LItalia e il nuovo ambiente medite 725Libia

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30 La proiezione geopolitica italiana T re cerchi: Alleanza Atlantica, Mediterraneo ed Unione Europea, in ordine rigorosamente alfa- betico, così siamo soliti analizzare la politica estera italiana sia prima che dopo la fine del confronto bipolare. Oggi, venuta meno l’Unione Sovietica ed imboccata finalmente la strada giusta per la realizzazione dell’Unione economica e politica, il Mare Nostrum si pone con sempre maggiore evidenza come uno straordi- DOTT . GIANLUCA SARDELLONE L’Italia ed il nuovo ambiente mediterraneo: il fattore Libia P ANORAMA INTERNAZIONALE

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La proiezione geopolitica italiana

Tre cerchi: Alleanza Atlantica, Mediterraneo edUnione Europea, in ordine rigorosamente alfa-betico, così siamo soliti analizzare la politica

estera italiana sia prima che dopo la fine del confrontobipolare. Oggi, venuta meno l’Unione Sovietica edimboccata finalmente la strada giusta per la realizzazionedell’Unione economica e politica, il Mare Nostrum sipone con sempre maggiore evidenza come uno straordi-

DOTT. GIANLUCA SARDELLONE

L’Italia ed il nuovo ambiente mediterraneo: il fattore Libia

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nario serbatoio di minacce (1) sociali e strate-giche ma anche di interessanti opportunitàeconomiche e politiche. Non solo: ma le con-trapposizioni tra maggioranza ed opposizionesull’adesione alla NATO ed all’allora CEE nonhanno riguardato la politica mediterranea. I

Libri Bianchi della Difesa pub-blicati fin dagli inizi degli anninovanta sottolineavano la neces-sità di prestare maggiore atten-zione ai confini meridionali chea quelli orientali una volta cadu-ta la minaccia sovietica, perquanto si definisse esplicitamen-te improbabile un’alleanza deipopoli islamici contro l’occiden-te, alla luce delle divisioni inter-ne che la guerra del Golfo del1991 aveva evidenziato. Questoperché finalmente il concetto diinteresse nazionale è stato “sdo-ganato” dopo che per anni erastato demonizzato, perché asso-ciato ai concetti di imperialismoe militarismo, senza tenere pre-sente che il perseguimento del-l’interesse nazionale rappresentail tratto essenziale delle sceltepolitiche di ciascuno stato, che siconcretizzano essenzialmente in:protezione della vita e della sicu-rezza del cittadino, inviolabilitàed integrità del territorio, prote-zione dalle minacce esterne diqualsiasi natura esse siano,garanzia e sviluppo del benessere

economico del Paese e protezione da minacceesterne attraverso politiche di dissuasione edeterrenza.

In tutto il mondo l’interesse nazionale harappresentato e continua a rappresentare ilmetro delle decisioni politiche, sia da parte dichi è deputato alle decisioni, sia da parte di chiè preposto al controllo, pur esistendo una sortadi scala degli interessi: la diversa priorità distin-gue gli interessi in primari e secondari, la per-manenza nel tempo in variabili e permanenti,

di breve e lungo periodo. La diversa intensitàdei vari interessi permette al politico, anzi loobbliga, a fissare delle priorità, stabilendo itempi per perseguire i propri piani, distinguen-do tra quelli a breve e lungo termine.

Troppo spesso accusata di inerzia, l’Italia hadimostrato di saper operare con coraggio edeterminazione in politica estera, avviando undialogo politico con quei Paesi che per unaserie di ragioni sono rimasti - ed in qualchecaso sono ancora - ai margini della comunitàinternazionale. Il disgelo con la Libia è esem-plare per evidenziare la bontà del lavoro politi-co-diplomatico svolto da Roma in questi annidi post-guerra fredda.

L’Italia, Paese palesemente marittimo, restaun Paese europeo geograficamente situato nelMediterraneo e non un Paese mediterraneodell’Europa: la sua politica mediterranea non èalternativa ma complementare a quelle atlanti-ca ed europea.

I meriti italiani risultano evidentementeamplificati tenendo conto dell’isolamentointernazionale pressoché completo in cui Tri-poli si è venuta a trovare dopo l’affare Locker-bie e delle numerose tensioni - sovente sfociatein scontri aperti - che hanno caratterizzato edin parte tuttora caratterizzano i suoi rapporticon i Paesi vicini. La legge D’Amato imponesanzioni ai danni delle compagnie - americanema anche straniere - che investano più di 40milioni di dollari, poi ridotti a 20 nel 1997, neisettori del greggio e del gas libico ed iraniano,considerati sponsor del terrorismo internazio-nale e ha danneggiato pesantemente, oltre laLibia, le stesse imprese americane, che hannoperso lucrose commesse.

Imposta dopo il disastro aereo di Lockerbie(Scozia) del 1988, dove un jumbo della PanAm esplose in volo a causa di una bomba ucci-dendo più di 270 persone, la Legge D’Amatofaceva seguito alle sanzioni imposte nel 1992dalle Nazioni Unite a carico della Libia, che sirifiutava di consegnare i due agenti segretisospettati di essere responsabili del disastro.L’embargo da parte del Palazzo di Vetro riguar-dava la proibizione dei voli da e per la Libia,

(1) Definite come una realtà strategica e geopolitica organizzata in modo antagonistico ed inconciliabile, diretta a rappresentare l’ipotesi

possibile e probabile di conflitto, attacco generalizzato o parziale da parte di una coalizione (alleanza) o comunque di un blocco orga-

nizzato attorno ad un leader. In questo senso la minaccia si configura come la ragione causante di una guerra. Si veda in proposito,

C.M.Santoro, Rischio da Sud - evoluzione delle crisi nel bacino mediterraneo, FrancoAngeli, 1996.

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delle forniture della vendita di armi ed unasensibile riduzione quantitativa delle missionidiplomatiche di Tripoli all’estero.

L’anno successivo le sanzioni venivanoulteriormente inasprite, con la messa albando della fornitura di tecnologia e pezzi diricambio per la raffinazione ed esportazionedel greggio prodotto dalla Jamahiriyya, oltreal congelamento dei fondi e delle risorsefinanziarie presenti all’estero appartenenti algoverno libico, alle compagnie ed anche aisingoli individui, oltre alla proibizione dellafornitura di velivoli, componenti aeree eknow-how in genere. Peraltro le sanzioni,sospese nel 1999 dopo la consegna dei dueagenti ad un tribunale olandese, hanno avutoun impatto alquanto limitato sull’economialibica poiché il settore petrolifero, che rap-presenta la maggiore fonte di entrate per Tri-poli è stato toccato solo in parte: le pressioniamericane per includere la produzione digreggio nell’embargo si sono infatti infrantecontro le resistenze di un’Europa che ha unenorme bisogno del greggio di Tripoli.

Del resto, a dispetto dell’esistenza dell’U-nione Araba del Maghreb - una sorta di mer-cato comune del Nord Africa - i maggiori part-ner commerciali della Libia appartengonoall’UE (Italia, Germania, Spagna, Francia eRegno Unito), che pure in passato avevanoaccusato la Libia di finanziare il terrorismo

Quella italiana è stata un’azione decisa econtinua, iniziata fin dal 1997, proseguital’anno successivo e conclusasi trionfalmentenel 1999. Nel 1998 Gheddafi, prefigurandouna rapida normalizzazione nei rapporti tra idue Paesi, prometteva di appoggiare la candi-datura italiana ad un seggio permanente alConsiglio di Sicurezza. Tripoli intendeva darepriorità assoluta ad una normalizzazione conun Paese, l’Italia, attivamente impegnatonella rimozione dell’embargo che paralizza laLibia.

Questo in nome di interessi comuni ecoincidenti su alcuni temi particolarmenteimportanti per la politica di difesa e sicurezzadi entrambi, quali la necessità di lottare con-tro il terrorismo e la proliferazione di armi didistruzione di massa e di affrontare il proble-ma dell’approvigionamento energetico nelMediterraneo. Anche Turchia e Giordania, da

sempre vicini politicamente all’Occidente,hanno avviato una sorta di new-deal nei rap-porti con Tripoli, con cui hanno concluso unaserie di accordi di cooperazione nella lottacontro un nemico comune, il terrorismo, isla-mico e non.

Tra Italia e Libia esiste un rapporto speciale,in cui entrano elementi storico-culturali, geo-politici ed economici: superando il passato, sipotrà sviluppare un rapporto nuovo di buonvicinato potenzialmente vantaggioso perentrambi, che accresca la vocazione di pontetra l’Europa e l’Africa che li caratterizza. Masoprattutto incidono una serie di comuni valu-tazioni strategiche in quelle aree in cui si con-cretizza l’interesse nazionale di ambo i Paesi,Mediterraneo e Africa Sub-Sahariana in parti-colare.

Accostandosi da Paese africano allo sviluppodell’edificio comunitario europeo, la Libia rap-presenta un baluardo contro il terrorismo fon-damentalista ed un elemento di stabilità senzail quale il rischio di una seconda Algeria sareb-be molto concreto. Certamente quello delgoverno italiano non è stato un lavoro sempli-ce: Gheddafi, Presidente del Congresso Islami-co Mondiale, non ha nascosto le proprie preoc-

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cupazioni per i massacri di musulmani avvenu-ti nei Balcani, in Bosnia prima e Kosovo poi,rientranti a suo avviso in un disegno che nevoleva l’eliminazione dall’Europa. La seppurcauta e parziale apertura americana verso Tri-poli non fa che amplificare il successo dell’ini-ziativa italiana.

Il disgelo con la Libia va inquadrato nellapolitica mediterranea di Roma, tendente adeliminare o comunque ridurre al minimo icontenziosi e le dispute con i Paesi del bacinoe gioverebbe alla realizzazione di un partenaria-to euro-mediterraneo, allargato anche ai temidella cultura e della politica. La Libia intenderiallacciare uno stretto rapporto con l’Europa,garantendo all’Italia una relazione privilegiata:ma occorre che l’Europa, al momento troppoappiattita sulle posizioni americane, perseguacon maggiore risolutezza una propria identitàdi sicurezza e difesa.

L’Italia, favorendo il reinserimento di Tripo-li nella comunità internazionale, coglie unimportante successo in politica estera raffor-zando il proprio ruolo nel processo di stabiliz-zazione del Mediterraneo e, in prospettiva, ditrait d’union tra l’UE ed i Paesi dell’Africa set-tentrionale.

Un rogue state

Un rogue state - letteralmente uno statofolle: così per anni abbiamo parlato della Libiae del suo leader storico, Gheddafi, amico del-l’URSS, fiero antagonista degli Usa e sponsordel terrorismo internazionale. Non solo: ma laLibia ha scelto come partner Paesi quali NordCorea, Iran e Cuba - a loro volta tenuti a mar-gine della comunità internazionale in virtùdelle politiche totalitarie, militariste e dell’ap-poggio ai gruppi terroristi e fondamentalisti daparte dei rispettivi governi.

La posizione geopolitica rende la Libia unponte ed uno sbarramento al contempo traMediterraneo, Africa e sistema regionale araboe che le ha garantito un ampio margine dimanovra anche nelle situazioni di crisi, in par-ticole durante l’isolamento imposto dalleNazioni Unite.

Vasta sessanta volte l’Italia (1.775.000kmq), la Libia ha una popolazione 10 volteinferiore a quella italiana (appena 6 milioni,destinati a salire a 14 entro il 2025) per lo piùconcentrata nelle due maggiori città, Tripoli eBengasi, di etnia berbera e religione islamicasecondo il rito sunnita. Posta tra due aree geo-politiche “ a rischio”, quali Algeria da un latoed Egitto-Sudan dall’altro e distante pochecentinaia di miglia dalle coste italiane, essasoprattutto occupa una posizione di grandeimportanza strategica all’interno di una sortadi triangolo che comprende Mediterraneo,Stretto di Gibilterra e Canale di Suez. Ma èsoprattutto un formidabile produttore dipetrolio, che fornisce oltre 1/3 di PIL ed hareso la Libia il Paese più ricco del Nord Africa,a differenza dei limitati giacimenti di gas chenon soddisfano neppure i bisogni interni (6.3miliardi di m

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annui). Nonostante l’embargo,Tripoli ha mantenuto la produzione ad oltre1.39 milioni di barili al giorno ed una volta eli-minato è verosimile che possa raddoppiare laproduzione in tre-quattro anni. La vicinanzageografica riduce il costo del trasporto delpetrolio libico, peraltro di eccellente qualità.La rinuncia alle centrali nucleari rende ilnostro Paese particolarmente vulnerabile difronte ad aumenti di prezzo del petrolio: ladipendenza energetica italiana tocca il 95% peril petrolio ed il 65% per il gas naturale ed è nel

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complesso nettamente maggiore della mediadell’Unione Europea (circa 50%).

Sono state proprio le compagnie straniere,giunte in Libia dopo il 1945, a creare le infra-

strutture ed istruire i tecnici locali permetten-dole di produrre ed esportare petrolio. Un rap-prochement con Tripoli - in un momento in cuiil mondo sembra prigioniero degli incrementinel prezzo del greggio decisi dall’OPEC - per-metterebbe all’Occidente di recuperare certispazi di manovra a livello internazionale per-duti a vantaggio di Russia e Cina. Quest’ulti-ma, infatti, una volta entrata nell’Organizza-zione Mondiale del Commercio, provvederà ad

incrementare i propri consumi energetici,rivolgendo la domanda di greggio anche e forsesoprattutto a quei Paesi, Libia ed Iran, colpitidall’embargo internazionale.

Le sanzioni, sovente aggirate attraver-so compagnie compiacenti, hanno pro-dotto una grave recessione economica,una sensibile crescita dell’inflazione(attestata attorno al 7%) e della disoc-cupazione (addirittura al 25%), specietra i giovani che rappresentano la mag-gior parte della popolazione; la bilanciacommerciale, dopo anni di attivo, hafatto segnare un’inversione di tendenzanel 1998 mentre oltre il 70% del ciboviene importato.

Oggi tuttavia sembra di assistere aduna sorta di rinascente guerra fredda nelMediterraneo, in cui alla tradizionalecontrapposizione tra la VI Flotta ameri-cana e la V Eskadra sovietica, si sostitui-sce una lotta per il potere più subdola incui gli attori in gioco sono meno visibiliche in passato. Dopo i contatti per unapossibile cooperazione militare con la“folle” Serbia di Milosevic, Tripoli sem-bra essersi riavvicinata al tradizionalealleato russo. Nel 1999, Yeltsin avevaautorizzato la ripresa dei rapporti conTripoli e la possibile fornitura di armi allaLibia - in particolare missili terra-terra amedio e lungo raggio e missili terra- ariaSa-300 -, mentre i sottomarini classeFoxtrot di produzione russa che eranostati ordinati restano in attesa di comple-tamento nei cantieri di Kronstadt.

Grazie ad un prestito concesso daMosca, la cui proiezione mediterranea èuna costante geopolitica ormai secolare,

la Libia potrà modernizzare il proprio sistemadi difesa aerea, con la modernizzazione deiMig21 e Mig25, avvalendosi anche dell’espe-rienza che i serbi hanno accumulato durante laguerra in Kosovo. L’Esercito (2) dispone dimissili terra-terra, del tipo SS-1 c-d e FROG7da rimpiazzare con SS-21 Tockha di fabbrica-zione russa. Anche l’aviazione, che conta oltre20.000 uomini tutti professionisti, dispone divelivoli in gran parte di produzione sovietica,

(2) Formato da 2 battaglioni di Guardia Nazionale e 7 brigate.

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spesso quasi inservibili per carenza di pezzi diricambio, con un numero di ore di volo tre oquattro volte inferiore a quello dei piloti dellaNATO. Il notevole apparato militare si scontracon la limitata capacità operativa e la scarsamanutenzione determinata dall’embargo e dalcollasso sovietico. Una nave jugoslava era stataintercettata presso il porto montenegrino diBar con un carico di armi diretto in Libia; oltreai tecnici, dalla Jugoslavia sono giunti ancheun migliaio di mercenari serbi per supportareGheddafi nella lotta contro quanti hanno ten-tato lo scorso anno di ucciderlo. Parliamo deiterroristi islamici libici fuggiti in Afghanistan,legati ai talebani - gli studenti - coranici, direligione sunnita, che, appoggiati dal vicinoPakistan e dall’Arabia Saudita, hanno preso ilpotere in buona parte del Paese.

Ma i terroristi non hanno considerato che lapopolazione libica, anche nei giorni terribilidei bombardamenti americani e del completoembargo internazionale, nutre una sorta divenerazione verso l’incorruttibile Colonnello,che vive in una tenda e beve l’acqua con lemani, capace, a dispetto della stagnazione eco-nomica e dell’elevata inflazione, di trasformareuno scatolone di sabbia arsa dal sole in unPaese moderno, nonostante alcuni clamorosiinsuccessi. Pensiamo al grandioso progettoGreat Man River che avrebbe dovuto portare leacque dalle falde acquifere del Sahara fino allecoste del Mediterraneo, riducendo la dipen-denza idrica ed alimentare dall’estero: puravendo assorbito ingenti capitali, cui dovrebbeaggiungersi un altrettanto costoso piano per ladesalinizzazione delle acque, si è rivelato insuf-ficiente per il fabbisogno interno del Paese.

Il Colonnello non si muove in una situazio-ne ambientale agevole, dovendo superare letensioni tra quanti (i tecnocrati) desiderano unPaese liberalizzato politicamente, in cui sia riat-tivata la normale dialettica multipartitica,industrializzato, aperto verso l’esterno ed i tra-dizionalisti, che rivendicano con orgoglio laspecificità della rivoluzione libica, diffidanodell’occidente e di quei complessi fenomenisocio-economici e finanche politici che vengo-

no genericamente definiti come globalizzazio-ne e mac-donaldizzazione (3). Gheddafi è statoa lungo accomunato a Saddam Hussein, ditta-tore iracheno e nemico pubblico numero unodell’occidente insieme con il nuovo signore delterrorismo internazionale, Osama Bin Laden.

Ma oggi gli studiosi lo stanno riabilitando, difronte alla minaccia, peraltro terribile, di unaconnessione dei popoli islamici contro l’occiden-te, che porti alla nascita di un unico fronte dal-l’Algeria all’Afghanistan. Il Libro Verde, che restal’unica vera proposta credibile di governo laicoper un Paese comunque islamico, delinea unsistema di governo assolutamente sui generis, incui il potere è diffuso e tutti i cittadini partecipa-no direttamente all’attività politica, attraversoincontri e dibattiti pubblici. Il Congresso delPopolo, massimo organo decisionale, rappresen-ta il cuore dello stato e, qualora lo ritenga neces-sario, può anche rigettare le proposte del Colon-nello - come avvenuto nel caso del documento diprogrammazione economica e finanziaria del2000, delle leggi sulla pena di morte e sul divor-zio. Lo stesso sistema giudiziario rappresenta unasorta di compromesso tra marxismo ed islam.

Pur ribadendo che l’islam è la religione distato che gli dà unità ed identità, il Libro Verdetiene ben distinti religione e politica: l’islamnon va politicizzato, come accaduto con lanascita di un partito di Dio - quello sciita filo-iraniano dell’Hezbollah - che, dopo aversostanzialmente costretto Israele al ritiro dalLibano meridionale e data l’attuale situazionein Medio Oriente, si pone come una seriaminaccia per l’Occidente.

Il terzo millennio vede infatti l’emergere diuna grave minaccia rappresentata dal fonda-mentalismo, giudicato per anni dall’Occidenteun valido strumento da impiegare funzioneanti-sovietica (come accaduto con i mujaidinin Afghanistan e la Fratellanza Islamica in Egit-to). Non solo: ma ha dimostrato chiaramentedi essere incapace di assicurare l’unità geopoli-tica dell’area, aggravando peraltro quelle ten-sioni economiche e sociali che afferma di volereliminare, con effetti catastrofici per l’interosistema internazionale (4).

(3) Military Balance 2000, pp.138ss. e M. Viorst, The Colonel in his Labirinth, Foreign Affairs, vol.78, n.2, 1999.

(4) La Libia nel Mediterraneo: quale futuro, Relazioni Internazionali, 1998. Sui nuovi rischi per la sicurezza del Mediterraneo, ivi compre-

so quello fondamentalista, si veda P.P.Portinaro, Interesse nazionale ed interesse globale, FrancoAngeli, 1996 oltre all’esauriente trattazio-

ne contenuta nel rapporto redatto dalla Rand Corporation e dalla NATO nel 1997.

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Ma il futuro del Paese è legato ad una nor-malizzazione con l’Occidente in generale e gliUsa in modo particolare: Gheddafi ha mediatoper agevolare la liberazione degli ostaggi occi-dentali rapiti nelle Filippine, sperando in unariabilitazione internazionale dopo l’affare Loc-kerbie. Oltre al plauso italiano, ha ricevuto iringraziamenti delle maggiori cancellerie euro-pee, in primis Parigi e Berlino, ma anche le cri-tiche americane per l’arrendevolezza mostratanel trattare con i terroristi. Fin dal 1996, laLibia sta cercando di mediare tra il governofilippino ed i ribelli del Fronte Islamico diLiberazione “Moro”, legato ad alcuni movi-menti islamici operanti in Libia stessa tenace-mente avversati da Gheddafi e peraltro respon-sabili di alcuni attentati.

Dopo averlo a lungo sostenuto ed appog-giato, Tripoli ha preso le distanze dal terrori-smo, chiudendo i campi di addestramento edespellendo i terroristi palestinesi di AbuNidal, responsabili del dirottamento nel1985 dell’Achille Lauro, ora basati in Libanoed interrotto anche i rapporti con l’OLP diArafat. Infine ha sospeso la fornitura di armied esplosivi agli indipendentisti irlandesi del-l’IRA (5) come gesto di buona volontà versola Gran Bretagna, il Paese più attivo insiemecon gli Usa nel sostenere il carattere necessa-rio delle sanzioni. In un’intervista al Corrieredella Sera (6), Gheddafi definisce sporca evigliacca la politica del terrore ed ormai fini-ta l’era del terrorismo; ma soprattutto sotto-linea la necessità di porre termine ai massacrioperati dai fondamentalisti in alcuni Paesiarabi. Del resto per quanto attiene alla que-stione israelo-palestinese, il ruolo della Libiaè da sempre secondario, se rapportato a quel-lo di Siria, Iran ed Egitto stesso; Gheddafi,anzi, bacchetta gli Arabi, incapaci di otteneredei risultati nonostante mezzo secolo di guer-re e migliaia di vittime.

La geopolitica regionale della Libia

Oggi Tripoli è attivamente impegnata in

un’opera di mediazione per gestire e magariportare a soluzione le gravi e terribili crisisociali e politiche che sconvolgono l’AfricaSub-Sahariana: ad accomunare Paesi così diffe-renti è sicuramente l’esperienza coloniale (laLibia è stata colonia turca prima ed italianapoi) e, nella maggior parte dei casi, la fede isla-mica. Per le suddette ragioni, la sua immaginepolitica nella regione non è compromessacome quella dei Paesi occidentali, ex invasori.

Dopo lunghi anni di polemiche e tensioni,un emissario libico ha compiuto una missionein Sudan, per mediare tra il governo centraleed i ribelli dell’Esercito di Liberazione Popola-re, che chiedono la fine del regime islamico. Èun evento storico: per anni l’appoggio al terro-rismo è stato l’unico elemento comune tra ilregime fondamentalista e confessionale diKhartoum e quello socialista libico; secondo ilJane’s Sentinel, inoltre, la Libia starebbe attual-mente addestrando le forze armate di Khar-toum nella lotta contro i ribelli.

Negli anni novanta, migliaia di immigratisudanesi (7) sono stati espulsi dalla Libia - uffi-cialmente perché privi del permesso di lavoro -ma ciononostante il Presidente sudanese Al-Bashir è stato il solo Capo di Stato straniero aprendere parte nel 1995 alle celebrazioni perl’anniversario della rivoluzione che nel 1969aveva portato Gheddafi al potere. Egitto eLibia inoltre appoggiano Bashir nella lotta con-tro il rivale Hassan Turabi.

Per quanto attiene al cruento conflitto cheoppone Etiopia ed Eritrea, insanguinando l’in-tero Corno d’Africa, Tripoli ha oggi assuntoposizioni molto moderate, che hanno incisopositivamente ai fini della cessazione delle osti-lità e della firma di un trattato di pace tra i dueleaders in lotta, Zenawi ed Afeworki. Dopoaver sponsorizzato l’indipendenza eritrea dal-l’Etiopia ed alcune delle fazioni secessionisteche si combattono in quella che un tempo erala Somalia, Tripoli si è avvicinata ad AddisAbeba ed appoggia una soluzione in sensofederale e non secessionista per la Somalia, dicui oggi non restano che due entità, il Somali-

(5) Irish Republican Army, L’Esercito Repubblicano Irlandese.

(6) Del 31 dicembre 2000.

(7) Ma anche Algerini, Egiziani e Palestinesi: questi ultimi, peraltro, si sono stabiliti in quella sorta di terra di nessuno che si trova ai con-

fini con l’Egitto. Alla base della decisione di Tripoli stava il timore che tra i 2,5 milioni di lavoratori stranieri presenti sul suo territorio

nazionale potessero trovarsi elementi appartenenti ai gruppi fondamentalisti.

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land ed il Puntaland. È un fatto importanteche avvicina ulteriormente Italia e Libia: ilnostro Paese ha operato attivamente a livellopolitico - ricordiamo le missioni di alcuniimportanti esponenti del governo, quali il Sot-tosegretario agli Esteri, Serri - durante la fasepiù calda delle ostilità, ma anche dopo la finedelle stesse, predisponendo un contingente dipace in ambito ONU per controllare il rispet-to del cessate il fuoco.

Nel 1996 Gheddafi aveva appoggiato l’ulti-mo dittatore dello Zaire, Mobutu Sese - controi ribelli appoggiati dal Rwanda: ma la portatadell’intesa è stata frustrata dalla rapida sconfit-ta di Mobutu e dal suo successivo esilio inMarocco.

Dopo aver lungamente appoggiato i ribelliCongolesi ed il regime marxista e filo-mosco-vita in Angola, Gheddafi ha stretto un’intesa

strategica con i due giganti emergenti delContinente Nero, la Nigeria ed il Sud Africa.La Nigeria è il sesto produttore mondiale digreggio, membro dell’OPEC e dunque unattore di primo piano dell’intero sistemainternazionale e globale. La sua posizionegeografica la rende una sorta di cerniera tra le

tre anime dell’Africa (quella maghrebina,quella sub-sahariana e quella sub-equatoria-le); ha un territorio di oltre 900.000 kmq,ricco di carbone, gas naturale, piombo e zincoed una popolazione di 106 milioni di abitan-ti. Il Sudafrica, oltre a possedere enormi ric-chezze minerarie (uranio, carbone, diamantied oro) dispone di un potenziale bellico dirilievo che, nonostante l’attuale fase di trans-izione e ristrutturazione dei quadri dirigenzia-li, grazie anche alla tradizionale cooperazionescientifico-militare con Israele, le assicura ilknow-how necessario per la realizzazione diarmi atomiche (8).

Di portata assai maggiore per i futuri assettigeopolitici africani è la normalizzazione neirapporti con l’Egitto: nel 1977 i due Paesi ave-vano ingaggiato una vera e propria guerra, lacui cessazione non avrebbe tuttavia significato

la fine delle polemiche e delle tensioni. Ghed-dafi ha svolto un ruolo attivo nell’uccisione delpresidente egiziano Sadat ad opera dei fonda-mentalisti; all’indomani dell’omicidio ebbemodo di definire il leader egiziano un “tiranni-co faraone” spazzato via dalla rivoluzione isla-mica. Sadat infatti aveva siglato la pace con

(8) Vedi lo speciale-Libia in Analisi Difesa di ottobre.

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Israele e mirava a sostituire Gheddafi con unpersonaggio meno pericoloso dal punto di vistastrategico. La svolta impressa da Mubarak e la“riabilitazione” di Gheddafi avvicina Tripoli edIl Cairo anche dal punto di vista economico: idue Paesi hanno in progetto la realizzazione diun oleodotto che soddisfi le esigenze energeti-che di entrambi ed una nuova ferrovia di oltre170 km che vada da Tobruk fino al confine.

Entrambi stanno combattendo il medesimonemico, il terrorismo di stampo fondamentali-sta, e mirano a stabilizzare il Sudan, ove stannofungendo attualmente da supervisori e per cuihanno elaborato un piano congiunto di paceche prevede un’Autorità Intergovernativa perlo Sviluppo: il buon esito dei negoziati di pace,oltretutto, non farebbe che accrescere il presti-gio regionale di Libia ed Egitto.

Dopo il summit di Tunisi del 1997, sonostate inoltre normalizzate le relazioni con laMauritania, che in passato aveva accusato laLibia di perseguire una politica di destabilizza-zione.

Le relazioni con l’Algeria sono sensibilmen-te migliorate a partire dal 1995, dopo le ferociaccuse reciproche di fomentare i movimentiinterni di opposizione. Nel campo della sicu-rezza le forze algerine opereranno con la colla-borazione libica per tagliare i rifornimenti airibelli, intensificando le azioni di controllodella frontiera; sono inoltre previsti accordiper la realizzazione di due aeroporti (uno inLibia ed uno in Algeria).

Gheddafi ha rilanciato l’idea di una forzaafricana di peace-keeping che non debba però inalcun modo prendere ordini da Paesi non-afri-cani, ma che possa accettare i contributi dellacomunità internazionale a patto però che nonsiano collegati ad alcuna pre-condizione. Hainoltre avviato una fitta rete di contatti ed inte-se politico-diplomatiche con alcuni Paesi del-l’Africa sub-sahariana, scossi al loro interno daguerre civili e lotte tribali per il controllo dellerisorse agricole e minerarie. La causa dell’unitàafricana è stata ribadita nel corso del summittenutosi a Tripoli nel 1997 che ha visto la par-tecipazione di oltre 40 ministri degli esteri eche soprattutto ha sancito l’inizio della finedell’isolamento internazionale libico. Successi-vamente, il premier sudafricano Mandelaincontrando Gheddafi si sarebbe impegnato a

perorare la causa libica in seno alle NazioniUnite in cambio di una ferma condanna dell’a-partheid e di qualsiasi politica razziale in gene-re.

Non mancano, tuttavia, elementi di frizionecon i Paesi vicini: Tripoli rivendica 15.000kmq di territorio nel sud-est algerino, la strisciadi Aouzou con il Ciad, che ha causato una seriedi guerre trascinatesi dal 1980 al 1987, conl’intervento francese a supporto di Ndjamena,peraltro persa da Tripoli, ma la cui sovranità èstata ribadita anche dalla Corte Internazionaledi Giustizia, che ha imposto alla Libia di riti-rarsi, per quanto sembra che essa vi continui amantenere una base aerea. Nel maggio 1998,Tripoli, nel quadro della nuova politica diappeasement con i Paesi vicini, ha siglato unaserie di accordi con il Ciad, nei settori energe-tico, della ricerca e sfruttamento delle risorsepetrolifere. Ci sono poi le dispute con la Tuni-sia, per quanto attiene ai diritti di pesca nelMediterraneo, dove tradizionalmente hannosempre pescato i Tunisini. Il contenzioso conTunisi è tanto più importante considerandoche investe il Golfo della Sirte: Tripoli lo con-sidera interamente sotto la sua sovranità terri-toriale e questa pretesa è sfociata sovente in attidi guerra con gli USA.

La politica di difesa e sicurezza

La spesa militare libica ammonta a 1.300milioni di dollari; una cifra considerevole mache rappresenta la metà di quella egiziana ecomunque inferiore a quella di Marocco eAlgeria (1.600-1.700). L’Esercito conta 25.000coscritti per 24 mesi ed un numero enorme diufficiali addestrati negli anni ottanta nellescuole di guerra dei Paesi ex comunisti, specieURSS, Bulgaria e Jugoslavia. Negli anni set-tanta, approfittando del boom del prezzo delgreggio, Tripoli aveva investito massicciamentenello sviluppo di armi strategiche, cooperandocon Cina, Iran e Nord Corea ed acquisendolanciatori mobili per missili a corto raggio. Allostato attuale sembrerebbe che la Libia stia svi-luppando insieme con l’Iran il programmamissilistico Al-Fatah con propellente liquido eche peraltro possegga anche la versione nord-coreana dello Scud-C.

Del resto, secondo un noto teorema della

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politica realista, pace e stabilità del sistemainternazionale possono esistere solo se c’èdeterrenza nucleare reciproca: il possesso insostanza dell’arma nucleare non avrebbe altroscopo che quello di dissuadere dall’intrapren-dere un’azione aggressiva. Dopo l’abbandonodei programmi di riarmo chimico e nucleare diPretoria, molti Sudafricani potrebbero essereandati in Libia e fonti della CIA parlano di unaLibia potenza nucleare entro il 2005, benchéIndia e Kazakhstan le abbiano a più ripresenegato la fornitura di uranio arricchito tra il1995 ed il 1998.

Non solo: ma queste stesse fonti riferisconodi oltre 100 tonnellate di armi biologiche nasco-ste nei depositi libici presso Tripoli e nell’im-pianto chimico di Rabta, presidiato da unnumero di militari armati insolito ed eccessivoper un impianto civile, da cui peraltro gli Euro-pei si sono ritirati nel 1990. Preoccupazionisimili vengono evidenziate anche a propositodell’impianto sotterraneo di Tarhuna, definitodalla CIA, il più grande deposito sotterraneo diarmi chimiche, peraltro impiegate insieme con ilnapalm contro i ribelli islamici anti-gheddafianinel corso dei violenti scontri avvenuti tra il 1995ed il 1996. Questo benché nel 1975 Tripoli

abbia siglato il Trattato di Non-ProliferazioneNucleare, mentre nel 1982 ha aderito alla Con-venzione sulle Armi Bio-Chimiche.

Certamente il passato ha trasmesso al gover-no di Tripoli una serie di insegnamenti, ilprimo dei quali è la necessità di abbandonare leambizioni di grandeur. La lunga, sanguinosaed infelice guerra in Ciad si è risolta in unacocente sconfitta, con la rinuncia al “protetto-rato”; così come fallimentari sono stati i pro-getti pan-arabi di fusione con Siria e Maroccoche Gheddafi aveva ereditato dal suo “idolo”Nasser. Ecco perché nel 1991 non ha presoparte alla guerra santa invocata da Saddamcontro l’Occidente, senza cedere alle pressionidell’opinione pubblica che inneggiava al Raisiracheno, cui si è limitato ad inviare aiuti ali-mentari. Crollato il Grande Fratello sovietico,la Libia si è venuta a trovare in un pericolosoisolamento, sia per la politica aggressiva neiconfronti dei vicini che per l’appoggio ai terro-risti: facendo tesoro degli errori passati, Tripolitende oggi a svolgere un ruolo nuovo, di cer-niera tra le due sponde del Mediterraneo, chene esalti la triplice natura politica e culturale(islamica, africana e mediterranea al contem-po).

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