“Perfetti modelli di dimore”: la casa alle Triennali

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Transcript of “Perfetti modelli di dimore”: la casa alle Triennali

Le case Nella Triennale

dal Parco al QT8

a cura di

Graziella Leyla Ciagà

Graziella Tonon

TriennaleElecta

In copertina

P. Bottoni, Padiglione per mostre

in via Pogatschnig, sulla destra

Casa Ina-casa di P. Lingeri e L. Zuccoli

Coordinamento editoriale

Cristina Garbagna

Redazione

Maria Grazia Luparia

Coordinamento grafico

Dario Tagliabue

Progetto grafico e copertina

Sebastiano Girardi

Studio Camuffo, Venezia

Impaginazione

Sara De Michele

Coordinamento tecnico

Mario Farè

Controllo qualità

Giancarlo Berti

Le case nella Triennale

dal Parco al QT8

Milano, Palazzo della Triennale

19 maggio 2005 – 24 luglio 2005

in collaborazione con

Catalogo e mostra a cura di

Graziella Leyla Ciagà

Graziella Tonon

Ideazione e coordinamento

Fulvio Irace

Hanno collaborato

Antonio Colnago, Maria Teresa Feraboli,

Tommaso Tofanetti

Allestimento

Giovanni Marzari con Antonello Agolino,

Gianluca Dossi, Alessia Girardelli,

Véronique Schwalm

I materiali esposti in mostra appartengono a

Archivio Piero Bottoni, DPA, Politecnico

di Milano; Archivio storico, Fondazione

La Triennale di Milano; Fondo Luigi Figini

e Gino Pollini, MART, Rovereto; Archivio

Gianni Mantero, Como; Centro Studi

Giuseppe Terragni, Como; Collezione privata,

Milano; Collezione Studio Albini Associati,

Marco e Francesco Albini, Milano

Il modello della Casa giardino di Piero Bottoni

– finanziato dal Dipartimento di Progettazione

dell’Architettura, Politecnico di Milano –

è stato realizzato da Renato Aiminio

e Francesco Montaldo con Emanuela

Bartolini e Beatrice De Carli

(Laboratorio di Modellistica, DPA)

Le animazioni in 3D delle case unifamiliari

costruite alla V Triennale sono state curate

da Nunzio Marsiglia con Francesco Maggio

e Marcella Villa, realizzazione tecnica

di Marco Alesi (Università di Palermo,

Dipartimento di Rappresentazione)

Si ringraziano

Marco Albini, Fabio Bassanini,

Giancarlo Consonni, Davide Mantero,

Massimo Fortis, Sara Iannuzzi,

Ferruccio Luppi, Paola Pettenella,

Maurizio e Marilisa Pollini, Carlo Prosser,

Renzo Riboldazzi, Francesco Samassa,

Elisabetta Terragni

© 2005 La Triennale di Milano

Una realizzazione editoriale

Mondadori Electa S.p.A., Milano

www.electaweb.it

Dal momento della sua fondazione, la Triennale di Milano ha progressivamente allargato la sfera

dei propri interessi alle tematiche dell’architettura e dell’urbanistica. Dal dopoguerra a oggi, queste

discipline hanno inciso profondamente sull’equilibrio dei territori e sulla vita delle persone, soprattutto

in relazione alla questione dell’abitare, in continua oscillazione tra la dimensione soggettiva del vivere

luoghi costruiti su misura di chi li abita, e quella oggettiva della “casa” intesa come necessità

funzionale e diritto sociale.

La Triennale di Milano, nel corso di questi ultimi decenni, ha partecipato in maniera attiva al dibattito

che si è sviluppato attorno a queste problematiche, raggiungendo con la realizzazione del QT8

un altissimo livello di coinvolgimento sia progettuale sia etico e sociale.

La casa dovrebbe costituire per tutti un meraviglioso progetto di intimità, fatto di oggetti, colori,

tessuti, materiali, luci: un teatro ideale nel quale ciascuno dovrebbe poter allestire la rappresentazione

quotidiana della propria vita. Uno spazio privato nel quale trovare rifugio e protezione; il luogo

del presente e al tempo stesso l’archivio della memoria.

Nelle moderne metropoli, dove la tipologia straniante del “non-luogo” sembra dilagare, anche le case

tendono a perdere il loro valore di rifugio dell’intimità e di custodia della memoria personale.

Da qui la necessità di affrontare il tema dell’abitare nella logica di una rinnovata cultura del progetto,

che inserisca la costruzione delle case all’interno di un sistema di design urbano capace di restituire

agli uomini la dimensione originaria dei territori come “luoghi degni di essere vissuti”.

Secondo questa prospettiva, un dibattito sulla casa e sull’abitare costituisce un momento di intensa

riflessione sugli uomini e sulle prospettive della loro esistenza. Un dibattito che la Triennale intende

promuovere e sviluppare, non solo ponendo la questione abitativa al centro delle proprie attività

di ricerca ma impegnandosi concretamente, sulla base degli accordi stretti con il Comune di Milano,

a ideare e realizzare, in forma di prototipi sperimentali, nuove e innovative soluzioni progettuali

che dal tema della casa si estenderanno progressivamente a una molteplicità di tematiche relative

allo sviluppo delle città e alla qualità della vita dei loro abitanti.

Davide Rampello

Presidente della Triennale di Milano

Fondazione La Triennale di Milano

Consiglio d’Amministrazione

Mario Boselli

Paolo Caputo

Roberto Cecchi

Silvia Corinaldi Rusconi Clerici

Arturo Dell’Acqua Bellavitis

Carla Di Francesco

Davide Rampello, Presidente

Collegio dei Revisori dei conti

Adriana Rampinelli, Presidente

Domenico Salerno

Andrea Vestita

Direttore Generale

Andrea Cancellato

Comitato scientifico

Silvana Annicchiarico, design, moda, arti

decorative e visive

Aldo Bonomi, industria e artigianato

Fausto Colombo, nuovi media,

comunicazione e tecnologia

Fulvio Irace, architettura e territorio

Collezione permanente del design

Silvana Annicchiarico, conservatore

Elisa Testori

Settore Affari Generali

Annunciata Marinella Alberghina

Elena Cecchi

Franco Romeo

Settore Biblioteca, Documentazione, Archivio

Tommaso Tofanetti

Roberto Giusti

Settore Iniziative

Laura Agnesi

Roberta Sommariva

Settore Servizi Tecnici Amministrativi

Marina Gerosa

Pierantonio Ramaioli

Anna Maria D’Ignoti

Giuseppina Di Vito

Isabella Micieli

Franco Olivucci

Alessandro Cammarata

Ufficio Marketing e Comunicazione

Laura Benelli

Valentina Barzaghi, collaboratore

Maria Chiara Piccioli, collaboratore

Ufficio Stampa

Antonella La Seta Catamancio

Damiano Gullì, collaboratore

10 Presentazione

Fulvio Irace

12 La casa per tutti

La Triennale e la città

Graziella Leyla Ciagà

34 QT8: urbanistica e architettura

per una nuova civiltà dell’abitare

Graziella Tonon

Le case e le Triennali

106 “Perfetti modelli di dimore”:

la casa alle Triennali

Massimiliano Savorra

126 Schede

a cura di Maria Teresa Feraboli, Roberto Dulio, Stefano Poli

Apparati

168 Bibliografia generale

a cura di Maria Teresa Feraboli, Laura Montedoro

Abbreviazioni

APBArchivio Piero Bottoni, Dipartimento di Progettazionedell’Architettura, Politecnico di Milano

FLTMArchivio storico, Fondazione La Triennale di MilanoArchivio fotografico, Fondazione La Triennale diMilano

MARTFondo Luigi Figini e Gino Pollini, Archivio del ’900,Mart, Rovereto

MVMarcella Villa, Architettura demolita, tesi di laurea,relatore Nunzio Marsiglia, correlatore FrancescoMaggio, Università di Palermo, Facoltà diArchitettura, a.a. 2003-2004

FPMFondazione Piero Portaluppi, Milano

AAMCollezione Studio Albini Associati, Marco e Francesco Albini, Milano

AMCArchivio Gianni Mantero, Como

CPMCollezione privata, Milano

sommario

Nel 1957, considerando quanto una storia

delle Triennali risultasse impossibile –

risolvendosi, qualora la si fosse tentata, in

una esperienza “antistorica” – Agnoldomenico

Pica provava a spiegare la “singolarità”

o meglio, l’“unicità” di mostre apertesi ogni

volta “sotto il segno dello scandalo”1.

È evidente come, degli eventi espositivi,

il critico cogliesse il compito “eminentemente

provocatorio”, più che documentario,

assegnato alle Triennali a partire dalla loro

nascita. E in effetti, nella sua “giustificazione

esegetica” Pica ben comprendeva che “non

si trattava di mostrare il più recente volto

delle cose, l’ultimo aspetto del mondo, il più

inedito atteggiamento dell’arte, ma di indicare

quali questo volto, questo aspetto, questo

atteggiamento sarebbero stati per essere

domani o – almeno – quali si avrebbe voluto

che essi fossero”2. In tal senso, l’architettura

– e nello specifico la casa, “monumento

del secolo” – può essere considerata il tema

portante del racconto delle prime Triennali,

il riflesso ideale di quel volto, aspetto,

atteggiamento, evocati da Pica.

Verso l’architettura: le esposizioni di Monza

Apertasi nel 1923 nella villa Reale di Monza3,

la “Prima mostra internazionale delle arti

decorative” propone quella che è stata

definita “una campanilistica messa in scena”,

attraverso un’organizzazione di centottantasei

sale “addobbate come fiere di paese”4, e un

programma fondamentalmente ripreso, ma

in forme ridotte, da quello attuato vent’anni

prima nella grande esposizione di Torino5.

Tuttavia, nel corso della mostra si intuisce

quanto l’architettura possa diventare il terreno

comunicativo più efficace per la vendita della

merce esposta. Difatti, al congresso degli

espositori presieduto da Vittorio Pica, insieme

alle discussioni nate intorno all’opportunità

di una manifestazione selettiva piuttosto che

esaustiva e ridondante, emerse l’esigenza –

espressa tra gli altri da Depero e Prampolini,

all’intraprendente ideatore nonché direttore

generale dell’esposizione Guido Marangoni –

di una maggiore “misura architettonica”6 con

edifici realizzati all’aperto “con libertà di stile”7,

in quanto solo il “valore promozionale e

iconologico insito nelle piccole costruzioni

effimere” avrebbe permesso di “offrire una

ambientazione congruente e degna agli

insiemi di oggetti destinati ad essere

‘rappresentati’ nel e dal padiglione”8.

Dall’allestimento al padiglione provvisorio,

la necessità di una presenza significativa

dell’architettura si affacciava in maniera

preponderante anche negli scritti apparsi

durante e subito dopo la rassegna monzese9.

Malgrado le richieste avanzate al congresso

del 1923 e gli auspici di Marangoni10, nel

1925 l’introduzione nella “Seconda mostra

internazionale delle arti decorative” di una

sezione dedicata all’“Edilizia ed arte

pubblica”11 si rivelò, tuttavia, insufficiente,

soprattutto se confrontata con la presenza

“architettonica” alla concomitante esposizione

parigina delle arti decorative12. Peraltro, fra

le sottosezioni “Estetica del lago” e “Estetica

della montagna”, dominava ancora – nelle

parole di Marangoni – il senso di uno

“dei campi più pittoreschi e meglio graditi

al pubblico della I Biennale: quello dell’arte

paesana e folkloristica”13.

Bisognerà attendere l’esposizione del 1927

per assistere ai primi, tangibili segni

di architetture concrete, come il padiglione

del libro delle case editrici Treves e

Bestetti-Tumminelli14. Confermando il ruolo

del progettista nel sistema produttivo

industriale, nonché dell’architetto quale

allestitore di stand, la terza mostra monzese

si arricchiva di “manifestazioni d’architettura,

piene di fermenti per l’avvenire”15, non solo

con le “internazionali” e dirompenti

esercitazioni grafiche dei giovani del Gruppo

7, ma anche grazie alle colte e raffinate

proposte degli architetti del “Labirinto”

o degli artisti, diventati architetti per

l’occasione, Depero, Casorati, Sobrero,

Deabate, Menzio e Chessa.

“Perfetti modelli di dimore”:La casa alle Triennali

Massimiliano Savorra

106

Certo, tanto nelle Botteghe d’arte e nella sala

della “Comunità dei cultori delle arti e

mestieri” di Giandante, quanto nello spazio

occupato dai modelli e dai disegni di Pollini,

Figini, Rava, Larco, Terragni, non emergeva

ancora la questione della casa. Come è noto,

gli obiettivi erano dichiaratamente altri.

I membri del Gruppo 7 affronteranno il

problema con impeto, facendolo divenire

oggetto di riflessione specifica, soltanto dopo

aver visitato la Weissenhofsiedlung e le tre

altre grandi mostre di Stoccarda, dove

peraltro si ritrovarono a esporre i loro progetti

“razionalisti”16.

Infatti, la questione della casa – di sicuro non

nuova per la cultura architettonica italiana,

ma nuova nella sua dimensione di massa17 –

irromperà nel dibattito culturale nazionale

proprio dopo l’esposizione del Weissenhof18,

destando l’interesse oltre che dei giovani

architetti presenti alla mostra monzese, anche

di quei protagonisti dell’architettura italiana,

che in tempi e modi diversi visitarono

l’insediamento-modello tedesco19.

A partire dagli anni successivi alla Grande

Guerra, paesi come l’Italia, dove la questione

abitativa era fortemente sentita, si trovarono

a fronteggiare le medesime difficoltà, legate

al superamento dei criteri costruttivi

tradizionali e all’introduzione di metodi

industriali per ridurre costi e tempi. In tal

senso, il Weissenhof rappresentava un

laboratorio privilegiato, una vetrina di offerte

modello per soluzioni concrete20.

Un osservatore attento dell’evento tedesco

come Griffini mise in evidenza – in una

conferenza tenuta nel novembre 1927 –

proprio la mostra dei materiali, allestita come

corollario del quartiere, in cui erano esposti

i sistemi costruttivi adottati nella Siedlung21.

Nel marzo del 1928 – sulle pagine

della neonata “Domus” – constatando il fiorire

degli studi attorno al problema della casa

economica e i lodevoli tentativi tedeschi

e olandesi, Griffini rimarcava ulteriormente

l’importanza del Weissenhof “per il

107

G. Ponti, E. Lancia, Casa per vacanze,IV Triennale di Monza, 1930 (FLTM).

Casa per vacanze, vista prospettica, IV Triennale di Monza, 1930.

perfezionamento di uno tra i sommi beni

dell’uomo ed una delle sue maggiori

aspirazioni: la casa comoda e bella”22.

La “colonia” di Stoccarda risultava di sommo

interesse, “essendo in essa rappresentati

tentativi ed espressioni diverse e coordinate

della nuova tendenza, elementi chiari e

convincenti scaturiti dalla logica severa e

precisa che governa gli odierni indirizzi”23.

Negli scritti di Griffini, così come nelle

riflessioni di buona parte dei membri del

Gruppo 7, l’idea lecorbusiana della casa-

macchina – “la casa cioè dove ogni

particolare deve essere studiato con

razionalità rigorosa e deve in tutto soddisfare

all’ideale del massimo rendimento col minimo

sforzo”24 – è assunta come tópos retorico per

mettere in atto, una volta assimilati i

meccanismi della casa “logica”, la

sperimentazione di nuove realtà abitative.

Un’idea di casa, del resto, ripresa anche

dal Gant, il gruppo degli architetti “novatori”

torinesi25, all’esposizione per il decennale

della Vittoria – tenutasi nel 1928 al parco

del Valentino a Torino – e che risulta centrale

nella proposta di Casa Elettrica nella mostra

monzese del 1930.

Dopo l’esposizione del 1927 si delinea

dunque un’idea di “‘razionalizzazione’

dei comportamenti domestici, di definizione

di uno ‘stile nazionale’ perlomeno nelle forme

dell’arredo, di ‘domesticizzazione’ della

disciplina, unitamente a progetti, senz’altro

‘razionali’, di incentivazione della produzione

e del consumo di tutto ciò che va a costituire

108

il panorama domestico”26, e soprattutto

si comprende il fondamentale ruolo della

effettiva costruzione di architetture che

per così dire “espongono se stesse”,

nello specifico di case-manifesto.

Non va dimenticato inoltre quanto esperienze

progettuali e riflessioni teoriche sulla casa

rispecchiassero direttive della politica fascista

in tema di abitazioni, nate in prima istanza per

risolvere le drammatiche condizioni delle città

più congestionate, e rafforzate via via dai

dettati ideologici e propagandistici sull’assetto

della famiglia27. Del resto, le esperienze

architettoniche europee che influenzarono

l’idea di casa sul versante tecnologico-

costruttivo e su quello stilistico-formale,

si innestarono su una tradizione di studi

sulla casa contadina e sulla casa pompeiana

o latina, portati avanti da architetti italiani

di formazione diversa, come sarà evidente

nella quarta, non più Biennale, esposizione

del 1930.

Prototipi e sperimentazioni:

1930, le prime case-manifesto

Affermatone il carattere permanente,

e sancitane la scadenza triennale, la

manifestazione fu ufficialmente riconosciuta

dallo Stato italiano28 e affidata

provvisoriamente alla gestione di un

commissario straordinario, il senatore

Giuseppe Bevione, in attesa che venisse

nominato il consiglio di amministrazione.

L’organizzazione dell’esposizione fu affidata

a un direttorio composto da Gio Ponti, Mario

Sironi e Alberto Alpago Novello, quest’ultimo

in seguito sostituito da Carlo Alberto Felice.

Nel programma gli “ordinatori” individuano

i criteri di selezione degli oggetti, indicando

come parametri la “modernità di

interpretazione”, l’“originalità di invenzione”,

la “perfetta esecuzione”, l’“efficienza

di produzione”. La IV Triennale metteva

in evidenza, per la prima volta in maniera

lampante, i “problemi di produzione e

di economia”, come avvertiva la premessa

al catalogo ufficiale29. Si domandava in tal

senso di andare oltre, come sosterrà Pica,

“di arrivare a proposte, a forme, a strutture

che fossero di per se stesse valide, in

assoluto, al di fuori anche del tempo, e che

non si affidassero soltanto al solletico

della novità, o alle compiacenze effimere

della moda”30. Produzione ed economia,

109

L. Lovarini, Casa del dopolavorista, vista interna, IV Triennale di Monza,1930 (FLTM).

Gruppo 7, Casa Elettrica, ingresso del padiglione, IV Triennale di Monza,1930 (CPM).

E. Faludi, Progetto di villa sul lago, IV Triennale di Monza, Galleriadell’Architettura, 1930.

U. Cuzzi, Progetto di villa al mare, IV Triennale di Monza, Galleriadell’Architettura, 1930.

E.A. Griffini, Progetto di villa in collina, IV Triennale di Monza, Galleriadell’Architettura, 1930.

Progetto di villa in collina, spaccatoassonometrico, IV Triennale di Monza,Galleria dell’Architettura, 1930.

G. Pulitzer Finali, Progetto di villa al mare, IV Triennale di Monza, Galleria dell’Architettura, 1930.

111

termini “esatti” da affiancare a quello più

ambiguo di sperimentazione, divenivano gli

elementi fondanti di un mutamento graduale:

dagli oggetti di uso quotidiano esposti negli

ambienti della villa Reale ai modelli abitativi

di tre case costruite nel parco circostante,

il rinnovamento filtrava attraverso il proposito

di dare inedite espressioni formali a una

nuova concezione “etica e pratica” della vita,

come scrisse Ponti, riconoscendo quanto

“i problemi d’arte sono per il nostro Paese

problemi di prestigio nazionale e di decoro

rappresentativo della nostra civiltà, da cui

dipendono, con un valore economico di alte

possibilità di sviluppo, autorità e vantaggio

nei mercati del mondo”31.

Protagonista indiscusso delle ultime

esposizioni monzesi e delle prime milanesi,

Ponti orchestra magistralmente attorno a sé

un manipolo di progettisti, giovani e meno

giovani, con l’obiettivo comune di concretare

la sua articolata filosofia dell’abitare, ben

espressa negli articoli apparsi su “Domus”

e nella raccolta di scritti del 1933 intitolata

La casa all’italiana32. Non può pertanto

sfuggire, nei tre anni che separano le ultime

esposizioni monzesi, la febbrile e incessante

ricerca su più livelli, non ultimo quello

linguistico: per la casa l’obiettivo da

raggiungere risultava essere – come ricordava

Ponti – lo stile italiano.

Sorte infatti per volere di Ponti, le case erette

nel parco, diversamente caratterizzate per

destinazione sociale, affermavano in maniera

decisiva rispetto alle precedenti edizioni il

contributo essenziale dell’architettura, e non

soltanto nella ridefinizione dello spazio

domestico; tre piccoli edifici che, più di ogni

altro oggetto esposto in mostra, in uno spirito

efficientistico e didascalico manifestavano la

responsabilità dell’architettura come tecnica

d’intervento33.

Al di là delle disuguali connotazioni

ideologiche e linguistiche assunte dalle tre

case-padiglioni, va rimarcato quanto esse,

in modo parallelo, esplicitassero i propositi

e le riflessioni sulla casa e sui diversi modi

di abitare. E se la Casa di Vacanze di Ponti

e Lancia, realizzata grazie al finanziamento

di “La Rinascente” e della De Angeli Frua,

si riallacciava a quei progetti di piccole dimore

destinate a una agiata classe borghese

apparsi su “Domus” a partire dalla sua

nascita34, la Casa del Dopolavorista della

pittrice Luisa Lovarini si legava, come è stato

sostenuto, a “quel ‘Villaggio’ che è forma

di conclusione, soprattutto ideologica, dei

Concorsi nazionali dell’Opera nazionale

dopolavoro”35. Grazie alla partecipazione

fondamentale della Società Edison, Luigi

Figini e Gino Pollini – con la collaborazione

di Piero Bottoni36 per gli ambienti di servizio,

e di Guido Frette e Adalberto Libera per parte

degli arredi interni – hanno modo di realizzare

la Casa Elettrica, definendo una planimetria

più articolata rispetto agli altri prototipi

abitativi, e dimostrando al contempo una

consapevole attenzione verso funzioni,

percorsi, orientamento. E se è vero che, con

la Casa del Dopolavorista, la Casa di Vacanze

e la Casa Elettrica, si tentava di sciogliere

i nodi della questione sul piano “di ideologia

110

comunicativa”, è pur vero che in mostra

durante la quarta triennale si esposero anche

progetti tesi alla definizione di un nuovo modo

di abitare, per quanto taluni ancora lontani

dalla “standardizzazione” – o “tipificazione” –

della casa moderna, pubblicizzata ormai

perfino su riviste rivolte a una platea di lettori

non specialisti37. Infatti, il direttorio richiese

sotto forma di concorso agli architetti italiani

lo sviluppo di un unico tema – una villa

moderna per l’abitazione di una famiglia

media – “affinché l’architettura, che presiede

e governa le manifestazioni delle arti

applicate, fosse degnamente rappresentata

nella IV Triennale”38. Più di una cinquantina

di autori inviarono i progetti, che furono poi

selezionati, oltre che dal direttorio, anche da

una commissione formata da Alberto Calza

Bini, Pietro Betta, Marcello Piacentini e Enrico

Agostino Griffini39, per essere quindi esposti

nella Galleria dell’architettura in una mostra

curata da Griffini e Luigi Maria Caneva.

Quantunque il problema della casa moderna,

“novecentista” o “razionalista”, fosse ancora

affrontato con connotazioni di classe e di

costume40, alcuni progetti rappresentavano

egregiamente, secondo Ponti, vere e proprie

“interpretazioni” dell’abitazione, “cioè della

nostra vita e, se vogliamo, della nostra

civiltà”41. Comodità e igiene da un lato, “agio

morale” e “ospitalità sicura e duratura” per

lo spirito dall’altro, caratterizzavano le

trentasei ville pubblicate con un chiaro intento

divulgativo nel volume curato sempre

da Griffini e Caneva42. Sennonché, riflettendo

una diffusa ricerca sulla tipologia, nello

specifico di una casa residenziale unifamiliare,

il catalogo offriva un eccezionale campionario

di sperimentazioni, e consentiva di leggere

continuità e variazioni, se non punti di vera

rottura, con i precedenti, e per certi versi

analoghi, répertoires di Ville e villini,

ampiamente diffusi tra anni dieci e anni venti

a uso e consumo dei piccoli costruttori locali.

In un ventaglio di proposte caratterizzate da

lessici più o meno “moderni”, più o meno

aggiornati, talune soluzioni compositive

si segnalavano per il rigore progettuale, e per

113112

Veduta delle case nel Parco Sempione, V Triennale di Milano, 1933 (MART).

V Triennale di Milano, 1933, planimetriadel Parco Sempione (FLTM).

L. Vietti, Progetto di villa sul lago, IV Triennale di Monza, Galleriadell’Architettura, 1930.

G. Pollini, L. Figini, Villa-studio per un artista, scultura di Fausto Melotti, V Triennale di Milano, 1933 (CPM).

G. Terragni, A. Dell’Acqua, G. Mantero,O. Ortelli, C. Ponci, M. Cereghini, P. Lingeri, G. Giussani (gruppocomasco), Casa per le vacanze di un artista sul lago, V Triennale di Milano, 1933 (FLTM).

115114

per stabilire un moderno “stile” di vita.

In verità, come risulta dai documenti rinvenuti,

nelle idee iniziali del direttorio e del

presidente, perno delle future Triennali

sarebbe dovuta essere la costruzione – in

un’area centrale messa a disposizione

dal comune di Milano, o nei giardini pubblici

del parco – di una serie di edifici, più che

di semplici case-padiglione, concepiti

organicamente in modo da costituire un

quartiere di piccole case moderne dominato

da un edificio semi-permanente “nel quale il

pubblico vedrà raccolto il repertorio completo

di quelle produzioni d’arte che avran

contribuito ad arredare le case stesse”51.

Una volta diffuso il programma della mostra,

in ogni città italiana iniziarono a costituirsi

gruppi e comitati per la raccolta dei fondi da

destinare alla costruzione delle piccole case.

Nel programma, oltre alla “Mostra

dell’abitazione”, si dava risalto anche alla più

canonica “Mostra di architettura”, da

realizzarsi con grafici, fotografie su pannelli

e plastici esemplificativi. Per l’organizzazione

di quest’ultima, Barella chiese la

partecipazione diretta di Calza Bini e del

Sindacato nazionale architetti che segnalò

due delegati, Pietro Aschieri e Alberto Alpago

Novello, quest’ultimo già sostituito nel

direttorio da Carlo Alberto Felice.

Interpretata come esemplificazione concreta

della mostra grafica dell’architettura52,

la costruzione degli edifici nel parco venne

affidata dal direttorio quasi totalmente a

giovani architetti. Sperimentazioni distributive

da un lato, applicazioni di materiali moderni

dall’altro: in sintesi erano questi i due indirizzi

prevalenti nelle proposte che andavano

realizzandosi. Che fossero case per vacanze,

per artisti o per aviatori, per sposi o

conduttori di fattoria, i prototipi erano

accomunati da una generale adesione ai

processi industriali, sia nell’organizzazione

interna, sia nelle modalità costruttive. Anche

magistrali esercizi compositivi, come la casa

del gruppo di architetti comaschi (Terragni,

Lingeri, Dell’Acqua, Mantero, Ortelli, Ponci,

Cereghini, Giussani)53, la miesiana villa studio

di Figini e Pollini – considerata da Pica il

capolavoro dell’intera Triennale – o la Casa

del sabato ideata da Portaluppi con i BBPR54,

ricorrevano – nel loro realizzarsi con materiali

più o meno costosi – ai procedimenti offerti

dalla moderna industria edilizia. Una sagace

utilizzazione di nuovi materiali che

caratterizzava, peraltro, anche la Casa

coloniale di Luigi Piccinato e la raffinata casa

di Cesare Scoccimarro e compagni55.

In taluni casi, era evidente l’applicazione

all’idea di casa pontiana dei paradigmi

tayloristi e dei concetti della moderna

organizzazione del lavoro in fabbrica: rapidità,

economia, produzione in serie. Collegandosi

alla teoria della mass production e ai principi

dell’assembly line di matrice fordiana, alcune

delle trentatré costruzioni si caratterizzavano

per la flessibilità con cui potevano essere

realizzate. Smontabili, mobili, prefabbricabili,

economiche, trasportabili e trasformabili, le

cinque villette per “fine settimana” costruite

da Eugenio Faludi, Enrico Agostino Griffini

e Piero Bottoni intorno al ruscello che

attraversa il parco56, si differenziavano anche

117

il palese tentativo di costruire un contesto

adeguato ai singoli oggetti, nella convinzione

che l’architettura, arte maggiore, potesse

presiedere e governare le manifestazioni

di arte applicata.

In un singolare accostamento, le suggestioni

tautiane e i richiami ad architetture di

Holzmeister evidenti nella “villa in collina” di

Griffini si confrontavano con le mediterranee

evocazioni suggerite da Cuzzi o da Pulitzer

Finali. E che fosse una villa da costruirsi

sulla riviera ligure di levante (Albini e Palanti),

sulla punta di Amore a Cannobio (Vietti),

o sull’ungherese lago di Balaton (Faludi),

l’immagine che comunque si offriva restava

saldamente ancorata all’idea enunciata da

Ponti “di casa come spazio integrale

dell’attrezzatura abitativa”43. Non è un caso,

che proprio in quest’ultima esposizione

monzese, si affermi con chiarezza l’aspetto

“didattico” di tale nozione pontiana. Questa

strategia divulgativa avrebbe rafforzato, dopo

la chiusura della mostra, il proposito e la

necessità di costruire case-modello.

Grazie a Ponti, nella successiva edizione

della Triennale il tema della casa assunse

indiscutibilmente un ruolo cruciale, divenendo

fine e pretesto di riflessioni più ampie su

linguaggio, industria, oggetti di serie e

condizioni di vita. Mediante la costruzione

di tante piccole case e l’esposizione

di “prodotti e riproduzioni di opere d’arte

eseguite da architetti d’oggi”, nonché

di “manifestazioni esemplari in ogni ramo

dell’edilizia moderna”, la V Triennale avrebbe

potuto costituire una grande opportunità per

Milano, un “avvenimento culminante dell’anno

XI, anche dal lato turistico”, tanto da far

auspicare che il 1933 fosse considerato

“anno della Triennale”44.

Le case della V Triennale di Milano:

la regia di Gio Ponti

Il 23 gennaio 1932, in una sala concessa

dalla Federazione fascista autonoma delle

Comunità artigiane d’Italia, si insediava il

nuovo consiglio di amministrazione della

Triennale – fino a quel momento

commissariata – presieduto da Giulio Barella,

e composto da membri illustri, quali Marcello

Piacentini, Alberto Jannitti Piromallo, Aldo

Carpi, Arturo Tosi45. Va subito rilevato come il

neocostituito consiglio dovesse tenere conto

di una struttura già funzionante nelle sue linee

programmatiche e organizzative grazie al

direttorio guidato da Ponti. La situazione

suscitò perplessità da parte di Piacentini, il

quale, nella seduta di insediamento, chiese

delucidazioni circa il proprio ruolo effettivo.

Gli venne assicurato che, per il momento,

avrebbe svolto una funzione di controllo,

ma che in seguito avrebbe avuto un compito

ben più importante; un compito che, come

vedremo, non mancherà di esercitare

nella VI Triennale.

In questa occasione Ponti presentava i criteri

fondamentali su cui si basava il programma

della “Esposizione di architettura”, già

ampiamente diffuso dall’agosto 1931

attraverso la stampa46 e altre forme di

propaganda47. Una delle manifestazioni

principali della V Triennale, da realizzarsi

a Milano nel palazzo che Muzio andava

costruendo nel Parco Sempione con

i fondi della Fondazione Bernocchi48, sarebbe

stata la “Mostra dell’abitazione”, la cui

organizzazione avrebbe richiesto “particolari

cure, trattandosi di far concorrere gruppi

di architetti dei vari centri e di far finanziare

le rispettive ‘costruzioni’ dagli Enti locali”49.

Costruzioni disseminate nell’intero parco,

e che sarebbero state “perfetti modelli di

dimore” – come scrisse Barella a Mussolini –

“organismi completi” nei quali ogni elemento

particolare doveva concorrere e partecipare

“ad una unità artistica superiore”50. Concepite

e arredate secondo i “bisogni e i costumi

d’oggi”, le case, complete di suppellettili

e ornamenti, avrebbero avuto il compito

di mostrare quanto l’insieme – dai mobili ai

quadri, dagli apparecchi di illuminazione agli

impianti e ai servizi – risultasse determinante

116

P. Portaluppi, BBPR, U. Sabbioni, L. Santarella, Casa del sabato per glisposi, veduta della scala elicoidale, V Triennale di Milano, 1933 (FPM).

L. Piccinato, Casa coloniale, V Triennaledi Milano, 1933 (FLTM).

C. Scoccimarro, P. Zanini, E. Midena,Casa dell’aviatore, veduta della scalaelicoidale, V Triennale di Milano, 1933.

L. Moretti, M. Paniconi, G. Pediconi, M. Tufaroli, I. Zanda, Casa di campagnaper un uomo di studio, V Triennale di Milano, 1933 (FLTM).

in base ai materiali costruttivi adottati.

Modello di casa edificabile nelle vicinanze

di un lago in sole quarantotto ore, la villetta

nota come la numero 1 – progettata dal solo

Faludi57 – era costituita da un’ossatura

di legno, rivestita esternamente con lastre

di eternit, e internamente con doppio strato

di pannelli di insulite e di legno compensato,

un sistema che avrebbe abolito tutti i materiali

“idraulici” con enorme risparmio di tempo e di

mano d’opera. Ideale per una famiglia

numerosa, la Casa da mezza montagna,

smontabile e trasportabile, era formata invece

da elementi standardizzati, che permettevano

una realizzazione completa in meno di otto

giorni. E se le lastre in celotex e il pavimento

in linoleum di quest’ultima casa avrebbero

garantito l’isolamento dagli agenti esterni,

il tetto spiovente in eternit ondulato della

Casa per montagna (la numero 3) avrebbe

protetto da più rigidi climi. Fabbricata in

magnesilite con solai Sap, la lecorbusiana

villetta numero 4 “per spiaggia marina”,

sostenuta da colonne tubolari Mannesmann,

poggiava su una piattaforma di laterizi

speciali, a differenza della Casa di campagna

a un solo piano, costruita in legno e rivestita

in klinker. Sottolineando i vantaggi tecnico-

economici, Sigfried Giedion scriveva:

“Queste casette per week end, presentate

in grandezze assai diverse, ma fornite

di ambienti straordinariamente grandi

nonostante il prezzo assai ridotto e costruite

in parte secondo nuovi criteri tecnici,

rappresentano la parte meglio riuscita di tutta

l’esposizione”58.

Proprio per l’applicazione di moderni prodotti

per l’edilizia, di veloci processi di messa in

opera, di nuovi impianti distributivi adattabili

e trasformabili a seconda delle esigenze,

il gruppo di cinque villette suscitò enorme

curiosità e interesse. Va ricordato come,

proprio in quegli anni, accanto all’idea

della “casa-macchina da abitare”, si andasse

diffondendo in Europa quella della “casa

crescente”, un’abitazione adattabile cioè

“ad ogni cambiamento dell’abitante,

sia cambiamento dello stato di famiglia,

sia cambiamento psicologico, sia economico

o sociale”59. Alterazioni e trasformazioni erano

118

consentite anche dalla facilità con cui si

potevano realizzare tramezzature mobili,

come era evidente nel ben congegnato

edificio a cinque piani di Daneri e Vietti

o, ancor più, nella Casa a struttura di acciaio

del gruppo Pagano, Albini, Camus, Palanti,

Mazzoleni, Minoletti. Tale idea di flessibilità

poteva applicarsi soltanto a patto di accettare

completamente il concetto di “standard”, ben

esemplificato anche dall’elegante casetta in

legno per le vacanze di Emilio Lancia, che

aveva pareti e soffitti di lastre di insulite e

pavimentazioni in linoleum, materiale tra i più

usati in mostra. Del resto, la cospicua

presenza di prodotti moderni per l’edilizia,

leggeri e di facile trasporto (dalla galatite

alla lincrusta), costituiva una novità assoluta

rispetto alle edizioni precedenti.

Utilizzando le ultime trovate dell’industria

del costruire e i più aggiornati procedimenti

operativi, i modelli “al vero” realizzati nel

parco – sebbene lontani dalle istanze di

realismo espresse dal duce – portavano con

sé un’idea di “casa per tutti” ante litteram,

quella casa singola o raggruppata che “abbia

tutti i requisiti richiesti dai progressi moderni,

in una cornice di decoro moderato e adatta

ai più ampi strati della popolazione”.

Anticipando i termini del dibattito successivo,

Piacentini scriveva a tal proposito: “Si tende

a creare la casa alla portata di tutti, a

produrre la ‘balilla’ dell’abitazione, perché

ormai il palazzo o la villa signorile sono

da considerarsi come temi d’eccezione”60.

Questa idea di casa accessibile a tutti,

si esplicitava non solo nelle raffinate

case-villette per il ceto medio, ma anche

nel Gruppo di elementi di case popolari,

un padiglione dimostrativo ideato da Griffini

e Bottoni, sulla scia delle esperienze

di Alexander Klein e di Bruno Taut.

Difatti, il tema della casa razionale per tutti

trovava applicazione in un insieme di “case

minime” sorte per interessamento dell’Icp

di Milano61. In un denso articolo pubblicato

sulle pagine di “Quadrante” a illustrazione

dell’opera realizzata con Bottoni, Griffini

indicava i problemi risolti mettendo in atto

le teorie kleiniane sullo studio planimetrico

dei vari tipi di alloggi popolari62.

119

E.A. Griffini, E. Faludi, P. Bottoni, Colonia di case per vacanza, Casa da mezza montagna, vedutaesterna, particolare costruttivo, cantierein corso d’opera, V Triennale di Milano,1933.

M. Canino, G.B. Ceas, F. Chiaromonte,Al. Sanarica, Casa sul golfo, V Triennaledi Milano, 1933 (FLTM).

La razionalizzazione e la semplificazione

del lavoro casalingo, in special modo quello

in cucina, erano affrontate con particolare

cura; in tal senso, finanche l’arredamento era

studiato avendo come principio esclusivo

la funzionalità, con la realizzazione di mobili

ad hoc per evitare ingombri inutili, e di

tinteggiature con colori adatti “a conservare

negli abitatori l’amore per la casa”63.

Il 31 ottobre 1933 la prima milanese

“Esposizione triennale delle arti decorative

e industriali moderne e dell’architettura

moderna” chiudeva i battenti64: 650.000

visitatori a pagamento avevano potuto

ammirare le case nel Parco Sempione

e le mostre tenutesi nel Palazzo dell’Arte,

garantendo all’istituzione un incasso di oltre

cinque milioni di lire, e alle ditte espositrici

vendite di prodotti per circa un milione, oltre

a ingenti ordinazioni di articoli e manufatti.

Marcello Piacentini e la Triennale:

la scomparsa delle case

Nelle pagine del fascicolo speciale della rivista

“Architettura” completamente dedicato alla

V Triennale da poco conclusa, Marcello

Piacentini osservava: “La personalità di Ponti

ha dato il tono a tutta la Triennale; egli si è

confermato in questa grande fatica il vero

maestro dell’arredamento che noi già

conoscevamo e se un rammarico possiamo

provare, è che egli non abbia potuto disporre

di una maggiore autonomia e di facoltà

di comando assoluta”65. L’affermazione

dell’accademico d’Italia acquista un

significato particolare soprattutto se si

considerano le vicende che portarono

alla realizzazione della sesta edizione.

Il 19 dicembre 1933, nella sala della

presidenza della Triennale, si riunisce

il consiglio di amministrazione dell’ente.

Condannando il sistema del fotomontaggio

ampiamente utilizzato nella V Triennale,

e proponendo una maggiore attenzione

allo sviluppo di plastici corredati da chiari

elementi tecnici con prevalenza di materiali

grafici su quelli fotografici, Piacentini –

membro sempre più influente nel consiglio –

ritiene opportuno, per l’organizzazione della

sesta edizione, limitare i temi da presentare,

120

e suggerisce, “affinché la Mostra abbia

particolare vivacità”, di illustrare soltanto taluni

edifici “di carattere eccezionale e di soggetto

attuale”66. In sostituzione della mostra delle

costruzioni nel parco, egli propone una

grande mostra di materiali, da allestire in un

solo padiglione realizzato nel parco per

l’occasione, e destinato a ospitare anche

quelle mostre che non avrebbero trovato

posto nel palazzo di Muzio.

Questioni pratiche ed economiche, sollevate

peraltro anche da Carlo Alberto Felice in una

relazione del 13 dicembre67, condussero

il consiglio ad accettare le proposte

di Piacentini68. Evidenti ostacoli economici,

nonché la difficoltà di coordinare i numerosi

architetti coinvolti, decretarono il declino della

formula delle case-prototipo, che pure tanto

successo avevano riscosso nella V Triennale.

A ciò contribuirono anche le critiche espresse

dal segretario del direttorio in merito alla

presenza in mostra di taluni progetti non

rispondenti alle vere e sentite necessità

moderne: “Abbiamo visto alla Triennale due

Case per artisti; ma la soluzione del problema

della Casa per l’artista non è così importante

e speciale da richiedere un particolare studio.

L’unico particolare bisogno di un artista è di

avere uno studio in felici condizioni di luce e

di capacità; ma la cucina, il salotto, il bagno,

la camera da letto dell’artista, sono le stesse

degli altri uomini della sua cultura e della sua

posizione sociale”69. Del resto, non era facile

convincere i potenziali finanziatori a sostenere

la costruzione di case effimere, a puro scopo

dimostrativo. In tal senso, Carlo Alberto Felice

propose da un lato, di realizzare con il

contributo di ministeri ed enti nazionali, oltre

che con la partecipazione finanziaria della

Triennale, soltanto cinque “edifici modello

veramente caratteristici, assolutamente tipici,

effettivamente rispondenti alle esigenze sociali

d’oggi”, dall’altro, di costruire con l’appoggio

della Triennale “un vero quartiere di case

moderne modello da affittare o da vendere.

Case perfettamente studiate, completamente

finite, ma non ammobiliate”70.

Insinuatosi nella gestione culturale della

Triennale, come risulta evidente dai verbali

delle sedute del consiglio di amministrazione,

E.A. Griffini, E. Faludi, P. Bottoni, Colonia di case per vacanza, Casa di montagna, veduta esterna, V Triennale di Milano, 1933 (FLTM).

E.A. Griffini, E. Faludi, P. Bottoni, Colonia di case per vacanza, Casa di campagna, veduta esterna, V Triennale di Milano, 1933 (APB).

121

G. Pagano, F. Albini, R. Camus, G. Palanti, G. Mazzoleni, G. Minoletti, Casa a struttura d’acciaio, V Triennale di Milano, 1933 (FLTM).

E.A. Griffini, E. Faludi, P. Bottoni, Colonia di case per vacanza, Casa per spiaggia marina, vedutaesterna, V Triennale di Milano, 1933 (FLTM).

Piacentini assunse via via un ruolo sempre

più determinante nella regia e nella gestione

delle iniziative. Anche nella scelta del sostituto

del dimissionario Ponti, Piacentini ebbe un

peso decisivo. In particolare, sempre nella

seduta del 19 dicembre, venne stilata una

graduatoria di architetti che comprendeva,

nell’ordine delle trattative avviate, Gustavo

Pulitzer Finali, Giuseppe Pagano, Luciano

Baldessari e Giuseppe Terragni. E quando

Pulitzer Finali – come presupposto necessario

alla sua entrata nel direttorio – dettò precise

condizioni di riforma dello statuto della

Triennale71 – che tra le altre cose

ridimensionavano il ruolo del Consiglio –

non si ebbero esitazioni – visti i “contrattempi

e ostacoli di natura tale per cui entrambe le

parti riconobbero l’opportunità di considerare

come non avvenute le trattative”72 – a

scegliere il candidato “piacentiniano”

Giuseppe Pagano, peraltro già membro

del direttorio ordinatore della mostra

dell’Aeronautica italiana organizzata

per il 1934 dalla Fondazione Bernocchi

in Triennale.

La proposta di Piacentini si concretizzò nella

“Mostra degli elementi e materiali tipici

dell’Architettura moderna”, la prima “chiara

e avvincente” esposizione della VI Triennale,

come stabilito dalle “Linee del programma”73.

Nelle sezioni dedicate all’architettura, alle arti

decorative e alle mostre retrospettive – i tre

grandi settori in cui vennero accorpate tutte

le mostre – la casa era presente solo tra gli

“edifici tipici costruiti in tutto il mondo”

o tra i progetti di “edifici tipici italiani”74.

Secondo le indicazioni formulate, la questione

dell’abitazione riappariva però tanto nei

tentativi di riaffermare la tradizione della

cosiddetta “architettura minore”, alla quale

era dedicata una mostra specifica, e nelle

rappresentazioni della “scienza urbanistica”

visibili nella rispettiva sezione, quanto

nell’esposizione speciale intitolata “La

giornata dell’uomo moderno”. Di indiscutibile

carattere didattico, quest’ultima intendeva

presentare esempi di ambienti “ideali” per

la vita, in alloggi da affitto, di tre categorie

di persone – il capo operaio, l’impiegato,

il comune professionista – non dotate di alti

redditi, “ma che egualmente, col loro tenore

di vita, devono partecipare alle conquiste

della tecnica, dell’igiene, dell’estetica,

dell’etica moderna”75. Realizzato con oggetti

“riproducibili, di facile acquisto, di costo

proporzionale agli intenti, di effettiva

rispondenza all’uso, di riconosciuta efficienza”,

l’allestimento dei singoli ambienti doveva

rispondere agli obiettivi prefissati mediante

chiare didascalie, spiegazioni grammofoniche,

statistiche figurate e animate.

Significativa per la sistemazione logistica

dell’intera mostra, è la proposta di Piacentini

di “monumentalizzare” gli spazi espositivi con

la creazione di tre corpi, collegati tra loro con

portici, a unico ingresso e in asse al palazzo

“Bernocchi”, anziché di un solo padiglione, a

parer suo “troppo grande e ingombrante”76.

I tre padiglioni – destinati alle mostre dell’arte

applicata all’architettura, dell’architettura

e dei materiali edilizi – avrebbero formato

una grande piazza centrale, adatta per feste

e altre manifestazioni “ludiche”, come appare

da uno schizzo in calce a una lettera inviata

da Piacentini a Barella77. L’accademico d’Italia

propose il nome dell’“amico” Pagano per

la progettazione dei tre padiglioni, nonché

dell’arredamento delle sale; si sarebbe

trattato, comunque, di un “incarico a sé

stante”78. La VI Triennale si configura dunque,

al di là di possibili interpretazioni critiche,

come la Triennale di Piacentini, più che

di Pagano o di Persico, come è stata

interpretata finora dalla storiografia79.

Intanto, il 20 ottobre 1935, applicando

la legge 18 aprile 1934 n. 811, si decretava

la costituzione di un nuovo consiglio di

amministrazione80. Su suggerimento del

ministro dell’interno, Barella viene confermato

presidente, e su proposta del Ministero delle

corporazioni si ratificano i nomi di Piacentini

e di Jannitti Piromallo. Rino Parenti, Antonio

122

Maraini e Alberto Calza Bini sono proposti

dai diversi sindacati di settore, mentre ad

aggiungere complessità al funzionamento

di una già di per sé complessa macchina,

burocratica e insieme di potere, il ministro

dell’educazione nazionale nomina come

propri rappresentanti Rino Valdameri,

presidente della Accademia di Belle Arti

di Milano, e Gio Ponti81.

Piccoli segni di cambiamento delle linee

direttive nell’organizzazione della VI Triennale

si possono cogliere nelle proposte, formulate

il 3 dicembre 1935, dell’ordine del giorno

da discutere nella seconda seduta del nuovo

Consiglio82: singole mostre specifiche, tra

le altre, dedicate all’architettura, ai materiali

e all’abitazione moderna sono oggetto

di riflessione. Ma in linea generale, la struttura

dell’intera manifestazione resta quella

proposta dall’accademico d’Italia, e

l’organizzazione materiale delle singole

sezioni rimane affidata al direttorio guidato

da Pagano. Quantunque si dimetta nel

gennaio 1936 (pochi mesi prima

dell’inaugurazione della Triennale, per un

“polemico battibecco” con Sommi

Picernardi83), questi costruisce il padiglione

approvato da Piacentini84, cura con Guido

Frette la mostra sui sistemi costruttivi e i

materiali edilizi, organizza con Guarniero

Daniel la celebre mostra fotografica

sull’architettura rurale nel bacino

mediterraneo.

Il tema della casa era affrontato in più sezioni,

ma di fatto in nessuna in maniera esclusiva,

come documentavano le sottosezioni della

mostra dell’abitazione affidata ai molti

architetti. La casa diveniva pretesto

ideologico per affrontare vuoi il concetto

di “coerenza fra ambiente spirituale e opera

umana”, vuoi “il lottizzamento razionale” dei

quartieri di abitazione. Spostandosi peraltro

verso riflessioni autarchiche, il baricentro

delle discussioni si allontanava dall’idea

di “casa pontiana” per fermarsi sull’intervento

dell’architetto, considerato non più un artefice

ma un mediatore tra industria e società civile,

tra ambiente e tecniche di produzione.

In tal senso, serialità, intercambiabilità,

componibilità, i principi ispiratori della mostra

dell’abitazione, vennero ritenuti obiettivi – e al

contempo strumenti – indispensabili per la

definizione di alloggi-tipo, alcuni virtuali altri

reali, in moderni quartieri popolari, come per

esempio quelli proposti dal team guidato da

Albini. Con la scomparsa dei “perfetti modelli

di dimore”, e l’apparizione dei mobili “tipici”,

di “serie”, a “moduli costanti”85, i termini

del dibattito86, articolati e complessi, quali

erano apparsi anche in seguito ai Ciam,

nella VI Triennale si stemperano, per tradursi

unicamente tanto negli appartamenti-tipo

destinati a classi sociali diverse, quanto

nelle ambiziose proposte relative

all’arredamento moderno. Riappariranno

soltanto nell’VIII Triennale, dove per

“sperimentare sul campo i problemi

dell’abitazione, da quelli della scelta

urbanistica e della pianificazione interna,

a quello degli oggetti d’uso, in una

dimensione reale, per l’utenza ‘meno

abbiente’”87 sarà necessario costruire

un intero quartiere moderno.

Lettera di Marcello Piacentini a Giulio Barella, 10 gennaio 1934(FLTM).

E.A. Griffini, E. Faludi, P. Bottoni,Gruppo di elementi di case popolari,assonometria della struttura, V Triennaledi Milano, 1933 (APB).

123

Società anonima costruzioni edilizie“Tutto acciaio”, Casa in acciaio, veduta interna, V Triennale di Milano,1933 (FLTM).

E. Lancia, Casa in legno, V Triennale di Milano, 1933 (FLTM).

1 “Nel senso che le normali prospettive cronologiche non ser-virebbero a nulla in un mondo fatto, più che di azioni, di ideee di proposte, di speranze e di suggestioni, ma – soprattutto– di anticipazioni e, perfino, di progetti non ancora giunti aessere attuali oggi mentre scriviamo”. A. Pica, Storia dellaTriennale 1918-1957, Milano 1957, p. 8. 2 A. Pica, op. cit., p. 8.3 Presentata al sindaco di Milano, Emilio Caldara, nel gennaio1918 e approvata il 2 ottobre 1919, la proposta di GuidoMarangoni, ideatore e iniziatore delle Biennali, si concretizza il23 febbraio 1922 con la costituzione del “Consorzio Milano-Monza-Umanitaria”, delegato a organizzare gli eventi nella villaReale di Monza, resasi disponibile in seguito a donazione daparte della Corona. Cfr. Prima esposizione internazionale dellearti decorative. Consorzio Milano-Monza-Umanitaria. Maggio-MCMXXIII-ottobre. Catalogo, Firenze-Venezia-Milano-Roma-Napoli 1923. Sulle origini e la nascita delle biennali monzesi,oltre a A. Pansera, Storia e cronaca della Triennale, Milano1978, pp. 13-33, si veda della medesima il recente e bendocumentato 1923-1930. Dalle arti decorative al design. Lalunga marcia verso il progetto, in Id. (a cura di), 1923-1930Monza, verso l’unità delle arti. Oggetti d’eccezione dalleEsposizioni internazionali di arti decorative, catalogo dellamostra, Cinisello Balsamo 2004, pp. 16-49. 4 G. Polin, La Triennale di Milano 1923-1947. Allestimento, astra-zione, contestualizzazione, in Allestimenti/Exhibit Design, numeromonografico di “Rassegna”, n. 10, giugno, 1982, p. 35. 5 Cfr. P. Mezzanotte, La prima mostra internazionale delle artidecorative a Monza, in “Architettura e Arti Decorative”, fasc. X,giugno, 1923, pp. 391-404. 6 “Gli espositori di Monza nel loro recente congresso hannoconcordi enunciato il desiderio assai legittimo di avere a di-sposizione degli speciali padiglioni per speciali mostre dioggetti non adattabili senza anacronismo nell’ambientazionedelle sale e dei corridoi settecenteschi. Già gli amici CesareGoldmann e Roberto Morettini, con premura cordiale e la con-sapevolezza – che li onora – dell’utilità nazionale di questanuova loro abnegazione, si sono proposti di assicurare l’unol’erezione di un padiglione lombardo col contributo degli enti edegli industriali lombardi, l’altro il padiglione destinato ad ospi-tare le creazioni di bellezza della sua bellissima Umbria nativa”.G. Marangoni, La mostra internazionale delle arti decorativenella villa reale di Monza MCMXXIII. Notizie, rilievi, risultati,Bergamo s. d. [ma 1923], p. 66. 7 Il congresso degli espositori a Monza, in “Le Arti Decorative”,6, 18 ottobre 1923. Organo ufficiale delle mostre monzesi, larivista presentò tutta la produzione esposta nella villa Reale. 8 G. Polin, La Triennale di Milano… cit., p. 35.9 Si vedano, per esempio, i diversi scritti di Raffaello Giolli e diRoberto Papini pubblicati su quotidiani e riviste. Cfr. R. DeSimone (a cura di), Cronache di architettura 1914-1957.Antologia degli scritti di Roberto Papini, Firenze 1998; R. Giolli,L’architettura razionale, a cura di C. de Seta, Roma-Bari 1972.10 “Ed ora tutte le energie debbono essere chiamate a raccol-ta intorno al dovere di assicurare la buona riuscita della secon-da Biennale che per ragioni di data verrà a svolgersi nel con-fronto immediato con quella di Parigi”. G. Marangoni, Lamostra internazionale… cit., p. 65.11 Cfr. Catalogo seconda mostra internazionale delle arti deco-rative. Villa reale di Monza. Maggio-ottobre 1925, Milano1925. 12 Sui padiglioni realizzati all’esposizione francese si rimanda aG. D’Amato, Fortuna e immagini dell’Art Déco. Parigi 1925,Roma-Bari 1991. 13 Seconda mostra internazionale delle arti decorative.Catalogo seconda edizione, Milano 1925, p. 26.14 Cfr. Catalogo ufficiale della III mostra internazionale delle artidecorative. Maggio-ottobre 1927. Villa reale Monza, Milano1927.

15 R. Papini, Le arti a Monza nel 1927, 1. Gli Italiani, in“Emporium”, n. 391, luglio, 1927, pp. 14-32; si cita da R. DeSimone (a cura di), op. cit., p. 119. 16 Cfr. E. Terragni, I viaggi di architettura di Giuseppe Terragni.Appunti e immagini dai taccuini, in G. Ciucci (a cura di),Giuseppe Terragni. Opera completa, Milano 1996, pp. 75-85;M. Talamona, Primi passi verso l’Europa (1927-1933), in V.Gregotti, G. Marzari (a cura di), Luigi Figini Gino Pollini. Operacompleta, Milano 1996, pp. 58-61. 17 A. Avon, “La casa all’italiana”: moderno, ragione e tradizio-ne nell’organizzazione dello spazio domestico dal 1927 al1930, in G. Ernesti (a cura di), La costruzione dell’utopia.Architetti e urbanisti nell’Italia fascista, Roma 1988, p. 47.Della stessa autrice si veda anche La casa all’italiana, in G.Ciucci, G. Muratore (a cura di), Storia dell’architettura italiana.Il primo novecento, Milano 2004, pp. 162-179.18 Cfr. G. Pincherle Muratori, La casa moderna e razionale.Note sulla Mostra di Stoccarda e indirizzi nuovi dell’edilizia, in“L’Organizzazione scientifica del lavoro”, 6, dicembre, 1927,pp. 436-448.19 Cfr. M. De Michelis, Roman Germans: Italian Architects Lookto Germany, in Two German Architectures 1949-1989, cata-logo della mostra, Stuttgart-Bonn 2004, pp. 6-7. 20 Cfr. F. Irace, Il Weissenhof tra storia e critica, in M. G. Sandri(a cura di), Indagini sul moderno, Milano 1987, pp. 27-48; R.Pommer, C.F. Otto, Weissenhof 1927 and the ModernMovement in Architecture, Chicago-London 1991. 21 Il testo della conferenza tenuta nel novembre 1927all’Associazione fra i Cultori di Architettura di Milano vienepubblicato l’anno seguente; cfr. E. A. Griffini, Le case econo-miche dell’esposizione di Stoccarda, in «La Casa», n. 7, luglio,1928, pp. 527-547. 22 E.A. Griffini, Esempi stranieri modernissimi di case economi-che, in “Domus”, n. 3, marzo, 1928, p. 13. 23 E.A. Griffini, Esempi stranieri… cit., pp. 14-15. Griffini ritornasull’argomento tre mesi dopo in un articolo arricchito dalleimmagini tratte da Bau und Wohnung, pubblicazione delDeutscher Werkbund; cfr. E. A. Griffini, Le case del razionali-smo moderno alla mostra di Stoccarda, in “Domus”, 6, giu-gno, 1928, pp. 17-19. 24 E.A. Griffini, Le case economiche… cit., pp. 529-530.25 Formato da Pietro Betta, Maurizio De Rege di Donato, MariaDezzutti, Gino Levi Montalcini, Armando Melis de Villa, ArturaMidana, Sandro Molli, Domenico Morelli, Ettore Pittini, PaoloPerona, Mario Passanti, Giuseppe Pagano, AntonioPogatschnig, Natale Reviglio, Gianni Ricci, Giuseppe Rosso, ilGant realizzò la “Casa degli architetti”, opera nata come riela-borazione di uno schema tautiano – come scrisse Betta,anima del gruppo – pubblicato in un articolo di Griffini sulnumero di aprile di “Domus”. Cfr. E.A. Griffini, Alcuni interni dicase modernissime, in “Domus”, 4, aprile, 1928, pp. 40-43. 26 A. Avon, “La casa all’italiana”… cit., p. 47. Sul tema si vedaaltresì M. Salvati, L’inutile salotto. L’abitazione piccolo-borghe-se nell’Italia fascista, Torino 1993.27 Cfr. V. Fraticelli, “Parva sed apta mihi”: note sulla cultura esulla politica della casa negli anni Venti in Italia, in “NuovaDWF”, n. 19-20, 1982, pp. 39-47. 28 Con lo spostamento della cadenza periodica, da biennale atriennale, si ha l’autorizzazione istituzionale a operare, condecreto legge 25 giugno 1931, come ente autonomo e per-manente, oltre all’iscrizione al Bureau International desExpositions. Si vedano i documenti in AS-FLTM. 29 Cfr. Al visitatore, in Catalogo ufficiale della IV esposizionetriennale internazionale delle arti decorative e industrialimoderne. 1930 maggio-ottobre a. VIII, Milano 1930, p. 35. 30 A. Pica, op. cit., p. 25.31 G. Ponti, La Triennale di Monza, in “Domus”, 5, maggio,1930, p. 13. Si veda anche M. C. Tonelli Michail, Il design inItalia 1925-1943, Roma-Bari 1987, p. 30.

32 Cfr. F. Irace, Gio Ponti. La casa all’italiana, Milano 1988. 33 Cfr. G. Polin, La Casa Elettrica di Figini e Pollini. 1930, Roma1982, p. 22. Si veda inoltre G. Ponti, La vicina IV esposizioneinternazionale d’arte decorativa alla villa reale di Monza, in“Domus”, 3, marzo, 1930, pp. 9-18.34 Oltre ai progetti di Ponti, si vedano anche quelli di Griffini. Cfr.E.L., Piccola dimora di campagna, progettata dall’architettoE.A. Griffini, in “Domus”, 7, luglio, 1928, pp. 14-15, 45; E.A.Griffini, Case a pianta triangolare, in “Domus”, 12, dicembre,1928, pp. 32-33. 35 A. Avon, “La casa all’italiana”… cit., p. 62. 36 G. T. [G. Tonon], I locali di servizio nella Casa elettrica alla IVEsposizione internazionale delle arti decorative e industrialimoderne di Monza 1929-30, in G. Consonni, L. Meneghetti,G. Tonon (a cura di), Piero Bottoni. Opera completa, Milano1990, pp. 168-171. 37 Cfr. F. Tajani, La casa, in “La Lettura. Rivista mensile delCorriere della Sera”, a. XXX, 2, febbraio, 1930, pp. 115-122. 38 Dalla premessa al volume 36 progetti di ville di architetti ita-liani. A cura dell’Esposizione Triennale Internazionale delle ArtiDecorative Industriali Moderne alla Villa Reale di Monza, con lapresentazione di G. Ponti, Milano-Roma 1930, s. n. p. 39 Cfr. Archivio Progetti, Venezia, Fondo Griffini (d’ora in poiAP-FG), Lettera, datata 1 ottobre 1929, inviata dal direttoriodella Triennale a Griffini. 40 A. Pansera, Storia e cronaca… cit., p. 225.41 G. Ponti, Presentazione al volume 36 progetti di ville… cit.,s. n. p. 42 Su volontà di Ponti, le ville vennero anche ordinate e scelteda Griffini e Caneva per una pubblicazione a carico dellamostra. 43 F. Irace, Gio Ponti… cit., p. 27. 44 AS-FLTM, Lettera, datata 1 settembre 1931, inviata daBarella a Mussolini. Si veda anche il Promemoria del direttorio,datato 31 agosto 1931, a firma di Carlo Alberto Felice perGiulio Barella.45 AS-FLTM, Verbale della seduta del Consiglio, dattiloscrittodatato 23 gennaio 1932. Alla riunione partecipano anche icomponenti del direttorio: Felice, Ponti, Sironi. 46 Oltre agli avvisi apparsi su riviste e quotidiani, si veda AS-FLTM, Programma, opuscolo a stampa, datato 17 agosto1931. Si veda anche Regolamento generale, opuscolo astampa, datato dicembre 1931. Cfr. inoltre Triennale di Milano.Catalogo ufficiale, Milano 1930. 47 Per la partecipazione degli architetti stranieri, si ottemperaquanto stabilito nelle precedenti esposizioni e negli accordi fir-mati nella Convenzione sulle Esposizioni Internazionali, stipu-lata a Parigi nel novembre 1928. 48 Cfr. F. Irace, Giovanni Muzio 1893-1982. Opere, Milano1994, pp. 137-148. Si veda anche M. P. Belski, Palazzodell’Arte al Parco Sempione, Milano 1931-1933, scheda in S.Boidi (a cura di), L’architettura di Giovanni Muzio, catalogodella mostra, Milano 1994, pp. 190-193.49 AS-FLTM, Relazione allegata al Verbale della seduta delConsiglio, dattiloscritto datato 23 gennaio 1932.50 AS-FLTM, Lettera, datata 15 maggio 1931, inviata daBarella a Mussolini.51 AS-FLTM, Lettera, datata 23 febbraio 1931, inviata daBarella a Mussolini.52 Cfr. R. Papini, La quinta Triennale a Milano. Ispezione allearti, in “Emporium”, 468, dicembre, 1933, pp. 331-384. 53 Cfr. da ultimo C. Baglione, Casa sul lago per artista alla VTriennale, in C. Baglione, E. Susani (a cura di), Pietro Lingeri1894-1968, Milano 2004, p. 189. 54 Cfr. L. Molinari, Casa del sabato per gli sposi alla V Triennale,in L. Molinari, Fondazione Piero Portaluppi (a cura di), PieroPortaluppi. Linea errante nell’architettura del Novecento,Milano 2003, pp. 114-115.55 Cfr. P. Scarpa, Alla V Triennale di Milano. Architettura inter-

nazionale moderna, in “Il Messaggero”, 28 agosto 1933. 56 Cfr. G. Ponti, Case per vacanza, in “Domus”, 66, giugno,1933, pp. 291-299. Per ulteriori riferimenti bibliografici sirimanda alla scheda contenuta in M. Savorra, Enrico AgostinoGriffini. La casa, il monumento, la città, Napoli 2000, pp. 184-186. 57 Figura di riferimento all’interno del gruppo per la ricerca sullaprefabbricazione, Eugenio Faludi (ungherese di nascita e tra-sferitosi a Roma nel 1925) lascerà l’Italia nel 1939 in seguitoalle leggi razziali riparando prima in Inghilterra, e poi inCanada, dove continuerà i suoi studi sulla PrefabricatedHouse. Cfr. Architetture di Eugenio Faludi, Milano 1939. Siveda inoltre R.G. Hill, Faludi, Eugenio Giacomo, in C. Olmo (acura di), Dizionario dell’architettura del XX secolo, vol. II,Torino-London 2000, p. 322. 58 S. Giedion, Uno straniero parla della Triennale, in “LavoroFascista”, 28 agosto 1933. 59 R. Rothschild, Sonne Luft und Haus für alle (Sole, aria ecasa per tutti). Esposizione a Berlino maggio-agosto 1932, in“Rassegna di Architettura”, 6, giugno, 1932, pp. 251, 254.60 M. Piacentini, V Triennale di Milano. Significato dell’esposi-zione, in “Architettura”, fascicolo speciale, 1933, pp. 4-5.61 Si veda la scheda contenuta in M. Savorra, op. cit., pp. 186-187.62 Cfr. E.A. Griffini, La casa popolare, in “Quadrante”, luglio,1933, pp. 19-25.63 G. Palanti, Gruppo di elementi di case popolari, in “Ediliziamoderna”, n. 10-11, agosto-dicembre, 1933, p. 29.64 Sei mesi di vita della Quinta Triennale. Il bilanciodell’Esposizione che si chiude, in “Corriere della Sera”, 31

ottobre 1933. I dati riportati nell’articolo sono riscontrabili inAS-FLTM, Relazione morale, dattiloscritto datato 27 ottobre1933. 65 M. Piacentini, V Triennale di Milano… cit., p. 2. 66 AS-FLTM, Verbale della seduta del Consiglio, dattiloscrittodatato 19 dicembre 1933. 67 Cfr. AS-FLTM, Relazione di C.A. Felice. Allegato A, dattilo-scritto datato 13 dicembre 1933.68 Cfr. AS-FLTM, Fascicoli Personali: M. Piacentini, Lettera,datata 10 gennaio 1934, inviata da Piacentini a Barella. Siveda anche la lettera, datata 16 gennaio 1934, inviata daBarella a Piacentini. 69 AS-FLTM, Relazione di C.A. Felice. Allegato A… cit.70 Ibidem.71 AS-FLTM, Lettera, datata 3 gennaio 1934, di GustavoPulitzer Finali al presidente Giulio Barella. 72 AS-FLTM, Verbale della seduta del Consiglio, dattiloscrittodatato 23 febbraio 1934. 73 AS-FLTM, Linee del programma della VI Triennale. Allegato4, dattiloscritto s. d.74 Cfr. la corrispondenza relativa all’argomento conservata inAP-FG. 75 AP-FG, Lettera, datata 23 gennaio 1935, inviata da Barellaa Griffini. 76 AS-FLTM, Fascicoli Personali: M. Piacentini, Lettera, datata10 gennaio 1934, inviata da Piacentini a Barella.77 Ibidem.78 Per i rapporti di fiducia tra Piacentini e Pagano si veda AS-FLTM, Fascicoli Personali: M. Piacentini, Lettera, datata 11maggio 1935, inviata da Piacentini a Barella.

79 Cfr. A. Pica, op. cit., p. 37; A. Pansera, Storia e cronaca…cit., pp. 45-49, 282. Si veda inoltre G. Ciucci, Gli architetti e ilfascismo. Architettura e città 1922-1944, Torino 1989, p. 157;e il recente Id. Casabella e Terragni, in “Casabella”, 721, apri-le, 2004, p. 9.80 AS-FLTM, Fascicoli personali, Copia Decreto, dattiloscrittodatato 20 ottobre 1935. Si veda anche AS-FLTM, FascicoliPersonali: M. Piacentini, Lettera, datata 18 novembre 1935,inviata da Barella a Piacentini. 81 Piacentini, Ponti e Michelucci facevano parte della commis-sione delegata a coadiuvare il Direttorio per la Mostra dell’ar-chitettura.82 Cfr. AS-FLTM, Fascicoli Personali: M. Piacentini, Lettera,datata 3 dicembre 1935 inviata da Barella a Piacentini. 83 A. Pansera, Storia e cronaca…cit., p. 282. “ Sul padiglione, definito da De Seta “una prova felice”, cfr. R.Giolli, VI Triennale di Milano: il nuovo padiglione, in“Casabella”, 102-103, giugno-luglio, 1936, pp. 6-7; si vedainoltre G. Pagano, Architettura e città durante il fascismo, acura di C. De Seta, Roma-Bari 1990, pp. LIII-LIV. 85 Cfr. Tecnica dell’abitazione. Quaderni della Triennale, conprefazione di G. Barella, Milano 1936. 86 Cfr. i numerosi contributi presenti in Reale società italiana diigiene, Convegno lombardo per la casa popolare nei suoiaspetti igienico-sociali. Milano 11-12 gennaio 1936.Protocollo e relazioni, Milano 1936. Si veda anche A. Uccelli,Panorama di un convegno. La casa popolare nei suoi aspettipolitico-sociali, in “Il Politecnico”, 3, marzo, 1936, pp. 105-112.87 A. Pansera, Storia e cronaca… cit., p. 63.

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