TESI NARRAZIONE SERIALE

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Indice INDICE INTRODUZIONE I PARTE I 1) TRA FINZIONE E PERCEZIONE SPETTATORIALE: LA NARRAZIONE CLASSICA 1.1 ACCETTARE LA FINZIONE 1.1.1 Introduzione 1 1.1.2 La narrazione 3 1.1.3 Mondi narrativi 5 1.1.4 La finta diegetica 7 1.1.5 La finta finzionalizzata 8 1.1.6 La fiction televisiva: dalla realtà alla finzione 8 1.1.7 Forme ibride 9 1.2 GUIDA PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLA SERIALITA’ 1.2.1 Griglia d’analisi 12 1.2.2 Strategia interpretative presenti nel testo 15 1.3 IL RUOLO DELLO SPETTATORE 1.3.1 Psicoanalisi nell’audiovisivo 16 2) NUOVI MODELLI PER VECCHIE FIABE 2.1 CASE STUDIES 23 2.1.1 Guida con una ragazza morta (Twin Peaks) 25 2.1.2 Kennedy vs Nixon (Mad Men) 30 2.1.3 Progetto giustizia (24 – Prison Break) 32 2.1.4 Namaste (Lost) 33 2.1.5 Una questione di principio (Boris) 40 2.2 NETWORK 42 2.2.1 Gli antieroi Showtime 43 3) WEB SERIES 49

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INDICE

INTRODUZIONE I

PARTE I

1) TRA FINZIONE E PERCEZIONE SPETTATORIALE: LA NARRAZIONE CLASSICA

1.1 ACCETTARE LA FINZIONE 1.1.1 Introduzione 1 1.1.2 La narrazione 3 1.1.3 Mondi narrativi 5 1.1.4 La finta diegetica 7 1.1.5 La finta finzionalizzata 8 1.1.6 La fiction televisiva: dalla realtà alla finzione 8 1.1.7 Forme ibride 9 1.2 GUIDA PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLA SERIALITA’ 1.2.1 Griglia d’analisi 12 1.2.2 Strategia interpretative presenti nel testo 15 1.3 IL RUOLO DELLO SPETTATORE 1.3.1 Psicoanalisi nell’audiovisivo 16 2) NUOVI MODELLI PER VECCHIE FIABE 2.1 CASE STUDIES 23 2.1.1 Guida con una ragazza morta (Twin Peaks) 25 2.1.2 Kennedy vs Nixon (Mad Men) 30 2.1.3 Progetto giustizia (24 – Prison Break) 32 2.1.4 Namaste (Lost) 33 2.1.5 Una questione di principio (Boris) 40 2.2 NETWORK 42 2.2.1 Gli antieroi Showtime 43 3) WEB SERIES 49

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I

INTRODUZIONE L’idea di questo testo è quella tracciare, per quanto possibile, una sorta di percorso della narrativa seriale televisiva attraverso l’analisi delle basi delle strutture narrative sin dal loro inizio, permettendo così di evidenziare esempi di prodotti che hanno apportato una notevole evoluzione dal punto di vista narrativo più che da quello tematico. ciò che questo testo si prefigge di analizzare non è tanto la narrazione seriale sulla base di un tema prefissato o assegnato, quanto la struttura in sé che ha portato la serialità televisiva ad essere una nuova forma narrativa sempre più in evoluzione. La prima parte di quest’analisi, punta ad una breve enunciazione di quelle che sono state storicamente le forme di sviluppo narrativo che permetteranno di comprendere i diversi motivi e le diverse strade che la narrazione ha preso: partendo da Aristotele, la quale definizione e schema di tragedia ritorneranno e si evolveranno nel corse della storia, passando per Orazio, saltando poi al feuleitton, lo schema fiabesco proposto da Propp, fino ad arrivare al percorso generativo del senso e il Programma Narrativo di Algirdas Greimas. Con Greimas la semiotica ha posto, a partire dagli anni ’60, le basi per la ricerca di una struttura della narrazione e con questa di come essa abbia presa dal punto di vista non solo logico ma anche psicologico. La seconda parte del testo è un’analisi generale di come la serialità televisiva sia arrivata ad essere non più mero prodotto di serie b, ma qualcosa comparabile, per estetica e sviluppo narrativo, con un prodotto cinematografico. I case studies utili a comprendere questa analisi sono produzioni americane per due semplici motivi: quantità e qualità dei prodotti. L’escursus storico parte dallo studio delle logiche di produzione seriale dei maggiori network del panorama televisivo americano dagli anni ’70 ad oggi, questo perché permette di capire la crescita e lo sviluppo in senso distributivo di tali produzioni in base a logiche di mercato e avanzamento tecnologico. Primo punto di rottura, con una logica di produzione classica della serialità televisiva, avviene all’inizio degli anni ’90 con Twin Peaks che pone per la prima volta lo spettatore di fronte ad un prodotto altro che non ha nulla a che vedere con la struttura narrativa seriale fino ad allora vista in televisione. Di seguito sono analizzati quei canali di distribuzione, via cavo e non, che hanno scelto di puntare sulla serialità come loro unico prodotto (a partire dagli anni ‘90). Il secondo punto di rottura viene individuato nella serie distribuita da ABC Lost che riprendendo la prima frattura creata da Twin Peaks dal punto di vista narrativo e ne elabora ulteriormente la struttura creando quello che può essere definito un albero narrativo all’interno del quale diverse linee narrative sono al contempo parallele, a volte incidenti ma facenti capo alla stessa base. Sono citate in seguito delle serie che hanno rappresentato per struttura non tanto una vera e propria frattura, ma piuttosto un interessante gioco narrativo, quali per l’appunto 24 e Prison Break. Il mercato (soprattutto americano o al massimo inglese) che da una decina d’anni ruota attorno alla serialità narrativa ha saputo sfruttare anche il mezzo internet per le proprie narrazione: a partire da Lost in poi molte reti hanno creato una sorta di narrazione parallela sul sito della serie che andava ad ampliare, o semplicemente soddisfare, curiosità dello spettatore in merito a personaggi e ambienti della serie.

II

Le web series, inizialmente dei prodotti sfruttati come pubblicità dai network, stanno diventando sempre più dei canali indipendenti per la creazione di nuove forme narrative. Inoltre essendo distribuite solo via web, molti utenti hanno iniziato a sfruttare siti quali YouTube, come canale di distribuzione dei loro prodotti seriali home made. Di fatto sono nate delle nuove forme di serialità video che non tentano di emulare le produzioni professionali ma piuttosto di comunicare sotto un altro punto di vista una linea produttiva nuova e personale di creazione di storie e personaggi. Per quanto riguarda questi prodotti risulta molto difficile tracciare un profilo storico o anche solo farne un elenco ordinato in quanto non ci si può affidare ad una rete od ad un gruppo di siti di distribuzione per questa categoria, il che è sia un pregio, nel momento in cui avviene una vera comunione del mezzo, sia un difetto nel momento in cui non si sa esattamente a chi affidarsi per “distribuire” e fruire.

Tra finzione e percezione spettatoriale: la narrazione classica

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1. TRA FINZIONE E PERCEZIONE SPETTATORIALE: LA NARRAZIONE CLASSICA

«Ogni film è un film di finzione» Metz, Cinema e psicoanalisi, 1979

«Il film è realtà ventiquattro volte al secondo»

J. L. Godard

«La finzione deriva da un contratto di finta condivisa» (Schaeffer riferendosi a Marbot di Hildecheimer,

finta biografia). 1.1 ACCETTARE LA FINZIONE 1.1.1 INTRODUZIONE È necessario, prima di qualsiasi analisi approfondita sulla costruzione narrativa della fiction televisiva, ragionare sul concetto di fiction, in quanto messa in scena, in rapporto con il concetto di finzione. Platone asseriva che chi crea immagini, «l’imitatore, non s’intende di ciò che è ma di ciò che appare»1. Non presta fede all’oggettività ma all’apparenza. Si fa dunque riferimento ai segni che l’imitatore lascia nella sua opera, i quali permettono di tracciare un percorso vicino o lontano dalla realtà: significati globalmente riconosciuti permettono di tracciare i generi del segno, mettendo in relazione il documento in questione con i suoi simili. Se si fa fede alla tradizione platonica, bisognerebbe affermare che quando c’è immagine c’è finzione, oppure che ogni racconto, sia verbale che visivo, è per propria natura finzionale. Christian Metz (1931-1993), studioso storico del linguaggio del cinema, sosteneva questa teoria di platonica discendenza: se il racconto presenta analogie con il mondo reale è comunque un racconto filtrato da un narratore, che ne determina i passaggi dello svolgimento delle azioni e soprattutto li incasella in una logica di inizio e fine2. Inoltre i racconti sono sempre posteriori all’avvenimento; anche se la diretta del ventesimo secolo ha permesso un tempo reale, la narrazione simultanea prevede sempre uno scarto spaziale.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!1 Repubblica,X601B, p.1311 . 2 Jost F., Realtà/finzione, l’impero del falso, 2003, p. 18, riferendosi a C. Metz, Semiologia del cinema: saggi sulla

significazione del cinema, 1972.

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Bisognerebbe essere innanzitutto in grado di determinare cos’è la realtà e, data l’impossibilità, anche la deformazione di questa diventa difficile da misurare. La deformazione introdotta dal discorso visivo o verbale, la manipolazione del punto di vista o del tempo del discorso, non deve essere confusa con l’invenzione, che è una delle pratiche della finzione. Ad ogni modo quando le testimonianze di racconti distanti dalla nostra realtà convergono, si è più predisposti a credere che facciano parte della verità degli avvenimenti. È dai tempi di Platone che è palese la frattura tra segno e oggetto, frattura semiotica che non determina però il nostro inventare il mondo o che la comunicazione verbale o visiva si basi su invenzioni. Il nostro mondo e quello della finzione non sono separati e paralleli, ma piuttosto convergenti. In tal modo parte di realtà diventa finzione in una logica narratologica. Tutto dipende dall’accessibilità del racconto in senso lato. La capacità di un narratore è di mischiare in modo calibrato elementi di finzione con enunciati seri, che hanno un vero carattere referenziale, tale da rendere così attendibile il suo racconto3. Tutto ciò si basa sul principio di scostamento minimo: L’accessibilità che film e serial ci mettono di fronte, «è la camera di compensazione che riduce in un attimo lo scarto tra il mondo della finzione e quello dello spettatore»4. Si può riscontrare l’accessibilità: - attraverso l’attualità: somiglianza con luoghi, lavori, personaggi, i discorsi ribadiscono semplicemente luoghi comuni che hanno effetto di attualità. Il trailer introduce lo spettatore nel mondo fittizio presentato; - attraverso l’universalità: anche in ambienti a noi estranei, i comportamenti universalmente riconosciuti fanno da collante e ci permettono di livellare la distanza risentita da un ambiente sconosciuto. L’attore fonda la sua recitazione su dei mimemi, somiglianze selettive con il comportamento del nostro mondo. Il modo alto-mimemico in cui l’attore mette in scena capacità superiori alla media, o sviluppa un carattere particolare del comportamento umano; il modo basso-mimemico che mette in scena eroi uguali al proprio mondo e ad altri esseri umani. Nel momento in cui il punto di riferimento non è più solamente il mondo reale, vengono anticipati dei parametri di valutazione della verità. Per quanto riguarda i serial, tutto è affidato ai titoli di testa in cui il personaggio viene presentato anche per le sue debolezze, debolezze che lo riportano in un contesto umano di mortalità.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!3 Jost F., Realtà/finzione, l’impero del falso, 2003, p. 18, riferendosi a Searle, Expression and meaning. Studies in

the theory of speech acts, 1979 4 Jost F., Realtà/finzione, l’impero del falso, 2003,, p.24

Tra finzione e percezione spettatoriale: la narrazione classica

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I personaggi, per essere recepiti come reali, non risponderanno più alle regole del nostro mondo, in cui ad esempio persone che volano non esistono, ma all’organizzazione diegetica nella sua coerenza di relazioni tra personaggi e avvenimenti. In particolare i serial permettono alla narrazione di non essere mai conclusa, di sviluppare nuove direzioni grazie alle lacune della diegesi e molte delle opere, anche del cinema contemporaneo, fanno leva su queste lacune e disorganizzazioni narrative. «La finzione non è mai la prova della realtà e la realtà non si troverà mai tale e quale nella finzione»5. 1.1.2 LA NARRAZIONE La (ri)costruzione cronologica del racconto costituisce in narratologia la fabula, composta da esordio, peripezie e svolgimento. Il modo in cui è realmente raccontata, con rallentamenti, anticipazioni, flashback, è invece l’intreccio. L’intreccio mira sempre e comunque a lavorare sul ritmo della narrazione per rallentarne l’epilogo. Gli anni ’60 hanno determinato da parte soprattutto dei linguisti e dei semiologi, la ricerca della logica del racconto. Una delle ricerche più ambiziose fu fatta con la semiotica generativa di Algirdas J. Greimas (1917-1992), ovvero la ricerca della formazione del senso attraverso un percorso generativo. Secondo Greimas, al senso prestabilito alla narrazione vengono aggiunte, tramite le strutture discorsive, gli attori, il tempo e lo spazio dell’azione6.

TABELLA PERCORSO GENERATIVO (DEL SENSO) DI GREIMAS:

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!5 Jost F., Realtà/finzione, l’impero del falso, 2003, p.29 6 Volli U.,, Il libro della comunicazione, 1994, p. 175

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Partendo dal lavoro di Claude Lévi-Strauss, Greimas ha concepito che ogni narrazione ruota attorno all’articolazione di relazioni astratte tra concetti contrapposti, scanditi da termini temporali, spaziali e antropomorfi. Il senso, allora, dal punto di vista strutturale, ruota attorno al così detto quadrato semiotico (concepito agli albori da Aristotele):

QUADRATO SEMIOTICO (STRUTTURA FONDAMENTALE DEL SENSO):

Inoltre, ai fini di questo testo, risulta importante citare anche il quadrato di veridizione:

In cui: «vero è ciò che è quel che sembra, segreto quel che non sembra ciò che è, menzognero chi non è ciò che sembra, falso chi non sembra e non è. Falsità e verità sono contraddittori, menzogna e segreto contrari»7. L’enunciato elementare secondo Greimas, unisce una funzione/relazione ad un attante (un personaggio archetipo che incarna un ruolo, quale può essere l’eroe, l’antagonista, l’aiutante, ecc.) . Secondo il suo modello attanziale, l’attante, visto come figura universale, è mosso da tre diverse relazioni:

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!7 ibidem, p. 177

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la relazione transitiva dalla quale viene legato all’oggetto, quella comunicativa tra mittente e destinatario, e quella del potere che contrappone aiutante e oppositore.

MODELLO ATTANZIALE

Nel momento dell’attorializzazione, l’attante viene sostituito da un personaggio con determinate caratteristiche, carattere, presenza. Quello che Greimas definisce Programma Narrativo (PN) è l’unità di base della narrazione a cui possono farne capo altri che rendono più complesso il principale. Ogni narrazione si basa sulla circolazione di un oggetto di ricerca o di valore fra un personaggio e un suo antagonista. Tutto ciò che però determina la riuscita di una narrazione è, banalmente, come viene narrata. Per rientrare in un genere sono note delle regole stilistiche che facilitano l’enunciazione: un documento giornalistico dovrà avere un atteggiamento il più fedele possibile agli avvenimenti, mentre nel caso di un testo di azione ciò che conta è il ritmo dell’enunciazione, la velocità con cui gli avvenimenti accadono. L’enunciazione della storia può avvenire dal punto di vista di un personaggio, che comporta però restrizione sulla conoscenza di ciò che capita agli altri personaggi (focalizzazione interna), dal punto di vista di uno spettatore onnisciente (focalizzazione spettatoriale) o non introducendo affatto la componente spettatoriale (focalizzazione esterna). Si può scegliere di raccontare qualcosa dopo che il fatto è avvenuto (narrazione ulteriore), in diretta (narrazione simultanea, che spesso diventa, in relazione con il quadro filmico, connettore di fattualizzazione) o in previsione che accada (narrazione predittiva).8 1.1.3 MONDI NARRATIVI Il mondo reale. Alcuni programmi televisivi o film si riferiscono al nostro mondo con lo scopo di ampliare le nostre conoscenze di esso, scopo che ad esempio si prefigge alcun tipo il documentario e successivamente il telegiornale in diretta.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!8 ibidem., p.

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Il mondo fittizio. Con le dovute somiglianze e riferimenti al mondo reale, va ricordato che la finzione non ha niente a che vedere con la menzogna nel momento in cui si attribuisce all’autore la libertà d’invenzione e non d’informare9. Il mondo ludico. Umberto Eco ha mostrato l’opposizione tra informazione e finzione nella classificazione delle trasmissioni televisive, discorso difficile dal momento in cui entra in campo l’aspetto del gioco. Per fare un esempio, Il Grande Fratello dice la verità o mette in scena una finzione di essa? Pierre Larousse (1817-1875), grande enciclopedista nonché linguista, definisce il gioco come un’attività fisica o intellettuale a cui ci si abbandona per divertimento o per provare piacere. Un gruppo importante di gioco è rappresentato dal mimicry. Roger Caillois (1913-1978), sociologo e critico letterario francese, distinse quattro categorie del gioco tra esseri umani: la competizione (agon), la sorte (alea), la maschera (mimicry) e la veritgine (ilinx).10 Il termine più interessante per questa analisi, il mimicry, si riferisce in modo diretto al mimetismo degli insetti, non viene scelto solo per il riferimento esplicito al mascheramento, ma per sottolineare la natura organica del manifestarsi di tale impulso nell'uomo. Nel bambino la mimicry si manifesta nell'imitazione dell'adulto, gli strumenti di cui si serve il bambino riproducono più volte gli utensili utilizzati dagli adulti, arnesi in miniatura: apparecchi, macchine, armi. La mimicry non è confinata all'infanzia, si manifesta anche nella vita adulta, qualora ci si abbandoni a mascheramenti e travestimenti, anche il teatro nella sua dimensione ludica entra in questo gruppo di giochi. Il piacere consiste nell'essere un altro o nel farsi passare per un altro. Ma, dal momento che si tratta di un gioco, la questione essenziale non è esattamente quella di ingannare lo spettatore. Dunque si simula di essere un personaggio senza però voler mentire a chi sta guardando. Il divertimento è insito nel fatto di essere travestiti, di impersonare qualcuno o qualcos’altro.11 Bisogna essere in grado di fingere per recitare la finzione, ma non basta praticare la mimicry per fare della finzione. Da notare che insito in questo si può ritrovare la formula del piacere del gioco per il gioco. Georges Melies (1861-1938), tornando ad un ambito cinematografico, fu il primo regista a fare del cinema come gioco, cercando prima di trovare un trucco inedito per ognuno dei suoi film per pensare solo in seguito ad una storia che gli permettesse di metterlo in scena.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!9 Perec G., Storia di un quadro, 1979 10 Grossi G., Lost moderno – lettura di una serie televisiva, 2010, p. 69 11 Jost F., Realtà e finzione, 2003, p.39

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Il ludico diventa così un ritorno alla finzione riprendendo i suoi stessi codici, come «il tentativo di un prestigiatore di credere alla magia attraverso i propri trucchi».12 Ecco che il cinema, prendendo spunto dal ludico, e rifacendosi ad una logica televisiva, concepisce sempre più oggetti audiovisivi non identificati, come nel caso di alcuni tipi di documentari, i quali mischiano porzioni di realtà per così dire oggettiva ricamandone attorno al plot delle deviazioni di pura invenzione. Il reportage in un film è visto come un aspetto ludico del mezzo televisivo, affidandogli una valenza di verità, del quale rappresenta una finta nella finzione. Prendiamo il caso di The blair witch project (1999): dal punto di vista del pastiche dei codici del reportage, questi diventano fondamentali nell’opera perché non ci permettono appieno di distinguerne una finzione o un reale reperto. Vengono rubati elementi “grammaticali” che solitamente costituiscono un altro genere di documento per creare un falso pastiche. Il trailer, la locandina, i corti pre filmici, fanno entrare il film in una logica televisiva, con la stessa logica promozionale di attesa di un mondo possibile. 1.1.4 LA FINTA DIEGETICA Si possono distinguere due tipologie di finta diegetica: la finta scenica (una copia del vissuto), e la finta filmica (dal punto di vista di racconto verbale). Per questo ultimo punto, la falsità non è tanto determinata dalle immagini quanto dai discorsi che le fanno da sfondo. La finzione non vuole avere il compito di passare per la realtà effettiva, ma di creare un mondo che potrebbe esistere. Nulla a che vedere, dunque, con una logica del tromp-l’oeil: la finzione non è l’illusione. È ormai accertato che dal punto di vista cinematografico non succede realmente ciò che si vede: Lucio Fulci, con il suo film Una lucertola con la pelle di donna (1971), fu accusato di violenza su animali da quanto reali risultassero alcune scene da lui girate. Dopo aver portato in tribunale Carlo Rambaldi, responsabile degli effetti speciali, e aver dimostrato la totale costruzione delle scene, fu scagionato. Diverso è il discorso per quanto riguarda una logica televisiva. Come gli snuff movie promettono alla fine del film dei morti veri, i reality seguono una logica per cui lo spettatore si aspetta di vedere da un programma televisivo dei pezzi di realtà oggettuale. È il caso, come per la stampa, in cui ci si aspetta che la verità risieda nell’autorevolezza della testata. Per quanto riguarda i reality show si può parlare di finta diegetica, dal momento in cui si vuol far credere allo spettatore che una scena recitata, o comunque facente capo ad un canovaccio, sia presa diretta della realtà. La finta, però, ha un passato ben più lungo del modello televisivo.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!12 Jost F., Realtà e finzione, 2003 citando Kojève, Miti, emblemi, spie. Morfologia e storia, p.231

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Già gli autori di romanzi epistolari hanno utilizzato il non narrativo dello scambio di lettere per costruire dei rapporti tra persone inesistenti, spesso ingannando anche per molti anni critici e lettori. Il telespettatore medio del reality prende per vero le messe in scena di personaggi sconosciuti solo in base alla referenzialità del canale di trasmissione. Gli anni ’90 sono stati i più prolifici da questo punto di vista, invadendo di programmi di vere e proprie finte. A differenza dello stile di intervista anni ’60 in cui si riponeva negli occhi dell’intervistato la centralità della sua immagine-racconto, ora si viene a preferire la camera a spalla che segue il soggetto, trasformando questo movimento in un indice di realtà-verità. 1.1.5 FINTA FINZIONALIZZATA Prevede il riconoscimento di un Io all’interno di una messa in scena recitata (Io fittizio). Si fa riferimento in questo caso ai contributi video che affiancano la così detta tv-realtà, in cui i personaggi (Io-origine) vedono, sotto forma di testimonianza video, la loro vita o il momento che stanno descrivendo, reinterpretato da attori, spesso con voice off, che spiega i sentimenti del protagonista della clip. Questa ricostruzione è piuttosto una commistione tra la finta e la finzione. Nel momento in cui quello che si vede non è romanzato ma tenta di seguire gli avvenimenti per come sono accaduti (fermo restando che ad interpretarli sono degli attori), si può parlare di fattuale finzionalizzato. 1.1.6 LA FICTION TELEVISIVA: DALLA REALTA’ ALLA FINZIONE È doveroso, dopo queste schematizzazioni, non attribuire l’aggettivo falso a tutto ciò che viene enunciato tramite un audiovisivo che, come già visto, fa uso di commistioni di generi riportando anche assiomi veritieri nella totalità della finta audiovisiva. Avviene comunque un lavoro con la realtà che non deve essere scambiato né tutto per fittizio, né scambiare tutto il fittizio per realtà. Nell’ordine d’idee di una finzione pura non c’è nessun obbligo di esattezza. Sempre parlando a livello generale, non si può pensare di imparare la storia attraverso il film perché se questo può mentire, o cambiare parti di storia in funzione della narrazione, sicuramente lo farà. La reazione di rigetto tra personaggio/persona reale avviene quindi solo nel nostro mondo. In quanto spettatori, non accettiamo che si giochi con la nostra credulità quando affidiamo la fiducia ad un autore, ma accettiamo comunque che, in favore di una visione fluente, parte di ciò che ci viene narrato venga modellato a piacimento.

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L’asserzione, ovvero che il locutore abbia la verità di una proposizione espressa, segue regole precise che la fanno convalidare dal punto di vista del senso (semantica) e dal punto vista pragmatico di uso del linguaggio. A tal proposito la regola essenziale e preliminare è che l’interlocutore si renda garante di ciò che sostiene, attraverso l’esposizione di prove che sostengano la verità di ciò che esprime. Nel momento in cui l’interlocutore, pur seguendo tali regole dell’asserzione, comunica volutamente il falso, si parla di menzogna. Per quanto riguarda il romanzo, e per estensione anche per la fiction, non c’è l’obbligo di rispondere alla verità di ciò che si asserisce. A differenza della menzogna, non esiste regola semantica o sintattica che permetta di riconosce un’opera di finzione. È un gioco dichiarato che non cerca di ingannare con la menzogna. Tale asserzione può essere definita asserzione finzionale.13 1.1.7 FORME IBRIDE La semiotica ha mosso i suoi primi passi analizzando delle storie, in particolare miti e fiabe. La seria televisiva è ciò che più si avvicina tutt’oggi ad un’occasione per avvalersi di fiabe, dal momento in cui la sua disposizione temporale è maggiore rispetto ad una logica filmica. È più portata, virtualmente, a diventare altrettante rappresentazioni di sogni, incubi, di traumi, di una memoria socio-culturale e dell’immagine che si dà di essa. Come visto finora, la fiction è tale anche in rapporto a qualcosa che è reale. È in questo caso fuorviante definirla come qualcosa che si distacca dai generi della realtà. La produzione televisiva punta sempre più ad una forma di commistione in cui il fattuale e il finzionale vengono a compenetrarsi creando delle forme non ben distinte di narrazione. Da un lato c’è la volontà di raccontare il quotidiano, dall’altro di costruire dello straordinario intorno alla vita vera. I comportamenti estremi di docufiction, serial, serie e documentari permettono questa ibridazione che Antonio Santangelo definisce real fiction.14 Questo porta ad una riflessione suoi ruoli attanziali di cui parlava Greimas: per quanto riguarda il serial contemporaneo, è a volte difficile concepire che il comportamento dell’attante non si modifichi, facendolo diventare una maschera che non gli permette di uscire da una logica di fiction canonica. La direzione che ha preso il serial degli ultimi vent’anni, in fase di stesura del personaggio, è di uno scambio di ruoli delle componenti attanziali : un “cattivo”

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!13 Jost F., Realtà e finzione, 2003 14 Santangelo A., Real fiction. Oltre l’opposizione fattuale/funzionale, a cura di M.P. Pozzato, Mondi seriali –

Percorsi semiotici nella fiction , 2008!

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non deve per forza sempre ricoprire questo ruolo e il “buono” non è un personaggio perfetto e patinato. Oltre all’alternarsi delle vicende, è la scoperta dell’atteggiamento in evoluzione dell’attorializzazione degli attanti che permette ad un pubblico di non seguire semplicemente uno schema uguale per tutti i serial. Sarà piuttosto il piacere di capire lo schema che intratterrà maggiormente il pubblico. La peculiarità della real fiction è anche incentrata su un gioco veridittivo: si è invitati a scoprire il trucco che trasforma una storia di finzione in fattuale. La paleo televisione aveva volontà di mostrare qualcosa di straordinario al di fuori del quotidiano, organizzando e promuovendo “sogni”. La neo televisione invece cerca il quotidiano per instaurare un rapporto dialogico con il pubblico, facendolo diventare parte attiva della costruzione del programma. Ed è appunto sulla presa di coscienza dello spettatore come “attante esterno”, a cui alcune delle nuove fiction fanno riferimento. Si può suddividere la real fiction in due macro generi:

- scripted, puramente detta fiction, raggruppa tutte l’ampia fascia delle saghe;

- unscripted ovvero l’intrattenimento. Ovviamente anche questo macro gruppo prevede di essere “scritto” da degli autori, ma il rapporto che per natura deve instaurare con lo spettatore lo esula da un rapporto diretto e friendly.

Ciò che maggiormente differenzia la struttura della narrazione seriale rispetto al cinema è la loro specificità narrativa: il cinema prevede che nella sua struttura sia il finale risolutivo della storia ad assumere maggior importanza, è come se si andasse al cinema e si vivesse l’intero film nell’attesa di quei risolutivi 20 minuti finali. Nella serie televisiva avviene l’opposto, è l’inizio ad assumere questo ruolo e per un motivo molto semplice: la necessità è di trattenere e fidelizzare un pubblico sempre maggiore che incrementi lo share e permetta alla serie di continuare. Importanza fondamentale assumono quindi i pilot, puntata di lancio della serie, nei quali viene spesso riposta la speranza del progredire della serie. Il mercato sicuramente più influente rimane tutt’oggi quello americano che si sta muovendo verso le ipernarrazioni, ossia verso una sempre più complessa costruzione delle linee narrative, creando, a partire da un plot principale, intersecazioni con storie che si distaccano dall’andamento della serie o ne diventano una serie nella serie. Non solo maggiore complessità delle linee narrative coesistenti, ma anche contaminazione di generi diminuendo, se non a volte eliminando, la distinzione tra serie e serial. A tal proposito risulta interessante l’analisi compiuta da Simone Arcagni nel suo saggio Oltre il cinema - Metropoli e Media15 in cui affronta il tema dell’affermazione del

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!15 Arcagni S., Oltre il cinema - Metropoli e Media, Kaplan, Torino, 2010

Tra finzione e percezione spettatoriale: la narrazione classica

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post-cinema in sintonia con il nuovo modo di vivere il centro abitativo. Segue le analisi di Fredric Jameson (1934-) e Jean Baudrillard (1929-2007) relative alla morte del cinema, non nell’accezione di una morte del racconto per immagini e suoni, ma in base alla morte del cinema ordinato, organizzato, a favore di un cinema fluido, mixato da variati supporti e che diventa un’esperienza, un evento che ci circonda e accompagna. Questo è possibile grazie all’ampio archivio lasciato dal cinema così detto tradizionale. Sta avvenendo quindi un passaggio da luoghi deputati di fruizione a modalità e logiche en plein air in cui viene a mancare un medium di riferimento. Los Angeles rappresenta la città modello della moderna narrazione cinematografica, è il perfetto sunto di ciò che sta diventando la quotidianità. È città frammentata, priva di un centro che altrove sarebbe chiamato storico, è melting pot di culture, di paesi che la vanno a comporre, che in forma democratica raggruppa le realtà più disparate. È città postmoderna che giace diametralmente all’opposto di quella che era stata la città moderna per eccellenza: New York. È un ibrido che, per mancanza di organizzazione e surplus di imput, genera nel cittadino/spettatore una schizofrenia (Jameson riprende da Lacan); mancando il concatenamento di eventi di significanti che compongono un senso, genera significati distinti. Questa intensa attività emotiva che compone intorno all’abitante un iperrealismo secondo baudrillardiana accezione, comporta, marxisticamente parlando, la sostituzione dell’alienazione nell’euforia, una specie di esagerazione neobarocca. Diventa un intrattenimento nell’intrattenimento che ha reso questa città un enorme parco giochi reale e contraddittorio. Si vengono a generare non luoghi per eccellenza, simulazioni che non simulano qualcosa di reale ma copie di se stesse. L’audiovisivo dal canto suo si rifà a queste logiche per mostrare un futuro spesso catastrofico di collasso sociale, come se questa città fosse lo specchio del futuro, si creano narrazioni in cui combinare il male e il suo prossimo ipotetico risultato. Si usa ciò che lo spettatore ha acquisito finora come ampio bagaglio di segni per creare nuove narrazioni che spesso sfociano in una visione nostalgica. Attraverso una visione apocalittica e nostalgia si può parlare di ipertrofia dell’immagine, come a dimostrare una voglia di finire e ricominciare da zero. La nostalgia è una tema caro alla cultura postmoderna, in cui le narrazioni si frammentano, sembrano non seguire un filo logico, come dimostrano film di Tarantino o Lynch, in cui la narrazione si fa corale: nascono intrecci, le forme narrative si complicano fino a terminare in vicoli ciechi, tornare indietro o gironzolare apparentemente a caso, e l’intensità diventa la linea guida a livello di carattere estetico di ciò che si vede. Lynch, ad esempio, gioca con la capacità del cinema di contaminare il reale (Mulholland drive, Lost highway, Inland empire). Il cinema di Lynch è un cinema dei frammenti e di continua sovrapposizione narrativa, di ripetuti movimenti senza meta. Le dimensioni di spazio e tempo nella città non hanno più un senso e spesso la comprensione finale non è così lineare e aperta.

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Anche se l’analisi di Arcagni è condotta sul cinema, è rilevante quanto sempre più il seriale si stia aprendo la strada come nuova forma di cinema continuativo, anche utilizzando le innovazione del cinema stesso. Sempre più la produzione nord americana punta ad ibridare la struttura verticale della serie, ovvero lo sviluppo autoconclusivo di un episodio, compenetrandola con linee narrative che percorrono l’intero andamento di una stagione (o come nel caso di Lost, ABC 2004-2010, dell’intera serie) a volte rendendola più importante dell’episodio in sé e creando una non netta separazione tra serial e serie. Inoltre la capacità di alcune produzioni di disseminare rompicapi in mezzo alla narrazione, risolvibili solo su altre piattaforme (internet, fumetti, videogiochi), permette ad una buona serie di aprire narrazioni trans mediali. Se da un lato la transmedialità conduce i fan ad andare sempre più in fondo nella scoperta dei retroscena narrativi e coinvolge attivamente lo spettatore risvegliandolo dallo stato di “patata lessa” che il connubio televisione-divano porta ad assumere, dall’altro può portare ad una sorta di dipendenza dalla narrazione stessa. 1.2 GUIDA PER UN’ANALISI SEMIOTICA DELLA SERIALITA’ 1.2.1 GRIGLIA D’ANALISI Per entrare più approfonditamente nella realtà seriale televisiva, è all’inizio fondamentale la distinzione tra saga o serial, ovvero un modello narrativo che procede alternando vari personaggi e storie compenetranti senza una vera risoluzione (questo valeva soprattutto per soap e telenovela), e serie ovvero modello narrativo con differenti racconti con stessi personaggi e una risoluzione finale (l’archetipo narrativo della serie è individuato nel famoso Sherlock Holmes). Nella caso della serie, dunque, è molto difficile che l’intreccio narrativo scorra fuori dalla ciclicità degli episodi. Basti pensare agli episodi de La signora in giallo (Murder, She Wrote, CBS, 1984-1996) che, basati su una struttura temporale rigorosamente uguale per ognuno di essi, rende possibile determinare a che minuto dell’episodio avverranno determinanti cambiamenti dello svolgimento. Nel comporre la bibbia di una fiction, ossia quel documento stilato prima delle sceneggiature in cui sono presenti i caratteri dei personaggi, le ambientazioni e le linee narrative principali della fiction, viene concepito anche che andamento avrà la narrazione del singolo episodio in relazione con l’intera stagione. Nella serie (es. La signora in giallo) è dunque fondamentale la prevedibilità dell’andamento dell’episodio, il quale viene decorato con la superficiale variabilità della storia. Il piacere “infantile” della serie sta nel reiterarsi di un meccanismo funzionante. Si può affermare che la serie si caratterizza per la sua proiezione dell’asse paradigmatico su quello sintagmatico, ovvero un modello di riferimento sta all’interno di un percorso progressivo.

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Il piacere della visione nel serial chiuso sta così nella prevedibilità della conclusione della stagione come nell’intensificarsi delle linee narrative secondarie, che ritardano il prevedibile epilogo. Nel serial aperto, invece, è la non conclusione della storia che sta alla base della sua continuazione. Questa distinzione tra serial aperto e chiuso sta venendo sempre meno grazie ad una contaminazione tra queste due sottocategorie. La struttura verticale, cioè il plot del singolo episodio, viene a mescolarsi con la linea orizzontale, ossia la linea narrativa dell’intera stagione. L’osservatorio sulla fiction smart_serials, composto da dottori e dottorandi di ricerca in semiotica all’università di Bologna, ha svolto un’analisi semiotica della fiction che ha portato alla creazione di una griglia d’identificazione narrativa:

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Il primo problema emerso dall’analisi dell’osservatorio sulla base di un campione di trenta fiction televisive analizzate, è stato quello dell’assegnazione del genere. Come presente in I generi televisivi di Giorgio Grignaffini16, una serie può essere l’incrocio di quattro aspetti:

- Il formato narrativo (miniserie, serial ecc) - Il mondo rappresentato (fantascienza, western ecc) - Il tipo di coinvolgimento dello spettatore (comico, horror) - La tonalità del racconto (comedy, drama ecc)

Le linee narrative vengono poi scandite in tre chiusure: episodio, stagione e serie. Può avvenire, come già detto, che spesso il finale dell’episodio e della stagione coincidano, ossia che lo sviluppo episodico non porti ad una evoluzione della stagione e che dunque questi siano intercambiabili in una linea temporale (buon punto di riferimento sono le serie anni ’80 come appunto la già citata La signora in giallo). La tipologia opposta è la coincidenza tra la serie in sé e la narrazione, il cui caso emblematico è rappresentato da Lost, (ABC, 2004 - 2010) all’interno del quale le linee narrative presenti hanno una risoluzione solo con la fine dell’intera serie. Le combinazioni tra linee primarie (il caso dell’episodio) e secondarie (ad esempio storie personali dei protagonisti che esulano la risoluzione dell’episodio) sono tra le più svariate anche in relazione con la serie stessa. Il rapporto delle linee narrative con la serie, la loro quantità, interazione e rilevanza vanno a confluire in un continuum che andrà a determinare la complessità della serie. Da un lato l’ipernarrazione, in cui sono presenti svariate linee narrative che confluiscono in un atto per poi staccarsene e continuare il loro sviluppo parallelo, e l’iponarrazione all’interno della quale avvengono deboli interconnessioni e in cui tutto ruota intorno ad una linea principale. La funzione degli attanti in queste linee viene stabilita in fase di redazione della bibbia: spesso nel determinarne i caratteri o l’appartenenza alla dualità buono/cattivo, portano a descrizioni di approfondite biografie che potranno essere utilizzate in fase di sviluppo della narrazione, ma omesse all’inizio dalla linea narrativa. In alcuni casi è il personaggio che diventa indispensabile alla serie (come per le serie investigative) o attante collettivo come nel caso di CSI (CBS, 2010-), in altre è il luogo che diventa indispensabile alla narrazione: basti pensare ad ER (NBC, 1994-2009) e al fatto che nessuno dei personaggi sia durato fino alla fine della serie. È il luogo in questo caso a rappresentare elemento principale delle vicende della narrazione. Non esistendo serie veramente monotematiche, i temi identificati rimandano ad isotopie, che secondo Greimassiana accezione, mettono insieme elementi

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!16 Grignaffini G., I generi televisivi, 2004

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eterogenei facenti parte di una stessa area tematica, come una sorta di fil rouge che determina una coerenza testuale. Il numero d’isotopie e loro connessioni, inoltre, va a determinare il grado di complessità. La componente valoriale in collegamento con le tematiche permettono di identificare una tonalità della serie, una caratteristica che permette di identificarne la personalità, accogliendone i valori o aprendo discussioni sulle assiologie culturali di riferimento. 1.2.2 STRATEGIE INTERPRETATIVE PRESENTI NEL TESTO Come già anticipato, la serialità si fonda sulla costruzione delle attese o in un costante differimento.17 Inoltre, l’autore del seriale utilizza determinati timbri di voce o unità narrative riconoscibili per differenziare l’enunciazione di determinate parti di narrazione, basti pensare ai flashback di Lost . Questo porta lo spettatore, soprattutto nel caso del serial, a doversi cimentare in una forma di memorizzazione degli avvenimenti che inoltre prevede, in diversa scala, una forma d’interpretazione e deduzione. Umberto Eco identifica come “macchine pigre” i testi che hanno bisogno di un’interpretazione da parte del fruitore.18 Ogni struttura narrativa, dal timbro al genere ecc, può essere rintracciata analizzandone il pilot che ha il compito, in quanto episodio di lancio, di racchiudere i parametri testuali che saranno ricorrenti e identificativi della narrazione. Un esempio di linea narrativa è: previously + preambolo + logo + titoli, distintiva del serial Lost. Assieme al timbro si può estrapolare il ritmo analizzando stacchi, dissolvenze, cartelli, lo spazio off, che vanno a determinare la punteggiatura di una serie e che in linea di massima resteranno una costante all’interno di essa. Ad affiancarsi alle analisi prettamente testuali, oggi diventa altrettanto rilevante includere l’apparato paratestuale, ovvero ciò che circonda il testo, come le sigle, i siti internet ufficiali e i dvd (volendo estendere l’analisi, anche a fumetti quando sono presenti, ARG e short movie) escludendo però tutti i prodotti fandom. La sigla d’apertura come elemento identificativo, è videoclip a se stante che fornisce indizi di base sul contenuto. A volte la stessa rilevanza viene determinata dalla sigla di chiusura. Il logo è la componente grafica che serve ad identificare il prodotto, il riepilogo degli episodi precedenti, breve montato che permette di recuperare il filo della storia. A volte è presente un preambolo che, con la stessa modalità, annuncia ciò che sta per succedere.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!17 Santangelo A., Real fiction. Oltre l’opposizione fattuale/funzionale, a cura di M.P. Pozzato, Mondi seriali –

Percorsi semiotici nella fiction , 2008 18 Eco U, Lector in fabula. La cooperazione interpretativa dei testi narrativi, 1979

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Tutti questi elementi vanno a comporre l’identità della fiction grazie alla delineazione della struttura. Inoltre gli elementi extranarrativi come blog dedicati alle biografie dei personaggi (non degli attori), o interviste agli autori, i backstage, permettono di approfondire il mondo che ruota attorno al prodotto. L’interattività, poi, permette di lanciare prodotti collegati alla serie, come videogiochi, puzzle, e oggettistica varia. Gli aspetti descritti, anche grazie alla griglia di analisi, permettono di destrutturare una narrazione o di trovarne somiglianze e differenze con altre. Come visto, per quanto riguarda il seriale, gli effetti più tipici sono quelli legati alla scansione ritmica. Tutto viene scandito da una scelta tempistica della “messa in conoscenza”, coadiuvata dal montaggio, dalle scelte di intensificazione sonora, dalla rottura delle linee d’azione (cliffhanger) e dalla gestione della suspense. 1.3 IL RUOLO DELLO SPETTATORE 1.3.1 PSICOANALISI NELL’AUDIOVISIVO Nella notte tra il 23 e 24 Luglio 1895, Sigmund Freud (1856-1939) fece un sogno che venne da lui stesso analizzato e trascritto ne L’interpretazione dei sogni (1898). Questa data è convenzionalmente usata per determinare la nascita della psicoanalisi. Nel dicembre dello stesso anno, i fratelli Lumiere proiettarono per la prima volta una pellicola. Il 1895 segna anche la nascita della cinematografia. Apparentemente psicoanalisi e cinematografia paiono su due livelli differenti di analisi, ma il loro sviluppo parallelo le ha in realtà unite. Per comprendere appieno il ruolo che lo spettatore ha all’interno del meccanismo dell’audiovisivo, servendosi di una lettura più psicoanalista che semiotica, non è da vedersi come spettatore statico, ma piuttosto come fuoco della prospettiva creata dallo schermo. Prima di affrontare come la psicoanalisi sia “entrata” nella produzione audiovisiva, bisogna comprendere le basi su cui si fonda questa scienza. Alla base dello sviluppo della psicoanalisi c’è la nascita della psicologia, o meglio ancora della psicologia sperimentale, che indaga i processi cognitivi attraverso lo studio della memoria, dell’attenzione e dell’apprendimento. A cavallo con l’evoluzione delle avanguardie storiche, tra il 1910 e il 1930 nasce la psicologia della Gestalt, detta anche psicologia della forma, la quale sosteneva che il tutto è più della somma delle singole parti, opponendosi così allo strutturalismo, prima corrente psicologica riconosciuta, che vede la psiche come una sommatoria e strutturazione di elementi base che la compongono. Hugo Munsterberg (1863-1916), illustre pioniere di fine ottocento della psicologia applicata, studiò da subito il rapporto tra film e spettatore, ambivalenza tra mezzi filmici e struttura del film, tutto sulla base delle categorie dello spirito umano.

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Dopo Max Wertheimer, anche Munsterberg studiò l’effetto phi, fenomeno di produzione di un movimento apparente (che rende possibile il cinema). La spiegazione dell’effetto movimento avviene tramite una proprietà dello spirito umano che interpreta un’illusione di movimento, dunque Munsterberg ne dedusse che il cinema è l’arte che parla allo spirito sfruttandone l’attenzione, la memoria e l’immaginazione (la quale serve per combinare le operazioni “innaturali” del montaggio) e delle emozioni. Inoltre il video in sé non esiste se non nello spirito e si rivolge ad esso mimandone i meccanismi. L’analisi di Munsterberg (non è da sottovalutare che morì nel 1916), non tiene conto di film documentaristici o di propaganda, valutando solo il cinema di finzione come vero e proprio cinema con un futuro. Un altro studioso dell’effetto phi e in generale psicologo e teorico del cinema, fu Rudolf Arnheim (1904-2007). Aggiunse alle teorie di Munsterberg che la visione, creata dallo spirito umano, è fenomeno mentale che permette di percepire più di quello che i nostri occhi vedono. Il film ha a che fare con ciò che è materialmente visibile ma non con la sfera umana del visuale. Arnheim fu ancora più selettivo di Munsterberg nell’analizzare i film limitandosi a quelli muti, sostenendo che il sonoro fosse un’aberrazione. Entrambe le analisi sopra citate sono da vedersi riferite al periodo storico in cui furono elaborate, coerenti con il primo periodo del cinema, ma a tutt’oggi quasi completamente da rivalutare. Ad ogni modo, però, propedeutiche per continuare l’analisi su come lo spettatore sia diventato da elemento statico a parte integrante dello svolgimento di un prodotto audiovisivo. Senza dubbio per parlare alle emozioni ci si è rivolti all’uso di film propagandistici: ne sono un esempio i film di David W. Griffith che oltre ad essere uno dei padri del cinema narrativo fu anche esponente della seconda ondata del Ku-Klux-Klan che adoperò i suoi lavori spesso e volentieri e in modo neanche tanto velato, per diffondere il credo del movimento razzista (basti pensare alla locandina di Nascita di una nazione, 1915, che vede un cavaliere sul suo cavallo tutto vestito di bianco con lo stemma del KKK sulla tunica, imbracciare una fiaccola). O ancora i film di fantascienza nel periodo della guerra fredda. Lo stesso Lenin sosteneva che tra tutte le arti, il cinema era quella a loro più cara. Ma come indurre determinate emozioni nello spettatore? Il famoso effetto Kulesov, derivante dal nome del regista russo Lev V. Kulesov (1899-1970), aveva come presupposto il dimostrare che affiancando ad una ripresa di un volto inespressivo diverse inquadrature con molteplici scene e soggetti se ne si poteva dare significati diversi. Un allievo di Kulesov, Vsevolod I. Pudovkin (1893-1953), sostenne che il montaggio è un mezzo per forzare i pensieri e le associazioni dello spettatore. Lavorò sul ritmo, sul tempo e sulla tensione che questi creano per avere sempre più presa sullo spettatore. Durante le due guerre mondiali lo spettatore è visto più come un soggetto su cui fare presa con il cinema propagandistico, si ritorna a parlare di esso solo dopo.

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I problemi psicologici di percezione d’immagini filmiche vengono chiariti nel postulato che è la fedeltà fotografica (o somiglianza fedele) che colpisce maggiormente lo spettatore. In merito basti pensare ai film di Lucio Fulci e il caso Rambaldi citato nel paragrafo precedente. Sicuramente lo sviluppo di una “scienza del montaggio” ha permesso di guidare lo spettatore verso un punto ben preciso del corollario emozionale, ma è grazie all’illustre filosofo Edgar Morin (1921) e alle sue ricerche transdisciplinari che viene ampliato il dibattito sull’argomento. Nel 1956 pubblica Il cinema o l’uomo immaginario19 un saggio alquanto innovativo per l’epoca, che venne poi classificato nell’ambito dell’antropologia sociale. Nel saggio Morin sostenne che il cinema (come la fotografia, ecc) è l’immagine di un’immagine percettiva (nel caso del cinema, animata), dunque vivente. Il cinema invita a riflettere sull’immaginario della realtà e la realtà dell’immaginario. Ecco che la realtà immaginaria rivela dei risvolti antropologici: tutto il reale percepito passa attraverso un’immagine. Riprendendo le teorie sartriane dell’immagine come presenza-assenza dell’oggetto ovvero di presenza vissuta e assenza reale, crea un parallelo tra la percezione del mondo nella mentalità arcaica e la mentalità infantile, le quali condividono entrambe la non coscienza dell’assenza dell’oggetto. Ecco allora che lo spettatore si trova a dare un’anima all’oggetto che percepisce sullo schermo: per Morin questa percezione ha da condividere con bambini, nevrotici, primitivi, la credenza al doppio o alla metamorfosi, che direttamente richiama ad una percezione magica. Inoltre Morin ha compiuto alcuni studi analizzando tracciati di EECG di determinate classi di spettatori, gettando le basi per la semiologia medica. Sebbene il rapporto tra cinema e magia non sia stato ancora molto studiato a livello teorico, lo è sicuramente di più il rapporto tra cinema e sogno, fortemente percepita dallo spettatore come affogamento di delusioni o realizzazioni di sogni. Questo ci ricollega al discorso iniziale della psicoanalisi in rapporto con il cinema. La passività motoria dello spettatore, dunque, richiama una regressione infantilizzata, come sotto ad una nevrosi artificiale. Tecniche come l’accelerazione del ritmo o la sua intensificazione lavorano a favore, sempre nell’ambito di questa immobilità, della proiezione-identificazione. I fatti spettatoriali, ossia la realizzazione dell’universo filmico in un atto mentale specifico, analizzati da Etienne Souriau (1892-1979), hanno denotato che ognuno di essi mette in gioco la personalità psichica dello spettatore: la percezione del tempo, ad esempio, è cronometrabile a livello puramente di misura ma è completamente soggettiva a livello intrapersonale. Inoltre Souriau sostenne che i fatti spettatoriali vanno al di là del film proiettato: dalla locandina alle discussioni della dopo visione viene a crearsi un clima di attesa pre e post filmica.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!19 Morin E., Il cinema o l’uomo immaginario, 1956

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A distanza di un decennio, nel 1964, lo scritto di Metz Il cinema: lingua o linguaggio?20 segna l’inizio di un’analisi più profonda del cinema: nasce la semiotica del cinema come studio del linguaggio cinema, scomponendolo nelle sue diverse unità. Grazie a Roland Barthes (1915-1980), l’interesse della semiotica si è spostato dallo studio dei codici a quello dei testi soprattutto nel suo S/Z (1970) in cui viene preso in esame anche il ruolo dello spettatore. Ma, premesso ciò, cosa fa nascere nello spettatore il desiderio di andare al cinema? Chi viene più indotto dal dispositivo cinematografico? Qual’é il rapporto meta-psicologico con il prodotto audiovisivo? Parte di ciò che spinge alla visione cinematografica è una pulsione voyeuristica, lo spettatore è comunque in qualche modo un rifugiato che vuole riparare qualcosa d’irreparabile del suo animo attraverso una regressione passeggera, socialmente regolata e accettata. Ricerca una catarsi nella maggiore conoscenza di mondi possibili. Per comprendere appieno questo meccanismo è utile tornare ad una lettura psicoanalitica. Nel 1923 Freud, attraverso studi sulle componenti dell’inconscio e della coscienza, stipula l’ipotesi dell’Es, dell’Io e del Super-Io. Questi studi portano al discorso sull’identificazione attraverso le sue teorie psicoanalitiche. Il concetto d’identificazione primaria è variato nel tempo da Freud in poi, ma è fondamentale per capire i postulati successivi. Per Freud prima del complesso di Edipo (3-6 anni) il sé e l’altro non sono ancora indipendenti. C’è una forma di legame affettivo con un oggetto e tale identificazione ad esso è inseparabile dalla “fase dello specchio” (6-18 mesi) elaborata da Lacan (1901-1981). La fase dello specchio si presenta come la possibilità di relazione duale tra l’Io e l’altro, l’identificazione di sé stessi come unità singola percependo il simile come altro (primo abbozzo di Io). In questa fase si ha un primo accesso all’immaginario che precede l’accesso al simbolico. Jacques Lacan (1901-1981), psichiatra e filosofo tra i maggiori psicoanalisti del secolo scorso, definisce questa fase come avvento del narcisismo (identificazione) primario. Per Freud è una fase intermedia nella quale il bambino riveste tutta la sua carica erotica (l’attenzione) in se stesso prima di rivolgerla verso altre persone. Una prima analogia con il cinema la si riscontra tra specchio e schermo. Entrambe sono superfici limitate e circoscritte e isolano un oggetto da un altro. Per Barthes l’immagine è ciò da cui si è esclusi, e in effetti ciò che non coincide tra i due elementi è che lo schermo non rimanda l’immagine dello spettatore. La seconda analogia si rileva tra immobilità dello spettatore e l’impotenza motoria (o non competenza) del bambino. Secondo Lacan questa immaturità motoria porta ad un’anticipazione della propria unità corporea e, inversamente, alla maturità nell’organizzazione visuale.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!20 Metz C., Il cinema: lingua o linguaggio? ,1964

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Ritornando alla fase edipica, è in questo periodo che avviene l’identificazione secondaria. In questa fase è sempre ambivalente ciò che si vorrebbe avere e ciò che si vorrebbe essere. Superato il triangolo genitori-figlio, si verificano delle identificazioni secondarie in cui vengono a formarsi l’Io, Super-Io e ideale dell’Io. Attraverso questa identificazione secondaria il soggetto esce dalla crisi edipica prendendo l’eredità di ciò che andrà a formare l’Io, la personalità del soggetto. Ricapitolando, la fase dello specchio apre l’ingresso all’immaginario che formando l’Io da accesso al simbolico. E l’identificazione sta alla base della costituzione immaginaria dell’Io. Lacan ha insistito sulla funzione immaginaria dell’Io, in quanto quest’ultimo non è centro del soggetto ma piuttosto un patchwork di immagini eterogenee raccolte in questa fase. È in questo modo votato da subito all’immaginario e all’illusione. Nel carattere dell’identificazione di un soggetto già costituito c’è spesso però un carattere regressivo che spesso s’instaura in uno stato di mancanza. Lo spettatore è relativamente cosciente che l’esperienza filmica esclude a priori le scelte oggettuali perché l’oggetto rappresentato è assente, è secondo Metz un significante immaginario. Sempre secondo Lacan, questo processo di regressione in un certo qual modo ritualizzato socialmente, è posto in maniera diversa per lo spettatore televisivo, che è molto meno isolato o in solitudine e questo lo porta ad una minor identificazione. L’identificazione è regressione narcisistica quando permette di ripristinare un’assenza o una perdita senza però ricorrere all’oggetto esteriore, favorendo però la solitudine e riducendo la relazione ad altri. Gilles Deleuze (1925-1995), tra i più importanti filosofi del post-strutturalismo francese, suggerì a proposito che questa visione dell’identificazione può anche giustificare uno stato di mancanza o addirittura crearlo o volerlo. Il cinema di finzione per com’è stato costituito è funzionale all’identificazione e porta per la maggior parte dei casi a questa regressione e ritiro dal mondo cosiddetto sociale. Bertold Brecht (1898-1956) sostenne che ogni identificazione è pericolosa in quanto sospende il giudizio critico dello spettatore, ma a questo tipo di visione dell’identificazione si oppongono cineasti come Dziga Vertov (1896-1954) e componenti del cinema veritè come Philippe Garrel (1948-), mentre a beneficiarne è stato il cinema propagandistico utilizzando l’identificazione per costruire finzioni organizzate. Avviene anche un ritorno ad una fase orale nel momento in cui si “ingeriscono” immagini già predigerite. L’identificazione è inoltre, per Freud, anche sublimazione, che avviene nel restaurare l’oggetto sessuale perduto; nella stessa ottica s’inserisce la visione della psicoterapeuta Melanie Klein (1882-1960), pioniera della psicoanalisi infantile, sostenendo che la sublimazione è legata ad una dimensione narcisistica dell’Io che porta il soggetto a riparare o riportare il buon oggetto. Questa visione ritorna fondamentale per lo spettatore il quale seguendo un puzzle d’immagini e suoni ne cerca di ricostituire la forma.

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Partendo dai presupposti della psicoanalisi, vediamo come l’identificazione primaria s’inserisce nel cinema. Innanzitutto l’identificazione cinematografica primaria è l’identificazione dello spettatore al proprio sguardo. Sebbene lo spettatore è assente dalle immagini filmiche che non rinviano mai il suo corpo (a differenza dello specchio) è in questo caso più che presente il suo ruolo di fuoco prospettico della visione. È come se senza di lui il film non fosse possibile. Il tentativo estremo di dimostrare quest’assunto e il film Una donna del lago di Robert Montgomery (1904-1981), girato interamente in soggettiva. Lo spostamento della prospettiva sul soggetto che s’identifica ha alimentato il dibattito e reso dubbia un’identificazione secondaria nel cinema, ma ecco che secondo Georges Bataille (1897-1962), antropologo e filosofo francese, ogni uomo, chi più chi meno, è posto di fronte al destino quando si trova sospeso in romanzi, racconti o filmati rivelatori di verità molteplici della vita. L’identificazione al racconto è in relazione all’analogia che si rileva tra le strutture fondamentali del racconto e la struttura edipica, in qualche modo il racconto torna ad inscenare il conflitto tra il desiderio e la legge (Edipo). Nell’a posteriori filmico, nel ricordo elaborato della proiezione, si ha erroneamente l’idea che l’identificazione avvenga in base alla simpatia nei confronti di un personaggio. Se è vero che ci s’identifica al simile nella finzione come investimento affettivo allora non è plausibile che avvenga per simpatia, tutt’altro: la simpatia è l’effetto non la causa, seguendo i passi di Freud, è tramite l’identificazione che nasce la simpatia. Può esserci anche una forma d’identificazione parziale, la quale si limita a riprendere un solo tratto caratteristico dell’oggetto e che quindi può funzionare a livello collettivo (come i baffi di Hitler per esempio). L’identificazione è permessa più che da un fattore psicologico, da una giusta collocazione strutturale all’interno della diegesi. A differenza delle soap opera nelle quali avviene un’identificazione monolitica abbinata ad una tipologia di stereotipi (il buono, il cattivo, l’eroe), nel film è fluida è variabile. Come ha dimostrato Hitchcock, un racconto filmico ben fatto può portare ad una simpatia per un personaggio per il quale nel mondo reale si proverebbe una vera avversione. La sua capacità è stata nel condurre lo spettatore a simpatizzare per personaggi socialmente sbagliati come ladri e assassini (vedi Marnie, 1964). Ecco che allora la misura dell’immagine è l’elemento più importante che il regista ha per manipolare l’identificazione al personaggio. Il decoupage permette all’interno di una scena molteplici punti di vista che anche ciò di più distante da una scena vissuta nella realtà. Ogni punto di vista segna un cambiamento nel testo di superficie e conferisce ai personaggi una gerarchia. All’interno di quest’insieme gli sguardi diventano vettori privilegiati per l’identificazione, e il raccordo di sguardi, come il caso particolare del campo e controcampo, per l’identificazione secondaria. La posizione di Schefer è invece alquanto interessante. Lui non sostenne la teoria del cinema come mezzo di regressione narcisistica e dunque di ritrovamento interiore, ma piuttosto come la volontà di sperimentare simulazioni più o meno terribili all’interno di uno stato impotente dal punto di vista di mobilità, rende lo

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spettatore stesso un essere simulato. Per lui è il paradosso dello spettatore che andrebbe analizzato. La costruzione di iperdiegesi è uno stile narrativo proprio della fiction contemporanea che prevede un lavoro inferenziale da parte dello spettatore che attraverso la ricerca di informazioni all’esterno della puntata in sé, gli permette di ricostruire pezzo per pezzo il (finto) mondo possibile.

Nuovi modelli per vecchie fiabe

2. NUOVI MODELLI PER VECCHIE FIABE

«Le storie si ripetono sempre e allora si preferiscono affascinanti domande rispetto a non chiare risposte» Lucio Spaziante

Mondi seriali. Percorsi semiotici nella fiction, p. 107

«Sebbene l’arte narrativa differisca dall’arte drammatica per molti aspetti […], egli (Aristotele) era certamente nel vero quando insisteva che, in una forma d’arte temporale, l’elemento dinamico e sequenziale viene al primo

posto» Scholes e Kellogg,

The nature of the narrative, 1968 2.1 CASE STUDIES Come visto nel paragrafo dedicato alla narrazione, già nella mitologia greca sono presenti gli elementi strutturali che compongono, ad esempio, un film d’azione di oggi. La tragedia si può leggere come imitazione di azioni e non di personaggi, sono le azioni poi che includono i caratteri. In tempi più moderni, il formalismo e lo strutturalismo, portando alla luce i meccanismi della narrazione, hanno permesso l’inizio d’intrecci e complicazioni. Inoltre non lasciando nulla al caso, come avviene per un videogioco, è determinando regole che gestiscono un sistema complesso che si può prefiggere il gradimento o meno di una produzione. A differenza del cinema, come già detto, la storia seriale non punta al finale ma al reiterarsi di un buono schema narrativo. Il serial televisivo iniziale, relegato soprattutto alla soap opera di stampo sudamericano, ha permesso per anni alle innumerevoli casalinghe un’evasione dalla propria routine, aggiungendo alle loro giornate delle fughe emotive ed una carica di passione che fino a prima si poteva ritrovare solo in ambito letterario. Ciò che era in grado di fare una narrazione potente, un romanzo d’autore o le migliori saghe radiofoniche, da quasi vent’anni si è trasposto in video, costruendo mondi nuovi, rielaborati, che portano lo spettatore ad una sorta di esperienza continuativa. Com’era per il romanzo di stampo ottocentesco, anche il serial sta basando la sua esperienzialità a favore di una narrazione che si affianca sempre più non a eroi del quotidiano ma ad una situazione verosimile della condizione umana; porta ad una sorta di catarsi che perdura lungo le puntate, ma che viene a mancare quando il serial si conclude. Con la consapevolezza che non si narra niente di nuovo, che tutto è già stato narrato, la nuova narrazione seriale televisiva americana ha cominciato ad incrociare i registri narrativi, ad ibridare i generi, a creare diversi livelli di narrazione, componendo non più una lettura unilaterale del racconto, ma richiamando a sé la partecipazione spettatoriale.

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Esperienza che non viene più solamente relegata alla visione dell’episodio, ma che sempre più crea un parallelo con il mondo reale attraverso processi identificativi e meccanismi con cui il pubblico si appropria di comportamenti, citazioni e valori estetici della serie facendoli rientrare nella quotidianità. La nuova produzione gioca su ciò che viene definito carving: la dipendenza dello spettatore che trova nei sistemi illegali di download e streaming in tempo reale il canale per continuare ad assuefarsi.21 È nel feuilleton che il solitario spettatore è consapevole di una gratificazione che non avrà fine con il concludersi dell’episodio e che questo potrà essere procurato a piacimento e non solo da un pubblico americano. Consapevolezza anche del network che distribuisce una serie, che se punta ad un’acclamazione mondiale, fa riferimento anche ad un repertorio “illegale” della narrazione a puntate. Il serial vince ancora sul romanzo e su determinato cinema blockbuster perché punta sui personaggi e non sull’autorità dell’opera. La costruzione dei personaggio è ciò su cui puntano gli autori, costruire paralleli con ciò che il funzionale e il fattuale hanno in comune. Questo determina la maturità di una scrittura seriale. Vengono spesso associati ad eventi banali e giornalieri, eventi esorbitanti, crimini inimmaginabili, elementi che distinguono ad esempio il serial cult I segreti di Twin Peaks di Lynch (ABC, 1990-1991), che andrò poi ad analizzare. La dinamica di estetizzazione della vita quotidiana e la creazione di mood esperienziali, permettono di far collidere scenari mediatici con il vissuto collettivo. In poche parole, ciò che viene rappresentato e il dove, il messaggio, il medium e l’opera si intersecano sempre più, fino a dare realtà al contenuto espresso costruendo intimità a lungo termine tra maschere televisive e spettatori. Già di per sé la struttura di un serial diventa il messaggio che esso ci manda. La componente affettiva che viene a instaurarsi nel fan di una serie spesso sfocia in esempi di comportamenti fanatici come possono essere lo spoiling o le fan fiction. Lo spoiling, etimologicamente proveniente dall’inglese to spoil, inteso letteralmente come la messa a nudo della trama, è un effetto che vede riunirsi i fan in siti dedicati alla previsione degli orizzonti diegetici del serial. Da un lato può essere letto come un atto di sabotaggio della prefigurata temporalità della storia prevista dal network di diffusione, dall’altro, dato che senza spettatore non c’è spettacolo, come un indice di gradimento del prodotto. Come vale per certa politica, l’importante non che cosa si dice in merito, basta che se ne parli. Più fan si trasformano in “fanatici”, più l’indice di gradimento è alto. Effetto diverso è rappresentato dalle fan fiction, narrazioni grassroots indipendenti, sceneggiature di fan che sognano epiloghi differenti per i personaggi di cui si sono infatuati. Si possono raggruppare in due macro generi quali slash fiction, prevalentemente racconti di relazioni intime tra i personaggi non previste dal serial e spesso con connotati omosessuali, e hurt-confort in cui prevalgono gli stati di malessere

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!21 Santangelo A., Real fiction. Oltre l’opposizione fattuale/funzionale, a cura di M.P. Pozzato, Mondi seriali –

Percorsi semiotici nella fiction , 2008

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mentale e fisico in cui una controparte interviene per prendersene cura il quale epilogo è l’onnipresente rapporto sessuale.22 A completare questo rapporto di “devozione seriale” è la fan art, che crea prodotti ispirandosi ai simboli o ai personaggi di una determinata serie: loghi, sfondi per desktop, magliette e qualsiasi gadget possa diventare tale. Il rapporto del fan con la fiction è a volte talmente “malato” da portarlo a scandagliare il web, e qualsiasi mezzo che gli dia informazioni, sino a che non rimanga niente da scoprire. Dopo un iniziale abbattimento e disperazione per la momentanea presa di coscienza della fine di un mito, la sua attenzione si sposta verso un’altra serie di nuova fattura, richiudendo e riaprendo un ciclo che diventa in questo modo infinito al di là della fiction in sé. 2.1.1 GUIDA CON UNA RAGAZZA MORTA Il caso di Twin Peaks rappresenta, per la semiotica della narrazione seriale, il prodotto che, sul finire degli anni ’80, ha segnato un nuovo modo di concepire la serialità, portando avanti l’aspetto prettamente cinematografico dell’intreccio di generi e della trans medialità. Lynch, come per le sue produzioni filmiche, ha inserito all’interno della sua serie la commistione fra reale e sovrannaturale, creando ancora una volta un’inversione tra paura, fascinazione e sospensione estetica.

Inquadratura/logo di apertura della sigla

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!22 Attimonelli A. – D’Ottavio A., To be continued. I destini del corpo nel serial televisivo, 2011

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La serie si apre con il ritrovamento, vicino ad un fiume, del corpo della giovane Laura Palmer. In seguito all’apertura delle indagini sull’omicidio, arriva nella piccola cittadina di Twin Peaks (che rappresenta un generico paesino americano) l’agente dell’FBI Dale Cooper, incaricato di indagare. Con l’agente Cooper, anche lo spettatore impara a conoscere le persone che abitano Twin Peaks, legate più o meno alla vittima.

Il ritrovamento del corpo di Laura Palmer e l’agente Dale Copper Il mondo di Twin Peaks mostra il bipolarismo di molti atteggiamenti americani. È nelle scene più rassicuranti che Lynch fa apparire i suoi mostri: le cene in famiglia figurano come un retroscena di incubo, sono le persone comuni che secondo Lynch sono l’incarnazione del malvagio. Per molte delle sue produzioni, come anche per Twin Peaks, si ispira a casi che hanno scosso l’America e ne ricrea le ambientazioni. Nel caso di Twin Peaks, costruisce una storia negli anni ’90 facendo leva sulla memoria collettiva, con relativi sentimenti e paure, degli anni ’60: i bikers, lo sceriffo di nome Henry Truman come il presidente, il personaggio di Bob è una chiara citazione di Charles Manson e le varie discussioni su chi ha ucciso JFK che interessano molto sia lo sceriffo che l’agente Cooper. Lynch inasprisce una parte della realtà trasformandola in allegoria. La versatilità delle scenografie che riesce a creare portano un luogo rassicurante ad essere teatro di ansia e angoscia. La componente magica richiama direttamente il cuore del passato dell’America: seppur non avendo mai girato un western “puro”, Lynch inserisce pure un indiano (come in molti suoi film, gli elementi attanziali del western compaiono molto spesso: ne è un esempio Mullholland Drive, dove sono presenti indiani, sceriffo e cowboy).23 Nelle storie di Lynch tutto si ripete più volte, le persone si incontrano e si ripresentano, tutto riaccade e ricomincia e Twin Peaks non è un luogo particolare ma una perfetta rappresentazione di una città qualsiasi come ce ne sono molte in America.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!23 ibidem.

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Twin peaks permette di aprire una riflessione sulle produzioni seriali “d’autore”: molti dei più famosi produttori e creatori di serie televisive basano la loro ricerca stilistica su dei concetti e dei simboli che tendono a riproporre in serie diverse o a citare altre serie all’interno delle loro. In Twin Peaks il simbolo evidente rievocato più volte dal regista nelle sue produzioni sono le tende rosse di velluto: in questo caso figurano come l’oggetto fisico che conduce l’agente Cooper in una realtà parallela, all’interno della quale lui diviene spettatore della personificazione non solo della vittima (Laura Palmer) ma anche di una moltitudine di personaggi alquanto bizzarri, quasi al limite di una rappresentazione di teatro dell’assurdo. Le tende annunciano un distacco della realtà ma anche individuano il luogo deputato dello svolgimento della tragedia vera e propria. Richiamano l’interpretazione del 1969 di Ervin Goffman, sociologo e scrittore, che il mondo è un palcoscenico di complicati canovacci.

La stanza con le tende rosse che in Twin Peaks rappresenta lo svolgimento della tragedia

Per la sua forte componente postmoderna, è difficile incasellare Twin Peaks in un genere ben stabilito, che rende quindi anche difficile stabilire un unico tema. Christy Desmet dell’Università della Georgia, sostiene che c’è la canonizzazione della figura di Laura Palmer come una sorta di santa post-freudiana, ha distolto l’attenzione dalla problematica sollevata dalla fiction sul rapporto incestuoso padre-figlia. Alice Kuzniar, docente dell’università del North Carolina all’epoca dell’uscita della serie, sollevò una discussione sul caso del doppio all’interno della serie, dal punto di vista fisico e metafisico.24 Come sostenuto da Lucio Spaziante, è da preferirsi un intrigante domanda piuttosto che una non chiara risposta.25 Questa serie ha fatto storia anche su questo presupposto. Le storie di omicidio hanno la stessa tragica routine: qualcuno muore, qualcuno uccide. Ma è stata la domanda, lanciata dalla prima stagione, che ha catturato l’America dei primi anni ’90:“Chi ha ucciso Laura Palmer?”. Per riprendere l’immaginario dell’oggetto di culto delineato da Umberto Eco, Twin Peaks ne ha tutte le credenziali.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!24 Lavery D., Full of Secrets: Critical Approaches to Twin Peaks, 1995, pag. 15-16. 25 Spaziante L., Tv sui generis – strategie di presa di distanza e generi in Twin Peaks, a cura di M.P.Pozzato, Mondi seriali. Percorsi semiotici nella fiction. 2008!

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Eco osserva che l’autentico lavoro di culto, deve sembrare come “vivere il testo”, come se non ci fossero autori, come concetto postmoderno di simpatizzare per il personaggio e vivere il suo ambiente. Malgrado la forte componente autoriale di Twin Peaks, Lynch diresse solo cinque dei trenta episodi e ne coscrisse con Mark Frost solo quattro; si possono comunque ricondurre delle componenti stilistiche, proprie di Lynch, che perdurano all’interno delle stagioni: lente dissolvenze, luci ad occhio di bue, eccessivi primi piani,figure che emergono dall’oscurità, colonna sonora intrisa di rumori più che di musica, facce deformate, personaggi al limite tra l’autorevole e il ridicolo e confusione cronologica. Tutti questi elementi vanno a comporre sicuramente un’inventiva visuale distintiva e riconoscibile. Inoltre Twin Peaks chiede frequentemente allo spettatore di “desaturarsi” da una logica di ordinaria seduzione televisiva: per esempio nell’episodio 11, Leland Palmer, il padre di Laura, viene arrestato dalla Sceriffo Truman dopo essere stato accusato dell’omicidio della figlia. L’opening dell’episodio 12 è rappresentato da cinquantasette secondi di introspezione dello stato mentale di Leland Palmer, che si scoprirà poi essere stato posseduto dallo spirito Bob, colui che veramente ha voluto uccidere Laura.

Leland Palmer e Bob L’immagine e il suono non sono chiari, sembra di essere in un tunnel; mentre lentamente la camera avanza, lo spettatore si accorge che c’è un’apertura, più precisamente sul soffitto dell’ufficio dello sceriffo. Quando l’audio si fa più limpido si riconosce la voce di quest’ultimo leggere i diritti a Leland che in quel momento pare destarsi da uno stato di catatonia. Un altro punto dello studio dell’oggetto da parte di Eco è la costruzione completa del mondo possibile, che possa dunque fornire gli elementi per un’esperienzialità spettatoriale. Un mondo che possa fornire gli elementi distintivi di ogni personaggio permettendo allo spettatore di poter adoperare nel mondo reale comportamenti, mode, oggetti propri della serie. Anche da questo punto di vista Twin Peaks ha saputo creare un seguito: nei due anni dopo la sua cancellazione si possono contare numerose fanzine pubblicate negli Stati Uniti e all’estero. Nonché l’uscita del Diario segreto di Laura Palmer (scritto dalla figlia di Lynch, Jennifer), che non pretende di sapere più di quello che dalla soggettiva di Laura se ne può sapere, al Welcome to TWIN PEAKS: Access

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Guide to the Town, guida completa della città, arricchita con mappe, luoghi da vedere, posti dove dormire. Inoltre sono da ricordare le numerose pubblicazioni dedicate alla serie con all’interno schemi narrativi, biografie dei personaggi, gossip e quant’altro. Rilevante è The Autobiography of F.B.I. Special Agent Dale Cooper: My Life, My Tapes, in cui si può avere una completa autobiografia dell’agente Cooper a parte dal 1967, con anche le trascrizioni delle numerose registrazioni del registratore dell’agente. È come un richiamo a quelli che non possono fare a meno di un determinato mondo possibile, in questo caso TP, che oltre a spendere il loro tempo per scavare a fondo nella storia in ogni modo possibile, diventano effettivamente i soggetti in sé. Ultimo punto che rende tale l’oggetto di culto, è la sua frammentazione, l’essere inscritto in un intero complesso. Più l’ambiente costruito è frammentato, più il fruitore sarà portato ad indagare le diverse diramazioni della narrazione, anche se queste portano a vicoli ciechi. Diventa per il fan come una gara nell’arrivare a conoscere quanto più possibile del mondo di cui si è seguace. Il saggio Post modernism and television: Speaking of Twin Peaks, inserito all’interno della raccolta di saggi Full of Secret composta da David Lavery26, è stato un lavoro di collaborazione tra otto tra critici e scrittori, i quali lo hanno analizzato da diversi punti di vista. Tre componenti del gruppo di analisi persero interesse nel serial prima della messa in onda dell’episodio finale, uno di loro abbandonò appena si scoprì chi uccise Laura Palmer (anche se questo non determinava la fine del serial), gli altri quattro completarono la serie con diversi livelli di attenzione. Il critico americano Howard A. Rodman, definì Twin Peaks come «lo show che cambierà per sempre la televisione»27; con quattordici nomination agli Emmy del 1990, Twin Peaks venne nominato il miglior show dell’anno da parte della Television Critics Association. La settimana prima del ritorno di Twin Peaks dopo le prime otto puntate, l’ABC mandò in onda un video promo con il quale non solo si informava del ritorno della serie il giovedì sera invece del sabato, ma attraverso quella strategia definita “deride and conquer” (deridere e conquistare, assonanza con il guerrigliero divide and conquer, dividere e conquistare), mise in scena uno spot riprendendo il finale de Il mago di Oz. Si vede L’agente Cooper nel suo letto all’hotel Great Northern circondato da quattro personaggi della serie. Cooper si è appena svegliato pare da un incubo e comunica ai suoi visitatori che nel sogno era in un brutto posto, pieno di gente a lui familiare (in questo caso interpreta la parte di Dorothy), chiamato “Sabato sera”. La crew guarda in camera partecipe e uno di loro conferma che l’esperienza di Cooper è stata davvero un brutto sogno.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!26 Post modernism and television: Speaking of Twin Peaks saggio contenuto all’interno del testo curato da Lavery D., Full of Secrets: Critical Approaches to Twin Peaks, 1995, p. 173 27 Rodman H., The Series That Will Change TV Forever, Connoisseur Magazine,1989

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L’intervento del network “Supernarratore” interrompe lo spot con l’immagine-marchio della serie, il cartello posto sulla strada prima dell’ingresso in città: “Benvenuti a Twin Peaks, 51.201 abitanti”. Nel close-up Cooper, parlando alla sua Diane al registratore, comunica le buone notizie: ricorda la serate di messa in onda, l’orario e conclude con “non c’è nessun posto come casa”. Si suppone che lo spettatore si rallegri del fatto che lo show sia tornato e che sia tornato nella serata che lo vedeva protagonista. Questo tipo di spot non prevedeva di incuriosire nuovi spettatori, ma di riportare l’attenzione di chi si era allontanato dalla serie. Non fu così. Gli ascolti continuarono a calare e la serie venne chiusa in due mesi. Sebbene l’anno dopo, 1992, uscì il film-prequel Fire walk with me (1992), in cui venivano messi in scena gli ultimi sette giorni di Laura Palmer, la serie comunque non riprese mai. Twin Peaks non fu il primo show a raggiungere a pieno titolo lo status di cult, ma nessuna serie, fino ad allora, lo era diventata in così poco tempo. Come visto nel primo capitolo, la partecipazione dello spettatore dipende soprattutto dalla componente di riconoscimento e poi simpatia, nutrita nei confronti dei personaggi. Per essere dunque uno show di successo non solo deve creare la “simpatia”, ma deve anche appartenere ad una serata dedicata, in cui lo spettatore si aspetta di vedere quello in tv. Almeno così era fino ad alcuni anni fa, quando il giovedì sera negli stati uniti voleva dire The Cosby Show (1984-1992). 2.1.2 KENNEDY VS. NIXON Mad Men (AMC, 2007-) è ambientato negli anni ’60 all’interno di un’agenzia pubblicitaria di New York, usa come sfondo i legami tra le diverse tipologie di personaggi maschili e femminili per fare una sorta di parallelo e analisi tra la società di cinquant’anni fa e quella di oggi.

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Lo spettatore presterà un’attenzione negativa nei confronti di una donna incinta che fuma e consuma alcolici, sa già che Kennedy non vincerà le elezioni contro Nixon, ma potrà trovare negli sviluppi relazionali dell’agenzia pubblicitaria un universo di valori in fase di trasformazione. È uno sviluppo comprensivo di come ipoteticamente si è arrivati alla società attuale ripercorrendone e attorializzando piccole importanti tappe storiche. Tutto ciò è permesso solo da un continuo switch di memorie endofore ed esofore a cavallo tra passato e presente. La memoria endofora guarda all’interno del testo e permette di tenere le fila della narrazione, di farla confluire senza buchi di senso, mentre la memoria esofora permette allo spettatore di connette ciò che viene narrato con il mondo al di fuori di esso, di collegare i richiami narrativi con la personale conoscenza enciclopedica.28 Questi differenti modelli di memorizzazione collidono maggiormente nella serialità dal momento in cui spesso la memoria endofora viene esoforizzata perché il micro testo dell’episodio deve essere inserito nel macrotesto della stagione o delle stagioni.29

Mad Men è molto più vicino alla fantascienza che ad altro perché «ricrea un mondo non presente per parlare del presente».30 La narrazione seriale crea testi che modellano un’esperienzialità, in cui lo spettatore viene condotto a sentire forme di emozioni, che spesso in questo caso portano alla nostalgia, ricostruisce un mondo a cui ci sentiamo vicini ma che sappiamo lontano. In quanto serial con sfondo la logica pubblicitaria, la narrazione non fa altro che riportare a galla nomi di brand emersi in quel determinato periodo storico, o che hanno vissuto solo fino a quel periodo, richiamando l’attenzione dello spettatore nella ricerca di incongruenze o affinità. Con un movimento top-down, ha ispirato stilisti per formare delle collezioni che richiamassero gli stili d’abbigliamento della serie. In una logica inversa, ovvero bottom-up, degli sconosciuti della rete hanno costruito blog incentrando le loro discussioni su come ricostruire feste simili a quelle viste nella serie. Nel sito retronaut.co31, si può prendere spunto su come ricreare intorno a se il mood del’epoca storica amata, a partire dall’abbigliamento fino alla casa. In questo caso gli amanti di altre epoche vengono definiti retronauti. Anche per quanto riguarda Mad men, potremmo dire che gli appassionati di questa serie sono dei retronauti esperienziali. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!28 Attimonelli C. – D’Ottavio A., To be continued. I destini del corpo nel serial televisivo, 2011 29 ibidem. 30 Guarnaccia F., Cose.il potere degli oggetti in Mad Man. http://www.minimaetmoralia.it/?p=1714, Febbraio 2010 31 http://www.retronaut.co/

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2.1.3 PROGETTO GIUSTIZIA Se a questo punto si prende in analisi la struttura narrativa di una serie sulla base di uno schema temporale o spaziale, le serie recenti che si dovrebbe prendere in considerazione sono 24 e Prison Break. 24 (FOX, 2001-2010) è un esempio di come la struttura sia venuta prima della storia in sé. Ogni minuto nella fiction è un minuto effettivo della storia. Solitamente le puntate di una fiction oscillano tra i 42 e i 50 minuti, nelle pause pubblicitarie però il conto alla rovescia non si ferma. Lo spettatore è temporaneamente escluso dagli eventi della serie che continua (a livello teorico) anche quando non è vista.

pannello di chiusura della sigla e orologio che scandisce l’avanzamento dell’episodio Il plot della stagione vede come protagonista l’agente del CTU (unità anti-terrorismo) Jack Bauer alle prese con una minaccia terroristica che si sviluppa e conclude nell’arco di una stagione. Il claim iniziale delle varie stagioni era appunto: «Sono l’agente federale Jack Bauer. Oggi sarà il giorno più lungo della mia vita». Il soggetto iniziale anziché incentrato sulla giornata tipo di un poliziotto dell’unità antiterrorismo, era basato sul conto alla rovescia in vista del matrimonio del protagonista. Al di là che il soggetto definitivo per caratteristiche di genere si addica di più ad una scansione temporale, ciò che affascina è la struttura che ripercorre 24 ore in 24 episodi della vita di un agente e la sua corsa contro il tempo. L’elemento vincente per questa serie è dunque la scansione chiusa, la struttura reiterata del tempo, scandita da un’unità grafica, un orologio che segna il tempo del racconto, che scandisce ogni episodio (e implicitamente quanto manca alla fine di esso). L’intervista a Kiefer Southerland (l’agente Jack Bauer), incentrata sul terrorismo, aumenta l’effetto valoriale che si vuole attribuire alla serie.

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Prison Break (FOX, 2005-2009), dall’altro lato, gioca su un’unità di spazio. È la storia di Lincoln Burrows, incarcerato e condannato a morte per l’omicidio del fratello del vice-presidente. Suo fratello, brillante ingegnere, è convinto della sua innocenza e, fingendo una rapina, riesce a farsi incarcerare nello stesso penitenziario con l’obiettivo di evadere con lui. Molto simile alla struttura di un videogioco in cui viene dato uno spazio stabilito chiuso e complesso, dove tutto si svolge, i personaggi di questa serie sono portati a superari dei livelli all’interno di uno spazio chiuso, in questo caso una prigione. La prigione della prima serie è il terreno di gioco scandito da regole che determinano l’avanzamento, la retrocessione e le penalità date al protagonista nella sua lotta per far evadere il Il fratello condannato ingiustamente alla pena capitale. Lo scopo è la fuga, il luogo è la prigione, tutti gli altri argomenti più o meno violenti non sono il soggetto in sé o un appunto riflessivo, ma soltanto un ostacolo allo scopo. A differenza di 24, non c’è un nemico fisico, almeno non nella prima stagione: il nemico è lo schema del gioco narrativo.

Wall paper della serie e il carcere - luogo di svolgimento dell’intera prima stagione

2.1.4 NAMASTE Lost (abc, 2004-2010) ha segnato per la narrazione seriale un’altra frattura al pari di Twin Peaks. È forse l’esempio più calzante di narrazione iperdiegetica, che riprende più di qualsiasi altro l’esperienza cinematografica di Matrix. L’affascinante di Lost (come lo è stato per Matrix), è la moltitudine di universi narrativi all’interno dei quali ritrovare elementi rilevanti che stanno però al di fuori dalla porzioni discorsiva, ma che ad ogni modo la compenetrano: è stata una serie pregna di iniziative parallele che sono andate a compenetrare la narrazione stessa.

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La storia narra della caduta dell’aereo Oceanic 815 su un’isola deserta. Mentre i quarantotto superstiti attendono i soccorsi, si rendono conto che l’aereo non ha seguito la rotta prevista e che quindi sono fuori dall’area di ricerca. Si accorgeranno ben presto che nell’isola accadono degli strani avvenimenti e che forse non è disabitata come pensavano. Il produttore esecutivo della serie Carlton Cuse sostenne che fissare la data per il gran finale sarebbe stato l'ideale per il team per sviluppare al meglio la storia con tutti i misteri e gli enigmi irrisolti. La struttura che delinea il serial è composta da previously on + preambolo + logo + titoli. Ogni episodio inizia con un prologo di pochi minuti, fino a raggiungere un punto di forte drammaticità. Succesivamente compare la scritta LOST, in bianco su sfondo nero, che ruota avvicinandosi sempre più allo spettatore con l'accompagnamento di un suono indistinto. Quindi la narrazione riprende, ed è a questo punto che cominciano ad apparire i titoli di testa. Il finale è generalmente costituito da un cliffhanger.

Cartello/sigla che compare dopo il prologo La sigla già di per sè non segue il ruolo di presentazione accattivamente che decodifica i vari personaggi, ma è uno dei primi elementi a creare uno stato di angoscia e mistero. Per quanto riguarda invece la struttura interna dell'episodio, nella maggior parte dei casi vengono narrate due storie distinte: una principale, che narra gli eventi sull'isola e che continua di puntata in puntata, ed una storia secondaria, focalizzata su eventi relativi ad un solo personaggio e dal punto di vista di quest'ultimo, presentata tramite flash alternati alla storia principale e a questa più o meno collegati. Il passaggio dalle vicende sull'isola ai flash (e viceversa) viene segnalato da un suono determinato, di intensità crescente. Fino al finale della terza stagione, questi flash erano costituiti esclusivamente da flashback: venivano cioè raccontati eventi passati relativi ai personaggi. In seguito, hanno cominciato ad essere usati

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anche dei flashforward, che presentano le condizioni di alcuni dei personaggi in un tempo successivo alla storia principale. Nella quinta stagione la narrazione prevede un'alternanza fra storie ambientate sull'isola e sulla terraferma, in diversi momenti della storia, un meccanismo che i produttori della serie hanno chiamato flashpresent; nella seconda metà della stagione, il formato è tornato quello originale. Nella sesta ed ultima stagione, viene usato un nuovo espediente narrativo, definito flash sideways, consistente nel mostrare due realtà fra loro parallele, che ad un certo punto della stagione si fonderanno, fino ad arrivare ad un punto in cui non ci saranno più flash di alcun tipo. Ogni episodio focalizzato a narrare la visione e le storie passate/future di un personaggio. Gli espedienti narrativi dei flash forward e dei flash back permettono quindi di costruire un universo complesso di realtà multiple. Per quanto riguarda i nomi dei personaggi, vengono ripresi i nomi di illustri filosofi e pensatori che non a caso i personaggi creati, oltre a portarne il nome, ne emulano, chi più chi meno, le personalità. È solo all’interno della prima stagione che i ruoli dei personaggi sono dei chiari stereotipi, forse anche per permettere una maggiore fidelizzazione. Dalla seconda stagione fino alla fine, i personaggi si evolvono, passano da cattivi a buoni, non rispettano le regole della prevedibilità. Sono personaggi postmoderni, frammentati, costretti a plasmare la loro persona in base alla situazione. Sono una perfetta personificazione dell’uomo fluido di Zygmunt Bauman. L’isola, dal suo canto, diventa una sorta di personaggio-insieme, nel quale interno si possono trovare i vari personaggi che fungono da link per gli agganci esterni più disparati.

Wall paper con tutti i personaggi della prima serie, isola compresa

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Di per sé se si dovesse riassumere di cosa veramente parla Lost, parla semplicemente dell’eterno scontro tra bene e male. In più di qualche puntata i colori fissi presenti sono il bianco e nero. Quando nella sesta stagione si diventa consapevoli che tutto ciò che si è visto fino ad allora era una sorta di partita di destini tra due biblici fratelli, rispettivamente buono e cattivo (bianco e nero appunto), è possibile ricollegare determinati indizi disseminati nella serie: già nel primo episodio il personaggio di Locke spiega le regole del backgammon, gioco di pedine bianche e nere, che si riproporrà spesso nell’arco della serie.

Immagine dal primo episodio e una dall’ultima stagione in cui viene palesato il conflitto tra bianco e nero, bene e male

L’irreale mostrato nella serie diventa appunto sociologico di riflessione, è una narrazione che solleva domande esistenziali più che fornire risposte rassicuranti. Grande sfida della serie può essere rappresentata allora dal tentativo di voler rappresentare un compendio universale di dicotomie: buono/cattivo, bene/male, ragione/scienza, caso/destino. Unico vero problema della serie è stato porre un finale troppo semplice in uno sviluppo troppo complesso. Lo stesso creatore JJ Abrams ha definito la serie come la ricerca di creare una mitologia pop. Unica costante narrativa è rappresentata dai vari intrecci amorosi, che vanno verso la fine a tenere collegate mitologia e fantascienza, permettendo di appassionare un ampio range di spettatori. Le lotte interne tra dicotomie sono la rappresentazione dell’agon descritto da Caillois (cap.1, pag. 9). Anche l’alea, la casualità, entra spesso in campo: ne è un esempio il “gioco” della seconda serie, in cui i personaggi sono alle prese con la necessità di premere un pulsante per salvare il mondo, ch spesso li fa vacillare tra scienza e fede. Ma è la mimicry la più costante concezione di gioco all’interno di Lost, ovvero il camuffamento, il mascheramento. Ciò che l’ha resa unica nel suo genere è stata l’iniziale consapevolezza da parte degli autori della costruzione di un enorme film a puntante: tutte le sei stagioni erano state previste prima del lancio della prima.

Tra finzione e percezione spettatoriale: la narrazione classica

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Questo ha fatto in modo, calcolando le porzioni di storia di cui lo spettatore poteva venire a conoscenza, di distribuire all’interno delle puntate indizi e connessione che potevano rimandare ad altri supporti. Se ci si rifà alla griglia presentata nel paragrafo 2, risulta difficile assegnare un genere univoco alla serie e non è richiudibile in un area tematica. Smarrimento e dispersione fanno da protagonisti in Lost. L’incerto è il vero punto sicuro. Può essere letta come una storia d’avventura se si fa riferimento al rapporto uomo-habitat ostile, una soap opera se si guardano gli intrecci amorosi, oppure una storia di fantascienza se ci si domanda cosa rappresentino gli sbalzi temporali. È lo smarrimento riportato anche dai protagonisti del serial, che tentano costantemente di comprendere cosa sta avvenendo intorno a loro, che lega l’identificazione con lo spettatore: chi guarda si sente parte di un meccanismo confuso che condivide con la rappresentazione. Diventa così esempio di serialità postmoderna laddove avviene una frantumazione, un’incertezza del percorso narrativo; spesso dei percorsi narrativi rimangono insoluti e “dimenticati”. Non a caso una delle dualità ricorrenti risiede tra scienza e fede, condizione madre del postmodernismo: a partire da Freud che ha svelato i lati irrazionali dell’uomo mettendo in discussione la sovranità della ragione, passando per Nietszsche che elimina i dogmi religioni a favore di un uomo oltre Dio, un super-uomo, si arriva ad un periodo di certezza nel dubbio, nella messa in discussione di qualsiasi sistema. Se si legge il postmoderno come crisi delle grandi narrazioni, Lost è la narrazione di questa crisi32 . L’unica costante che si può ritrovare è la struttura nel modo di enunciazione dell’episodio in sé, quello che però viene affrontato al suo interno è un invito a prendere parte al caos esperienziale dei personaggi, di contribuire alla comprensione del continuo dubbio, in un lavoro mentale che conduce lo spettatore ad una sorta di emancipazione e ritrovamento dello spirito critico. Un tentativo ben riuscito di rendere partecipe lo spettatore. È proprio la propensione al dubbio, alla costruzione di misteri, al disseminare domande e non fornire risposte che ha portato lo spettatore ad evadere dai 42 minuti di trasmissione per addentrarsi nella rete in cerca di risposte. È una volontaria fuoriuscita dallo schermo che ha permesso di risvegliare uno spettatore abituato alla reiterazione. Si instaura un continuum che rende il testo di Lost un ipertesto. Diventa una navigazione non più metaforica e relegata al serial. Si logora ancora di più il limite tra realtà e finzione, portando queste due a collidere; parte di realtà entra nella serie e parte di finzione nella vita di tutti i giorni.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!32 Grossi G., Lost moderno – lettura di una serie televisiva, 2010, p. 8

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Come notato da Erika d’Amico33, il fruitore di Lost è una nuova forma di Ulisse, che al contrario dell’omerico, non è interessato ad arrivare ad una meta ben precisa, è il percorso che diventa interessante. La storia di lost si è frantumata tra le più disparate interfacce, ed è all’interno di questo meccanismo frantumato, che sono stati sviluppati, tra una serie ed un’altra, tre diversi Alternate Reality Games (ARG), soprattutto per sopperire all’alta richiesta di spoiler. Destinati a rivelare indizi sulle stagioni seguenti e a fornire un'espansione dell'universo di Lost, al di fuori della storia rivelata negli episodi i tre ARG furono i seguenti: The Lost Experience, Find 815 e del Dharma Initiative Recruiting Project. The Lost Experience Il primo ARG, The Lost Experience, si è sviluppato nell'intervallo tra la seconda e terza stagione (da maggio a settembre 2006). Svariati indizi sno stati distribuiti all’interno del sito della Hanso Foundation, compagnia che all’interno della serie finanzia le ricerche del progetto DHARMA, fantomatico gruppo di ricerca scientifica che sull’isola si occupa di studiare fenomeni come elettromagnetismo, prolungamento della vita e molte altre attività. All’interno di altri siti collegati all’ARG, cominciarono a spuntare dei quesiti su quali fossero le reali intenzioni dell’organizzazione. Gli indizi da decifrare per tentare di rispondere a questa domanda comprendevano password da trovare, frammenti di codice HTML, immagini. Numerosi furon i blog all’interno dei quali discutere degli indizi e reperire informazioni per proseguire il gioco. Allo stesso momento dell’uscita del gioco, è stato pubblicato il libro collegato a quest’ultimo Bad Twin, scritto dall’ipotetico passeggero del volo Gary Troup, che a detta degli autori fu colui che venne risucchiato dalla turbina nel primo episodio. Per quanto riguarda la canonicità di The Lost Experience, gli autori hanno precisato che ad essere canoniche sono solo le informazioni sulla Hanso Foundation e sull'equazione di Valenzetti.

Find 815

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!33 ibidem., p. IX

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Il secondo ARG, Find 815, iniziò il 28 dicembre 2007 a cavallo tra la terza e la quarta stagione. si concluse infatti il 31 gennaio 2008, due ore prima dell'inizio della quarta stagione. Di stampo molto simile al precedente, mostra però una minore complessità: nel sito della compagnia aerea Oceanic compare un video di denuncia di un dipendente della stesa che accusa la compagnia di non aver compuito in modo adeguato le operazioni di ricerca del volo 815. Si scoprirà poi che il dipendente, Sam Thomas, era il compagno di una delle hostess del volo. Dopo essere stato licenziato, riceve una mail da una compagnia misteriosa, la Maxwell Group, che attraverso una serie di indizi, lo porta ad imbarcarsi per una missione di ricerca. Gli indizi sono, come il precedente, rivelati tramite password da scoprire e vari altri giochi, che porteranno ad ampliare l’universo della quarta serie. Il gioco si concluse con il ritrovamento dell’aereo al largo di Bali. Per quanto riguarda la canonicità di Find 815, gli autori hanno precisato che ad essere canonici sono soltanto la missione di ricerca della Christiane I e il successivo ritrovamento dell'aereo. !Dharma Initiative Recruiting Project Il terzo ARG, svilluppato fra la quarta e la quinta stagione della serie, è il Dharma Initiative Recruiting Project ("Progetto di reclutamento del Progetto Dharma"), precedentemente conosciuto come Octagon Global Recruiting. Il lancio della terza e ultima versione di questa serie di ARG, avvenne durante uno stacco pubblicitario durante la fine della quarta stagione. Lo spot figurava la compagnia Octagon mentre invitava chiunque fosse interessato a far parte del progetto DHARMA, di mandare una mail e presentarsi al comic-con di San Diego in specifiche date dell’edizione del 2008. In seguito i partecipanti sono stati invitati ad iscirversi al sito del gioco; successivamente, i partecipanti hanno compiuto dei test

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matematici, competenze spaziali, cultura generale, onestà ed integrità, in vista di una possible assunzione. Il gioco si è chiuso il 18 novembre 2008, quando il responsabile del progetto, Hans van Eeghen, ha riferito che, a causa della recente crisi economica, i finanziatori del progetto si erano ritirati in massa ed il marchio era stato venduto ai produttori di Lost, da cui i partecipanti al progetto dovranno aspettare ulteriori istruzioni. Nel frattempo risultava possible scaricare dal sito il dossier con la propria valutazione e la mansione assegnata. Il gioco è stato sostituito da DharmaSpecialAccess.com, un sito Internet in cui i partecipanti al progetto potevano visualizzare in anteprima contenuti speciali riguardanti la serie, comprese alcune anteprime degli episodi della quinta stagione. Nel primo video, presentato da Damon Lindelof e Carlton Cuse, i due produttori rivelano le vere motivazioni della sospensione dell'ARG, vale a dire un netto calo di interesse da parte dei partecipanti. 2.1.5 UNA QUESTIONE DI PRINCIPIO Anche se l’analisi finora condotta ha preso in esame esclusivamente un mercato americano, è comunque rilevante analizzare uno dei rari esempio di fiction italiana di qualità: Boris. Boris (FOX, 2007-2010) è una serie italiana in tre stagioni che racconta le giornate di lavoro di una troupe televisiva impegnata a girare una soap opera: “Gli occhi del cuore 2”. Con la scusa di raccontare il backstage, riprese della finta fiction, rappresenta in realtà una parodia delle peggiori fiction italiane. Le fasi produttive vengono palesate, le componenti si auto analizzano. Sebbene i riferimenti trans testuali, si può incasellare questa serie nel genere sit-com: solitamente di trenta minuti di durata, location fisse (es: ufficio, salotto, cucina), personaggi fissi e alternanza di due-tre linee narrative.34 Le situazioni comiche in Boris spostano l’attenzione dello spettatore dallo sviluppo della storia in sé alla struttura della narrazione: prevalentemente in Boris non succede nulla, vediamo degli operai del settore ma mai il risultato, è il ritmo, la battuta, i richiami trans testuali che la rendono interessante. A differenza della sit-com americane, ambientate classicamente in salotti, qui tutto ruota attorno allo studio di posa. Il set della finta fiction richiama la moda del backstage della real tv, rendendo quindi più verosimile, dal punto di vista dello spettatore, la sit-com. Nella sua struttura a spirale, propria della sit-com, in cui si reitera un ciclo narrativo e avvengono poche evoluzioni dei personaggi, si riscontrano una linea narrativa orizzontale (dettata dalle diverse serie della finta fiction) e una verticale (la struttura dell’episodio in sé, una giornata di registrazione nello studio di posa). Non ci sono grosse evoluzioni però dei personaggi che, salvo alcune situazioni momentanee, mantengono il loro ruolo attanziale. I personaggi sono fortemente stereotipati, sono delle macchiette volute, questo per permettere di avere un

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!34 Grignaffini G., Generi televisivi, Carrocci Editore, 2008

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parallelo sociale e culturale: il regista mitomane che pensa di essere bravo in realtà ha girato solo cose scadenti, gli attori che credono di essere divi e fanno i difficili, lo stagista sfruttato. L’istanza narratrice, che filtra il punto di vista dello spettatore, ruota attorno al personaggio dello stagista: viene materializzato il suo ruolo nell’episodio in cui fa da voice over (“Quando un uomo sente la fine”, stagione 1, episodio 7). Numerose sono le citazioni all’interno della serie, la frase “chi ha sparato al conte?” sembra fare il verso a quelle domande chiave che hanno catturato gli spettatori degli anni ’80 e ’90: chi ha sparato a JR? domanda chiave di Dallas e “chi ha ucciso Laura Palmer?” del già analizzato Twin Peaks.35 Diventa quindi una specie di cliffhanger che crea anche negli spettatori di Boris (e non de “Gli occhi del cuore”) un’attesa e curiosità di saperne la risposta. Ma è la trans testualità che diviene la cifra stilistica della serie: all’interno della struttura a spirale c’è una ricorrenza a richiami di altre opere, diventando una sorta di «mitopoiesi contemporanea»36 Nell’episodio Nella rete, ad esempio, viene citato il film Mulholland Drive di David Lynch: il personaggio di Renè Ferretti riceve dal produttore una scatola blu. Dopo averla aperta decide di abbandonare le riprese della serie “di qualità” che stava girando (“Medical Division”), per tornare alla serie gli occhi del cuore. Similmente in come avviene nel film di Lynch, in cui le protagoniste, dopo aver aperto la scatola blu, vengono trasportante in una linea narrativa nuova nella quale hanno ruoli e relazioni differenti, nella serie con il cambiamento di set avviene un mescolamento di personaggi e di linee narrative. Il continuo citazionismo e la ripetitività di un ritmo narrativo nell’epoca dove non ci si prefigge di inventare una storia nuova, crea una relazione nuova tra copia e originale in cui la copia, sebbene tale, spesso diventa cifra stilistica di una determinata scelta narrativa. Oltre a rappresentare una critica alla fiction italiana e una parodia di che cosa porta a realizzare il gradimento del pubblico, è parodia di come la politica sconfini all’interno della produzione televisiva: ognuno dei personaggi è lì grazie ad una raccomandazione. Nel doppio episodio “Il sordomuto, il senatore e gli equilibri del Paese” (stagione 2, episodi 13-14), la scelta da parte della produzione di chi ha sparato al conte nella finta fiction è possibile dopo gli esiti degli exit poll del nuovo assetto politico del paese. Dato il risultato di pareggio tra gli esponenti dei due principali partiti, decidono di affidare la colpa dell’attentato alla figura del magistrato, sottolineando la magistratura come nemica politica di tutti.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!35 Attimonelli C. – D’Ottavio A., To be continued. I destini del corpo nel serial televisivo, 2011, p.47 36 ibidem., p.50

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2.2 NETWORK Gli autori del saggio sopra citato Post modernism and television: Speaking of Twin Peaks, non solo si muovono all’interno di un’analisi su Twin Peaks ma anche, in linea con il loro studio sul postmodernismo in rapporto con la televisione, distinguono postmodernismo come stile artistico/intellettuale da postmodernità, parametro di strutture socio-economiche internazionali. Lungi da una ridefinizione del termine Lyotardiano di postmodernità,37, il loro punto di partenza per lo studio è rappresentato dal cambiamento estremo che la società americana ha visto sin dagli anni ’50, quando la televisione ha “sfollato” i film e preso il posto come mezzo di narrazione centrale della cultura americana. Negli anni ’70, per molte persone oltreoceano, guardare la televisione voleva dire essere incasellato in una delle tre programmazioni più famose d’America: ABC, CBS, NBC.

Con l’avvento, negli anni ’80, dei sistemi di registrazione, l’oligarchia dei tre network che dominarono per tre decenni le trasmissioni broadcast, fu minata. Cambiò di fatto la concezione di cosa fosse guardare la televisione. La possibilità di avere una copia del programma che non si è potuto, o in termini di tempo voluto, vedere ha sconvolto la programmazione del palinsesto delle tre emittenti, costringendole a rivedere l’organizzazione delle trasmissioni. La percezione delle programmazioni venne ulteriormente modificata con le tv via cavo e internet, che fornirono una disponibilità quasi on demand dei programmi. Questa problematica degli anni ’90, a cui dovettero far fronte i canali di distribuzione, può essere paragonata alla situazione del cinema hollywoodiano nell’attesa dell’arrivo delle emittenti tv. Negli anni ’80, a partire da questa crisi di ascolti, i networks americani decisero di cambiare filosofia programmatica, preferendo un target familiare o rivolto ad una fascia d’età di giovani durante il giorno per poi spostare l’attenzione verso una fascia più matura nelle ore serali. Gli esempi, che hanno avuto più successo, di questa suddivisione programmatica, sono stati il The Cosby Show, NBC 1984-1992, e Family Ties, NBC 1982-1989 (rispettivamente conosciute in Italia come I Robinson e Casa Keaton). Il giovedì sera era famoso negli anni ’80 per essere la serata dedicata al The Cosby Show.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!37Jean-Francois Lyotard, La condition Postmoderne, 1979

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L’ABC divenne la più agguerrita tra i tre più potenti network nella ricerca della così detta “qualità demografica”. Per catturare più spettatori possibili, ABC instituì una programmazione che comprendeva per lo più i benestanti, i così detti baby boomers, ovvero coloro nati tra la fine della seconda guerra mondiale e la metà degli anni ’60, cresciuti tra benessere e progresso, maggiormente attratti dalle pubblicità pronte a migliorare, in teoria, il loro benestare. Moonlighting (1985-1989), Thirtysomething (in Italia In famiglia o con gli amici) 1987-1991, The Wonder Years (Blues Jeans) 1988-1993, Twin Peaks rappresentano alcuni prodotti facenti parte della strategia adottata al tempo dall’emittente ABC. Sebbene profondamente differenti tra di loro, rappresentano tutti una piccola riflessione sul postmodernismo. In Moonlighting furono mescolate, in un insieme coerente, la componente comica e la componente d’azione (affine per certi versi al programma NBC Remington Steele, 1982-1987). Se per molti teorici della televisione un programma tv deve essere leggibile, prevedibile e incasellabile, appartenere quindi, come visto nel paragrafo dedicato a Twin Peaks, ad una serata che crei un audience stabile, i network oggi devono ragionare in maniera leggermente differente. Se da un lato fino ad un decennio fa si potevano evitare le letture multiple di uno show, o la rintracciabilità doveva essere una scaletta settimanale, ad oggi si può affermare che i followers sono soprattutto in rete, il che esula, in teoria, il network da una logica di orario e lo riporta ad una logica di qualità. 2.2.1 GLI ANTIEROI SHOWTIME Come già visto nel paragrafo dedicato alla narrazione nel capitolo 1, la componente valoriale dell’attante e la sua funzione sono stati oggetto di riflessioni dal punto di vista di organizzazione narrativa delle serie. Il network Showtime, canale a pagamento fondato nel 1976 e appartenente alla CBS, ha sfruttato questa riflessione sugli attanti narrativi per creare un suo stile narrativo.

In una decina di anni ha prodotto serie di successo i cui protagonisti contravvenivano alle logiche di pensiero dell’ “eroe” classico. Al ComiCon di San Diego del 2011, festival multi genere tra i più grandi d’America, erano presenti molte delle serie da loro trasmesse, occupando la maggior parte della pubblicità del festival dedicata alla televisione: tra queste c’erano gli “antieroi” messi in scena in Dexter, Weeds, Californication e Nurse Jackie.

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Come dimostrato da Alfred Hitchcock nei suoi film, è possibile far passare un personaggio che nella vita quotidiana disprezzeremmo o comunque per cui nutriremmo dei sentimenti di distacco, a difenderlo nell’atto della messa in scena. È su questo parametro che si sviluppa gran parte della produzione del network. In Weeds (2005-2012), se si parla di serie a tematica familiare, i valori vengono spesso contrattati e il limite viene sempre più spostato e riconfigurato. La serie narra la storia di una casalinga di un’ipotetica periferia californiana che dopo l’improvvisa morte del marito decide di spacciare marijuana per poter mantenere i due figli. Rientra nel genere della commedia nera, alternando situazione comunemente ritenute non solo illegali ma poco rassicuranti, con situazioni al limite del grottesco.

Wall paper della serie e guerrillia marketing

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Inoltre per la guerriglia marketing il network ha inviato dei bouquet di marijuana (del tipo senza thc) alle maggiori testate giornalistiche per promuovere la premiere della serie. Sul biglietto del bouquet erano scritte l’ora e il giorno di uscita dell’episodio e il canale di riferimento. Dexter (2006-), invece, è un crime drama che narra la storia di Dexter Morgan, un tecnico della polizia scientifica di Miami, che seguendo il codice insegnatoli dal padre, usa il suo istinto omicida per uccidere criminali sfuggiti alla legge. Soprannominato il killer dei serial killer, diviene un antieroe televisivo nel momento in cui lo spettatore, attraverso il meccanismo della simpatia in seguito all’identificazione, giustifica le azioni del protagonista, realmente non del tutto condivisibili.

Wall paper della sesta e della seconda stagione Californication (2007-) è un misto tra commedia e drama, che gioca soprattutto sulla tematica del sesso. È la storia dell’affermato scrittore Hank Moody il quale nel tentativo di ritrovare il talento e il rapporto con l’ex compagna, si lascia andare al sesso compulsivo, con continue avventure di una notte.

Wall paper della serie

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Infine Nurse Jackie è il perfetto connubio di black humor in una serie che segue una logica episodica propria della sit-com. Appositamente rientrante nel genere black comedy, come per Weeds, per le situazioni drammatiche narrate in chiave grottesca, racconta le vicende di Jackie Peyton, un’infermiera di un pronto soccorso cinica e farmacodipendente, della sua doppia vita, e della sua umanità. Il claim della serie, seguendo i precendenti prodotti del network, richiamano il doppio senso spesso scurrile:

Poster della serie con i claim delle diverse stagioni L’analisi di Simon Brown sui canali di culto tra cui la Showtime, interpreta Weeds e Dexter come la risposta antieroica rispettivamente di Desperate Houseviwes e CSI38 mentre Californication come la chiusura del cerchio delle tematiche trattate: droga, omicidio e sesso. Come presente nell’analisi,39il limite che ha voluto valicare la Showtime era stato già oltrepassato dal canale concorrente, per quanto riguarda le tv via cavo, HBO (di proprietà della Time Warner). Nel 1998 con l’uscita della serie Sex & the city (1998-2004), l’emittente si colloca come prima emittente alla ricerca di differente target. Sotto lo slogan “It’s not TV, It’s HBO” cercò di differenziare i suoi prodotti come un’alternativa alla tv “normale” oltrepassando quelli che erano i limiti accettati in tv di tematiche come sesso, droga, violenza, linguaggio scurrile con serie come Sex & the City, Sex Feet Under, The Soprano. Nel 2000, Showtime fece uscire la versione americana della serie gay britannica Queer as Folk40(2000-2005), prendendo successivamente accordi con MTV per fondare il canale gay Outlet. In genere tentò di creare situazioni tragicomiche all’interno di show con tematiche difficili. Dopo Queer as Folk, il primo passo avanti distintivo arrivò con Weeds. Come affermato dalla una delle scrittrici delle serie, Jenji Cohan,41 Showtime aveva il presupposto di “fare rumore” e farsi riconoscere: per il lancio della seconda serie

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!38 S.Abbott, The Cult Tv Book, New York, 2010, p. 155 39 ibidem. 158 40 Queer as Folk UK trasmesso su Channel 4 dal 1999 al 2000, Queer as Folk US trasmesso su Showtime dal 2000 al 2005. 41 S.Abbott, The Cult Tv Book, New York, 2010, p. 160

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svettava a New York, precisamente a Time Square, un tabellone con la protagonista della seria ritratta seduta su una poltrona- trono, dietro la scritta Her Highness, con chiaro riferimento allo stato di alterazione dato dalla cannabis e la situazione sociale attribuita alla protagonista.

Poster e claim della seconda stagione

Humour irriverente su temi ai più inappropriati. È su questo che si basa tutt’ora il “rumore” annunciato dal network. I personaggi creati dalle serie sopra descritte, fanno presa sullo spettatore tanto che ci si aspetta che la madre-spacciatrice non venga presa, che il killer continui ad uccidere, che l’infermiera inventi sempre nuovi modi per ottenere e rubare le pillole di cui è assuefatta. Questo avviene perché si riscontra nelle azioni dei personaggi un evidente proposito che va oltre le azioni in sé: la casalinga di Weeds non spaccia per diventare ricca o per piacere personale ma per una necessità economica e il protagonista di Californication nasconde dietro il sesso compulsivo la necessità di una relazione stabile. Anche se il mercato principale rimane quello HBO (basti pensare che la season finale de I Soprano fece uno share di 11.9 milioni di spettatori rispetto al milione di spettatori del finale della prima stagione di Dexter), rimane un elemento

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fondamentale che Showtime, partendo per poi estremizzare da una logica creativa propria di HBO, si stia facendo largo proponendo uno stile di network riconoscibile e originale all’interno delle tv via cavo.

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3. WEBSERIE

Genre films essentially ask the audience “Do you still want to believe this!” popularity in the audience answering “Yes”.

Change in genre occurs when the audience says, “that’s too infantile a form of what we believe. Show us something more complicated”. And genres turn to Self-parody to say “Well, at least if we make fun of

it for being infantile, it will show how far we’ve come”. Films and television have in this way speeded up cultural history.

Leo Braudy

The World in a Frame: what we see in films

(1977) 2002

Le web serie, ovvero quei prodotti seriali concepiti per il web e per la così detta web television, sono un fenomeno interessante perché, oltre a fornire un ulteriore canale per i già affermati network, permettono a chiunque di usufruire di piattaforme gratuite per sponsorizzare i propri video seriali. Come analizzato nel libro Internet Television42, inizialmente l’uso che ne venne fatto, verso la fine degli anni ’90, non fu ben chiaro; alcune reti televisive le utilizzarono per pubblicità, altre per aggiungere informazione che andavano ad integrare i programmi broadcast, o per pagamenti di reti via cavo. Questo uso di internet fu identificato come enhanced TV43. Dal punto di vista dei grandi network, molti negli ultimi cinque anni hanno sfruttato le piattaforme di distribuzione di video sul web per controllare l’andamento di nuovi prodotti, per testarne la validità. Andando nei siti web dei maggiori network americani, si può notare che ognuno di loro ha una sezione dedicata a webisode legati sia a serie di successo di loro proprietà, sia a prodotti reperibili solo sul web. L’ABC presenta serie parallele fruibili sul sito internet dei diversi suoi show: Happy Endings, Cougar Town, Grey’s Anatomy e What if?. Così come NBC per Heroes; AMC per Walking Dead: Torn Apart Webisodes, Breaking Bad minisodes; e showtime per Nurse Jackie, Dexter, House of Lies. Differente è il discorso per chi sponsorizza la propria serie sul web: se un network utilizza il web per ampliare la conoscenza del mondo della serie, o per valutarne il gradimento, gli “amatori” hanno invece possibilità di produrre prodotti che potrebbero diventare di culto (basti pensare alla serie The Annoying Orange).

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!42 Eli M. Noam, Jo Groeberl, D. Gerarg, Internet Television, 2004 43 ibidem, p. xxi

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Il sito Blip.tv è una delle migliori piattaforme a disposizione di chiunque che ha la maggior visibiltà e miglior organizzazione.

Il sito/blog è costruito in modo tale da avere una main page con il claim del sito – Discover The Best in Original Web Series – una stringa di ricerca e un pannello con alcune immagini-link delle serie di ultima uscita.

Nella parte inferiore della pagina si possono invece rapidamente scorrere le serie di maggior successo e comprendere come uplodare la propria.

Ogni serie pubblicata ha una propria pagina personale con i video e i link personali che rimandano ad eventuali siti ufficiali della serie.

Il sito Blip.tv è pensato come se fosse un grande contenitore universale di serie sul web.

Sito blip.tv

Tra le più riconosciute si possono trovare Red vs Blue, serie girata in machinima con i personaggi del gioco Halo, è parodia dei giochi sparatutto in prima persona e delle serie fantascientifiche. La serie raggiunse grande visilità, raggiungendo i 100 milioni di spettatori nella prima stagione. A tutt’oggi sono state realizzate nove stagioni.

Notevoli in quanto a visibilità sono serie come LonelyGirl 15 e i comici Seth MacFarlane’s Cavalcade of Cartoon Comedy e Children’s Hospital.

La serie che sembra avere avuto maggior successo sul canale di Machinima.com su YouTube è stato Mortal Kombat: legacy adattamento dell’universo fittizio della serie di videogiochi di Mortal Kombat. La puntate della prima serie toccarono il picco di 3 milioni di spettatori in poco tempo, raggiungendo così lo share di molte tra le puntate di serial che vanno in onda su network televisivi.

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Poster del Seth Mac Farlane Cavalcade, Red vs. Blue e Mortal Kombat

Nel 2008 l’Internation Academy of Web Television fu fondata per organizzare e supportare la comunità di creatori, sceneggiatori e attori di serie sul web. Amministra inoltre la selezione e decreta i vincitori dello Streamy Awards, fondato nel 2009, primo riconoscimento ufficiale per le televisioni sul web e i suoi contenuti I festival ufficiali dedicati a questo tipo di prodotti sono: il primo per istituzione il Los Angeles Web Series Festival gemellato con l’unico festival Europeo ovvero il Marseille Web Series Festival, l’HollyWeb Web Series Festival inaugurato ad Hollywood nel marzo del 2012 e per quanto riguarda il panorama italiano il Web Series Fest nato nel 2011. Dal punto di vista di prodotti italiani, la serie che avuto maggior successo è stata sicuramente Freaks! (2011-) che racconta la storia di 5 ragazzi e la scoperta, dopo quattro mesi di blackout, di cui non ricordano nulla, di avere dei superpoteri. Altra serie con ancora minor budget e premiata al LA Web Series Festival come miglior serie comedy straniera è Travel Companions che narra dei viaggi in macchina di due amici nel tragitto per andare a lavoro, in spesso sono riprese citazioni da film cult. Altra serie premiata all’LA web Series Festival e stata L’Altra, prima serie realizzata per essere usufruibile su Facebook, racconta la storia di Martina, ragazza che rimane chiusa in un luogo ed è costretta a postare video su Facebook.

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Sicuramente di ancora imprevedibile concezione ed andamento, potrà essere che le serie sul web, in realtà come sta già avvenendo per i network americani, compenetrino la narrazione seriale o ne inventino una nuova.

Dopo la chiusura di Megavideo, si è posta sempre di più, a mio avviso, la sfida iniziale della tv su internet, ovvero l’offerta di prodotti che per comodità e qualità le persone siano disposte a pagare.

Ritengo che la possibilità di trovare in streaming o download gratuito la maggior parte dei prodotti seriali broadcast non avrà lunga vita: i network americani da un’iniziale ricerca di spettatori per i prodotti sul web, si trovano a dover affrontare il problema opposto che può portare ad un letterale shift di medium primario.

Sempre più persone del target tra i 20 e 40 anni non guardano più la televisione e si affidano ad internet per poter usufruire degli stessi prodotti.

È mia opinione che molto probabilmente i network stiano prevedendo di poter garantire una copertura broadcast e al contempo provvedere con dei siti dedicati in cui sottoscrivere un abbonamento per poter ovviare alla dispersione di telespettatori.

Il target delle serie più innovative non prevede il target affezionato al medium televisivo, ma un gruppo spettatoriale più legato ad internet.

Come visto nel capitolo dedicato ai network, credo sia un altro momento cruciale per le emittenti televisive che si vedono sbilanciate dall’avvento di un nuovo modo di fruizione video che sicuramente saranno pronte a sfruttare.

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BIBLIOGRAFIA

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