PER CAPIRE LA CINA RICOMINCIAMO DA MARCO POLO. Dalle alture del Tagikistan alle porte di Shanghai....

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Dalle alture del Tagikistan alle porte di Shanghai. Attraversando le tre catene più alte del mondo, i deserti più aspri, i conflitti più drammatici Testo e foto di Sandro Orlando Per capire la Cina ricominciamo da Marco Polo S ette secoli fa un ragazzo vene- ziano di 17 anni ebbe la ventura di partire per un viaggio che si sarebbe rivelato un’odissea, con ventisette anni di peregrinazioni attraver- so il Medio Oriente, la Persia, l’Asia cen- trale, la Cina, l’Estremo Oriente e l’India. Il padre e lo zio erano due mercanti, oggi si direbbe imprenditori dell’import-export, con empori nell’odierna Istanbul e in Cri- mea, sul Mar Nero. Era lì che erano diretti quando si misero in cammino, ma poi il destino li spinse altrove. Verso la Cina, o meglio verso quella che era la superpoten- za del mondo di allora: l’impero del Gran Khan Kublai, il conquistatore mongolo fi- glio di Gengis, i cui domini alla fine del XIII secolo si estendevano dall’Oceano Pa- cifico al Golfo Persico. E il giovane, che si chiamava Marco Polo, diventò così il primo straniero a rivelare quel continente sconosciuto all’Europa intera, attraversò le sue memorie, il Libro delle Meraviglie del Mondo, più conosciu- to come Il Milione. Un testo fantastico, che può essere preso come una Lonely Planet ante litteram, e ha ispirato generazioni di viaggiatori, non solo nel Tardo Medioevo: a partire da quel Cristoforo Colombo che però non ci capì molto, e finì coll’andare nella direzione opposta (fortunatamente). Il passaggio delle carovane. Volevo che Marco Polo mi aiutasse a capire la Cina di oggi, che è di nuovo una superpotenza nel nostro mondo globalizzato. Volevo che l’unico occidentale conosciuto anche nelle province più remote dell’Impero di mezzo (al punto che i cinesi a Yangzhou gli hanno dedicato un museo, quel museo che Vene- zia ancora gli nega) mi guidasse con le sue annotazioni in quello che resta un conti- nente sconosciuto ancora nel XXI secolo. E così mi sono messo a seguire l’itinera- rio descritto nella sua “guida”, dal punto in cui la spedizione era ripartita, dopo una sosta di un anno nel Badakhshan af- gano, dovuta molto probabilmente a una febbre malarica o una malattia polmonare contratta dal ragazzo dopo i primi 12 mesi di peripezie, attraverso mari e deserti, steppe e pantani. E cioè da quella regione così remota e inaccessibile, a oltre 4 mila metri d’altezza, che dal Tagikistan porta Nomadi ad alta quota Sugli altipiani tra Pakistan, Afghanistan e Cina vivono alcune comunità di nomadi kirghizi. Abituati a spostarsi con le loro mandrie, s’incontrano per un tè nei rari rifugi disseminati lungo la Karakorum Highway. Sulla Via della Seta Il Milione come Lonely Planet ante litteram Dai 4.700 metri del passo del Khunerjab, alle depressioni di Turpan, 154 metri sotto al livello del mare. Dai ghiacciai del Karakorum pakistano ai deserti bollenti del Taklamakan e del Gobi, fino alla costa del Pacifico. Per questo tragitto Marco Polo impiegò due anni. Sandro Orlando ci ha messo un mese: 100 chilometri a piedi, 300 in moto e auto, 2 mila in autobus e 5 mila in treno. 100 km con queste scarpette 2000 km in pullman 5000 km in treno A PIEDI, IN BUS E IN TRENO Con ogni mezzo SETTE | 17 — 26.04.2013 78

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Dalle alture del Tagikistan alle porte di Shanghai. Attraversando le trecatene più alte del mondo, i deserti più aspri, i conflitti più drammatici

Testo e foto di Sandro Orlando

Per capire la Cina

ricominciamo

da Marco Polo

Sette secoli fa un ragazzo vene-

ziano di 17 anni ebbe la ventura

di partire per un viaggio che si

sarebbe rivelato un’odissea, con

ventisette anni di peregrinazioni attraver-

so il Medio Oriente, la Persia, l’Asia cen-

trale, la Cina, l’Estremo Oriente e l’India. Il

padre e lo zio erano due mercanti, oggi si

direbbe imprenditori dell’import-export,

con empori nell’odierna Istanbul e in Cri-

mea, sul Mar Nero. Era lì che erano diretti

quando si misero in cammino, ma poi il

destino li spinse altrove. Verso la Cina, o

meglio verso quella che era la superpoten-

za del mondo di allora: l’impero del Gran

Khan Kublai, il conquistatore mongolo fi-

glio di Gengis, i cui domini alla fine del

XIII secolo si estendevano dall’Oceano Pa-

cifico al Golfo Persico.

E il giovane, che si chiamava Marco Polo,

diventò così il primo straniero a rivelare

quel continente sconosciuto all’Europa

intera, attraversò le sue memorie, il Librodelle Meraviglie del Mondo, più conosciu-to come IlMilione. Un testo fantastico, chepuò essere preso come una Lonely Planetante litteram, e ha ispirato generazioni di

viaggiatori, non solo nel Tardo Medioevo:

a partire da quel Cristoforo Colombo che

però non ci capì molto, e finì coll’andare

nella direzione opposta (fortunatamente).

Il passaggio delle carovane. Volevo che

Marco Polo mi aiutasse a capire la Cina

di oggi, che è di nuovo una superpotenza

nel nostro mondo globalizzato. Volevo che

l’unico occidentale conosciuto anche nelle

province più remote dell’Impero di mezzo

(al punto che i cinesi a Yangzhou gli hanno

dedicato un museo, quel museo che Vene-

zia ancora gli nega) mi guidasse con le sue

annotazioni in quello che resta un conti-

nente sconosciuto ancora nel XXI secolo.

E così mi sono messo a seguire l’itinera-

rio descritto nella sua “guida”, dal punto

in cui la spedizione era ripartita, dopo

una sosta di un anno nel Badakhshan af-

gano, dovuta molto probabilmente a una

febbre malarica o una malattia polmonare

contratta dal ragazzo dopo i primi 12 mesi

di peripezie, attraverso mari e deserti,

steppe e pantani. E cioè da quella regione

così remota e inaccessibile, a oltre 4 mila

metri d’altezza, che dal Tagikistan porta

Nomadi ad alta quota

Sugli altipiani traPakistan, Afghanistane Cina vivono alcunecomunità di nomadikirghizi. Abituati aspostarsi con le loromandrie, s’incontranoper un tè nei rari rifugidisseminati lungo laKarakorum Highway.

Sulla Via della Seta Il Milione come Lonely Planet ante litteram

Dai 4.700 metri del passo del Khunerjab, alle

depressioni di Turpan, 154 metri sotto al livello del

mare. Dai ghiacciai del Karakorum pakistano ai

deserti bollenti del Taklamakan e del Gobi, fino alla

costa del Pacifico. Per questo tragitto Marco Polo

impiegò due anni. Sandro Orlando ci ha messo un

mese: 100 chilometri a piedi, 300 in moto e auto,

2 mila in autobus e 5 mila in treno.

100 km conqueste scarpette

2000 kmin pullman

5000 kmin treno

A PIEDI, IN BUS E IN TRENO

Con ogni mezzo

SETTE | 17—26.04.201378

Shanghai, il WorldFinancial Centre

La Nuova Zonadi Pudong, il cuore

finanziario della Cinacontemporanea: con

la sua sterminatagiungla di grattacieli ha

riempito in pochi anniun’area infestata da

paludi e terreni incolti,che si estende sull’altra

sponda del fiumeHuangpu per 350 kmq,arrivando fino al mare.La skyline del distrettodi Lujiazui è diventatail simbolo della nuovasuperpotenza cinese.

Mal d’altitudineA oltre 4 mila metri

di quota è il primoproblema con cui fare

i conti, soprattuttose si va a piedi (nella

foto, Sandro Orlando).

Dove comincia la CinaDalle vette innevate del passo delKhunerjab, la frontiera pakistana,la strada scende fino a Tashkurgan,la prima stazione carovaniera dellaCina, descritta già da Tolomeo nel IIsec. a.C.; qui però oggi i cinesi sonouna minoranza: prevale la popolazionetagika, che vive di agricoltura.

all’Afghanistan e alla Cina, e da sempre hacostituito il passaggio obbligato delle ca-rovane che si muovevano lungo la Via del-la Seta: Bam-i-Dunya, il “tetto del mondo”.Un corridoio naturale, quello del Wakhan,stretto tra alcune delle catene montuosepiù alte dell’Asia: il Pamir e il Karakoruma nord, l’Hindukush a sud, tra ghiacciaiperenni e valli quasi disabitate, a causadi venti furiosi e temperature sotto zeroundici mesi l’anno. Ma dalla scorsa estateanche questa via in quota è chiusa, a causadei violenti scontri tra milizie irregolari etruppe governative nel vicino Tagikistan.Viaggiare via terra può risultare parados-salmente più difficile oggi che non nelpassato.Per raggiungere i Polo nella loro marciadi avvicinamento alla Cina – ci sarebberovoluti ancora due anni per arrivare allacorte di Kublai a Ciandu, la residenzaestiva dell’imperatore – bisogna dunqueprendere le mosse dal Pakistan. Una voltaerano necessarie 23 stazioni a cavallo dallacapitale, Islamabad, a Gilgit, nel nord; piùaltre sei giornate di cammino fino al passodel Khunerjab, il confine naturale con laCina, a oltre 4.800 metri di altezza. Oggi lastessa distanza si copre in due o tre gior-nate di corriera, grazie alla Karakorum Hi-

ghway, la strada che porta fino a Kashgar,nella regione autonoma dello Xinjiang, la“Nuova Frontiera”. Ma negli ultimi tempiquesta camionabile inaugurata negli Anni80 per avviare una nuova era di relazionibilaterali tra i due Paesi, e aperta solo seimesi l’anno a causa della neve, è diventatauna sorta di roulette: perché il terrorismodi Al Qaeda ha a queste latitudini uno deisuoi terreni d’azione prediletti, e non c’èsettimana che passi senza lo scoppio diuna bomba in una stazione o un villaggio.Attentati che si verificano con la regolari-tà degli eventi atmosferici, ma non fannonemmeno più notizia. E non spaventanoevidentemente neanche i tanti pellegri-ni cinesi, della minoranza uigura di fedemusulmana, che d’abitudine vanno viaIslamabad fino alla Mecca, e ora stanno ri-tornando insieme ame, su questo autobus

sgangherato e carico fino all’inverosimile,che dal checkpoint pakistano di Sost è di-retto a Tashkurgan, la prima città cineseoltrefrontiera, con a bordo la musica a tut-to volume.

Una passeggiata per signore. Ma in fon-do Khunerjab vuol dire “valle del sangue”,e per secoli questo varco tra cime imperviee precipizi spaventosi è stato il punto pre-diletto dalle bande di ladroni per tendereagguati ai convogli in viaggio. Cambianoi tempi, ma la ferocia dell’essere umanoresta la stessa. Per farsi beffe dei suoi av-versari l’archeologo angloungherese sirAurel Stein, uno dei più intraprendenticercatori di tesori sepolti sotto le sabbiedella Via della Seta, all’inizio del ’900 avevadefinito la traversata del passo «una pas-seggiata per signore». Eppure l’incedere

Le montagne disabbia, Kumtagh

Nuvole, sabbia, ghiaia,acqua: a queste

altitudini tutto acquistalo stesso colore

abbacinante, fino aconfondersi. Lungo

la strada donnekirghize vendono giada

e altre pietre preziosetrovate tra le dune.

Il canyon del fiume GhezRocce di arenaria rossa incalananole acque che scendono vorticosedai ghiacciai del Pamir tagiko, il tettodel mondo, un tempo passaggioobbligato delle carovane lungo la viadella Seta.

Il lago Karakul, con il Muztagh Ata sullo sfondoDeserti si alternano a pietraie e ghiacciai,intorno a questo lago color zaffiro, a 3.600 metriquota, dove si specchiano due tra le più alte vettedell’Asia, il Muztagh Ata e il Kongur.

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lento e faticoso del nostro pullman lun-go i tornanti ghiacciati che portano giù alvecchio avamposto cinese di Pirali, dovela strada si congiunge con la deviazione,praticamente sempre chiusa, provenientedall’Afghanistan, non deve essere moltodiverso dal ritmo con cui le antiche caro-vane scendevano a valle. Rischiando sem-pre di andare incontro a incidenti dram-matici, con «la fila ininterrotta di ossa e dicadaveri» a fare da macabra segnalazionedella strada, come osservava ancora negliAnni 50 del secolo scorso un viaggiatore.Di quei tempi eroici sono rimaste oggi lelapidi, che ricordano i quasi 500 operaimorti durante i lavori per l’apertura dellaKarakorum Highway. E l’assoluta solitudi-ne che accompagna anche il nostro con-voglio dalle alture gelide del Karakorumfino alla “Collina di pietra” di Tashkurgan,a 3.200 metri di quota.Già nel II secolo avanti Cristo il geogra-fo greco Tolomeo aveva descritto questocontrafforte merlato che si erge su unaltopiano circondato di cime innevate

come la stazione carovaniera all’estremitàpiù occidentale della Cina. Oggi, a parteun vialone alberato e le rovine di un for-te, non c’è altro. I pullman arrivano scor-tati da un militare di frontiera, perché loXinjiang, come il Tibet, è una “regionesensibile”, e le autorità non vedono dibuon occhio i turisti stranieri, soprat-tutto quelli che viaggiano da soli, cui sepossibile viene negato il visto. I cinesi dietnia Han qui sono un’esigua minoranzaperché la popolazione è costituita in lar-ga parte da tagiki, gente fiera, dagli occhiverdi e dai capelli biondo rossicci, deditaall’agricoltura e all’allevamento, e ormaisemistanziale; e da nomadi kirghizi, checon le loro yurte seguono le mandrie diyak su questi pascoli d’altura. Sono loroa offrirmi cibo e ospitalità nei tre giorniche impiego per percorrere a piedi i cir-ca 100 km che separano Tashkurgan dallago Karakul, tra deserti che si alternanoa pietraie e ghiacciai, a quasi 4 mila metridi altezza, sotto un sole accecante, e conescursioni termiche fortissime. Ci arrivo

che sono sfatto, anche a causa dell’ariararefatta. E così una volta sul Karakul, unlago zaffiro di una bellezza mozzafiato,circondato da due delle vette più alte delcontinente, il Muztagh Ata (7.546 metri) eil Kongur (7.719 metri), crollo in una yur-ta che assomiglia a un ospedale da cam-po, con quattro alpinisti malesi già stesidal mal di montagna. All’interno l’odoredi caglio rancido è insopportabile, ma iltepore delle coperte di yak, dal pelo cal-dissimo, fa miracoli. E all’indomani ri-prendo il viaggio. In moto, chiedendo unpassaggio.

Tempeste di sabbia. Per i nomadi le dueruote hanno ormai sostituito i cavalli.D’altronde anche i cellulari sono diventatiun elemento imprescindibile della lorovita. Questa gente non ha l’acqua corren-te, l’elettricità o i servizi igienici, ma uncellulare sempre. Per arrivare a Ghez, al-tro avamposto militare, occorre una mez-za giornata, e sono solo 70 km. Ma è ne-cessario fermarsi più volte, per mettersi

Trattative serrateIl bestiame è il principale

indicatore di ricchezza.

La compravendita di ogni

singolo capo può durare

ore e coinvolge anche

chi guarda.

Tagliolini a colazioneSi chiamano “lamian” e si

mangiano freddi: gli spaghetti fatti

a mano sono l’alimento base dello

Xinjiang, al mattino come alla sera.

Il mercato del bestiamedi KashgarOgni domenica all’alba la città viene

invasa da un numero di animali

almeno doppio rispetto a quello dei

suoi abitanti. Mercanti di tutta

la regione convergono su una distesa

sporca e polverosa.

Boish-boishIn uiguro significa “largo, largo”, ed

è meglio impararlo per non essere

travolti. Su una moto i locali riescono

a stare persino in cinque, e a portar di

tutto, anche le pecore.

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al riparo dalle furiose tempeste di sabbia,che spariscono con la stessa velocità concui sono comparse.

Velo e madrasa. A Ghez il paesaggiocambia. I canyon desolati e incolori cedo-no il posto alle montagne di roccia rossache costeggiano i fragorosi corsi d’acquache scendono dalle alture del Tagikistan,mentre s’intravedono i primi camion eveicoli. La città di Kashgar è a ormai a soli120 km e un tassista cinese, già carico dipasseggeri, mi prende a bordo per riempi-re l’unico posto vuoto disponibile, e por-tarmi a destinazione. Kashgar è la primametropoli che si incontra in Cina, e con isuoi vigneti, i campi di canapa e cotone,gli orti lussureggianti, fa un po’ l’effetto

di una Terra promessa, circondata com’èdalla sabbia. Eppure quest’oasi, che già aitempi di Marco Polo costituiva un centrodi smistamento delle carovane che prove-nivano da ogni parte dell’Asia, è tornataa essere un crocevia di traffici intensi, e isuoi alberghi sporchi e polverosi sono pie-ni di mercanti pakistani e kazaki, indianie tagiki.Per neutralizzare le tensioni con la mag-gioranza uigura, il governo di Pechino,esattamente come già fatto in Tibet, ha va-rato tre anni fa un massiccio programmadi modernizzazione della città per fare diKashgar una sorta di Dubai dell’Asia cen-trale. Per attrarre imprese dal resto dellaCina è stata così istituita una Zona econo-mica speciale, sul modello della Shenzhenfine Anni 70, mentre il moltiplicarsi deicantieri per la costruzione di nuove stra-de e infrastrutture ha incentivato l’arrivodi masse di immigrati in cerca di fortuna.Con il risultato che interi quartieri di case

basse di fango sono stati rasi al suolo perfar spazio a schiere di condomini disabita-ti, e dove c’erano prima dei campi agricolisono spuntati resort alberghieri e centridirezionali ancora inutilizzati. Invece dismorzare i conflitti etnici, sfociati nellesommosse dell’estate 2009, che hannocausato oltre 200 morti, queste contrad-dizioni hanno esasperato ancora di più lecondizioni di disagio e arretratezza dellapopolazione musulmana, soprattutto perl’incertezza legata al possesso delle terre,ormai ambite dalla speculazione. Cosìche in queste comunità rurali, che vivonoancora «di mercatanzia e d’arti», comeannotava 700 anni fa l’autore del Milione,cioè di commerci e piccolo artigianato,ha cominciato a dilagare il fanatismo reli-gioso, con la nascita delle prime madraseclandestine, e l’imposizione del velo. Aquesta radicalizzazione le autorità hannorisposto con un ulteriore giro di vite dellemisure repressive, fino al divieto l’estate

Forni scavati nella pietraIl pane azzimo non manca

mai, e come in Medio

Oriente si impasta

e si cuoce per strada.

Senza tettoLo sviluppo imposto da

Pechino ha creato una

nuova povertà.

I mendicanti trovano

rifugio nei cimiteri,

dove pregano seduti

nella sabbia.

Libere solo a casaIl fanatismo islamico è stato

esasperato dalla repressione

di Pechino. Le donne escono

ormai solo coperte con il velo.

Il deserto più pericoloso del mondoLa traversata del Taklamakan richiedeva

fino a non molto tempo fa un mese di

marcia, e poteva costare la vita. Oggi

gli autobus impiegano una giornata.

Si viaggia in cuccettaFuori ci sono temperature

anche di 70 gradi, ma negli

autobus si sta distesi sotto

una coperta, per via dell’aria

condizionata.

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scorsa delle celebrazioni del Ramadan.Un’escalation che ha portato all’aumentodelle aggressioni, e anche ai primi atten-tati dinamitardi ai danni di locali e negozigestiti da cinesi. Così che un anno fa, nelvillaggio di Karghalik, a est di Kashgar, inun unico assalto sono stati accoltellati esgozzati 20 immigrati han. L’estate primasi era verificato un raid analogo nel centrodi Kashgar; e il bilancio di sangue com-plessivo si era chiuso con 32 morti.Pechino accusa il Pakistan di fomentare lerivendicazioni dei separatisti uiguri, manel frattempo sembra fare il possibile perostacolare una distensione dei rapporti.E così in tutta la regione autonoma dello

Xinjiang, come nel resto della Cina peral-tro, vige un unico fuso orario, quello diPechino. Ma a queste latitudini la capitalecinese dista oltre 6 mila km, tant’è che alle9 del mattino è ancora notte. Per protestagli amministratori locali hanno adottatoun orario “non ufficiale”, di due ore in-dietro. Le scuole aprono di conseguenzapiù tardi, ma non tutti gli uffici pubblici sisono adeguati a questa regola: le stazioniferroviarie e degli autobus, per esempio,che sono governate quasi esclusivamen-te da personale cinese, hanno le lancettepuntate su Pechino. Alla fine la confusio-ne è totale, e occorre sempre chiedere aquale orario si fa riferimento.

Autostrada nel deserto. Yarkand (Sha-che), Karghlik (Yecheng), Hotan (Hetian),Keriya (Yutian), Niya (Minfeng), Cherchen(Qiemo), Charklik (Ruoqiang) sono stateper millenni le tappe obbligate di tutti iconvogli che, arrivati a Kashgar, decide-vano di percorrere la Via della Seta sulsuo versante meridionale. La strada sidivideva infatti in due tronchi, disegnatida tre delle catene più alte del mondo: anord le Montagne Celesti del Tien Shan,che dal Kirghizistan portano in Cina; e asud il Karakorum prima, in Pakistan, e ilKunlun dopo, i Monti dell’Oscurità, oltre iquali c’è il Tibet. L’acqua che scendeva daighiacciai aveva portato vita e vegetazione

La polvere non dà treguaUn tempo circolavano carri e

cavalli, oggi ci sono le moto, cheprocedono a zigzag tra nuvole di

sabbia sollevate al loro passaggio.

JiayuguanL’estremità occidentaledella Grande Muraglia,

dove cominciavanoi territori un tempo

controllati dal Gran Khan.

La moschea di TuyoqMeta di pellegrinaggio peri cinesi musulmani. I fedelisostengono che sette viaggi quiequivalgono a uno alla Mecca.

La preghiera del venerdìAlle dodici gli uominivanno in moschea agruppi di tre. Alle donneè proibito entrare.

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lungo queste pendici; e dalle oasi si erano

sviluppati i primi traffici. Cotone e seta,

tappeti e giada, pietre preziose e spezie,

ma anche manoscritti e idee: tutto passa-

va di qui. Alternative non ce n’erano per-

ché al di là di queste due rotte si estendeva

un deserto immenso, e pericolosissimo, il

Taklamakan.

Generazioni di esploratori, geografi e av-

venturieri si sono cimentati con l’impresa

di attraversarlo, affrontando temperature

pazzesche, venti furiosi, dune in conti-

nuo movimento, e tempeste improvvise

che oscuravano il cielo sollevando masse

enormi di sabbia e pietre, fino a seppel-

lire vive intere carovane senza ormai più

orientamento. Fino a quando i cinesi han-

no scoperto che, sotto questa distesa di

sabbia grande quanto l’Italia, si nasconde-

vano enormi giacimenti di gas e petrolio,

in grado di soddisfare almeno un terzo

del fabbisogno nazionale. E così all’ini-

zio degli Anni 90 sono partite le prime

ricognizioni, e già nel ’95 veniva inaugu-

rata la prima autostrada che attraversa il

bacino del Tarim da sud a nord, sfidando

un asfalto bollente anche più di 70 gradi.

Sette anni più tardi ne è stata aperta una

seconda, e subito dopo anche una terza.

Quello che era il «deserto più pericoloso

del mondo», come l’aveva definito anco-

ra negli Anni 30 del secolo scorso il car-

tografo svedese Sven Hedin, che quasi ci

aveva lasciato la pelle per attraversarlo, è

oggi percorribile in un viaggio in giornata

su autobus climatizzati, dove per qualche

incomprensibile motivo si sta distesi in

cuccette-frigorifero con la coperta addos-

so, mentre dal finestrino sfilano le dune

roventi di sabbia. Esattamente come in

Tibet, con il treno che corre sui ghiacciai

più alti del mondo, anche in questo caso

alla fine la tecnologia cinese è riuscita a

sovvertire le leggi della natura.

Il treno a levitazione. Si può decidere di

staccarsi dalla via meridionale, e attraver-

sare il deserto del Gobi puntando a nord,

a Hotan, Niya o al più tardi a Charklik.

Proseguire verso est altrimenti è quasi im-

possibile, almeno che non si disponga di

permessi speciali.

Perché dopo Charklik – la Lop del Milio-

Più minareti che templiLa Nuova Frontiera

è la patria di otto milionidi musulmani. Pechino

tratta i separatisti uigurialle stregua di Al Qaeda.

Il petrolio hasostituito la setaSotto la sabbia delloXinjiang si trova il30% delle riservepetrolifere nazionali.Per questo è unaregione strategica.

Stazioni in ressaPrendere un treno èun’impresa, soprattuttose non si hannoprenotazioni. Si calcolache in ogni momentoci siano dieci milionidi cinesi in viaggio.Qualcuno non riusciràa sedersi.

Un bastione controi barbari

La fortezza diJiayuguan venne

costruita nel 1372,un secolo dopo

l’arrivo di MarcoPolo. Qui per i cinesi

finiva il mondocivilizzato.

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ne, l’oasi in cui i Polo sostarono una setti-

mana prima di affrontare la traversata di

un mese del deserto, camminando stretti

uno accanto all’altro, con gli animali legati

ognuno a un campanaccio, per evitare di

smarrirsi tra i fischi del vento e delle bu-

fere di sabbia – dopo Charklik dicevamo,

comincia una regione off-limits: con le an-

tiche città sepolte sotto la sabbia, e le aree

archeologiche ampiamente saccheggiate

dagli europei all’inizio del ’900 (e dunque

oggi interdette), i siti dei test nucleari, il

desolato altopiano che conduce in Tibet.

Per arrivare a Dunhuang, il «Faro Fiam-

meggiante», dal I secolo avanti Cristo

l’avamposto più occidentale della Cina del-

la dinastia Han, nella provincia del Gansu

– là dove cominciavano ancora ai tempi di

Marco Polo i territori effettivamente sotto

il controllo del Gran Khan e oggi si intrav-

vedono le prime torri di avvistamento del-

la Grande Muraglia – occorre dunque una

deviazione di un giorno.

Ma superata la depressione di Turpan, una

delle località più basse e torride del mon-

do, e passato anche il piccolo villaggio di

Tuyoq, che i musulmani uiguri venerano

al pari della Mecca, ecco che s’incrocia fi-

nalmente la ferrovia. Concepita negli anni

del riavvicinamento a Mosca, la linea che

doveva collegare la città petrolifera di Lan-

zhou, una delle metropoli industriali più

inquinate della Cina, al confine kazako, è

stata terminata solo nel ’90, con trent’anni

di ritardo rispetto ai sovietici. Da Lanzhou

ad Alma-Ata, Tashkent, Samarcanda e Bu-

khara, andando verso ovest; oppure Xi’an,

Pechino o Shanghai, verso est: il viaggio

da qui può continuare sui binari.

Le avventure delle grandi carovane sulla

Via della Seta, le leggendarie traversate di

altipiani e deserti ai limiti della sopravvi-

venza umana d’ora in avanti saranno solo

un vago ricordo di epoche definitivamen-

te consegnate al passato. Con il futuro lì

ad aspettarci, alle porte di Shanghai, nel-

le sembianze di un treno a levitazione

magnetica che corre silenzioso a 400 km

orari.

Sandro Orlando

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Senza orariIn tutta la Cina vale un unico fuso orario, quello

della capitale. Per protesta gli uiguri hannospostato le lancette indietro di due ore.

Ma il tempo qui scorre con altri ritmi.

MegalopoliA Shanghai vivono più di

23 milioni di persone. Nelcentro città è la polizia

a dirigere la folla, perimpedire che la ressa

possa creare incidenti.

Proiettati verso il futuroLa Piazza del Popolo di Shanghai, con il museo cittadino,

la sede del governo locale, il teatro comunale e la hallper le esposizioni. Tutto all’insegna della modernità.

Ginnastica di StatoLe piazze cinesiassomigliano apalestre: si balla e ci sitiene in forma a tutte leore. Gruppi spontanei siformano al mattinoe alla sera. Alla musicaci pensa lo Stato.

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