L’icona acheropita della Vergine di Santa Maria in Trastevere a Roma, in ‘Le arti a confronto...

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E 25,00 ISBN 978 88 6129 549 0 LE ARTI A CONFRONTO CON IL SACRO a cura di V. CANTONE e S. FUMIAN Scuola di dottorato in Storia e critica dei beni artistici, musicali e dello spettacolo ATTI 1 a cura di VALENTINA CANTONE e SILVIA FUMIAN LE ARTI A CONFRONTO CON IL SACRO METODI DI RICERCA E NUOVE PROSPETTIVE DI INDAGINE INTERDISCIPLINARE Atti delle Giornate di studio Padova 31 maggio - 1 giugno 2007 Nella letteratura critica il termine “sacro” è ampiamente utilizzato come aggettivo qualificativo di ambiti di ricerca, manufatti e monumenti realizzati per le gerarchie ecclesiastiche, per gli usi liturgici o per la devozione privata. Binomi come arte sacra, paramenti sacri, edifici sacri indicano ampi settori d’indagine afferenti alle scienze umane in cui l’uso del termine è consolidato. Questo impiego risente dell’impostazione conferitagli dalla scuola storica che affonda le proprie radici nell’Illuminismo inglese e che si sviluppò in Europa e America in modo particolare nella seconda metà del XIX secolo. L'idea di dedicare due giornate di studio, tenutesi all’Università di Padova nel 2007, investigando Le arti a confronto con il sacro, deriva dall’importanza rivestita da questo tema, rivelatosi una fertile occasione di studio che ha portato a intrecciare diverse esperienze scientifiche mostrando, a posteriori, la ricchezza e la complessità delle declinazioni del sacro nell’arte. VALENTINA CANTONE e SILVIA FUMIAN hanno conseguito il titolo di Dottore di ricerca presso il Dipartimento di Storia delle arti visive e della musica dell’Università di Padova, rispettivamente nel 2006 e nel 2007 (cicli XVIII e XIX) e sono assegniste nel medesimo Dipartimento.

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E 25,00

ISBN 978 88 6129 549 0

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Scuola di dottorato in Storia e critica dei beni artistici, musicali e dello spettacolo

atti 1

a cura di

VaLentina cantone e SiLVia fumian

Le arti a confronto con iL Sacro

metodi di ricerca e nuoVe proSpettiVe di indagine interdiScipLinare

atti delle giornate di studio

padova

31 maggio - 1 giugno 2007

nella letteratura critica il termine “sacro” è ampiamente utilizzato come aggettivo qualificativo di ambiti di ricerca, manufatti e monumenti realizzati per le gerarchie ecclesiastiche, per gli usi liturgici o per la devozione privata. Binomi come arte sacra, paramenti sacri, edifici sacri indicano ampi settori d’indagine afferenti alle scienze umane in cui l’uso del termine è consolidato. Questo impiego risente dell’impostazione conferitagli dalla scuola storica che affonda le proprie radici nell’Illuminismo inglese e che si sviluppò in Europa e America in modo particolare nella seconda metà del xix secolo.L'idea di dedicare due giornate di studio, tenutesi all’Università di Padova nel 2007, investigando Le arti a confronto con il sacro, deriva dall’importanza rivestita da questo tema, rivelatosi una fertile occasione di studio che ha portato a intrecciare diverse esperienze scientifiche mostrando, a posteriori, la ricchezza e la complessità delle declinazioni del sacro nell’arte.

Valentina Cantone e SilVia Fumian hanno conseguito il titolo di dottore di ricerca presso il Dipartimento di Storia delle arti visive e della musica dell’Università di Padova, rispettivamente nel 2006 e nel 2007 (cicli xViii e xix) e sono assegniste nel medesimo dipartimento.

SOMMARIO III

Università degli Studi di Padova

Scuola di dottorato in Storia e critica dei beni artistici, musicali e dello spettacolo

ATTI1

SOMMARIOIV

SOMMARIO V

a cura di

VAlenTInA CAnTOne e SIlVIA FUMIAn

le ARTI A COnFROnTO COn Il SACRO

MeTOdI dI RICeRCA e nUOVe PROSPeTTIVe dI IndAgIne InTeRdISCIPlInARe

Atti delle giornate di studio

Padova

31 maggio - 1 giugno 2007

Università degli Studi di Padova

Scuola di dottorato in Storia e critica dei beni artistici, musicali e dello spettacolo

SOMMARIOVI

Prima edizione: dicembre 2009

ISBn 978 88 6129 549 0

© Copyright 2009 by CleUP sc“Coop. libraria editrice Università di Padova”Via Belzoni, 118/3 – Padova (Tel. +39 049 8753496)www.cleup.it

Tutti i diritti di traduzione, riproduzione e adattamento,totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresele copie fotostatiche e i microfilm) sono riservati.

l’editore e gli autori sono a disposizione degli aventi diritto nell’ambito delle leggi sul Copyright.

Iniziativa finanziata con il contributo di: Università degli Studi di Padova sui fondi della legge 3.08.1985 n. 429; Scuola di dottorato in storia e critica dei beni artistici, musicali e dello spettacolo, dipartimento di Storia delle arti visive e della musica (Università degli Studi di Padova).

SOMMARIO VII

Prefazione

introduzione

Gabriele Pelizzari, Spiritus dabat eloqui illis. Appunti per una nuo-va metodologia nello studio della prima iconografia cristiana

Valentina Cantone, Renovabitur sicut aquilae juventus tua. L’icono-grafia dell’aquila nella cultura monastica altomedievale

Maria lidoVa, L’icona acheropita della Vergine di Santa Maria in Trastevere a Roma

eleonora SiniGaGlia, Il Christus patiens e tunicato: alle origini di una variante iconografica politico-religiosa nell’impero ottoniano

anna zakharoVa, Interdisciplinary Approach to the Study of Illumi-nated Manuscripts: the Case of the Trebizond Lectionary

laura nazzi, Pulpitum ex graeco marmore: modifiche strutturali e funzionali dell’ambone dei Santi Maria e Donato di Murano

luCa fabbri, L’architettura e lo spazio del sacro: l’evoluzione forma-le della cripta dei Santi Felice e Fortunato a Vicenza

Marta boSColo, Tipologie dell’arredo liturgico nell’epoca della ri-forma gregoriana: acquasantiere tra il Veneto e l’Emilia

luCa Mor, Anno 1205 circa: la Croce trionfale di Gries

fabio luCa boSSetto, L’iconostasi della cattedrale di Caorle: nuove osservazioni a partire da alcuni documenti dell’Archivio Storico Patriarcale di Venezia

Marta Minazzato, Giotto pittore del sacro: la tradizione giottesca nelle iniziali miniate dei corali veneti del Trecento

SilVia fuMian, Cristoforo Cortese e i domenicani a Venezia: di alcuni manoscritti cateriniani

noVella MaCola, Statue pagane e simboli cristiani in alcuni ritratti del Cinquecento italiano

Maddalena bellaVitiS, Intimismo e dottrina nell’iconografia della Madonna del velo

IndICe

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SOMMARIOVIII

Claudia CaraManna, Il tema sacro nella pittura di Jacopo Bassano. Una proposta per l’identificazione di una composizione sul Sogno di nabucodonosor

niCola PaVanello, Testimonianze visive del sacro sulla scena vene-ziana del XVII secolo

roberto PanCheri, Pietro Liberi e il rinnovamento dell’iconografia antoniana in età barocca: un’aggiunta

deniS ton, ‘Sacre’ teste di carattere: la serie di santi nella sagrestia di San Moisé e alcune aggiunte al catalogo di Francesco Zugno

elena Granuzzo, Quando il Sacro non sempre riluce: discussioni sul Gotico in ambito lombardo-veneto tra fine Settecento e primi de-cenni dell’Ottocento

Chiara Marin, “Fare del Laocoonte un martire della nostra religio-ne”? La tematica sacra nella critica d’arte del primo Ottocento

Cenk berkant, L’esperienza del Sacro nelle opere di Raymond Charles Péré (1854-1929)

Stefano franzo, La critica dei monsignori. Note su pitture e arredi sacri in area veneta tra le due guerre

deniS brotto, E se fosse l’arte a condurre al sacro? la voce solitaria dell’uomo e Madre e figlio. Due opere di Aleksandr Sokurov

Gloria zerbinati, Il senso del sacro nel cinema di Pier Paolo Pasolini

Giulia laVarone, “Et la technique devient complètement mystique”: Thérèse (1986) di Alain Cavalier

illuStrazioni

indiCe dei noMi (a cura di Valentina Cantone e Silvia Fumian)

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l’ICOnA ACHeROPITA dellA VeRgIne dI SAnTA MARIA In TRASTeVeRe A ROMA 19

Maria lidoVa

l’ICOnA ACHeROPITA dellA VeRgIne dI SAnTA MARIA In TRASTeVeRe A ROMA1

a Madonna della Clemenza (fig. 1) è una delle cinque icone mariane altome-dievali della Vergine conservate a Roma2. Si trova nella chiesa di Santa Maria

in Trastevere, a sinistra dell’altare maggiore, all’interno di una cappella costruita appositamente alla fine del Cinquecento per ospitare questa venerata immagine. la cappella, commissionata dal cardinale Marco Sittico Altemps3 e, secondo l’ipo-tesi di Carlo Bertelli, ideata dal canonico polacco della chiesa trasteverina Thomas Treter4, fu ultimata nel 1592-1593. l’immagine venne percepita come una reliquia, un oggetto di culto posto sopra l’altare per proteggere e diffondere i valori della fede cattolica nella lotta contro la Riforma. Tuttavia, mentre il ruolo simbolico e il valore sacro venivano sottolineati da questo contesto sontuoso, l’aspetto figurativo dell’immagine passava in secondo piano: posta sopra l’alto altare, l’icona era rac-chiusa dentro una sorta di edicola su due colonne, la quale a sua volta era inserita in una nicchia rettangolare.

La monumentale effigie di Santa Maria in Trastevere per le sue dimensioni è la più grande icona del periodo altomedievale conservata al mondo5. È alta 164 cm e misura 116 cm di larghezza, compresa la cornice. Tre tronchi di cipresso formano un’enorme tavola (153-105 cm) coperta da una tela di lino sulla quale successiva-mente sono stati applicati i colori. La raffigurazione originale è stata eseguita con colori a cera nella cosiddetta tecnica dell’encausto, caratteristica della maggior parte delle icone preiconoclaste.

l’immagine rappresenta la Vergine assisa in trono col bambino gesù sulle gi-nocchia e due angeli stanti ai lati. Maria indossa l’abito cerimoniale color porpora dell’imperatrice bizantina col pesante maniakion ornato da pietre preziose e le pantofole rosse. Sul capo porta la tradizionale corona dell’imperatrice bizantina.

1. Vorrei ringraziare di cuore Federica Rossi e Serena Rovere per l’aiuto prestatomi nella fase della redazione della versione finale di questo testo.

2. Altre quattro icone mariane sono la cosiddetta Salus Populi Romani di Santa Maria Maggiore, la Madonna di Santa Maria nuova, oggi Santa Francesca Romana, l’icona della Vergine di Santa Maria ad Martyres (Pantheon) e la Madonna di San Sisto custodita oggi nella chiesa di Santa Maria del Rosario al Monte Mario. Vedi: P. aMato, De vera effigie Mariae. Antiche icone romane, Roma 1988; M. andaloro, in Aurea Roma. Dalla città pagana alla città cristiana, catalogo della mostra a cura di S. ensoli (Roma, Palazzo delle esposizioni, 22 dicemdre 2000-20 aprile 2001), Roma 2000, nn. 375-378, pp. 660-663.

3. Sulla cappella e relativa decorazione vedi: H. friedel, Die Cappella Altemps in S. Maria in Trastevere, in “Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte”, XVII, 1978, pp. 89-123; J. WeiSSenberGer, römische Mariengnadenbilder 1473-1590: neue altäre für alte bilder. Zur Vorgeschichte der barocken Inszenierungen, diss. Phil., Ruprecht-Karls Universität, Heidelberg 2007, pp. 175-202.

4. C. bertelli, Di un cardinale dell’Impero e di un canonico polacco in Santa Maria in Trastevere, in “Paragone”, XXVIII, 1977, 327, pp. 89-107.

5. l’unica icona che per dimensioni può essere paragonata alla Madonna della Clemenza è quella di Cristo nella cappella del Sancta Sanctorum del laterano che misura 142 cm di altezza e 58,5 cm di lar-gezza.

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Dalla base della corona, ai due lati del volto, scendono tre fili di perle. Questo tipo di rappresentazione definito nella storiografia come ‘Maria Regina’ era molto dif-fuso a Roma nell’Alto Medioevo6. Con la mano destra alzata la Madonna regge una croce gemmata, inizialmente eseguita in metallo prezioso ma sostituita nel corso dell’Alto Medioevo da un’imitazione a tempera7. Purtroppo non possediamo dati sufficienti a spiegare perché le parti metalliche vennero rimosse, né è possibile datare le ridipinture a tempera, che interessano anche la cintola della Vergine.

I due angeli vestiti con tuniche bianche, la guardia celeste di Maria, sorreggo-no con una mano una lunga asta dorata appoggiata sulla spalla, mentre quella libera rimane aperta a livello del petto. Le due figure ‘spuntano’ da dietro il trono in un atteggiamento molto dinamico che contrasta con la staticità ieratica della Madonna. Con una rapida mossa del corpo in direzioni opposte si voltano verso la Vergine ma al contempo guardano verso lo spettatore come per condividerne lo stupore davanti alla visione dell’avvenuto mistero. Il piccolo gesù, seduto sulle ginocchia della madre, costituisce il fulcro della composizione (fig. 2). È l’unico in abito dorato, che stringe un rotolo con la mano sinistra. La sua figura è interamen-te circoscritta all’interno di quella di Maria a livello del grembo.

Il modo schematico e lineare con cui è resa la linea di flessione delle ginocchia della Madonna e l’irregolarità del trattamento del volume rende ambigua la posi-zione della Vergine, che si presenta in piedi e seduta sul trono allo stesso tempo. non è chiaro se questa particolarità sia dovuta a un difetto di esecuzione da parte dell’artista, all’esigenza di riprodurre un modello oppure all’intenzione di combi-nare due diversi tipi, quello della Vergine assisa che diventa ‘trono’ per il Figlio e quello della teofania di Maria Regina stante col Cristo sul grembo.

nella parte inferiore dell’icona, a destra, si intravede il quinto personaggio della composizione, una figura di donatore di cui si conservano solo due piccoli fram-menti della prima pittura ad encausto: due dita e parte del viso, ossia la fronte e l’occhio destro. nonostante le lacune è tuttora possibile ricostruire l’aspetto ori-ginale della figura: l’offerente doveva essere rappresentato in ginocchio, con lo sguardo rivolto verso lo spettatore e con la mano protesa per toccare la pantofola

6. Su Maria Regina vedi: M. laWrenCe, Maria Regina, in “Art Bulletin”, VII, 1925, 4, pp. 150-161; g. SteiGerWald, Das Königtum Mariens in Literatur und Kunst der ersten sechs Jahrhunderte, diss. Phil., Freiburg 1965; g. Wolf, Salus Populi Romani. Die Geschichte römischer Kultbilder im Mittelalter, Weinheim 1990, pp. 119-124; J. oSborne, Early medieval painting in S. Clemente, rome: the Madonna and Child in the Niche, in “gesta”, XX, 1981, pp. 299-310; U. nilGen, Eine neu aufgefundene Maria regina in Santa Susanna, rom. Ein römisches thema mit Variationen?, in “Bedeutung in den Bildern”. Festschrift für Jörg Traeger zum 60. Geburtstag, a cura di K. Möseneder e g. Schüssler, Regensburg 2002, pp. 231-246; eadeM, Maria regina – Ein politischer Kultbildtypus?, in “Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte”, XIX, 1981, pp. 3-33. Sulla possibilità dell’origine bizantina di questo tipo di rappresen-Sulla possibilità dell’origine bizantina di questo tipo di rappresen-tazione vedi: M. andaloro, I mosaici parientali di Durazzo o dell’origine constantinopolitana del tema iconografico di Maria Regina, in Studien zur spätantiken und byzantinischen Kunst: Friedrich Wilhelm Deichmann gewidmet, a cura di O. Feld e U. Peschlow, 3 voll., Bonn 1986, III, pp. 103-112; J. oSborne, the Cult of “Maria regina” in Early Medieval rome, relazione presentata al simposio internazionale Mater Christi: immagini di Maria come Vergine, Ecclesia e mediatrice nell’arte del Medioevo (Roma, Istituto di norvegia in Roma, 7-9 ottobre 2004).

7. J. nordhaGen, Icons Designed for the Display of Sumptuous Votive Gifts, in “dumbarton Oaks Papers”, XlI, 1987, pp. 453-460.

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rossa di Maria. La raffigurazione dell’umile donatore, un pontefice non identifica-to, rappresenta un raro esempio di ritratto su icona. Nel tentativo di identificare tale personaggio bisogna tener conto del fatto che, come documenta il resoconto del restauro, l’abito vescovile, il nimbo quadrato e la tiara fanno parte, insieme con la croce e la cintura della Vergine, dei rifacimenti posteriori molto antichi ed ese-guiti a tempera8. l’attenta analisi di tali rifacimenti potrebbe far luce sul carattere di questo restauro medievale: non è del tutto chiaro se fosse veramente legato alla necessità di recuperare un’immagine troppo danneggiata oppure se fosse motiva-to dalla volontà di introdurre modifiche al ritratto preesistente.

l’ultima componente dell’icona, la cornice, porta una lunga e imponente iscri-zione in latino eseguita con lettere nere su fondo arancione. A differenza del nu-cleo dell’icona in cipresso, la cornice è realizzata in castagno. Sono rimasti tre dei quattro montanti: il pezzo inferiore longitudinale è andato perso nel corso dei se-coli. I risultati delle analisi compiute dall’Istituto Centrale per il Restauro hanno dimostrato che i colori della cornice sono della stessa natura di quelli del dipinto9. Questo fatto indica che la cornice costituisce un elemento originario e doveva fin dall’inizio esser concepita come parte integrante dell’opera. Bisogna inoltre sotto-lineare che la Madonna della Clemenza è l’unica immagine romana altomedievale con cornice. lo stato di conservazione delle altre icone mariane di Roma non per-mette di stabilire se esse fossero dotate di un simile elemento10. Fa forse eccezio-ne l’immagine di San Salvatore della cappella del Sancta Sanctorum in laterano, dove l’attuale cornice è frutto di uno dei numerosi restauri medievali, ma diversi elementi11 indicano chiaramente che l’icona doveva averne una anche in origine12. Purtroppo non disponiamo di nessun indizio per capire se la cornice originaria re-casse un’iscrizione simile a quella che si vede oggi sulla Madonna della Clemenza. In ogni caso, viste le somiglianze tra le due icone, sia per le dimensioni che per l’iconografia, la presenza della cornice diventa di per sé un dato significativo che attesta l’esistenza di una certa tipologia di icone a Roma nell’Alto Medioevo.

I frammenti rimasti sulla cornice della tavola di Santa Maria in Trastevere, uno sul montante trasversale superiore e in parte su quello verticale destro, l’altro sul montante sinistro, sono rispettivamente: “aStant StyPenteS anGeloryM PrinCiPeS Ge-Stare natyM” e “dS qyod iPSe faCtyS eSt”. nella parte inferiore del montante sinistro Bertelli, sulla base di alcuni frammenti incerti, riesce a ricostruire anche la parola

8. G. urbani, Le condizioni del dipinto ed i provvedimenti adottati, in “Bollettino. Istituto Centrale per il Restauro”, XlI-XlIV, 1964 [= Il restauro della Madonna della Clemenza], p. 24.

9. A questo fa riferimento C. Bertelli, La Madonna di Santa Maria in trastevere. Storia, iconografia, stile di un dipinto romano dell’ottavo secolo, Roma 1961, p. 34.

10. I due frammenti dell’immagine antica di Santa Maria nuova oggi si trovano su un supporto più tardo, mentre l’icona del Pantheon è stata ricavata da una tavola di dimensioni più grandi. la Salus Populi Romani di Santa Maria Maggiore ha una piccola cornice ma la mancanza di studi e di analisi sulle carat-teristiche tecniche impedisce qualsiasi riflessione su questo elemento. non è del tutto chiaro se il sottile bordo verde, che corre intorno alla Madonna di San Sisto, oggi a Santa Maria del Rosario, possa essere considerato come un’indicazione dell’assenza della cornice.

11. Tra essi, la riduzione dello spessore della tavola verso i margini e la linea del confine della tela su cui vennero applicati i colori.

12. g. WilPert, L’Acheropita ossia l’immagine del Salvatore nella cappella del Sancta Sanctorum, in “l’Arte”, X, 1907, pp. 161-177, 247-262, specialmente p. 165 e p. 168.

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“ytero” per completare la frase che così traduce: “I principi degli angeli ristanno e stupiscono di Te che porti in grembo il nato, poiché dio stesso si fece dal Tuo utero”13. l’iscrizione si dirama in due direzioni dal segno della croce nell’angolo si-nistro della parte superiore della cornice. la conclusione della frase del montante sinistro era scritta sulla cornice trasversale inferiore oggi perduta. Il carattere del testo e il suo contenuto piuttosto generico e comune per l’Alto Medioevo lo rendo-no familiare ad un lettore interessato e lo spingono a presumere l’esistenza di una fonte concreta, tuttavia non ancora rintracciata14.

durante gli anni cinquanta del novecento, in occasione di una vasta campagna di restauri, che portò alla luce una serie di icone della Vergine del periodo preico-noclasta, la Madonna di Santa Maria in Trastevere venne restaurata presso l’Isti-tuto Centrale per il Restauro sotto la guida di Cesare Brandi e giovanni Urbani. A Carlo Bertelli spettano invece i primi fondamentali studi su quest’immagine15.

la maggior parte dei saggi dedicati alla Madonna della Clemenza trattano della datazione dell’opera, ancor oggi motivo di dibattito. Per affrontare nuovamente l’argomento non sembra ozioso riassumere i pareri più importanti degli studiosi che si sono occupati del problema al termine del suddetto restauro. Carlo Bertelli, nel suo libro dedicato alla Madonna di Santa Maria in Trastevere, pubblicato a Roma nel 1961, ipotizzò che l’icona risalisse all’inizio dell’VIII secolo, precisamen-te al tempo di Giovanni VII (ai due anni del suo breve pontificato 705-707)16 e che fosse stata commissionata da lui. Bertelli fondò la sua attribuzione sui dati storici e paleografici che supportò con dati stilistici e iconografici. Il confronto con gli affreschi del bema di Santa Maria Antiqua commissionati da giovanni VII17 e con l’immagine di Maria Regina a mosaico proveniente dall’oratorio di giovanni VII della vecchia basilica di San Pietro18 non lasciavano, secondo lo studioso, nessun dubbio sull’appartenenza dell’immagine trasteverina a questo filone artistico.

nella ricerca degli argomenti, con esemplare rigore metodologico, lo studioso rivolse l’attenzione al problema paleografico rappresentato dalla scritta che cir-conda l’immagine. Confrontandola con una serie di scritture latine del VI-VIII secolo Bertelli giunse alla conclusione che il testo graficamente più vicino al no-

13. la logica del testo è un po’ diversa nella ricostruzione di Bertelli: “poiché dio stesso si fece dal Tuo utero, ... i principi degli angeli ristanno e stupiscano di Te che porti in grembo il nato...”: C. bertelli, La Madonna di Santa Maria in Trastevere..., p. 34.

14. Sto al momento compiendo studi su quest’argomento.15. C. bertelli, Osservazioni sulla Madonna della Clemenza, in “Rendiconti della Pontificia Accademia

Romana di Archeologia”, XXX-XXXI, 1957-1959, pp. 141-152; ideM, L’opera d’arte, in “Bollettino. Istituto Centrale per il Restauro”, XlI-XlIV, 1964 [= Il restauro della Madonna della Clemenza], pp. 41-189.

16. C. bertelli, La Madonna di Santa Maria in Trastevere...17. Su questi affreschi vedi: J. nordhaGen, the Frescoes of John VII (705-707 a.d.) in S. Maria antiqua

in Rome, Roma 1968.18. Oggi questo frammento si trova nella cappella Ricci della basilica di San Marco a Firenze. Su questo

mosaico vedi: J. nordhaGen, the Mosaics of John VII (705-707 a.d.), in “Acta ad archaeologiam et artium historiam pertinentia”, II, 1965, pp. 121-166; M. andaloro, I mosaici dell’Oratorio di Giovanni VII, in Fragmenta Picta. Affreschi e mosaici staccati del Medioevo romano, catalogo della mostra a cura di M. Andaloro, A. ghidoli, A. Iacobini, S. Romano, A. Tomei (Roma, Castel Sant’Angelo, 15 dicembre 1989-18 febbraio 1990), Roma 1989, pp. 169-177; A. Van diJk, the oratory of Pope John VII (705-707) in old St. Peter’s, Phil. diss., Johns Hopkins University, Baltimore (Maryland) 1995, pp. 44-47, 129-139.

l’ICOnA ACHeROPITA dellA VeRgIne dI SAnTA MARIA In TRASTeVeRe A ROMA 23

stro era quello dell’iscrizione dedicatoria di giovanni VII nel bema della chiesa di Santa Maria Antiqua19.

nel 1972 Maria Andaloro ritorna sull’argomento della datazione20: anticipa la nostra icona alla fine del VI sia per motivi stilistico-iconografici che sulla base dell’Itinerario di Salisburgo21, una fonte risalente agli anni intorno al 640 in cui viene menzionata l’icona trasteverina. Riesaminando le opere che Bertelli accosta all’icona in Trastevere, la studiosa mette in evidenza le divergenze formali che se-condo lei esistono tra la Madonna della Clemenza e la pittura giovannea. Andaloro analizza inoltre una serie di elementi, come la soluzione spaziale della composizio-ne e la presenza di una forte componente ellenistica, che retiene più coerenti con l’arte del VI secolo22. Si deve infine tener conto della proposta di Dale Kinney che, sulla base di una testimonianza nel Liber Pontificalis, data l’immagine al tempo di gregorio IV (827-844)23. nel Liber Pontificalis si ricorda che gregorio IV fece posizionare sull’altare centrale di Santa Maria in Trastevere un’immagine non meglio specificata. Le ipotesi di Andaloro furono approfondite da altri studiosi, principalmente da eugenio Russo24, ma nel complesso fu generalmente accettata l’opinione di Bertelli, condivisa tra gli altri da Jonas Per nordhagen25, esperto del-l’attività artistica di giovanni VII.

nonostante le argomentazioni di Bertelli siano molto convincenti, l’assegnazio-ne cronologica dell’icona di Santa Maria in Trastevere al pontificato di Giovanni VII oggi necessita di ulteriori approfondimenti. l’analisi delle fonti, soprattutto quelle scoperte di recente, e la riconsiderazione di alcuni aspetti paleografici si riconducono alla datazione più alta proposta dall’Andaloro.

la presenza dell’immagine mariana all’interno della basilica di Trastevere, una delle prime chiese romane, è già attestata da fonti molto antiche. L’edificio fu fon-dato da papa giulio nel IV secolo, ma, poco tempo dopo, la costruzione della chiesa venne erroneamente associata all’attività di papa Callisto, pontefice del III secolo, venerato martire, ucciso in questo quartiere di Roma. la prima attestazione della chiesa trasteverina come luogo sacro dedicato alla Vergine è il già menzionato

19. Vedi: C. bertelli, La Madonna di Santa Maria in Trastevere..., pp. 34-44. 20. M. andaloro, La datazione della tavola di S. Maria in Trastevere, in “Rivista dell’Istituto nazionale

di Archeologia e Storia dell’Arte”, n.ser, XIX-XX, 1972-1973 (ma 1975), pp. 139-215.21. Questa guida per i pellegrini consta di due parti: de locis sanctis martyrum quae sunt foris civita-

tis Romae e Istae vero ecclesiae intus Romae habentur.22. Bisogna considerare che, come ricorda lo stesso Bertelli, al momento del restauro all’Istituto pre-

valeva l’opinione che la riscoperta Madonna della Clemenza appartenesse al VI secolo, ed evidentemente questa datazione era pienamente condivisa da Cesare Brandi (C. bertelli, La Madonna di Santa Maria in Trastevere..., p. 130, nota 30).

23. d. d. kinney, Santa Maria in Trastevere from its Founding to 1215, Phil. diss., new York University 1975, Ann Arbor 1982, p. 149. Prima della Kinney questa datazione fu proposta nel saggio di g.A. Wellen, Theotokos, Utrecht-Anversa 1960, p. 207.

24. e. ruSSo, L’affresco di turtura nel cimitero di Commodilla, l’icona di S. Maria in trastevere e le più antiche feste della Madonna a Roma, in “Bulletino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio evo e Archivio Muratoriano”, lXXXVIII, 1979, pp. 35-85 e lXXXIX, 1980-1981, pp. 71-150.

25. J. J. nordhaGen, Italo-byzantine Wall Painting of the Early Middle ages: an 80-year old Enigma in Scholarship, in Studies in byzantine and Early Medieval Painting, london 1990, p. 460; ideM, Icons Designed..., p. 453.

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Itinerario ossia L’Anonimo di Salisburgo, redatto nel periodo del pontificato di Onorio I (625-638). In questa fonte usata dai fedeli come guida di Roma e dei cimiteri suburbani, riguardo la chiesa trasteverina è scritto: “basilica quae appel-latur sca Maria transtiberis ibi est imago mariae quae per se facta est”26. In questa frase l’icona di Santa Maria in Trastevere è caratterizzata come acheropita, cioè un’immagine non fatta da mano umana, ma di origine sopranaturale.

Bertelli sostenne che la seconda parte dell’Itinerario, inerente anche la chiesa trasteverina, poteva essere una contaminazione posteriore alla stesura del testo. Propose inoltre la possibilità dell’esistenza di un’immagine più antica, un prototi-po dell’icona oggi visibile27. Andaloro cercò di dimostrare che non ci fosse bisogno di individuare un altro prototipo perché i dati stilistici non contraddicono la data-zione più alta e quindi, con grande probabilità, la modesta menzione nell’Itinera-rio di Salisburgo va riferita all’attuale tavola con l’immagine di Maria Regina.

nel 1996 Alexakis pubblicò un’altra fonte dove si fa riferimento ad un’icona del-la Vergine posta in Santa Maria in Trastevere28. Il piccolo testo greco facente parte di un florilegio descrive nove immagini, accomunate dal fatto di essere acheropi-te29. Questa lista, che contiene le descrizioni e i dettagli storici, si trova in un codice della Biblioteca Marciana (Venetus Marcianus graecus 573), datato tra la seconda metà del IX e gli inizi del X secolo. Tuttavia il carattere del testo, tipico del periodo iconoclasta, indusse Alexakis a farlo risalire ad un prototipo più antico, che, se-condo lo studioso, poteva esser stato creato a Roma nel 770. In questa lista l’icona di Santa Maria in Trastevere è menzionata insieme all’immagine della Veronica e a quella di edessa, quindi tra le immagini più preziose del mondo cristiano30. Cito in traduzione italiana:

la vera e propria acheropita venerata ed onorata nella chiesa di Trastevere, della qua-le dicono che in un edificio precedentemente dedicato a uno dei martiri la Madonna, per sua preferenza, si manifestò con il Signore figlio suo in collo non fatta da mano d’uomo, e attribuì a se stessa quella dedicazione eseguendola non con l’intervento di mano umana, via più, bensì agendo come un signore e servo onorevole: riceve infatti onore anche il servo allorché il signore viene a costituire un così autentico cimelio31.

26. R. Valentini e G. zuCChetti, Codice topografico della città di Roma, 4 voll., Roma 1940-1953, II, 1942, pp. 101-131, specialmente pp. 122-123.

27. C. bertelli, La Madonna di Santa Maria in Trastevere..., p. 17. 28. A. A. aleXakiS, Codex Parisinus Graecus 1115 and Its archetype, Washington d.C. 1996, pp. 107-108,

pp. 348-350.29. Ad eccezione dell’ultima immagine, che è una scultura di metallo prezioso, miracolosa ma non

acheropita.30. Vedi la raffinata analisi di questo passaggio e dell’intero testo (pubblicato in greco in appendi-

ce) nell’articolo di g. Wolf, alexifarmaka. aspetti del culto e della teoria delle immagini a roma tra Bizanzio e Terra Santa nell’Alto Medioevo, in Roma fra Oriente e Occidente, (Settimane di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo. XlIX), atti del convegno (Spoleto, 19-24 aprile 2001), 2 voll., Spoleto 2002, II, pp. 756-796.

31. la traduzione è di Michele Bacci, che vorrei ringraziare per avermi concesso di pubblicarla in que-sta sede.

l’ICOnA ACHeROPITA dellA VeRgIne dI SAnTA MARIA In TRASTeVeRe A ROMA 25

Se la datazione più alta proposta dalla fonte greca fosse corretta, avremmo due testimonianze diverse (l’Itinerario e la lista del florilegio), scritte in lingue diverse in un arco di tempo limitato (VII-VIII secolo) e destinate a scopi differenti, pur tuttavia concordi nell’attestare la presenza di un’immagine mariana acheropita all’interno della chiesa di Santa Maria in Trastevere. A mio avviso la scoperta del testo greco diventa allora un ulteriore argomento di primaria importanza per la datazione più alta della tavola mariana.

Il fenomeno delle icone acheropite della Vergine, che scompaiono dopo la crisi iconoclasta cedendo il posto alla tradizione delle immagini di san luca32, atten-de ancora uno studio approfondito33. Per quanto si può capire dalle scarse fonti che ci parlano di queste immagini, esse compaiono in occasione dell’intervento divino da parte di Maria, che agisce in qualità di protettrice celeste. Queste effigi miracolose da un lato potevano rivestire un ruolo importante nella diffusione del culto mariano; dall’altro, per via della loro origine taumaturgica, esplicitavano ed esemplificavano il mistero dell’Incarnazione34.

Dopo Bertelli nessuno aveva preso in considerazione i dati paleografici, che ho riesaminato assieme al professor Petrucci, che qui ringrazio per la sua grande di-sponibilità e per la sua analisi. I risultati dell’indagine paleografica non contrad-dicono la datazione più alta dell’icona. Secondo Petrucci questa scritta può essere stata eseguita a Roma tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo, oppure già nel IX, quando furono ripresi i caratteri classici. Il confronto dell’iscrizione con gli scarsi resti del titulus di giovanni VII a Santa Maria Antiqua non dimostrano l’identità della scrittura. la superiore qualità esecutiva della frase latina sulla cornice del-l’icona, che Petrucci giudica addirittura come il lavoro di un vero calligrafo, rende questa iscrizione un esempio privo di confronti in tutta la produzione epigrafica latina dell’Alto Medioevo. Inoltre grazie a questa analisi è emerso che, dato non ri-levato in precedenza, la scritta è opera di due mani. la parte superiore fu eseguita da un grande maestro mentre i montanti verticali furono decorati con un’iscrizio-ne di qualità inferiore realizzata probabilmente da un suo allievo. Tuttavia, tutte queste caratteristiche indicano chiaramente un lavoro di grande importanza frut-to di una committenza altolocata.

la tradizione di accompagnare le immagine iconiche con un’iscrizione sulla cor-nice risale evidentemente al periodo preiconoclasta. Come afferma Weitzmann, la

32. Sulla tradizione delle icone di san luca vedi: M. baCCi, Il pennello dell’Evangelista: storia delle immagini sacre attribuite a san Luca, Pisa 1998.

33. Sulle icone acheropite e il loro culto vedi: e. Von dobSChütz, Christusbilder. Untersuchungen zur christlichen Legende, leipzig 1899; e. kitzinGer, the Cult of Images in the Era before Iconoclasm, in “dumbarton Oaks Papers”, VIII, 1954, pp. 83-150; the Holy Face and the Paradox of representation, (Villa Spelman Colloquia. VI), ed. with an Introduction by H.l. Kessler and g. Wolf, Bologna 1998; Il Volto di Cristo, catalogo della mostra a cura di g. Morello e g. Wolf (Roma, Palazzo delle esposizioni, 9 dicem-bre 2000-16 aprile 2001), Milano 2000; B.V. PentCheVa, The supernatural protector of Constantinople: the Virgin and her icons in the tradition of the avar siege, in “Byzantine and Modern greek Studies”, XXVI, 2002, pp. 2-41; eadeM, Icons and Power. The Mother of God in Byzantium, University Park (Pa) Pennsylvania 2006, pp. 37-59.

34. Su questo argomento vedi A. lidoV, Nerukotvornie obrazi Vizantii, in Relikvii v Vizantii i Drevney Rusi, a cura di A. lidov, Moskva 2006, pp. 278-281.

Maria Lidova26

maggior parte delle icone antiche nella collezione del monastero di Santa Caterina sul Sinai possedeva inizialmente una cornice35. Non essendo possibile sapere quan-te di esse recassero un’iscrizione, dobbiamo limitarci all’analisi dei pochi ma signi-ficativi esempi che conservano tuttora la cornice, la superficie dei quali è coperta da scritte. Uno di questi è l’icona di Cristo “Antico dei giorni”, esposta al Museo del monastero36 (fig. 3); l’altro è quella rappresentante I tre giovani nella fornace, oggi visibile nel nartece della basilica37 (fig. 4). Nel primo caso il testo greco, in bianco sul fondo blu, ha il carattere di una preghiera personale rivolta all’onnipotente raffigurato sull’icona: “ηπερ σοτηριασ και αφεσεο [σ α]μαρτιον [... του δου] λου σου φιλοχριστου”. invece la scena con i tre giovani viene accompagnata da una citazione quasi diretta del terzo capitolo del libro di Daniele in cui è descritto proprio il mi-racolo della salvezza: “ο δε αγγελοσ κ(υριο)υ συνκατεβη τοισ περι τον αζαρ [ιαν εισ την καμινον ?] την φλογα τησ [καμι] νου ωσ πν(ευμ)α δρο[σου] διασ[υριζον...]”.

L’iscrizione della Madonna della Clemenza si distingue da quelle del Sinai prin-cipalmente per due motivi: in primo luogo essa assume quasi il carattere di pre-ghiera liturgica, probabilmente creata appositamente per quest’immagine; inoltre essa rappresenta un commento di quanto raffigurato nell’icona. Nonostante que-sta necessaria distinzione si può affermare l’esistenza di una stessa tipologia di icona con cornice portante un’iscrizione sia a roma che nella collezione del Monte Sinai. Questo permette nuovi confronti e analisi che potrebbero arricchire note-volmente la nostra visione dell’icona altomedievale nella sua veste di ‘immagine parlante’, completata da un testo che dialoga direttamente con la rappresentazio-ne figurativa.

Molto interessante è anche il tipo di legno su cui fu eseguita l’immagine romana di Trastevere. Se i restauratori si limitarono a definire nei loro resoconti la natura del legno, specificando che le tre tavole verticali erano di cipresso, negli anni set-tanta apparve un importantissimo articolo di Elio Corona dedicato ai risultati del-le analisi dendrocronologiche sulla tavola di Santa Maria in Trastevere. Grazie ai dati acquisiti, Corona ha raccolto moltissime informazioni, a mio avviso di grande interesse, a proposito della zona da cui proveniva il legno38. Cito: “L’area di diffu-sione del cipresso orizzontale in quel periodo riguardava principalmente Cipro, rodi, Creta, le coste dell’asia Minore prospicenti il Mediterraneo, ma si trovava già anche in altre regioni mediterranee. da un esame dei climi delle regioni d’indi-genato e dei ritmi che nelle stesse si riscontrano sembra che la regione più indicata per i tronchi delle nostre tavole sia Cipro. [...] Zone affini si trovano anche lungo le coste meridionali della Turchia. [...] Per le ragioni più volte esposte si escludono aree italiane; ma sono da escludersi anche provenienze greche e cretesi in quanto il ritmo delle serie e il tipo delle cerchie non concordano con i caratteri climatici di

35. �. �. Weitzmann, The Monastery of Saint Catherine at Mount Sinai. The icons, Princeton (NJ) 1976, i, From the Sixth to the Tenth Century: B.1, B.2, B.3, B.4, B.5, B.6, B.7, B.9.

36. Ivi, B.16, p. 41-42.37. Ivi, B.31, p. 56. Vedi anche le voci su queste icone in G. e M. Sotiriou, Icônes du Mont Sinaï, 2 voll.,

Athènes 1956-1958, I, 1956, pp. 23-28, tavv. 8, 9, 12, 13.38. Per la prima volta questo articolo è stato citato nello studio E. ruSSo, L’affresco di Turtura..., pp.

84-85.

L’icona acheropita deLLa Vergine di Santa Maria in traSteVere a roMa 27

quelle regioni. Le tavole verosimilmente non sono state ricavate in italia da tron-chi portati dall’oriente via mare o via terra. [...] pertanto sia pure come ipotesi si può attendibilmente presumere che le tavole siano state trasportate in occidente già allestite coperte o non del prezioso dipinto. [...] Se fosse contemporanea alle tavole, la cornice di castagno che contorna il quadro potrebbe limitare l’area di provenienza del legno alle coste meridionali dell’asia Minore”39.

esistono solo due probabili spiegazioni. L’icona di Santa Maria in trastevere poteva essere considerata sin dall’inizio un monumento così importante da richie-dere che venisse portato appositamente dall’oriente questo tipo di legno, oppu-re le tre tavole raggiunsero la capitale papale con sopra già un’immagine della Vergine regina.

Questi dati riaprono il problema del ruolo delle icone romane nel quadro gene-rale dell’arte altomedievale, per molti caratterizzato dall’antinomia di due mondi, quello dell’occidente e quello dell’oriente, di roma e di costantinopoli. Lo scopo delle mie ricerche è quello di raccogliere dati che potrebbero mostrare lo stretto legame tra l’immagine di Santa Maria in trastevere con il mondo bizantino. il mio obiettivo non è quello di dimostrare che l’opera è stata creata da un maestro greco (non abbiamo prove sufficienti per una simile affermazione), ma analizzarla nel più ampio contesto della cultura cristiana del Mediterraneo nel periodo preicono-clasta. infatti una visione frammentaria del mondo artistico del Mediterraneo nel periodo che va dal Vi all’Viii secolo limita considerevolmente il campo dei nostri studi e le possibilità delle ricerche.

due sono i principali centri dove si conservano le più antiche icone: il monaste-ro di Santa caterina sul Sinai in egitto e roma. paradossalmente a costantinopoli, se si esclude qualche frammento di mosaico, a causa delle lotte iconoclaste non si conservano né tavole né affreschi del periodo. Le icone romane sono stilisticamen-te molto diverse, sia per le misure che in parte per la tecnica40, da quelle del Sinai. con ogni probabilità proprio queste divergenze hanno fatto sì che le icone delle due aree vengano di norma analizzate separatamente. inoltre le icone del Sinai sono considerate testimonianze dell’arte altomedievale di costantinopoli, mentre le immagini romane sono generalmente riconosciute come esempi di pittura ro-mana e occidentale. tuttavia non ci sono prove sicure per dimostrare che i reperti

39. e. Corona, Note dendrocrologiche sul quadro di S. Maria della Clemenza in Roma, in “Studi trentini di Scienze naturali”, Sezione B, Biologica, XLVii, 1970, 2, pp. 133-140.

40. La differenza più rilevante di questi due gruppi di icone è l’uso o meno della tela sul supporto: nelle icone romane era presente mentre, come afferma Bertelli, in quelle del Sinai i colori venivano ap-plicati direttamente su legno. Se questo è vero per le immagini più famose, nel catalogo della collezione del monastero di Santa caterina del Sinai, Weitzmann cita una serie di casi in cui le icone ad encausto conservano tracce del tessuto sottostante. inoltre un’icona recentemente rintracciata in collezione privata e conservata fino a poco tempo fa nella galleria temple di Londra, è un’immagine interamente dipinta su tessuto. probabilmente fin dall’inizio fu creata come un’icona su tela per esser appesa dentro una chiesa. L’opera, proveniente probabilmente dall’egitto copto, fu datata da cormack al Vi-Vii secolo, ma purtrop-po il legno non si è conservato come non si sono conservati gli elementi microscopici del supporto ligneo. Vedi: r. CormaCk, in Masterpieces of Early Christian Art and Icons, catalogo della mostra (Londra, the temple gallery, 15 giugno-30 luglio 2005), London 2005, pp. 22-29.

MARIA lIdOVA28

del Sinai rispecchino la cultura artistica di Costantinopoli in modo più adeguato che quelli di Roma. Inoltre la rigida distinzione di due scuole mi pare molto pro-blematica perché all’epoca che ci interessa non esisteva ancora la divisione cultu-rale e religiosa che caratterizzerà i tempi successivi.

Così l’importanza delle icone romane per lo studio del culto delle immagini nell’epoca preiconoclasta a Costantinopoli non fu quasi mai veramente presa in considerazione. A differenza delle icone del Sinai, molte delle quali furono crea-te e concepite fin dall’inizio come doni votivi per il famoso monastero greco, le Madonne di Roma sono conservate invece come importantissimi palladi e sacrari della città, custodite nelle chiese che continuano a determinare la topografia cri-stiana di Roma, esattamente come nel corso del Medioevo lo hanno fatto le icone miracolose della Vergine a Costantinopoli.

MARIA lIdOVA 233

fiG. 1. Madonna della Clemenza, Roma, chiesa di Santa Maria in Trastevere.

MARIA lIdOVA234

fiG. 2. Madonna della Clemenza, Roma, chiesa di Santa Maria in Trastevere, dettaglio.

MARIA lIdOVA 235

fiG. 3. Icona di Cristo “Antico dei giorni”, Sinai, monastero di Santa Caterina.

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fiG. 4. Icona dei tre giovani nella fornace, Sinai, monastero di Santa Caterina.