un bagaglio professio-

nale assolutamente scontato. Esiste dunque una precisa gra-

dualità nell’intervento attorico che si nasconde dietro queste

locuzioni canoniche, non rare lungo tutto lo zibaldone ma

comunque presenti solo se compatibili con gli sviluppi della

trama; le scene «di disperazione», «di prega e scaccia», «a-

morose» costituiscono il livello minimo di contribuzione da

parte dell’autore di un plot, ma, paradossalmente rispetto

all’evidente portato tecnicistico, sono anche i migliori punti

di fuga dell’impianto recitativo verso la declamazione con-

cettosa, il virtuosismo letterario, l’alchimia dei rimandi e

delle citazioni, quei luoghi “generici” avulsi da un altro con-

testo che non sia un’elementare situazione affettiva, che

«deludono» la ricerca del teatro,50 dove al drammaturgo su-

bentra l’attore-letterato colto, riflessivo, ammiccante: stasi

ritmiche, se si guarda al complesso della vicenda, vittime ad

un tempo—all’interno degli scenari—della latitanza di qual-

siasi organizzazione sintattico-spettacolare e—nell’esecu-

zione—di un formalismo che attinge molto del suo prestigio

ad una perizia extra-scenica. Qualche esempio:

Poppea colcata e Nerone l’amoreggia, fanno scena amorosa a loro gu-

sto […] (Nerone imperadore - ii/68, a. I).

oppure

Scena 2 Policinella e Rosetta Fatt<a> scena amorosa e lazzi Rosetta li narra il contrasto col

marito, e volersene fuggire assieme, <P>olicinella li parla all’orecchio, e via, quella in casa

Scena 3 Gratiano e Coviello La solita scena di memoria, e via (Covello cornuto - i/51, a. I)

o ancora

Scena 4 Eurilla e Claudio

In disparte, poi si vedeno, fanno scena amorosa […] (Le stra-vaganze d’amore - i/52, a. IV).

Molto più aderenti al dettato della recitazione le brevi i-

terazioni che suggeriscono altrettante corrispondenze di

tempi e spazi nella rappresentazione, come accade parossi-

sticamente ne L’Hospedale de pazzi (i/53):

Scena 8 Silvio e Covello

Silvio da historiaro vendendo historie, Covello domanda che historia tenga, Silvio risponde l’istoria di Covello, quelli fatti lazzi volerla sentire, e Silvio li legge la sua historia con dirne male, Covello straccia l’istoria, e via, Silvio resta; in questo

Scena 9 Magnifico e Silvio Si fa appunto la medesima scena, leggendo l’istoria del Magni-fico con dirne male, Magnifico straccia l’istoria, e via, Silvio

resta; in questo Scena 10 Dottore e Silvio

Si fa l’istessa scena dicendo male del Dottore, quale straccia l’istoria, e via, Silvio resta; in questo

Scena 11 Policinella e Silvio Si fa l’istessa scena dicendo male di Policinella, quale straccia l’istoria, e via, Silvio resta; in questo

Scena 12 Flaminia e Silvio

Si fa la medesima scena, Silvio li legge l’istoria […] (a. III).

In fondo, sono tutti trucchi di una sintesi impossibile tra

quel che è stato una volta e quel che potrebbe essere ancora,

alla quale questi scenari progressivamente rinunciano, tra

disagi critici e propositivi e un senso imperante di sconfitta.

4. La tentazione del testo. Un’ipotesi sulla raccolta

La perenne ricerca di un equilibrio tra la libertà creativa

dell’attore e la logica pur sempre imposta dalla fabula si e-

sprime dunque in una estrema varietà di soluzioni stilistiche

e verbali, che la stesura di uno scenario da una parte vanifi-

ca per l’adozione di un punto di vista privilegiato, dall’altra

rilancia in una prospettiva di continua revisione. In questa

forte oscillazione tendono comunque a omologarsi le più

disparate esperienze della scena, generi anche distanti che

12 Capitolo primo

proprio nella cifra di un laborioso metodo professionale tro-

vano un loro centro di gravità ed effettive possibilità di o-

smosi. I canovacci della raccolta Casamarciano rilevano il

diverso retroterra culturale di queste trame, nel numero e

nella sontuosità delle “apparenze” (il celebre Comvitato di

pietra, ii/47, ne vanta ben dodici tra «Camera del Re di Na-

poli», «Bosco e mare con tempesta», «Città di Castiglia»,

«Campagnia con tempio di lutto et apparato di lutto»), nel

ricorso più o meno accentuato al discorso diretto, alla battu-

ta icastica che riassume felicemente il Leitmotiv di una pièce

(si pensi ai “tormentoni” di Covello ne Gl’intrichi di Covel-

lo per la moglie, i/50, e di Floridaura ne L’oggetto odiato,

i/27) o nella resa complessa e sofisticata del racconto e

dell’esposizione. Ai poli opposti di quest’ampia possibilità

espressiva si collocano da un lato la snellezza e agilità

dell’impianto farsesco, attestate ad esempio da Covello cor-

nuto (i/51), Covello traditore del padrone (i/38), Aquidotto

(ii/4), Medaglia (ii/8), Grancio (ii/12), dove le risorse inter-

pretative sono filtrate in passaggi alquanto veloci e taglienti

da una sequenza all’altra, dall’altro il resoconto particola-

reggiato dell’azione nei suoi sottintesi e risvolti interperso-

nali, come in Amore et honore di Ramidoro (i/89):

Scena 4 Gratiano e Coviello, e Ramidoro da parte Coviello in veder Graziano se li fa avanti dicendoli: «Per amor

del cielo aiutatemi», Ramidoro, havendo osservato da parte che quello è Graziano suo amico, con furia va contro Coviello, di-cendoli che non serve a chiedere aiuto, perché in tutti i modi lo vuole uccidere, Graziano riconosce Ramidoro, lo chiama a no-me, e lo tiene, acciò non dia a Coviello, quale resta attonito, Ramidoro fa violenza per volerlo ammazzare, Graziano li do-manda che cosa li habbia fatto, Coviello vuol dire il concertato dell’elemosina, Ramidoro non gli dà tempo di parlare, inter-

rompendolo sempre, Graziano mette pace, riprende Coviello e placa Ramidoro, col quale si rallegra d’haverlo trovato al suo casino, dicendo Graziano esser venuto a visitare Rosalba, che si ritrova in villa, Ramidoro, fatte alcune interrogazioni di Ro-salba a Graziano, senza però mostrare affettazione, invita detto Graziano al suo casino a pranzo, Graziano dopo cerimonie ac-cetta, Coviello suoi lazzi, Graziano dice che vuole andare a vi-sitare Rosalba, e che poi tornarà, e facendo cerimonie parte, re-

stano Ramidoro e Coviello, quale sta colle spalle al muro, co-me estatico, Ramidoro chiede perdono a Coviello, con dirli che non sapeva in che altro modo rimediare un accidente simile, mentre che non si era accorto che quello era Graziano, e che sarebbe stato suo smacco il vedersi che un suo servitore chie-desse l’elemosina, Coviello suoi lazzi sopra il dare da pranzo a Graziano, e ride contrafacendo Ramidoro, quale si raccomanda che vada attorno a questi villaggi accattando, Coviello ricusa,

per non haver quadrini, e li dice che venda li dui ritratti che tie-ne in casa, giaché non vi è rimasto altro, Ramidoro voler più tosto morirsi di fame, poiché quelli ritratti uno è di Rosalba sua amata e l’altro è di sua sorella, che conserva per memoria, Co-viello ostinato entra in casa per pigliare i ritratti, e Ramidoro pregandolo lo siegue (a. I).

Paulo maiora canamus. La dovizia di elementi for-

niti a sostegno della ricostruzione teatrale non è casuale, né

rientra in una generica propensione alla prolissità, se si con-

sidera che il brano offre bagliori di sintesi e di brevi richia-

mi se non altro alle premesse della vicenda; presuppone

piuttosto l’alto profilo dell’ispirazione, basata su motivi di

nobilissima ascendenza letteraria, la dimensione socio-

culturale dell’onore e delle convenienze aristocratiche, e-

semplificate nel gesto e nella spiegazione, mentre invoca

una performance misuratissima nella sua doppia finzione

(«Ramidoro, fatte alcune interrogazioni di Rosalba a Gra-

ziano, senza però mostrare affettazione, invita detto Grazia-

no al suo casino a pranzo») e l’esibizione di una sottile

complicità fra padrone e servo. Il testo elaborato sorregge

una più forte “invenzione” drammatica, ed un tessuto verba-

le meno frettoloso e convenzionale sottintende

un’articolazione scenica da cui emerga un maggiore spesso-

re concettuale, come nei Sette infanti del Ara (ii/57):

Trombe e tamburi e gridi di dentro: «Viva Lisardo»; in questo Lisardo portando in mano ‘l preggio aqquistato

della canna, rallegrandosi della aqqui-stata vittoria; in questo

Donna Alambra si rallegra dell’ottenuta vittoria del ne-pote, complimentano Lisardo, quale, ponendoli il preggio ottenuto a suoi piè, dice: «Sia suo l’honore, se in suo nome ha vinto»; in questo

Si suona e si grida da dentro: «Viva Gonsadiglio» […] (a. I)

o nel Conte di Esex (ii/64):

Pollicinella con lazzi saluta la Regina, dice esser venuti dal campo, lei che venghi il padrone; in que-

sto Conte con sciarpa al braccio, riverisce la Regina, li

dà parte dell’ottenuta vittoria, e che sono li-beri i confini dall’esercito nemico, lei si ac-corge della sciarpa, ed a parte fa suoi affetti, che il Conte la liberò la notte, li chiede quan-do era stata la sua venuta? e se la banda era dono di qualche donna? lui che l’era stata

data per fasciarsi una lieve ferita alla sua ma-no, Regina a parte fa affetti d’amore, ordina che si spedischi la cedula al Conte di grande almirante del regnio e che si ponghino in or-dine le feste per il trionfo del ottenuta vitto-ria, dà la cedula al Conte, e dice che vadi a riposarsi, e con dialogo scende dal trono, e partono […] (a. I).

Scrive Perrucci che «il soggetto non è altro che una tes-

situra delle scene sopra un argomento formato, dove in

compendio si accenna un’azzione che deve dirsi e farsi dal

recitante all’improvviso, distinguendosi per atti e per sce-

ne»,51 con specifica allusione al fondamentale «discifrarsi»52

dell’esperto: una definizione tecnico-didascalica, che tutta-

via tace sui modi e sugli estremi di questa concentrazione

Proposte per una lettura e interpretazione 13

illustrativa. I canovacci dello zibaldone Casamarciano si

muovono proprio nell’assenza di questo dato precettivo,

percorrendo in lungo e in largo le inesauribili alchimie di

formule, stilemi, accorgimenti linguistici, metabolizzando

spunti e repertori in una pratica di allestimento e concerta-

zione saggiamente elastica, documentando una varietà spet-

tacolare legata ai circuiti più disparati e alle più divergenti

finalità. In questo fantastico excursus non v’è alcuna tensio-

ne normativa, alcuna predilezione per un modello che sia

autentico tramite di un’esperienza tra minima premeditazio-

ne e scrittura teatrale, ma sembra comunque farsi strada una

difficile presa di coscienza. Negli stessi anni in cui a Napoli

Sersale radunava e trascriveva quei compendi di “comedie,

ed opere bellissime”, il trattato Dell’arte rappresentativa

premeditata, ed all’improvviso provava ad assorbire e rifun-

zionalizzare per una nuova cultura della scena il sapere che

generazioni di comici avevano accumulato e trasmesso nel

segreto della loro faticosa routine;53 il recupero di una cre-

dibilità nel linguaggio del teatro era affidato dalla formazio-

ne pittorica di Andrea Belvedere ad una ritrovata misura

scenografico-letteraria;54 nell’ambito di una diffusa reazione

antispagnoleggiante Niccolò Amenta ribadiva l’esigenza di

un solido gusto ed orientamento intellettuale per una dram-

maturgia comunque attendibile sul piano esecutivo55 e il Li-

veri trasferiva nella cura dell’evento un accorto lavoro di

preparazione artistica, individuale e collettivo.56 L’eclet-

tismo antologico, la pluralità di metodi redazionali, lo

sguardo costantemente rivolto ad una professionalità “ester-

na” ma implicita nella stessa concezione di quegli inquietan-

ti tracciati della memoria e dell’immaginazione che sono i

soggetti all’impronto confermano il privilegio accordato alla

scena in un processo di valorizzazione della comunicazione

drammatica, ma al tempo stesso scoprono l’inadeguatezza

del canovaccio a farsi cifra universale di spettacolo, la con-

traddittorietà di una tendenza sperimentale in cui quanto più

il dettato si orienta verso la complessità di una scelta poetica

o di un’idea interpretativa per fissarne valore e contenuti,

tanto più acquisisce elementari connotazioni letterarie che

minano la libertà elusiva della recitazione, mentre la totale

adesione al tecnicismo dei comici finisce fatalmente con il

negare la vita palpitante, transeunte, mutevole

dell’improvvisazione. Quando Placido Adriani nel 1734

tornerà a raccontare delle trame e della retorica dell’Arte,

presenterà un organismo già infranto e cristallizzato, con-

scio di un progetto di conservazione amorevole ed erudita

nell’impatto con un mondo sensibilmente trasformato.57 Il

grandioso progetto del Sersale nasce forse da un malessere

ancora indistinto, dalle suggestioni malinconiche evocate

dal tramonto di un metodo originalmente eversivo, a cui si

oppone un impegno quantitativo lussureggiante; quel che

sembra decadere lentamente è la persuasione dell’auto-

sufficienza dell’attore nell’eterno dilemma del teatro, come

sopravvivere a se stesso e tramandarsi nella realtà del me-

stiere. Ed affiora il dubbio che la parola letteraria, l’orpello

gestito da un talento invisibile, un testo possano testimonia-

re la scena più e meglio di opache, mobili parvenze, che il

senso di una fuga autocelebrativa verso una riconosciuta di-

gnità culturale vada ricercato nei problemi e nella vitalità

convulsa ed instabile di quelle embrionali emozioni di spet-

tacolo.

14

Capitolo secondo

Annibale Sersale e le scene del suo tempo a Napoli

el panorama delle vicende teatrali a Napoli fra tardo

Seicento e primo Settecento, la collezione di sogget-

ti comici allestita dal Conte di Casamarciano costi-

tuisce forse la testimonianza più significativa—e più inquie-

tante—della vitalità controversa che sembra caratterizzare il

mondo dell’Arte nel suo complesso, tra segnali eloquenti di

affermazione e indizi di emarginazione socio-organizzativa.

Quel che nella prima metà del diciassettesimo secolo si pre-

figura come ampia divulgazione dei sistemi professionistici

nell’esercizio della scena e proficuo radicamento di nuovi,

ma efficaci metodi operativi58 si dissolve quasi e si frantuma

in un’operatività sommersa, silenziosa, che a tratti affiora a

ribadire sia la propria affinità genetica con un universo spet-

tacolare misero e degradato,59 sia l’intatto patrimonio di e-

nergia creativa e abilità tecnico-interpretative con cui si rin-

novano e si rilanciano temi e figure di una drammaturgia dal

respiro davvero europeo,60 sia le inestricabili contaminazio-

ni che la collegano alle più disparate forme di rappresenta-

zione nella vivace e policroma capitale del Viceregno spa-

gnolo.61 La prospettiva monumentale dello zibaldone, la di-

sparità delle fonti a cui attinge, la consistenza ed il carattere

composito dei materiali lasciano intuire una presenza diffusa

di quelle trame all’interno di un circuito teatrale vasto, ete-

rogeneo ed in costante trasformazione e ne avvalorano

l’indiscusso prestigio storico, ma rimangono termini sostan-

zialmente irrelati da una pratica documentabile nei suoi a-

spetti minuti, occasioni sceniche, tempi, luoghi, personaggi

che suggeriscano coordinate di lettura e analisi di ogni sin-

golo testo e dell’operazione antologica globale.62 Di questo

laborioso retroterra—presupposto necessario ad un impegno

redazionale così rilevante, debolmente illuminato dagli sce-

nari—nulla è dato sapere se non per via di ipotesi e conget-

ture, spesso mirate a ricomporre in un quadro unitario e in

una dimensione pluristilistica gli indizi superstiti di una sta-

gione intricata e oscura.

Speculare ai destini tortuosi della commedia improvvisa

è per molti versi il profilo biografico di Annibale Sersale,

artefice e promotore di un corpus testuale che esclude inte-

ressi saltuari ed episodici per lo spettacolo ed anzi confer-

merebbe il sospetto di un ruolo effettivo a contatto con atto-

ri, impresari, compagnie nelle forme più disparate, dall'ela-

borazione di scritture al mecenatismo volenteroso, dal rap-

porto programmatico, professionale o dilettantesco, con o-

peratori del settore alle velleità individuali, isolate ed auto-

compiaciute, dell'appassionato cultore di cose teatrali. Eppu-

re, appaiono tuttora minime le tracce di una sua partecipa-

zione alle esperienze di una scena militante, affidate ad in-

terventi circoscritti e dichiaratamente mediati o a particolari

situazioni della sua vita privata in sé scarsamente eloquenti,

ma tali da evocare ombre e fantasmi di uno straordinario

milieu artistico travolto da un equivoco oblio. Ed è probabi-

le che la sua ambiziosa tensione compilativa sia da intender-

si anche come unico, disperato antidoto al declino inesorabi-

le di un antico e rivoluzionario gusto rappresentativo.63

Sebbene numerose, le notizie reperite sul conte di Casa-

marciano (nato il 13 gennaio 1659) restituiscono sì un qua-

dro patrimoniale alquanto dettagliato, e correggono alcune

indicazioni fornite da Benedetto Croce al termine delle sue

ricognizioni archivistiche sul finire dell'Ottocento (soprat-

tutto in margine agli interessi finanziari e alle competenze

giurisdizionali in territorio nolano), ma risultano in larga

parte accessorie rispetto a quell'immagine di uomo di teatro

che la raccolta lascia presagire. Le ragioni e le mire dello

zibaldone rimangono tuttora affidate alle dinamiche di un

contesto vario e mutevole, cui rinviano sporadici segnali

emersi dallo spoglio delle carte notarili dell'Archivio di Sta-

to di Napoli e dalle polizze degli antichi banchi partenopei.

Si tratta di tasselli minimi, punti di fuga verso una realtà in-

candescente che consentono di ipotizzare intrecci e connes-

N

Annibale Sersale e le scene del suo tempo a Napoli 15

sioni tra la pratica della scena che si riflette nella collezione

e quel che accadeva nel mondo dello spettacolo coevo.64

Un primo dato significativo è offerto dall'ubicazione del-

la sua residenza nella capitale, «un Palazzo grande in più, e

diversi membri», come recita un documento del 1708. Ful-

cro della vita sociale del Conte di Casamarciano risulta sia

stato quel vicolo della Lava situato nelle immediate adia-

cenze dei Tribunali, centro tumultuoso di traffici e contatti,

che tanta parte avrebbe avuto nel contesto della spettacolari-

tà partenopea, vero e proprio avamposto di un’attitudine

sperimentale fiera e disinvolta mirabilmente fondata sulla

fluidità dei livelli poetico-espressivi che la capitale, in un

sistema pressoché illimitato di opzioni, avrebbe consentito

ancora a lungo. In una singolare coesistenza di lussuose re-

sidenze nobiliari, antichi conventi e scandalosi commerci

privati su cui si appuntavano, periodicamente ma senza ef-

fetti duraturi, gli strali delle ordinanze vicereali,65

maturaro-

no esperienze destinate a sovvertire e ad integrare,

nell’ottica trionfante dell’autoctonia comica, le vicende del-

la scena europea. L’area avrebbe avuto un teatro stabile, la

Pace, solo a partire dal 1723 (ma è sintomatico del suo pe-

culiare radicamento territoriale il fatto che continuasse ad

essere designato in prevalenza con l’indicazione di “Teatro

della Lava”), in una fase di grandi fermenti architettonici,

letterari, musicali; più che un “nuovo” spazio, sarebbe stato

l’esito di un’insolita trasformazione di un’aula aristocratica

da luogo riservato a struttura pubblica, da gestire secondo i

criteri affaristico-diplomatici del moderno impresariato.

Tuttavia, sin dalle prime stagioni, la sala avrebbe tradito

l’“irregolarità” della propria vocazione ad essere ribalta

permanente, ispirandosi per la sua programmazione ad uno

spiccato eclettismo e accogliendo in rapida successione ge-

neri che contestualmente subivano un processo di profonda

e ambigua differenziazione. Verosimilmente, questo tenace

rifiuto di ogni specializzazione fu una scelta rischiosa ma

coerente con i percorsi eccentrici e multiformi di una tradi-

zione locale flebile e remota.66

Domenico Danese «il Tabarino»,67 Antonio Fiorile, Lo-

renzo Amabile, Francesco Manfredi furono i capocomici a

cui si affidò inizialmente il compito di promuovere il teatro

nel circuito cittadino. I documenti parlano genericamente di

«commedie pubbliche»,68 «opere in musica e comedie

all’impronto e premeditate»:69 con essi tornò in auge un an-

tico repertorio secondo indistinte accezioni che ben rifletto-

no l’esaustiva ricognizione antologica dello zibaldone. Tra

1724 e 1725 la Pace conobbe il suo momento di gloria:

l’esordio ufficiale con La mogliere fedele aprì una breve se-

rie di successi che ribadirono la funzionalità e il gradimento

dell’opera buffa ma non seppero decretarne la supremazia

tra le varie attività di spettacolo. Il cast rivela una fitta circo-

lazione di maestranze tra i luoghi di produzione scenica, non

senza il sospetto che dietro alcune figure si celino interpreti

sottratti eccezionalmente all’anonimato dell’Arte, secondo

una consuetudine del tempo che, accanto alle compagini

d’opera, prevedeva l’ingaggio di «compagnie di istrioni»:70

qui più che altrove la concessione alla moda trionfante della

«commedia pe’ mmuseca» lascerebbe ipotizzare, oltre

l’apparente frammentarietà del discorso organizzativo, una

continuità con i metodi dell’improvvisazione ancora sor-

prendentemente, e silenziosamente, attivi tra le quinte di a-

stute e brillanti metamorfosi e riconversioni.71 Una continui-

tà che potrebbe intendersi anche come conservazione di col-

laudati schemi relazionali e consociativi, a cui si deve forse

l’iniziativa di un gruppo di artisti impegnatisi per contratto

ancora nel 1725 a «fare cinque opere in Musica in lingua

Napoletana» fino al Carnevale del 1727.72 Sopravviveva co-

sì quel tendenziale conferimento dell’autorità impresariale

ad esponenti del mondo attorico che l’evolversi

dell’economia e della cultura teatrale provvedeva a dichiara-

re inattuale e macchinoso; è questo, forse, il tributo più alto

che la nuova istituzione pagò alle più autentiche e segrete

ragioni della sua origine e della sua dislocazione.

Fu l’inizio di un processo irreversibile, in cui al consueto

alternarsi di forme spettacolari dissimili per livello e intona-

zione (tra cui i «bambocci» esibitisi anche a Roma presso

l’«Eminentissimo Pamphili»)73 si contrappose la vibrata e

sospetta protesta di un microcosmo agguerrito e ostinato.

Contro le ripetute proteste del proprietario Tiberio Carafa

Principe di Chiusano, autorevole personaggio della Napoli

vicereale,74 le inibizioni promulgate dall’Udienza Generale

dell’Esercito, responsabile governativo del settore teatrale,

furono sollecitate a più riprese da vari detrattori, non di rado

alludendo ai disordini e agli scandali di rappresentazioni di

dubbio gusto o moralmente esecrabili (si pensi alle reazioni

che suscitò il Martirio del glorioso San Gennaro o alle pale-

si ostilità del vicino Monastero di Nostra Signora de’ Sette

Dolori).75 Negli anni Trenta del diciottesimo secolo piccole

società rilevarono l’impresa, e in quello stesso periodo la

Pace divenne regno delle commedie di Pietro Trinchera e di

Bernardo Saddumene, a suggello della fedeltà che la lettera-

tura drammatica settecentesca napoletana mostrò verso im-

magini e contenuti dell’Arte. La sua chiusura definitiva in-

torno al 1750 avrebbe segnato il tramonto di un’epoca, il

dissolversi di una cultura della scena contraddistinta non

soltanto dalla pluralità di linguaggi ma dalla radicata persu-

asione in un’osmosi costante fra stili, caratteri, competenze,

centri produttivi, realtà materiali e convenzioni poetiche.76

D’altronde, anche sul piano topografico, il vicolo della

Lava finì con l’assumere connotazioni simboliche nella Na-

poli di tardo Seicento, crocevia di un itinerario per i luoghi

dell’effimero all’estremo confine tra un nucleo urbano tem-

pio di una spettacolarità riconosciuta e le pittoresche pro-

paggini di un costume di difficile omologazione. Non era

distante il quartiere della Duchesca, sede di un esperimento

commerciale ormai divenuto esemplare dell’impatto morale

rovinoso che il professionismo comico ai suoi albori ebbe

sul tessuto sociale;77 poco lontano, fuori le mura presso Por-

ta Capuana, sorgevano ribalte stabili o temporanee (queste

16 Capitolo secondo

ultime meta di piacevoli trasferte estive), tutt’altro che isola-

te rispetto al circuito maggioritario e spesso meno provviso-

rie delle “stanze” più accorsate.78 Le attività e il repertorio

delle compagnie che vi agivano rimangono sconosciuti, co-

me sconosciuti—tranne rare eccezioni—sono i nomi degli

interpreti, ma le scarne fonti posteriori che continuano a do-

cumentarne l’esistenza suggeriscono un precoce adegua-

mento di queste imprese al regime della formalizzazione

notarile, l’estendersi di procedure contrattuali che ne assimi-

lano la puntualità e l’impegno di allestimento alle strutture

principali del sistema.79 Più noto, e da sempre polo di ag-

gregazione di una teatralità “bassa” (al punto da risultare

quasi suo scenario esclusivo nella memoria storica)80 era il

Largo del Castello, spazio deputato ad attrazioni di ogni sor-

ta, ciarlatani, imbonitori, “mestieri mostruosi”, dove in real-

tà potevano meglio cogliersi il legame e il divario tra le esi-

bizioni grossolane e rudimentali dei saltimbanchi e la con-

clamata maestria dei «commedianti». Il talento critico-

aneddotico di Croce ha restituito il fascino sinistro di questo

clima frenetico e allettante, facendo eco agli sdegni estetico-

moraleggianti di Andrea Perrucci81 ed insistendo su alcuni

eventi parossistici che ritraessero lo spirito di quella varia e

brulicante umanità: sono rimaste famose le bravure mimiche

e argomentative del savoiardo “Tabarrino” nella vendita del-

le sue mercanzie82 e l’agitarsi convulso del predicatore che

volle sfidare l’attenzione dell’uditorio con un provocatorio

paragone tra Cristo e Pulcinella, primo esplicito riconosci-

mento di una valenza escatologica della maschera.83 Sfugge

tuttavia ad un interesse colorito, tutto assorto nella disamina

di un mondo variopinto e di un rutilante genius loci, un dato

essenziale all’intelligenza del fenomeno, ovvero che la pra-

tica spettacolare così articolata e difforme che si consumava

a ridosso dell’antico baluardo rientrava comunque nei con-

trolli minuziosi non tanto della vigilanza di stato, quanto dei

Governatori della Casa Santa degli Incurabili, autorizzati dai

provvedimenti regi in materia a riscuotere una forte percen-

tuale sugli utili realizzati da ogni forma di intrattenimento

pubblico.84 Non è un caso che negli appalti del ius reprae-

sentandi di tardo Seicento, in modo irregolare e con locu-

zioni mai vaghe, vi sia menzione del Largo del Castello tra

le voci degli eventuali proventi per il contraente, a conferma

della redditività dell’area e della sorveglianza periodica da

effettuare sugli avventori, mentre ogni riferimento tende a

scomparire nelle scritture primo-settecentesche, quasi a re-

gistrare la progressiva e mai compiuta emancipazione di una

teatralità perfettamente integrata nei ritmi e nelle consuetu-

dini urbane dall’universo magmatico dell’eversione e

dell’irruenza comica. Disseminati lungo un arco cronologico

secolare, gli squarci improvvisi che si aprono sulle vicissi-

tudini artistiche di questa realtà incandescente illuminano

un’inafferrabile alacrità organizzativa: convenzioni che inte-

ressano maestranze tecniche tra ragioni commerciali ed esi-

genze di scena;85 accordi tra professionisti isolati che sem-

brano perpetuare gli slanci primordiali dell’“impresa bellis-

sima e pericolosa”;86 compromessi di affaristi sulla giurisdi-

zione del luogo;87 speculazioni meditate che rinviano ad una

nozione di spettacolo quanto mai estesa e spregiudicata.88 Se

il Largo del Castello—con la zona di Porta Capuana—

sopravvisse alla burocratizzazione della macchina teatrale

durante il Viceregno austriaco, fu perché ne accettò la logica

di subordinazione ad un sistema progettualmente pluralisti-

co e armonioso, facendosi spazio alternativo al prestigio

crescente delle sale permanenti, e, come sarebbe stato per le

compagnie di Girolamo Medebach e Domenico Antonio Di

Fiore,89 passaggio obbligato o complementare di troupes

accreditate verso la grande avventura nella capitale.

Nel suo ampio spettro drammaturgico lo zibaldone del

Casamarciano conserva memoria dell’evolversi socio-

qualitativo dell’Arte da embrionale industria del divertimen-

to a compiuta ed autoconsapevole manifestazione culturale,

nei soggetti che ruotano intorno ad uno sketch che è già su-

blimazione del reale (e si pensi al celebre Cava denti - i/93)

o nel gioco di travestimenti e finzioni che richiama la viva-

cità irredenta dei mestieranti all’aperto. È, questo, un ulte-

riore elemento di suggestione che la raccolta offre nel suo

rilievo quantitativo, quasi a far balenare, nell’evidenza della

molteplicità dei materiali, una coscienza del teatro improv-

viso non mediocre. Tuttavia, dell’operosa officina redazio-

nale che, stando alla data di uno dei due frontespizi, si attivò

sullo scorcio del diciassettesimo secolo, non v’è traccia nel-

le carte coeve del Sersale, tutte inerenti a questioni patrimo-

niali o ad annose vertenze in margine alle disposizioni eredi-

tarie dei suoi antenati, a debiti contratti ed estinti grazie

all'intervento garante della moglie o ai vitalizi da assegnare

alla figlia, Eleonora, futura monaca professa nel Monastero

di Santa Maria del Soccorso. Del 1689, invece, è l’unica no-

tizia reperita su Antonino Passanti, stretto collaboratore del

Sersale nell’allestimento della raccolta: versò una polizza di

diciannove ducati e tre tarì a Maddalena de Cesare.90 Un si-

lenzio tanto più inquietante, se si considera che sempre al

Vicolo della Lava fervevano le principali novità in ambito

spettacolare: prima che i destini della produzione privata e

del circuito pubblico si sovrapponessero e si confondessero

nell’esperimento della Pace, in quell'area si realizzò un e-

vento che avrebbe riformulato i termini del rapporto tra la

nascente cultura melodrammatica ed il patrimonio di sa-

pienza scenica accumulato in secoli di improvvisazione, tra

la vivissima tradizione letteraria dialettale del napoletano e

le istanze creative di una perizia musicale attestata ai vari

livelli del sacro e del profano, del popolare e del colto.

A ben guardare, la messinscena de La Cilla «in lingua

napolitana» di Francesco Antonio Tullio e Michelangelo

Faggioli in casa di Tiberio Carafa Principe di Chiusano alla

presenza del viceré Conte Daun91

non ebbe in sé alcun ca-

rattere eccezionale; rientrava a pieno diritto nelle strategie

sperimentali di una committenza aggiornata ed esigente che

nella promozione teatrale univa al gusto per l’elegante di-

vertimento il piacere e l’obbligo di un’accorta autorappre-

Annibale Sersale e le scene del suo tempo a Napoli 17

sentazione sociale, e forse nell’occasione il tratto più signi-

ficativo era costituito dalla celebrazione del nuovo potere

absburgico presso un’aristocrazia sagace e impegnata. Pro-

prio per questo, però, l’episodio riveste un’importanza fon-

damentale, in quanto avvalorò e diede migliore dignità ad

una commistione di fattori linguistici, drammaturgici, com-

positivi che appartenevano tutti ad un fertilissimo terreno

d’incubazione, dove la ricchezza delle competenze indivi-

duali ed il dinamismo delle soluzioni espressive erano stati

da sempre requisiti professionali basilari. Quel genere non

era inedito: vi confluivano la funzionale ripartizione in ruoli

degli interpreti, incoraggiata e sorretta dalla vocalità perso-

nale, le antiche ascendenze canore—tra villanelle e canta-

te—di una dialettalità fortemente rilanciata, una certa ade-

sione realistica al mondo cittadino, gli esiti immediati della

riforma melodrammatica nel senso della massima coerenza

del tragico, l’humus farsesca di area meridionale e la vis

comica di attori educati alla versatilità nella comunicazione

scenica.92 Inedita era semmai la scoperta del suo valore pro-

positivo, l’assurgere alla continuità di una pratica esecutiva

per una contaminazione stilistica e poetica, che verosimil-

mente era da includersi tra le potenziali risorse di compa-

gnie in una situazione di crescente competitività e al cospet-

to di una platea esperta e facoltosa.

Tutt’altro che dilettantesca—nel senso vulgato del ter-

mine—era stata infatti, per tutto il Seicento, la spettacolarità

privata a Napoli.93 Già Croce intuì come, in linea con un

processo comune all’Europa intera, fu l’intensa attività di

case aristocratiche, monasteri, chiese, congregazioni, acca-

demie ad avviare la ripresa di un costante esercizio rappre-

sentativo tra gli avvenimenti culturali e le convenienze

mondane della capitale, prima che il sorgere di “stanze” di

commedia rivendicasse per sé spazi prioritari nell’offerta

teatrale.94 Può darsi, anzi, che i provvedimenti emanati dalle

autorità madrilene sullo scorcio del sedicesimo secolo (e

rimasti in vigore fino a Settecento inoltrato), miranti a ri-

convertire parzialmente gli utili delle pubbliche esibizioni al

fine di finanziare associazioni filantropiche, finissero con il

sostenere e migliorare l’efficienza e la duttilità di un circuito

alternativo, complementare ma mai antitetico alla regolare

programmazione delle sale permanenti, ed in fondo prospet-

tassero ad attori, musicisti e maestranze tutte un valido—e

più conveniente—bacino di assorbimento professionale, col-

legato ad una diretta contrattazione e non sottoposto a bal-

zelli onerosi e scoraggianti.95 Al vertice di questo mutevole

sistema mecenatistico era la Corte: per lungo tempo il Real

Palazzo ospitò con assiduità feste e celebrazioni, e l’uso di

allestire i melodrammi prima presso il Viceré, poi al San

Bartolomeo, il principale teatro cittadino, continuò a rendere

visibili le origini nobiliari, private dell’opera, offuscate dalla

sua rapida affermazione in campo imprenditoriale.96 Accan-

to a quel che si verificò per la «commedia pe’ museca»,

l’esempio consente di cogliere appieno il valore della com-

plessa dinamica che si manifestò in una miriade di occasioni

laiche e religiose, luttuose e liete, straordinarie e ricorrenti:

quello di proporre—o ridimensionare—lo spettacolo in un

cerimoniale sempre più sofisticato, ispirato ad una raffinata

simbologia dettata da fini politico-propagandistici, ma al

tempo stesso di non irrigidirne esasperatamente le forme,

mostrandosi sollecito alle potenzialità del settore e moven-

dosi in direzione di una costante riscrittura di codici e pro-

getti esecutivi.

Se tale fu il carattere del teatro privato a Napoli, non

sorprende che in quest’ambito si imposero e fiorirono le

principali novità artistiche, favorite inizialmente da un dilet-

tantismo che non ebbe nulla di approssimativo o imperito,

ma anzi fu veicolo privilegiato di educazione al linguaggio

della scena. Ad esso continuò a guardare idealmente, nel suo

prezioso trattato di fine secolo Dell’Arte rappresentativa

premeditata, ed all’improvviso, Andrea Perrucci, la cui car-

riera di letterato accademico e poeta al San Bartolomeo è

già di per sé indicativa di una stupefacente commistione di

livelli97 (esemplificata al massimo grado in quel gioiello di

coltissima dissimulazione popolare che è Il Vero Lume tra le

ombre ossia la Nascita del Verbo Umanato)98; all’interesse

per la produzione teatrale nei monasteri e nelle chiese si ri-

collega l’anomala e singolare Selva di concetti comici che il

benedettino Placido Adriani allestì intorno al 1734, tra le

ultime, inquietanti testimonianze dei repertori dell’Im-

provvisa in area meridionale;99 dal Collegio dei Nobili prese

le mosse Domenico Luigi Barone, Barone di Liveri, prota-

gonista assoluto nei primi anni del regno borbonico di un

apprezzato rinnovamento drammaturgico-interpretativo.100

Fu questi, soprattutto, epigono fortunato di una schiera di

valenti e appassionati cavalieri che per tutto il Seicento col-

tivarono il gusto dell’intrattenimento “magnifico” e “dilet-

tevole”, artefici spesso senza volto di una profonda sensibi-

lizzazione alle sottili suggestioni della comunicazione sce-

nica, come quel Giacomo Acquaviva promotore di opere

sacre durante la Quaresima del 1653 con gli attori Carlo de

Jorio e Orazio Battimello in forza al San Bartolomeo.101 Ben

presto però lo spazio organizzativo delle compagnie aristo-

cratiche fu insidiato da comici di professione, reclamati dal

Viceré o dai più alti esponenti del mondo nobiliare, e la

clausola di poter recitare «in case di particolari» entro certe

condizioni comparve nei loro contratti, a sancire

un’opportunità supplementare di lavoro per nulla trascurabi-

le in termini finanziari e autopromozionali.102 Il circuito pri-

vato si trovò quindi a moltiplicare luoghi e occasioni teatrali

in un tessuto variegato ma sostanzialmente omogeneo pro-

prio per le frequenti situazioni di scambio, concatenazione,

intreccio tra artisti e musici e, se non offrì continuità

nell’immediato e nel trascorrere delle stagioni, acquisì non

di rado, nelle sue intermittenti e ricercate epifanie, posizioni

avanguardistiche per la tensione innovatrice ad esso conge-

nita, che un pubblico ristretto e incuriosito mostrò di gradire

e assecondare.

18 Capitolo secondo

Accadde così che il teatro dei Palazzi, delle Chiese e dei

Conservatori rimase a lungo segnato dalla pluralità e

dall’alternanza dei generi drammatici (sia pur con l’evidente

predilezione per opere spirituali e autos sacramentales in

ambito ecclesiastico), al contrario di una attività pubblica in

cui le rade ma durature svolte programmatiche riaffermaro-

no di volta in volta la tendenza ad una specializzazione

nell’offerta spettacolare, riservando ad un’utenza più vasta

forme collaudate all’interno di rappresentazioni esclusive. Il

sistema raggiunse un equilibrio instabile e vorticoso, dove

all’esperienza autonoma di una fitta rete di centri, prestigiosi

o minori, si contrappose la scelta ponderata delle sale per-

manenti o delle istituzioni governative, attente a gestire gli

esiti di inesplorati patrimoni d’inventiva. La lunga militanza

fra cantate, oratori e melodrammi eseguiti in case aristocra-

tiche aprì spesso ai musici “di voce” e “di suono” le porte

della Real Cappella, approdo di una carriera che sarebbe

proseguita tra incarichi individuali e momenti ufficiali alla

luce di quell’indiscussa patente di nobiltà;103 i successi lette-

rari del d’Isa, di Castaldo e di altri autori coincisero proba-

bilmente con gli esordi di professionisti che avrebbero tro-

vato a Napoli una piazza tra le più complesse e autosuffi-

cienti d’Europa;104 generazioni di comici divisero il loro

soggiorno in città tra appalti presso i teatri pubblici e recite

private, spesso occasioni di contatto con le più aggiornate

riflessioni sull’arte e sulle esperienze drammaturgiche.105

Nel frontespizio di uno dei due manoscritti della raccolta

Casamarciano Sersale allude ad una “proprietà” dei soggetti

trascritti: potrebbe trattarsi di un’ambigua e velata dichiara-

zione di paternità per alcuni componimenti come della mera

annotazione del collezionista scrupoloso (né il dislivello sti-

listico e linguistico dei canovacci contribuisce a dirimere la

questione), ma sembra verosimile che l’intero progetto re-

dazionale sia maturato in questo clima di assidui rapporti

con esigenze di allestimento scenico, grazie ad incontri fre-

quenti con le compagnie che si avvicendavano nella capitale

o all’iniziativa di quelle «diece e più brigate di onesti citta-

dini, che si prendon piacere con sì nobile trattenimento».106

Di questa realtà accademico-virtuosistica tipicamente sei-

settecentesca, parallela e conforme alle vicissitudini di un

professionismo in ascesa, i testi riflettono il sottile discrimi-

ne tra teoria e pratica della scena, nonché la straordinaria

escursione tematica che si sedimenta secondo criteri di am-

pia selettività. Ad essa si richiamano—per altri versi—anche

i due componimenti celebrativi, vergati da altra mano con

tratto elegante, confluiti nel codice: appartengono alla più

consolidata tradizione poetica d'occasione, nel gusto di im-

magini preziose e nella predilezione per l'artificio espressivo

sorretto da una matrice lessicale scelta, altamente specializ-

zata.107

Se il profilo sociologico e lo spessore quantitativo della

dialettica teatrale pubblico-privato affiorano con notevole

chiarezza, non altrettanto può dirsi di interpreti e repertori,

su cui persistono ombre e silenzi, soprattutto per la seconda

metà del diciassettesimo secolo. Le cronache dell’epoca (i

giornali del Confuorto e del Fuidoro, ad esempio), come le

fonti d’archivio e gli Avvisi, sono per lo più estremamente

laconiche sui titoli che si rappresentavano sulle scene parte-

nopee: notizie più dettagliate sono desumibili dalle relazioni

festive superstiti, memorie di una dimensione spettacolare

non irrilevante per i suoi risvolti politici e non avulsa dal

generale contesto culturale.108 L’unica eccezione è data dalle

opere in musica eseguite al San Bartolomeo, dove libretti e

partiture tuttora reperibili restituiscono spesso informazioni

precise sugli allestimenti che si susseguirono di anno in an-

no.109 Alla incredibile molteplicità degli eventi fa riscontro

quindi una trama lacunosa, in cui, se è possibile identificare

l’evolversi di processi linguistici e percorsi scenici, metodi,

aspetti, protagonisti di queste vicende sembrano relegati in

un problematico oblio. Quel che accadde ad esempio della

commedia improvvisa intorno alla metà del Seicento,

all’indomani dei moti rivoluzionari e di un riassestamento

del potere spagnolo sul Meridione d’Italia perseguito dal

Viceré Conte d’Oñate,110 può dedursi da rilevamenti spora-

dici e frammentari, di cui lo zibaldone è tra i più interessanti

proprio perché meglio ne riassume l’obiettiva portata docu-

mentaria e l’irriducibile carica enigmatica.

Le sorti del recitare all’impronto risultano tanto più stra-

ne, se si pensa che né la ricezione dell’«invenzione viag-

giante»,111 né l’apporto napoletano al definirsi di questa

moderna cultura teatrale erano stati insignificanti o margina-

li. Da un lato, a partire dalle esperienze di Carlo Fredi, Giu-

lio Cesare Laudisiello, Vincenzo Capece, Andrea della Val-

le, agli inizi del diciassettesimo secolo, la città vide molti-

plicarsi i centri adibiti alle pubbliche rappresentazioni, ac-

cogliendo compagnie straniere di grande rinomanza—in

primis quella di Pier Maria Cecchini detto Frittellino—e ra-

dunando artisti promettenti in gruppi organizzati e omoge-

nei, dall’altro scoprì e valorizzò talenti locali destinati ad un

clamoroso successo sulle scene internazionali, professionisti

come Silvio e Tiberio Fiorillo, Bartolomeo Zito, Andrea

Calcese, Ambrogio Buonomo, Ottavio Sacco, i d’Orso,

Domenico Antonio Parrino.112 Fu questo, anzi, nella tenden-

ziale autarchia della piazza partenopea entro le principali

direttrici delle tournées attoriche, il segno più incisivo che la

capitale seppe lasciare alla generale fisionomia dell’Arte, la

garanzia di un altissimo livello qualitativo delle performan-

ces individuali, esito di una grandiosa tradizione, di

un’autonoma ricerca espressiva e di una severa autodiscipli-

na. La proverbiale constatazione «lazzi napoletani e soggetti

lombardi»113 stigmatizzò appunto l’ideale contaminazione

tra un approfondimento di tipo interpretativo e le istanze di

equilibrio tecnico assicurate solo da una rigorosa combina-

zione dei casi narrati. Questo vivace fermento che caratte-

rizzò le vicende di artisti e teatri per oltre cinquant’anni—

connesso agli sviluppi poetici, urbanistici, sociali di un terri-

torio tra i più popolosi d’Europa114—sembra affievolirsi nel-

la seconda metà del Seicento: alcuni mutamenti nell’assetto

Annibale Sersale e le scene del suo tempo a Napoli 19

complessivo della topografia spettacolare a Napoli potreb-

bero essere stati consequenziali alla perdita di richiamo e di

fascino eversivo che l’Arte subì nel suo radicarsi tra le rego-

lari proposte di intrattenimento. È il caso della riconversione

del San Bartolomeo, la più grande e prestigiosa delle sale

cittadine ed a lungo luogo emblematico dell’incessante me-

tamorfismo cui si improntò la vita delle scene in età moder-

na. Costruito intorno al 1620 a spese dei Governatori della

Casa Santa degli Incurabili perché il loro diritto di riscos-

sione fiscale sulle pubbliche esibizioni potesse accrescersi

con il fitto di un’«aula»,115 il teatro ospitò dapprima compa-

gnie napoletane e lombarde, quindi divenne sede delle prime

compagini spagnole giunte a diffondere nella penisola un

gusto “maraviglioso” e grave, per poi aprirsi alternatamente

ad entrambe le formazioni (ed è probabile che i loro reperto-

ri—al di là delle divergenze interpretative—fossero andati

assimilandosi dopo anni di reciproci influssi e concorrenza).

Gli eventi traumatici delle insurrezioni popolari, delle guer-

re e della repressione vicereale travolsero anche l’edificio,

utilizzato come alloggio per le milizie e ristrutturato solo nel

1652. La ripresa delle programmazioni consuete ad opera di

Carlo de Jorio durò breve tempo, se di lì a poco il San Bar-

tolomeo, sulle orme di quel che era accaduto a Venezia, si

apprestò ad inaugurare la tradizione di rappresentare dram-

mi per musica, cui rimase sostanzialmente fedele fino alla

sua distruzione, nel 1737.116 Quanto poi questo cambiamen-

to di rotta fosse così drastico come le tradizionali ricogni-

zioni critiche ipotizzano, è argomento dubbio e controverso;

forse si trattò anche di uno slittamento risolutivo verso un

genere che sembrava offrire ai comici musici dell’epoca mi-

gliori opportunità socio-professionali o una più facile ed au-

torevole integrazione nel sistema; contestualmente, conti-

nuavano a ottenere lusinghieri successi forme consacrate di

elaborazione scenica. È del 1639 una relazione festiva che

ancora inneggia alla sorprendente tecnica inventiva degli

improvvisatori, lodando proprio la competitività con i risul-

tati di una scrittura premeditata:

Divisonne la traccia, et orditura [scil. de Il Rapimento d’Europa] il fecondissimo ingegno del Dottor Antonio Gual, che havendola prima destinata alla grandezza del Verso Eroico,

fu necessitato abbandonarla poscia, e fidarla alla sola discret-tione, et alla lingua de’ Recitanti Napolitani, a’ quali ne diede con un mirabile raccorcio, et abbozzo tutto l’argomento, e la trama; di tal sorte però, che quel che per la fretta potea dare in un aborto informe, e confuso, venne in mano de Comici con ordinata divisione delle sue membra, e delle parti organizzato, e disposto117

mentre erano da poco conclusi i soggiorni del “Beltrame”

Niccolò Barbieri118 e—pare—del Cecchini.119 Se il tardo

Seicento non produsse nuovi tipi teatrali, vide comunque

affermarsi protagonisti scaltri e dinamici di un ambiente ar-

tistico e di un vivido ed esaltato immaginario collettivo. Nel

1669, al vertice di un apprendistato svoltosi tra i fumi sulfu-

rei dell’esecrazione moralistica e l’acclamazione incondi-

zionata di potenti ammiratori, approdò al San Bartolomeo

Giulia de Caro, nel duplice ruolo di cantante e impresaria: il

suo cursus honorum, da artista al Largo del Castello a regina

della grande sala vicereale, dai luoghi dell’emarginazione

sociale e del meretricio alla più autorevole ribalta cittadi-

na,120 rivela in filigrana la malferma gradualità dello status

professionale e le infinite convergenze spettacolari della cit-

tà, fondate verosimilmente sulla natura ad un tempo com-

plessa e univoca della formazione attorica. Un ulteriore se-

gnale in tal senso è offerto dagli accordi che intercorsero tra

lei ed un altro dei maggiori esponenti della commedia italia-

na di quegli anni:

A Giulia de Caro ducati settantacinque e per Lui à Domenico Antonio Parrino detto Florindo in Comedia, per quelli diversi con gli altri suoi compagni della compagnia de Comici, venuta

qui in Napoli à sua richiesta, per recitare. E detti obligatione, che la corresse, in riguardo solo, che stà sospeso il potersi reci-tare d’ordine di Sua Eccellenza per la morte della sorella Impe-ratrice, che sia in Cielo. Con patto espresso però, che detto Domenico Antonio e suoi Compagni Comici, stante il detto re-galo, debbiano trattenersi in questa Città sintanto, che si vede l’esito delle lettere di Spagna, da dove Sua Eccellenza haverà da pigliar risolutione, se si debbia recitare, ò nò; Et ottenuta, che sarà detta licenza, così prima, come dopo la venuta di dette

lettere di Spagna debbia detto don Domenico Antonio, e suoi Compagni Comici rappresentar Comedie, et opere per tutto il tempo, che stà convenuto fra loro, in conformità delle lettere missive […].121

Oltre a riscrivere alcune fasi salienti della biografia arti-

stica del napoletano Parrino, già noto e richiesto quando le-

gò definitivamente il suo nome al patrocinio del Duca di

Modena, e prima che abbandonasse le scene per diventare

uno dei principali stampatori del Viceregno,122 la polizza

getta una luce inquietante sul tenore delle programmazioni

in uso presso i teatri stabili della capitale, con

quell’indistinto riferimento a «Comedie, et opere», che non

è casuale o generico, ma ricorre a testimoniare le concrete

possibilità d’escursione tra i vari generi di spettacolo (e

«comedie, et opere bellissime» sono i soggetti del secondo

volume della raccolta Casamarciano). Che al di là di una

superficie ufficialmente riconosciuta le effettive rappresen-

tazioni dovessero risultare quanto mai variegate emerge an-

che da minimi segnali tangenziali. Le relazioni e i memoria-

li settecenteschi degli Uditori dell’Esercito e degli operatori

del settore rinviano alla convenzionale presenza di compa-

gini istrioniche nelle sale cittadine;123 talora sono solo ac-

cenni fugaci a restituire il senso di un’inarrivabile pluralità

di stili ed esperienze. Protestando contro le pretensioni

dell’ufficiale governativo, responsabile a suo avviso di aver

reclamato l’accesso gratuito ad un terzo palchetto senza di-

ritto alcuno, l’affittatore del Teatro dei Fiorentini Domenico

Aurisicchio nel 1690 scrive che «il luoco è piccolo, e vi so-

no pochi di detti Palchetti, e se ritrova haver fatto molte spe-

20 Capitolo secondo

se di consideratione; senza aggiuta di costa di persona alcu-

na […]»:124 nel riassumere i motivi della controversia tra i

due, si ricorda che l’Uditore, tenuto a «dar providencia para

que nò sucedan inconvenientes»,125

«pretende al presente

tener balquete proprio, y assistir al referido teatro en la Co-

media en musica que està proxima à rapresentarse».126 An-

cor più del San Bartolomeo, dunque, fu il Teatro dei Fioren-

tini a sopravvivere lungo tutto il Seicento ed oltre grazie ad

un singolare ed opportunistico eclettismo, di cui resta diffi-

cile misurare entità e riscontri.127 L’antica istituzione, sorta a

ridosso della “stanza” di San Giorgio dei Genovesi, era stata

inaugurata nel segno degli spettacoli dell’Arte, ma già negli

anni Venti del secolo era divenuta tempio della commedia

spagnola, in ossequio alle abitudini mercenarie del circuito

pubblico di offrire spazi permanenti a manifestazioni che

avevano già ottenuto un loro seguito in città. Sancio de Paz,

Francisco de Leon, Gregorio Laredo, Francisco Lopez con-

tribuirono a divulgare a Napoli la drammaturgia del siglo de

oro, che, lungi dal rimanere patrimonio esclusivo delle

compagnie straniere, arricchì il repertorio dei comici italiani

ed orientò la composizione di opere teatrali verso la magni-

loquenza e le tematiche barocche dei modelli iberici.128 Si sa

che autori/attori partenopei adattarono per le scene locali i

maggiori successi di Calderón de la Barca, Lope de Vega,

Montalván;129 in un contratto del 1625 per l’affitto del San

Bartolomeo tra le suppellettili della struttura si menziona

«uno canale di castagno per fare il Convitato di pietra»,130

ed ancora lo zibaldone del Sersale accoglie un numero rile-

vante di canovacci di evidente ispirazione spagnola. Fu un

successo non effimero, e di certo non esclusivamente legato

agli ovvi contatti culturali con il mondo castigliano: nel cor-

so del Seicento venne comunque totalmente assorbito dal

multiforme sistema napoletano e dalle troupes di artisti che

recitarono a qualsiasi titolo per tutta la penisola. Al Fioren-

tini, dove si eseguirono melodrammi seri in concomitanza

delle chiusure forzate del San Bartolomeo (distrutto da un

incendio nel 1681 e tempestivamente ricostruito),131 si alter-

narono interpreti italiani, spagnoli, lombardi, ma soprattutto

forme di spettacolo varie eppure omogenee nella coscienza

contemporanea. Con gli anni la sala si sarebbe trasformata

in centro propulsivo della «commedia pe mmuseca», non

prima di aver sperimentato saggiamente la possibilità di «a-

nimare qualcheduno dei Comici ad abilitarsi negli impieghi

maggiori»;132 fu certo la prima a dotarsi di un’efficiente or-

ganizzazione tecnico-amministrativa, attenta alla complessi-

va collocazione socio-urbanistica del suo palcoscenico. Un

particolare misterioso ma interessante è l’esistenza, qui co-

me al Teatro Nuovo, eretto nel 1724,133 di “palchetti dei Ca-

labresi”, probabili luoghi franchi agli ordini superiori, di cui

disporre solo in determinate circostanze; la frequenza dei

subappalti e il costituirsi di microsocietà imprenditoriali,

non sempre largamente documentate, consentirebbero di in-

travedere, dietro la vaga locuzione, un sottobosco impiegati-

zio fortemente coinvolto nella conduzione degli appalti.134

«Oratio il Calabrese» si definisce nel frontespizio del se-

condo volume della raccolta Casamarciano Antonino Pas-

santi, collaboratore nella compilazione dell’antologia: se il

nome d’arte alludesse ad un suo ruolo attorico, sarebbe

quanto meno singolare l’accostamento di un tipico nome di

innamorato ad una delle varianti del personaggio gradasso e

inconcludente (a meno di non ipotizzare una mera indica-

zione di provenienza geografica). Può darsi invece che

l’appellativo si richiami ad una qualifica professionale oscu-

ra ma saltuariamente attestata nelle fonti archivistiche.

Del resto, al Teatro dei Fiorentini rinviano gli unici

diretti contatti documentati del Sersale con l’ambiente dello

spettacolo. A più riprese egli pagò a Nicola Serino, impresa-

rio, e alle eredi del proprietario Nicola Tancredi, Olimpia

De Angelis e Giuseppa Tancredi, il compenso dovuto per

l’affitto di due palchetti nel 1708 e 1709 per conto del Mar-

chese di Laino e Conte dell’Acerra de Cardenas.135

Era il

momento aurorale dell’opera buffa nel circuito pubblico,

con le messinscene del Patrò Calienno de la costa e Lo

Spellecchia finto Razzullo136 che subentrarono a titoli quali

La Rosmene e Teodora augusta.137 Più coerente forse con il

profilo del mecenate-committente o appassionato aristocra-

tico è la notizia della liquidazione fatta a sue spese di un ar-

tigiano, per tre fruttiere e una tabacchiera d’argento regalate

ad un musico e alle cantanti protagonisti di una serenata

«fatta in casa del Marchese di Laino» il 9 ottobre del

1707.138 Non è dato sapere altro dalle polizze bancarie, ma

l’evento ebbe di sicuro una sua risonanza, se fu immediata-

mente registrato dagli Avvisi:

la sera del medesimo giorno, coll’invito di numerosa Nobiltà, e di S. E. il Generale Daun, fù cantata da scelte voci, ed istru-menti, una vaghissima Serenata in pregio del nostro Monarca,

in Casa del Conte dell’Acerra Cardenas […].139

La documentazione privata relativa al Conte di Casa-

marciano si infittisce negli ultimi anni della sua vita, tra ge-

stioni patrimoniali, controversie con la famiglia Mastrilli e

speciali transazioni con Caterina de Simone, alias Aragona,

cui lo legavano rapporti non chiari o non espliciti; per i suoi

figli, Giulio ed Eligio, diede anche precise disposizioni nel

suo testamento, a cui riservò lunghe e minuziose attenzioni

confluite in una complessa giustapposizione di redazioni.140

Nulla, tuttavia, rinvia al paziente opus magnum, immagine

di una scena contraddistinta da una varietà di accenti nono-

stante le schematizzazioni e i tecnicismi del mestiere. Il 15

maggio 1712

nel giorno della Solennità di Pentecoste rese pure l’Anima al

Creatore Don Annibale Sersale Conte di Casamarciano, sepolto

il suo cadavero nella Chiesa de’ Padri Crociferi a Pistaso.141

Con lui si estinse un testimone solerte e appassionato—

implicitamente storico—di un mondo spettacolare che fu

vittima, forse, della sua stessa esuberante mobilità. La con-

Annibale Sersale e le scene del suo tempo a Napoli 21

sapevolezza ideologica e gli intenti documentari dello zibal-

done rimangono così indissolubilmente legati ad un brillante

esercizio compilativo, ad un vigile e onnivoro collezionismo

i cui profondi silenzi riecheggiano della teatralità viva e dif-

fusa che con gli scenari condivise un fatale destino di cadu-

cità, una metaforica ed insidiosa vocazione all’oblio. Una

circostanza fortuita salvò la raccolta dalla dispersione: quei

testi, freddi, sobri, opachi, provarono a sottrarre alle tenebre

della memoria la sapienza e il duro e segreto lavoro al quale

generazioni di uomini si erano dedicati—in nome della sce-

na—per una clamorosa vittoria socio-culturale.

22

Nota al testo

1. Descrizione dei codici

Un’osservazione preliminare sulla raccolta Casamarciano

riguarda la successione dei due volumi che la compongono.

Nell’articolo in cui Benedetto Croce dà notizia della sua do-

nazione alla Biblioteca Nazionale di Napoli ed illustra il ma-

teriale,142 è definito primo volume quello di formato più

piccolo e con numero maggiore di scenari—novantatré—e

secondo quello redatto dal comico Antonino Passanti, con

90 soggetti. Forse in considerazione della progressione nu-

merica delle rispettive segnature, alcuni studiosi

(K.M.Lea,143 A.G. Bragaglia,144 S.Spada,145 L.Zorzi)146 han-

no invertito l’ordine dei codici inizialmente proposto. In re-

altà, dovendosi comunque eccettuare il riconoscimento di un

alternarsi di grafie per il quale in entrambi i testi si riscon-

trano canovacci trascritti da una stessa mano o correzioni

effettuate da uno stesso copista, il che vale tutt’al più come

conferma di un impegno organizzativo nell’allestimento del

corpus, non esiste alcun indizio interno determinante perché

prevalga l’una o l’altra ipotesi. Si è accolta tuttavia la distin-

zione crociana poiché sembra tener conto dell’implicita su-

bordinazione cui alluderebbe uno dei frontespizi, indivi-

duando in Annibale Sersale il responsabile dell’intera opera

compilativa, da lui promossa e controllata.

volume I - GIBALDONE DE SOGGET/ TI/ Da reci-

tarsi all’impronto/ Alcuni proprij, e gli altri da diuersi/ Raccol-

ti/ di/ D(on) An(n)ibale Sersale, Conte di/Casamar=/ ciano.

Manoscritto conservato alla Biblioteca Nazionale «Vit-

torio Emanuele III» di Napoli, segn. XI AA 41, cartaceo,

della fine del XVII secolo (con copertina di età successiva),

mm. 260 x 190. Presenta una paginazione coeva, peraltro

scorretta, non solo per l’errata collocazione delle pp. 23-24

(= c. 2—contiene il finale dell’atto terzo de La schiava di

Messina, la cui parte iniziale è alle cc. 15v-16v),

l’inversione delle pp. 117-118 e 91-92 (= cc.50 e 63—alle

cc. 50r-50v è l’atto terzo della prima versione de Il Basilisco

del Bernagasso, laddove gli atti primo e secondo sono alle

cc. 61v-62v; le cc. 63r-63v riportano invece il finale

dell’atto primo e l’atto secondo di Coviello barbiero, ruffia-

no, ladro e finto diavolo col Dottore furbo mal prattico, il

cui attacco è alle cc. 49r-49v, mentre l’atto terzo si legge

alle cc. 51r-51v) ed il salto delle pp. 287-288, ma anche per

il ripetersi dei numeri da 173 a 179 dopo p. 179; la numera-

zione prosegue regolarmente a partire da p. 180, benché nel-

le ultime carte l’avanzato processo di ossidazione ed i con-

seguenti interventi di restauro non consentano di leggere che

qualche cifra. Tracce di rilegatura (tra p. 257 e p. 258 -

cc.136v/137r; tra p. 291 e p. 292 - cc.152v/153r; tra p. 324 e

p. 325 - cc.168v/169r; tra p. 356 e p. 357 - cc.184v/185r)

suggeriscono una composizione originaria per otterni non

altrimenti documentabile. Si fa uso, pertanto, per la descri-

zione e le citazioni, di una cartulazione recente, che ne sosti-

tuisce un’altra, ancora debolmente riconoscibile. Il mano-

scritto conta cc. 2 n.n. (dopo le quali è rilegato l’estratto di

B. Croce dal «Giornale Storico della Letteratura Italiana») +

cc. 246 n. + 1 c. bianca n.n. Il frontespizio è a c. 1r. La Ta-

vola, con l’elenco approssimativamente alfabetico dei sog-

getti, è alle cc. 3-4. Slegate c.135 (= pp. 254-255) e c.138 (=

pp. 260-261). Assai fitta, ma ordinata la scrittura, attribuibi-

le (ma è difficile esprimersi con certezza) a due mani: la

prima ha redatto le cc.1-197r e 242r-246, l’altra le cc.197v-

241v. Rare le correzioni ed integrazioni di una terza mano,

il cui intervento è decisamente più rilevante nel secondo vo-

lume. Alla qualità dell’inchiostro adoperato (e non a fattori

esterni, come si è detto da varie parti)147 si deve lo stato di

corrosione delle cc.194r-225v (non evidenziato da Croce

nella sua nota), cui il restauro, eseguito dai tecnici della Ba-

dia di Grottaferrata presso Roma e terminato in data 2 luglio

1969 (secondo quanto appare da una cedola apposta in terza

di copertina), ha posto parzialmente rimedio. Risulta dunque

compromessa la lettura di un cospicuo gruppo di scenari

(nei quali si segnalano numerose integrazioni) e del tutto

impossibile la trascrizione di sette canovacci: Le ladrarie

accidentali (i/77, cc. 194r - 197r); L’huomo da bene (i/79,

cc. 199v - 200v); Il geloso non amante e l’amante non gelo-

so (i/80, cc. 201r - 203v); Gl’amanti senza vedersi (i/81, cc.

Descrizione dei codici 23

204r - 207r); La vedova con due mariti (i/82, cc. 207v -

210r); L’innocenza infelice ed il tradimento fortunato (i/83,

cc. 210v - 213v); Obligo più che amore, overo Il moro (i/84,

cc. 214r - 217r). L’esatta collocazione degli scenari nel ma-

noscritto è riportata in calce ad ogni testo. Per un elenco del

contenuto cfr. l’indice.148

volume II - GIBALDONE/ COMICO DI/ VARIJ

SUGGETTI di COMEDIE/ ED OPERE BELLISSIME/

copiate da mé Antonino Passanti/ detto Oratio il Calabrese/

PER/ COMANDO/ DELL’ECC(ellentissi)mo SIG(no)r

CONTE/DI CASAMARCIANO =1700=

Manoscritto conservato alla Biblioteca Nazionale «Vit-

torio Emanuele III» di Napoli, segn. XI AA 40, cartaceo,

della fine del XVIII secolo (restaurato nel 1969 dall’Istituto

competente presso la Badia di Grottaferrata, Roma), di

formato più grande del precedente (mm. 310 x 220) e in uno

stato di conservazione di sicuro migliore (con copertina re-

cente), è di cc. 10 n.n. (tra la quinta e la sesta rilegato un bi-

glietto autografo di B. Croce datato 22 gennaio 1897 ed in-

dirizzato al Direttore della Biblioteca per presentare il do-

no,149 nonché l’estratto dal «Giornale Storico della Lettera-

tura Italiana»; la settima è costituita dal frontespizio; alle

ultime tre riportata la Tavola) + cc. 282 n. (due carte recano

il numero 254; manca la carta 263; il numero compare sul

verso di c. 262) + 1 carta bianca n.n. Per maggiore precisio-

ne, sono aggiunte le cc. 273-280 (con gli ultimi quattro sce-

nari—con regolare divisione in atti e scene—redatti dalla

stessa mano che ha scritto le cc. 197v-241v del primo volu-

me; secondo Croce150 sono aggiunte al posto di alcune carte

contenenti lo scenario Catastrofe della sorte), come aggiunti

sono i titoli degli stessi quattro soggetti nella Tavola. Le cc.

281-282, più piccole, contengono rispettivamente, sul recto,

un sonetto dedicato a Giovanna Caracciolo, Contessa della

Rocca,151 e un madrigale dedicato all’«eccellentissimo Si-

gnorino».152 Alquanto fitta e disordinata la scrittura delle cc.

1-272 (da attribuire, forse, proprio ad Antonino Passanti),

che chiude gli scenari con un monogramma purtroppo inde-

cifrabile. Assai frequenti le integrazioni e le correzioni della

stessa mano che interviene sporadicamente nel primo volu-

me; qui rivede gli elenchi di personaggi, «robbe» e «appa-

renze», aggiungendo in essi nominativi che sono stati trala-

sciati nella prima stesura o—più raramente—scrivendoli o

riscrivendoli integralmente in altro luogo, riporta didascalie

deducibili dal contesto e probabilmente assenti negli anti-

grafi, fornisce spesso ulteriori dettagli sulla conclusione del-

le varie pièces specificando tra quali coppie avvengono i

matrimoni. In un ristrettissimo numero di casi brevi annota-

zioni intendono restituire al testo una sua connessione se-

mantico-narrativa; esse sono state accolte nella trascrizione

senza alcuna segnalazione in apparato. È molto probabile

che questi interventi siano da ascrivere allo stesso Sersale,

considerando la qualità della grafia nelle firme che egli ap-

pone ad alcuni documenti notarili conservati presso

l’Archivio di Stato di Napoli.153 Degli emendamenti signifi-

cativi sul piano fonomorfologico e delle loro implicazioni

sul piano storico-linguistico si discute a proposito dei criteri

editoriali. L’esatta collocazione degli scenari nel manoscrit-

to è riportata in calce ad ogni testo. Per un elenco del conte-

nuto cfr. l’indice.154

Sulla provenienza della raccolta Croce è estremamente

laconico: i due volumi appartenevano alla famiglia Mastrilli,

antichi titolari del feudo nolano e dei casali limitrofi, ma

nulla è detto né del reperimento né di eventuali passaggi di

proprietà attraverso smembramenti di fondi bibliografici u-

nitari.155 Le ragioni del suo silenzio sono forse da ravvisarsi

in una scheda da lui apposta ad una preziosissima edizione

dell’Arlichino poema dedicato a SS. Accademici sfaccendati

di G. M. Raparini in suo possesso, da cui si apprende il ruo-

lo fondamentale che ebbe nell’acquisto un celebre interme-

diario:

[...] Come si sa, delle commedie dell’arte esistono parecchie

raccolte di scenari editi e inediti. Forse la più ampia è quella

che io trovai nel 1896 presso un noto libraio napoletano, don

Luigi Pierro, in due volumi fatti compilare nell’anno 1700 per

incarico del conte Casamarciano Sersale, e comprai da lui, che

l’aveva avuta per poche lire, e gliela pagai lire cinquanta; il li-

braio fatto poi accorto dell’importanza del mio acquisto, mi fe-

ce notare che io avevo fatto ‘un buon affare’ e io gli risposi che

lo avevo fatto ‘optimus’, non per me, ma per la Biblioteca na-

zionale di Napoli, alla quale l’avevo donata a uso degli studio-

si, che in effetto in buon numero ci hanno fatto ricorso. [...] Se-

nonché gli scenari sono scheletri di commedie, con indicazioni

sommarie e il copiosissimo e scintillante fiume di quella comi-

cità che divertì tutta l’Europa per circa due secoli si perse quasi

tutto e raro è ciò che ne fu messo per iscritto [...].156

Dai due contributi si evince una storia dei codici

nei secoli XVIII e XIX estremamente scarna nella sua so-

stanziale irrilevanza: qualsiasi informazione supplementare

si rivelerebbe difatti marginale rispetto al problema, ben più

intrigante, della ricostruzione di una vicenda anteriore allo

zibaldone, riguardante il senso e le modalità del suo allesti-

mento, per la quale continua a non esservi alcun supporto

documentario.

2. Nota al testo

L’intento di una fedele e rigorosa conservazione del te-

sto, alla quale i criteri editoriali sono ispirati, si richiama

non solo ad un obbligo di correttezza filologica, ma anche al

riconoscimento di uno specifico interesse documentario del-

lo zibaldone, sia per quel che riguarda il suo valore di testi-

monianza linguistica tardo-seicentesca di area meridionale,

sia per le questioni relative al suo singolare assetto grafico.

24 Nota al testo

Già Benedetto Croce ebbe modo di asserire che «la dicitura

e l’ortografia degli scenarii hanno una forte patina dialettale

napoletana»;157 oltre ai dati macroscopici dell’impiego di

alcune maschere (Policinella, Covello, Pascarello) e della

comparsa di evidenti regionalismi lessicali (cfr. mole, i/93,

a. I, sc. 8 - c.244v; mappine, ii/4, Robbe - c.10r, etc.), lo

confermano, sul piano fonetico, il mantenimento del nesso

atono -ar-158 (cfr. mascare, i/9, Robbe - c.26r; maccaroni,

i/30, Robbe - c.80r; pagaranno, i/87, a. I, sc. 9 - c.227v;

etc.), il ricorrere di forme non anafonetiche (cfr. gionto,

i/46, a. III, sc. ultima - c.114v; consegliero, i/73, Personaggi

- c.183v; ordegnio, ii/37, Robbe - c.122r; spognia, ii/69,

Robbe - c.223v, etc.), il caratteristico betacismo (cfr. vocale,

i/59 Robbe - c.143r; veveraggio, i/19, a. I, sc. 7 - c.52v op-

posto a beveraggio, i/59, a. I, sc. I, - c.143r; balice, i/92,

Robbe, - c.239v; baligge, ii/67, Robbe, - c.218r; varre, ii/79,

Robbe, - c.254r, etc.), l’assimilazione di -nd- in -nn- (cfr.

granni, i/13, Robbe - c.36v; canneliero, i/13, Robbe - c.

36v; bennato, i/27, a. III, sc. 13 - c.75r, etc.) con conseguen-

ti ipercorrettismi (cfr. stando per stanno, i/26, a. II, sc. 20 -

c.71v; potrando per potranno, i/32, a. III, sc. 7 - c.85r; in-

gandarla per ingannarla, i/33, a. III, sc. 2 - c.86r; conden-

dato per condennato, i/51, Robbe, - c.122v, etc.), il passag-

gio di -ns- > -nz-, -rs- > -rz-, -ls- > -lz- (cfr. anzioso, ii/36, a.

II - c. 119v; borza, ii/2, Robbe - c.4r; falzario, ii/17, a. III -

c.57r, etc.; con ipercorrettismi - forsa, vol. ii/46, a. II -

c.153r, etc.), il raddoppiamento dell’occlusiva bilabiale so-

nora e dell’affricata palatale sonora intervocaliche (cfr. rob-

be, i/1, - c.5r e passim; bruggia, i/55, a. II, sc. 1 - c.133v;

naufraggio, ii/1, a. I - c.1r, etc.), la velarizzazione del nesso

-qu- (cfr. Pascarello, i/2, a. I, sc. 2 - c.8r e passim), l’esito di

-ARIUS in -aro (cfr. tavernaro, i/16, Personaggi - c.44v; no-

taro, i/26, Personaggi - c.69v, etc.); sul piano morfosintatti-

co, il dativo del pronome personale di terza li (cfr. cercarli

aiuto, i/6, a. III, sc. 15 - c.18r), l’ampia diffusione del con-

dizionale in -ìa (cfr. amaria, ii/61, a. I - c.200v, etc.) e della

desinenza di terza persona plurale del presente indicativo in

-eno (cfr. batteno, i/18, a. II, sc. 1 - c.63r; concludeno, i/7, a.

III, sc. ultima - c.22r, etc.), la comparsa del gerundio analo-

gico fando (ii/68, a. II - c.222v, etc.) e di infiniti e gerundi

coniugati (cfr. esserno, i/1, a. II, sc. 12 - c.6v; i/15, a. II, sc.

9 - c.43r; i/22, a. III, sc. 9 - c.60v, etc.; accennandono, ii/2,

a. I - c.4v, etc.),159 la costruzione del complemento oggetto

animato preceduto dalla preposizione a (cfr. battesse a lui,

i/11, a. I, sc. 17 - c.31r; seguendo a Pollicinella, ii/34, a. III

- c.113r, etc.), costrutti del tipo se ci lanza160 (i/48, a. I, sc.

22 - c. 117v; mentre si ha ne li manda, i/46, a. I, sc. 10 -

c.113v), l’andava cercando (ii/54, a. II - c.180r). Comuni

stare per essere (cfr. sta dentro la casa, i/19, a. II, sc. 7 -

c.53v, etc.), tenere per avere (cfr. chi tiene la figlia, i/31, a.

III, sc. 2 - c.83r, etc.), pigliare per prendere (cfr. Basalisco

la piglia, i/23, a. III, sc. 2 - c.50r; piglia la sua stanga, i/24,

a. I, sc. 11 - c.64v, etc.). Meno rilevanti sul piano quantitati-

vo sono le attestazioni di altri fenomeni vocalici e consonan-

tici: affettuare per effettuare (ii/51, a. III - c.172r); acciderli

per ucciderli (ii/20, a. III - c.67r); stromenti (i/46, Robbe - c.

112v); racordandoci (ii/28, a. I - c.91r); fenesta per fenestra

(con /e/ protonica non chiusa in /i/ e semplificazione del

nesso -str- in -st-, i/61, a. I, sc. 6 - c.149r; è forse ipercorret-

to calpestra, ii/32, a. II - c.105v); vingere (i/78, a. III, sc. 1 -

c.199r); compradore (casi di sonorizzazione/lenizione po-

stnasale o intervocalica, ii/15, a. II - c.49r); dommandarla

(ii/20, a. I - c.64v); prommette (con allungamento di /m/ in-

tervocalica, ii/52, a. I - c.173r); vessica (i/11, Robbe -

c.30r); lassi (con fricativa dentale in luogo di fricativa pala-

tale, ii/2, a. II - c.5r); cortello (con rotacizzazione di /l/ pre-

consonantica, ii/6, Robbe necesarie - c.20v); arbrito (con

metatesi di /r/, ii/16, a. I - c.51v). Del tutto eccezionale la

forma torca (i/34, a. I, sc. 5 - c.87r), probabile ipercorretti-

smo secondo la norma napoletana, con indebito ripristino

dell’alternanza metafonetica -u- / -o- tra maschile e femmi-

nile. Non mancano spagnolismi, come creanza (i/21, a. I, sc.

4 - c.58r), comple [da complire] (i/78, a. III, sc. 1 - c.199r),

goniglia (ii/22, Robbe - c.70v), infadato (i/49, a. III, sc. 5 -

c.120r, etc.) e, soprattutto, perro (ii/47, a. II - c.157r e -

c.157v), né mancano adattamenti dallo spagnolo, come pe-

sami muccio (ii/70, a. I - c.227r).161

Questi tratti coesistono con le loro alternative toscane,

distribuendosi irregolarmente per tutti i canovacci in un tes-

suto linguistico in definitiva alquanto omogeneo, variamente

segnato da tensioni espressive nell’introduzione del discorso

diretto, nell’impiego di formule o sintagmi funzionali

all’esigenza di sintesi, nella misurata referenzialità non pri-

va di anacoluti o frasi involute, nell’improvviso distendersi

della narrazione cui tuttavia non corrisponde un’adeguata

variazione strutturale e lessicale, ovviamente secondo moda-

lità di codificazione proprie del genere. Ne consegue

l’impossibilità di distinguere aree privilegiate di infiltrazio-

ne dialettale, in un testo in cui si registra una duplice so-

vrapposizione di sistemi sulla base napoletano/italiano:

l’una operante già in fase redazionale e dunque costitutiva di

una fisionomia fonetica e morfosintattica estremamente

composita, l’altra ravvisabile in un momento di revisione

molto probabilmente coevo all’allestimento della raccolta,

che, pur rivelandosi discontinuo ed impreciso, tende ad atte-

nuare le distanze tra i due estremi, eliminando quelle conno-

tazioni meridionali avvertite come incompatibili con una

trama sovraregionale e provvedendo a modificare forme di

larghissimo uso e a regolarizzare alcune rese grafiche (hera

> era; a > ha; sepolchro > sepolcro; schrivere > scrivere;

gle > glie; alchuni > alcuni, etc.). Il carattere non esaustivo

di tale verifica (con la sola eccezione di scovre > scopre nel

secondo volume) determina, in ultima analisi, ulteriori oscil-

lazioni. Nella trascrizione si è sempre accolta la lezione cor-

retta, considerando che una diversa soluzione avrebbe inop-

portunamente dissociato le integrazioni o omissioni di tipo

contenutistico (relative all’elenco di personaggi, «robbe»,

«apparenze», alla loro collocazione nella pagina e—in minor

Nota al testo 25

numero di casi—a problemi di congruenza sintattica e se-

mantica) dagli emendamenti fonomorfologici effettuati non

con puntualità, motivati talvolta da errori nella prima stesura

e dunque dislocati in modo saltuario, di cui è responsabile la

stessa mano. Nelle note ai canovacci si segnalano comunque

le trasformazioni della lezione originaria (indicate dalla lo-

cuzione corr. nel ms. su - si rinvia anche al luogo dei mano-

scritti), laddove essa sia ancora decifrabile senza alcuna

possibilità di fraintendimento, per un più diretto riscontro

della peculiare bipolarità linguistica degli scenari ed una

migliore intelligenza di un’incertezza normativa connaturata

quanto, forse, inconsapevole; si registrano anche alcune svi-

ste della prima versione, eliminate in fase di allestimento

dello zibaldone.

Gli interventi del revisore, benché orientati univocamen-

te, non senza palesi contraddizioni (cfr. accennando > ac-

cennandono, dorme > adorme, siamo > simmo), denotano

una competenza linguistica sostanzialmente non dissimile

da quella dei redattori/copisti, riflettendo ed evidenziando le

potenziali fluttuazioni di una varietà in cui possono conver-

gere e stabilizzarsi elementi eterogenei, in assenza di rigoro-

se discriminazioni gerarchiche. Lo dimostra l’ambito limita-

to delle correzioni (con particolare insistenza su alcuni fe-

nomeni, introduzione della consonante doppia in luogo della

scempia, soppressione della grafia per il raddoppiamento

fonosintattico, regolarizzazione dei nessi nasale + fricativa,

etc.), che quindi in termini progettuali non alterano un im-

pianto primitivo largamente comprensivo. D’altronde nella

pagina sopravvivono inequivocabili cultismi, tra i quali sono

da annoverare l’alternanza di -ti- e -z- per l’affricata dentale

intervocalica (con indicazione di nessi derivanti da occlusi-

va + ti-; cfr. attione, ii/9, a. I - c.170v) e il mantenimento di

h iniziale, etimologica e pseudoetimologica, né si osservano

modifiche significative sul piano sintattico ed espressivo.

Uno spoglio sistematico delle voci e dei costrutti adoperati,

attento al senso complessivo della fabula come alle istruzio-

ni sceniche impartite in ogni episodio, potrebbe fornire utili

ragguagli sull’articolarsi del plurilinguismo (e pluristilismo)

nel repertorio meridionale secentesco e consentirebbe forse

una corretta valutazione diastratica della bipolarità che si è

rilevata.162 Resta tuttavia l’impressione che i codici attestino

il costituirsi di un registro intermedio in cui l’apporto dialet-

tale, prevalentemente selezionato ed integrato in base ad una

tradizione volgare illustre, non può non misurarsi con le ra-

gioni della comunicazione teatrale.

È evidente che in tale situazione qualunque ipotesi di

normalizzazione editoriale pertinente ai singoli tratti avreb-

be suggerito un’uniformità di scelte formali nei manoscritti

non solo inesistente, ma assolutamente non perseguita. Si è

cercato quindi di rendere più agevole la lettura, operando

con discrezione laddove era possibile non compromettere un

equilibrio testuale particolarmente delicato. Per quel che ri-

guarda la punteggiatura, si è ritoccato l’uso prevaricante del-

le virgole nella successione paratattica ed ipotattica, mentre

si è fatto ricorso al punto fermo, attestato solo in rarissimi

casi nel corpo degli scenari, per la sequenza finale

dell’ultimo atto. L’espressione «in questo», che funge fre-

quentemente da raccordo tra una scena e l’altra, è stata sem-

pre isolata da un punto e virgola; le virgolette per il discorso

diretto e per i titoli dei lazzi sono state adoperate soltanto

quando nei manoscritti le battute e i termini tecnici erano

opportunamente segnalati da due punti o da una virgola

all’inizio e alla fine. Si è mantenuto il punto interrogativo

per l’interrogativa indiretta.

Sono distinti con iniziale maiuscola i nomi propri di per-

sona, di popoli non aggettivati, di astratti personificati, le

parole Banco, Corte, Re, Regina, Principe, Principessa,

Don, Donna (in funzione appositiva), i nomi comuni che

indicano personaggi a sé non altrimenti designati (Mago,

Sbirri, etc.) e le indicazioni topografiche e geografiche in

generale (Osteria della Spada, Messina, Aragona, etc.).

Si sono sciolte tutte le abbreviazioni. A tal proposito oc-

corre precisare che le abbreviazioni per i personaggi presen-

ti lungo tutti i canovacci sono state sciolte sempre secondo

la forma che compare nell’elenco apposto al principio di

ciascuno di essi. Si giustificano così le oscillazioni che pos-

sono riscontrarsi all’interno dei testi, dipendenti

dall’alternarsi di forme intere e forme abbreviate e significa-

tive, talvolta, della compresenza di orientamenti fonetici e

grafici di cui si è detto (cfr. Policinella / Pollicinella; Co-

viello / Covello—con eliminazione, forse, di un dittongo le

cui origini sono considerate metafonetiche; Angela / Angio-

la; Pirino / Perino; Drusilla / Drosilla; Pascharello / Pa-

scarello / Pascariello; Cintia / Cinzia; Pasquadoria / Pa-

scadoria; Fiammetta / Flammetta, etc.). & si è trascritto etc.

Si è introdotta la distinzione tra u e v. Nelle voci che at-

testano il dileguo della fricativa intervocalica si è posto un

accento sul secondo elemento vocalico per facilitarne la let-

tura (braura/e > braùre/e; auto > aùto; riceuto > riceùto;

douta > doùta, etc.).

Sono stati normalizzati gli accenti, eliminandoli su quei

monosillabi per i quali attualmente non è più previsto; non

si è intervenuti, invece, sulle elisioni, fatta eccezione per i

casi in cui è interessato l’articolo indeterminativo, dove ci si

è riportati all’uso moderno. Ogn’uno si è reso con ognuno;

per ad’uno ad’uno si è soppresso il semplice richiamo

dell’apostrofo, trascrivendo ad uno ad uno. Nello scenario

Isole (ii/36) die è reso die’.

Restano intatte forme del tipo incollo, con concrezione

della preposizione semplice in, di ascendenza dialettale, e le

grafie superstiti attestanti il raddoppiamento fonosintattico.

Sono comprese tra parentesi angolari le integrazioni ai

guasti dei codici, laddove è stato possibile restituire la le-

zione corretta.

Nel riproporre gli scenari, tenendo conto delle differenti

opzioni narrative adottate nei due volumi e del grado diver-

so di chiarezza del carattere ed ordine dello scritto, si è cer-

cato di rispettare il più possibile l’impostazione originaria

26 Nota al testo

della pagina, senza alterare minimamente la disposizione

delle sezioni che compongono ogni canovaccio (prospetto

delle parti, degli oggetti necessari alla messinscena, delle

«apparenze», suddivisione in atti e scene per unità riassunti-

ve o avvicendamento di interpreti) elaborata dai redattori.

Nel manoscritto XI AA 41 sono sottolineati i titoli degli e-

lenchi (Personaggi, Robbe), le indicazioni sceniche riassun-

te in fase preliminare e ricorrenti nei soggetti (Città, Came-

ra, Bosco, etc.) ed ogni altra didascalia; si sono inoltre uni-

formati i numeri delle scene al cardinale (ad eccezione della

prima scena, dove si riporta l’ordinale in forma estesa) e si è

adottato l’ordinale per la numerazione degli atti (ciò vale

anche per il codice XI AA 40). È stata aggiunta, immedia-

tamente dopo il titolo, la numerazione progressiva dello

scenario all’interno del codice.

Le cc. 1, 50, 63, collocate fuori posto, si riproducono

all’interno dei soggetti di appartenenza (La schiava di Mes-

sina - i/5, Covello barbiero, ruffiano, ladro e finto diavolo

col Dottore furbo mal prattico - i/18 ed Il Basalisco del

Barnagasso - i/23). Si è regolarizzata la numerazione delle

scene nell’a. I de Li finti spiritati (i/2, in cui saltava il nume-

ro 11 nella progressione), nell’a. III de La schiava di Messi-

na (i/5, in cui comparivano due scene con il numero 4),

nell’a. I e nell’a. II de L’oggetto odiato (i/27; mancava

l’indicazione numerica rispettivamente alle scene 18 e 19 e

alla scena 11), nell’a. I e nell’a. II de Il matrimonio per furto

(i/31; non era segnato il numero 11 nella scena corrispon-

dente di entrambi gli atti), nell’a. I de Li due Capitanij ladri

(i/57; non era riportato il numero 19 ad inizio di scena),

nell’a. I de La Dorina serva nobile (i/76, dove erano regi-

strate due scene con il numero 6). Non si è intervenuti

nell’atto I de L’insalata (i/45), dove manca una scena 5, e-

videntemente saltata dal trascrittore. È stato inserito nel luo-

go della citazione il responso dell’oracolo ne L’innocente

venduta e rivenduta (i/3, a. I—il testo nel manoscritto era

annotato dopo l’ultima sequenza del canovaccio); si è ripri-

stinata la successione delle scene nell’a. I di Amore et hono-

re di Ramidoro (i/89), in cui si è aggiunta, dopo la scena 6,

la scena trascritta al termine del soggetto, numerandola co-

me scena 7 e proseguendo regolarmente con la scena 8, e si

è regolarizzata la successione delle scene nel secondo atto;

si è introdotta al primo atto, laddove era stata cancellata, la

quarta scena, riportata in fine, in Policinella pazzo per forza

(i/92).

Nel secondo volume, si è dato risalto al titolo degli sce-

nari, spostandolo dall’angolo in alto a sinistra al centro e si

sono rispettate tanto le sottolineature che delimitano gruppi

di personaggi o di «robbe» quanto quelle dei nomi degli in-

terpreti la cui apparizione in scena segna il passaggio ad una

nuova sequenza, in ossequio ad un uso coevo alla raccol-

ta;163 laddove il copista, pur riportando un momento succes-

sivo dell’azione, ha omesso tale richiamo grafico, non si è

intervenuti. Il caratteristico segno con cui si indica che un

determinato personaggio deve osservare da parte quel che

avviene164 si è risolto isolando tra parentesi e sottolineando

a mo’ di didascalia le espressioni del tipo «osserva», «inteso

il tutto» che ne rendono esplicito il valore. Sono sottolineate

anche le annotazioni scenografiche e cronologiche.

Nei rari casi in cui il termine del richiamo non compari-

va nel testo, esso si è inserito nel punto dove era previsto

senza che se ne sia dato conto in alcun apparato.

Le lettere redatte in appendice ad alcuni soggetti sono

state numerate adottando l’aggettivo ordinale. Si è mantenu-

ta l’alternanza tra Notaro (nell’elenco dei personaggi) e

Scrivano (nel testo) nella Figlia dissubediente (ii/19). Non

si è tenuto conto degli sporadici segni diacritici che com-

paiono ne Li due simili (ii/48) a ribadire la distinzione, sem-

pre evidenziata dall’aggettivazione, tra Orazio cittadino e

Orazio forestiero. Aggiunta la dicitura Robbe al termine del

canovaccio Don Gile schiavo del diavolo (ii/65). Si è omes-

so il titolo Lettra del Belisario, che si legge a c.237v, non

essendo stato riportato nell’originale alcun brano, relativo

allo scenario precedente (Belisario - ii/72).

Gli emendamenti che compaiono nella presente edizio-

ne, non contemplati dai criteri illustrati e riguardanti eviden-

ti sviste ortografiche e—più raramente—errori morfosintatti-

ci e semantici sfuggiti ad una rilettura sia pur sommaria, so-

no segnalati nelle note ai soggetti, con la dicitura corr. su

ms. (si rinvia anche al luogo dei manoscritti).

I frontespizi sono stati riprodotti all’inizio di ciascun vo-

lume intervenendo soltanto con lo scioglimento delle abbre-

viazioni. Per il sonetto ed il madrigale trascritti rispettiva-

mente a c.281r e a c.282r del manoscritto XI AA 40 (cfr.

note 9-10) si sono normalizzati gli accenti, riportandoli

all’uso moderno. 165

27

Note ai capitoli introduttivi

1 L. ZORZI, Introduzione, in RUZANTE, Teatro, a cura di L. ZORZI, Torino, Einaudi, 1967, p. XXVI (cfr. anche L. ZORZI, L’Attore. La

Commedia. Il Drammaturgo, Torino, Einaudi, 1990, p. 24). 2 Sulle tensioni della scrittura teatrale, l’articolazione di «periodi di scrittura drammatica debole» e «scrittura drammatica forte», la so-

vrapposizione/contaminazione di ruoli si rinvia all’interessante analisi di G. LIVIO, La scrittura drammatica. Teoria e pratica esegetica,

Milano, Mursia, 1992, pp. 5-41. Utili riferimenti anche in D. STEINBECK, Einleitung in die Theorie und Systematik der Theaterwissenschaft,

Berlin, Walter De Gruyter & Co., 1970; K. ELAM, Semiotica del teatro, Bologna, Il Mulino, 1988; A. UBERSFELD, Leggere il teatro, Roma,

La Goliardica, 1994 (ed. orig. Lire le théâtre, Paris, Editions Sociales, 1977 e L’école du spectateur. Lire le théâtre. II, ivi, 1981); M. DE

MARINIS, Capire il teatro. Lineamenti di una nuova teatrologia, Firenze, La Casa Usher, 1988 (cfr. in particolare i capitoli Semiotica, pp.

15-37 e La recitazione nella Commedia dell’Arte. Appunti per un’indagine iconografica, pp. 131-170); C. MOLINARI, L’attore e la recita-

zione, Roma-Bari, Laterza, 1992 e S. FERRONE, Scrivere per lo spettacolo, in «Drammaturgia», I, 1994, pp. 7-22. Un’ampia prospettiva sul

senso della drammaturgia dell’attore nella Commedia dell’Arte è in F. TAVIANI - M. SCHINO, Il segreto della Commedia dell’Arte. La me-

moria delle compagnie italiane del XVI, XVII e XVIII secolo, Firenze, La Casa Usher, 19862 (in particolare pp. 354-379). 3 Della sterminata bibliografia sulla Commedia dell’Arte offre un ottimo quadro di insieme T. F. HECK, Commedia dell’Arte. A Guide to

the Primary and Secondary Literature, New York-London, Garland Publishing, 1988. Fondamentali rimangono tuttavia gli studi più recen-

ti (in prevalenza italiani), che hanno ripreso e approfondito le suggestioni critiche delle indagini otto-novecentesche sull’argomento (sulla

Commedia dell’Arte come «arte di attori» cfr. B. CROCE, Sul significato storico e il valore artistico della Commedia dell’Arte, Napoli, Ti-

pografia Sangiovanni, 1929 - estratto da «Atti della Reale Accademia di Scienze Morali e Politiche di Napoli», vol. LII, parte prima - e ID.,

Intorno alla Commedia dell’Arte, in Poesia popolare e poesia d’arte. Studi sulla poesia italiana dal Tre al Cinquecento, Bari Laterza,

19523 - I ed. 1933 -, pp. 503-514); cfr. A. NICOLL, Il mondo di Arlecchino. Studio critico della Commedia dell’Arte, Milano, Bompiani,

1965 (ed. orig. Cambridge, University Press, 1963); R. TESSARI, La Commedia dell’Arte nel Seicento. «Industria» e «arte giocosa» della

società barocca, Firenze, Olschki, 1969; ID., Commedia dell’Arte: la Maschera e l’Ombra, Milano, Mursia, 1981; F. TAVIANI, La Comme-

dia dell’Arte e la società barocca. La fascinazione del teatro, Roma, Bulzoni, 1969 (rist. ivi, 1991); A. MANGO - M. R. LOMBARDI, Le

origini della Commedia dell’Arte, Salerno, Libreria Internazionale Editrice, 1970; L. ZORZI, Intorno alla Commedia dell’Arte: due lezioni,

in «Forum Italicum». Special Issue. Medieval and Renaissance Theater , XIV, n. 3 (1980), pp. 427-453; R. ERENSTEIN, De Geschiedenis

van de Commedia dell’Arte, Amsterdam, International Theater Bookshops, 1985; C. MOLINARI, La Commedia dell’Arte, Milano, Mondado-

ri, 1985; AA. VV., Viaggi teatrali dall’Italia a Parigi tra Cinque e Seicento. Atti del Convegno Internazionale, Torino 6-7-8 aprile 1987,

Centro Regionale Universitario per il Teatro del Piemonte, Genova, Costa & Nolan, 1989; S. FERRONE, Attori mercanti corsari. La Com-

media dell’Arte in Europa tra Cinque e Seicento, Torino, Einaudi, 1993. Più recenti, e indicativi del mito e delle suggestioni che ancora

oggi equivocamente il fenomeno emana, C. CAIRNS (a cura di), The Commedia dell’Arte from the Renaissance to Dario Fo. The Italian O-

rigin of European Theater, Lampeter/Queenston/Lewiston, The Edwin Mellen Press, 1989; T. FITZPATRICK, The Relationship of Oral and

Literate Performance Processes in the Commedia dell’Arte. Beyond the Improvisation/Memorisation divide, Lampe-

ter/Queenston/Lewiston, The Edwin Mellen Press, 1995. Si vedano anche P. BOSSIER, Bibliografia ragionata internazionale, in M. CHIA-

BÒ-F. DOGLIO (a cura di), Origini della Commedia improvvisa o dell’Arte. Atti del XIX Convegno Internazionale del Centro Studi sul Tea-

tro Medioevale e Rinascimentale, Roma, Torre d’Orfeo, 1996, pp. 433-541 e «Theatre Research International», vol. 23, n. 2, Summer

1988, The Commedia dell’Arte, Guest Editor M. A. KATRIZKY. 4 Uno spaccato della diffusione dell’Arte nei vari contesti geo-storici in età moderna può desumersi dai contributi sulle specifiche realtà

culturali pubblicati tra Otto e Novecento: si segnalano A. GANDINI, Cronistoria dei teatri di Modena dal 1539 al 1871, Modena, Tip. Socia-

le, 1873 (rist. anastatica Bologna, Forni, 1969) e S. MONALDINI, Il teatro dei comici dell’Arte a Bologna, in «L’Archiginnasio», XC, 1995,

pp. 33-164; A. ADEMOLLO, I teatri di Roma nel secolo decimosettimo, Roma, 1888 (rist. anastatica Bologna, Forni, 1969); C. RICCI, I teatri

di Bologna nei secoli XVII e XVIII, Bologna, 1888; B. CROCE, I Teatri di Napoli. Secoli XV-XVIII, Napoli, Pierro, 1891 (l’opera era già ap-

parsa a puntate nell’«Archivio Storico per le Province Napoletane», 1889-1890, ed è stata più volte ristampata, con modifiche e aggiunte,

presso Bari, Laterza; della quarta edizione - 1947 - si è tirata una ristampa, a cura di G. GALASSO, presso Milano, Adelphi, 1992); B. BRU-

NELLI, I teatri di Padova dalle origini alla fine del secolo XIX, Padova, Libreria Angelo Draghi, 1921; C. A. VIANELLO, Teatri Spettacoli

28 Note ai capitoli introduttivi

Musiche a Milano nei secoli scorsi, Milano, Libreria Lombarda, 1941; U. PROTA-GIURLEO, I teatri di Napoli nel ‘600. La commedia e le

maschere, Napoli, Fiorentino, 1962; L. TAMBURINI, I teatri di Torino. Storia e cronache, Torino, Edizioni dell’Albero, 1966; N. MANGINI, I

teatri di Venezia, Milano, Mursia, 1974 (ed ora anche C. ALBERTI (a cura di), Gli scenari Correr. La Commedia dell’Arte a Venezia, Roma,

Bulzoni, 1996); A. M. EVANGELISTA, Il teatro dei comici dell’Arte a Firenze, in «Biblioteca Teatrale», 23/24 (1979), pp. 70-86; EAD., Il

teatro della Commedia dell’Arte a Firenze (1576-1653 circa), in «Quaderni di teatro», II, n. 7, Marzo 1980, pp. 169-176; A. F IVALDI., Gli

Adorno e l’Hostaria-Teatro del Falcone di Genova (1600-1680), in «Rivista Italiana di Musicologia», XV (1980), 1-2, pp. 87-152; AA.

VV., Le Commedie dell’Arte, «Quaderni di Teatro», VI, 24, Maggio 1984, pp. 11-89; AA. VV., Viaggi teatrali cit.; A. M. CASCETTA - R.

CARPANI (a cura di), La scena della gloria. Drammaturgia e spettacolo a Milano in età spagnola, Milano, Vita e Pensiero, 1995 (cfr. in

particolare R. G. ARCAINI, I comici dell’Arte a Milano: accoglienza, sospetti, riconoscimenti, ivi, pp. 265-326) e infine, con prospettiva eu-

ropea, S. FERRONE, Attori mercanti corsari cit., pp. 3-88, cui si rinvia per ulteriori indicazioni bibliografiche. 5 L. ZORZI, L’Attore La Commedia Il Drammaturgo cit., p. 25. 6 È il quadro che emerge da alcune letture del fenomeno, soprattutto nella sua fase più tarda e in fondo meno documentata, per le quali

cfr. M. SCHERILLO, La Commedia dell’Arte, in La vita italiana nel Seicento, Milano, Treves, 1905, pp. 299-339; M. APOLLONIO, Storia del-

la Commedia dell’Arte, Roma-Milano, Augustea, 1930 (rist. Firenze, Sansoni, 1982), pp. 217-286; I. SANESI, La Commedia, 2 voll., Mila-

no, Vallardi, 1911-1935, II, 1935, pp. 101-105. Di diversa intonazione il “dissenso” ideologico espresso da L. ZORZI, Intorno alla Comme-

dia dell’Arte cit. (e cfr. anche ID., L’Attore La Commedia Il Drammaturgo cit., pp. 141-153), che si riflette anche in contributi non di im-

mediato riferimento storico-teatrale; cfr. G. FOLENA, L’esperienza linguistica di Carlo Goldoni, in «Lettere Italiane», X, 1958, pp. 21-54

(ripubblicato in ID., L’Italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento, Torino, Einaudi, 1983, pp. 89-132); P. SPEZZANI, L’«Arte

rappresentativa» di Andrea Perrucci e la lingua della Commedia dell’Arte, in AA. VV., Lingua e strutture del teatro italiano del Rinasci-

mento, Padova, Liviana, 1970, pp. 355-438. 7 Sulla questione cfr. F. TAVIANI, La composizione del dramma nella Commedia dell’Arte, in «Quaderni di teatro», IV, n. 15, Febbraio

1982, pp. 151-171 e ID.-M. SCHINO, Il segreto della Commedia dell’Arte cit., pp. 354-379. Offre interessanti elementi di contestualizzazio-

ne e riflessione A. ARTONI, Il teatro degli zanni. Rapsodie dell’Arte e dintorni, Genova, Costa & Nolan, 1999. 8 Cfr. al riguardo le vicende delle prime generazioni di comici, ricostruite negli anni da minuziosi e accorti contributi: oltre ai monu-

mentali F. BARTOLI, Notizie istoriche de’ comici italiani che fiorirono intorno all’anno MDL fino a’ giorni presenti, Padova, per li Conzat-

ti, 1781-82 (rist. anastatica Bologna, Forni, 1978) e il più recente L. RASI, I comici italiani. Biografia, Bibliografia, Iconografia, 2 voll. in 3

tomi, Firenze, Bocca, 1897-1905, si vedano anche K. M. LEA, Italian Popular Comedy. A Study in the Commedia dell’Arte, 1560-1620,

with Special Reference to the English Stage, 2 voll., Oxford, Clarendon Press, 1934, vol. I, pp. 255-336, I. SANESI, La Commedia cit., vol.

II, pp. 1-47 ed i riferimenti bibliografici nella V sezione di T. F. HECK, Commedia dell’Arte cit., pp. 172-173, cui sono da aggiungersi al-

meno R. TESSARI, O diva, o “Estable à tous chevaux”. L’ultimo viaggio di Isabella Andreini, in AA. VV., Viaggi teatrali cit., pp. 128-142;

ID., Francesco Andreini e la stagione d’oro, in M. CHIABÒ-F. DOGLIO (a cura di), Origini della Commedia improvvisa cit., pp. 85-105; Co-

mici dell’Arte. Corrispondenze (G. B. Andreini, N. Barbieri, P. M. Cecchini, T. Martinelli, S. Fiorillo, F. Scala), edizione diretta da S. FER-

RONE, a cura di C. BURATTELLI, D. LANDOLFI, A. ZINANNI , 2 voll., Firenze, Le Lettere, 1993; S. FERRONE, Attori Mercanti Corsari cit., pp.

191-320; S. MAZZONI, Genealogia e vicende della famiglia Andreini, in M. CHIABÒ-F. DOGLIO (a cura di), Origini della Commedia improv-

visa cit., pp. 107-148. 9 Cfr. F. TAVIANI-M. SCHINO, Il segreto della Commedia dell’Arte cit., pp. 354-365. 10 Cfr. F. TAVIANI-M. SCHINO, Il segreto della Commedia dell’Arte cit., pp. 370-379. Per un’analisi approfondita del fenomeno della

commedia “italiana” è imprescindibile il riferimento a studi e fonti sul suo radicamento al di là delle Alpi (si veda T. F. HECK, Commedia dell’Arte cit., sezione IV - The Diffusion of the Commedia dell’Arte outside Italy - pp. 111-171). Privilegiato in tal senso è l’asse Italia-Francia, che vanta repertori e contributi classici, ai quali oggi sono da aggiungersi AA. VV., Viaggi teatrali cit.; V. SCOTT, The Commedia dell’Arte in Paris. 1644-1697, Charlottesville, University Press of Virginia, 1990; R. GUARDENTI, Gli italiani a Parigi. La comédie italien-ne (1660-1697). Storia, pratica scenica, iconografia, Roma, Bulzoni, 1990; ID., Le fiere del teatro. Percorsi del teatro forain del primo Settecento. Con una scelta di commedie rappresentate alle Foires Saint-Germain e Saint-Laurent, Roma, Bulzoni, 1995; ID., Commedia dell’Arte e Théâtre de la Foire: aspetti e problemi dell’apporto italiano, in M. CHIABÒ-F. DOGLIO (a cura di), Origini della Commedia im-

provvisa cit., pp. 345-367; per l’area spagnola, oltre allo studio di R. FROLDI, I comici italiani in Spagna, in M. CHIABÒ-F. DOGLIO (a cura di), Origini della Commedia improvvisa cit., pp. 273-289, merita rilievo la scoperta del manoscritto di Stefanello Bottarga segnalata da M. DEL VALLE OJEDA CALVO, Nuevas aportaciones al estudio de la “Commedia dell’Arte” en España: el “Zibaldone” de Stefanello Bottarga, in «Criticón», 63, 1995, pp. 119-138; per l’area di lingua tedesca cfr. almeno O. G. SCHINDLER, Stegreifbourlesken der Wanderbühne Sze-nare der Schulz-Menningerschen Schauspielertruppe. Nach Handschriften der Österreichischen Nationalbibliothek, St. Ingbert, Röhrig, 1990 e F. COTTICELLI-O. G. SCHINDLER, Per la storia della Commedia dell’Arte: il Basalisco del Barnagasso, in F. C. GRECO (a cura di), I percorsi della scena. Cultura e comunicazione del teatro nell’Europa del Settecento, Napoli, Luciano, 2001, pp. 11-313; per l’area inglese - a parte il consueto riferimento a V. PAPETTI, Arlecchino a Londra, Quaderni degli Annali della Sezione Germanica, II, Napoli, Istituto

Universitario Orientale, 1977 - un bilancio delle prospettive critiche è in C. CAIRNS, La Commedia dell’Arte in Inghilterra: il ‘Gran rifiuto’ mito o realtà, in M. CHIABÒ-F. DOGLIO (a cura di), Origini della Commedia improvvisa cit., pp. 291-301. Quanto alla Russia, si veda oggi M. Ferrazzi, Commedie e comici dell'arte italiani alla corte russa (1731-1738), Roma, Bulzoni, 2000.

11 Cfr. F. TAVIANI-M. SCHINO, Il segreto della Commedia dell’Arte cit., pp. 365-379. 12 Ibidem.

Note ai capitoli introduttivi 29

13 L’espressione è in M. APOLLONIO, Storia della Commedia dell’Arte cit., p. 233. 14 Cfr. ancora F. TAVIANI-M. SCHINO, Il segreto della Commedia dell’Arte cit., pp. 391-447. Interessante in tal senso anche il profilo di

F. TAVIANI, Commedia dell’Arte (Influenze della), in A. ATTISANI (a cura di), Enciclopedia del teatro del Novecento, Milano, Feltrinelli,

1980, pp. 393-400. 15 Esemplare il percorso che si delinea nelle corrispondenze, sul quale cfr. S. FERRONE, Introduzione a Comici dell’Arte. Corrisponden-

ze cit., vol. I, pp. 11-51. Rientrano nelle mire di una glorificazione del mestiere anche tutti i contributi letterari dei comici, per i quali cfr. S.

FERRONE (a cura di), Commedie dell’arte, 2 voll., Milano, Mursia, I (1985), II (1986), vol. I, pp. 44-52, oggetto per lo più di riproduzioni

antologiche, tra cui si segnalano F. NERI, Scenari delle maschere in Arcadia, Città di Castello, Lapi, 1913; E. PETRACCONE (a cura di), La

Commedia dell’Arte. Storia. Tecnica. Scenari, Napoli, Ricciardi, 1927; V. PANDOLFI, La Commedia dell’Arte. Storia e testi, 6 voll., Firen-

ze, Sansoni, 1957-1961 (e si veda la ristampa con aggiornamento bibliografico a cura di S. FERRONE, Firenze, Casa Editrice Le Lettere,

1988), in particolare vol. II (1957), pp. 69-258; F. TAVIANI-M. SCHINO, Il segreto della Commedia dell’Arte cit., pp. 65-292 (parte prina La

Tradizione. Illustrazioni letterarie); F. MAROTTI-G. ROMEI, La Commedia dell’Arte e la società barocca. La professione del teatro, Roma,

Bulzoni, 1991. Si veda anche per le inevitabili connessioni con la nascita del professionismo teatrale L. MARITI (a cura di), Commedia ridi-

colosa. Comici di professione, dilettanti, editoria teatrale nel Seicento, Roma, Bulzoni, 1978. 16 Cfr. L. FALAVOLTI (a cura di), Commedie dei Comici dell’Arte, Torino, U.T.E.T., 1982 (pubblica Lo schiavetto di G.B.Andreini -

1612-, Il finto marito di F. Scala - 1618 -, L’inavertito di N. Barbieri - 1629 -, La Lucilla costante di S. Fiorillo - 1632 - e L’amico tradito

di P. M. Cecchini - 1633); Pier Maria Cecchini: le commedie. Un commediante e il suo mestiere. Testo, introduzione e note di C. MOLINA-

RI, Ferrara, Bovolenta, 1983 e S. FERRONE (a cura di), Commedie dell’arte, 2 voll., Milano, Mursia, I (1985), II (1986) (pubblica nel primo

volume L’alchimista di Bernardino Lombardi - 1583 - e Gli amorosi inganni di Vincenzo Belando - 1609 - e nel secondo Le due comedie

in comedia di G. B. Andreini - 1623 -, l’edizione del 1630 de L’inavertito, ovvero Scappino disturbato e Mezzettino travagliato di N. Bar-

bieri e Li Buffoni di M. Costa - 1641); nel primo volume, alle pp. 44-52, è riportata una nota bibliografica con un elenco puntuale dei testi a

stampa e dei manoscritti afferenti al mondo dei comici dell’Arte, mentre a pag. 53 si registrano le edizioni moderne, per lo più antologiche,

cui è da aggiungersi S. FIORILLO, La Lucilla costante, a cura di M. BRINDICCI, Napoli, Bellini, 1995. 17 Si pensi ad esempio a P. M. CECCHINI, Brevi discorsi intorno alle comedie, comedianti e spettatori[…], Napoli, Roncagliolo, 1616;

ID., Frutti delle moderne comedie et avisi a chi le recita, Padova, Guareschi, 1628, o a N. BARBIERI, La Supplica. Discorso famigliare di

Niccolò Barbieri detto Beltrame […], Venezia, M. Ginammi, 1634 (di quest’ultimo testo si veda l’edizione critica a cura di F. TAVIANI,

Milano, Il Polifilo, 1971). 18 Su G. B. Andreini cfr. adesso - oltre a Comici dell’Arte. Corrispondenze cit., vol. I, pp. 61-169 - S. FERRONE, Attori Mercanti Corsari

cit., pp. 223-273 e M. REBAUDENGO, Giovan Battista Andreini tra poetica e drammaturgia, Torino, Rosenberg & Sellier, 1994. Analogo il

discorso per Martinelli, su cui cfr. Comici dell’Arte. Corrispondenze cit., pp. 347-435; e S. FERRONE, Attori Mercanti Corsari cit., pp. 191-

222. 19 F. SCALA, Il Teatro delle favole rappresentative, Venezia, Pulciani, 1611; ed. moderna a cura di F. MAROTTI, 2 voll., Milano, Il Poli-

filo, 1976. 20 Cfr. F. MAROTTI, La figura di Flaminio Scala, in L. MARITI (a cura di), Alle origini del teatro moderno. La Commedia dell’Arte, Atti

del Convegno di Studi di Pontedera, Roma, Bulzoni, 1980, pp. 21-43. 21 F. TAVIANI-M. SCHINO, Il segreto della Commedia dell’Arte cit., p. 371. Sulla caducità e sul carattere strumentale di molte produzioni

testuali dell’Improvvisa cfr. anche L. RICCOBONI, Histoire du Théâtre Italien depuis la decadence de la Comédie Latine; avec un Catalogue

des Tragedies et Comedies Italiennes imprimées depuis l’an 1500, jusqu’à l’an 1660. Et une Dissertation sur la Tragedie Moderne, Paris,

Delormel, 1728 - rist. fotomeccanica Bologna, Forni, 1969, pp. 39-40. Si veda anche K. M. LEA, Italian Popular Comedy cit., vol. I, pp.

129-131. 22 Cfr. Traduction du Scénario de Joseph Dominique Biancolelli, dit Arlequin - Et l’histoire du Théâtre Iitalien. Depuis l’année 1577

jusqu’à 1750 et les années suivantes, Paris, Bibliothèque de l’Opéra, Res. 625 (1-2), su cui si veda S. SPADA, Domenico Biancolelli ou l’art

d’improviser. Textes Documents Introduction Notes, Naples, Institut Universitaire Oriental, 1969. Pregevole la recente edizione di D.

GAMBELLI, Arlecchino a Parigi. II. Lo scenario di Domenico Biancolelli, 2 voll., Roma, Bulzoni, 1997 (cfr. anche EAD., Arlecchino a Pa-

rigi. I. Dall’inferno alla Corte del Re Sole, Roma, Bulzoni, 1993, in particolare pp. 295-383). 23 Per un elenco ed un’analisi complessiva delle raccolte di scenari cfr. K. M. LEA, The Bibliography of the Commedia dell’Arte: the

Miscellanies of the Comici and Virtuosi, in «The Library», n.s., XI, 1931, pp. 1-38; EAD., Italian Popular Comedy cit., vol. I, pp. 129-219;

V. PANDOLFI, La Commedia dell’Arte cit., vol. V, pp. 203-389; S. FERRONE, (a cura di), Commedie dell’Arte cit., vol. I, pp. 52-53; T. F.

HECK, Commedia dell’Arte cit., pp. 14-45. Si veda anche L. ZORZI, La raccolta degli scenari italiani della Commedia dell’Arte, in L.

MARITI (a cura di), Alle origini del teatro moderno cit., pp. 104-115. 24 Cfr. S. FERRONE, Introduzione a Commedie dell’Arte cit., vol. I, pp. 18-21. Sull’idea dell’«ipercorrezione letteraria» si veda anche F.

MAROTTI-G. ROMEI, La Commedia dell’Arte cit., pp. XXXI-XLIX. 25 Un’illustrazione di lazzi è nelle carte della manoscritta Selva overo Zibaldone di concetti comici raccolti dal P. D. Placido Adriani di

Lucca, 1734, Biblioteca Comunale di Perugia, segn. A 20. Cfr. anche E. DEL CERRO (pseud. NICEFORO NICOLA), Lazzi inediti della Com-

30 Note ai capitoli introduttivi

media dell’Arte, estratto dalla «Rivista d’Italia», Ottobre 1914, Roma, Tipografia dell’Unione Editrice, 1914 ed oggi M. GORDON, Lazzi:

the Comic Routines of the Commedia dell’Arte, New York, Performing Arts Journal Publications, 1983. Sulle possibili interpretazioni del

termine e delle funzioni cfr. L. MARITI (a cura di), Alle origini del teatro moderno cit., pp. 116-125. 26 La questione è affrontata in F. COTTICELLI, Rileggendo gli scenari: l’Arlecchino di Domenico Biancolelli e il Pulcinella della raccol-

ta Casamarciano, in F. C. GRECO (a cura di), Pulcinella. Una maschera tra gli specchi, Napoli, E.S.I., 1990, pp. 169-190 e ID., Sui cano-

vacci della raccolta Casamarciano, in M. CHIABÒ-F. DOGLIO (a cura di), Origini della Commedia improvvisa cit., pp. 231-245. 27 Cfr. F. TAVIANI-M. SCHINO, Il segreto della Commedia dell’Arte cit., pp. 369-373. 28 Sulla persistente denigrazione dei canovacci cfr. M. SCHERILLO, La Commedia dell’Arte cit., pp. 200-339 («Non […] restano che gli

scenari, lo scheletro: «il più divin s’invola» - p. 311 - «Sunt lacrimae rerum! Codesta non è che la trama, il canovaccio, d’un tessuto che in

chi lo vide sentiam celebrare per la squisita varietà, vivezza e contrasto delle tinte; non è che la feccia d’un vino inebriante da cui si sia e-

vaporato lo spirito; non è che la pianta topografica d’una città, famosa nella storia, oramai distrutta» - p. 313); M. APOLLONIO, Storia della

Commedia dell’Arte cit., p. 233 (si constata nelle raccolte seicentesche «rigidità e isterilimento, e la fatica di una tradizione che esaurita

declina»); B. CROCE, Intorno alla Commedia dell’Arte cit., pp. 503-514 («niente di più insulso e arido di cotesta letteratura, che presenta

proprio l’opposto di quella freschezza e novità che si attribuisce alla commedia dell’arte» - p. 511); I. SANESI, La Commedia cit., vol. II

(1935), pp. 101-105 («gli scenari ci stanno dinanzi, è vero, ma come freddi, muti e inerti cadaveri» - p. 104); P. L. DUCHARTRE, La Comme-

dia dell’Arte et ses enfants, Paris, Edition d’art et industrie, 1955, pp. 53-56 (i canovacci «sont comme un petit tas de cendre laissé par un

bûcher énorme» - p. 53). Meno drastica la valutazione di V. PANDOLFI, La Commedia dell’Arte cit., vol. V (1959), pp. 203-389, mentre si

segnalano le riserve di L. ZORZI, Intorno alla Commedia dell’Arte cit., pp. 426-453 (e cfr. anche ID., L’Attore La Commedia Il Drammatur-

go, Torino, Einaudi, 1990, pp. 141-221 - «tutte le maggiori raccolte pubbliche trasmettono l’opera non di attori professionisti, ma di medio-

cri letterati, che trascrissero per commissione o per ozio delle imitazioni dei soggetti che essi vedevano rappresentati sulle scene […]» - pp.

146-147). Cfr. anche sull’argomento F. COTTICELLI, Per un’analisi drammaturgica della raccolta Casamarciano, in «Ariel», a. VI, n. 3,

Settembre-Dicembre 1991, pp. 51-76. Si muovono nel senso del recupero dell’esperienza testimoniata dai canovacci F. MAROTTI, Il «Tea-

tro delle Favole Rappresentative»: un progetto utopico, in «Biblioteca Teatrale», n. 15-16, 1976, pp. 191-215 e, più di recente, R. AN-

DREWS, Scripts and Scenarios: the Performance of Comedy in Renaissance Italy, Cambridge, Cambridge University Press, 1993; T. FI-

TZPATRICK, The Workings of the Commedia dell’Arte cit. e, con un taglio formalizzante pur sempre basato sull’anomala esperienza dello

Scala, S. JANSEN, On the clauses in a scenario of Flaminio Scala, in «Quaderni di Italianistica», XI, 2, 1990, pp. 175-196. Discute del rap-

porto tra “improvviso” e letterario anche A. MANGO, Dalla commedia improvvisa alla commedia letteraria, in M. CHIABÒ-F. DOGLIO (a

cura di), Teatro comico tra Medioevo e Rinascimento: la farsa. Atti del X Convegno di Studi del Centro Studi sul Teatro Medioevale e Ri-

nascimentale, Roma, Ottobre-Novembre 1986, Roma, Union Printing Editrice, 1987, pp. 101-114. 29 F. MAROTTI, La figura di Flaminio Scala cit., p. 40 (cfr. anche F. MAROTTI, Introduzione a F. SCALA, Il Teatro delle favole rappre-

sentative a cura di F. MAROTTI cit., p. LVIII). 30 Ibidem. 31 Ibidem. Sulla questione si veda anche F. RUFFINI, Semiotica del testo. L’esempio teatro, Roma, Bulzoni, 1978, pp. 110-113. 32 Per una descrizione dei codici cfr. infra. 33 È il caso, ad esempio, di Giangurgolo tra La Trapola (i/34) e Covello traditore del padrone (i/38) o di Tofano tra Policinella dama

golosa (i/70) e Policinella ladro, spia, sbirro, giudice e boia (i/73). 34 Si osservi la successione dei primi scenari del ms. XI AA 40 (Arcadia incantata, ii/1; Amanti volubili, ii/2; Arme mutate, ii/3; Aqui-

dotto, ii/4; Amar per fama, ii/5). 35 Cfr. da Inventioni di Covello (i/12) a La rivalità tra Policinella e Covello (i/22). 36 Si vedano ad esempio Non può essere (ii/33) e Magior gloria (ii/34); Finto astrologo (ii/46) e Comvitato di pietra (ii/47); Don Gile

schiavo del diavolo (ii/65) e Diavolo predicatore (ii/66). 37 Festino amoroso, colle cinque lettere cambiate (ii/87), Amanti licenziati (ii/88), Non amando amare (ii/89), Moglie di sette mariti

(ii/90). 38 A. PERRUCCI, Dell’arte rappresentativa premeditata, ed all’improvviso. Giovevole non solo a chi si diletta di rappresentare, ma a’

Predicatori, Oratori, Accademici e Curiosi. Parti due […], Napoli, M. L. Mutio, 1699. Dell’opera esiste una edizione moderna - non parti-

colarmente corretta - a cura di A. G. BRAGAGLIA, Firenze, Sansoni, 1961. 39 Cfr. Selva overo Zibaldone di concetti comici cit. 40 L’ipotesi - si è visto - è già stata formulata da L. ZORZI, Intorno alla Commedia dell’Arte cit., pp. 427-453; cfr. anche ID., L’Attore La

Commedia Il Drammaturgo cit., pp. 141-153. Il problema tuttavia è nel necessario riequilibrio dei termini complessivi della questione: il

«risultato di pigro e completo manierismo» lamentato dallo studioso (cfr. ivi, p. 147) a proposito di queste trascrizioni da parte di mediocri

letterati non sarebbe irrilevante «sul piano delle informazioni tecniche di riporto» (cfr. ibidem), ma ai fini della «méta a cui tendere, ossia la

restituzione filologica degli scenari nella loro veste originale» (ibidem). Riaffiora così una prospettiva tutta letteraria all’interno di un fe-

nomeno dove il proliferare delle varianti non è contaminazione incontrollata o degenerazione di un originario dettato poetico, ma elemento

Note ai capitoli introduttivi 31

costitutivo della vita teatrale alla quale questi testi rispondono. Sull’argomento cfr. F. COTTICELLI, Per un’analisi drammaturgica della rac-

colta Casamarciano cit., pp. 55-64. 41 Cfr. ii/23, in margine allo scenario. Si veda anche F. C. GRECO (a cura di), Quante storie per Pulcinella/ Combien d’histoires pour

Polichinelle, Napoli, E.S.I., 1988, p. 285. 42 F. MAROTTI, La figura di Flaminio Scala cit., p. 21. 43 Ivi, p. 22. 44 Sul concetto cfr. S. FERRONE, Drammaturgia e ruoli teatrali, in «Il Castello di Elsinore», n. 3 (1988), pp. 37-44. Si vedano anche ID.,

Introduzione a Commedie dell’Arte cit., vol. I, pp. 14-22 e ID., Introduzione a Comici dell’Arte. Corrispondenze cit., vol. I, pp. 11-16. 45 Cfr. al riguardo M. APOLLONIO, Storia della Commedia dell’Arte cit., p. 201 e p. 235 (sul «ridistaccarsi della buffoneria dalla com-

media»); K. M. LEA, Italian Popular Comedy cit., vol. I, p. 100-102 (della maschera si pensa che «his licence for buffoonery allows for the

intrusion of lazzi and sub-plots […] it is clear that the popularity of Pulcinella hastened the disintegration of the Commedia del’Arte by in-

creasing the output of ill-constructed farces» - p. 102); A. NICOLL, Il mondo di Arlecchino cit., pp. 109-112; V. VIVIANI, Storia del teatro

napoletano, Napoli, Guida, 1969, pp. 186-187. 46 Cfr. F. COTTICELLI, Il Pulcinella della raccolta Casamarciano: autonomia di una tradizione, in F. C. GRECO (a cura di), Quante sto-

rie per Pulcinella cit., pp. 87-107. Su Pulcinella, oltre ai classici studi di B. CROCE, Pulcinella e il personaggio del napoletano in comme-

dia, Roma, Loescher, 1899 (estratto dall’«Archivio Storico per le Province Napoletane», XXIII, 1898) e A. G. BRAGAGLIA, Pulcinella, Fi-

renze, Sansoni, 1982 (rist. della I ed., Roma, Casini, 1953), si vedano oggi F. C. GRECO (a cura di), Quante storie per Pulcinella cit.; ID.,

Pulcinella. Una maschera tra gli specchi cit.; ID. (a cura di), Pulcinella maschera del mondo. Pulcinella e le arti dal Cinquecento al Nove-

cento, catalogo della mostra, Napoli, Electa, 1990; R. DE MAIO, Pulcinella. Il filosofo che fu chiamato pazzo, Firenze, Sansoni, 1989; L. M.

LOMBARDI SATRIANI-D. SCAFOGLIO, Pulcinella. Il mito e la storia, Milano, Leonardo, 1992. 47 Cfr. F. COTTICELLI, Il Pulcinella della raccolta Casamarciano cit., pp. 95-100. 48 Si tratta in effetti di uno scenario dalle molteplici varianti e dall’interpretazione molto controversa. Inaugura l’interesse per questa

trama P. TOLDO, Le Basalisco de Bernagasso et le Tartuffe, in «Bulletin Italien», VII, n. 1, pp. 135-150; sull’«intrigo intertestuale che po-

trebbe rivaleggiare con quelli addensatisi intorno alle figure del “medico volante” e del “Convitato di pietra”» cfr. ora D. GAMBELLI, Arlec-

chino a Parigi. II. Lo scenario di Domenico Biancolelli cit., vol. I, pp. 133-144 e F. COTTICELLI-O. G. SCHINDLER, Per la storia della

Commedia dell'Arte: Il Basalisco del Bernagasso, cit. 49 Cfr. D. GAMBELLI, Arlecchino a Parigi. II. Lo scenario di Domenico Biancolelli cit., vol. I, pp. 139-144. 50 Cfr. S. FERRONE, Introduzione a Commedie dell’Arte cit., pp. 21-22. 51 A. PERRUCCI, Dell’arte rappresentativa cit., p. 362. 52 Ibidem. 53 Su Perrucci cfr. M. APOLLONIO, Storia della Commedia dell’Arte cit., pp. 260-267; R. TESSARI, La Commedia dell’Arte nel Seicento

cit., pp. 89-108; F. C. GRECO, Ideologia e pratica della scena nel primo Settecento napoletano, in F. DEGRADA (a cura di), Studi pergole-

siani. Pergolesi Studies, I, Firenze, La Nuova Italia, 1986, pp. 33-72 (cfr. anche ID., La scrittura teatrale: dalla letteratura alla scena, in

«Critica letteraria», XIV, f. II, 51, 1986, pp. 225-274); ID., Il Teatro del Re: dall’istituzione alla legittimazione, in F. C. GRECO-G. CANTO-

NE (a cura di), Il Teatro del Re. Il San Carlo da Napoli all’Europa, Napoli, E.S.I., 1987, pp. 7-42; ID., Pulcinella o la scienza del teatro, in

ID. (a cura di), Pulcinella. Una maschera tra gli specchi cit., pp. 23-28; ID., Andrea Perrucci e l’istituzione del teatro, in M. CHIABÒ-F.

DOGLIO (a cura di), Origini della Commedia improvvisa cit., pp. 205-229. 54 Cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 260-267 e F. C. GRECO, Ideologia e pratica della scena cit., pp. 39-42. 55 Cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 267-273 e F. C. GRECO, Ideologia e pratica della scena cit., pp. 42-50. 56 Nonostante le riserve estetiche, di Liveri tratta diffusamente B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 316-319, pp. 356-359 e pp. 399-

424. Si veda anche F. C. GRECO, Ideologia e pratica della scena cit., pp. 50-72. Sulle questioni della scena settecentesca a Napoli fonda-

mentale F. C. GRECO, Teatro napoletano del ‘700. Intellettuali e città tra scrittura e pratica della scena, Napoli, Pironti, 1981; sul sistema

teatrale napoletano della tarda età vicereale cfr. F. COTTICELLI-P. MAIONE, «Onesto divertimento, ed allegria de’ popoli». Materiali per una

storia dello spettacolo a Napoli nel primo Settecento, Milano, Ricordi, 1996. 57 Cfr. Selva overo Zibaldone di concetti comici cit. Sull’Adriani si vedano B. CROCE, Un repertorio della Commedia dell’Arte, in

«Giornale Storico della Letteratura Italiana», XXXI, 1898, pp. 458-460; E. DEL CERRO (pseud. NICEFORO NICOLA), Nel regno delle ma-

schere. Dalla Commedia dell’Arte a Carlo Goldoni, Napoli, Perella, 1914; ID., Lazzi inediti della Commedia dell’Arte cit.; M. APOLLONIO,

Storia della Commedia dell’Arte cit., pp. 267-273; K. M. LEA, Italian Popular Comedy cit., vol. I, pp. 155-157; S. THERAULT, La Comme-

dia dell’Arte vue à travers le zibaldone de Perouse, Paris, C.N.R.S., 1965 (pubblica alcuni scenari dello zibaldone); C. LEPORE, Comunica-

zioni su nuovi ritrovamenti relativi a Placido Adriani, in «Quaderni di teatro», VI, 24, 1984, pp. 153-164; T. F. HECK, Commedia dell’Arte

cit., pp. 32-35; S. MARAUCCI, Spazio verbale e spazio scenico in un suggello alla Commedia dell’Arte di area meridionale: lo Zibaldone di

Placido Adriani, in M. CHIABÒ-F. DOGLIO (a cura di), Origini della Commedia improvvisa cit., pp. 247-271; V. GALLO, La Selva di Placido

Adriani. La Commedia dell’Arte nel Settecento, Roma, Bulzoni, 1998.

32 Note ai capitoli introduttivi

58 Sulla Commedia dell’Arte a Napoli nel Seicento rimangono fondamentali B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 52-226 (nell’edizione

del 1992 - cfr. cap. I, n. 4 - cfr. pp. 41-128) e U. PROTA-GIURLEO, La Commedia dell’Arte nel ‘600 cit., in particolare pp. 3-118. Qualche

spunto è in V. VIVIANI, Storia del teatro napoletano cit., passim. Si veda anche T. MEGALE, La città in festa. Tipologie dello spettacolo nel-

la Napoli di primo Seicento, tesi di dottorato di ricerca in Storia dello Spettacolo, VI ciclo, Università di Firenze, pp. 38-46 e pp. 61-131.

Un riepilogo delle linee di tendenza dello spettacolo seicentesco è oggi offerto da S. FERRONE, Il teatro, in Storia della letteratura italiana

diretta da E. MALATO, vol. V, La fine del Cinquecento e il Seicento, Roma, Salerno, 1997, pp. 1057-1110 (per Napoli si vedano soprattutto

le pp. 1080-1084). 59 Sull’escursione sociale del “professionista” di teatro è fondamentale F. TAVIANI, La Commedia dell’Arte e la società barocca. La fa-

scinazione del teatro, Roma, Bulzoni, 1969 (rist., ivi, 1991); cfr. anche R. TESSARI, Commedia dell’Arte: la Maschera e l’Ombra cit. e F.

TAVIANI-M. SCHINO, Il segreto della Commedia dell’Arte cit., pp. 141-177; A. ARTONI, Il teatro degli zanni cit., passim. Di notevole inte-

resse è poi al riguardo P. CAMPORESI, Il libro dei vagabondi, Torino, Einaudi, 1973. 60 Cfr. F. C. GRECO (a cura di), La Commedia dell’Arte ed il teatro erudito. Catalogo della mostra La scrittura e il gesto. Itinerari del

teatro napoletano dal Cinquecento ad oggi, Napoli, Guida, 1982 (in particolare Per un censimento della produzione drammaturgica in a-

rea meridionale fra Cinquecento e Seicento, pp. 57-71) e ID., La nascita dei modelli e la definizione dei codici teatrali: dalla trasgressione

all’ordine, in M. CHIABÒ-F. DOGLIO (a cura di), Teatro comico tra Medioevo e Rinascimento: la farsa cit., pp. 71-100. 61 Cfr. U. PROTA-GIURLEO, I Teatri di Napoli nel ‘600 cit., passim. 62 Cfr. F. COTTICELLI, Per un’analisi drammaturgica della raccolta Casamarciano cit., pp. 70-76. 63 Al riguardo cfr. le considerazioni esposte in F. COTTICELLI, Sui canovacci della raccolta Casamarciano cit., pp. 242-245. 64 I dati reperiti su Annibale Sersale conte di Casamarciano sono in F. COTTICELLI, Contributo alla storia della Commedia dell'Arte a

Napoli. I manoscritti Casamarciano, 2 voll. in tre tomi, vol. I, pp. 27-30, pp. 35-36 e app. I, pp. 35-51 (testamento) e app. II (Prospetto dei

pagamenti effettuati sui conti correnti intestati ad Annibale Sersale Conte di Casamarciano tratti dai giornali copiapolizze di cassa degli

antichi banchi pubblici napoletani conservati presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli), pp. 152-166. 65 Sull’argomento è d’obbligo il riferimento a S. DI GIACOMO, La prostituzione in Napoli nei secoli XV, XVI, e XVII, s. l., Del Delfino,

1968 (rist. della edizione Napoli, Melfi & Joele, 1899); per l’area adiacente si vedano anche Archivio di Stato di Napoli (d'ora in poi ASN),

Affari Diversi della Segreteria dei Viceré, f. 471, 6/VII/1680 («las pramaticas disponen que en los Varrios onrados bive Jente onrada y one-

sta y no los que no lo son y en este titulo se comprehenden los Comediantes publicos los quales mercenariamente entretienen en las tablas

mudando trajes de mujeres en ombres y al contrario, conra la onestidad […]»); ASN, Affari Diversi della Segreteria dei Viceré, f. 769, por

decreto de 1/VI/1690 («Los Moradores y Vecinos de la Calle de la Pace de esta Ciudad representan que a quella Calle se ha reducido a un

publico burdel por haver ido a habitar en ella a las casas de los herederos de Vinzenzo Selano y Mateo Carnoni, las mas disolutas cortesa-

nas que jamas se hà visto con la proteccion de algunos escrivanos criminales de Vicaria. 6/VI/1690); ASN, Affari Diversi della Segreteria

dei Viceré, f. 769, 8/VI/1690 (si chiede di intervenire contro gli scandali al Vico della Pace dati da «Giovanna Provenzale alias La Longa,

Teresa, Antonia, Lella, et altre delle quali al presente non ho potuto liquidare le Casate, e con dette Donne ci pratticano huomini di bassis-

sima conditione, come sono Creati, Sbirri, Cocchieri, Merciaiuoli, Garzoni de Chianchieri […]»); ASN, Affari Diversi della Segreteria dei

Viceré, f. 770, 18/VI/1690. 66 Sul Teatro della Lava cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 255-259; R. RUOTOLO, Notizie inedite sul Teatro della Lava, in «Ce-

nacolo Fraggianni», I, 4, Ottobre-Dicembre 1973, pp. 66-67; S. CAPONE, Autori, imprese, teatri dell’opera comica napoletana. Documenti

per una storia del teatro napoletano del ‘700 (1709-1737), Foggia, Books & News, 1992; F. COTTICELLI-P. MAIONE, «Onesto divertimen-

to» cit., pp. 159-166. 67 Su di lui cfr. ASN, Affari Diversi della Segreteria dei Viceré, f. 1440, 8/II/1716; ASN, Notai XVII sec., Giuseppe Pino, sch. 1297,

vol. 13, cc. 65r-70v, 10/II/1717; la sua compagnia, durante un precedente appalto al Teatro dei Fiorentini, aveva recitato a Palazzo, come

risulta dagli Avvisi di Domenico Antonio Parrino, n. 19, 7/V/1715. Sugli Avvisi come fonte per la storia dello spettacolo cfr. D. A.

D’ALESSANDRO, La musica a Napoli nel secolo XVII attraverso gli Avvisi e i Giornali, in L. BIANCONI-R. BOSSA (a cura di), Musica e cul-

tura a Napoli dal XV al XIX secolo, Firenze, Olschki, 1983, pp. 145-164. 68 Cfr. ASN, Not. XVIII sec., Giacomo Antonio Fontana, sch. 142, vol. 9, cc. 208v-212v, 13/VIII/1723. 69 Cfr. Archivio Storico del Banco di Napoli, Banco dei Poveri, matricola 1033, partita estinta 16/III/1724; matricola 1037, partita estin-

ta 9/VIII/1724. 70 Cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., p. 386 e F. COTTICELLI-P. MAIONE, «Onesto Divertimento» cit., pp. 205-206. 71 Cfr. La mogliere fedele, «commeddia pe mmuseca» - dedica di Pietro Farina e Ignazio Manfredi a Carlo Althann, libretto di anonimo

musicato da Leonardo Vinci. Interpreti: Francesco Ciampi (Meo); Giovanna Magnacaso (Ciulla); Brigida Alfiero (Titta); Carmine

d’Ambrosio (Lella, Fonzillo, Ntreana); Giovanni Romaniello (Tenzella, Nardullo). Cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 256-258 e C.

SARTORI, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, 6 voll., Cuneo, Bertola & Locatelli, 1990-94, n. 15781. Cfr. anche F. COTTICELLI-

P. MAIONE, «Onesto divertimento» cit., pp. 160-161. 72 Cfr. ASN, Notai XVIII sec., Pietro Aniello Maresca, sch. 73, vol. 15, cc. 214v-220r, 25/XI/1725; cfr. F. COTTICELLI-P. MAIONE, «O-

nesto divertimento» cit., pp. 161-162 e pp. 317-319.

Note ai capitoli introduttivi 33

73 ASN, Affari Diversi della Segreteria dei Viceré, f. 1778, 15/X/1727. 74 Cfr. G. RICUPERATI, Napoli e i Viceré austriaci 1707-1734, in AA. VV., Storia di Napoli, Napoli, Società Editrice Storia di Napoli,

vol. VII, 1972, pp. 347-457. 75 ASN, Casa Reale Antica, Affari Diversi, f. 741, 29/IV/1735. Cfr. F. COTTICELLI-P. MAIONE, «Onesto divertimento» cit., pp. 37-38 e

p. 165. 76 Sul Trinchera e l’ultima fase della Lava cfr. B. CROCE, I teatri di Napoli cit., pp. 274-279 e pp. 394-399; F. C. GRECO, Teatro napole-

tano del ‘700 cit., pp. LXXXVIII-LXXXIX; F. COTTICELLI-P. MAIONE, «Onesto divertimento» cit., pp. 165-166. 77 Sulla Duchesca cfr. U. PROTA-GIURLEO, I Teatri di Napoli nel ‘600 cit., pp. 45-55 ed ora T. MEGALE, Stagioni della Commedia

dell’Arte a Napoli: il Teatro della Duchesca (1613-1626), in M. CHIABÒ-F. DOGLIO (a cura di), Origini della Commedia improvvisa cit.,

pp. 369-388. 78 Cfr. U. PROTA-GIURLEO, I Teatri di Napoli nel ‘600 cit., pp. 143-153. Alcuni ragguagli sulla attività spettacolare del Largo di Porta

Capuana sono in F. COTTICELLI-P. MAIONE, «Onesto divertimento» cit., pp. 201-202 e passim. 79 Cfr. ASN, Notai XVIII sec., Vito Antonio Mascolo, sch. 27, vol. 24, incartamento n. 45, 1/VII/1730 (Convenzione tra Cristofor o

Russo e il romano Girolamo Medebach); ASN, Notai XVIII sec., Pietro Aniello Maresca, sch. 73, vol. 21, cc. 91r-93v, 20/IV/1739 («Nota

delli spesati ordinarij del Teatro fuori Porta Capoano»). 80 Cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 143-146. 81 Cfr. A. PERRUCCI, Dell’Arte rappresentativa cit., pp. 187-189. 82 Cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., p. 145. 83 Cfr. ivi, pp. 143-144. 84 Cfr. ivi, pp. 56-60 e pp. 85-88; H. BENEDIKT, Das Königreich Neapel unter Kaiser Karl VI. Eine Darstellung auf Grund bisher unbe-

kannter Dokumente aus den österreichischen Archiven, Wien-Leipzig, Manz’scher Verlag, 1927, pp. 631-633; U. PROTA-GIURLEO, I Teatri

di Napoli nel ‘600 cit., pp. 121-143; F. C. GRECO, Teatro napoletano del ‘700 cit., pp. XLVII-XLVIII; F. PIPERNO, Teatro di stato e teatro

di città. Funzioni, gestioni e drammaturgia musicale del San Carlo dalle origini all’impresariato Barbaja, in AA. VV., Il Teatro di San

Carlo, 2 voll., Napoli, Guida, 1987, vol. I, pp. 67-68; S. FERRONE, Attori Mercanti Corsari cit., pp. 50-88; F. COTTICELLI-P. MAIONE, Le

istituzioni musicali a Napoli durante il Viceregno austriaco (1707-1734). Materiali inediti sulla Real Cappella ed il Teatro di San Barto-

lomeo, Napoli, Luciano, 1993, pp. 43-45 e F. COTTICELLI, Dal San Bartolomeo al San Carlo: sull’organizzazione teatrale a Napoli nel

primo Settecento, in «Ariel», IX, 1, Gennaio-Aprile 1994, pp. 25-45. Sulla Casa Santa degli Incurabili cfr. R. SALVEMINI, Amministrazione

e gestione della Casa Santa degli Incurabili di Napoli alla fine del Seicento, Università degli Studi del Molise, Dipartimento di Scienze

Economiche Gestionali e Sociali, SEGES, Collana di pubblicazioni del Dipartimento, Quaderni di Studi Storici, 15, 1997. 85 Cfr. ASN, Notai XVII sec., Francesco Antonio Montagna, sch. 1133, vol. 20, cc. 249r-252r, 5/VI/1671: Costanzo de Pastena e Mat-

teo Avallone, mercanti di legname, vengono a convenzione con «Gioseppe Ferraro Messinese, Alonzo Louzzo Palermitano, Sebastiano

Masuccio Napoletano, Francesco d’Angelo Palermitano, Carlo Agliozza di Napoli». I due mercanti affittano «trecento tavole di Chiuppo

nove, e trenta tenelloni di Castagno nuovi, quali legnami dichiarano dette Parti, che serviranno per fare il Casotto nel largo del Regio Ca-

stell’ novo per recitare Comedie dalli sudetti Conduttori, ò altro à loro elettione, et questo durante il tempo di mesi quattro numerandi dalli

sette del corrente mese di Giugno del corrente anno 1671 in avanti per affitto, et piggione di ducati nove per ciascheduno mese». I comme-

dianti verseranno tre carlini al giorno e a loro spese pagheranno «la licenza al Signor Castellano del Regio Castel novo». I contraenti even-

tualmente possono rinnovare l’affitto e «posser subaffittare dette tavole, e stantoni per detta barracca in detto luoco ad al tre persone virtuo-

si, restando però sempre essi conduttori». 86 Cfr. ASN, Notai XVII sec., Francesco Antonio Montagna, sch. 1133, vol. 29, cc. 318v-320r, 4/IX/1680: «Giacomo Schiavonetto det-

to Pantalone Bolognese» viene a convenzione con «Giovanni Tomaso Danese detto Tabarrino Piemontese». Schiavonetto «promette, e

s’obliga di servire al detto Giovanni Tomaso quà presente, e accettante etc. per il spatio d’anni due da hoggi avanti numerandi e finiendi à 4

di Settembre 1682 così in questa fedelissima Città di Napoli, come in tutte altre città luoghi, e terre e in qualsivoglia par te del mondo con-

forme piacerà al detto Giovanni Tomaso à montare in Banco, e recitar comedie ad ogni volontà, e ordine di Giovanni Tomaso durante il

tempo di detto biennio, e fare e dire, e osservare tutto quello, e quanto esso Giovanni Tomaso l’ordinerà» (c. 318v). Se viene a mancare la

paga o il contraente parte, deve pagare una multa di 10 doppie d’oro di Spagna. «Giovanni Tomaso promette, e s’obliga durante li detti due

anni detto Giacomo tenere in detta sua compagnia, e à quello dare da mangiare, e bere et letto da dormire, e ben trattarlo secondo la sua

condizione, et anco ogni mese darli una dobla eccettuata però la quadragesima di ciascun anno quale durante s’obliga darli da mangiare,

bere, et dormire tantum, et di più detto Giovanni Tomaso s’obliga dare al detto Giacomo l’istessi regali che hanno l’altri personaggi con-

forme s’usa et Costuma nel montare in Banco» (cc. 319v-320r); ASN, Notai XVII sec. NOT sec. XVII, Francesco Antonio Montagna, sch.

1133, vol. 29, cc. 343r-345r, 24/IX/1680 - convenzione tra «Giovanni Battista Fabri detto Trastullo Bolognese» e «Giovanni Tomaso Da-

nese detto Tabarrino Piemontese». Fabri si lega «per il spatio d’anni tré, e mezzo da hoggi avanti numerandi e finiendi à 24 del Mese di

Marzo venturo dell’anno mille seicento ottantaquattro» (c. 343v). Il contratto è identico a quello stipulato con Schiavonetto sebbene si pre-

fissi «darli salario ogni mese una dobla, e mezza» (c. 344v); identici gli accordi per il periodo quaresimale.

34 Note ai capitoli introduttivi

87 Cfr. ASN, Notai XVII sec., Francesco Antonio Montagna, sch. 1133, vol. 32, cc. 107r-108r, 6/V/1683: Pietro Giacomo Fontanetti

viene a convenzione con Angelo Palladino. Il Fontanetti «tiene in affitto il Ius, et Iurisditione del Largo del Regio Castello Nuovo per’anni

tre; correnti dal primo de prossimo passato mese d’Aprile del presente anno 1683 in avanti per’affitto, e prezzo de ducati Ventinove il me-

se» con contratto rogato dal notaio Giuseppe Montefusco. I due «fanno società, non solo dell’affitto predetto, et durante det to triennio, mà

anco detto Angelo associa nel presente Instrumento di Società, quello, ch’esso Angelo haverà nelle Comedie, che si rappresentano nel Tea-

tro di San Bartolomeo, et in altri luoghi durante detto triennio tantum, che li pervenerà di guadagno di quello, che à detto Angelo spettarà

dalle dette Comedie faciende, nelle quali esso Angelo haverà dà tenere li bollettini, ò altro officio che li sarà dato dalli Comici, e Musici de

detto Teatro, et mancie, che né perceperà». Il guadagno sarà diviso equamente. 88 Cfr. ASN, Notai XVII sec., Pietro Francesco Nicola Giordano, sch. 1313, vol. 3, cc. 305v-308r 16/X/1687 «Societas inter Angelum

Palladino et Sebastianum Serraro» che «fanno l’infradetta Società di viaggiare per diverse parti del mondo, dove meglio li parera per il spa-

zio d’un anno continuo da hoggi avanti numerando, et finiendo à 16 8bre 1688, durante il qual tempo dette parti promettono andar mo-

strando due figliuoli mostruosi, cioè detto Sebastiano un figliuolo nomine Berardino de Consiglio con carratura à schame di Pesce, et il det-

to Angelo un’altro figliuolo similmente mostruoso, nominato per soprannome Capozzello di Santa Lucia». 89 Per il Medebach a Napoli cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 385-386; ASN, Notai XVIII sec., Vito Antonio Mascolo, sch. 27,

vol. 24, incartamento n. 45, 1/VII/1730 cit. e Archivio Distrettuale Notarile, Notaio Giovanni Tufarelli, sch. 65, cc. 499v-503v,

22/XII/1733 (Lorenzo Tiziano, Girolamo Medebach e Giuseppe Rago «comici all’impronto» si impegnano fino a tutto il Carnevale del

1735 presso il Teatro Nuovo di Napoli). Per il Di Fiore cfr. F. BARTOLI, Notizie istoriche de' comici italiani cit., vol. I, p. 217; B. CROCE, I

Teatri di Napoli cit., pp. 386-391; L. RASI, I comici italiani cit., vol. III, p. 888; S. DI GIACOMO, Storia del Teatro San Carlino. Contributo

alla storia della scena dialettale napoletana 1738-1884, Palermo, s.d. (ma 19183), pp. 92-99; Enciclopedia dello spettacolo, Roma, Le

Maschere, vol. 4, 1957, col. 690; U. PROTA-GIURLEO, I Teatri di Napoli nel ‘600 cit., pp. 281-289; V. VIVIANI, Storia del teatro napoletano

cit., pp. 392-94; F. C. GRECO, Teatro napoletano del '700 cit., pp. CII-CVI e CXXXIX; Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto

per l’Enciclopedia Italiana, 1991, vol. 40, pp. 9-11; F. COTTICELLI-P. MAIONE, «Onesto divertimento» cit., pp. 201-209. 90 Banco dell’Annunziata, Giornale di Banco, matricola 611, partita del 14/I/1689. 91 Cfr. Avvisi, n. 52, 27/XII/1707: «La sera fù invitata [scil. Sua Eccellenza] e andò in casa del Principe di Chiusano a godere il diver-

timento, con gran numero di nobiltà, d’una commedia in musica in lingua napolitana intitolata la Cilla, con splendido trattamento» (e cfr.

anche Avvisi, 31/I/1708, in cui si ha notizia di una replica). Lo spettacolo era andato in scena il 26 dicembre. 92 Sull’opera buffa si vedano le considerazioni di F. C. GRECO, Teatro napoletano del ‘700 cit., pp. LXXXI-LXXXVI. Si vedano anche

B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 233-252 e passim; E. MALATO (a cura di), La poesia dialettale napoletana. Testi e note, 2 voll., Napo-

li, E.S.I., 1960, vol. I, pp. 271-353; E. BATTISTI, Per un’indagine sociologica sui librettisti napoletani buffi del Settecento, in «Letteratura»,

VIII, 46-48, 1960, pp. 114-164; F. DEGRADA, L’opera napoletana, in Storia dell’opera, vol. I, t. I, Torino, U.T.E.T., 1977, p. 245 e passim;

M. RAK, L’opera comica napoletana di primo Settecento, in L. BIANCONI-R. BOSSA (a cura di), Musica e cultura a Napoli cit., pp. 217-224;

S. CAPONE, La struttura dell’impresa teatrale e la produzione buffa del Teatro dei Fiorentini da Nicola Serino a Berardino Bottone, in

«Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli», vol. XXIX, n.s., 1986-87, pp. 63-87; F. COTTICELLI-P. MAIONE, «O-

nesto divertimento» cit., pp. 18-20 e passim. Sul singolare milieu artistico-letterario della Napoli seicentesca cfr. almeno A. QUONDAM, Dal

Barocco all’Arcadia, in Storia di Napoli cit., vol. VI, 1970, pp. 810-1094; F. C. GRECO, La nascita dei modelli cit.; M. RAK, Napoli gentile.

La letteratura in «lingua napoletana» nella cultura barocca (1596-1632), Bologna, Il Mulino, 1994; G. FULCO, La letteratura dialettale

napoletama. Giulio Cesare Cortese e Giovan Battista Basile. Pompeo Sarnelli, in Storia della letteratura italiana diretta da E. MALATO,

vol. V, La fine del Cinquecento e il Seicento cit., pp. 813-867. 93 Il fenomeno - che può dirsi comunque solo parzialmente coincidente con la teatralità dilettantesca - risulta ampiamente attestato dalle

cronache d’epoca, tra le quali si segnalano I. FUIDORO, Giornali di Napoli dal MDCLX al MDCLXXX, Napoli, Società Napoletana di Storia

Patria, 1934-39; D. CONFUORTO, Giornali di Napoli dal MDCLXXIX al MDCCIC, Napoli, Lubrano, 1930 e A. BULIFON, Giornali di Napoli

dal MDXLVII al MDCCVI, Napoli, Società Napoletana di Storia Patria, 1932. Per gli Avvisi cfr. U. PROTA-GIURLEO, I Teatri di Napoli cit.,

pp. 257-277; D. A. D’ALESSANDRO, La musica a Napoli nel secolo XVII cit. Si vedano anche G. LABROT, Baroni in città. Residenze e com-

portamenti dell’aristocrazia napoletana 1530-1734, Napoli, S.E.N., 1979 e P.L.CIAPPARELLI, I luoghi del teatro a Napoli nel Seicento: le

sale private, in D. A. D’ALESSANDRO-A. ZIINO (a cura di), La musica a Napoli durante il Seicento, Atti del Convegno, Roma, Torre

d’Orfeo, 1987, pp. 384-392. Si veda anche la sezione dedicata allo spettacolo in G. CANTONE (a cura di), Barocco napoletano, Roma, Istitu-

to Poligrafico dello Stato, 1992. 94 Cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 97-129. 95 Sulle regolamentazioni delle attività pubbliche di spettacolo cfr. i testi riportati in nota 84. 96 Cfr. U. PROTA-GIURLEO, Breve Storia del Teatro di Corte e della musica a Napoli nei sec. XVII-XVIII, in F. DE FILIPPIS-U. PROTA-

GIURLEO, Il Teatro di Corte del Palazzo Reale in Napoli, Napoli, L’Arte Tipografica, 1952, pp. 17-146; L. BIANCONI, Funktionen des O-

perntheaters in Neapel bis 1700 und die Rolle Alessandro Scarlattis, in W. OSTHOFF-J. RUILE-DRONKE (a cura di), Colloquium Alessandro

Scarlatti. Würzburg 1975, Tutzing, Schneider, 1979, pp. 13-117. 97 Su Perrucci cfr. cap. I, n. 53.

Note ai capitoli introduttivi 35

98 Napoli, Paci, 1698. Per un’edizione moderna cfr. La Cantata dei Pastori, Roma, Canesi, 1960; R. DE SIMONE (a cura di), La Cantata

dei Pastori, Napoli, Stampa et Ars Raffone, 1974; C. BERTUCCI (a cura di), La Cantata dei Pastori, Napoli, Bellini, 1989. Cfr. F. C. GRECO,

Teatro napoletano del ‘700 cit., pp. LXXIV-LXXV e pp. CXI-CXIII. 99 Sul teatro nei monasteri e nei conventi cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 152-167 e passim; per Placido Adriani si vedano i te-

sti riportati al cap. I, n. 57. 100 Cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 163-167; su Liveri cfr. F. C. GRECO, Ideologia e pratica della scena cit., pp. 42-50. 101 Cfr. U. PROTA-GIURLEO, I Teatri di Napoli nel ‘600 cit., pp. 140-142. 102 Cfr. ivi, pp. 13-153, dove sono riportati vari contratti di compagnie ed impresari relativi alla prima metà del Seicento. 103 Cfr. F. COTTICELLI-P. MAIONE, Le istituzioni musicali a Napoli cit., pp. 5-40. 104 Cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 130-131 e pp. 139-142; sull’autosufficienza della piazza napoletana cfr. S. FERRONE,

L’«invenzione viaggiante». I comici dell’Arte e i loro itinerari tra Cinque e Seicento, in AA.VV., Viaggi teatrali cit., pp. 45-62. 105 Cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 52-69 e passim. 106 Avvisi, n. 5, 29/I/1704; ma cfr. anche le notizie riportate in data 21/IX/1677; 11/II/1681; 19/II/1681 («Le genti della casa di Sua Ec-

cellenza hanno preparato una bellissima commedia spagnola intitolata Il secondo Scipione […]»); 26/VIII/1681; 23/IX/1681; 19/VI/1685

(«Domenica a sera il Sig. D. Gioseppe Velli fece fare a Palazzo per divertir S.E. una bellissima commedia, recitata da questi accademici di

Napoli»); 12/II/1687; 13/II/1692; 1/VII/1692; 30/IV/1697 («[…] volle S.E. sentir ivi per la prima volta la medesima sera una vaga comme-

dia della compagnia de’ comici del Serenissimo di Mantova»); 24/II/1700; 7/IX/1700 («E quella sera stessa si portarono i nostri Vicere-

gnanti in casa del Generale delle galee Sig. Conte di Lemos, da cui, e dalla Sig. Contessa sua consorte vi furono invitati a godere il nobile

divertimento di una vaga commedia, che si recitò anche nel giorno natalizio di detto signor Generale dalle dame e cavalieri della medesima

sua corte»). L’uso delle rappresentazioni private è ampiamente teorizzato e attestato da A. PERRUCCI, Dell’Arte rappresentativa cit., p. 22,

p. 156 e passim. 107 Cfr. nota filologica, nn. 9-10. 108 Accanto ai classici F. MANCINI, Scenografia napoletana dell’età barocca, Napoli, E.S.I., 1964; ID., Feste ed apparati civili e religio-

si in Napoli dal Viceregno alla Capitale, Napoli, E.S.I., 1968 (rist. anastatica, ivi, 1997), cfr. oggi S. TRAVI, Dalla festa alla stampa. Le

relazioni festive tra evento e interpretazione, tesi di Dottorato di Ricerca in Italianistica con particolare attenzione alla Letteratura Meridio-

nale, Università di Napoli (VI ciclo), 2 tomi, tutor prof. F. C. Greco e Capolavori in festa. Effimero barocco a Largo di Palazzo (1683-

1759), Catalogo della mostra, Napoli, Electa, 1997. 109 Cfr. L. BIANCONI, Funktionen des Operntheaters cit., in cui è riportata una cronologia del teatro fino al 1700. Lo studio integra e ag-

giorna U. PROTA-GIURLEO, Breve storia del Teatro di Corte cit. Si vedano anche G. GASPERINI-F. GALLO (a cura di), Catalogo delle opere

musicali. Città di Napoli. Biblioteca del Real Conservatorio, Parma, Freisching, 1934 (rist. anastatica Bologna, Forni, 1988); S. DI GIACO-

MO (a cura di), Catalogo delle opere musicali. Città di Napoli. Archivio dell’Oratorio dei Filippini di Napoli, Parma, Freisching, 1918; F.

MELISI (a cura di), Catalogo dei libretti d’opera in musica dei secoli XVII e XVIII, Napoli, s.e., 1985 nonché C. SARTORI, I libretti italiani a

stampa cit. 110 Cfr. l’ormai classico G. GALASSO, Napoli spagnola dopo Masaniello, Napoli, E.S.I., 1972 (rist. Firenze, Sansoni, 1982). 111 Per la definizione cfr. S. FERRONE, L’«invenzione viaggiante» cit., (e oggi ID, Attori Mercanti Corsari cit., pp. 3-49). 112 Cfr. U. PROTA-GIURLEO, I Teatri di Napoli cit., pp. 13-153, con le cronache delle sale pubbliche che a partire dalla fine del Cinque-

cento videro la luce in Napoli; recente lo studio e la reinterpretazione di T. MEGALE, La città in festa cit., in particolare pp. 61-131. Su Bar-

bieri, Cecchini, Fiorillo e i loro contatti napoletani si veda anche Comici dell’Arte. Corrispondenze cit., pp. 173-178, pp. 191-197 e pp.

309-318. 113 A. PERRUCCI, Dell’Arte rappresentativa cit., p. 342. 114 Un quadro complessivo della città nel XVII secolo può desumersi da AA. VV., Civiltà del Seicento a Napoli, Catalogo della mostra,

2 voll., Napoli, Electa, 1984. 115 L’iscrizione sulla porta del Teatro di San Bartolomeo, aula «Vectigal Ludicrum […] Pium ut redderet» è ora pubblicata in F. COTTI-

CELLI-P. MAIONE, Le istituzioni musicali cit., p. 151. 116 Sul Teatro di S. Bartolomeo cfr. F. FLORIMO, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatori, Napoli, Morano, 1882 (rist. anasta-

tica Bologna, Forni, 1969), vol. IV, p. VII e pp. 3-25; B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 85-88 e passim; H. BENEDIKT, Das Königreich

Neapel cit., pp. 631-638; U. PROTA-GIURLEO, Breve Storia cit., passim; ID., I Teatri di Napoli nel ‘600 cit., pp. 121-143; F. MANCINI, Sce-

nografia napoletana cit., pp. 15-18, pp. 57-82 e pp. 183-228; L. BIANCONI, Funktionen des Operntheaters cit., pp. 13-117; ID.-T. WALKER,

Dalla «Finta Pazza» alla «Veremonda»: storie di Febiarmonici, in «Rivista Italiana di Musicologia», X, 1975, pp. 375-454; D. A.

D’ALESSANDRO, L’opera in musica a Napoli dal 1650 al 1670, in R. PANE (a cura di), Seicento napoletano. Arte, ambiente e costume, Mi-

lano, Mondadori, 1984, pp. 409-430; F. COTTICELLI-P. MAIONE, Le istituzioni musicali cit., pp. 41-57; ID., «Onesto divertimento» cit., pp.

57-94. Più in generale, per la musica a Napoli nel Seicento si vedano anche S. DI GIACOMO, I quattro antichi Conservatori di Musica a Na-

poli, 2 voll., Palermo, Sandron, 1924-1928; D. A. D’ALESSANDRO-A. ZIINO (a cura di), La musica a Napoli durante il Seicento cit.

36 Note ai capitoli introduttivi

117 Relatione delle feste fatte in Napoli dall’eccellentissimo signor duca di Medina de las Torres viceré del Regno per la nascita della

Serenissima Infanta di Spagna, In Napoli, per Egidio Longo stampatore regio, 1639, p. 4 (in Biblioteca Nazionale «Vittorio Emanuele III»,

Napoli, coll. 74. F. 261 e 55. B. 11), cit. in S. TRAVI, Dalla festa alla stampa cit., II, pp. 150-151. 118 Cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 118-119. 119 L’informazione è nell’edizione laterziana del lavoro di Croce; cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli, a cura di G. GALASSO, cit., p. 89. 120 Sulla de Caro, oltre a U. PROTA-GIURLEO, I Teatri di Napoli nel ‘600 cit., pp. 291-303, cfr. P. MAIONE, Giulia de Caro «famosissima

armonica» e il Bordello sostenuto del Signor Don Antonio Muscettola, Napoli, Luciano, 1997. 121 Archivio Storico del Banco di Napoli, Banco dello Spirito Santo, matricola 550, partita estinta il 10/V/1673. Cfr. P. MAIONE, Giulia

de Caro cit., pp. 30-32. 122 Sul Parrino cfr. U. PROTA-GIURLEO, I Teatri di Napoli nel ‘600 cit., pp. 257-277. 123 Della questione si discute in F. COTTICELLI-P. MAIONE, «Onesto divertimento» cit., pp. 201-209, cui si rinvia per ulteriori indicazioni

archivistico-bibliografiche. 124 ASN, Affari diversi della Segreteria dei Viceré, f. 756, 3/I/1690 (dal memoriale dell’impresario). 125 Ibidem (dal memoriale dell’Uditore dell’Esercito). 126 Ibidem. 127 Sul Fiorentini cfr. F. FLORIMO, La scuola musicale di Napoli cit., vol. IV, pp. VIII-IX e pp. 34-105; B. CROCE, I Teatri di Napoli cit.,

p. 60 e passim; U. PROTA-GIURLEO, I Teatri di Napoli nel ‘600 cit., pp. 67-118; F. MANCINI, Scenografia napoletana cit., pp. 15-16 e pp.

30-32; F. COTTICELLI-P. MAIONE, «Onesto divertimento» cit., pp. 95-136. 128 Sugli influssi del teatro spagnolo a Napoli - cui non fu estraneo probabilmente un gusto per la spettacolarità visiva e la sontuosità ba-

rocca, come attestano A. PERRUCCI, Dell’Arte rappresentativa cit., pp. 62-63 e P. NAPOLI SIGNORELLI, Storia critica de’ teatri antichi e mo-

derni, 10 tomi, Napoli, V. Orsino, 1813, t. VI, pp. 345-346 (per una rilettura delle sue caratteristiche cfr. oggi J. A. MARAVALL, Teatro e

letteratura nella Spagna barocca, Bologna, Il Mulino, 1995) - cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 88-93, pp. 121-124, pp. 138 e pas-

sim (ed ID., Ricerche Ispano-Italiane. Appunti sulla letteratura - spagnola in Italia alla fine del sec. XV e nella prima metà del XVI, Memo-

ria letta all’Accademia Pontaniana nella tornata del 1 maggio 1898, Napoli, Stab. Tipografico della Regia Università, 1898). Si vedano an-

che U. PROTA-GIURLEO, I Teatri di Napoli nel ‘600 cit., pp. 78-117; ulteriori indicazioni critico-bibliografiche in F. C. GRECO, Teatro napo-

letano del ‘700 cit., pp. CXIII-CXIV. Per una disamina complessiva dei rapporti Italia-Spagna cfr. M. G. PROFETI (a cura di), Commedia

aurea spagnola e pubblico italiano, vol. I, Materiali Variazioni Invenzioni, vol. II, Tradurre Riscrivere Mettere in scena, Firenze, Alinea,

1996, e, per il repertorio dell’Arte, N. D’ANTUONO, La comedia española en la Italia del siglo XVII. La Commedia dell’Arte, “Collección

Tamesis”, Serie A, Monografias, n. 164, 1999, pp. 1-36. 129 Cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli a cura di G. GALASSO, cit., pp. 72-75 e pp. 95-96. 130 Cfr. il documento rogato dal notaio Diego de Crescenzo cit. in U. PROTA-GIURLEO, I Teatri di Napoli nel ‘600 cit., p. 125. 131 Cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 185-188. 132 Cfr. dedica de L’Ergasto (C. De Petris-T. Mauro), Napoli, Michele Luigi Mutio, 1706, in Biblioteca del Conservatorio di S. Pietro a

Majella di Napoli, Rari 10.2.117, rappresentato al Teatro dei Fiorentini nell’Ottobre del 1706 - cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., p. 325. 133 Sul Teatro Nuovo si veda adesso F. COTTICELLI-P. MAIONE, «Onesto divertimento» cit., pp. 137-158. 134 Sulla questione cfr. F. COTTICELLI-P. MAIONE, «Onesto divertimento» cit., p. 98. In B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 150-151 è

riportata l’enigmatica notizia «L’11 febbraio 1665, ci fu in casa del Duca di Girifalco una commedia, tradotta dal Calderón, rappresentata

da Calabresi». 135 Cfr. Archivio Storico del Banco di Napoli, Banco della Pietà, matricola 1241, partita estinta 5/I/1709; Banco della Pietà, matricola

1253, partita estinta 7/IV/1710; Banco della Pietà, matricola 1257, partita estinta 10/V/1710. Cfr. app. II, pp. 157-159. 136 Cfr. B. CROCE, I Teatri di Napoli cit., pp. 232-238. 137 Cfr. la Cronologia del Teatro dei Fiorentini dal 1707 fino al 1734 in F. COTTICELLI-P. MAIONE, «Onesto divertimento» cit., pp. 361-

382 (in particolare pp. 361-364). 138 Cfr. Archivio Storico del Banco di Napoli, Banco della Pietà, matricola 1228, partita estinta 8/XI/1708; Banco della Pietà, matricola

1231, partita estinta 7/XII/1708; Banco della Pietà, matricola 1237, partita estinta 27/IV/1709. 139 Avvisi, 11/X/1707. 140 Si rinvia di nuovo a F. COTTICELLI, Contributo alla storia della Commedia dell'Arte a Napoli cit., pp. 68-70 (nn. 104-107) e

appendice I, pp. 135-151. Si segnala solo che anche di Isabella Mastrilli, con la quale il Sersale ebbe una lite giudiziaria (cfr. ASN, Segre-

teria dei Viceré, Affari diversi della Segreteria dei Viceré, f. 1177, 22/XI/1708) è noto l’interesse per il teatro; scrisse e pubblicò la com-

media Il prodigio della bellezza, Napoli, Troyse, 1703. Cfr. al riguardo F. C. GRECO, Teatro napoletano del ‘700 cit., p. CXVIII. 141 Avvisi, n. 22, 24/V/1712. Pistaso è toponimo pressoché scomparso a Napoli - di etimologia incerta -, che indicherebbe l’area nelle

immediate adiacenze del Divino Amore; sull’esistenza di un antichissimo “vico Pistasi” cfr. AA. VV., Napoli. Città d’arte, 2 voll., Napoli,

Electa, 1986, vol. II, p. 360. 142 Cfr. B. CROCE, Una nuova raccolta di scenari cit., pp. 211-215.

Note ai capitoli introduttivi 37

143 Cfr. K.M. LEA, Italian Popular Comedy cit., vol. I, p. 153. 144 Cfr. A.G. BRAGAGLIA, Pulcinella cit., p. 165. 145 Cfr. S. SPADA, Domenico Biancolelli ou l’art d’improviser cit., pp. XLIV-XLIX. 146 Cfr. L. ZORZI, La raccolta degli scenari italiani della Commedia dell’Arte cit., p. 112. 147 Nei fogli di studio dei manoscritti uno studioso ha annotato: «il cosiddetto I vol. non è in parte da leggere […] i mss. non reggono

l’umidità. Sign. Senat. B. Croce non ne ha fatto menzione», in data 19/VI/1936. K. M. LEA, Italian Popular Comedy cit., vol. I, p. 153, so-

stiene che il volume «has been injured by fire and in spite of careful repair two scenari are defective and seven more difficult to decipher».

Entrambe le spiegazioni fornite non sembrano plausibili. 148 La descrizione del codice risulta differente da quella riportata in F. COTTICELLI, Contributo alla storia della Commedia dell’Arte cit.,

vol. I, pp. 73-82. In seguito ad una microfilmatura è stata rivista la cartulazione del manoscritto; la numerazione parte dal frontespizio e

procede regolarmente, correggendo l’originario salto del n. 23 nella successione. Ciò spiega la divergenza di informazioni relative alle pri-

me 23 carte, appunto, e la corresponsione dei dati a partire da c. 24r. Una busta custodisce una serie di carte recuperate nel corso del restau-

ro del 1969. 149 Si riporta il testo integrale del biglietto di Benedetto Croce: «Caro Miola,/ Mando in dono alla Biblioteca nazionale due volumi mss.

del secolo XVII contenenti la più ricca raccolta di scenari finora conosciuta. L’acquistai mesi sono, appunto coll’intenzione di salvarla dal-

la dispersione. Dall’accluso del Giornale Storico, vedrete di che si tratta/ Una stretta di mano/ dal vostro B. Croce». 150 Cfr. B. CROCE, Una nuova raccolta di scenari cit., p. 212. 151 c. 281r. «S'ALLUDE ALLA NOBILE PROSAPIA DELL'ECCELLENTISSIMA SIGNORA / DONNA GIOVANNA CARAC-

CIOLO, / CONTESSA DELLA ROCCA / Sonetto / Quanti incliti Natali in sé natura / Umana serba; il tuo sorge più chiaro; / Né presente,

o trascorsa, o età futura / Al vostro giugnerà invitto, e raro // D'atavi esimj tuoi honesta cura / Fu regger mitre, ostro il più conto, e caro; /

Vieppiù regger di Piero intatta, e pura / La fida nave, e darle indi riparo // Dal'Indo, al Moro, ogn'un ti ossequia; e cede / All'invitto honor

tuo, non che immortale, / Di tanti saggi eroj, illustre erede // Come vapor lassù s'inoltra, e sale, / Sovra ogn'altro così fastoso eccede / Gio-

vanna, il tuo natale, a nullo eguale.» 152 c. 282r «S'ALLUDE A GLI FUTURI PROGRESSI DELL'ECCELLENTISSIMO SIGNORINO / Madrigale / Bambolo degno, e ra-

ro, / Snodati desto omai da tai ligami, / Che cingono te caro, / Fa', che la culla più, non preggi, e brami; / Inclita, e chiara prole, / Tu ben di

questo ciel sarai, qual Sole; / Quel, che da te divampa etereo raggio, / Ogni vate, ogni saggio / Lo guata invitto evento,/ Scorgendosi del

mondo un gran portento!». 153 Cfr. in particolare le firme apposte al testamento (cfr. Archivio di Stato di Napoli, Notai XVII secolo, Nicola Antonio Collocola,

sch. 550, vol. 34, cc. 123v-126v (con allegati non numerati), 15/III/1712 - 15/V/1712 e Archivio di Stato di Napoli, Notai XVII sec., Gio-

van Biagio Riccardi, sch. 910, vol. 15, cc. 278v-280v, 24/IX/1708; ivi, cc. 280v-281v, 24/IX/1708; ivi, cc. 282v-283r, 25/IX/1708; ivi, cc.

283v-284v, 25/IX/1708; ivi, cc. 310r-313r, 16/XI/1708; ivi, cc. 315v-320r, 25/XI/1708; ivi, cc. 320v-322v, 25/XI/1708; vol. 16, cc. 17v-

30v, 23/I/1709; ivi, cc. 31r-32v, 23/I/1709; ivi, cc. 272v-277r, 29/IV/1709; ivi, cc. 313v-318v, 15/V/1709; ivi, cc. 864r-865r, 14/XI/1709;

vol. 17, cc. 105v-107r, 17/II/1710; ivi, cc. 107r-108r, 17/II/1710; ivi, cc. 227r-228r, 7/IV/1710. 154 Il primo volume della raccolta è stato pubblicato integralmente a cura di M. PEREZ (cfr. Scenari Casamarciano, Roma, Guido Gui-

dotti, 1988, su cui cfr. G. ROCCA, Scenari napoletani della Commedia dell’Arte, in «Ariel», a. III, n. 3, Settembre-Dicembre 1988, pp. 75-

79), con risultati non proprio soddisfacenti né sul piano storico-critico né su quello filologico. Esiste una trascrizione in cinque volumi di

gran parte dei due codici (tutto il ms. XI AA 41 e le cc. 1-132 del ms. XI AA 40) effettuata da S. THERAULT, oggetto di una Thèse inédite et

inachevée. Scenari Sersale, depositata presso la Bibliothèque d’Etudes Théâtrales Gaston Baty, Université de Paris III, 5 voll., segn. D4

801-5, s.d. [ma 1972], segnalata da R. GASPARRO, Il viaggio della maschera, Messina, IBH, 1988, p. 11. Si veda anche G. M. GALA, Gli sce-

nari italiani della Commedia dell’Arte. Trascrizione della raccolta napoletana del Conte di Casamarciano intitolata “Gibaldone comico di

varij suggetti di comedie ed opere bellissime” (1700), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia, anno

accademico 1976-77, relatore ch.mo prof. L. Zorzi (cit. in T. F. HECK, Commedia dell’Arte cit., pp. 30-31).

Pubblicazioni parziali dello zibaldone sono in P. TOLDO, Di alcuni scenari inediti della Commedia dell’Arte e delle loro relazioni col

teatro del Molière, in «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», XLII (1906-7), pp. 460-482; C. LEVI (a cura di), Il Tradito e Il

Marito più onorato, cornuto in sua opinione, in «Rivista Teatrale Italiana», XV (1911), pp. 14-20 e pp. 257-272; ID. (a cura di), Malitie di

Covello e Il ragazzo per le lettere, in «Rivista Teatrale Italiana», XVIII (1914), pp. 1-9 e pp. 257-268; ID. (a cura di), Sdegni amorosi, in

«Rivista Teatrale Italiana», XVIII (1914), pp. 321-327; F. NERI, Scenari delle maschere in Arcadia cit., pp. 87-93; ID., Studi sul teatro ita-

liano antico, in «Giornale Storico della Letteratura Italiana», LXV (1915), pp. 1-44; E. DEL CERRO (pseud. NICEFORO NICOLA), Nel regno

delle maschere cit., pp. 401-443; W. SMITH, Two Commedie dell’Arte on the Measure for Measure Story, in «The Romanic Review», XIII

(1922), pp. 270-275; E. PETRACCONE (a cura di), La Commedia dell’Arte cit., pp. 406-444; K. M. LEA, Italian Popular Comedy cit., vol. II,

pp. 670-674; A. G. BRAGAGLIA, Giangurgolo, ovvero il Calabrese in Commedia, Ed. Ente Provinciale per il Turismo, Cosenza, s.d.; L.

FASSÒ (a cura di), Teatro dialettale del Seicento, Milano, Ricciardi, 1956, pp. 1235-1244; S. SPADA, Domenico Biancolelli ou l’art

d’improviser cit, pp. 361-524; M. SPAZIANI, Don Giovanni dagli scenari dell’Arte alla Foire: quattro studi con due testi forains inediti e

altri testi italiani e francesi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1978, pp. 99-111; L. FASSÒ (a cura di), Teatro dialettale del Seicento.

38 Note ai capitoli introduttivi

Scenari della Commedia dell’Arte, Torino, Einaudi, 19792, pp. 233-242; C. MENNA-SCOGNAMIGLIO, Commedie di Molière in veste napole-

tana, Napoli, Istituto Universitario Navale, Istituto di Lingue - Facoltà di Economia Marittima, 1983, pp. 101-108; R. GASPARRO, Il viaggio

della maschera cit., pp. 43-64; A. BARBINA, Giangurgolo e la Commedia dell’Arte, 2 voll., Soveria Mannelli (CZ), Rubbettini, 1989, vol. I,

pp. 139-154; E. LIVERANI, El Conde de Sex nella rilettura secentesca dei comici dell’arte, in E. LIVERANI-J. SEPÚLVEDA, Due saggi sul tea-

tro spagnolo nell’Italia del Seicento, Roma, Bulzoni, 1993, pp. 43-53; R. DE SIMONE, Il mito del Convitato di pietra nella tradizione napo-

letana, in F. ARRIVA-E. OTTIERI, Don Giovanni dal mito popolare a Mozart (programma di sala in occasione della messinscena al Teatro di

San Carlo di Napoli del Don Giovanni di L. Da Ponte-W. A. Mozart e de Il Convitato di pietra di G. B. Lorenzi-G. Tritto nella stagione

1994-95), Napoli, Edizioni del Teatro di San Carlo, 1995, pp. 76-81 (e cfr. anche A. PERRUCCI, Il Convitato di pietra, a cura di R. DE SI-

MONE, Torino, Einaudi, 1998, pp. VIII-IX e pp. 109-119); M. BUCCIARELLI, Italian Opera and European Theatre 1680-1720, Turnhout,

Brepols, 2000, pp. 179-182; F. COTTICELLI-O. G. SCHINDLER, Per la storia della Commedia dell’Arte: il Basalisco del Bernagasso cit.

Sulla raccolta di scenari si vedano anche B. CROCE, Una nuova raccolta di scenari cit., pp. 211-215; ID., Pulcinella ed il personaggio

del napoletano in commedia, Roma, Loescher, 1899, F. DE SIMONE BROUWER, Ancora Don Giovanni, Napoli, Stabilim. Tip. Pierro e Ve-

raldi, 1897, pp. 14-16; ID., Ancora una raccolta di scenari, in «Rendiconti della Reale Accademia dei Lincei», Classe di Scienze Morali,

Storiche e Filologiche, serie quinta, vol. X (1902), pp. 391-407 e pp. 430-435; G. CAPRIN, La Commedia dell’Arte al principio del secolo

XVIII, in «Rivista Teatrale Italiana», IX (1905), pp. 48-54; P. TOLDO, Le Basalisco de Bernagasso et le Tartuffe cit., pp. 135-150 (nota a p.

150); M. APOLLONIO, Storia della Commedia dell’Arte cit., pp. 234-237; ID., Storia del teatro italiano, 4 voll., Firenze, 1938-1950, vol. III

(1946), pp. 93-97; T. BELTRAME, Gli scenari del museo Correr, in «Giornale Storico della Letteratura Italiana», XCVII (1931), pp. 1-37 (in

particolare pp. 16-17 e pp. 33-36); EAD., G. B. Della Porta e la Commedia dell’Arte, in «Giornale Storico della Letteratura Italiana», CI

(1933), pp. 277-289; K. M. LEA, Italian Popular Comedy cit., vol. I, pp. 153-155; I. SANESI, La Commedia cit., vol. II (1935), p. 101; B.

CROCE, I Teatri di Napoli dal Rinascimento alla fine del secolo decimottavo, Bari, Laterza, 19474, pp. 98-101 (nella ristampa a cura di G.

GALASSO presso Milano, Adelphi, 1992, cfr. pp. 116-120); A. G. BRAGAGLIA, Pulcinella cit., pp. 164-165; V. PANDOLFI, La Commedia

dell’Arte cit., (ristampa anastatica a cura di S. FERRONE, Casa Editrice Le Lettere, 1988), vol. V (1959), pp. 323-358 (con imprecisioni de-

scrittive); A. NICOLL, Masks, Mimes and Miracles, New York, Cooper Square Publishers, 1963 (I ed., London 1931), pp. 378-379; S. SPA-

DA, Domenico Biancolelli cit., pp. XLIV-XLIX; V. VIVIANI, Storia del teatro napoletano cit., pp. 186-191 (rist, ivi, 1992 - cfr. pp. 162-

166); L. ZORZI, La raccolta degli scenari italiani cit., pp. 104-115; ID., Intorno alla Commedia dell’Arte cit., pp. 426-453 (il saggio si legge

con modifiche anche in Scene e figure del teatro italiano, Reggio Emilia, Teatro Municipale “Romolo Valli”, 1981, pp. 51-62, in D. SAR-

TORI - B. LANATA (a cura di), Arte della maschera nella Commedia dell’Arte, Firenze, La Casa Usher, 1983, pp. 63-83 e in L. ZORZI,

L’attore. La commedia. Il drammaturgo cit., pp. 141-153); F. C. GRECO, Il Teatro, in Civiltà del Settecento a Napoli, 1734-1799, 2 voll.,

Firenze, Centro Di, 1980, vol. II, pp. 372-386; ID., L’organizzazione teatrale a Napoli nel Settecento, in «Critica Letteraria», a. XV, p. II, n.

55 (1987), pp. 211-236; ID., La nascita dei modelli cit., pp. 71-100 (in particolare p. 88); ID., Pulcinella maschera del mondo cit., pp. 27-

28; T. F. HECK, Commedia dell’Arte cit., pp. 29-31; F. COTTICELLI, Il Pulcinella della raccolta Casamarciano cit., pp. 87-107; ID., Rileg-

gendo gli scenari cit., pp. 169-190; ID., Sui canovacci della raccolta Casamarciano cit., pp. 231-245; ID., Contributo alla storia della

Commedia dell’Arte a Napoli. I manoscritti Casamarciano, 2 voll. in tre tomi, Tesi di Dottorato di Ricerca in Storia del Teatro Moderno e

Contemporaneo, IX ciclo, Università di Salerno, coord. prof. A. Mango, tutor prof. F. C. Greco, 1998; ID.-P. MAIONE, «Onesto divertimen-

to» cit., pp. 201-209; R. GASPARRO, Il viaggio della maschera cit., p. 11 e pp. 27-33; L. SOZZI, Molière, l’Aretino e la Commedia dell’Arte,

in AA. VV., Viaggi teatrali cit., pp. 149-161 (in particolare p. 151); A. BARBINA, Giangurgolo e la Commedia del’Arte cit., vol. I, pp. 25-

33; N. D’ANTUONO, La comedia española en la Italia del siglo XVII. La Commedia dell’Arte, “Collección Tamesis”, Serie A, Monografias,

n. 164, 1999, pp. 1-36; “The Insane Asylum: A Commedia dell’arte Scenario”, translated by FRANCESCO COTTICELLI, ANNE GOODRICH

HECK, and THOMAS F. HECK, in Types of Drama: Plays and Contexts, 8th ed., a cura di S. BARNET, W. BURTO, L. FERRIS, e G. RABKIN, New

York, Longham, 2000, pp. 459-466. 155 Cfr. B. CROCE, Una nuova raccolta di scenari cit., p. 214. 156 Cfr. D. MARRA, Conversazione con Benedetto Croce su alcuni libri della sua biblioteca, Milano, Hoepli, 1952, scheda su l’Arlichino

poema dedicato a SS. Accademici sfaccendati di G. M. RAPARINI (su cui cfr. F. NICOLINI, Vita di Arlecchino, Milano-Napoli, Ricciardi,

1958, pp. 301-314), pp. 70-71. 157 Cfr. B. CROCE, Una nuova raccolta di scenari cit., p. 214. 158 Qui e in seguito si rinvia allo studio di G. ROHLFS, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, 3 voll., Torino. Ei-

naudi, 1966-1969 (I ed., 1949-1954 - si cita per paragrafi), vol I - Fonetica (1966); vol. II - Morfologia (1968); vol. III - Sintassi e forma-

zione delle parole (1969). Cfr. anche F. BRUNI, L’Italiano. Elementi di storia della lingua e della cultura, Torino, U.T.E.T., 1984, pp. 92-

96 e pp. 315-321. 159 Per questo fenomeno caratteristico cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica cit., § 709 e M. LOPORCARO, L’infinito coniugato nell’Italia

centro-meridionale: ipotesi genetica e ricostruzione storica, in «L’Italia dialettale», XLIX, 1986, pp. 173-240. 160 Cfr. G. ROHLFS, Grammatica storica cit., § 466.

Note ai capitoli introduttivi 39

161 Cfr. G. L. BECCARIA, Spagnolo e Spagnoli in Italia. Riflessi ispanici sulla lingua italiana del Cinque e del Seicento, Torino, Giappi-

chelli, 1968 (in particolare, per le voci segnalate, p. 38, pp. 98-100, pp. 197-205 e pp. 276-300). Su perro cfr. J. COROMINAS, Diccionario

critico etimológico de la lengua castellana, 4 voll., Berne, Francke, 1954-1957, vol. III, pp. 750-754. 162 Sul tema del plurilinguismo nella Commedia dell’Arte si vedano G. FOLENA, L’esperienza linguistica di Carlo Goldoni cit.; P. SPEZ-

ZANI, L’«Arte rappresentativa» di Andrea Perrucci cit. e P. TRIFONE, L’italiano a teatro, in Storia della lingua italiana, Torino, Einaudi,

1993-1994, II. Scritto e parlato, 1994, pp. 81-159, in particolare pp. 117-127. Si osservi al riguardo che tanto l’analisi linguistica dei cano-

vacci svolta da Spezzani, quanto l’indagine dei contenuti e delle situazioni sceniche elaborate in essi svolto da R. TESSARI, La Commedia

dell’Arte nel Seicento cit., pp. 135-194, esaminano una campionatura ristretta a pochissimi esemplari tratti indifferentemente dalle raccolte

manoscritte note, se non consultati nelle sezioni antologiche di testi sull’Improvvisa (cfr. F. NERI, Scenari delle maschere in Arcadia cit.; E.

DEL CERRO, Nel regno delle maschere cit.; E. PETRACCONE (a cura di), La Commedia dell’Arte cit.), spesso filologicamente inattendibili. 163 Si tratta della «linea rotta» di cui parla A. PERRUCCI, Dell’Arte rappresentativa cit., p. 351. 164 Cfr. A. PERRUCCI, Dell’Arte rappresentativa cit., p. 362: «Il segno d’osservare da parte ciò che fanno o dicono gli altri personaggi,

per poi fare ciò che deve per lo soggetto, sarà una stelluccia notata alla margine, chiamata osservatoria». 165 Nelle note agli scenari non si dà spiegazione dei lazzi, che ricorrono con frequenza negli scenari; per una illustrazione dei più comu-

ni, laddove il contesto non sia di per sé eloquente a chiarire il senso dell’azione, cfr. le cc. 141-247 della Selva overo Zibaldone cit. di Pla-

cido Adriani e le antologie moderne di E. DEL CERRO, Lazzi inediti della Commedia dell’Arte cit.; V. PANDOLFI (a cura di), La Commedia

dell’Arte cit., vol. IV (1958), pp. 263-271 e M. GORDON, Lazzi: the Comic Routines of the Commedia dell’Arte cit. Per le altre raccolte di

canovacci cui si fa cenno cfr. cap. I, nota 23. Sul piano filologico-linguistico utili sussidi bibliografici sono R. D’AMBRA, Vocabolario na-

politano-toscano domestico di arti e mestieri, Napoli, a spese dell’autore, 1873; R. ANDREOLI, Vocabolario napoletano-italiano, Torino,

Paravia, 1887 (rist. Napoli, Berisio, 1966); C. BATTISTI-G. ALESSIO, Dizionario Etimologico Italiano, 5 voll., Firenze, Barbera, 1950-1957;

J. COROMINAS, Diccionario critico etimológico de la lengua castellana, voll. 4, Berne, Francke, 1954-57 (nuova ediz. presso Madrid, Gre-

dos); S. BATTAGLIA, Grande Dizionario della Lingua Italiana, Torino, U.T.E.T., 1960- (ora diretto da G. BARBERI SQUAROTTI); E. MALA-

TO, Vocabolarietto napoletano, Napoli, E.S.I., 1965; G. ROHLFS, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, 3 voll., Tori-

no, Einaudi, 1966-1969 (I ed., 1949-1954 - si cita per paragrafi), vol. I - Fonetica (1966); vol. II - Morfologia (1968); vol. III - Sintassi e

formazione delle parole (1969); A. ALTAMURA, Dizionario dialettale napoletano, Napoli, Fiorentino, 1968; G. L. BECCARIA, Spagnolo e

Spagnoli in Italia. Riflessi ispanici sulla lingua italiana del Cinque e del Seicento, Torino, Giappichelli, 1968; M. CORTELAZZO-P. ZOLLI,

Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Bologna, Zanichelli, 1979-; A. BALDUINO, Manuale di filologia italiana, Firenze, Sansoni,

19832 (I ed. 1979); F. BRUNI, L’Italiano. Elementi di storia della lingua e della cultura, Torino, U.T.E.T., 1984; R. DE FALCO, Alfabeto na-

poletano, 3 voll., Napoli, Colonnese, I (1985), II (1989), III (1994); P. BIANCHI-N. DE BLASI-R. LIBRANDI, I’ te vurrìa parlà. Storia della

lingua a Napoli e in Campania, Napoli, Pironti, 1993.