Primo capitolo tesi: luoghi di consumo e merchandising
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La spesa
“Io vado pazza per Tiffany... specie in quei giorni in cui mi prendono le paturnie”.
Dal film Colazione da Tiffany, 1958
Dalla trasposizione cinematografica del libro di Capote, già nella metà del secolo
scorso, emerge la voglia e quasi il bisogno di andare a fare shopping, o fare la spesa; un
antidoto per le paturnie della protagonista, un'attività allo stesso tempo elementare e
complessa.
“Nell’uso familiare, sempre al singolare, gli acquisti che si fanno ogni giorno, o quasi ogni giorno,
dei generi alimentari o dei prodotti di uso domestico necessari per il sostentamento di una famiglia […] fare
la s. nei negozi vicini a casa, al mercato, al supermercato; [...] ”.
Il vocabolario Treccani offre la definizione di un'attività semplice come quella di
fare la spesa, ma mi chiedo: è veramente così facile? O dietro ogni prodotto, ogni gondola
di supermercato, ogni atteggiamento della forza vendita, ogni segnaletica o vetrina ci sono
delle minuziose attività di progettazione? È proprio nella progettazione e realizzazione di
uno spazio, che diventerà un luogo di consumo, in cui bisogna porre la massima
attenzione; e soprattutto sulle relazioni che poi intercorreranno tra lo spazio e altri soggetti,
sia umani che non umani.
Le relazioni che si vengono a istituire diventano il fulcro da cui partire per svolgere
un'analisi semiotica di uno spazio, in questa tesi analizzerò i supermercati dentro i centri
commerciali.
La spazialità non è altro che un sistema semiotico attraverso il quale attribuiamo un
certo valore al mondo (contenuto), mediante una certa articolazione fisica dello spazio
(espressione). La presupposizione reciproca di questi piani conferma che lo spazio è un
linguaggio a tutti gli effetti: esso ci parla della realtà, della società in cui viviamo e come
questa si rappresenta; una società che diventa serbatoio di significati, valorizzazioni,
programmi d'azione e di passioni.
L'analisi semiotica del centro commerciale, quindi, deve andare di pari passo con
l'analisi delle relazioni intersoggettive che in esso si svolgono, soprattutto perché le
correlazioni tra le espressioni spaziali e contenuti sociali dal punto di vista della forma
sono le stesse, cambiano le sostanze1.
Questo aspetto sarà più chiaro più avanti quando farò il doppio confronto tra reparto
vino del supermercato ed enoteca, e tra quest'ultima e il museo (con particolare riferimento
al MOMA di San Francisco).
L'analisi semiotica dello spazio lo vede come un testo, non spazio nel testo o del
testo2. Lo spazio come testo, cioè uno spazio fisico significante (una città, una stazione, un
centro commerciale ecc.) che viene ridefinito a partire dal progetto da cui è nato e per cui
ha già un significato precostituito, sia nella valorizzazione di base che in quella d'uso.
Lo spazio viene risemantizzato dai suoi utilizzatori. Il centro commerciale in questa
tesi, non è solo utilizzato per fare la spesa, è anche un luogo di ritrovo, un posto in cui
passeggiare quando fuori piove o fa troppo caldo, un luogo ludico, un luogo in cui fare
esperienze di consumo.
La configurazione testuale iniziale viene così trasformata, non è possibile dare una
codifica a priori ad uno spazio, questa sarà rinegoziata intersoggetivamente da coloro che
entrano in contatto con lo spazio e tra di loro nello spazio stesso.
In un centro commerciale saranno i percorsi che si snodano, i materiali con cui è
costruito, gli arredi e le vetrine, la tipologia di store che vi si trova con e relative identità e
interconnessioni strutturali che si creano, e non ultimi i consumatori e i lavoratori.
1.1 Un “intorno” sociologico dello spazio come testo
La tradizione sociologica nell'ambito dell'analisi dei consumi mi permette di
estrapolare dei concetti che saranno utili nella disamina semiotica del centro commerciale.
Con lo sviluppo dell'industrializzazione il consumo assume un'importanza rilevante,
ma solo nelle società ipermoderne esso diventa una caratteristica preponderante della vita
di ciascuno di noi. Il ruolo del consumo è quello di partecipare alla definizione dell'identità
sociale degli individui e delle loro relazioni contribuendo a creare le forme culturali che
generano la sostanza sia del contenuto che dell'espressione degli spazi deputati ad essere
luoghi di consumo. Questi hanno natura paradossale, e per tale motivo sono definiti
eterotopie cioè “quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a
tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l'insieme dei
1 E' importante sottolineare che la corrispondenza tra piano dell'espressione e piano del contenuto non vafatta termine a termine ma tra un complesso strutturale e l'altro.
2 Sinteticamente lo spazio nel testo è il modo in cui viene articolato lo spazio nel testo stesso secondo unanarrazione. Lo spazio è eterotopico, cioè lo spazio del contratto (manipolazione), è lo spazio in cui hannoluogo i momenti cognitivi della narratività. Lo spazio topico è quello che appartiene ai momentipragmatici (competenza e performance) rispettivamente detti: paratopico e utopico.Lo spazio del testo invece riguarda la dimensione fisica del supporto planare che ospita un testo.
rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano” (Foucault, 1994). Forgiato
sul modello del concetto di utopia, e come suo inverso, il concetto di eterotopia designa
luoghi aperti su altri luoghi la cui funzione è di far comunicare tra loro gli spazi. Laddove
però le utopie designano ambienti privi di localizzazione effettiva, le eterotopie sono
luoghi reali e per loro natura paradossali.
Tale paradosso ha delle peculiarità, alcune delle quali di particolare importanza per
la mia analisi.
Dal punto di vista semiotico invece parto dall'assunto che lo spazio sarà il piano
dell'espressione e i processi narrativi che in esso si svolgono costituiranno il piano del
contenuto. Inoltre è bene precisare che esiste una distinzione tra luoghi e spazi: mentre i
primi sono “configurazioni istantanee di posizioni” dove ogni cosa è al suo posto, il
secondo è un “luogo praticato” e quindi suscettibile a funzionare come unità polivalente di
programmi contrattuali o conflittuali (Pezzini, Cervelli, 2006).
1.1.1. Accumulo e ricerca di innovazione
Nella seconda metà dell'800 le metropoli europee portano i segni del dominio della
fabbrica (Amendola, 1997), ovvero la logica della cultura borghese viene investita dalla
creazione di oggetti standardizzati e dal criterio della produzione in serie; nasce il
consumatore di massa della società industriale secondo il precetto della quantità. Sorgono
nuovi luoghi di consumo, si passa dal negozio ad un insieme di più negozi (galleria
commerciale) e la realtà distributiva si evolve fino al punto di creare noia: la produzione in
serie stanca. Nasce l'esigenza di spettacolarizzare i luoghi di consumo e creare l'effetto
sorpresa.
Al piano quantitativo si affianca, così, la risemantizzazione dello spazio che nasce
dalla riappropriazione individuale e collettiva di quel luogo, della messa in discorso, ossia
il modo reale in cui esso viene vissuto, valorizzato e dotato di senso (Marrone, 2007). Il
processo di risemantizzazione si innesca a partire dai percorsi narrativo e passionale; le
azioni si inscrivono all'interno dello spazio per portare a termine un programma narrativo,
il quale sarà in relazione polemica col programma narrativo di un altro soggetto, dando vita
ad una serie di strategie e tattiche intersoggettive. Ad esempio la barriera delle casse
dell'iperstore permette solo l'uscita ma non l'entrata, in questo caso sarà il percorso interno
verso la cassa a modalizzare l'uscita: un poter fare.
Lo spazio, con tutti i suoi soggetti umani e non-umani, gli intrecci narrativi e
passionali, relazionandosi col consumatore farà in modo che questo viva un'esperienza di
consumo sempre nuova e diversa. Gli elementi della relazione sono sempre gli stessi
ovvero i beni di consumo, ma la struttura relazionale cambia.
1.1.2. Socialità e individualismo
Un secondo paradosso che si individua nei luoghi di consumo è la compresenza di
attività che stimolano la socialità tra soggetti, il più delle volte estranei tra loro, e
l'individualismo.
Ad esempio gli eventi che hanno luogo all'interno dei centri commerciali, cioè
operazioni di marketing operativo per il raggiungimento di determinati obiettivi, prevede
che tutti partecipino creando una rete di relazioni tra soggetti i quali, dal punto di vista
semio-narrativo, costituiscono un attante collettivo. Questo pone in essere un atto
trasformativo, cioè il consumo di beni e servizi, che porterà a ciò che gli uomini del
marketing chiamano esperienza; ed è sulla base di questa esperienza che si produce il
regime di significazione e comunicazione.
1.1.3. Stimolo e controllo
All'interno degli spazi di consumo sono presenti sia la possibilità di divertirsi che
contravvenire a quelle che sono le regole della quotidianità, e dare allo spazio una
valorizzazione ludica. Allo stesso tempo si è controllati da soggetti (guardie giurate) o
oggetti (telecamere e/o elementi architettonici) preposti a questo scopo. Si contrappongono
quindi l'aspetto ludico e quello della sicurezza.
1.1.4. Apertura e chiusura
L'opposizione aperto/chiuso, dal punto di vista sociologico è certamente uno dei
paradossi più significativi dei centri commerciali; al suo interno è possibile rintracciare una
strada che non è una strada semplicemente perché non porta da nessuna parte: dal punto di
vista sintagmatico è chiuso mentre dal punto di vista paradigmatico è aperto (Sorice,
1995).
Lo spazio sembra essere aperto al mondo, in realtà è chiuso e autosufficiente.
Proprio quest'ultima caratteristica è il risultato di un'organizzazione sia della disposizione
che dei percorsi.
Il centro commerciale fornisce “le istruzioni per l'uso del consumo” attraverso la
griglia topologica che “consiglia” modi e tempi di percorso, interazioni fra attori e
relazioni tra soggetti e oggetti di valore. Lo spazio opera in modo narrativo: stabilisce le
fasi dell'acquisto (esperienza di consumo) e articola le trasformazioni del consumatore
dalla congiunzione o disgiunzione dal suo oggetto di valore, o le possibili trasformazioni
ad opera di aiutanti o opponenti: ad esempio la forza vendita.
1.1.5. Pubblico e privato
I nuovi luoghi di consumi sembrano in apparenza dei luoghi pubblici con strade,
piazze, gallerie ecc. In realtà lo spazio architettonico appartiene a privati, e sono controllati
ma vissuti liberamente (par. 1.1.3.): siamo di fronte a spazi semi-pubblici. Il confine tra
pubblico e privato è sempre più labile, cosicché lo spazio sociale tende a ridefinirsi
comunicativo (Codeluppi, 1994).
Dal punto di vista semiotico la dicotomia pubblico/privato si può analizzare sul
quadrato per rendere maggiormente chiaro come il centro commerciale, al di là della
spiegazione sociologica descritta in precedenza, assume un regime di significazione sia per
i processi sociali, che per quelli economici ma soprattutto per i processi comunicativi del
brand e delle merci.
Consideriamo “spazio pubblico” e “spazio privato” la coppia di termini opposti del
quadrato semiotico:
Spazio pubblico Spazio privato
Spazio sociale Spazio intimo
Spazio non-privato Spazio non-pubblico
Generando i sub-contrari ipotizzo che lo spazio non-privato funzioni da spazio
sociale e che quello non-pubblico funzioni da spazio intimo.
Questa relazione di contrari rappresenta una dicotomia originaria del mondo
civilizzato e risale fino ai modelli greco e romano dell'organizzazione delle città. Ad
esempio nella polis la sfera privata si identificava con lo spazio domestico, nella modernità
invece lo spazio pubblico si assimila a luoghi legati all'economia e al commercio3.
Per Habermas la sfera pubblica, appare sempre più sinonimo di “statuale”, in questo
senso va intesa la relazione contraddittoria tra spazio pubblico e spazio intimo, questo
3 Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica, Laterza, 1988, Roma-Bari
compare quando si abolisce indiscutibilmente la possibilità degli altri di interferire nel
proprio mondo e di apparire in maniera diversa da come si è realmente4. Mentre lo spazio
pubblico presuppone sempre uno spazio sociale in quanto spazio non-privato, quest’ultimo
non è necessariamente sempre uno spazio pubblico. Lo spazio privato presuppone sempre
uno spazio intimo in quanto spazio non-pubblico, ma quest’ultimo non è sempre uno
spazio privato. Lo spazio pubblico non è percepito immediatamente come uno spazio
sociale, anzi molto spesso uno spazio pubblico è perfettamente immaginabile come del
tutto inadeguato al dispiegamento della socialità.
Tenendo presente i termini di seconda generazione otteniamo il seguente quadrato:
Centro commerciale
Spazio pubblico Spazio privato
Spazio sociale Spazio intimo
Spazio non-privato Spazio non-pubblico
Spazio comune
Il termine complesso contiene i sèmi dei due termini dicotomici, per cui, in questo
caso avremo il centro commerciale con il suo paradosso; il termine neutro viceversa,
prevede uno spazio comune che nasce dall'erosione dello spazio sociale, quindi né
pubblico né privato, e di conseguenza appartiene a tutti.
1.1.5. Globale e locale
L'evoluzione del sistema distributivo convoglia sempre più gli acquisti in grandi
megastrutture uniformando le scelte dei consumatori e i loro stili di vita; paradossalmente
però questo sistema globale genera dei localismi, ovvero culture basate sul recupero delle
valorizzazioni dei singoli territori: alla quantità si oppone quindi la qualità.
Nell'ambito di questa tesi gli ultimi due paradossi sono di notevole importanza per
sviscerare l'analisi vera e propria della spazialità del centro commerciale e dell'artefatto
comunicativo quale è il packaging relativamente alla categoria merceologica del vino.
4 Quadrato semiotico della veridizione
1.2. Una particolare prassi enunciativa
Nei suoi lavori Floch ricorre al concetto di bricolage; con questo termine il
semiologo indica una prassi enunciativa, vale a dire una specifica modalità di produzione
del discorso che (riprendendo Lévi-Strauss) costruisce oggetti e significati nuovi a partire
da oggetti di senso già esistenti, nonché da alcune loro caratteristiche materiali ed
estetiche. Tale prassi enunciativa permette la produzione d'identità sia dell'enunciatore che
dell'enunciatario. L'identità si manifesta attraverso un assemblaggio di segni relativi alla
percezione visiva (ma non solo a questa); diversa dall'identità è l'identificazione: la prima
quindi viene costruita dal discorso mitico5 dell'enunciatore in cui la coerenza comunicativa
si basa sulla corrispondenza semi-simbolica e figurale, ma non figurativa; la seconda
consta di un'attività uguale e contraria alla prima effettuata dall'enunciatario, la ripetizione
di questa attività di ricezione fa sì che generi appunto identificazione.
L'identità si oppone al concetto di alterità e si differenzia da quello di uguaglianza,
questa nozione è fondamentale poiché i tratti caratteristici di un oggetto possono essere in
parte modificati e/o sostituiti per consentire l'adattamento e la declinazione del concetto
base a diversi altri prodotti: l'esempio lampante è la marca in cui gli identity elements
rimangono costanti mentre gli elementi con un grado di permanenza inferiore possono
variare e declinarsi, proprio come accade ai PDV e al packaging.
È a questo punto che si stabilisce la connessione tra l'identità, ad esempio del PDV
o centro commerciale e l'identificazione da parte del consumatore. Assieme agli oggetti
vanno considerati anche i modi d'uso e gli stili discorsivi che producono le modifiche e le
ricombinazioni dei tratti degli oggetti stessi: è per questo motivo che un utilizzo
“risemantizzato” di un luogo o di un bene fa sì che l'enunciatore iscriva nell'oggetto
un'immagine di sé: si articola un fattore di semiosi che è stile di vita.
La ricerca individuale e autonoma dello stile di vita viene però sgretolata dalle
mode dando vita a quel paradosso analizzato sotto il profilo sociologico del paragrafo
precedente.
Sia Greimas che Lotman, nonostante le diversità arrivano entrambi a considerare il
consumo come una prassi discorsiva in cui convivono la variazione individuale e la tenuta
collettiva: vengono prescritte regole generali e allo stesso tempo restrittive. I consumi sono
sottoposti a regole sociali ma si delega a essi una manifestazione dell'individuo. Allo stesso
modo i consumi riescono a uniformare anche se nascono dalla scelta di differenziarsi
(Pezzini, Cervelli, 2006).
5 Floch, Identità visive, Franco Angeli - 1995
1.3. Territorialità e narrazione
La forma testuale dello spazio non è definito a priori, ma viene costantemente
rinegoziato dai soggetti che entrano in contatto con lo spazio stesso e tra loro. In questo
campo d'analisi la soggettività non è personale ma è: prepersonale e sovraindividuale,
presente in ogni forma culturale: il soggetto che entra in relazione con lo spazio perde di
individualità e diventa somatico, sociale, naturale e culturale allo stesso tempo.
La natura della relazione soggetto-spazio vede quindi tre aspetti legati tra loro,
ovvero intersoggettivo, somatico e narrativo.
Il primo aspetto è di fondamentale importanza quando, in questa analisi, esaminerò
le disposizioni fisiche dell'ambiente (piano dell'espressione) che sono in presupposizione
reciproca con certe disposizioni sociali ed economiche (piano del contenuto): ciò indica
che in base alla matrice culturale di appartenenza la distanza tra soggetti, o tra soggetti e
oggetti varia in base alla relazione di partenza (che può sempre mutare). Tale concetto non
può essere ignorato da un visual mechandiser quando deve allestire un'isola. Il problema,
da questo punto di vista, è di minore entità quando parlerò di disposizione dei facing sul
lineare in cui le quote di mercato fanno da padrone.
Anche l'aspetto somatico della relazione ha notevoli implicazioni in quanto il nostro
corpo quando entra in contatto con lo spazio lo fa attraverso i sensi, in particolare la vista e
il tatto; quest'ultimo offre elementi per riconoscere i vari tipi di materiali, o di percepire la
temperatura di un luogo; ad esempio in un supermercato GDO i materiali degli scaffali, o
degli elementi architettonici o il calore della luce ecc. sono preponderanti affinché dal
sensibile si passi alla sfera passionale e ovviamente all'azione (invero non esiste una
schematizzazione di questi processi).
L'azione presuppone un'intenzionalità per cui uno spazio sarà vissuto, nella
fattispecie attraversato, secondo una direzione che è la base di un programma d'azione e
della vita sociale.
Il PDV instaura con i soggetti un contatto sensibile più che cognitivo per riuscire a
“inglobare” il corpo nello spazio e dare vita all'esperienza sincretica6 che chiamerò di
consumo. Così l'esperienza della semplice azione di andare a fare la spesa al centro
commerciale o andare a comprare una bottiglia di vino in enoteca è sincretica poiché viene
prodotta da linguaggi che utilizzano percezioni sensoriali diverse: sia il PDV che il
merchandising che i display sono a loro volta testi sincretici.
6 Le semiotiche sincretiche sono caratterizzate da significazione che deriva da più sostanze relative ad un'unica forma del piano dell'espressione
Dal punto di vista narrativo il rapporto soggetto-spazio precede la costituzione di
soggettività umana e spazio fisico: l'uno è invischiato nell'altro e viceversa.
Distinguerò per comodità metodologica il livello discorsivo e quello narrativo: il
primo vede lo spazio come un'articolazione materiale di cose, il secondo invece riguarda
gli attanti (soggetto e oggetto) che si congiungono o disgiungono a seconda del sistema di
valori a cui aderiscono, di conseguenza lo spazio può essere letto come un contenitore di
relazioni intersoggettive oppure come un attante diverso dall'oggetto. Ad esempio una
porta aperta può essere un destinante o un aiutante che invita il soggetto (umano) ad
entrare e portare a termine un voler-poter-fare; anche il tornello per l'accesso al
supermercato è un aiutante.
In base alle situazioni narrative lo spazio può essere uno qualsiasi degli attanti che a
livello discorsivo si manifestano sotto forma di topoi, cioè “qualsiasi porzione di spazio
suscettibile di giocare un ruolo sintattico” (Hammad, 1989). Questi topoi sono quindi le
porte, i percorsi, le vetrine, i tornelli ecc. che dal punto di vista narrativo sono dotati di
carichi modali.
Nel caso dello spazio commerciale nel suo complesso, questo parla dell'identità e
dei programmi d'azione della marca (es. Ipercoop, Eataly per la GDO) che lo ha posto in
essere; il consumatore che è il soggetto empirico7, non è solo destinatario del messaggio
espresso dall'organizzazione spaziale, ma è parte del piano dell'espressione come lo sono
anche gli oggetti che segmentano e semantizzano lo spazio diventando oggetti di valore
(Teotti, 2006). I criteri usati per la disposizione delle merci sullo scaffale ad opera del
visual MHS partecipano indubbiamente a creare questo oggetto di valore, giocando sulle
relazioni che si generano a livello plastico in un display. L'unità minima di questa relazione
è il packaging.
1.4. Soggetti enunciazionali ed empirici a confronto
Le strategie di marketing che vengono implementate per la costruzione di un PDV
sono sostenute da una serie di analisi che confluiscono nel SIM (sistema informativo di
marketing). Alcune di queste procedure si basano essenzialmente su analisi quali-
quantitative di potenziali clienti: il marketing costruisce ciò che in semiotica si chiama
soggetto enunciazionale, purtroppo però queste indagini non tengono conto del soggetto
empirico ovvero il consumatore. Se queste due figure sono molto lontane tra loro si
genererà un gap negativo nella comunicazione del PDV, e quindi del brand, che andrà
7 Il soggetto empirico differisce da quello enunciazionale in quanto quest'ultimo è costruito a livellodell'enunciazione; non è detto che le due figure coincidano, anzi il primo spesso modifica sia funzioni chesignificati rispetto a quelli previsti.
colmato. È indubbio che una precisa sovrapposizione non potrà mai esistere nella realtà, si
cerca però di avvicinarle quanto più possibile.
Riprendendo l'approccio sociologico precedentemente descritto, si è visto come
l’individualismo si contrappone all’universalità, l’eterogeneità all’omogeneità, la
razionalità al paradosso, la certezza alla mutabilità; il consumatore che agisce in un
contesto di questo tipo sarà a sua volta creativo, eclettico, fantasioso, molto lontano dalla
figura dell’homo oeconomicus. Non è un caso se si parla di consumatore bricolaire, e si
individua nel patchwork la metafora più adatta a descriverlo (Fabbris, Semprini, 2003).
Il consumatore bricoleur diviene consumatore autonomo, critico, indipendente
nelle sue scelte, interessato a instaurare una relazione con il mondo della produzione; un
consumatore competente, informato rispetto al passato, sulla composizione dei prodotti,
sulla provenienza delle materie prime, sul rapporto qualità/prezzo; consumatore esigente e
selettivo, orientato in senso olistico, perché ai fini della scelta coinvolge sia dimensioni
tangibili come i valori d’uso, che quelle intangibili come i valori di base; è anche un
consumatore pragmatico, ossia disincantato e realistico nei confronti del mercato.
Tenere conto di tutti questi elementi non è semplice. Per cercare di individuare le
rappresentazioni e le aspettative dei consumatori, nei confronti del supermercato, terrò
conto di un approccio strutturalista; mentre un approccio generativo permetterà di
distinguere e arricchire i livelli di concezione del PDV a partire dalle relazioni minime più
profonde e astratte fino alla loro messa in discorso e quindi alla concretizzazione dello
spazio di consumo vero e proprio: percorsi, gondole, display, isole espositive,
illuminazione, materiali, colori, design dell'ambiente, packaging dei prodotti ecc.
Il supermercato può essere concepito come mezzo per fare velocemente provviste,
oppure come uno spazio in cui instaurare un nuovo modello di vita riprendendo la
convivialità della fiera o del mercato (Floch, 2013). Questo luogo è quindi investito da due
tipologie di valori diversi a seconda della concezione del consumatore: nel primo caso
assurgeranno i valori d'uso, nel secondo i valori di base. Floch dalle sue analisi ci dimostra
come la disanima delle tipologie di consumatori verte sulla vecchia opposizione mezzi/fini.
Articolando questa opposizione sul quadrato semiotico otteniamo la ben nota assiologia del
semiologo e in essa possiamo rintracciare quattro tipi di consumatori:
Lo stratega Il conviviale
PRATICO UTOPICO
CRITICO LUDICO
Il consumerista L'edonista
Queste tipologie individuate da Floch sono applicabili a qualsiasi centro
commerciale e in linea teorica sarebbe auspicabile che all'interno di uno stesso spazio,
convivessero insieme. Analizzando la relazione esistente tra la tipologia di consumatori e
le articolazioni spaziali Floch dimostra che esiste una correlazione tra spazi semplici e
continui e valori pratico/critico mentre a spazi complessi e discontinui assocerò valori
utopico/ludico.
Questa correlazione istituisce un approccio paradigmatico dello spazio cercando di
renderne chiara la leggibilità; accanto a questo approccio se ne può accostare un secondo:
sintagmatico che legge lo spazio come una concatenazione che va organizzata creando una
sequenza di ritmi e tensioni tre le diverse qualità dello spazio (Floch, 2013).
In fase di analisi descriverò ampiamente queste correlazioni.
1.5. Una spazialità differente: l'enoteca
Nell'ambito di questa tesi mi sono dedicata all'analisi spaziale delle enoteche oltre
che dei centri commerciali per capire quali possano essere i punti in comune e le differenze
tra questi PDV molto diversi tra loro a prima vista.
L'enoteca è un PDV e quindi un'azienda, ovvero un'entità economica, ma dal punto
vista semiotico ed estetico è molto di più. Già a partire dalle origini del prodotto venduto, il
vino, il consumatore ripercorre un viaggio nel tempo: origini e usi del vino nelle civiltà
antiche, dal percorso di domesticazione della vite ai progressi agronomici ed enologici,
dalla storia dei commerci alla progettazione dei vasi vinari, dai recipienti per berlo agli
accessori di servizio, dai contesti conviviali all'acquisto.
Seguendo il filo di queste tracce multiformi dalle origini delle varie civiltà, il vino
nel mondo antico disegna un panorama completo che unisce pratiche agronomiche sempre
più aggiornate e tradizioni, ritualità e convivialità, sacro e profano, facendo emergere le
specificità e i punti in comune delle diverse culture del vino ancora oggi presenti e sempre
più in voga viste le evoluzioni culturali del nuovo millennio in cui i localismi sono sempre
più accentuati.
A prescindere dalla grandezza perimetrale del PDV ogni enoteca ha dei punti in
comune inderogabili nella nostra cultura italiana. In questo caso lo spazio non è quasi mai
risemantizzato e il rapporto soggetto-spazio assume un valore diverso rispetto a rapporto
precedente col centro commerciale. Il fruitore dell'enoteca, secondo l'assiologia flochiana
precedentemente descritta, nella maggior parte dei casi si colloca sulla deissi
utopico/ludico, di conseguenza è spesso un conviviale e un edonista. Shape, labeling e il
merchandising sono elementi identificativi fondanti degli oggetti presenti nelle enoteche:
bottiglie e merchandising di varia natura. Il parametro espositivo realizzato dall'enotecario
in persona, che difficilmente si avvale di un visual MHS, poggia sulla commistione di
livelli verbale e non-verbale, inoltre la disposizione è fatta secondo un criterio prettamente
regionale.
L'enoteca è ovviamente un testo e come tale può essere analizzato a livelli sempre
più profondi. Sul piano dell'espressione gli oggetti sono iscritti nel dispositivo
dell'allestimento, a sua volta iscritto nello spazio architettonico. Esistono tre relazioni di
presupposizione tra questi termini:
lo spazio architettonico presuppone gli oggetti e l'allestimento;
l'allestimento presuppone gli oggetti;
Questi incastri si possono leggere sia da un punto di vista sintagmatico che paradigmatico;
secondo il primo approccio prevarrà la logica della contiguità e della concatenazione
espositiva, nel secondo approccio prevarrà il sistema di distinzione e gerarchizzazione
legato ai prodotti (Floch, 2006) in questo caso le bottiglie .
La paradigmatizzazione dello spazio è rafforzata dall'impiego di luci soffuse: faretti
alogeni a luce calda e accostamenti di materiali: legno e vetro nella maggior parte dei casi
sfruttando il valore della tradizione, ma anche metalli e vetri a vivo sfruttando il valore
dell'ipermodernità. Anche gli effetti cromatici sono di notevole importanza in quanto
creano, in determinati casi relazioni di significazione non indifferenti.
L'approccio sintagmatico del piano dell'espressione, ovvero la concatenazione delle
qualità spaziali e visive, prevede un ritmo diverso della disposizione architettonica a volte
creato appositamente laddove la struttura adibita a PDV non lo avesse. I cambi di ritmo e
tensività spaziale insieme a tutti gli altri elementi espressivi producono una processo
passionale al centro del quale si trova il consumatore.
Sul piano del contenuto invece il significato dello spazio è legato alla creazione
dell'esperienza d'acquisto da parte del consumatore. Nell'enoteca comunque all'acquisto si
affianca anche la fruizione del prodotto innescando una serie di meccanismi legati alla
passionalità del sapore e del sapere.
1.6. L'esperienza appassionante e il contributo del marketing
Una enoteca può essere esaminata tramite il meccanismo della narrazione il quale
non è legato solo alla ricerca di oggetti di valore ma anche a forme passionali.
Nessuna manovra di manipolazione è possibile senza una presa in conto della
passionalità cioè dell'essere dei soggetti. L'andamento narrativo è orientato oltre che dalla
modalità del fare, dalle modalità dell'essere cioè: volere, dovere, potere o saper-essere le
quali costituiscono la competenza più o meno implicita dei soggetti di stato. Disgiunzione
e congiunzione non sono da intendere come momenti statici e inessenziali della narrazione,
ma come il luogo dove accade qualcosa che non è nell'ordine pragmatico ma neanche
cognitivo del sapere e del dire, ma appartiene alla dimensione eccedente della narrazione
tradizionale (Fabbris, Marrone 2001). Questa eccedenza infatti, moltiplica il valore del
PDV confluendo in ciò che Schmitt chiama experiental marketing. Ne deriva una
ridefinizione sia dell'impresa che del consumatore i quali vengono coinvolti rispetto a dei
valori comuni; il PDV, per un verso, muove precise azioni da parte del consumatore,
dall'altro mette in relazione affettiva soggetti e oggetti in modo che condividano gli stessi
valori (Marrone, 2007).
Questa prospettiva è motivata dall’aver notato che il caricare di promesse
l’anticipazione di consumo (attraverso la pubblicità) e il momento dell’acquisto (attraverso
il PDV) porta spesso ad una delusione nel momento in cui il soggetto/consumatore entra in
relazione con il prodotto o il servizio. Anche i classici metodi volti ad indagare il grado di
soddisfazione del cliente al riguardo della performance del prodotto (customer
satisfaction), non sono adeguati a misurare il processo che lo ha portato ad essere
soddisfatto e lo stato d’animo che il consumo ha prodotto in lui.
L’attività di consumo è, al contempo, sia in grado di arrecare piacere che di
provocare insoddisfazione, lamentele e delusioni ecco perché ha senso cercare di capire e
analizzare il tipo di relazioni e contatti che si instaurano tra un prodotto, un brand,
un’azienda e chi ad essi si accosta. Ciò che conta, nello studio del marketing esperienziale,
sono i processi invece che gli scopi, le relazioni invece che le gerarchie, le percezioni
invece che i dati, i sentimenti invece che il freddo raziocinio, le capacità innovative invece
che le regolamentazioni ordinate e sistematiche. L’attenzione del marketing si sta sempre
più focalizzando sull’importanza del saper offrire esperienze di consumo globali che siano
significative e qualificanti per l’homo ludens, orientato al gioco e alla ricerca continua di
divertimento, emozioni e gratificazioni.
Si tratta della diretta conseguenza dell’individualismo che sta imperversando ormai
da decenni nella nostra società e che ha come sua traduzione più immediata l’orientamento
al carpe diem, al "tutto e subito" e la ricerca del piacere che si declina nel perseguire stati
di benessere e di felicità. Come sostiene l'autore di Experiental Marketing, le esperienze si
verificano in seguito all’affrontare, al subire o al superare situazioni; sono stimolazioni
indotte ai sensi, al cuore e alla mente. Esse, inoltre, uniscono l’azienda e il brand allo stile
di vita del consumatore e collocano sia le azioni del singolo che l’occasione d’acquisto in
un contesto sociale più ampio.
Schmitt suddivide l’esperienza umana in cinque differenti tipologie - ognuna con le
proprie strutture e i propri processi intrinseci - che chiama anche SEM, Strategic
Experiential Module; le cinque tipologie sono il Sense, il Feel, il Think, l’Act e il Relate le
quali agiscono in una scala di coinvolgimento crescente.
Il Sense è il primo e più basso livello di esperienza. Si tratta di un modulo che
costruisce esperienze sensoriali utilizzando il gusto, l’olfatto, il tatto, l’udito e la vista. Il
suo obiettivo è quello di ottenere un impatto sensoriale sui consumatori per aggiungere
valore all’identità di marca o di prodotto. Le Cantine Isola a Milano, ad esempio, sanno
stimolare i suoi ospiti attraverso tutti i sensi: oltre, all'odore del legno delle pareti, degli
scaffali e delle botti, soddisfano il palato grazie agli “assaggini caserecci” preparati dalla
proprietaria o da clienti fidelizzatissimi che portano il cibo precedentemente preparato a
casa per poter bere insieme.
Il secondo modulo è il Feel, al quale afferiscono le esperienze affettive e interiori
del consumatore. L’obiettivo è quello di creare esperienze affettive collegate allo spazio,
saper suscitare una gamma di sentimenti euforici, che vanno dalla dolce melanconia alla
gioia, dalla speranza alla felicità, dal divertimento all’allegria. Il prodotto deve essere in
grado di giocare con il magico mondo delle emozioni del consumatore postmoderno.
Il modulo del Think ha l’obiettivo di creare stimoli ed esperienze per la mente. Esso
fa appello alle capacità intellettive e creative dell’uomo, alla sua voglia di scoprire, capire e
apprendere cose sempre nuove, al suo desiderio di essere sorpreso e provocato, alla sua
propensione a riflettere, risolvere, scovare ed escogitare.
Il modulo dell’Act consiste nel proporre azioni fisiche e corporee ai clienti, che
vengono coinvolti mostrando loro nuovi stili di vita, in grado di arricchire la loro esistenza
e suggerire prospettive alternative. Il marketing relativo a questo modulo consiste sempre
in un invito all’azione.
Il modulo del Relate, infine, ingloba al suo interno tutti i moduli precedenti ma va
oltre l’esperienza personale dell’individuo, perché lo inserisce in un contesto sociale più
ampio. In questa fase, l’esperienza è in grado di mettere l’individuo in relazione con il sé
ideale, con gli altri individui e con le altre culture. In questo senso, il marketing del Relate
afferisce direttamente all’identità del soggetto.
Questa prospettiva sembra separare i cinque elementi e quindi risultare deficitaria
rispetto ai meccanismi di costruzione di significato, in realtà questi sono fortemente
interrelati e cementificati dall'eccedente passionale descritto prima. La soggettività in gioco
nelle narrazioni non è punto di partenza, ma di arrivo nei programmi d'azione e soprattutto
dell'esperienza che in essi hanno luogo e con essi hanno luogo: un'esperienza
intersoggettiva (sociale e culturale) e presoggettiva (sensoriale e corporea) e quindi in
senso lato patemica e affettiva (Marrone, 2007).
1.7. Dal PDV al museo
Fino ad ora ho parlato dello spazio commerciale e dei PDV che si interessano alla
commercializzazione dei vini, ma anche della loro e delle relazioni che si intrecciano tra
soggetti e oggetti di cui lo spazio è teatro. A tale proposito un'iniziativa particolarmente
interessante è stata promossa dal MOMA di San Francisco dal 20 novembre 2010 al 17
aprile 2011; il San Francisco Museum of Modern Art ha presentato How Wine Became
Modern: Design & Wine 1976 to Now. La mostra ha avuto lo scopo di esporre le
trasformazioni nella cultura visiva e materiale del vino nel corso degli ultimi tre decenni.
Offrire una nuova chiave di lettura per intendere la cultura contemporanea del vino e del
ruolo che il design ha giocato nella sua trasformazione. Organizzata da Henry Urbach e da
Helen Hilton Raiser curatore di Architettura e Design, in stretta collaborazione
interdisciplinare con artisti e architetti. Lo scopo della mostra è stato quello di considerare
la cultura del vino moderno in un sistema globale e integrato ancora in espansione e ricco
di sfaccettature.
La crescente consapevolezza sia locale che globale del discorso del vino fa sì che vi
si inseriscono la nascita della critica del vino, il turismo della vigna, l'innovazione, la
diversificazione, la globalizzazione, nuove strategie di marketing e una diversa
accessibilità al mondo del consumo di questo prodotto. Urbach afferma: "il vino è
diventato 'moderno', ha ripensato la propria rappresentazione e si è unito ad altre forme di
cultura", tra cui l'architettura, grafica e design industriale, arti visive, arti dello spettacolo e
del cinema e aggiunge: "in questo particolare incrocio tra natura e cultura contemporanea i
significati sociali del vino rivelano questioni chiave del nostro momento, comprese le
caratteristiche e l'autenticità dei luoghi di provenienza in un mondo sempre più strutturato
dalla dematerializzazione e dall'esperienza virtuale" (comunicato stampa ufficiale del
SFMOMA, 2010). La mostra progettata da Diller Scofidio & Renfro, combina modelli
architettonici e oggetti di design, opere d'arte ultramoderne, presentazioni multimediali
con opere tradizionali create dalla e per la viticoltura. I visitatori incontrano queste opere
d'arte, gli oggetti e le informazioni all'interno di ambienti inglobanti, quasi teatrali che
coinvolgono più sensi, compreso l'olfatto. Nel seguente paragrafo esporrò brevemente la
struttura spaziale della mostra quale esempio di un'ottima commistione tra sapere e sapore,
tra cultura tradizione e spazialità nonché le relazioni che essi intrattengono; queste
relazioni generano delle trasformazioni il cui risultato è assolutamente eccellente dal punto
di vista comunicativo.
1.7.1. Struttura dello spazio espositivo
La mostra è organizzata secondo una successione di suite di gallerie, come segue:
Ingresso: entrando i visitatori passano accanto al nuovo murales prodotto da Peter
Wegner dal titolo In[ ]Veritas realizzato con più di 200 colori di vernice le cui
nuances sono legate al vino (fig. 1 - 2). Il murales di Wegner è lungo più di 70 metri
e riempie un alto muro curvo con lo scopo di volere mostrare la diffusione del
linguaggio del vino nella quotidianità.
fig. 1.1 fig. 1.2
Il giudizio di Paride: è questo l'evento che dà il via all'idea della mostra di cui
restano poche tracce reali nonostante l'episodio abbia raggiunto uno status mitico8.
Gli artefatti chiave che sono stati presentati sono le due bottiglie vincenti e
l'originale articolo di Time Magazine. Diller Scofidio & Renfro hanno
rappresentato questo momento con un grande fotomurales che ritrae attori
contemporanei in costume dell'epoca, rievocando Leonardo da Vinci e l'Ultima
Cena (fig. 1.3 - 5), offrendo un sorprendente grado di realismo. Lungo un bordo di
8 In questa accezione mitico non ha un carattere semiotico
questa galleria una parete traslucida regala ai visitatori un assaggio stuzzicante
della finalità della mostra: The smelling wall (fig. 1.4).
fig. 1.3 fig. 1.4
Terroir:
fig. 1.5
fig. 1.6
mostra è tematizzato dall'installazione di piccoli campioni di suolo appartenenti a
17 vigneti di tutto il mondo (fig. 1.6); per ogni porzione di terra è associato un
microclima (le cui temperatura e umidità sono rese in tempo reale). Queste teche
con il suolo sono accompagnate dalle didascalie le quali contengono una citazione
del viticoltore circa la sua comprensione del terroir. Si ha quindi un sincretismo di
elementi verbali e non verbali che, rafforzandosi a vicenda, producono e
propongono ai visitatori l'effetto di senso desiderato.
Vini nel mondo: attraverso contenuti multimediali i visitatori possono visualizzare i
dati, elaborati da Robert Gerard Pietrusko e Stewart Smith, relativi ai cambiamenti
della produzione mondiale di vino e del consumo nel corso degli ultimi 30 anni. Il
I visitatori passano dietro il tableau per scoprire
che l'immagine rappresentata nel fotomurales è il
veicolo di significazione di tutta la mostra. A
partire da questa galleria viene introdotto il
concetto di terroir; una valorizzazione del luogo,
del territorio che è fondamentale per la cultura del
vino. Attraverso questo valore è facile veicolare le
qualità distintive, anche uniche del suolo e del
clima, successivamente individuate nel carattere,
nel gusto e nell'aroma del liquido. Con
l'espansione della viticoltura in tutto il mondo, il
terroir è diventato una sorta di mito che gli
enologi evocano stabilmente e che all'interno
della
pubblico ha potuto constatare, per esempio, la diminuzione della superficie di terra
dedicata alla viticoltura in Europa e l'espansione dei vigneti in "nuove " regioni ma
anche gli effetti della comunicazione mediatica globale e della cultura popolare.
Produzione moderna: una piccola galleria si giustappone alla scultura di Nicolas
Boulard dal titolo Shades of Wood, che raffigura uno spettro cromatico in 11
fig. 1.7
scuro il vino rosso ecc. In questa occasione sono stati presentati altri pacchetti di
additivi meno controversi dei precedenti, tra cui lieviti, tannini, e fagioli di rovere.
La presenza di questi elementi ha chiaramente scatenato un dibattito tra i visitatori
in merito alla naturalità del vino opponendo così le logiche economiche che hanno
dei ritmi sempre più serrati al valore della sostenibilità e della naturalità ormai
socialmente radicato e riconosciuto.
Label wall: le etichette dei vini e il packaging in generale, sono cambiati con un
unico scopo: fornire ai consumatori una comunicazione differente rispetto al ciclo
di vita della bottiglia stessa da quando viene scelta per essere acquistata a quando
fig. 1.8
Nella mostra sono state esposte circa 200 etichette recenti organizzate in categorie
narrative: buono/cattivo, ironico, vero/falso ecc. (fig. 1.8)
bottiglie di vino bianco (fig. 1.7), mentre il
fotografo Mitch Epstein del laboratorio-
cantina Opus One mostra una grande vetrina
contenente una selezione di prodotti impiegati
per fare il vino oggi: uno strumento utilizzato
per accelerare l'invecchiamento del vino in
botte, un additivo usato per far diventare più
viene aperta e consumata; è proprio in
questo frangente che il consumatore non
può più essere “spiato” dagli uomini del
marketing. Rimane solo il packaging che
con le sue figurativizzazioni crea un nesso
comunicativo tra soggetto e oggetto,
ovvero tra il consumatore e il vino.
Cristalleria: l'insieme di tutti gli elementi che costruiscono il discorso del vino sono
notevolmente cambiati grazie alla progettualità e all'impiego di nuovi materiali, non
ultima la cristalleria ha subito una profonda trasformazione (fig. 9 - 10). Decanter e
caraffe sono stati reinventati per aumentare i loro effetti ossigenanti ma anche per
intensificare il loro carattere espressivo. Allo stesso modo, il bicchiere di vino è
stato oggetto di indagine formale in corso negli ultimi anni.
fig. 1.9 fig. 1.10
Architettura e Turismo: negli ultimi 20 anni è esploso un nuovo legame tra cantine
e architettura. Decine di progetti degni di nota sono emersi di recente tra cui cantine
di Mario Botta, Santiago Calatrava, Norman Foster, Herzog & de Meuron, Renzo
Piano Building Workshop e Alvaro Siza, così come progettisti emergenti come
Sebastian Mariscal e Elica Z. Molti di questi edifici sono in California, Spagna e
Austria, anche se quasi tutti i paesi vinicoli hanno aderito all'iniziativa. Recenti
costruzioni relative al vino sono legate a Frank Gehry, Steven Holl, e Zaha Hadid
(rispettivamente un hotel/spa, un hotel/centro termale, e un padiglione/boutique di
degustazione) riflettono l'importanza di accelerazione del turismo del vino in questi
ultimi anni.
Fig. 1.11 fig. 1.12
In questa galleria una parete ha ospitato una serie di fotografie commissionate da Mitch
Epstein. La parete frontale mostra invece le fotografie di Thomas Ruff del Dominus Estate;
infine un docu-film di Bêka il quale mostra come i lavoratori vestiti da cowboy americani
bevono e festeggiano durante il periodo di intenso lavoro che segna il raccolto.
Infine proiettato sulla parete di fondo della galleria, l'artista Dennis Adams che cammina
per Bordeaux con un bicchiere di vino rosso in bilico pericolosamente vicino al suo
completo bianco immacolato (fig. 1.11). Passeggiando per la città l'artista racconta
spiacevoli momenti storici come il ruolo della città nel commercio degli schiavi e la
Francia di Vichy; Adams perde lentamente compostezza come le fuoriuscite di vino rosso
che inevitabilmente lo macchiano creando un forte legame patemico con lo spettatore, il
colore rosso figurativizza il sangue degli schiavi versato e il bicchiere un cuore straziato
(fig. 1.12).
Gusto e cultura popolare: il gusto del vino è stato mediato, da tutta una serie di
fonti, dai sommelier ai critici del vino e dei media popolari. Il ruolo e l'influenza di
questi mediatori non può essere sopravvalutata, come per esempio, i critici quali
Robert Parker influenzano non solo quello che alcuni consumatori acquistano, ma
anche ciò che alcuni produttori fanno. Un'alcova multimediale contenente otto
monitor presenta un medley di immagini tratte dalla televisione, dal cinema, dalla
pubblicità e da YouTube. Oltre a questo è presente una vasta gamma di materiali
per affrontare tre temi: tastemaking, educazione al vino e il vino in movimento. Gli
artefatti sono per la maggior parte libri ma anche altri supporti di stampa tra cui
l'influente manga giapponese Kami No Shizuku9, (fig. 1.13 - 14)giochi sulla
conoscenza del vino e altro. Infine il video Ritual Composition No. 1 di Marco
Brambilla tesse una matrice di immagini della storia del cinema con particolare
attenzione al rituale tintinnio dei bicchieri da vino.
fg. 1.13fig. 1.13
fig. 1.14
Smell wall: la creatività di Diller Scofidio + Renfro infine attira i visitatori in un
incontro intimo con l'odore di sette vini, ciascuno tenuto in una palla di vetro
sospesa su di una parete traslucida (fig. 1.15). Qui alla fine del percorso, dopo aver
9 Trad. “le gocce di dio”
“vissuto” il vino sotto vari aspetti socio-culturali, il muro porta gli spettatori in
contatto quasi diretto con il liquido stesso, offrendo l'opportunità di godere il suo
profumo tramite una sorta di educazione del naso. La commistione di parole i cui
significati sono scomparsi o risemantizzati, sono stati abbinati ad ogni vino per
sottolineare il ruolo del linguaggio nell'esperienza sensoriale: al termine della visita
il soggetto ne uscirà trasformato non termini narrativi ma in termini di
sensorialità10.
fig. 1.15 fig. 1.16
Coda: i visitatori giungono al termine del loro percorso ed escono dalle gallerie
seguendo il murales di Peter Wegner (fig. 1.1 – 2) vedendolo per la seconda volta;
la consapevolezza creata dall'esperienza ora rende più comprensibile ciò che
sembrava ambiguo inizialmente.
10 Da qui la nozione greimasiana di presa estetica, concettualizzazione di quel preciso istante entro il complessoprocesso che trasforma il soggetto non nei termini della dimensione narrativa ma in quelli, appunto, relativi alladimensione della sensorialità: un processo che schiva la cognizione, sospendendo la discorsività di spazi, tempie attori per far emergere, après coup dice Greimas, un altro ‘stato di cose’ – e suscitare, a posteriori, ossia almomento del riapparire della cognizione, un senso d’imperfezione e di nostalgia (Marrone, 2013)