Studio di alcune forme di degrado della facciata di Palazo Fizzarotti in Bari

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1 UNIVERSITA’DEGLI STUDI DI BARI “ALDO MORO” DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA E GEOAMBIENTALI CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN SCIENZE E TECNOLOGIE PER I BENI CULTURALI TESI DI LAUREA IN APPLICAZIONI MINERALOGICHE E PETROGRAFICHE PER I BENI CULTURALI STUDIO DI ALCUNE FORME DI DEGRADO DELLA FACCIATA DI PALAZZO FIZZAROTTI IN BARI RELATORI: LAUREANDA: Ch.ma Prof.ssa Marra Annalisa Di Cosola Iolanda Ch.mo Prof. Eramo Giacomo Ch.mo Prof. Laviano Rocco ANNO ACCADEMICO 2013/2014

Transcript of Studio di alcune forme di degrado della facciata di Palazo Fizzarotti in Bari

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UNIVERSITA’DEGLI STUDI DI BARI “ALDO MORO”

DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA E

GEOAMBIENTALI CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN

SCIENZE E TECNOLOGIE PER I BENI CULTURALI

TESI DI LAUREA IN

APPLICAZIONI MINERALOGICHE E PETROGRAFICHE PER I BENI CULTURALI

STUDIO DI ALCUNE FORME DI DEGRADO DELLA FACCIATA DI PALAZZO FIZZAROTTI IN BARI

RELATORI: LAUREANDA: Ch.ma Prof.ssa Marra Annalisa Di Cosola Iolanda Ch.mo Prof. Eramo Giacomo Ch.mo Prof. Laviano Rocco

ANNO ACCADEMICO 2013/2014

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INDICE INTRODUZIONE - Tesoro nascosto della città di Bari: Palazzo Fizzarotti pag.3

CAPITOLO 1 - Palazzo Fizzarotti: Storia tecnico-architettonica pag.5

1.1 – La nascita del Borgo Murattiano pag. 5

1.2 – La costruzione di Palazzo Fizzarotti pag. 6

1.3 – Il progettista: Ettore Bernich pag. 8

1.4 – La facciata e gli interni pag. 9

1.5 – Lo stile eclettico pag. 14

CAPITOLO 2 - Degrado delle facciate lapidee pag. 15

2.1 – Degrado ambientale pag. 15

2.2 – Alterazione meteorica ed antropogenica delle rocce

pag. 20

2.3 - Alterazioni su calcari e marmi pag. 21

CAPITOLO 3 – Indagine macroscopica e mappatura del degrado pag. 25

3.1 - Stato di Conservazione della facciata di Palazzo Fizzarotti pag. 25

3.2 – Mappatura del degrado pag. 31

CAPITOLO 4 – Indagine Diagnostiche pag. 33

4.1 – Campionamento pag. 33

4.2 – Microscopia ottica pag. 36

4.2.1 – Osservazioni petrografiche pag. 37

4.3 – Difrattometria a raggi X pag. 45

4.3.1 – Osservazioni difrattometriche pag. 46

4.4 – Microscopia elettronica a scansione (SEM) pag. 50

4.4.1 – Osservazioni con microscopio elettronico a scansione pag. 51

4.5 – Osservazioni conclusive pag. 61

CONCLUSIONI pag. 63

BIBLIOGRAFIA pag. 64

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INTRODUZIONE – Tesoro nascosto della Città Di Bari: Palazzo Fizzarotti

Nell'estremità del centralissimo Corso Vittorio Emanuele II, ai limiti nord–ovest del Borgo

Murattiano, sorge un palazzo dalle eleganti forme gotico-veneziane: e' l'imponente Palazzo

Fizzarotti. La scelta stilistica nell’edificazione del palazzo si pone in continuità con l’influenza

ed i reciproci rapporti che la Serenissima ha avuto con le città costiere del Mediterraneo sin dal

Medioevo, e si colloca in quel momento particolare della storia architettonica a cavallo fra ‘800 e

‘900 nota come “revival gotico”.

Palazzo Fizzarotti è un esempio di “tesoro” nascosto nel cuore della città di Bari ed il suo fascino

veneziano e le sue facciate decorate così diverse dalle costruzioni a blocco della scacchiera

murattiana, hanno attirato la mia curiosità ed il mio interesse, spingendomi a documentarmi sulla

sua origine e sulla sua evoluzione storica.

Le forme esteriori del palazzo, la sua ricca decorazione scultorea portano a pensare, all’occhio

non allenato, che si tratti di una costruzione antica, vicina storicamente a palazzo Ducale o ai

palazzi che con le proprie porte d’acqua si affacciano sul Canal Grande: si tratta, invece, si una

costruzione di pieno inizio ‘900 commissionata da un mercante leccese come simbolo del suo

potere commerciale e della sua ricchezza. Da allora è sempre stato di proprietà privata passando

dalle mani di diversi proprietari.

La presente ricerca si concentra soprattutto sullo studio della facciata e sulla individuazione delle

principali forme di degrado che la interessano: quella che è l’elemento più rappresentativo della

costruzione è al tempo stesso il suo “tallone d’Achille” proprio in virtù della sua collocazione nel

centro cittadino, in una delle strade che da sempre è stata un’arteria principale per il traffico

veicolare, esponendola in tal modo, oltre che agli agenti atmosferici, anche all’inquinamento

urbano.

Su apposita autorizzazione della Soprintendenza dei Beni Architettonici e Storici della Puglia e

della attuale proprietaria del palazzo, la Dott.ssa Vera Poli, è stata fatta in primo luogo una

indagine macroscopica dei fenomeni, che ha trovato conferma attraverso le indagini diagnostiche

operate sui campioni rappresentativi dei principali fenomeni di degrado prelevati in facciata.

Tali analisi potranno essere propedeutiche alla stesura di un futuro intervento conservativo

rispettoso delle caratteristiche materiche che compongono la facciata.

La ricerca è stata condotta sotto la costante giuda del Prof. Rocco Laviano, prof. di Applicazioni

mineralogiche e petrografiche presso l’Università di Bari e della Prof.ssa Annalisa Marra,

docente di Storia e Tecnica del Restauro, e del Prof. Giacomo Eramo, docente di Archeometria

delle Ceramiche.

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Le tecniche di analisi scelte in base agli ambiti di indagine da esplorare sono state le seguenti:

Diffrattometria a raggi X per il riconoscimento dei materiali che compongono il campione;

Microscopia ottica per osservare la stratificazione del materiale sul supporto lapideo;

Microscopia elettronica a scansione per un osservazione più accurata sia dei minerali

presenti che del loro modo di relazionarsi tra di loro.

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CAPITOLO 1 - Palazzo Fizzarotti: storia tecnico-architettonica

1.1 – La nascita del Borgo Murattiano Il cuore moderno del capoluogo pugliese è il Borgo Murattiano che si estende, aldilà di Bari

Vecchia, tra la costa e la ferrovia, con la sua scacchiera ortogonale. Il quartiere prende nome da

Gioacchino Murat, maresciallo di Napoleone Bonaparte e marito della sorella minore Carolina.

Ma la sua vicenda urbanistica prende le mosse durante il dominio ferdinandeo 1.

Il documento ufficiale che segna l’avvio della vicenda della fondazione del "borgo nuovo", e il

conseguente progressivo processo di emarginazione del centro antico è l’istanza portata nel 1789

a re Ferdinando IV dai due sindaci, Michelangelo Signorile per il Popolo Primario e Carlo Tanzi

per i nobili: si parlava della creazione di un borgo in espansione all’impianto urbano originario.

Dopo la concessione dell’autorizzazione del Re dei Borboni, il 26 febbraio 1790, l’architetto

barese Giuseppe Gimma venne incaricato dell’esecuzione del Piano e la zona scelta per la

realizzazione del borgo fu quella a ridosso del nucleo storico, compresa tra gli allineamenti di

Porta del Castello e Porta della Marina. Le principali istanze di rinnovamento erano dettate da

esigenze di salubrità dei suoli e dell’aria. Il Piano venne approvato il 18 dicembre 1790, ma

trovò opposizione mista ad eccessiva prudenza da parte dei nobili proprietari dei suoli non

disposti a vendere fruttuosi terreni extra moenia per scopi edificatori. Solo qualche decennio più

tardi, con l’avvento rivoluzionario napoleonico e l’arrivo, al governo in sostituzione dei Borboni,

di Gioacchino Murat, nel 1812, l’architetto Gimma venne incaricato di studiare una nuova pinata

del borgo, approvata di seguito l’8 aprile 1813, giorno in cui lo stesso Gioacchino pose la prima

pietra all’angolo fra gli attuali corso Cavour e corso Vittorio Emanuele II.

Il borgo, oltre le mura della città storica, si sarebbe esteso tra due elementi prefissati: il convento

dei Padri della Missione e la cappella dei Sartori, ed annullate le necessità militari che ancora

giustificavano il limite delle mura, Bari poteva affacciarsi sul territorio. Nel 1819 veniva

definitivamente autorizzata la demolizione della cinta muraria e della porta Castello al fine di

poter realizzare una reale connessione con il nuovo borgo. Il Piano così ideato, presto divenne

uno schema di sviluppo, un meccanismo di crescita illimitata, che trova solo nei propri limiti

fisici le ragioni del proprio esaurimento.

La realizzazione del borgo prese avvio di fatto il 28 febbraio 1815, quando venne rilasciata la

prima concessione di suolo. Gli assegnatari delle prime due concessioni non erano di estrazione

nobile, e ciò ci consente di fare una considerazione di carattere generale. Fu proprio il nuovo

popolo, cioè i nuovi proprietari, che avvertì fortemente l’esigenza di espandersi oltre le vecchie 1 Guidoni E. “Bari moderna: 1790 – 1990: rivista internazionale di storia urbana e territoriale”, Elmond, Milano, 1990, pp. 13 – 32, 76 – 77.

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mura, mentre le famiglie di antica nobiltà e del popolo primario rimasero ancora per parecchio

tempo abbarbicati ai loro palazzi nella città vecchia. L’edificazione ebbe uno sviluppo veloce: le

isole a pianta regolare, con l’aranceto centrale come stabilito negli “Statuti murattiani”, approvati

nel 1814, costruite erano già tre nel 1818, dieci nel 1826.

Fra il 1829 ed il 1830 si iniziarono gli edifici pubblici rappresentativi collocati sugli assi

principali della griglia ippodamea: la Camera del Commercio, la Biblioteca, ora perduta; nel

1840 veniva posta la prima pietra del teatro Piccinni su corso Vittorio Emanuele.

L’abbattimento della cinta muraria introduceva nello sviluppo di Bari il tema classico della città

ottocentesca. Il superamento del perimetro murario, con la sua possibile conservazione o

distruzione stabiliva il momento cardine del rapporto tra la struttura antica e quella nuova, in

quanto la soluzione di questo problema, in un modo o nell’altro, determinava la maniera in cui

queste due parti della città sarebbero entrate in comunicazione.

A Bari la distribuzione spaziale contrapposta delle due parti (città vecchia e nuovo borgo) e la

assenza di tracciati emergenti nel fitto tessuto del nucleo antico capaci di proiettarsi nella città di

nuova edificazione, determinò la naturale formazione di un asse viario strutturante,che

contenendo la città vecchia ed introducendo alla nuova, metteva a confronto le due parti alla

scala urbana definendone la differenza e l’autonomia. Su Corso Vittorio Emanuele divenne la

tipica della "strada – corridoio", centrata sulla coppia funzionale e rappresentativa: Palazzo

dell’Intendenza – teatro. Il Corso era destinato a diventare l’asse privilegiato di una

rappresentatività tutta interna al "corridoio", interamente misurata sul carattere privato e

borghese delle residenze. Tra la vecchia classe aristocratica, che restava ancorata ai valori della

città storica, e la borghesia emergente esisteva lo stesso divario e la stessa incomunicabilità che

caratterizzava la crescita della città nuova.

1.2- La costruzione di Palazzo Fizzarotti Edificato sul lato ovest del Corso Vittorio Emanuele II - "strada – corridoio", riveste un notevole

interesse storico ed artistico per i suoi particolari caratteri architettonici propri del Neo Gotico.

La concessione edilizia per la edificazione del palazzo fu rilasciata dal Comune di Bari nel 1850

al sig. Nicola Lagattola, che nel 1858 vendette il terreno al sig. Nicola Loiacono: quest’ultimo

costruì il pianterreno ed il primo piano.

Determinante per il futuro del palazzo fu l’acquisto nel 1904 da parte di Emmanuele Fizzarotti,

un ricco banchiere di origine leccese, vissuto a Bari, membro attivo della vita politica,

economica ed amministrativa, fondatore dell’omonima banca e consigliere della Camera di

Commercio.

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Il 17 giugno 1905 egli presentò il progetto, redatto dall’ingegnere Ettore Bernich e dell’architetto

Augusto Corrandini, per la realizzazione del secondo piano e per la ricostruzione di tutta la

facciata e degli interni in stile gotico veneziano. L’anno successivo fu presentato un secondo

progetto del Bernich sulla realizzazione del quarto piano con il loggiato con colonne binate e più

ricche soluzioni decorative su tutto il prospetto 2.

Articolo tratto dal “U Corriire de BBàre” 1984

L’intero palazzo si configura come omaggio a Venezia, a cui Bari era molto legata da rapporti di

amicizia sin dal XI secolo. Ne è la prova a tal senso la raffigurazione dell’arrivo del Doge Orsolo

II e della sua flotta in soccorso della città di Bari, assediata dai Saraceni nel 1002. L’intero

apparato decorativo del fabbricato è l’emblema della personalità del committente Emanuele

Fizzarotti 3.

Particolarmente interessante risulta la singolarità dello stile del palazzo, sicuramente legata alla

sua committenza, capace di incidere sia sul disegno della città che nello scenario della

produzione teorico-pratica dell’architetto romano. Nei fondi dell’Archivio di Stato di Bari sono

custoditi interessanti grafici di progetto che attestano le fasi di costruzione del Palazzo Fizzarotti.

In base al provvedimento del 1903, per la concessione dei permessi edificatori nel borgo

murattiano, furono presentati dal proprietario Emanuele Fizzarotti all’Ufficio Tecnico Comunale

2 Berrino A., “Ettore Bernich 1850/1914. Storia, progetto, restauro”, Ed. Prospettive, 2006, pp. 162. 3 E. Fizzarotti, “Bari nel presente e nel suo avvenire”, Bari, stab. Avellino & C., 1913

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di Bari il “tipo o disegno dell’erigenda fabbrica”, che in genere si limitava al prospetto, gli

elaborati grafici, redatti da Bernich per il “restauro” del palazzo sito in Corso Vittorio Emanuele

II al civico 193.

Cartolina che ritrae Palazzo Fizzarotti

1.3 – Il progettista Ettore Bernich nacque a Roma 1850 e si formò nell’ambiente classicista dell’Accademia di San

Luca, svolgendo il praticantato presso lo studio di Felice Cicognetti, architetto, incaricato dagli

archeologi Panthon e Parker di rilevare i più importanti monumenti romani. Questa fu

l’occasione per studiare dal vero e con spirito critico lo studio dell’arte antica, appassionandosi

contemporaneamente alla ricerca storica.

Dal 1874 ricevette molti incarichi professionali nel campo dell’edilizia residenziale urbana

sperimentando nuovi stili:

cinquecentesco rinascimentale (casa Stabbinelli in San Francesco Ripa)

dorico (casa Vannucci)

romano classico (Palazzo delle Colonne in Via Claudia)

italico (via Nomentana)

medievale (via Alessandria)

pompeiano (casa Salvatori)

Partecipò a vari concorsi di progettazione per la realizzazione degli edifici pubblici della

Capitale rappresentativi dello stato centrale tra cui il Vittoriano come cenotafio di Vittorio

Emanuele II, il Palazzo di Giustizia realizzato su progetto di Calderini, il Tempio israelitico.

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Prese parte al gruppo degli “Architetti Attivi nell’Urbe” verso la fine dell’800 che erano alla

ricerca di un nuovo linguaggio architettonico di respiro internazionale che, con l’occhio attento

al passato desse forma alle istanze di rappresentatività della classe borghese.

Nel 1892 Bernich arrivò in provincia di Bari e si espresse come un architetto che eliminava le

sovrastrutture, per esempio la veste barocca conferita alle chiese romaniche, per riscoprirne la

facies originaria.

Egli voleva esaltare la produzione regionale e quindi rivalutare il medioevo pugliese, aprendo un

dibattito circa l’originalità dell’architettura locale. Nel 1894 Bernich fu invitato da un gruppo di

intellettuali, fondatori della Società degli Studi Storici Pugliesi ed impegnati da un decennio

nella pubblicazione della Rivista “Rassegna Pugliese di Scienze, Lettere ed Arti”.

Col tempo venne considerato “restauratore dello stile greco-romano” e divenne più incisivo nei

suoi interventi tanto da essere visto con un atteggiamento “falsificatore” ed un “manipolatore

dell’illustre architettura medievale”.

L’attività svolta dall’architetto Ettore Bernich, fino alla morte a Napoli nel 1914, nel restauro dei

monumenti medievali pugliesi costituisce un utile banco di prova per la maturazione di

quell’esperienza che lo condurrà alla realizzazione del Palazzo Fizzarotti a Bari, ovvero la sua

principale opera di “progettista”, in Puglia, nonché uno dei suoi lavori più rilevanti anche per

l’impegno profuso negli interni 4.

1.4 – La facciata e gli interni Il Palazzo si presenta come un imponente edificio dalla facciata eclettica: molti degli stilemi del

romanico pugliese vengono fusi con diverse tradizioni architettoniche 5.

veduta frontale

4 Guarnieri A. “Pietre di Puglia: Il restauro del patrimonio architettonico in terra di Bari tra Ottocento e Novecento”, Gangemi Editore, 2007, pp. 83 – 93. 5 Signorile N., Gismondi F.P., “Atlante’900”, Editrice Laterza, 2009.

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Gli interni, accessibili mediante un suggestivo androne marmoreo, in asse con la facciata,

presentano diverse decorazioni che richiamano l’epoca federiciana, allegorie delle attività

economiche della Puglia e simboli esoterici.

La facciata è composta da tre livelli sovrapposti in stile veneziano sui quali si apre una loggia

colonnata, come detto omaggio alla liberazione della città di Bari occupata dai Saraceni

compiuta dalla Serenissima nel 1002 6.

La facciata é rivolta a mezzogiorno ed é strutturata in cinque arcate ogivali, affiancate,

all’estremità, da due torri, sormontate da cupolette finemente decorate, con mosaici a foglia

d’oro, raffiguranti il “sol levante”.

Al di sotto, entro nicchie sono collocate due statue nelle quali si possono individuare le

figurazioni della Giustizia e del Commercio, poste al di sopra di due medaglioni musivi

raffiguranti Federico di Svevia e suo figlio Manfredi.

Quattro medaglioni disposti fra le arcata ogivali e realizzate a mosaico policromo con fondo a

foglia d’oro, rappresentano:

la Fenicia;

l’eroe toponimo della città di Bari “Barinon” o Barion;

lo stemma della Città di Lecce, da cui la Famiglia Fizzarotti proveniva;

lo stemma personale di Emanuele Fizzarotti recante la scritta “quamquam fractae

vulnerant” (malgrado siano rotte feriscono ancora).

Stemma di Emanuele Fizzarotti

6 Melchiorre V.A. “Bari”, Mario Edda Editore, 2001.

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I balconi, le finestre, trifore e bifore, sono in pietra abilmente scolpita come tutta la facciata.

Quest’ultima manifesta un armonioso contrasto tra la compatta ma semplice pietra e le linee

degli archi, a sesto acuto che, insieme ai pilastri in rilievo, con relativi basamenti e capitelli,

incorniciano tre livelli di finestre bifore rastremate, a salire, nella loro luce. Lo stesso dicasi per

la luce delle arcate ogivali snellite dalle due slanciate torri laterali.

Un effetto ottico di prospetto complessivo ”sfondato” sia orizzontalmente che verticalmente.

II quarto livello (piano terzo sopra il piano terra) é percorso, per tutta la sua lunghezza, da una

loggia con colonnine binate che sostengono una cornice di coronamento.

Foto dei primi del ‘900 del piano del loggiato

Dal portale, in massello di quercia intarsiato, si accede all’androne, con veduta sulla fontana del

Nettuno, sita nel retrostante cortile, da cui é diviso con artistica inferriata, in ferro battuto, in stile

liberty.

Fontana del Nettuno

L’armonia del pavimento, un’armonica spina di pesce in pietra, basaltica e calcarea, é completata

dalle monastiche panche e dalle colonne in porfido che anticipano la raffinatezza delle pareti e

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del corpo scala, interamente affrescate, rivestite con pregevoli marmi lavorati, abbellite dalle

porte di accesso agli ambienti, anch’esse in noce a massello, finemente intarsiate in cui é

incastonata la testa del Mercurio.

La balaustra é interamente in marmo di raffinata fattura con colonnine in porfido. II leone a

“guardia” della scalinata, e anch’esso in rosso porfido. I corpi illuminanti sono in ferro battuto,

nell’androne e lungo la scalinata.

Il piano terra presenta ampie sale con volte a botte e pregevoli vetrate, infissi, porte interne e

boiseries.

Raffigurazione dell’arrivo del Doge Orsolo II in Bari nel 1002

II primo piano col salone trecentesco, salone rosa, salone del caminetto, salone delle arti e del

lavoro merita particolare attenzione per il carattere di alta rappresentatività che lo rende unico

nel suo genere per l’elevata raffinatezza degli stili decorativi, degli arredi parete ed in quanto

riveste e riflette il particolare periodo dell’eclettismo che ha lasciato pregevoli esempi in Italia,

purtroppo per la maggior parte andati distrutti ed in tutta la Mittel Europe; comprende quattro

saloni centrali, dei quali tre collegati tra loro, ed il quarto, raggiungibile attraverso il saloncino

d’attesa. Detti saloni, meglio descritti nelle varie sezioni, sono affiancati da altri sei saloncini,

decorati nei diversi stili, com’é tipico dell’eclettismo.

Il Secondo piano é stato recentemente rinnovato e presenta saloni e saloncini con soffitti

decorati. In particolare, il salone dell’appartamento a destra salendo, presenta un pregevole

pavimento in battuto veneziano con rosone e mosaico centrale.

Il Terzo piano, anch’esso lussuosamente restaurato, presenta porte e serramenti in massello,

pavimenti in marmo di Carrara con inserimenti a “tappeto” di antichi impiantiti di

condizionamento, impianti d’allarme, i collegamenti con fibre ottiche ed in rete, impianti

telefonici con centralino. É caratterizzato da un monumentale loggiato che percorre tutta la

facciata, ad archetti ogivali con pareti e soffitto dipinti e pavimento in marmi pregiati. Si affaccia

sul panorama cittadino ed il Corso Vittorio Emanuele II.

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L’immenso apparato decorativo che abbellisce la struttura architettonica fu affidata ai fratelli

Nicolangelo e Giovanni Favia, eseguito con rilevanti capacità, data da una tradizione secolare di

abile lavorazione della pietra in forme dalle culture del Mediterraneo che fluivano a Bari da

attività politiche e commerciali. Invece, gli elementi pittorici furono realizzati da Francesco

Rega. Per le opere musive, oltre alle maestranze locali, non mancarono artigiani provenienti da

Venezia e Ravenna. Le influenze culturali sono responsabili della varietà di tecniche e la loro

realizzazione fu possibile grazie alle evidenti disponibilità economiche del committente.

Caduto in abbandono alla morte del proprietario nel 1926, il palazzo passò nel 1936 alla Banca

del Fucino 7.

Durante la seconda guerra mondiale, fu preso in considerazione come sede degli Alti Comandi

del Ministro della Guerra (1938), ma non fu ritenuto adatto per la sua pianta e la distribuzione

interna, anche se ottimale come posizione strategica 8.

Nel contesto dell’eclettismo storicistico della seconda metà dell’800, Bernich riuscirà ad

accostare alla sua passione per l’arte e l’architettura storica pugliese lo stimolante

approfondimento di temi bizantini e romanici richiesto dalla committenza, attingendo nel

contempo ai fondamenti del medievalismo di stampo veneziano. Bisogna del resto considerare

che, nella seconda metà del XIX secolo, proprio a Venezia si pubblicavano i più importanti studi

sull’architettura medievale e si traducevano i principali saggi sul gotico e sul romanico.

Diversamente dai precedenti lavori, in tale opera le influenze di matrice gotico – bizantina

vengono mutate con l’utilizzo, nell’ornamentazione e nella scultura locale, di motivi formali e

tettonici di matrice romanica e proto rinascimentale. In tal senso Bernich si spinge oltre una

semplice ripresa stilistica, traducendo nell’architettura e in ogni elemento della decorazione del

palazzo lo splendore dell’arte normanno-sveva con particolare riguardo anche a fattori

celebrativi, come nel caso dei mosaici in facciata con le effigi di Federico II e Manfredi.

Il palazzo è, quindi, il segno tangibile del bisogno di legittimazione di una classe borghese che

andava allora acquisendo una propria dignità riservata in precedenza alla sola aristocrazia.

Dovendo misurarsi con tale tematica l’architetto Bernich, profondo conoscitore e divulgatore dei

caratteri del romanico pugliese nei suoi progetti, in questo caso deve ricorrere a modelli

esplicitamente veneziani arricchiti con stilemi ricavati dalle architetture pugliesi del XIV secolo,

che sottolineerà sia nelle partiture lapidee che nelle opere scultoree che adornano l’edificio.

Si è notato che il desiderio del Bernich di modernità è mitigato fortemente dalla Commissione

Edilizia la quale definisce con toni forti il grado di libertà di espressione del progettista e

dell’intraprendenza delle classi emergenti.

7 Berrino A. “Ettore Bernich 1850/1914. Storia progetto restauro”, Ed. Prospettive, 2006, pp. 159 – 169. 8 Archivio di Stato di Bari (ASba), Archivio Storico del Comune di Bari, Busta 20, Fasc. 6.

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1.5 – Lo stile Eclettico

Si basa sullo studio di fonti diverse accogliendo da ciascun di esse gli elementi ritenuti migliori.

Ha caratterizzato la seconda metà del XIX secolo. Con lo stile eclettico si identifica pertanto nel

periodo storico immediatamente successivo al neo-gotico e gothic-revival caratterizzato

dall’intento di ricorrere agli stili del passato scegliendo quello più consono alla destinazione

dell’edificio da progettare ed erigere; ricercando scrupolosamente nell’ architetture del passato

precisi suggerimenti, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto esterno, nell’illusoria fiducia che

rievocando gli stili passati potesse davvero scaturire un’architettura italiana autenticamente

innovativa e valida. Si sviluppo nei primi anni del secolo perché non aveva ancora un suo

linguaggio. Venne definita eclettica perché senza un indirizzo, ma che mira all’armonia “dei

principi” che ritiene i migliori di sistemi e indirizzi diversi.

Stili antichi fusi insieme ma con spirito moderno. Il filone neo-ecclettico di fantasia con

reintegrazioni in stile e ricostruzioni medievali (soprattutto di ispirazione toscana) si affermerà

dopo il 1910, nel recedere del Liberty, accentuando i caratteri individualistici nella ricerca di

forme irripetibili su larga scala e del pezzo unico eccezionale.

Il medioevo è visto come segno dell’estetica libera e l’amore degli artisti e degli architetti è

verso modelli del ‘300 ‘400, libertà che si vede nello stile medievale è nei volumi asimmetrico

ricchi di particolari e decorazioni policrome, fu motore di audacia interpretativa.

Lo storico Alfredo Meloni:

“ il nostro paese è tanto ricco di arte antica da scoraggiare i più arditi sognatori di forme nuove

[...]. Quando si hanno delle tradizioni così alte, è difficile abbandonare il vecchio per il nuovo”.

La disinvoltura e libertà degli architetti mira a concentrarsi sul mattone e le pietre caratteristiche

locali (come nel medioevo) oltre ai materiali decorativi propri del brillante artigianato locale. La

decorazione è importante: fatta di merlature, loggiati.

Dai bugnati a bozze in “granitone” della zoccolatura del piano terreno si passa al finto bugnato

dipinto o in cemento dei piani superiori. Varie applicazioni in ferro battuto completano gli edifici

(in contrasto con la rustica edilizia). Intorno all’architetto abbiamo importanti figure quali

artigiani ed operai di elevato livello qualitativo. È da molti considerata un’architettura di lusso o

comunque di grande impegno economico, perché rivolta ad una clientela ricca soprattutto

imprenditoriale (già presente nel Liberty). Questo ceto cresceva di potere e ricchezza

assomigliando all’aristocrazia, non mancò un ritorno allo stile ‘700 neo-barocco che fosse da

esibire come simbolo di pregio 9.

9 Carra F. “La conservazione delle facciate. Materiali e tecniche per il recupero”, Ed. Tecniche Nuove, 2004, pp. 88 - 92.

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CAPITOLO 2 - Degrado delle facciate lapidee

“Principale obiettivo del progetto di conservazione è quello di favorire la trasmissione futura di

un manufatto preservando la permanenza dei suoi materiali originali e limitando le sostituzioni

ai soli casi inevitabili dove il degrado è irreversibile”. (Feiffer, 1997)

“Il progetto di recupero costituisce ormai un segmento importante dell’attuale progettazione

architettonica, nonostante la contraddizione delle due parole: “progetto” significa proiezione in

avanti nel futuro, nel futuro, attraverso uno strategia di azione che rende possibile ciò che

ancora non lo è; “recupero”, al contrario, rimanda a qualcosa che è, alla conservazione

del’oggetto arcitettonico, alla sua fisicità”. (Zorgno Trisciuglio, 2001)

Un’opera edilizia è composta da un’alta varietà di componenti, materiali e tecnologie costruttive

che obbligano a studiare la composizione materica prima di proporre qualsiasi metodo di rimedio

del degrado ed assicuransi che questi in un futuro non siano nuova causa di degrado.

“Si restaura solo la materia dell’opera d’arte”.

Da quest’assioma fondamentale della teoria del restauro di Brandi discende l’impostazione

metodologica del restauro 10. L’evoluzione che il materiale ha nel corso della sua storia dipende

dal rapporto di questi, preso in considerazione come un sistema che ha una sua struttura

materica, con l’ambiente in cui è immerso. Sono diversi i parametri che regolano la dinamica,

che solo in via teorica sono individuabili e misurabili. Tuttavia le varie trasformazioni che

l’interazione genera sul manufatto a livello micro e macro-strutturale, sono l’effetto del

contributo globale di ogni parametro, ma non necessariamente dalla loro combinazione lineare.

Qualsiasi tipo di intervento effettuato sul materiale e/o sull’ambiente, rappresenta pertanto un

evento non trascurabile e che può modificare l’equilibrio dinamico instauratosi tra manufatto ed

ambiente, e deve essere valutato come tale, anche in considerazione delle conseguenze che

comporta su detto equilibrio. Il manufatto non può essere isolato dall’ambiente, tanto meno

quando questi non può essere spostato fisicamente, come nel caso dei monumenti architettonici.

Manufatto ed ambiente costituiscono un “sistema termodinamico”, che rappresenta in maniera

ideale e generale la maggior parte dei fenomeni osservabili nel processo di degrado di un

qualsiasi manufatto. La struttura materiale evolve dallo stato A allo stato B.

A B

10 Brandi C. “Teoria del restauro”, Roma, Piccola Biblioteca Einaudi, 1977, pp. 39 – 47.

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Questo schema termodinamico apparirebbe sia reversibile che non reversibile, dipende

esclusivamente dalla natura dei due stati A e B, non dal modo in cui si è svolto il processo.

È chiaro che lo stato B sarà diverso da quello A per qualche proprietà, inoltre il passaggio da A a

B è spontaneo, perché la natura possiede una preferenza per lo stato B, questa “preferenza” della

natura è descritta dall’ entropia, una grandezza fisica che cresce o rimane costante durante tutti i

processi che si svolgono nel sistema per lo stato in questione. I processi reversibili sono un caso

limite, puramente ideale, nel quale la natura manifesta uguale probabilità o preferenza per lo

stato iniziale e finale.

Ritornando al sistema termodinamico manufatto-ambiente, si può considerare lo stato originario

dell’opera come lo stato iniziale A, invece quello attuale lo stato finale B. Questa assegnazione

degli stati valida il concetto di irreversibilità del processo del restauro, per il semplice motivo

che non può essere invertito il segno del tempo. Ciò sembra chiarire il limite fisico di qualsiasi

intervento a voler riportare qualsiasi opera al suo stato originale. Da quanto detto si comprende

come qualsiasi materiale, inserito in un determinato ambiente, tende a mettersi in equilibrio con

esso; se i parametri ambientali cambiano nel tempo, essi provocano di conseguenza la perdita

dell’equilibrio raggiunto e la necessità, per l’oggetto , di “mutare” a fronte del cambiamento

ambientale.

Queste inevitabili trasformazioni sono il risultato di un cambiamento più o meno rapido ed

evidente delle caratteristiche originarie del materiale che , in conclusione, portano a quella che

abitualmente chiamiamo alterazione. La conoscenza dei meccanismi di alterazione e delle cause

che l’hanno determinata è fondamentale per una corretta programmazione di ogni intervento

conservativo e fornisce indicazioni utili sulle possibilità di impiego ottimale per ogni

determinato materiale lapideo. In particolare nel campo della conservazione della pietra si

procede seguendo particolari fasi di studio:

identificazione dei materiali e delle loro caratteristiche intrinseche

studio della morfologia, dei processi e delle cause di alterazione

scelta dell’intervento conservativo

2.1 – Degrado Ambientale

Si intende definire quel tipo di reazione che si instaura tra i materiali e gli elementi dell’ambiente

naturale, quali l’acqua, l’aria e gli organismi viventi, che nel tempo possono modificare la

struttura, la morfologia e la stessa composizione chimica. Qualsiasi pietra esposta all’aperto

subisce l’effetto del clima, della pioggia, della neve e degli inquinanti presenti nell’atmosfera che

17

ne causano una trasformazione, lenta ed inevitabile, modificandone la composizione geometrica,

fisica e mineralogica 11.

Il deterioramento è una fase importante del ciclo geochimico delle rocce che ha come effetto la

produzione di soluzioni e sedimenti, attraverso l’azione di agenti atmosferici (pioggia, vento,

neve ecc.)e biologici (batteri, alghe, organismi superiori).

Il deterioramento naturale delle rocce che compongono la facciata di un edificio rientra nello

stesso meccanismo di evoluzione lenta e continua. Va considerato come un adattamento dei

materiali rocciosi ai diversi ambienti in cui vengono a trovarsi dopo la loro genesi 12.

Per “degrado chimico” su supporti lapidei si intende una trasformazione più o meno radicale e

completa dei componenti mineralogici della roccia. Le trasformazioni chimiche principali a cui

sono soggette le rocce sono l’ossidazione, l’idrolisi e la solfatazione. Le modalità e i tipi di

alterazioni sono da mettere i relazione con la composizione chimica della roccia di partenza.

L’alterazione chimica produce quindi una profonda modificazione in materiali argillosi,

soluzioni saline e minerali insolubili, mentre il deterioramento fisico porta a un residuo di

materiale roccioso per lo più chimicamente inalterato. Un importante fenomeno di alterazione

chimica comune a tutte le rocce affioranti in qualsiasi luogo della Terra, è quello

dell’ossidazione che avviene all’interfaccia litosfera – atmosfera. Ricevono acqua per lo più dalle

precipitazioni piovose o nevose, e calore radiante dal sole. I risultati variano per intensità con il

clima, il tempo geologico, la topografia e l’attività biologica, e sono in funzione del tipo di roccia

di partenza.

Si parla di “degrado fisico” quando le rocce vengono ridotte in frammenti più o meno grandi

senza che questi abbiano subito cambiamenti chimici. Esso è prevalente nei climi molto freddi,

dove il degrado è legato a fenomeni di gelo-disgelo, espansione dovuta alla formazione di

cristalli di ghiaccio all’interno delle microfratture esercitano delle forze meccaniche sulle pareti

interne che comportano un aumento della porosità del materiale che diventa più soggetto ad

infiltrazioni di soluzioni acquose. O in quelli molto caldi e secchi, dove la frantumazione delle

rocce è dovuta a sbalzi termici da insolazione.

Fattori che influiscono direttamente sui fenomeni di deterioramento fisico sono la composizione

mineralogica della roccia, la grana e la sua tessitura. Il deterioramento fisico porta proprio ad

una diminuzione della grana con un aumento della superficie specifica disponibile per

l’eventuale alterazione chimica sempre possibile.

11 Amoroso G.G., Fassina V., “Stone decay and Conservation atmospheric pollution – clearing – consolidation and protection”, Elsevier, Amsterdam, 1983. 12 Carra F. “La conservazione delle facciate materiali e tecniche per il recupero”, Ed. Tecniche Nuove, pp. 102 – 116.

18

Il degrado ambientale non può prescindere dal prendere in considerazione i problema dei

biodeterioramento. Non esiste infatti materiale lapideo che ne sia sicuramente immune o

condizione ambientale che assicuri l’impossibilità di sviluppo di un qualunque agente biologico.

Naturalmente il biodeterioramento assume un’importanza diversa a seconda delle caratteristiche

della pietra e dell’ambiente. In condizioni di inquinamento dell’aria e in climi con periodi

piovosi e freddi, come quelli che caratterizzano la maggior parte dei paesi europei,

probabilmente il danno provocato dall’instaurarsi di meccanismi fisici come il gelo-disgelo e la

cristallizzazione dei sali è rilevante rispetto a quello di origine biologica, almeno nella

maggioranza delle situazioni.

Si definisce il biodeterioramento :

“Qualunque tipo di alterazione irreversibile, conseguente all’attività metabolica di una o più

popolazioni viventi, qualunque sia l’ordine di grandezza degli individui da cui esse sono

composte”.

Vanno comprese in questa categoria non solo i danni provocati da organismi microscopici, ma

anche quelli dovuti ad insetti e mammiferi(come pipistrelli), alla crescita di piante superiori, agli

uccelli.

L’ACQUA è il principale fattore ambientale responsabile del degrado perché innesca reazioni

chimiche sia da sola che attraverso il suo trasporto di soluti. L’acqua è veicolo di ossigeno che

può innescare reazioni chimiche di ossidazione, che essere un agente fisico di degrado attraverso

cicli di gelo e disgelo 13.

Il contatto con la superficie può avvenire per via esterna attraverso la pioggia, la condensazione

di vapore acqueo e neve, o per risalita capillare dalle fondamenta o falde acquifere, o per risalita

“orizzontale” dalla perdita di acqua durante la fase di cementazione delle malte o da sottostanti

tubature mal funzionanti. L’acqua piovana è carica di CO2 che reagendo con le molecole d’acqua

forma acido carbonico che diventa un fattore responsabile della solubilizzazione del carbonato di

calcio, principale componente delle superfici lapidee, e anche una modificazione fica della

struttura più interna conducendo all’indebolimento della tessitura della roccia, favorendo la

perdita di grani di calcare.

Il contatto con l’acqua può avvenire sulle superfici riparate dal dilavamento meteorico attraverso

la condensazione di un film di acqua. Il fenomeno di condensazione avviene quando si raggiunge

la temperatura di rugiada, al di sotto della quale il vapore acqueo passo dallo stato di vapore al

stato liquido, diventando substrato di adesione di particelle idrofile e sali.

La temperatura di rugiada varia in base all’igroscopicità permeabilità del materiale e varia in

base alla stagionalità. Macchie, erosioni, efflorescenze e muffe sono il risultato del rapporto tra 13 Amoroso G.G., “Trattato di Scienza della Conservazione dei monumenti”, Alinea Editrice, 2002, 45 – 60.

19

l’acqua assorbita e quella rilasciata attraverso l’evaporazione delle pareti della muratura, sono un

degrado dovuto ad umidità visibile. Invece il processo ciclico di condensa ed evaporazione nei

pori è invisibile ma causa importanti tensioni nel materiale.

Il migliore rivestimento deve essere impermeabile all’acqua, ma deve permettere la traspirazione

del vapore. Solfati e ossalati di calcio sono responsabili della formazione di Gesso, trattiene

acqua che rimanendo in superficie viene assorbita dal substrato e diventa base per la formazione

i croste nere.

Materiali lapidei naturali: si definiscono materiali lapidei naturali quei materiali che non sono

sottoposti al trattamento tecnologico che ne modifica i parametri fisici e meccanici. Rimangono

identici a come vengono estratti. In ogni caso rimangono differenti all’aggressività ambientale.

La loro resistenza al degrado ambientale è solamente dovuta alla loro composizione materica che

ne caratterizza il comportamento: il più durevole è il materiale siliceo, il meno resistente è il

materiale argilloso e i meno deteriorabili è quello di origine calcarea.

Il carbonato di calcio è un componente essenziale di molte rocce, come i marmi, ed è presente

soprattutto in arenarie e rocce calcaree. I silicati sono i più presenti nei graniti, sieniti, borati,

porfidi ed alcune rocce sedimentarie (arenarie). Le arenarie sono formate da clasti di quarzo,

mica, ossido di ferro, presentano elevata porosità ed un’ elevata sensibilità all’acqua ai sali e

all’inquinamento. Le rocce magmatiche intrusive (graniti, dioriti) e le rocce magmatiche effusive

(porfidi e basalti) di struttura cristallina sono resistenti agli acidi e no vengono attaccati dagli

agenti atmosferici ed inquinanti, resistono all’abrasione e al gelo e questa loro caratteristica

diventa un parametro tecnico per il loro utilizzo per rivestimenti esterni.

Pomice è usata per la preparazione di calcestruzzi leggeri;il tufo invece per costruzioni compatte.

Essere una roccia carbonatica non vuol dire essere sempre sensibile all’azione atmosferica,

perché ognuna si comporta in maniera diversa. Molto usato nei rivestimenti esterni è il

travertino, che si presenta molto poroso e facilmente attaccabile chimicamente, invece la pietra

d’Istria è una roccia dura che è stata adoperata a Venezia, un ambiente ricco di Sali.

Materiale lapidei artificiali: nacquero verso la fine dell’800, sono rocce modificate che sono il

frutto dell’eclettismo e dello stile Liberty, abbandonando la pietra per un più ampio uso del

cemento. Si usava mescolare materiali diversi per l’impasto del cemento in base alla sua

funzione. Un esempio è il cemento decorativo che può essere colorato con latte di calce e

coloranti organici, la loro combinazione era propria di ogni bottega, causando una varietà di

fenomeni di interazione che diventano la causa di ampi fenomeni di degrado.

20

I cementi decorativi rappresentano elementi decorativi delle facciate, che arrivano come pezzi

prefabbricati che sono spesso scomposti e da montare in loco. Sono ancorati con grandi ganci

metallici, zanche, graffe ed arpioni o per incontro e legato con malte. Creando così un

differenziale sia dal punto di vista del contenuto di umidità e per dilatazioni termiche. Spesso per

mettere in evidenza la “vera” faccia della facciata si tende ad eliminare il cemento decorativo,

ma il più delle volte questa operazione diventa pericolosa perché espone il materiale non pronto

ad un confronto can l’ambiente esterno 14.

2.2 – Alterazione meteorica ed antropogenica delle rocce

La cosiddetta alterazione delle rocce non è altro che una trasformazione della materia minerale

dovuta al disequilibrio esistente tra ambiente in cui le rocce si sono formate e dove vengono

posizionate. Le reazioni chimico – fisiche tra la litosfera e l’atmosfera , l’idrosfera, la biosfera

costituisce l’evoluzione o “l’alterazione” meteorica delle rocce. Quindi sia all’esterno che

all’interno, ogni roccia si comporta in maniera diversa rispetto all’ambiente in cui si trova.

L’alterazione è comunque un processo spontaneo quindi irreversibile.

Con l’avvento dell’era industriale, alle cause naturali di degrado dei monumenti si sono aggiunti

gli effetti dell’inquinamento atmosferico. Già nel 1861 venne creata a Londra la prima

commissione incaricata dello studio del degrado delle Houses of Parliament e fu talmente

immediata la presa di coscienza del problema che uomini illustri della scienza Humprey Davy e

Michael Faraday se ne occuparono. Con la legge Clean Air Act del 1956 si studiarono i livelli

di inquinamento da fumo e il loro effetto sui materiali 15.

Non solo l’accumulo di polveri carboniose venne sottolineato come nocivo, ma anche la “piogge

acide”. Queste furono il risultano di uno studio effettuato nel 1872 da Robert Angus Smith

raccolto nel testo Air and Rain: the beginning of Chemical Climatology, tra l’altro fu lo

stesso Smith ha coniare il termine piogge acide. Benché la relazione tra alterazione ed

inquinamento non è ancora provata al 100%, sono stati evidenziati negli ultimi 70-80 anni un

aumento esponenziale dell’alterazione del materiale lapideo 16.

Bisogna chiarire che la pietra non è immutevole, cambia naturalmente per contatto con

l’ambiente ciò che si può fare è rallentare il processo di alterazione attraverso uno studio attento

della pietra delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e mineralogiche.

14 Carra F., “La conservazione delle facciate materiali e tecniche per il recupero”, Ed. Tecniche Nuove, 2004, pp. 102 – 116. 15 Clean Air Act, 1956, 4&5 Eliz.2, Ch.52 16 Odén S. “The Acidification of Air and its consequences in the natural environment”, Ecology Committee Bullettin, n°1, Stockholm, 1968

21

Sintomatologie delle alterazioni lapidee

de coesioni, fessurazioni e frantumazioni dovuto ad effetti meccanici, a cicli di gelo e

disgelo, all’alternanza di umidità ed essiccamento, a pressioni di cristallizzazione e di

idratazione.

Stress da carico e dilatazione termica.

Esfoliazioni, scagliature, rigonfiamenti causati da reazioni con inquinanti atmosferici,

legati a fenomeni di condensazione e gelo, derivanti la risaliti di Sali solubili.

Disgregazione, polverizzazione per azione chimica, biologica e termica.

Incrostazioni, concrezioni, efflorescenze, placche, patine, pellicole, depositi di materiale

differente che reagisce cristallizza o per metabolismo biologico.

Alterazioni cromatiche e spotting derivanti da dilavamento, impurezze della roccia,

ruggine da ferri (ganci), alterazione di materiale protettivo o di consolidamento, azione

batterica.

Corrosione, erosione, alveolizzazione, pitting legati ad attacchi chimici, degrado

biologico, usura meccanica del vento

L’usura meccanica del vento svolge una funzione diversa a seconda della velocità, del tipo e

dimensione delle particelle e dell’umidità del’aria.[10]

< 100 µm le particelle sono incrostanti ed abrasivi

100/600 µm provocano solo corrosione (azione per lo più alla base ed ad altezze limitate)

600 µm non hanno una forza abrasiva importante

2.3 - Alterazioni su calcari e marmi

Sia la calcite che la dolomite sono solubili in acqua in presenza di una elevata percentuale di

acido carbonioso, quindi abbiamo un effetto di alterazione differenziata, cioè avviene il

fenomeno di degrado che non coinvolge tutta la roccia, ma solo determinati minerali sensibili a

quella determinata condizione ambientale. I cicli di umidificazione ed essiccamento modificano

la forma, il volume e le dimensioni del minerale, provocando un aumento delle pressioni interne

alla pietra dovuto alle forze apposte che si scontrano tra i cristalli con effetto di sfarinamento o

perdita di granuli o, nel caso di biocalcareniti, degli elementi fossiliferi presenti, modificando in

ogni caso la struttura della roccia nella suo complesso 17.

I depositi di sporco distribuiti in strati più o meno spessi sulle superfici degli immobili sono

composti da agglomerati solidi e da particelle semi solido. La natura di queste “croste” dipende

17 Frattini F., Manganelli Del Fà C., Pecchioni E., “Le pietre nel patrimonio monumentale italiano: processi e cause d’alterazione”, L’Edilizia e l’Iindustrializzazione, Nr 9, Dicembre 1987, pp. 474 – 483.

22

molto dall’ambiente in cui il manufatto si trova ossia se esso è di tipo industriale, urbano, rurale

o marino.

In base a ciò posso classificare le particelle in funzione della loro origine:

Industriale: ceneri, residui di combustibile, catrame, leganti minerali, fly ash.

Minerale: terra, fango, argilla, sabbia.

Marino: aerosol marino

Vegetale: residui vegetali, polline, fibre, alghe, licheni.

Animale: residui organici, insetti, batteri.

Gli ambienti che più danneggiano sono le zone urbane ed aree inquinate. Perdita di materiale

litoide dalle superfici dei monumenti in marmo e in calcare sono stati registrati in varie parti del

mondo, questo accerta che il fenomeno delle “croste” non è solamente europeo come

affermavano i primi studiosi del fenomeno.

Il calcale di Solnhofen ha mostrato una perdita di 0.54g per una superficie esposta di 2.5m2

durante un periodo di 3 anni 18 . Il monumento in pietra calcarea di Abraham Lincoln a

Washington sembra perdere 8mm in 60 anni 19.

Le osservazioni hanno rafforzato l’idea che nelle zone industriali la perdita di forti

concentrazioni di inquinanti atmosferici è la principale causa dei progressi di degrado accelerato,

rincontrabili negli ultimi decenni 20.

Taj Mahal è vicino ad una raffineria di Mathura , ad una distanza di 30km dal 1973, la quale ha

causato l’opacizzazione delle bianche superfici a causa del particolato atmosferico in SO4-2 e

NOx- e Cl- e metalli pesanti quali Pb, Mn, Zn che catalizzano la conversione di SO2 in SO3 21.

Venezia presenta un elevata aggressività marina, la quale si è innalzata contando anche l’attività

antropica legata all’attività dei solfati 22.

Le incrostazioni causano importanti modificazioni chimiche e fisiche sul supporto. Quelle di

natura bituminosa sono idrorepellenti e la loro presenza può essere dovuto al degrado di

interventi protettivi del passato. Desquamazioni ed alveolizzazioni sono le forme di degrado più

comuni sulle statue calcaree del Louvre 23. Ciò che si evidenzia è un’erosione della matrice

cristallina ed un aumento della porosità, associati al dilavamento ed a successive 18 North F.J., “Limestone their origin, distribution and uses”, London, 1930 19 Sorlini C. “Effetti ambientali delle Piogge Acide, Carbone e Ambiente”, Quaderni Le Scienze, 11, Dic. 1983, pp. 79, 87. 20 Lorusso S., Troili M., Biondi F., Marabelli M., Santamaria U. “Caratterizzazione delle qualità dell’aria in siti storici con differente tasso di metanizzazione”, 1st International Congress on Science and Tecnology for the Safeguard of Cultural Heritage in the Mediterranean Bacin, Catania, 1995, pp. 1151 - 1156 21 Sharma R.K., Gupta H.O., “Dust pollution at the Taj Mahal. A Case study. Conservation of Stone and other materials”, UNESCO – Rilem, Paris, 1993, pp. 11 – 18. 22 Fassina V., Lazzarini L., Biscontin G. “Effect of atmospheric pollutants on the composition of block clusts deposited on venezian marbles and stones”, Athens, Sept. 27 – Oct. 1, 1976, pp. 201 – 211. 23 Martinet G., Guedon J.S., Leroux A. “L’altération d’un calcaire lutetién dans un milieu urbain”, Conservation of stone and other materials, UNESCO – RILEM, Paris, 1993, pp. 336 – 343.

23

ricristallizzazioni. La presenza di solfati e cloruri è accompagnata da depositi metallici di natura

diversa (Zn, Fe, Ti).

AREE NERASTRE

Una maggiore attenzione negli ultimi anni è stata riservata alle pellicole i ossalati composte a

whedellite e weddellite. Le patine giallo-brune sono ossalati sulle pietre dell’Arco di Augusto a

Susa (Torino) 24 con whedellite e wedellite e gesso aghiforme ed inclusioni di granuli minerali

arrivati con apporto eolico quali calcite, quarzo, granato, k-fedspato, cloriti, miche bianche

potassiche.

Dai dati analizzati in varie zone europee possiamo dire che sulle pietre calcaree le croste nere

hanno uno spessore variante da 0.5 a 3 mm ed hanno una tendenza a formarsi in aree esposte ad

inquinamento atmosferico, ma protette da un intenso dilavamento da parte delle acque piovane.

Il legante delle incrostazioni è “gesso” principalmente in forma di cristalli aghiformi con crescita

perpendicolare alla superficie di alterazione 25.

Nella matrice gessosa sono inglobate particelle di varia natura quali: particolato atmosferico,

polline, ossalati, sostanze bituminose e carboniose di forma sferica e molto porose responsabili

della colorazione grigio-nerastra, frammenti di calcite di origine primaria o derivante dalla

diminuzione di CaCO3 e successiva ri-precipitazione. Sono presenti anche cristalli di quarzo e

meno abbondanti fedspati, entrambi portati per via eolica, più ossidi metallici FeO3 e TiO2 (sulla

facciata in travertino della chiesa di S. Susanna a Roma).

L’accumulo di inquinanti e i prodotti di trasformazione della stessa pietra danno luogo col tempo

ad incrostazioni (soprattutto sui parametri calcarei) che in alcuni casi si rigonfiano o producono

esfoliazioni e scagliature.

Il meccanismo di questo degrado è dovuta alla trasformazione della calcite in gesso ed alla

formazione di nuovi cristalli che con la loro crescita creano forti tensioni provocando un iniziale

decoesionamento della pietra sotto la crosta nera fino al distacco di essa.

CaSO4•H2O (GESSO) tra un volume doppio del carbonato ed un coefficiente di espansione

termico cinque volte superiore. Questo vuol dire che un aumento della temperatura si hanno

contrazioni e dilatazioni differenziate dei due minerali che causano una “laminatura” della

superficie lapidea ed un distacco della pietra sottostante.

24 Chiari G., Fiora L., Compagnoni R. “Studio dell’alterazione della pietra dell’Arco di Augusto a Susa (Piamonte, Italia), Le piete dell’architettura, struttura e superfici”, Bressanone, 1991, pp. 344 – 353. 25 Camuffo D., Del Monte M., Sabbioni C. “Influenza delle precipitazioni e della condensazione sul degado superficiale dei monumenti in marmo e calcare”, Bolletino d’Arte, Supplemento al Nr. 41, Materiali Lapidei, 1987, pp. 15 – 36.

24

AREE BIANCASTRE

Molto spesso le superfici dei monumenti calcarei oltre a mostrare delle zone ricoperte da spese

incrostazione nere, possono presentare delle aree biancastre che sono quelle esposte direttamente

al dilavamento delle piogge in cui i depositi di sporco sono continuamente asportati.

Il dilavamento evita la formazione di incrostazioni “per accumulo”, quindi sembrano queste aree

non aver subito modificazioni, ma possono essere ricoperte da uno strato di calcite di

ricristallizzazione che altera le proprietà fisico-meccaniche originali della superficie lapidea.

Infatti le rocce calcaree presentano un’importante solubilità all’acqua piovana perché contiene

elevate concentrazioni di anidrite carbonica.

Si ha così la formazione di bicarbonato di calcio in soluzione che si allontana con le piogge

Ca(HCO3)2. È un sale instabile perché tende a precipitare come carbonato di calcio per

evaporazione dell’acqua.

Mentre nella roccia originale il carbonato di calcio è presente in forma cristallina con una piccola

area superficiale, quando ricristallizza esso si trova sotto forma di una polvere fine a più elevata

area di superficie e quindi più suscettibile agli attacchi acidi. L’acqua può erodere la superficie e

far risaltare le vene di calcite ed evidenziare il letto della pietra.

L’erosione è data dal suo raccogliere particelle che con il loro scorrere sulla superficie causano

abrasione. Quando la velocità diminuisce, lascia un deposito superficiale che successivamente

ricristallizza come calcite antigenica. La superficie risulterà ondulata e con cariature . anche se la

superficie è sottoposta a dilavamento si forma uno sottile strato di calcite di neoformazione.

AREE GRIGIE

È uno strato che si definisce intermedio tra quelle bianche dilavate e quelle nere incrostate. È un

deposito sporco simile alla crosta. La morfologia della pietra originale non sembra alterata, e di

durezza e spessore minore. Sono l’inizio del degrado: si deposita l’inquinante, ma non ancora ha

reagito 26.

26 Amoroso G.G., “Trattato di Scienza della Conservazione dei Monumenti”, Alinea Editrice, 2002, pp. 42 – 60.

25

CAPITOLO 3 – Indagine macroscopica e mappatura del degrado

Operazione prioritaria, per un corretto approccio alla conservazione di un manufatto, è

l’individuazione delle cause che hanno determinato la patologia di degrado. Spesso il degrado è

legato alla scarsa manutenzione del Bene e a fattori quali il cattivo funzionamento dell’impianto

di raccolta delle acque meteoriche, la presenza di piccioni, che devono essere eliminati in via

preventiva, agli agenti atmosferici. Un controllo regolare e sistematico degli elementi di

protezione - tetti, cornicioni, aggetti - e interventi manutentivi possono preservare gli apparati

decorativi, la vita degli intonaci e delle superfici lapidee. Al fine di comprendere quale fosse lo

stato di conservazione della facciata di palazzo Fizzarotti, è stata eseguita un’indagine

macroscopica visiva, come osservazione preliminare, per individuare le principali forma di

degrado. Infatti il corretto e approfondito esame visivo delle opere e delle caratteristiche

morfologiche delle loro superfici, è di fondamentale importanza nella diagnosi del degrado,

perché costituisce la base per la corretta programmazione delle indagini: ovviamente l’esame

visivo consente un’analisi superficiale e non può che rilevare difetti macroscopici superficiali.

3.1 - Stato di Conservazione della facciata del palazzo Fizzarotti In seguito all’indagine macroscopica si è osservato che la facciata versa in un cattivo stato di

conservazione, dovuto alla mancanza di interventi sistematici e programmati, infatti è interessata

in maniera diffusa da depositi superficiali incoerenti di spessore variabile costituiti

prevalentemente da polveri, particellato, depositi carboniosi, e guano di piccione.

I paramenti lapidei appaiono uniformemente ricoperti da questo strato di deposito incoerente con

addensamenti in corrispondenza del piano di calpestio e dei sottosquadri, questo strato compatto

e giallastro altera l’aspetto estetico originale e la godibilità del manufatto e deriva da un’elevata

stratificazione di particellato atmosferico e polveri carboniose concentratisi a causa della

localizzazione dell’immobile, inserito all’interno di una strada estremamente trafficata.

Al di sotto dello sporco si intravede una patina giallastra che potrebbe essere dovuta alla

presenza di ossalati e solfati, oppure alla colorazione dell’intonaco, solo le indagini ne

chiariranno la sua composizione.

Le forme di degrado individuate principalmente sono state le croste nere che hanno causato un

profondo cambiamento dell’aspetto complessivo della facciata, queste interessano soprattutto le

zone in cui non è presente l’azione di dilavamento, le superfici scolpite, come i capitelli delle

colonnine che scandiscono la facciata, gli aggetti, i sottosquadri dei cornicioni e delle cornici

delle finestre.

26

Oltre alle croste nere, sono molto visibili fenomeni di incrostazione di materiale adeso

all’intonaco originario rendendolo particolarmente scabro e quindi facilitando l’accumulo di

nuovo materiale sulla sua superficie.

Alle zone giallastre, interessate da depositi coerenti e incoerenti, si alternano zone più chiare

dovute al dilavamento delle acque meteoriche: quantità di acqua di una precipitazione

atmosferica che, non assorbita o evaporata, dilava le superfici. Il fenomeno risulta molto

evidente soprattutto in corrispondenza dei lati dei balconi, e si presenta sotto forma strisce

biancastre.

In alcuni punti sono state individuate aree di distacco di materiale, perlopiù intonaco, è

ipotizzabile che tale fenomeno sia causato dall’assorbimento di acqua, causa di rigonfiamento

differenziale rispetto al materiale lapideo sottostante, che produce il distacco.

Sono state individuate numerose fessurazioni verticali in corrispondenza delle colonnine,

probabilmente dovute alla costruzione del piano superiore con loggiato e al conseguente

aumento di carico sulla struttura sottostante.

In un solo punto è stata verificata la presenza dell’alveolizzazione all’altezza della zoccolatura di

pietra, in prossimità della torre di destra, il fenomeno potrebbe essere dovuto all’azione abrasiva

delle polveri provenienti dalla discrezione del materiale lapideo della facciata, e dagli edifici

circostanti.

Dunque l’osservazione macroscopica della facciata di Palazzo Fizzarotti ha permesso di

ipotizzare l’origine dei fattori che hanno modificato l’aspetto estetico del monumento e il suo

stato di conservazione.

Le principali forme di alterazione e degradazione osservate macroscopicamente sulla facciata

sono state descritte utilizzando il lessico NorMal 1/88:

Deposito superficiale: accumulo di materiali estranei di varia natura, quali ad esempio,

polvere, terriccio, guano, ecc. a spessore variabile e, generalmente, scarsa coerenza e

aderenza al materiale sottostante.

Il materiale che compone il deposito superficiale aderisce al substrato lapideo attraverso un

sottile strato di film d’acqua, oppure a causa di un velo di condensa che causa un’attrazione

elettromagnetica del particolato atmosferico, il quale rimane intrappolato nella struttura

dell’acqua. Il deposito superficiale individuato sulla facciata lo ipotizziamo principalmente

composto da polveri carboniose che ne hanno caratterizzato la cromia nerastra.

27

Croste nere: strato superficiale di alterazione del materiale lapideo o dei prodotti

utilizzati per eventuali trattamenti. Di spessore variabile, è dura, fragile, distinguibile

dalle parti sottostanti per le caratteristiche morfologiche e, spesso, per il colore.

Può distaccarsi anche spontaneamente dal substrato che, in genere, si presenta degradato

e/o polverulento.

Le croste nere rappresentano un peggioramento dello stato di conservazione del materiale

lapideo e tendono ad avere uno spessore omogeneo che replica la morfologia del substrato. Sulla

facciata si presentano molto adese soprattutto sugli elementi scolpiti protetti dal dilavamento,

sulle colonnine protette dei parapetti dei balconi del piano nobile, sotto i balconi e tra le

colonnine del portale. Le croste nere sono il prodotto della dissoluzione del carbonato di calcio

che compone il substrato lapideo, a causa della sua interazione con acque meteorologiche ricche

in anidride carbonica ed anidride solforosa. Queste reazioni chimiche terminano con la

precipitazione di calcite e gesso; quest’ultimo, in particolare, trattenendo molta acqua all’interno

della sua struttura cristallina, ha un comportamento elettrostatico nei confronti del particolato

atmosferico che ne rimane inglobato e trattenuto.

Fig.1 particolare colonnina tortile interessata da deposito superficiale incoerente

28

Fig.2 particolare croste nere sul capitello della colonnina del portale

Dilavamento delle acque meteoriche (voce assente nelle NorMal): presenza di zone

biancastre, dovute all’azione dilavante e alla dissoluzione del materiale lapideo ad opera

delle acque meteoriche.

Il fenomeno del dilavamento si presenta in prossimità dei balconi e degli elementi aggettanti,

come cornici e capitelli. È causato dalle acque meteoriche che provocano una parziale

dissoluzione del materiale superficiale e loro trascinamento lungo la facciata. La cromia

biancastra lo ipotizziamo sia dovuta alla assenza di polveri carboniose che vengono allontanate

durante l’azione di dilavamento.

Fig.3 particolare del fenomeno di dilavamento meteorico in prossimità dei balconi

29

Alveolizzazione: “Degradazione che si manifesta con la formazione di cavità di forma e

dimensione variabili. Gli alveoli sono spesso interconnessi ed hanno distribuzione non

uniforme . Nel caso particolare in cui il fenomeno si sviluppa essenzialmente in

profondità con andamento a diverticoli si può usare il termine alveolizzazione a

cariatura”

La facciata di Palazzo Fizzarotti, come specificato, presenta un solo punto in cui è possibile

individuare una forma di alveolizzazione , in corrispondenza della torre destra al livello stradale,

in cui la superficie non è protetta dal comune strato di intonachino che caratterizza l’intera

facciata. La roccia è “alveolata” presenta cavità di diverse forme e dimensioni interconnesse

dell’ordine del centimetro.

Fig.4 particolare del processo di alveolizzazione sul materiale lapideo in prossimità della torre di destra

Distacco: “sollevamento del rivestimento dal supporto murario o di uno strato rispetto a

quello sottostante”

Nel nostro caso questa forma di alterazione è limitata al distacco di intonaco, il quale non

presenta una visibile formazione di efflorescenze o sub efflorescenze, ciò ci porta ad ipotizzare

che il fenomeno sia causato dal comportamento differenziale dello strato di intonaco rispetto alla

pietra sottostante.

30

Fig.5 particolare del distacco di intonaco e messa in luce del materiale sottostante

Patina: “Alterazione strettamente limitata a quelle modificazioni naturali della superficie

dei materiali non collegabili a manifesti fenomeni di degradazione e percepibili come una

variazione del colore originario del materiale. Nel caso di alterazioni indotte

artificialmente si usa, di preferenza, il termine, patina artificiale.

La colorazione giallastra che interessa l’intera superficie del paramento murario e che si

intravede al di sotto dello strato di sporco potrebbe essere causata dalla reazione chimica tra i

componenti del materiale lapideo e il particolato atmosferico o essere il colore originale

dell’intonaco.

Fig. 6 particolare della patina giallastra

31

Fessurazioni: degradazione che si manifesta con la formazione di soluzioni di continuità

nel materiale e che può implicare lo spostamento reciproco delle parti.

Sono localizzate alle basi delle colonne che definiscono gli arconi del secondo piano

probabilmente dovute all’aumento del carico del peso in seguito all’innalzamento del

secondo piano e del loggiato.

Fig.7 particolare del fenomeno di fessurazione alla base di una delle semi-colonne del secondo piano

3.2 – Mappatura del degrado All’esame macroscopico è seguita la compilazione di mappature in cui i vari retini e le campiture

rappresentano il tipo di degrado presenti sulla facciata, queste hanno permesso la determinazione

spaziale, qualitativa e quantitativa dei fenomeni degenerativi della superficie del manufatto. Tali

indagini possono diventare un importante strumento per la pianificazione e per la messa a punto

degli interventi di conservazione.

È stata eseguita l’individuazione delle differenti tipologie di degrado dell’opera secondo quanto

riportato nelle tavole seguenti distinguendo i degradi con perdita di materiale, di morfologia e di

resistenza meccanica, dai degradi con formazione di prodotti secondari.

32

Mappatura del degrado della facciata di Palazzo Fizzarotti. (scala 1:50)

Realizzata con il programma Autocad© ricostruendo la facciata ed i suoi elementi architettonici studiando i disegni

originali conservati presso l’Archivio di Stato in Bari 27.

27 Archivio di Stato di Bari (ASBA), Archivio Storico del Comune di Bari, Busta 20, Fasc. 6.

33

CAPITOLO 4 – Indagini diagnostiche

4.1 – Campionamento Le tecniche di indagine analitiche e diagnostiche applicabili alle opere d'arte, vengono di solito

distinte in due grandi classi:

invasive, che richiedono il prelievo di un campione, cioè l'asportazione di quantità minime di

materia dell'opera da sottoporre ai vari esami (cromatografia, colorazione istochimica, etc.);

non invasive, che, come la radiografia ai raggi X o la riflettografia infrarossa, possono essere

eseguite direttamente sull'opera interagendo con le superfici attraverso varie forme di

energia.

Il campionamento è un metodo invasivo ma nell’ effettuarlo, si terrà conto di danneggiare il

meno possibile il manufatto non arrecando alcun danno all'estetica e alla consistenza materica

dell'opera. Si cerca infatti di sfruttare la morfologia del degrado per l’asportazione, meno

violenta possibile, dei campioni (croste già sollevate, materiale già fessurato e in via di distacco,

ecc.)

Si possono ottenere campioni rappresentativi, ovvero porzioni di materiale la cui composizione

rispecchia completamente quella dell’insieme da cui è stata estratta, e campioni selettivi, cioè

porzioni definite la cui composizione non rispecchia quella di insieme (esempio: inclusioni,

prodotti di degrado, superfici, ecc.)

Esistono diversi modi di prelievo scelti in base alla tipologia di studi che si vuole eseguire:

P. globale, per studiarne la stratigrafia (policromie, ridipinture, dorature,ecc.);

P. selettivo, se si vuol concentrare lo studio su un unico strato o fase;

P. multigraduale, prelievi selettivi in sequenza, condotti a profondità discrete e

significative per il tipo di informazioni che si vuol raggiungere.

Fig.8 Rappresentazione grafica delle tipologie di prelievo; le righe sottostanti scure

rappresentano la malta carbonatica, gli starti sovrastanti sono quelli oggetto di analisi.

34

Le indagini di laboratorio richiedono, in genere, il prelievo di un campione e la sua preparazione

per renderlo idoneo alle analisi. Sono quindi, tecniche distruttive in quanto esigono

l’asportazione di materiale (per quanto piccola) e l’ esecuzione delle indagini, va perciò

attentamente pianificata.

La base di un programma diagnostico dovrà includere:

Diverse forme di raccolta informazioni (notizie sulle vicende storiche dell’ edificio,

osservazione diretta, dialogo e confronto con esperti di altre discipline, ecc.);

Tipo e numero di campioni;

Ordine di esecuzione delle indagini.

Il lavoro in questione ha previsto un prelievo di campioni in maniera globale per poter

apprezzare la successione dei diversi strati di intonaco, la caratterizzazione del materiale lapideo

e l’individuazione delle diverse forme di degrado.

Dopo un attento esame ad occhio nudo, sempre il primo a cui un’opera viene sottoposta e, se

condotto da un occhio esperto, utile a fornire moltissime informazioni sullo stato di

conservazione dell'opera, è stato possibile eseguire il prelievo di 7 campioni, denominati con la

sigla P.F., in punti significativi della facciata e di dimensioni sufficienti per l’esecuzione delle

analisi stratigrafiche e composizionali.

Gli strumenti utilizzati sono stati bisturi e contenitori di plastica per riporre il materiale

prelevato. Ogni campione è stato contrassegnato da una sigla come è riportato nella seguente

tabella:

Campione Materiale Zona del prelievo

P.F.1

Crosta nera Zona sottostante al capitello

della colonnina sinistra del

portale principale

35

P.F.2

Intonaco Superficie esterna della

parete destra all’altezza del

balcone del piano nobile

P.F.3

Crosta nera Zone della torre dell’estrema

destra della facciata

P.F.4

Intonaco Superficie esterna della

parete adiacente alla prima

finestra sulla destra del

portale

P.F.4/1

Crostra nera e Calcare Superficie esterna della

parete adiacente alla prima

finestra sulla destra del

portale

36

P.F.5

Intonaco Superficie esterna della

parete sinistra adiacente al

portale principale

P.F.6

Crostra nera e Calcare Raccolto nella via di fuga tra

due conci situati vicino alla

torre dell’estrema sinistra

rispetto al portale principale

4.2 – Microscopia ottica

Generalità

La microscopia ottica è una metodologia di analisi che consente di ottenere informazioni riguardanti i caratteri composizionali tessiturali o diagenetici di una roccia.

Preparazione delle sezioni sottili

Per poter osservare le rocce e nel mio caso particolare le rocce calcaree al microscopio ottico, i

campioni devono subire una serie di passaggi, che portano alla realizzazione di una sezione

sottile, attraverso la quale procedere all’analisi dei campioni al microscopio ottico.

Tagliando con troncatrice a disco diamantato a corona continua ed impregnando il campione ben

asciutto con resina epossidica.

È importante nominare i campioni con una sigla di appartenenza (nel nostro caso con la sigla

P.F.) e levigare e lavare in una vasca ad ultrasuoni e successivamente asciugato in stufa, per circa

2 ore, alla temperatura minima di 50°C.

Il retro taglio non deve essere inferiore a 400µm riportando sul vetrino la sigla del campione.

Il campione di roccia viene ulteriormente ridotto di spessore da macchine chiamate lappatrici.

37

Si effettua una pre-lucidatura levigando la sezione in tre fasi, utilizzando per ogni fase un diverso

abrasivo a granulometria decrescente. Tra la levigatura e l’altra viene effettuato un lavaggio;

infine la sezione sottile è pronta per essere analizzata al microscopio ottico.

4.2.1 - Osservazioni petrografiche L’indagine petrografica è stata effettuata su quattro campioni ed è stata eseguita studiando le

componenti principali dell’intonaco che riveste il materiale lapideo della facciata e i depositi

presenti sulla superficie. E’ stato altresì descritto lo stato di alterazione del materiale lapideo,

riportando dimensioni, composizione, tessitura e struttura dei depositi superficiali

L’individuazione delle fasi mineralogiche principali ed accessorie hanno permesso di definire il

materiale lapideo come “calcarenite”, una “pelbiosparite” costituita da calcite come unica fase

mineralogia con una struttura che però varia, in particolare confrontando P.F.2 e P.F.6, pur

mantenendo identica la tessitura.

P.F.4.1, P.F.2 e P.F.6 presentano sul bordo uno strato di calcite ricristallizzata e gesso che ha

alterato le caratteristiche fisico-chimiche della superficie lapidea. La loro formazione è legata

probabilmente alla solubiltà di questo tipo di materiale nei confronti dell’acqua piovana

contenente anidride carbonica.

Per quanto riguarda le croste nere, lo studio al microscopio ottico ha dato la prova della presenza

costante di ossidi di ferro e di particelle carboniose in quasi tutti i campioni.

P.F. 2: presenta una visibile stratificazione segnata da limiti caratterizzati da una linea nerastra e

netta per possibile accumulo di materiale particellare disperso nell’atmosfera. Gli strati non sono

paralleli tra di loro ed ognuno si differenzia per spessore. I due strati più bassi presentano ampi

pori che ci portano a stabilire una porosità del 20%. Sono individuabili in entrambi gli strati di

intonaco anche la presenza di bioclasti, individuabili come foraminiferi e pellets

Tra lo strato2. e lo strato3. si riconosce la presenza di cristalli molto più definiti probabilmente

trasportati dall’esterno e rimasti intrappolati tra la crosta nera e il substrato.

Lo strato più alto a sua volta è divisibile in ulteriori due strati. Ciò che domina è l’irregolarità

degli strati e la loro alta birifrangenza. Il più basso è costituito da gesso cripto cristallino, che si

poggia sul substrato attraverso un’ interfaccia poco netta, ma regolare.

Lo strato più alto, invece, è costituito da calcite bruna (individuabile dai colori di interferenza di

3°grado), granuli di quarzo e polveri di carbone.

38

Fig. 1: (2.5x SP) si individuano sia gli strati di intonaco, che gli strati della crosta relativa. Tra i due intonaci è

evidente una zona di forte ricristallizzazione di calcite e materiale organico di deposizione.

Fig. 2: (20x SP) particolare dello strato inferiore di intonaco in cui si individua la presenza di pellets con

un’aureola di calcite di ricristallizzazione.

1

2

3

39

Fig. 4: (20x SP) particolare della stratificazione della crosta. Si nota che lo strato più superficiale presenta una

colorazione rossastra composta da calcite ed ossidi di ferro. Invece, lo strato inferiore ad alto rilievo è costituito da

gesso cripto cristallino.

P.F. 4.1: anche in questo caso siamo di fronte ad una stratificazione di materiale, ma in questa

sezione gli strati più alti definiscono una crosta nera che poggia su un substrato costituito da una

roccia carbonatica di tessitura cripto cristallina, costituita da pellets e foraminiferi.

Fig. 3: (20x SP) particolare dello strato inferiore di intonaco in cui si nota la presenza di foraminiferi. In questo

ingrandimento si nota che le camere sono occluse da calcite di ricristallizzazione.

Ox Fe Carbone

Calcite

Gypsum

40

In base ai bioclasti possiamo definire la roccia come “pelbiosparite”. I bioclasti sono immersi in

una matrice costituita da calcite spatica ricristallizzata cripto cristallina con una distribuzione

trimodale.

La superficie di adesione della crosta nera sul substrato è poco alterato. La crosta è costituita da

uno strato più basso di calcite bruna e gesso compatto, ma con ampie lacune ed uno strato

superiore irregolare costituito da gesso cripto cristallino e dalla presenza di ampi pori.

L’osservazione a nicol incrociati ha permesso di individuare la presenza di cristalli quarzo,

polveri carboniose ed ossalati.

Fig. 5: (2.5x SP) descrive la stratificazione della crosta sul materiale lapideo, che è identificabile come calcarenite

cristallina.

41

Fig.6: (2.5x SP) particolare che mette in evidenza la struttura e la tessitura del materiale lapideo, costituito da

matrice cripto cristallina di sola calcite spatica che si presenta di più alta granulometria all’interno dei pori. Ricca di

bioclasti, pellets (di colorazione nerastra e dalla forma tondeggiante) e foraminiferi.

Fig. 7: (20x SP) particolare che isola un foraminifero tagliato trasversalmente con le cavità interne occluse da calcite spatica di ricristallizzazione. Il bioclasto è a sua volta immerso in una matrice di calcite cripto cristallina.

pellets

42

Fig. 8: (20x NX) immagine a nicol incrociati che mette in evidenza gli strati che compongono la crosta nera. In

particolare si nota solo a NX la presenza di minuti cristalli di quarzo che contornano la crosta nella zona più

superficiale.

Fig. 9 (20x SP) particolare della crosta nera costituita da gesso (ad alto rilievo) e materiale carbonioso.

P.F. 5: questa sezione presenta due strati di intonaco molto diversi tra di loro sia per

granulometria che per la percentuale di pori presenti. Lo strato più basso è compatto, omogeneo

e ha uno spessore uniforme.

43

È costituito da intonaco di tessitura cripto cristallina con ampi pori pieni di calcite spatica.

L’interfaccia di separazione è poco netta e non si evidenzia, come nel vetrino P.F.2, la presenza

di materiale deposizionale. Lo strato superiore è irregolare, costituito da materiale grossolano

formato da calcite e bioclasti, individuabili come serpulidi e pellets. Lo strato più alto presenta

anche delle fessurazioni che lo attraversano e senza raggiungere lo strato sottostante. Sono

presenti tracce di calcite bruna nelle fessure.

Fig. 10: (2.5x SP) mostra la stratificazione di due strati di intonaco che si distinguono per la differente tessitura e

struttura.

Fig. 11: (20x SP) particolare di un bioclasto, un “serpulide” contenuto nello strato di intonaco superiore.

44

P.F.6: la sezione è costituita da roccia carbonatica criptocristalina poco omogenea, perché

presenta una differente distribuzione della porosità. È molto lontana come aspetto a quella della

sezione di roccia carbonatica visibile nel campione P.F.4.1. Un lato presenta una porosità pari al

30% in cui sono presenti cristalli di calcite spatica. Invece, l’altro lato si presenta compatto, ma

sempre di tessitura cripto cristallina, con la sola presenza di “pellets”. Sul substrato si nota la

presenza di una sottile crosta nera formata da calcite bruna e gesso. Anche in questo caso, a nicol

incrociati è individuabile la presenza di granuli di quarzo e polveri carboniose.

Fig. 12: (2.5x SP) mostra una sottile crosta nera che si è formata a contatto della calcarenite, con elevata porosità.

45

Fig. 13: (2.5x SP) particolare che mostra una netta variazione della porosità del campione di calcarenite e la

matrice di calcite è di più alta granulometria all’interno del poro.

4.3 – Diffrazione a raggi X su polveri

Generalità

Il diffrattometro analizza polveri fini naturali oppure ottenute macinando il campione di

dimensioni comprese tra 1 e 50µm e consente di identificare le fasi cristalline presenti. La

diffrazione a raggi X è una metodologia di indagine che sfrutta il fenomeno per cui, una

radiazione viene diffusa dalla materia e le onde elettromagnetiche ad esse associate cambiano

direzione di propagazione.

Preparazione delle sezioni sottili

Il campione da sottoporre alla diffrazione ai raggi X deve essere trasformato nella forma più

opportuna per effettuare l’analisi, cioè da solido deve essere trasformato in polvere delle

dimensioni del talco.

La polverizzazione è stata effettuata manualmente con l’utilizzo di mortaio e pestello in agata

per ottenere una polvere da 1 a 50µm, requisito indispensabile per una buona riuscita dell’analisi.

Successivamente le polveri sono state posizionate su un vetrino la cui struttura cristallina verrà

letta come zero “zero background” sparse affinché non si sovrappongano. Posizionando il

vetrino nel porta campione è possibile eseguire l’analisi.

46

Zero-background (ZBH) è un monocristallo di silicio tagliato secondo una direzione

cristallografica non diffrangente; riduce gli effetti di iso-orientazione e di trasparenza, permette

la lettura i campioni polverulenti di pochi milligrammi di composizione granulometrica ≈ 1µm;

il contributo del fondo è molto basso.

4.3.1 – Osservazioni diffrattometriche L’analisi diffrattometrica ha permesso di conoscere le fasi mineralogiche presenti in quantità

minore che non erano riconoscibili attraverso la sola osservazione con microscopio ottico.

Le informazioni ottenute sono valutabili solo da un punto di vista qualitativo e non quantitativo a

causa del peso inferiore al grammo dei campioni.

Diffrattogramma P.F.1

47

Diffrattogramma P.F.2

Diffrattogramma P.F.3

48

Diffrattogramma P.F.4

Diffrattogramma P.F.4.1

49

Diffrattogramma P.F.5

Diffrattogramma P.F.6

50

I risultati dell’analisi diffrattometrica ai raggi X (XRD) sono riportati nella tabella seguente, che

rende più chiara la presenza di determinate fasi mineralogiche dei campioni analizzati.

Campione Calcite Gesso Quarzo Weddelite Wavellite

P.F.1 x x x x x

P.F.2 x x

P.F.3 x x x

P.F.4 x x

P.F.4.1 x x

P.F.5 x x x

P.F.6 x x

Dai risultati si evince che la fase mineralogica più diffusa è la calcite, che costituisce sia il

legante, che l’aggregato dell’intonaco, oltre che la fase mineralogica costituente la roccia

carbonatica e parte delle croste nere, come prodotto dell’alterazione.

Per quanto riguarda i risultati dell’analisi in diffrazione dei campioni costituiti da croste nere, a

parte la calcite che è presente in tutti i campioni, si è riscontrata la presenza di gesso in quasi tutti

i campioni sia in forma a più alta idratazione che a basso livello di idratazione. Il particolare il

campione P.F.1 rivela la presenza di ossidi di titanio, fosfati di alluminio ed ossalati di calcio

idrato.

Continuando a considerare soltanto i campioni costituiti da croste nere, possiamo affermare che

le quantità di quarzo rilevata risulta molto più alta per il campione P.F.1 e scarsa nei campioni

P.F.2, P.F.4.1 e P.F.5 in cui è rilevabile solo in traccia.

4.4 – Microscopia elettronica a scansione (SEM)

Generalità

La microscopia elettronica è un mezzo di indagine che permette l’analisi qualitativa e

quantitativa circa la composizione dei singoli minerali in granuli o di minerali di rocce. La

conoscenza della composizione chimica dei minerali o della variazione all’interno di uno stesso

minerale è di primaria importanza, soprattutto per ricerche di tipo mineralogico, petrografico e

geoarcheologico etc.

La sorgente di elettroni è costituita da un filamento di tungsteno o di esaboruro di lantanio

(LaB6). Il fascio degli elettroni accelerati, diretto verso il basso della colonna, viene deflesso

lungo il cammino da campi magnetici generati da due lenti elettromagnetiche.

51

All’uscita della seconda lente, il diametro del fascio è ridotto da un’apertura finale. Gli elettroni

del fascio (elettroni primari) interagendo con il campione possono rimbalzare (elettroni retro

diffusi) o possono scalzare gli elettroni degli atomi del campione osservato, con conseguente

emissione di elettroni secondari; il riequilibrio energetico degli atomi a cui sono stati sottratti

elettroni provoca l’emissione di raggi X.

Gran parte degli elettroni che impattano sul preparato, vengono scaricati a massa da un

opportuno strato di grafite con cui viene resa conduttiva la superficie del campione. L’entità di

queste scariche viene quantificata da un opportuno misuratore di corrente sul campione.

Preparazione dei campione

L’analisi al microscopio elettronico a scansione è stata eseguita sulla crosta nera. Il preparato

prima di essere analizzato al microscopio ottico viene sottoposto a metallizzazione, un processo

che rende conduttiva la superficie, in modo che gli elettroni del fascio primario che colpiscono il

preparato, siano scaricati a massa e non carichino elettricamente il campione, formando uno

scudo repulsivo nei confronti del fascio primario. La metallizzazione prevede il deposito di uno

strato conduttivo, il cui spessore può variare da qualche decina a qualche centinaia di Angstrom.

Nel nostro caso è stata usata grafite e montati i privino su basi metalliche inseribili in una piastra

forata, che è il porta campione dello strumento.

Prima della metallizzazione è importante assicurarsi che il campione sia privo di umidità.

Successivamente il preparato viene posto su una base all’interno di una camera da vuoto, e al di

sopra del preparato tramite un apposito alloggiamento della camera, viene montato un filamento

di grafite. Si pompa aria nella camera fino ad ottenere valori di vuoto idonei alla metallizzazione.

Infine si fornisce al filamento corrente meccanica affinché il filamento raggiunga

l’incandescenza ed evapori. La grafite così vaporizzata potrà ricoprire la superficie esposta del

preparato rendendola conduttiva. Una volta effettuata la metallizzazione del campione, si è

proceduto all’analisi SEM.

4.4.1 – Osservazioni con Microscopio elettronico a scansione Le microanalisi al SEM hanno costituito un passo fondamentale per il raggiungimento di

determinate informazioni riguardo la crosta nera. Sono state scelte delle zone della sezione da

indagare che destavano un maggiore interesse. Ovviamente eseguendo l’analisi su una crosta

nera, le zone analizzate sono quelle in cui è presente una grande quantità di gesso, sostanze

organiche, ossidi di ferro etc.

52

P.F. 4.1 L’indagine al SEM ha permesso di focalizzare l’attenzione sulla variazione della

crescita granulometrica dei cristalli di calcite in prossimità dei pori e di conoscere la

composizione media della crosta nera.

Fig. 14: (550x) particolare della crescita dei cristalli di calcite spatica all’interno dei pori. Notiamo un forte aumento della granulometria dei cristalli all’interno delle cavità, tanto da raggiungere un aspetto euedrale.

Foto 15: (1740x) l’immagine isola un pellets. Si distingue il contorno nerastro dovuto all’accumulo di materiale organico. All’interno di questo perimetro la calcite spatica presenta una granulometria più elevata rispetto alla matrice della roccia calcarea.

53

Foto 16: (191x) l’immagine al SEM fa perdere la stratificazione della crosta, ma riusciamo ancora a notare la sua composizione interna costituita da dei relitti del materiale lapideo

Lo spettro EDS 1 mostra la composizione media della crosta, ma quello che più rivela è la

elevata presenza di calcio, silice e componente organica che ne determina la caratteristica

colorazione “nerastra”. Sono bassi, invece, i contenuti di Fe, Na, Cl, K, e Al. Questi elementi

compongono Sali e metalli che determinano fenomeni di degrado del supporto lapideo e

colorazione della crosta verso il rosso.

Spettro EDS 1

54

Foto 17: (4420x) sono visibili nell’immagine al SEM alcuni corpi luminescenti, che solo attraverso un’ indagine mirata ci ha permesso di individuare come”solfato di bario”. Vedi spettro EDS 2

Spettro EDS 2

P.F. 5: l’analisi composizionale degli intonaci che compongono il campione P.F.5 hanno portato

a determinare l’uso di intonaco a base di calce e sabbia e l’interfaccia di separazione è data da

55

calcite spatica e polveri di carbone che fanno ipotizzare una sua esposizione all’ambiente esterno

prima della deposizione del secondo intonaco più grossolano.

Foto 18: (52x) Immagine panoramica del campione. Sono ben distinguibili le due tipologie di intonaco, differenti per tessitura e struttura.

Foto19 (634x) L’interfaccia di carbonatazione è stata possibile analizzarla nella sua composizione (vedi spettro EDS 5)

Lo spessore dell’interfaccia è di circa 10µm ed è principalmente composto da Ca e lo ritroviamo

come calcite spatica.

56

Spettro EDS 5

Foto 20(227x): mostra un particolare dell’intonaco superiore in cui si notano bioclasti e fessure profonde.

L’intonaco presenta una composizione media data da calce e sabbia ricca di materiale fossilifero

per lo più foraminiferi e come smagrante miche alluminose. Profonde fessure attraversano lo

strato di intonaco superficiale.

57

Il campione P.F.5 presenta una sottile crosta nera che è stato possibile individuale dal punto di

vista composizionale. Quest’ultima risulta formata da calcite e con alcune tracce poco

riconoscibili di Na, Cl, K, Fe. (Vedi spettro EDS 6)

Foto 21: (x1100) particolare delle ampie fratture dello strato superficiale e mette in evidenza le differenze

granulometriche del materiale che compone l’intonaco.

Foto 22 (1910x) particolare di un cristallo di calcite fortemente alterato per degrado fisico, si notano fratture lungo i piani di sfaldatura.

58

Spettro EDS 6

P.F.6: è un campione principalmente costituito da calcite, fase mineralogica che costituisce le

rocce carbonatiche.(vedi spettro EDS 7) Presenta sul bordo superficiale una pseudo crosta nera

ricca in cristalli di quarzo, invece è molto basso il contenuto di Sali e metalli.

Spettro EDS 7

59

Foto 23 (50x) Mette in evidenza la differente porosità del campione

Foto 24 (208x) Particolare della pseudo crosta nera presente sulla superficie composta da calcite, gesso e elevata quantità di quarzo

P.F.2: in questo caso, invece, domina il contenuto in ossalati di calcio, ma è molto basso il

tenore in Cl. Si ripresentano le miche di alluminio (vedi spettro EDS 9), in particolare un

incluso tra il substrato e la crosta.

La crosta nera che in microscopia ottica vede lo strato più esterno rosso, al SEM si perde la sua

colorazione, ma ne possiamo giustificare la cromia per la presenza di ossidi di ferro.

60

La caratteristica di questo campione è la presenza di minio Pb, elemento probabilmente usato per

produrre la cromia ocra che caratterizza l’intonaco presente. (vedi spettro EDS 11).

Foto 25 particolare che mostra una mica di alluminio

Spettro EDS 9 Spettro EDS 11

61

Foto 26 (4680x) Particolare della composizione della crosta in cui sono visibili cristalli luminescenti di solfato di bario e ossidi di ferro, invece i cristalli squadrati non sono cristalli di sale quanto Qz la cui forma non è tipica quindi solo l’analisi a spot ha permesso di riconoscerlo come composto da sola silice. (vedi spettro EDS 10)

Spettro EDS 10

4.5 – Osservazioni conclusive Le varie indagini hanno fornito diverse informazioni sui campioni e il loro relativo stato di

degrado. L’indagine microscopica ha chiarito la natura del supporto lapideo identificandolo

come una roccia carbonatica ricca in bioclasti, e sulla composizione dell’intonaco usato per

ricoprire i conci che costituiscono la facciata, come formato da calce e sabbia. L’osservazione

62

con microscopio ottico ha permesso di notare come interagisce la crosta nera sulla superficie sia

dell’intonaco (vedi P.F.5) che sul supporto lapideo (vedi P.F.4.1 e P.F.6). In entrambi i casi la

crosta nera non ha alterato molto la superficie scendendo in profondità, ma “riveste” entrambi i

supporti con un compatto strato di calcite e gesso. L’idratazione del gesso diventa una superficie

dal marcato comportamento elettrostatico nei confronti delle polveri che costituiscono

l’ambiente esterno e comporta un accumulo di polveri carboniose e Sali.

L’analisi diffrattometrica conferma la composizione della crosta nera come formata da calcite di

ricristallizzazione, gesso e polveri carboniose, ma i sali che si pensava di individuare in maniera

più marcata, come Na, Cl, li si ritrova solo in traccia. Ciò a portato a considerare la facciata poco

soggetta all’azione aggressiva dello spray marino, ma principalmente vittima dell’aggressione

dell’acqua piovana ricca in anidride carbonica che solubilizza il supporto producendo una

ricristallizzazione di calcite spatica.

La reazione fondamentale è la seguente:

CaCO3 + CO2 + H2O Ca(HCO3)2

calcite (carbonato di calcio) poco solubile (bicarbonato di calcio molto solubile)

Dalle indagini mediante diffrattometria RX è risultato presente il quarzo, di origine eolica o

residuale (è frequentemente presente come minerale accessorio nei calcari, dove non viene

attaccato dagli acidi corrosivi formatisi dagli inquinanti, concentrandosi così superficialmente).

Abbastanza frequenti sono gli ossalati di calcio la “weddellite” CaC2O4*2H2O, il termine

biidrato, è più comune della whewellite, la fase monoidrato , che possono derivare dall'attività

metabolica di varie specie di licheni, soprattutto di tipo incrostante, o da trattamenti antichi di

lucidatura o di protezione di marmi e calcari di natura proteica.

L’elevata concentrazione di gesso ha origine dall'inquinamento atmosferico, da composti dello

zolfo, divenuto oramai comunissimo in aree industrializzate e urbane, ove si adoperano

combustibili contenenti questo elemento, per lo più combinato in composti organici, per la

produzione di energia elettrica o termica (per impianti industriali o di riscaldamento domestico).

Lo zolfo prodotto ricade attraverso le acque piovane sotto forma di acido solforico che reagendo

con il carbonato di calcio produce gesso.

CaCO3+ H2SO4+H2O CaSO4.2H2O + CO2

Infine, l’indagine al SEM ha permesso di compiere indagini ancora più mirate dal punto di vista

composizionale confermando i risultati provenienti dalle altre forme di indagine, come la forte

ricristallizzazione della calcite spatica per lo più nei pori raggiungendo in alcuni casi anche un

aspetto euedrale ed individuando, in più, elementi che non avevano rivelato come il solfato di

bario e la presenza di piombo, il quale probabilmente è presente con funzione di pigmento per la

realizzazione del colore ocra dell’intonaco.

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CONCLUSIONI Questo lavoro di tesi ha riguardato l’analisi dello stato di conservazione della facciata del

Palazzo Fizzarotti, un palazzo dei primi del’900 sito a Bari, con l’obiettivo di individuare i

processi di alterazione a carico dell’opera in esame e le cause del degrado.

Lo studio visivo dell’opera ha rivelato che i processi di alterazione e degrado hanno procurato

danni estetici riconducibili a fattori fisici, chimici, biologici ed antropici. Le azioni fisico-

chimiche hanno lasciato il materiale lapideo esposto a vari processi di degrado diverse, ma anche

facilmente riconoscibili.

Sono state prodotte poco dall’azione erosiva del vento, ma questi è il responsabile del trasporto

di materiale che per attrito e/o per attrazione magnetica di deposita sulle superfici lapidee ed

infine questo deposito può abradere e/o dissolvere la roccia carbonatica reagendo con le piogge

acide rese aggressive dall’inquinamento atmosferico e dalle croste nere.

Le azioni dell’uomo hanno concorso al degrado del monumento attraverso l’apposizione di

elementi in ferro che tendono a perdere per dilavamento materiale modificando il colore dei

supporti, e per applicazione di un intonaco a fini estetici il quale avendo un comportamento

differente al quello del supporto lapideo tende a creparsi e a scagliarsi.

Con l’ausilio delle analisi in laboratorio si è cercato di caratterizzare sia il materiale lapideo

utilizzato per la costruzione del monumento che l’intonaco applicato, ma soprattutto il materiale

che costituisce le croste nere per comprendere quale ruolo ricopre l’ambiente urbano nell’azione

del degrado.

La diffrazione a raggi X su polveri ha messo in evidenza le fasi cristalline dei materiali presi in

esame. I campioni sono risultati formati prevalentemente da calcite, gesso ed ossidi di ferro. Sia

l’intonaco che la roccia carbonatica sono costituite da bioclasti, che la microscopia ottica ha

permesso di notare.

L’attenzione del lavoro di tesi si è voluto concentrare sulle croste nere, sia dal punto di vista

composizionale che strutturale per comprendere con l’ambiente urbano interagisce con il

monumento. La crosta diventa un protettivo della superficie perché con la ricristallizzazione

della calcite blocca il degrado fisico del materiale, ma ne modifica fortemente l’aspetto estetico.

L’analisi al microscopio ottico della crosta nera ha messo in evidenza lo stato di gesso e di

calcite che la compone. L’analisi al SEM ha permesso di ottenere maggiore dettaglio e di notare

una forte presenza di materiale di elevato peso atomico come Piombo e Zolfo nel deposito,

rendendolo carico elettricamente all’accumulo di polveri carboniose provenienti dagli scarichi

delle auto.

La non presenza di muschi e licheni conferma l’elevata presenza di solfati che si sono depositati

sulla superficie per reazione dell’anidride solforosa con il carbonato di calcio.

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