Libri proibiti e biblioteche circolanti. Il ruolo di don Giovanni Casati tra uomo di fede e uomo di...

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1 Facoltà di Filosofia, Lettere, Scienze Umanistiche e Studi Orientali Corso di laurea in Studi Italiani LIBRI PROIBITI E BIBLIOTECHE CIRCOLANTI: IL RUOLO DI DON GIOVANNI CASATI TRA UOMO DI FEDE E UOMO DI LETTERE. Candidato Relatore Riccardo De Stefano Gianfranco Crupi A/A 2011/2012

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Facoltà di Filosofia, Lettere, Scienze Umanistiche e Studi Orientali

Corso di laurea in Studi Italiani

LIBRI PROIBITI E BIBLIOTECHE CIRCOLANTI: IL RUOLO DI DON

GIOVANNI CASATI TRA UOMO DI FEDE E UOMO DI LETTERE.

Candidato Relatore Riccardo De Stefano Gianfranco Crupi

A/A 2011/2012

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Indice Introduzione.....................................................................................................................3

1. Giovanni Casati............................................................................................................5

2. La Federazione italiana delle biblioteche cattoliche .................................................10

2.1 Biblioteche popolari e circolanti, socialiste e cattoliche...............................................10

2.2 I rapporti tra la federazione socialista e la cultura cattolica.........................................14

2.3 Nascita e primi anni della “Federazione”...................................................................15

2.4 La direzione di Giovanni Casati: la «Rivista di letture»................................................19

2.5 La «Rivista di letture»: contenuti e commento...........................................................33

3. Manuale di letture.......................................................................................................41

3.1.1 Diffusione e successo: il processo contro il Casati...............................................42

3.2 Edizioni successive ..................................................................................................44

3.2.1 Il secondo volume, edizioni successive e supplementi .........................................46

3.3 I contenuti...............................................................................................................48

3.4 La fortuna dell’opera................................................................................................51

4. I Libri letterari condannati dall’Indice .......................................................................53

4.1 La congregazione e l’Indice dei libri proibiti ..............................................................53

4.2 Saggi di libri letterari condannati dall’Indice ..............................................................59

4.2.1 Prima edizione, struttura ed edizioni successive ..................................................59

4.2.2 I contenuti ........................................................................................................60

4.2.3 La fortuna dell’opera .........................................................................................67

5. I dizionari bio-bibliografici........................................................................................71

5.1 Il Dizionario degli scrittori d’Italia.........................................................................71

5.1.1 Contenuti..........................................................................................................74

5.1.2 La fortuna dell’opera .........................................................................................76

5.2 Scrittori cattolici italiani viventi .............................................................................78

Bibliografia ....................................................................................................................81

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Introduzione

“Libri proibiti” e “biblioteche circolanti” sono espressioni che nella loro accezione

più larga ci riportano a un passato a noi lontano, distante. Eppure, queste esperienze sono

perdurate fino alla metà del secolo scorso.

In una Italia bibliotecaria che stentava a trovare una sua centralità nelle istituzioni

pubbliche, le iniziative di carattere popolari sono state necessarie per diffondere i primi

strumenti là dove lo Stato non arrivava, con Milano come centro propulsore di tutta una

politica improntata sulle biblioteche di natura popolare.

In quella Milano, a fianco delle federazioni di promozione bibliotecaria laiche e

d’ispirazione socialista, ruotanti intorno alle figure di Filippo Turati e di Ettore Fabietti, un

posto di rilievo lo ebbero le federazioni e gli enti di natura cattolica, ugualmente tese alla

diffusione libraria e alla formazione culturale, seppur con metodologie nettamente diverse

e con una visione del sapere in contrasto con quella socialista.

Una realtà, quella delle biblioteche circolanti d’ispirazione cattolica, spesso

dimenticata e sottovalutata, ma specchio invece di un’Italia ancora divisa in due entità ben

distinte, quali il neonato Stato italiano e la Chiesa di Roma, depauperata del potere

temporale ma ancora fortemente vitale dal punto di vista politico e sociale.

In questo panorama di diffusione religiosa del sapere, don Giovanni Casati occupa

una posizione di spicco, attivissimo com’è stato nella “Federazione italiana delle

biblioteche cattoliche e circolanti”, forse la più importante tra le varie federazioni

bibliotecarie ispirate ai dettami della religione cattolica. Uomo di lettere, in quanto

prolifico autore di recensioni, guide, manuali e dizionari, direttore di riviste e giornali di

critica letteraria, oltre che autore di opere in prosa e versi. Uomo di fede, in quanto

sacerdote e rigido promotore di una letteratura morale e religiosa, cristiana e cattolica, tutta

tesa alla diffusione dei “buoni libri” per la promozione culturale e spirituale delle persone e

dei più giovani, in particolare. La sua lunga carriera di critico letterario spazia in oltre

cinquant’anni d’attività intensa.

Scopo di questa tesi è di ricostruire il profilo di Giovanni Casati e d’analizzare le

sue opere di natura critica e analitica, nei loro intenti e nei loro effetti, per evidenziare il

ruolo di protagonista nel campo della critica religiosa di stampo moraleggiante e religioso

nella prima metà del ‘900, e per gettare una luce sui mezzi bibliotecari utilizzati per la

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diffusione di questo sapere, come appunto le biblioteche circolanti e l’Indice dei libri

proibiti.

Per far ciò, si è presa visione delle opere più importanti di Casati, come i manuali

per le biblioteche e le famiglie o i suoi dizionari; si è riposta poi, in particolare, cura nello

spoglio della «Rivista di letture», il mezzo fondamentale dell’opera critica del Casati, che

nei suoi oltre quarant’anni d’esistenza ha posto in questa rivista le fondamenta di tutto il

suo lavoro.

Premessa fondamentale della ricerca è la biografia dedicata alla persona Casati,

quanto più possibile accurata e approfondita, nonostante le poche fonti reperite a riguardo.

Dalla ricerca emerge con chiarezza il confronto-scontro avvenuto con l’equivalente

federazione bibliotecaria socialista, operante negli stessi anni e nella stessa città: tale

coesistenza s’è rivelata quanto mai difficile e motivo d’accuse reciproche sui metodi

applicati alla diffusione del sapere; questa situazione, poco trattata nelle analisi sulle realtà

bibliotecarie popolari, è però essenziale per comprendere a fondo l’importanza

dell’esperienza cattolica.

A fronte poi dell’atteggiamento tendenzialmente censorio del Casati, culminato

nelle opere dedicate ai libri posti all’Indice dalla Chiesa, si è ritenuto opportuno dedicare

un breve excursus alla storia dell’Indice stesso, in particolar modo per quel che riguarda il

novecento, periodo in cui il Casati ha operato.

A tale riguardo nella ricerca si sottolineano gli episodi più eclatanti di messa

all’Indice di opere e correnti di pensiero, oggetto di condanna anche da parte del sacerdote

nelle sue trattazioni.

L’attenzione è fortemente riposta sulle opere di critica letteraria del Casati: sono

presi in considerazione i suoi lavori sulla «Rivista di letture», il periodico diretto da lui e

sui volumi a questa collegati, come il Manuale di letture, la sua guida bibliografica, i Saggi

di libri letterari condannati dall’Indice, dove si giustificano le scelte censorie dell’Indice, e

i dizionari bio-bibliografici di impronta moraleggiante.

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1. Giovanni Casati

Giovanni Casati nasce il 1 dicembre del 1881 a Lambrate, all’epoca ancora comune

limitrofo di Milano e in seguito inglobato alla città come quartiere, figlio di Felice Casati e

Angela Sangallo.1

Nel 1906, abbracciato il sacerdozio, celebra la sua prima messa il 10 giugno nella

chiesa di San Martino di Lambrate.

Si trasferisce presto a Milano, andando a vivere nella zona di Porta Garibaldi,

legandosi a quella parte della città ed omaggiandola in seguito anche con pubblicazioni

dedicate agli edifici religiosi della zona: qui, inizia ad esercitare la guida pastorale della

chiesa Santa Maria del Carmine, nella Parrocchia del Carmine, storica chiesa nobile del

castello di Milano, dove svolge anche compiti di bibliotecario, funzione che gli permette di

avvicinarsi alle istituzioni religiose milanesi che attive nelle questioni riguardanti il

patrimonio librario e bibliotecario.

Nel 1904, intanto, era stata fondata la Federazione italiana biblioteche cattoliche,

con sede a Milano2, con il programma di riunire le varie realtà bibliotecarie sparse in Italia

di matrice cattolica, attraverso la segnalazione e il commento delle novità editoriali, al fine

di proporre il materiale più consono all’ortodossia religiosa cattolica: ulteriore scopo della

Federazione era quello di contrapporsi alla Federazione Italiana delle biblioteche popolari,

di matrice laica e socialista, rea di spargere «libri empi, erronei ed immorali»3.

L’organo di comunicazione della Federazione fu il «Bollettino delle biblioteche

cattoliche», una rivista a cadenza mensile venduta in abbonamento e spedita su tutto il

territorio nazionale, di cui don Giovanni Casati diventa direttore nel 1912, oltreché

segretario della Federazione.

All’alba del 1914 il «Bollettino» cambia denominazione e diviene la «Rivista di

Letture»: è in questo periodo che il pensiero del Casati acquista maggiore peso, e viene

spostata l’attenzione sui libri messi all’Indice, con le analisi sui libri “consigliati” e “non

consigliati” da inserire nelle biblioteche. La «Rivista» acquisisce un nuovo formato e si

inizia la pubblicazione dei saggi critici sulle opere messe all’Indice dalla Congregazione dl

Sant’Ufficio. 1 F. SCARANO (a cura di), Chi è?Dizionario degli italiani d’oggi, Roma, Cenacolo, p.202 2 La sede si trovava in via Speronari n. 3. 3 «La civiltà cattolica», vol. 4, Anno 68°, 1917, p. 252

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Nel maggio del 1915, con l’ingresso da parte dell’Italia nel conflitto mondiale, il

Casati è chiamato alle armi, nonostante l’esercizio del sacerdozio. Svolge servizio presso

l’ospedale militare delle Marcelline di Milano come sergente di sanità, occupandosi della

gestione economica dell’ospedale. Nonostante le avversità e le limitazioni imposte dalla

guerra, continua a svolgere il suo ruolo di direttore della «Rivista di letture», proprio grazie

al fatto di prestare servizio a Milano. Fiero del suo ruolo militare, sempre dalle pagine

della «Rivista», porge il suo tributo e invia i saluti al sacerdote Pietro Zangrando, onorato

della medaglia al valore militare, estendendo tale saluto poi a tutti gli abbonati impegnati

in funzioni militari o chiamati come cappellani.

Tra il maggio del 1916 e l’aprile del 1917 escono due volumetti sui testi da

utilizzare per le scuole elementari urbane e rurali4, che fecero da base per il fascicolo Tipi

di bibliotechina scolastica, uscito nell’ottobre del 1917, in una prima edizione di

quattromila copie, a cui seguirono varie ristampe.

Il lavoro svolto dal Casati durante questi primi anni di attività della «Rivista» fu

organizzato e utilizzato per la compilazione della prima opera del sacerdote sulle letture

consigliate: nel 1918 venne pubblicato il Manuale di Letture, che in breve tempo esaurì la

prima edizione.

Nel 1919, a guerra finita, il Casati torna dalle armi e riprende il lavoro lasciato

interrotto: è in questo periodo che la Federazione delle biblioteche cattoliche cambia

denominazione in “Biblioteche circolanti”, presumibilmente per allargare, almeno nelle

intenzioni dei proponenti, il bacino di riferimento e «entrare a far bene anche in recinti non

nostri»5. Iniziano proficue collaborazioni con la “Buona Stampa” e soprattutto la “Pro

Cultura”6 di Milano, presso cui l’anno seguente, Giovanni Casati inizia una serie di lezioni,

che proseguiranno anche negli anni successivi, basate sulla «Rivista di Letture». Intanto la

«Rivista» sviluppa un nuovo formato ampliato con nuove rubriche e le biblioteche

associate alla Federazione superano le 1500 unità.

Nel marzo del 1919 il Casati è portato in Tribunale dalla scrittrice Anna Franchi

Martini, per ingiurie a seguito dell’uscita del Manuale di letture in cui si sconsigliava la

lettura delle opere dell’interessata. In prima istanza il Tribunale accetta la difesa del Casati

e nega il gratuito patrocinio all’altra parte, ma la sentenza viene rinviata in appello. La

4 «Rivista di letture», n. 11, anno XVI, 15 novembre 1919, p. 165. 5 «La civiltà cattolica», vol. 1, Anno 73°, 1922, p.457. 6 Due case editrici, nonché associazioni culturali milanesi di estrazione cattolica.

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difesa del Casati si muove allora precisando la natura prettamente ideologica della critica,

laddove l’accusa invece sottolinea «che il compilatore del Manuale ha esorbitato dal limite

della critica»7, compiendo di conseguenza un atto sanzionabile penalmente. Nonostante

l’efficacia dei discorsi del Casati, la “Commissione per il gratuito patrocinio”, corte

d’appello, nonostante il riconoscimento della difesa del Casati e escludendo ogni

intenzione d’ingiuria, senza voler addentrarsi troppo in merito rimanda la questione al

Tribunale, concedendo il gratuito patrocinio. Il processo, l’anno seguente, non va avanti

solo per il mutuo accordo delle parti in causa8.

Oltre i vari lavori di critica e analisi letteraria, don Casati inizia a pubblicare una

serie di opere di carattere lirico o narrativo, partendo dal 1920 con la pubblicazione dei

Canti di vita per le “Edizioni Popolari”; negli anni seguenti farà uscire anche alcuni

romanzi, come L’onda che va, i Piccoli satrapi e Volo di pavoncelle del 1924, tutti per la

“Ghirlanda Editore”. Sono opere comunque fortemente ispirate dalla visione e

dall’ortodossia cattolica, tutti recensiti e apprezzati da «La civiltà Cattolica».

Dal lato della critica letteraria vi è da segnalare l’uscita nel 1921 de I saggi di libri

letterari condannati all’Indice, prima opera dove tenta di spiegare le motivazioni che

avevano spinto la Congregazione, e di riflesso anche la “Federazione delle biblioteche” di

cui era direttore, a considerare tali libri «letture non consigliate» o «immorali».

Nel 1922, don Casati è ricevuto a Roma dall’allora Papa Pio XI, in udienza privata,

a cui espone il lavoro e i progetti della “Federazione” e della «Rivista di letture»:

ricevendone l’incoraggiamento ad approfondire il lavoro, attraverso l’ampliamento della

rivista e la scrittura di saggi «per rimettere nel debito onore i trattati principi del sapere

cattolico»9. Al fine di sostenere la diffusione degli abbonamenti, Pio XI offre la somma di

duemila lire, per la sentita commozione del Casati.

Nel 1923 viene nominato socio corrispondente dalla “Società italiana per gli studi

religiosi e filosofici”, un organo affiliato all’Università Cattolica del Sacro Cuore, per la

diffusione culturale di tematiche di stampo religioso e filosofico, attraverso convegni e

seminari. La stessa “Federazione delle biblioteche” entrerà negli “Amici dell’università”,

la lista, cioè, di società e federazioni di supporto all’università.

7 «Rivista di Letture», 1924, n.1, anno XXI, p.3 8 Ibid. 9 «Rivista di letture» , 15 ottobre 1922 , anno XIX, n.10.

8

Nel 1925 Ettore Salani, con l’ausilio del figlio Mario, proprietario delle “Edizioni

Salani” decide di allinearsi all’ottica censoria cattolica e fascista, pretendendo di non far

uscire un libro se non assolutamente rigoroso sotto l’aspetto morale: a tal scopo si rivolge

al Casati, forse il massimo esperto del settore, che lo aiuta nella revisione del catalogo,

portata a termine nel giugno dello stesso anno, segnalando i libri ritenuti idonei o meno per

la ristampa10 .

Dopo essersi occupato di critica letteraria con il saggio dedicato a La lirica

religiosa all’origine della nostra lingua, dato alle stampe nel 1924, tre anni dopo Casati

diviene direttore de «Il Cittadino» di Monza, giornale fondato nel 1899 di dichiarata

ispirazione cattolica, prendendo il posto di Giulio Pastore, giornalista schierato fieramente

contro la neonata dittatura fascista, e rimosso in seguito alle leggi fascistissime e ai ripetuti

tentativi di esproprio del giornale. Sotto don Casati il giornale sembra abbandonare

l’aspetto di opposizione al regime, celebrando anzi i progressi ottenuti in città dal partito,

concentrandosi sulla cronaca, la religione, la cultura ma anche sullo sport e la pubblicità,

tralasciando gli aspetti prettamente politici e allineandosi all’indirizzo del regime. Il primo

numero del nuovo corso sotto la direzione del Casati esce il 6 gennaio 1927, che

successivamente assume la direzione anche de «Il Cittadino della Domenica», supplemento

del giornale.

Sempre nel 1927, in aprile, la “Federazione italiana delle biblioteche circolanti”

viene invitata, tra le altre istituzioni cattoliche, alla “Mostra didattica nazionale” dove don

Casati riceve i complimenti per il lavoro svolto nel corso degli anni. La “Federazione” e la

«Rivista» riceve dalla giuria della sezione “Istituzioni Integratrici” la medaglia d’oro, che

va ad aggiungersi alla franchigia postale assegnata dal ministero l’anno prima,

annoverando quindi la “Federazione” tra le istituzioni culturali riconosciute dal Governo.

Parallelamente lavora alla stesura di due dizionari sui letterati italiani: è del 1925 il

Dizionario degli scrittori d’Italia dalle origini fino ai viventi e, tre anni dopo, il Dizionario

degli scrittori cattolici italiani viventi, opere riassuntive degli anni di lavoro e di critica

svolti per la «Rivista di letture».

Il 17 marzo 1931 muore il suo caro amico, il cardinale Pietro Maffi, che oltre ad

essere stato uomo di fede fu anche astronomo e scienziato, storico ammiratore dell’opera

del Casati, specialmente per quanto riguardava la «Rivista di letture». 10 A. GIGLI MARCHETTI , Libri buoni e a buon prezzo - le edizioni Salani (1862 - 1986), Milano, Franco Angeli, 2011, p. 34.

9

Nel giugno dello stesso anno, don Casati celebra il venticinquennale del suo

Sacerdozio, ritornando per l’occasione a celebrare messa nella chiesa di San Martino a

Lambrate: un grande numero di giornali, di stampo cattolico e no, tra cui la «Civiltà

Cattolica» e l’«Osservatore Romano», celebra l’avvenimento sulle proprie pagine, e lo

stesso Casati riceve gli auguri personali da parte di Papa Pio XI. Ulteriori commemorazioni

avvengono nella sede e sulle pagine de il Cittadino di Monza, con la pubblicazione di un

numero unico speciale per l’occasione.

Altre celebrazioni seguono l’anniversario per i venticinque anni di direzione della

«Rivista di letture», nel marzo del 1937, importante traguardo che denota l’impegno e la

passione del Casati per la direzione del periodico.

Nel 1940, a fronte della grande esperienza e della considerazione ottenuta

nell’ambiente bibliotecario, viene chiamato a collaborare con l’Ente nazionale per le

biblioteche popolari e scolastiche e inizia a scrivere con regolarità sul periodico dell’Ente

«La parole ed il libro».

Nel 1945 la «Rivista di letture» cessa formalmente le pubblicazioni: don Casati l’ha

diretta per oltre trent’anni.

Negli ultimi anni di vita concentra la sua attenzione e le sue ricerche sugli aspetti

storici della Chiesa: dal 1947 inizia la pubblicazione di una lunga serie di monografie che

verranno poi raccolte nel volume Cent’anni di storia della Chiesa.

Sono invece del biennio 1952/1953 i due volumi che riguardano le due chiese della

zona di Porta Garibaldi a Milano, il primo dei quali si occupa proprio della chiesa di S.

Maria del Carmine, dove il Casati si era occupato a lungo della parrocchia: il volume La

chiesa nobile di Milano: S. Maria del Carmine celebra e racconta la storia della chiesa

attraverso rievocazioni storiche e personali. L’altro volume si occupa di una chiesa dello

stesso rione: San Simpliciano: La basilica dei Santi e del Carroccio racconta di episodi,

leggende e curiosità della chiesa del rione di Porta Garibaldi a Milano.

Don Giovanni Casati, dopo una vita di lavoro nell’ambito critico e letterario, si

spegne a Milano nel 1957, all’età di 76 anni.

10

2. La Federazione italiana delle biblioteche cattoliche

2.1 Biblioteche popolari e circolanti, socialiste e cattoliche

Il movimento delle biblioteche popolari, e delle federazioni ad esse correlate,

nacque in Italia a seguito dell’unificazione nazionale, all’interno del più vasto processo

d’istituzione delle biblioteche pubbliche promosso dal neonato Stato italiano, intese come

strumenti efficaci per sostenere il rinnovamento della cultura, il superamento dei

provincialismi e l’apertura del dialogo al contesto europeo.

Le biblioteche pubbliche attive all’atto di nascita dello Stato italiano erano

essenzialmente istituti di conservazione e di studio, frequentate principalmente da storici e

studiosi, ed escluse a priori ai ceti popolari, composti da una moltitudine perlopiù

analfabeta o poco alfabetizzata.

Nel 1863 il numero di biblioteche presenti sul territorio italiano raggiungeva le 210

unità, delle quali 164 aperte al pubblico, numero comunque considerevole, visto che le

public libraries inglesi, modello e ispirazione delle corrispettive italiane, erano poco più di

trenta.

In queste biblioteche, la cui stragrande maggioranza operava nei territori

settentrionali, residuo di quelle istituite prima dell’Unità, si riservava particolare attenzione

agli autori antichi, dando poco, o nessuno spazio, nei casi peggiori, alle opere

contemporanee o di carattere scientifico; peraltro, solo un esiguo numero di esse disponeva

di un patrimonio librario considerevole (su tutte, la “Braidense” di Milano).

In quei primi anni dopo la nascita dello stato unitario, questo tipo di esperienza

bibliotecaria si rivelava piuttosto infeconda, mancando precisi indirizzi normativi,

organizzativi e amministrativi finalizzati a promuovere le biblioteche “ereditate” dall’Italia

unita: il principale criterio di espansione dei fondi librari fu quello della devoluzione alle

biblioteche pubbliche dei patrimoni bibliotecari ecclesiastici a seguito della soppressione

delle congregazioni religiose, senza alcun progetto di utilizzazione o cura del nuovo

materiale.

Dopo il 1861, le biblioteche furono chiamate ad assolvere al nuovo compito di

educazione popolare, nell’ottica di un vasto processo d’istruzione voluto dalla borghesia

11

liberale, progressista e industriale: le iniziative di promozione del sapere si articolarono su

più livelli, partendo dall’istruzione vera e propria, attraverso l’apertura delle scuole serali e

domenicali, passando per il nuovo ruolo pedagogico svolto dalle istituzioni bibliotecarie

per finire con l’emergere di un’editoria “popolare” specializzata nella stampa di opere per

le fasce più basse della popolazione.

L’inizio di questa esperienza si potrebbe datare formalmente proprio al 1861, con la

costituzione nella città di Prato, da parte di Antonio Bruni, della prima biblioteca

circolante, basata sul prestito a domicilio.

Il fenomeno delle biblioteche circolanti aveva cominciato a diffondersi in Europa

tra il ‘700 e l’800 e, a differenza delle altre forme di diffusione del sapere non

istituzionalizzate, come i gabinetti di lettura11, permetteva il prestito dell’opera dietro il

pagamento di un abbonamento. È sintomatico della situazione italiana come questo tipo di

iniziative di formazione e promozione culturale venissero perlopiù da parte di associazioni

o singoli privati, piuttosto che per l’iniziativa delle amministrazioni pubbliche centrali o

locali, le quali si mostrarono tiepidamente favorevoli all’iniziativa, elargendo tutt’al più

qualche dono di natura libraria o qualche piccolo sussidio economico.

Lo scopo di questa particolare forma di biblioteca era quello di permettere anche ai

ceti subalterni, con un costo esiguo, di “elevarsi” e tentare di essere ammessi al circuito

culturale. La politica educativa del periodo si preoccupava di formare una classe

lavoratrice capace di tenere il passo coi tempi della modernizzazione e industrializzazione

agricola, creando scuole tecniche specialistiche e diffondendo sul territorio biblioteche

popolari, sempre più spesso per iniziativa della “Società del mutuo soccorso”:

particolarmente attiva fu la zona del milanese, dove, nel 1867, nacque la “Società

promotrice delle biblioteche popolari”, ad opera dell’economista Luigi Luzzatti e del

bibliotecario Giuseppe Sacchi, con la partecipazione del matematico Luigi Cremona e

dell’editore Emilio Treves. Negli anni settanta dell’800 la sede unica delle biblioteche

popolari contava un archivio di circa 6000 volumi e una media di circa mille prestiti

mensili.

11 I gabinetti di lettura, sorti a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, permettevano la libera consultazione del materiale disponibile, in una sala che fungeva anche da punto di incontro, dove era possibile discutere dei libri letti e formarsi un’opinione.

12

Di fondamentale importanza per la diffusione del sapere nell’area milanese fu la

“Società umanitaria”, costituita con delibera comunale il 30 novembre 1892 e con decreto

reale il 29 giugno 1893, con lo scopo di:

«mettere i diseredati, senza distinzione, in condizione di rilevarsi da se medesimi, e di operare per l’elevazione professionale, intellettuale e morale dei lavoratori».12

L’alba del nuovo secolo vede a Milano la diffusione cospicua delle biblioteche di

carattere popolare specialmente grazie all’opera di Filippo Turati, deputato socialista, che

tramite la “Società umanitaria” fonda nel 1903 il “Consorzio delle biblioteche popolari”,

assumendone la carica di presidente; il ruolo di direttore spettò a Ettore Fabietti, già

bibliotecario presso la “Biblioteca popolare” di Milano e autore, tra l’altro, del Manuale

per le biblioteche popolari, che divenne in seguito un vero manifesto ideologico e pratico

del Consorzio.

Oltre alla “Società umanitaria”, promotrice del Consorzio, vi aderirono anche

l’“Università popolare”di Milano, costituitasi ufficialmente il 1° marzo 1901, la “Camera

del lavoro”, la “Società promotrice delle biblioteche popolari” e la “Società promotrice

della cultura popolare”; in seguito subentrarono anche il Comune, la Camera di commercio

e l’Unione cooperativa. Il governo giolittiano collaborò attraverso il Ministero della

pubblica istruzione e la Cassa di risparmio con sussidi ordinari alla costituzione del

bilancio consorziale.

Nell’esperienza milanese delle biblioteche popolari Ettore Fabietti svolse un ruolo

centrale. Nato a Cetona il 20 luglio 1876, conobbe Turati a Milano, e in breve divenne un

punto di riferimento del partito socialista e il principale motore dell’attività popolare in

ambito culturale.

Il 10 aprile 1904 vengono aperte nel territorio milanese le prime quattro biblioteche

popolari, caratterizzate da uno spirito di matrice dichiaratamente socialista e laico: la

Federazione si rivela un successo, riuscendo in due anni a espandersi praticamente in ogni

rione della città.

È per diretto intervento del “Consorzio” che nel febbraio del 1906 si forma

un’organizzazione speciale per diffondere le biblioteche nella provincia di Milano:

l’”Unione provinciale milanese delle biblioteche popolari” che, pur autonoma, ha nel

12 Dallo Statuto della “Società umanitaria”, 1893.

13

consiglio direttivo il Turati e il Fabietti e che concentra la propria attività nel sussidio

annuale e nella direzione di un’ottantina di biblioteche popolari.

Ad imitazione del collaudato modello milanese sorsero sul territorio italiano altri

“Consorzi” come, ad esempio, quelli di Bologna o Torino: per indirizzare queste nuove

esperienze, che richiedevano aiuti e linee guida, venne istituito il “Bollettino delle

biblioteche popolari” .

Nel 1908 si tenne a Roma il primo “Congresso nazionale delle biblioteche

popolari” a cui fece seguito l’istituzione della “Federazione italiana delle biblioteche

popolari”, nata con l’intento di dare le direttive tecniche al nascente movimento, attraverso

la diffusione del “Bollettino” come organo d’informazione.

Nel 1917 il “Consorzio” cambiò ufficialmente denominazione divenendo l’”Istituto

delle biblioteche popolari”, che continuò ad esser finanziato nonostante le difficoltà del

periodo bellico.

È solo intorno al 1926 che il nuovo governo fascista comincia ad interessarsi delle

biblioteche popolari, cercando di subentrare nella gestione di esse per assorbirne il favore

presso le fasce meno abbienti della popolazione: per far ciò, commissaria la “Federazione

delle biblioteche popolari” estromettendo di fatto Fabietti dalla direzione e mettendo al suo

posto Pollini. L’impronta data dal Fabietti alla “Federazione”, sul modello delle open free

libraries inglesi, di libera diffusione della cultura per tutti, viene invece incanalata in un

tentativo di suddivisione gerarchica del sapere, basato sulle limitazioni e settorializzazioni

delle conoscenze.

Nei due anni seguenti si attua un’opera di epurazione delle 1600 biblioteche

popolari, con effetti limitati, fino all’apertura di una “Federazione fascista delle biblioteche

popolari”.

Con l’istituzione delle biblioteche statali, nate sotto le direttive fasciste, si attua il

progressivo abbandono delle biblioteche popolari: nel 1932 la “Federazione delle

biblioteche popolari” viene fusa con la corrispettiva federazione fascista, decretando di

fatto la fine di questa esperienza.

14

2.2 I rapporti tra la federazione socialista e la cultura cattolica Fin dal loro primo affermarsi, fu inevitabile la contrapposizione tra le biblioteche

popolari sostenute dai socialisti e la cultura clericale, le cui biblioteche pre-unitarie erano

pressoché l’unica espressione di organizzazione del sapere presente in modo diffuso sul

territorio, e ciò specialmente dopo il 1870 con la rottura insanabile tra Stato italiano e

Santa Sede a seguito dell’annessione di Roma al territorio italiano e lo spostamento della

capitale nella città che fino ad allora era stata la sede del Papato.

La natura prettamente laica e socialista, ribadita pure da Luigi Luzzatti nel discorso

di fondazione della “Società promotrice delle biblioteche popolari”, la pone subito in

contrasto alle organizzazioni equivalenti di carattere religioso.

I due fronti si attaccarono spesso, data l’impossibilità di coesistenza ideologica: la

parte cattolica criticò severamente il Consorzio delle biblioteche popolari fondato da

Turati, accusandolo di essere «in lega con la massoneria»13, anzi di esserne asservito, e di

operare una «rapina del pubblico danaro ad esclusivo vantaggio dei sovvertitori»14; d’altro

canto, la fazione socialista muoveva le sue accuse contro le federazioni e le biblioteche

cattoliche, «che vivono delle oblazioni dei fedeli e servono a tener lontani i medesimi dalle

attrattive della cultura libera»15. Si vedrà come, durante il ventennio fascista, in cui le

biblioteche popolari di ispirazione socialista saranno sempre più danneggiate dalla politica

educativa fascista, l’opera di settorializzazione del sapere sfiori appena le federazioni

cattoliche.

Ed è essenzialmente per contrastare la diffusione delle biblioteche socialiste,

colpevoli di diffondere libri immorali ed empi, «a rovina della religione e dei costumi del

popolo e della gioventù»16, tra cui ad esempio opere di Voltaire, Rousseau, Verga,

Flaubert, Zola e molti altri17, che nacquero Federazioni volontarie per la promozione

culturale delle biblioteche popolari di stampo cattolico. Tra queste, la “Federazione italiana

delle biblioteche cattoliche”.

13 «La civiltà cattolica», anno 66°, 1915, vol.2, p.76. 14 Ivi, p.77. 15 E. FABIETTI, Manuale per le biblioteche popolari, Milano, Paravia, 19082, p.51. 16 «La civiltà cattolica», anno 66°, 1915, vol.2, p.78. 17 Ibid.

15

2.3 Nascita e primi anni della “Federazione” La “Federazione delle biblioteche cattoliche” nasce formalmente, sotto la

benedizione del cardinale Ferrari, arcivescovo di Milano, il 1° luglio del 1904, con la

pubblicazione del «Bollettino delle biblioteche cattoliche», in quattro pagine comprendenti

varie recensioni di libri e un appello agli amici.

La sede della “Federazione” è a Milano, in via Speronari n.3, presso cui opera un

consiglio di presidenza e una commissione di studio, dove figurano, tra gli altri, il

sacerdote Francesco Mariani, anima della “Federazione”, e Achille Ratti, che nel 1929

salirà al soglio pontificio col nome di papa Pio XI.

Primo presidente della Federazione è il Prevosto Carlo Locatelli, all’epoca

sessantenne, che si prodiga molto per tentare di tenere in vita, tra le molte difficoltà, la sua

creatura cercando sussidi, permessi e protezioni poiché:

«le nostre recensioni, insolitamente chiare, impostate quasi esclusivamente sul valore morale del libro in ordine al popolo, finivano ad avere una certa ripercussione anche sul mercato, e allora editori e autori gridavano al danno subito…, domandavano indennizzi, minacciavano processi»18.

L’anima vitale a fianco di Carlo Locatelli è il già ricordato don Francesco Mariani,

coadiutore a San Satiro; seppur di salute assai cagionevole, s’impegna al massimo delle sue

forze per la promozione delle attività della Federazione. Mariani, in realtà, si era segnalato

già dal 1897 attivandosi a San Satiro nella realizzazione di una biblioteca circolante. Da

questo primo impegno si prodigò nel cercare di organizzare in una struttura più grande il

lavoro delle varie biblioteche milanesi, realizzando in prima persona la Federazione e il

Bollettino, già nata come idea nel 1903 e realizzata appunto un anno più tardi; è

personalmente lui a insistere affinché il prevosto Locatelli entrasse nella Federazione col

ruolo di presidente, preferendo per sé la direzione, tecnica e morale, del Bollettino, che

doveva trattare di «tutto il bene e tutto il male, con dolcezza, ma senza reticenze»19.

Lo scopo della Federazione, come già accennato, era di:

«prevenire l’opera di propaganda della “Federazione italiana delle biblioteche popolari”, laica e tutta in mano dei socialisti e della massoneria, la quale, sotto colore d’istruzione, va spargendo libri empii, erronei ed

18 CARD. S. ORSENIGO in I nostri morti, «Rivista di letture», 15 luglio 1928, p.196. 19 Ivi, p.199.

16

immorali, favorita e caldeggiata dal Governo e dalle più vive raccomandazioni del Ministero della pubblica istruzione»20

Attraverso la compilazione e diffusione del «Bollettino», che doveva servire a

contenere «i giudizi oggettivi – solo oggettivi – sulle novità librarie»21, si rendeva un

servizio necessario e richiesto, sempre stando alle parole della Federazione, dai “Direttori

delle biblioteche”, sottintendendo “cattoliche”, nell’ambito di riferimento di tutto il «bene

intellettuale, morale ed economico delle Biblioteche Cattoliche»22.

Nel giro di un anno il «Bollettino» raddoppia il numero delle pagine, aumentando

parallelamente il numero di recensioni e allargando il discorso alle attività e alla diffusione

del movimento delle biblioteche cattoliche sul territorio italiano, nelle singole regioni. La

pubblicazione comincia a proporre nuove sezioni, come quella riguardante le opere

“escluse” dalle biblioteche, distinguendo poi tra libri vecchi e nuovi, e concentra

l’attenzione sul carattere contemporaneo da dare al «Bollettino» e alla Federazione. Risale

a questo periodo, il 1905, l’interessamento e l’appoggio da parte de «La civiltà cattolica»,

la storica rivista della Compagnia del Gesù fondata nel 1850 e presto diventata una delle

voci forti nella Chiesa. A conferma della crescente autorità da parte della Federazione, il

10 di luglio, viene convocata la prima adunanza generale dei federati a cui segue

l’approvazione di uno statuto mentre la commissione interna di studio espone i criteri da

seguire per la compilazione del Bollettino e per i giudizi da esprimere all’interno di esso.

Nel giro di un paio d’anni il Bollettino incrementa ancora le pagine, arrivando a 12,

e lancia una collana mensile di romanzi, bandendo un concorso per la pubblicazione di tre

romanzi inediti.

Con la morte del direttore, don Francesco Mariani, il Bollettino nel 1908 passa

nelle mani del sacerdote Cesare Orsenigo: sotto la sua direzione, il Bollettino porta nel

1909 il numero di pagine a 16, con relativo ampliamento delle rubriche. Una grande cura

venne posta per le norme pratiche riguardanti la gestione delle biblioteche circolanti e per

la costituzione delle biblioteche pubbliche. È in questo periodo che si incominciano a

trattare con interesse e dedizione i temi di letteratura e le modalità d’insegnamento per

l’infanzia. Il primo riconoscimento per l’operato della Federazione avviene nel mese di

20 «La civiltà cattolica», anno 68°, 1917, vol.4, pp.252-253. 21 «Bollettino delle biblioteche cattoliche», n.1, anno I, 1904, p.1. 22 Ibid.

17

settembre, a Milano, allorché le viene assegnato il “Grande diploma d’onore”

all’”Esposizione dei lavoratori”.

Il nuovo decennio vede l’accorpamento delle varie rubriche in quelle che poi

diventeranno il formato standard negli anni a seguire, la suddivisione cioè dei libri tra

“Non inclusi”, “Da distribuirsi con cautela” e “Inclusi nelle nostre biblioteche”. Col

raggiungimento delle 300 biblioteche federate, il Governo Italiano concede un primo

sussidio di 350 lire. Risale a questo periodo anche la prima pubblicazione a nome della

Federazione, la Guida del bibliotecario, opera del sacerdote Ferdinando Pogliani, una delle

anime della Federazione sin dal suo atto di nascita che, con il sottotitolo “Come devo

impiantare la mia biblioteca” riceve un discreto successo e assicura i primi utili per la

Federazione.

La sfera d’influenza del Bollettino e della Federazione in questi anni è confermata

dalle numerose lettere e benedizioni pervenute dalle autorità religiose, tra cui, ad esempio,

quella, dell’Arcivescovo e Cardinale di Milano Andrea Carlo Ferrari, nel marzo 1911.

Sempre nello stesso anno viene pubblicata la Statistica delle biblioteche circolanti

federate, una lista contenente i nomi e le località dove erano presenti le 561 biblioteche

federate in Italia, presentata alla “Settimana sociale” di Assisi23. Il bilancio che si

presentava forniva un ulteriore pretesto per attaccare la “Federazione delle biblioteche

popolari”, la quale:

«benché sotto l’egida potente di Turati e coi copiosi sussidi dell’Umanitaria, del Governo, delle casse di Risparmio, dei Municipi non ha raccolto finora che 371 biblioteche.»24

Non di meno, anche la controparte socialista, rappresentata dalla “Federazione

Italiana delle biblioteche popolari”, solleva dalle pagine del suo bollettino critiche circa

l’operato della “Federazione” cattolica per l’opera censoria svolta, contraria alla natura di

divulgazione del sapere propria delle biblioteche popolari. Dalle pagine de “La cultura

popolare” Ettore Fabietti scrive riguardo la posizione ideologica nei confronti delle

biblioteche e federazioni cattoliche:

«La Biblioteca dev’essere politicamente e filosoficamente neutrale. Un’organizzazione di biblioteche clericali ottenne, or non è molto, dopo aver assai insistito e patito, aiuti dal Ministero per propugnare la costituzione di Biblioteche, da cui sono esclusi i libri di V. Hugo, di A. Negri e quasi tutti

23 «Bollettino delle biblioteche cattoliche», n.10, 15 ottobre 1911, anno VIII, p.157. 24 «Bollettino delle biblioteche cattoliche», n.11, 15 novembre 1911, anno VIII, p.173.

18

quelli di De Amicis. Questo non è bene: la Biblioteca deve avere libri per tutti i cittadini di tutte le fedi, poiché la cultura a cui si assegnano limiti è negazione di se stessa.»25

La reazione della Federazione cattolica non si fa attendere. Dalle colonne del

«Bollettino», si risponde alle accuse del Fabietti criticando l’esasperazione e l’ipocrisia

circa il sussidio ottenuto, di gran lunga inferiore al reale valore della Federazione,

ribadendo il tema della diffusione capillare raggiunta, e tenuto conto del numero effettivo

di biblioteche confederate, di gran lunga superiore rispetto la “Federazione popolare”. A

questo primo argomento fa seguito un confronto tra le liste di libri promosse dal Fabietti e,

viceversa, dalla Federazione cattolica: senza contare, secondo la posizione del «Bollettino

cattolico», l’infondatezza dell’accusa di ostracismo nei confronti dei libri del De Amicis,

del quale venivano accettate in larga misura le opere tra le letture consigliate: tra le altre

opere degli autori citati risultavano effettivamente esclusi solo tre volumi, per di più

banditi nell’“Indice dei libri proibiti”. Dopo essersi posta retoricamente la domanda:

«Dunque i cattolici, per esser trattati dal Governo alla stregua degli altri cittadini, dovranno

ribellarsi alle leggi della Chiesa?»26, lancia verso la Federazione socialista l’accusa di

includere nelle proprie liste dei libri, opere quali la Vita di Gesù Cristo di Ernest Rènan,

considerata dai clericali cattolici «una solenne turlupinatura della storia»27, mentre si

escludeva categoricamente qualsiasi biografia cattolica su Gesù Cristo a causa di un

«confessionalismo rosso»28 ipocrita, irridendo con ciò la presunta neutralità del Fabietti.

Al raggiungimento delle quasi 600 biblioteche federate sul territorio italiano, si

rende addirittura possibile dare vita alla prima sottofederazione diocesana a Genova, nel

maggio del 1911, con un proprio statuto.

L’assemblea annuale del Bollettino propone l’innalzamento del prezzo del

periodico per gli abbonati, portandolo quindi da 1,5 lire a 2 lire al numero, poiché

raggiunta la tiratura di 1500 copie mensili i costi si erano fatti troppo onerosi; viene anche

alla luce un passivo di 200 lire annue che, inevitabilmente, inizia a gravare sulle casse della

Federazione. Nella stessa seduta vengono difese e confermate le scelte circa le rubriche di

segnalazione dei libri da evitare, cioè quella di non limitarsi a segnalare i libri “buoni”, ma

25 Ivi, p.174. 26 Ibid. 27 Ivi, p. 175. 28 Ivi, p.176.

19

di additare anche le opere immorali, evitando però di parlarne più del dovuto per non

generare l’effetto inverso di promozione. Le parole del direttore Orsenigo in chiusura si

indirizzano sul «compito di condanna»29 e sul senso di responsabilità che ne deriva: non di

meno si arriva, in un moto di umiltà, a dichiarare che «questo erigerci a giudici ha una

cert’aria di orgoglio così banale, che finisce ad essere umiliante».

A seguito di un consiglio interno, nel 1912 la presidenza della Federazione viene

confermata con la rielezione a Presidente di monsignor Carlo Locatelli, mentre alla

direzione del Bollettino viene nominato il sacerdote Giovanni Casati.

2.4 La direzione di Giovanni Casati: la «Rivista di letture»

Giovanni Casati diventa direttore del «Bollettino» avendo superato da poco i

trent’anni d’età, in seguito all’ingresso relativamente recente come articolista e recensore

sulle pagine del periodico e quindi , nell’ottobre del 1912, nel consiglio del «Bollettino»,

per elezione, a seguito dell’allontanamento di due consiglieri, i reverendi Paolo Dubini e

Raffaele Tanzi, dichiarati dimissionari per le prolungate assenze dalle assemblee. La scelta

cade su di lui per il grande impegno dimostrato nella Federazione, nonostante la giovane

età e le difficoltà materiali in cui si dibatteva il Bollettino.

La sua attenzione si era già concentrata sulla critica morale attraverso la

compilazione di lunghi articoli d’apertura riguardanti, ad esempio, «il “quarto d’ora” della

letteratura romantica in Italia»30 o «della rinascenza spiritualistica nei romanzi»31,

sintomatici dell’attenzione riposta all’analisi del valore morale delle opere. Essendo

particolarmente apprezzati questi suoi primi lavori, viene inviato dalla Presidenza, a nome

della Federazione, a leggere una relazione sull’operato svolto da quest’ultima al

“Congresso diocesano delle opere cattoliche”, nel marzo del 1912.

A partire dal 1913 il Casati, evidentemente inorgoglito dal suo nuovo incarico,

prende in mano a tutti gli effetti il Bollettino e si attiva per la sua diffusione: il modello di

riferimento è la “Romans-rèvue”, rivista francese pubblicata a Lilla, che perseguiva gli

stessi scopi e finalità del Bollettino; non è un caso che, proprio da questa rivista arrivano i

29 Ivi, p.180. 30 «Bollettino delle biblioteche cattoliche», n.1, anno IX, gennaio 1912, p.1. 31 «Bollettino delle biblioteche cattoliche», n.4, anno IX, aprile 1912, p.1.

20

complimenti per le attività svolte di vigilanza e inquadramento del sapere entro i canoni

morali e religiosi. È lo stesso Casati a rispondere dalle pagine del Bollettino, a ringraziare e

a promuovere con piglio decisamente più aggressivo rispetto ai suoi predecessori la propria

visione direttiva del Bollettino: sebbene non fosse mai mancato al Bollettino «l’elemento

combattivo, cortese e degno»32, era essenziale per la vittoria contro i nemici «l’attacco e la

fortificazione»33. Dunque non solo segnalare e criticare i libri malevoli, ma sostenere e

includere i libri meritevoli; il prediligere il lato artistico e letterario, tralasciando le

manchevolezze morali e religiose, non poteva far altro che portare in errore i buoni

cattolici. Bisognava, invece, combattere contro coloro che a forza volevano imporre le loro

opere senza Dio e che tentavano di «condire elegantemente la pornografia per presentarla

alle signorine oneste»34.

Primo traguardo importante ottenuto dal Casati è l’elargizione, tra la fine del 1912 e

il gennaio del 1913, di un sussidio da parte del Ministero della Pubblica Istruzione alla

Federazione, a seguito di una richiesta fatta a nome delle “biblioteche cattoliche federate”,

che seppure concesso per l’acquisto di libri da distribuire alle biblioteche bisognose, in

realtà poca cosa e non risolutiva, rimaneva comunque un riconoscimento ufficiale del

lavoro della Federazione.

L’episodio è, senza molte sorprese, aspramente criticato dalla Federazione

socialista di Turati sulle pagine della «Coltura Popolare», dapprima in un articolo di

dicembre di Claudio Treves e quindi in un redazionale del numero di gennaio. L’attacco

viene rivolto alle biblioteche cattoliche ree di fare opera politica e in particolare alla

Federazione cattolica, equiparata a un partito politico e confessionale; si ribadisce inoltre la

necessità di mantenere le scuole e le biblioteche laiche «per necessità di natura»35 e si

critica il Governo che concedeva pochi sussidi e li distribuiva in maniera ancora peggiore.

Il Casati risponde prontamente al Treves senza nascondere un certo risentimento e

una beffarda ironia: in risposta all’assimilazione della Federazione da lui diretta a un

partito ammette, ironicamente, che i socialisti invece “non facevano” parte di un partito,

assolutamente non aderente a un «confessionalismo rosso», richiamando anche così un suo

precedente articolo piuttosto pungente; in merito alle scelte attuate ribadisce poi

32 «Bollettino delle biblioteche cattoliche», n.1, anno V, 15 gennaio 1913, p.2. 33 Ibid. 34 Ibid. 35 «Bollettino delle biblioteche cattoliche», n.3, anno V,15 marzo 1913, p.39.

21

ulteriormente l’opportunità di una direzione bibliotecaria che non rinunciasse ai sentimenti

etici e religiosi e sottolineando la validità del riconoscimento ricevuto da parte del

Governo, non a caso denigrato dal Treves, pur rilevando l’irrilevanza del sussidio. Il Casati

ha sempre una risposta pronta e ben argomentata e da qui traspare chiaramente la passione

nei confronti della sua attività e l’avversione veemente alla Federazione socialista, sempre

attiva, secondo lui, nella propaganda immorale e anti-religiosa.

Il Bollettino è comunque ben visto all’interno della Chiesa per il suo operato, grazie

alla direzione del Casati e del presidente Carlo Locatelli che sostenevano la rivista con

promozioni tra il pubblico e le istituzioni, essenziali per la sopravvivenza del progetto. A

conferma di ciò, nel maggio del 1913 pubblicano sul Bollettino la Benedizione Apostolica

impartita dal Papa alla Federazione e la lettera d’accompagnamento del Cardinal Merry

Del Val, ad ennesima dimostrazione del peso che incominciava ad ottenere la rivista e

della considerazione riservata alla Federazione e dal Bollettino, che sempre più rappresenta

l’anima stessa della Federazione, e su cui erano concentrati gli sforzi maggiori.

Tracciando un bilancio dei quasi dieci anni d’attività del Bollettino, non si

nasconde una certa soddisfazione nel constatare il discreto successo ottenuto, con

l’ampliamento dalle prime quattro pagine iniziali fino ai più recenti numeri straordinari di

venti e più pagine; per tentare di migliorare ulteriormente il Bollettino ci si propone un

cambiamento del titolo e un ulteriore ampliamento del numero di pagine. Il primo

cambiamento, l’abbandono del riferimento alle “biblioteche cattoliche” viene ritenuto

essenziale per ampliare il bacino d’utenza in modo che non fosse limitato esclusivamente

alle biblioteche, ma potesse arrivare anche alle famiglie o a qualsiasi altro istituto culturale;

l’ampliamento del numero di pagine avrebbe portato necessariamente ad un aumento anche

dei costi e, ben consci di questo, i membri della Federazione acconsentono ad un uso più

intensivo della pubblicità sulle pagine del periodico, per poter compensare così i costi e

non andare in deficit.

Il cambiamento avviene effettivamente con il numero di gennaio del 1914: Il

Bollettino diviene la «Rivista di letture: bollettino della federazione italiana delle

biblioteche cattoliche», rifacendosi così anche nel nome alla «Revue» francese. La nuova

impostazione riceve i rinnovati apprezzamenti da «La civiltà cattolica», la rivista dei

gesuiti, che nel quaderno 1526 del 17 gennaio 1914 pubblica un lungo articolo elogiativo

del Bollettino, ora ribattezzato «Rivista di lettura», quale primo esempio di tale portata in

22

Italia e si auspicava per la Federazione di raggiungere i risultati, in materia di proposte di

buone letture, della «Bibliotheque choisie» belga, gestita dai gesuiti di Lovanio,

egualmente anti socialista e caratterizzata dagli stessi obiettivi e modi di promozione del

sapere. A questo elogio seguirono lunghi articoli di plauso pubblicati su molti giornali del

nord Italia, quali ad esempio «L’Italia» di Milano, «L’avvenire d’Italia» di Bologna o il

«Momento» di Torino, ennesima dimostrazione del consenso conquistato dalla

Federazione.

La diatriba con la Federazione socialista continua nel 1914: il 7 aprile, il Ministero

della Pubblica Istruzione emana una circolare in favore della Federazione di Turati,

specialmente riguardo il Prontuario per studenti delle scuole medie scritto dal professor

Giovanni Crocioni e distribuito dai socialisti; il 31 dicembre segue un’ulteriore circolare di

promozione della Federazione popolare e del Prontuario di Crocioni. In risposta a ciò la

Federazione diretta da don Casati, supportata da «La civiltà cattolica» , invia una lettera di

protesta al Ministero, tramite un deputato vicino alla Federazione, richiedendo un

riconoscimento equivalente del proprio lavoro, lamentandosi inoltre di come i servizi

offerti dalla Federazione popolare e lo stesso opuscolo del Crocioni fossero inaccettabili

per i cattolici. La domanda e la protesta non sortiscono alcun effetto: dopo un lungo e

immotivato silenzio, in seguito a una seconda lettera di spiegazioni, il Ministero risponde

semplicemente che nessun reclamo era pervenuto, manifestando subliminalmente

l’intenzione di non voler rispondere alle lamentele di don Casati.

Il 1915 è un anno particolare per la Rivista: con l’ingresso dell’Italia in guerra nel

primo conflitto mondiale, don Casati presta servizio militare in un ospedale milanese, con

la qualifica di “Sergente di sanità”, e come lui altri membri della Federazione vengono

impiegati altrove o chiamati a combattere: nel giugno del 1915 è lo stesso don Casati che

rassicura sulla continuità del lavoro della Rivista augurando la vittoria per le forze italiane

e la pace per l’Europa intera. Non di meno, l’ombra del conflitto bellico scende anche sulle

pagine della «Rivista» e molti articoli e recensioni si occupano di argomenti relativi alla

diffusione dei libri, sempre fedeli alla dottrina cristiana, per i soldati impegnati in guerra, o

di recenti opere letterarie inerenti a ciò; diversi interventi si rifanno alle “profezie della

guerra”, e a tutte le opere che presagivano il grande e sanguinoso conflitto mondiale e in

23

cui, spesso, ricorreva il paragone del conflitto mondiale con l’Apocalisse biblica, seppur lo

stesso Casati lo ritenesse inappropriato.

In tempo di guerra, l’esistenza della Rivista viene comunque messa in discussione, poiché

da un lato il ministro dell’Assistenza Leonida Bissolati, fuoriuscito dai socialisti di Turati e

facente parte dei socialisti riformisti, si schierava contro la Federazione cattolica,

prendendo così posizione in quella lunga diatriba fra questa e la Federazione socialista, .

Stando alle parole del Casati, si trattano solo di «banali ed empi insulti da parte del

ministro della massoneria italiana»36; dall’altro, con il Casati e altri collaboratori impegnati

sui campi di battaglia, si temeva di dover trasformare la rivista in un bimensile o di

aumentare il prezzo del periodico.

La situazione invece rimase stabile soprattutto grazie all’intervento del cardinale

Pietro Maffi, arcivescovo di Pisa, che prese a cuore la Rivista allacciando un rapporto

d’amicizia personale con don Casati, attivandosi per la promozione del periodico e

ottenendo l’appoggio de «La civiltà cattolica». Grazie a ciò, il numero d’abbonati cresce e

il giornale riesce a mantenere i suoi tredici numeri annui e pubblicare perfino il

supplemento scolastico doppio, aumentando di prezzo solo nel 1918, portato a tre lire per

numero.

Dopo la fine della prima guerra mondiale e nella fase del dopoguerra, sebbene la

situazione rimanesse sempre delicata per i pochi fondi disponibili, permaneva l’augurio di

ricostruire la società, funestata dalla guerra, in una chiave più fedele alla morale e più

giusta; diventa essenziale perciò la divulgazione del sapere cristiano, e scegliere tra un

sistema meglio organizzato, in chiave centralista, cioè con un unico centro di diffusione

quale, ad esempio, la “Società della buona stampa”, o quello imperniato su più Federazioni

diocesane in relazione con la Federazione cattolica.

Il 1919, primo anno di pace, si apre con una analisi sulla situazione economica della

Rivista, che può mantenere il suo prezzo basso essenzialmente grazie al sussidio

governativo (confermato anche in periodo di guerra) di lire 500 annue e con gli introiti

derivanti dalla vendita delle opere di critica pubblicate, come il “Manuale del

bibliotecario” o il “Manuale di letture” dello stesso Casati; è sempre in questo anno che si

riforma l’adunanza generale dei membri del consiglio della Federazione, interrottasi dal

1914 a causa della guerra.

36 «Rivista di letture», n.11, anno XIII, 15 novembre 1916, p.161.

24

Il nuovo decennio vede grandi cambiamenti: la sede della Federazione si sposta a

via Moscova 15, sempre a Milano e, novità ancora più importante, la stessa Federazione

cambia nome, divenendo la “Federazione italiana delle biblioteche circolanti”, con

l’eliminazione dell’appellativo “cattolico” nell’evidente tentativo di offrire un’apertura

verso tutte le tipologie di biblioteche popolari circolanti. Permangono però i soliti problemi

economici per cui si decide di aumentare il prezzo dell’abbonamento, che sale a 5 lire e un

aiuto gradito viene dall’amministratore delegato del Banco di Roma, che nel marzo del

1920 dona alla Federazione mille lire.

Nell’ottobre dello stesso anno si ha un ulteriore trasferimento della Rivista e della

Federazione in via Unione 7, una sede di proprietà della Federazione che può perfino fare

ricorso all’utilizzo di un impiegato a tempo pieno incaricato delle pratiche burocratiche. Si

decide anche di alzare ancora il costo dell’abbonamento, portato a otto lire, prezzo che in

un paio d’anni si è triplicato a causa dei costi di gestione e dei materiali sulla scia

dell’aumento generalizzato del costo della vita. La Federazione ha modo di criticare il

rifiuto al ricorso della franchigia postale, già finanziata dal governo, in quanto essa aiutava

in primis le biblioteche federate più che la Federazione stessa mentre la concorrente

Federazione popolare, pur sempre con un numero maggiore di biblioteche federate, circa

2200, riceveva un sussidio di dodicimila lire a fronte delle sole mille in dote alla

Federazione diretta dal Casati.

Nel 1922, dopo la morte di papa Benedetto XV, sale sul soglio pontifico il

Cardinale Achille Ratti, divenuto solo nel giugno del 1921 arcivescovo di Milano. Eletto

Papa con nome di Pio XI, Achille Ratti era in precedenza stato, nel 1904, tra i fautori del

Bollettino, prima incarnazione della «Rivista di letture» e si era dimostrato un lettore

appassionato e interessato alla causa; parimenti, il monsignor Orsenigo, cofondatore della

Rivista e direttore dal 1908 al 1911, prima di indicare come suo successore proprio don

Casati, diviene Arcivescovo di Tolemaide e internunzio d’Olanda: entrambi gli

avvenimenti vengono festeggiati sulla Rivista, con un invito ad avere un occhio di

riguardo nei confronti della Federazione.37

È in questo stesso periodo che iniziano sulla «Rivista» gli «Studi letterari», lunghi

articoli d’approfondimento scritti dal Casati e da Magister Flavus, altro letterato e critico

37 Papa Pio XI, in ottobre, in un incontro personale col Casati, elargirà poi duemila lire alla Federazione.

25

della rivista, in collaborazione con l’istituzione culturale cattolica «Pro cultura»38 di

Milano; originariamente inteso come un supplemento, tale articolo viene inserito nel corpo

della «Rivista» sia per problemi tecnici riguardanti le pubblicazioni separate da essa, sia

per offrire un servizio più organico e completo per i lettori, rendendo la «Rivista» unica nel

suo genere.

Nel settembre del 1922 la Federazione è presente alla “Mostra internazionale del

libro” di Firenze, nella sezione “Cultura popolare” e si conquista molti articoli positivi, su

riviste e quotidiani come «Il momento» di Milano, giornale politico e letterario di

ispirazione cattolica, o «Fiamma viva», giornale dedicato alla gioventù femminile, articoli

che elogiano le pubblicazioni della Federazione, tra tutte la Rivista, e Il manuale di letture.

Continua intanto la lotta per ottenere la franchigia postale, cioè l’esenzione dalle

tasse per i carteggi ordinari, ottenuta dalle altre istituzioni affini: una lettera dal Ministero

giustifica l’impossibilità di tale elargizione a seguito della revoca delle esenzioni concesse

a Enti non completamente a carico del bilancio dello Stato. Sulle pagine della Rivista viene

scritto chiaramente come l’unica possibilità per ottenere tale franchigia fosse l’adesione

alla Federazione di Turati, ma, con moto d’orgoglio si ribadisce fieramente che:

«preferimmo andar fieri della nostra indipendenza, che non ci ha fatti mai proclivi a nessuno, nemici a nessuno, nemmeno ai nostri avversari, preferendo un lento lavoro di penetrazione, riuscito efficace oltre ogni nostra speranza, a una servitù sotto qualsiasi istituzione, meno poi se massonico - socialista, sia pure ufficiale»39.

Il gran nemico socialista viene attaccato elencando le elargizioni ricevute dalle

istituzioni milanesi, come le cinquantamila lire annue ricevute dal Comune di Milano o le

seimila lire avute dallo Stato; la Federazione delle biblioteche circolanti invece riusciva a

rimanere in vita grazie al dono di papa Pio XI, il sussidio governativo e le offerte libere.

Nel maggio del 1923 la Federazione subisce un grave lutto: viene a mancare lo

storico Presidente monsignor Carlo Locatelli, tra i fondatori della Federazione nel 1904;

dopo le necessarie e dovute celebrazioni, in seguito alla riunione di consiglio viene eletto

Presidente il monsignor Melchiorre Cavezzali.

Nonostante le grandi difficoltà economiche, la Rivista continua a uscire senza

mancare un numero; anzi, al contrario, tende ad aumentare il numero di pagine e di 38 La “Pro cultura”, con sede a Milano, era una associazione culturale, dipendente dall’Azione Cattolica, organizzatrice tra le altre cose di convegni, corsi, conferenze e passeggiate istruttive. 39A proposito di franchigia postale, in «Rivista di letture», n.4, anno XX, 15 aprile 1923, p. 98.

26

rubriche. Superate comodamente le 20 pagine per numero, nel 1924 viene aggiunta

un’importante sezione riguardante il mondo del cinema: le produzioni cinematografiche

iniziavano a conquistare un pubblico sempre maggiore in Italia e non potevano non esser

soggetto di giudizio morale anch’esse da parte della Rivista, alla stregua delle

pubblicazioni e dei libri. In tal modo, il periodico si proponeva di giudicare la gran parte

dello scibile artistico contemporaneo, curando sezioni e rubriche sulla letteratura, sul teatro

e sui film consigliati ritenuti edificanti dal punto di vista morale; caso unico in Italia, la

«Rivista» si proponeva come un vademecum essenziale per indirizzare ogni cattolico in

ogni campo artistico.

Gli sforzi di don Casati nel promuovere la Rivista e la sua crescita, non solo

quantitativa ma anche qualitativa, viene premiata dal Ministero per la pubblica istruzione

con un sussidio una tantum di 1000 lire; parallelamente il Prefetto della provincia di

Milano accetta la richiesta di don Casati di divenire gerente del periodico ma, senz’ombra

di dubbio, il risultato più grande ottenuto dalla Federazione, specialmente grazie al Casati e

alla Rivista, è l’attribuzione della Medaglia d’oro ottenuta alla “Mostra didattica

nazionale” tenutasi a Firenze nell’aprile del 1925.

La Mostra, fortemente voluta dai ministeri della pubblica istruzione e

dell’economia nazionale dell’allora governo fascista, ed avente Benito Mussolini come

presidente onorario, intendeva premiare le istituzioni che più si erano distinte per la

promozione del sapere sul territorio italiano: don Casati in persona si preoccupa di

organizzare il materiale, lo statuto della Federazione e il lavoro svolto nei vent’anni

d’esistenza della stessa, in particolare le varie pubblicazioni quali i Libri letterari

condannati all’Indice o la «Rivista di letture». Visto con occhio di riguardo e apprezzato

particolarmente è il lavoro di carattere pedagogico per i giovani, curato ad esempio nelle

rubriche dedicate alle bibliotechine scolastiche. Tale riconoscimento di prestigio trova

un’eco in molti giornali e periodici nazionali, specializzati o meno nel settore, quali ad

esempio «Il corriere della sera», «L’osservatore romano» o «L’ambrosiano». Motivo

d’orgoglio, sulla Rivista viene posta la dicitura “Premiata con la MEDAGLIA D’ORO –

Mostra Didattica Nazionale – Firenze 1925” e lì rimarrà fino alla chiusura del periodico.

La nomea della Federazione raggiunge ormai tutto il Paese e spesso travalica anche

i confini nazionali: non è un caso se nel 1926 l’allora ministro della Pubblica istruzione,

Pietro Fedele invia una circolare in cui si invitano gli istituti scolastici a dotarsi di una

27

propria biblioteca e cita, tra le Federazioni attive nel settore della diffusione bibliotecaria,

la Federazione delle biblioteche circolanti, preceduta solo da quella Popolare, come

esempio e come riferimento da seguire per raggiungere l’obiettivo.

Nonostante i numerosi riconoscimenti ottenuti, l‘azione della Federazione continua

ad essere frenata dalle grandi difficoltà economiche che ricadono, inevitabilmente, anche

sulla Rivista, adesso in difficoltà nel gestire parallelamente gli allegati riguardanti la critica

teatrale e cinematografica; per ovviare a ciò, si cercano dei sostenitori, sollecitando omaggi

volontari per finanziare la pubblicazione dei supplementi di critica extra-letteraria, ma,

nonostante tutti gli sforzi compiuti e le offerte ricevute, rimanendo i fondi eccessivamente

scarsi, la Rivista è costretta a limitare i supplementi. Alfine, nel 1928, la «Rassegna del

teatro e del cinematografo», il supplemento della Rivista curato da Carlo Canziani, chiude,

ufficialmente per non saturare un mercato di riviste specializzate in teatro e cinema o più

probabilmente per i costi eccessivi.

Nello stesso anno cade anche il venticinquennale della fondazione della Rivista,

nata come «Bollettino delle biblioteche cattoliche»: per celebrare degnamente l’evento

viene invitato a scrivere un lungo articolo sui primi anni della rivista il Cardinal Orsenigo,

in quel tempo Nunzio apostolico a Budapest, tra i fondatori della Federazione e direttore

del Bollettino, prima di lasciare il posto a don Giovanni Casati; la eco delle celebrazioni

arriva anche all’interno della Chiesa e trova spazio nel «Bollettino ufficiale dell’Azione

cattolica».

L’Azione cattolica, l’orgoglio di Achille Ratti, papa Pio XI, e precedentemente

sostenitore della Rivista, sopravvissuta alla chiusura di tutte le associazioni non fasciste,

graziata da Mussolini per non compromettere gli accordi con la Chiesa nell’anno dei Patti

Lateranensi, inizia ad interessarsi all’operato della “Federazione delle biblioteche

circolanti” e con un lungo articolo elogiativo sulle pagine del proprio «Bollettino»

promuove le biblioteche cattoliche circolanti, che hanno due scopi ben precisi: «uno di

preservazione, di difesa morale e religiosa, impedendo gli effetti perniciosi della cattiva

stampa»40 e «uno scopo positivo di educazione morale e religiosa, e di formazione

culturale»41. Don Casati viene poi intervistato dal periodico l’«Azione giovanile» sulle

40Le biblioteche cattoliche negli atti della “Giunta centrale dell’Azione Cattolica, in «Rivista di letture», n.1, anno XXVI, 15 gennaio 1929, p.3. 41Ibid.

28

condizioni del giornalismo cattolico, a cui risponde sottolineando una crisi di valori e di

lettori che funestava ogni giornale, non solo di stampo cattolico.

Un’altra perdita importante per la Rivista, ma ancora di più per don Casati è quella

dell'amico e consigliere, il cardinal Pietro Maffi, arcivescovo di Pisa, autore della

prefazione del manuale sui Libri letterari condannati all'Indice e, non a caso, inserito

anche nell'altra opera del Casati Dizionario degli scrittori d'Italia, ringraziato

pubblicamente più volte sulle pagine della rivista; ad egli viene dedicato un articolo

commemorativo che occupa la pagina principale del numero dell'aprile 1931.

Nonostante la perdita e il lutto per la morte dell'amico, il lavoro prosegue e il Papa

Pio XI invia una lettera elargendo l'Apostolica Benedizione, nello stesso mese in cui si

festeggiano i venticinque anni di sacerdozio di Don Casati; per celebrare l'avvenimento,

don Casati torna nella chiesa di San Martino a Lambrate dove aveva celebrato la sua prima

messa nel 1906: l'evento è riportato da alcuni giornali locali, quali «L'Italia», giornale

milanese e «Il cittadino» di Monza, di cui Casati è direttore, oltre i complimenti e gli

auguri che si levano dalle pagine de «L'osservatore romano» e da «Civiltà cattolica». Sulle

pagine della Rivista si susseguono copiose le lettere di felicitazioni e auguri da parte di

esponenti del clero che precedono la benedizione persino dal Santo Padre e dal Cardinal

Pacelli.

La verve polemica del Casati e della Rivista nei confronti della fazione avversa

socialista si erano placati di molto fin dall'estromissione del Fabietti dalla Federazione

popolare nel 1926, e l'adesione forzata di questa alle linee guida del fascismo. Di fatto,

con l'assorbimento nel settembre del 1932 della “Federazione italiana delle biblioteche

popolari”, viene assorbita anche la “Federazione delle biblioteche circolanti”, e vengono a

mancare sulla rivista gli articoli di fondo in funzione antisocialista, operanti critiche o in

strenua difesa dei valori tradizionali cattolici su cui si basava il giudizio e l'analisi critica

dei redattori del periodico. Ulteriore conseguenza di ciò, sparisce dalla «Rivista di letture»

il sottotitolo “Bollettino delle biblioteche circolanti”. Con l’attenzione del regime

concentrata sulla formazione di un organismo bibliotecario di carattere statale, anche le

associazioni cattoliche ne risentono, seppure in misura minore; la loro importanza e la loro

considerazione incomincia da ora a scemare in maniera inesorabile e, in alcuni casi, specie

per tutte le bibliotechine scolastiche e pedagogiche, ne comporta l’imminente estinzione.

29

In politica interna alla Chiesa, i legami con «Azione cattolica» si fanno più stretti

con l'assunzione, nel 1932, da parte di questa della “Società per la buona stampa”, che si

propone di organizzare il lavoro delle biblioteche cattoliche circolanti e con la promozione

della «Rivista di letture», oltre l’integrazione dei propri associati nella Federazione delle

biblioteche circolanti; don Casati redige un articolo, pubblicato dal «Cittadino» di Monza,

e ripreso anche nella Rivista, di celebrazione della stessa “Società della buona stampa”,

lodando il lavoro dei suoi venticinque anni d'attività e ricordandone le origini. La «Rivista

di letture» è seguita dal Papa Pio XI, che attraverso il suo Segretario di Stato, il Cardinal

Pacelli e futuro Papa Pio XII elargisce ogni anno l’Apostolica Benedizione.

Don Casati avverte la crisi che colpisce il sistema di promozione della cultura

cattolica e delle riviste che se ne occupano, in parte dovuto alla crisi economica mondiale

del ’29, in parte perché, come ebbe a dire lo stesso Casati durante una conferenza alla casa

editrice milanese “Pro cultura” nel 1933:

«Il problema delle riviste cattoliche è problema di coltura cattolica. Il lamento che i periodici di coltura nostra non abbiano in Italia uno sviluppo desiderato, si risolve nella stessa insufficienza della coltura»42

E, in riferimento a una diffusione di queste assai minore rispetto agli equivalenti europei:

«Le nostre maggiori riviste, anche se di argomento non limitato a un determinato genere di coltura ma di più vasto ambito di materie, subiscono nullameno la circoscrizione dovuta ai programmi fondamentali e alle direttive della rivista stessa, per cui nessuna forse può corrispondere, anche in minor misura, a quelle grandi riviste estere del pensiero cattolico».43

Non è un caso, dunque, se gli articoli di fondo dal 1934 si occupano essenzialmente

di pura critica e di compilazioni bio-bibliografiche senza alcun accenno, come invece

solitamente accadeva in precedenza, a fatti d’attualità, anche non solo d’ambito

bibliotecario; così, anche il resto della Rivista sembra in un certo senso asciugare i toni e

limitarsi al compito di critica e analisi morale delle opere.

Nel marzo del 1937, don Casati festeggia i venticinque anni di direzione della

«Rivista di letture» e riceve, sempre in questo periodo, il plauso di Papa Pio XI per le sue

opere di critica letteraria, quali le nuove edizioni e i volumi aggiuntivi de Il manuale di

letture e dei Libri letterari condannati all’Indice.

42 G. CASATI, Le riviste cattoliche e la coltura, in «Rivista di letture», n.4, anno XXX, 15 aprile 1933, p.97. 43 Ivi, p.99.

30

Negli anni successivi l’attività si concentra con sempre maggiore attenzione sulle

politiche di promozione del libro e di sviluppo bibliotecario sostenute dal regime fascista

che, nel frattempo, forte di un crescente consenso popolare, aveva avviato la sua politica

espansionistica e promulgato l’Impero; cosicché, sebbene siano da segnalare le critiche

rivolte alla “Fiera del libro” promossa dal Ministero della cultura popolare, per lo

svilimento del libro paragonato a merce, per contro, esprime l’appoggio alle scelte

politiche in materia d’istruzione operate dal regime di Mussolini, su cui viene riposta una

grande fiducia giacché affine, almeno nelle parole, all’indirizzo moraleggiante seguito

dalla «Rivista di letture». 44

Ad ulteriore dimostrazione di un avvicinamento dichiarato al regime, si segnala un

articolo del Casati, nel luglio del ’39, sugli atti del Convegno di Bologna per la formazione

pedagogica della gioventù italiana, svoltosi nel novembre del 1938, con cui il direttore

elogia la levatura moraleggiante dei discorsi. Commentando alcuni punti discussi, osserva

come lo sviluppo del senso di italianità nei giovani, promuova il:

«Senso integrale di italianità, di latinità, propugnato specialmente e vivacemente contro l’invasione dei giornaletti per ragazzi che, staccatisi da una miglior nostra forma, importano in Italia le mirabolanti, amorali o immorali e spesso insulse avventure del banditismo americano. Contro questa importazione, contraria ad ogni direttiva del regime, si invocò un pronto intervento».45

Il Casati elogiava i discorsi dei relatori e li elevava a programma essenziale per far

emergere il senso educativo per la gioventù, richiamando il discorso tenuto da Filippo

Tommaso Marinetti, direttore del Convegno, come ideale manifesto da seguire:

«Costruiscono un principio direttivo […] la fede in Dio e nel Divino che nutrono l’ideale, l’orgoglio italiano solidamente costruito su fatti eroici, il patriottismo assoluto, la verità storica rispettata ma sottomessa all’orgoglio italiano, l’ottimismo giocondo e festoso, il coraggio fisico, l’amore del pericolo, l’amore per la vita militare e per l’esercito […] una affettuosa devozione a S.M. il Re Imperatore e alla sua Dinastia, forte, intelligente e paterna continuità della nostra razza la cui linea splende ascensionale ed eroica. Un’affettuosa devozione al Duce Fondatore dell’Impero, dinamico

44 È da notare come dal numero di giugno del 1938 affianchi nell’intestazione della “Rivista di letture» relativa all’anno di pubblicazione, la data dell’equivalente anno dell’era fascista, in numeri romani, che si computava a partire dalla Marcia su Roma del 1922. 45 G. CASATI, Atti del Convegno di Bologna, in «<Rivista di letture», n. 7, anno XXXVIII, 15 luglio 1939, p. 146.

31

genio politico e aviatorio consacrato alla sintesi, alla velocità e alle immancabili conquiste del futuro».46

Allo scoppio del secondo conflitto mondiale nel settembre del 1939, le

preoccupazioni per le sorti della «Rivista di letture» aumentano, da un lato per la minaccia

alla pace, necessità del mondo intero, dall’altro per il futuro stesso della «Rivista di

letture», a rischio di chiusura per motivi finanziari e per la critica situazione economica

italiana. Un appello campeggia sul numero d’ottobre del 1939:

«I tempi difficili significano un sacrificio per tutti; ma preghiamo Dio che ci doni presto la tranquillità, fonte di benessere. L’opera nostra, che si svolge nel più calmo ambito del pensiero, che mira a un risanamento morale, a un’elevazione degli spiriti, concorre in fondo a quella ristorazione sociale che è auspicata affinché giustizia e pace trovino una solida base. Muova anche questo pensiero la buona volontà e la generosità, cosicché possa continuare non solo, ma essere efficace secondo quegli intendimenti che sono oggi un dovere per tutti»47

Frattanto, con la morte di Papa Pio XI, Achille Ratti e la salita al soglio pontificio

del Segretario di Stato cardinal Pacelli, Pio XII, la Rivista pubblica un suo intervento a

difesa dei “libri buoni”. Come postilla viene allegata la lettera personale del Papa a don

Casati in cui lo ringrazia del lavoro svolto per il “Manuale di letture”, di cui era uscita una

riedizione del secondo volume, elargendo l’Apostolica Benedizione alla «Rivista di

letture».

Sempre nel 1940, si raggiunse un accordo tra la “Sacra congregazione dei seminari

e delle università degli studi” e l’“Ente nazionale per le biblioteche popolari e scolastiche”,

nato dall’assorbimento della federazione socialista fondata da Turati e Fabietti. In seguito a

tale accordo, la Sacra congregazione invitava tutte le Federazioni e le associazioni

cattoliche ad aderire all’Ente, seguendo la volontà del regime di assorbire ogni realtà

bibliotecaria in un unico corpo. L’attività della Federazione delle biblioteche cattoliche, di

fatto, da tempo ridotta alla sola «Rivista di letture» veniva definitivamente assorbita

all’interno di quest’Ente, dove lo stesso Casati collaborava attivamente.

Si chiude così un lungo processo d’attività e d’indipendenza delle federazioni

cattoliche che si ritrovano assorbite all’interno dello stesso Ente che una quindicina d’anni

prima aveva inglobato e imbavagliato la Federazione Popolare socialista; così lo scontro

46 Ivi, pp.147-148. 47 «Rivista di letture», n.10, anno XXXVIII, 15 ottobre 1939, p.217.

32

tra le due Federazioni si conclude con il Casati membro di un corpo che virtualmente

unirebbe le due fazioni opposte, ma che in realtà zittisce entrambe.

Gli anni della guerra furono un periodo inevitabilmente difficile, non solo per la

«Rivista di letture», ma anche per le pubblicazioni europee simili: con la morte nell’ottobre

del 1940 dell’abate Bethleem, fondatore e direttore storico della francese «Revue des

lectures», la rivista, equivalente in lingua d’oltralpe del periodico di don Casati e sempre

citata e raccomandata in questo, cessa l’attività, per il rammarico e il dispiacere personale

del sacerdote italiano.

Benché relegata perlopiù a un ruolo marginale dalle politiche fasciste

biblioteconomiste e privata di ogni istituzionalizzazione capace di dare un respiro

nazionale, l’attività delle biblioteche cattoliche e parrocchiali prosegue; a Milano

nell’agosto del 1941 si tiene un piccolo convegno di bibliotecari di biblioteche parrocchiali

cittadine, di cui don Casati ne elogia:

«il lavoro, spesso ingrato, quasi riflesso del mondo appartato delle grandi biblioteche come mansione di pochi che hanno passione e buona volontà»48.

Viene percepito, comunque, il diverso approccio del regime fascista sulla questione

relativa alla portata morale dei libri da proporre, specialmente in riferimento all’epoca

delle forti contrapposizioni contro la Federazione socialista:

«Non è più il tempo in cui, in nome di una falsa cultura e libertà di pensiero, si affidava tutto a tutti, si corrompeva la giovinezza con la sbrigliata lettura, si cocainavano i gaudenti con letture segrete. […] Un criterio morale, se non moraleggiante, anche a proposito di libri nella cultura popolare, è ammesso oggi nel ceto dei benpensanti »49

L’annata del 1942 della «Rivista» vede Casati meno impegnato nella stesura di

articoli di fondo, ora interamente affidati alle mani dell’altro grande collaboratore Magister

Flavus, pseudonimo del Cavaliere Fortunato Rizzi, seguito spesso da articoli di Giuseppe

Molteni; si tratta essenzialmente di articoli di critica moraleggiante, anche se è da

sottolineare uno scambio di lettere pubblicato sulla «Rivista» tra il direttore Casati e il

redattore Magister Flavus, in cui il sacerdote polemizza leggermente contro il rischio di

fare del «manzonismo»50.

48 G. CASATI, Biblioteche cattoliche, in «Rivista di letture», n.8, anno XL, 15 agosto 1941, p.113. 49 Ibid. 50 G. CASATI, Da Dante a Manzoni, in «Rivista di letture», n. 12, anno XL, 15 dicembre 1941, p. 177.

33

Per disposizione ministeriale dal settembre del 1942 viene ridotta la periodicità

della «Rivista», che diventa bimestrale senza aumentare il numero di pagine, trovandosi

così ridotta al formato più esiguo da quando Casati ne aveva preso la direzione; il formato

rimarrà tale fino alla chiusura della rivista.

La devastante guerra e la caduta del regime fascista nel 1943 spingono don Casati a

pubblicare un ulteriore appello:

«Nonostante la gravezza dell’ora, la Rivista continua, nei limiti del possibile, l’opera sua di segnalazione. Rimangano fedeli abbonati e lettori, in attesa di auspicati giorni di serenità. Facciamo voti per la Patria e per le opere di bene, proficue per una ricostruzione morale, alla quale pur la nostra concorre»51

L’esperienza della «Rivista di letture» si chiude col numero di novembre-dicembre

del 1944: don Giovanni Casati l’ha diretta per oltre trent’anni, guidandola attraverso due

Guerre Mondiali e un numero incredibile di difficoltà ambientali ed economiche.

La funzione di indirizzamento culturale della «Rivista» viene però considerata

essenziale dal cardinale Schuster, Arcivescovo di Milano e autorità diocesana da cui

dipendeva la rivista e per darle un seguito, affida ai gesuiti di San Fedele il compito di

riprenderne l’attività: nasce così nel gennaio del 1946 «Letture – rassegna critica del

libro», diretta da padre Giuseppe Petazzi.

2.5 La «Rivista di letture»: contenuti e commento La «Rivista di letture», nata come «Bollettino delle biblioteche cattoliche», si

prefiggeva lo scopo di diffondere i buoni libri ed evitare con tutti i mezzi che la letteratura

amorale o immorale si diffondesse tra la popolazione, specialmente quella di giovane età,

assai suscettibile e facilmente manipolabile. Ulteriore obiettivo era quello di fungere da

prontuario per ogni biblioteca popolare e cattolica, giacché nessun’altra federazione o ente

affine si preoccupava di dettare il modus operandi per tali entità bibliotecarie.

L’avversario dichiarato, come detto, era la Federazione socialista fondata da Turati

e diretta da Pietro Fabietti.

Un lungo articolo del novembre del 1913 descrive con grande precisione la struttura

della rivista, tracciando in definitiva un bilancio degli articoli scritti nei primi anni del

Bollettino.

51 «Rivista di letture», n. 11-12, anno XLI, novembre - dicembre 1943, p.61.

34

La rivista è suddivisa, in genere, in un articolo di fondo, nelle varie recensioni e

nelle rubriche minori. L’articolo di fondo non è sempre presente in tutti i numeri, non ha

un argomento, una struttura o una lunghezza specifica ma segna l’indirizzo del periodico e

ne stabilisce l’autorità: è in definitiva lo strumento con cui si possono commentare gli

eventi salienti o dove rispondere, se non attaccare, ai diretti avversari della Federazione;

La sezione delle recensioni è introdotta sempre dalla citazione biblica «praeceptum

non habeo…; consilium autem do (I. Cor., VII, 25)»52, motto usato come indirizzo

ideologico per la trattazione degli argomenti critici; le varie recensioni formano il

principale corpus della rivista, che non si limita a trattare libri a carattere esclusivamente

letterario, ma spazia anche in opere d’argomento scientifico, storico, didattico e varie; in

genere le recensioni si limitano a poche righe d’analisi con accennati i motivi per cui tali

opere siano o meno adatte alla lettura.

La letteratura d’intrattenimento viene suddivisa e catalogata in “Libri esclusi”,

“Libri da leggersi con cautela” e “Libri inclusi nelle nostre biblioteche”, dove chiaramente

i libri da escludere sono quelli ritenuti inappropriati ai fedeli per i loro contenuti; con

“Libri da leggersi con cautela” si intendevano quelle opere che, pur non condannate o non

condannabili in toto dovevano essere lette solo da persone con una ferma moralità e grande

spirito religioso, poiché non adatte a tutti; infine, i “Libri inclusi” sono ritenuti al limite

innocui, se non addirittura benefici, per l’accrescimento spirituale e morale del lettore.

Un gran numero di recensioni occupa la sezione dedicata alle “Bibliotechine

scolastiche”, cioè tutte le opere adatte all’istruzione e ai lettori più giovani, non solo a

carattere pedagogico.

La terza categoria comprende le “Rubriche minori” per spazio concesso sul

periodico, in cui rientra un gran numero di scritti, tra cui, ad esempio, la lista dei libri posti

all’Indice, il sommario della «Romans Rèvue» o la segnalazione dei principali lutti

letterari.

Fra tutte, tre rubriche meritano almeno un accenno: i “Consulti”, i “Giudizi

sintetici” e le “Rassegne” di quanto andavano facendo federazioni o associazioni amiche o

ritenute rivali. La prima di queste rubriche, i “Consulti”, si occupava di tracciare un’analisi

di altre riviste o di recensire opere ritenute particolarmente importanti che meritavano uno

spazio e una trattazione diversa rispetto a quella concessa nelle altre sezioni; i “Giudizi 52 Il versetto nella sua interezza dice: «Quanto alle vergini, non ho comandamento dal Signore; ma do il mio parere, come uno che ha ricevuto dal Signore la grazia di essere fedele» .

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sintetici” raccoglievano in breve spazio l’elenco di opere di un autore, operando poi una

classificazione del loro valore; infine le varie rassegne cercavano di tracciare il percorso

delle biblioteche federate o al contrario il seguire, e condannare, l’operato delle federazioni

avverse, negli effetti pratici la sola Federazione socialista.

Una seconda sezione dello stesso articolo riassumeva le lodi e le critiche ricevute:

delle prime si è già accennato sopra; per le critiche, vengono ritenute esclusivamente quelle

«ispirate a criteri di verità e di bene»53, intendendo con ciò critiche interne e non gli

attacchi socialisti: ringraziando per ognuna di esse, si sottolinea la natura imparziale e

necessaria della Federazione, non basata sul puro spirito di critica ma esclusivamente per

ricercare il vero e il bene.

La «Rivista» è e rimane nel corso degli anni un giornale d’idee e di diffusione del

credo cristiano; i criteri con cui tali libri furono scelti sono dichiarati più volte nel corso

degli anni: si condannano i libri manchevoli in fede o in morale, e in merito alla prima s

segue fedelmente la dottrina della Chiesa cattolica. A tal proposito si dichiara fieramente

che:

«Il nostro periodico vuol essere di idea, se non di lotta. Perciò qualsiasi pubblicazione suoni offesa alla religione, alla Chiesa e alle sue istituzioni, al Papa, ai Sacramenti, ecc., riteniamo esser pubblicazione a proscriversi da ogni buon cattolico»54.

L’altro criterio fondamentale è quello morale, cioè la «moralità e costumatezza

degli scritti»55: per tale criterio, seppur ritenuto “assoluto” come principio, viene

riconosciuta una certa “libertà” di giudizio, basato cioè sul buon senso comune; per tale

motivo, il Casati mantiene la riserva di poter sbagliare, per quanto concesso.

Questi i due criteri su cui si basava la critica della Rivista e la stesura delle

recensioni; operando scelte di inclusione o meno per le biblioteche cattoliche, l’analisi

letteraria si concentrava più che sullo stile, sui contenuti, tralasciando molto spesso il lato

puramente artistico e criticando, e bandendo laddove necessario, ogni traccia di presunta

impurità religiosa o morale. Questi criteri lasciano presagire spesso una volontà più

censoria che critica, fondata su una mentalità cattolica tendente al fondamentalismo, di

rigida chiusura nei confronti della nuova società che stava prendendo corpo nel ‘900 e

fortemente passatista; non stupisce allora leggere le critiche personali del Casati per una 53 «Bollettino delle biblioteche cattoliche», n.11, anno V, 15 novembre 1913, p.178. 54 I nostri criteri, in «Rivista di letture», n.1, anno XIV, 15 gennaio 1917, p.1. 55 Ivi, p.2.

36

scrittrice come Flavia Steno, rea secondo lui di trattare la tematica femminista, in

opposizione alla figura tipica e pia della donna cristiana ligia ai doveri della Casa e della

Chiesa; trattando di un romanzo della Steno del 1913, Così mi pare, ne rileva le posizioni

critiche in contrapposizione a quelle di Luciano Zuccoli, forte critico della scrittrice e

sbandieratore di un “pericolo roseo”, il dilagare cioè in letteratura di figure femminili: il

Casati, commentando la levatura letteraria e morale della Steno, ne giudica l’opera come

pornografica e femminista, appellativo che usa anche per una certa produzione di Ada

Negri; aggiunge poi che:

«In un certo modo suggestionate dall’incalzare del nemico maschile, le donne, nelle loro produzioni, han cercato la concorrenza, svestendosi del loro pudore e mostrando a nudo i loro difetti e le loro impudicizie, e la letteratura immorale oggi conta troppe autrici»56

E sentenziando in chiusura:

«Una letteratura femminile […] che si prostituisce all’uomo, a fin di superarlo nel male, è la vera arte di Eva caduta, che fa cadere Adamo, è il vero pericolo»57. Nei riguardi di Ada Negri afferma comunque l’ammirazione per la sua poesia e ne

tesse le lodi, specialmente con il rientro della poetessa e scrittrice in un’ottica spiritualistica

cattolica; piuttosto esplicito fu l’elogio per una sua raccolta di liriche del 1936, Il dono: a

riguardo, il Casati, dopo l’esaltazione de «l’impeto lirico, la forza del pensiero, la ricchezza

delle immagini, la lucida serenità dello stile»58, tesse le sue lodi per la religiosità onesta e

sincera che traspare da ogni pagina dell’opera, sintomo di una rinascenza spirituale

protratta nel tempo; a tal proposito aggiunge:

«Non che noi si voglia pretendere di saggiare il grado di religiosità, che potrebbe essere, anche com’è nei libri ultimi di Ada Negri, eccellente per qualsiasi scrittore credente. Ma la attenzione a questa poetessa, sia pel valore della sua arte, sia pel significato del suo rinnovamento spirituale, è molto maggiore per noi; e con vero desiderio andiamo ricercando nella sua ultima lirica l’animo suo»59.

Sensualità, vizio, immoralità, cattivi costumi, empietà: un intero paradigma di

azioni, situazioni e pensieri deprecabili è quello che funesta la letteratura moderna, e non

solo, prigioniera di un pensiero manchevole e debole, fondato su dottrine sbagliate e false;

56 G. CASATI, Il pericolo roseo, in «Rivista di letture», n.2, anno XI, 15 febbraio 1914, p. 25. 57 Ivi, p.26. 58 G. CASATI, “Il dono” di Ada Negri, in «Rivista di letture», n. 3, anno XXXIII, 15 marzo 1936, p.50. 59 Ivi, p.51.

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oltre a queste devianze da condannare si aggiunge anche il cattivo uso della religiosità,

come ad esempio l’opera di Salvator Gotta La bufera infernale, o La cattedrale sommersa

del Tonelli, nelle quali si fa ricorso «a una morale che non è la cristiana, ma che è una

morale loro, immorale». Non solo quindi, opere colpevoli di esser antireligiose,

volontariamente o meno, nei loro costumi impropri e nella loro fede manchevole, ma anche

opere di carattere religioso o moraleggiante inadatte nel trasmettere il giusto messaggio e

falsificatrici d’un pensiero intoccabile come quello cattolico; colpevoli poiché «parlar di

religione, non per dirne male ma per usarne male, non è però lodevole cosa»60.

Tutte le trattazioni critiche, di esclusione bibliotecaria o di condanna letteraria,

vengono operate sotto la speranza di sviluppare e salvaguardare la coscienza comune

cristiana, tesa al Buono e al Giusto; eppure lo stesso Casati è conscio di come,

specialmente nell’800, con l’evoluzione della società e l’aprirsi di essa a nuove realtà

sociali e politiche meno costrette dal punto di vista religioso, la stessa letteratura cristiana e

cattolica ne abbia risentito, immersa in una crisi di ideali e valori difficilmente sanabile e

per la quale l’opera di diffusione e divulgazione della «Rivista» funge quasi da diga: la sua

volontà è quella di salvaguardare il patrimonio culturale cattolico, mancante non tanto di

istituzioni e persone interessate, quanto di «un vincolo comune e di un centro

organizzatore»61 capace di formare un’unità di pensiero letterario.

Un’operazione culturale basata su una visione della società governata da Dio, dalla

Bibbia e da valori morali di stampo quasi pre-illuministico, non poteva che apprezzare ed

accettare fieramente la politica del regime fascista per la divulgazione del sapere, una

censura programmatica contro ogni voce d’opposizione forte; il clima di moralità e

rigidezza imposto dal regime suonava come un ritorno alla retta via e come un epoca di

risveglio rispetto un passato scabroso, il cui culmine coincise con lo scoppio della Prima

Guerra Mondiale; solo di conseguenza a quella tragedia sarebbe seguito un

«ritorno sulle vie di Cristo: e non ci fu pensatore vero o scrittore degno, come non ci fu governo ben ordinato che non s’inchinasse a raccogliere quell’anelito degli spiriti»62

60 G. CASATI, Una critica ad alcuni romanzi moderni, in «Rivista di letture», n.4, anno XXII, 15 aprile 1925, p. 104. 61 G. CASATI, Letteratura, arte e coltura cattolica, in «Rivista di letture», n.1, anno XXVIII, 15 gennaio 1931, p. 4. 62 G. CASATI, Letteratura cristiana moderna, in «Rivista di letture», n.1, anno XXIX, 15 gennaio 1932, p. 3.

38

Perciò, nel 1937, trova spazio tra i libri selezionati nella rubrica “Scienza” La

dottrina del fascismo di Mussolini63, in cui si spiega tale dottrina a tutti i ragazzi delle

scuole medie, ma non trovano spazio, ad esempio, nello stesso anno, Moravia col suo

L’imbroglio («questo non fa per noi […] cinque figure, cinque tipi, messi alla ribalta del

suo mondo falso»64) oppure Massimo Bontempelli e il romanzo Gente nel tempo («Per

l’intreccio, negativo dal lato morale, il libro non può esser consigliato. E anche dal punto di

vista artistico abbiamo qualche riserva. A parte il discutibile gusto della trama, parodistica

e campata in aria, abbiamo accusato, nella lettura, una certa stanchezza»65).

Così, a mo’ d’esempio dei giudizi espressi tipicamente nelle recensioni, si poteva

leggere nel numero doppio di maggio-giugno del 1920 che La madre di Grazia Deledda era

un

«romanzo a forti tinte […] non morale né nell’insieme né nei dettagli. […] Forse lancia spezzata contro il celibato del clero; romanzo di non troppo valore, e brutto nell’insieme »66

oppure che la raccolta di novelle Tu ridi di Luigi Pirandello, nonostante avesse un valore

letterario,

«per alcuni intrecci malsani e per quella riproduzione di cose sacre miste a superstizioni e a imprecazioni che sono vere bestemmie. Il libro non è raccomandabile»67.

Poche pagine più in là si legge riguardo a Filippo Tommaso Marinetti, autore de La

conquista delle stelle, traduzione italiana dell’opera in francese uscita nel 1902,

«Sorpassando sulle ridicole forme futuristiche, oramai tramontate, il libro non manca di immagini strampalate e di pessimo gusto. […] Dato i minori accenni a cose disoneste […] il libro può essere letto da chi voglia un concetto di letteratura futurista. Ma riteniamo non ne valga la pena»68.

Giudizi quindi piuttosto lapidari e che suonano come sentenze, anzi, che spesso si

presentano più come sentenze che come recensioni (le uniche parole spese per Ideio del

mio cuore di Francesco Sapori e Le scimmie di Gino Rocca sono rispettivamente «Non

sono morali»69 e «Novelle, non per biblioteche nostre»70).

63 Cfr. «Rivista di letture», n. 8, anno XXXVI , 15 agosto 1937, p. 182. 64 Cfr. «Rivista di letture», n. 4, anno XXXVI , 15 aprile 1937, p. 82. 65 Cfr. «Rivista di letture», n. 3, anno XXXVI , 15 marzo 1937, p. 55. 66 Cfr. «Rivista di letture», n. 5-6, anno XVII , 15 maggio – 15 giugno 1920, p. 77. 67 Ivi, p.83. 68 Ivi, p.85. 69 Ivi, p.83.

39

Tutte le parole spese nel giudicare le varie opere vanno intese, secondo il Casati,

come “consigli” per tutti i cattolici desiderosi di attenersi esclusivamente a letture probe,

senza alcuna pretesa di oggettività o di sconfinamento in altri contesti.

Il grande merito di Casati è stato quello di aver preso in mano il «Bollettino» e

averlo reso una rivista riconosciuta in tutta Italia ma anche al di là dei confini nazionali,

come dimostra l’evoluzione della francese «Romans-rèvue» che, nata parallelamente al

«Bollettino», segue di pari passo l’evoluzione del periodico diretto e gestito dal Casati,

cambiando nome in «Rèvue des lectures». Con i pochi mezzi economici a disposizione,

piuttosto limitati rispetto quelli dell’equivalente federazione socialista, don Casati ha

sviluppato la sua rivista cercando di offrire un servizio quanto più efficace possibile,

arrivando a occuparsi anche di critica extra-letteraria.

La figura di riferimento più importante è sempre stata quella del Papa, ai cui

dettami si rifà con abnegazione, ricevendo in cambio il plauso ed i complimenti per il

lavoro svolto, mentre «Rivista» e Federazione sono, comunque, sottoposti, con rispettosa

deferenza, all’autorità, all’Arcivescovo milanese.

Estremamente importante è stato il supporto attivo dell’Arcivescovo di Pisa

Cardinal Pietro Maffi, promotore della «Rivista» e del lavoro critico di Casati.

Al fianco dell’infaticabile direttore sono da menzionare perlomeno due

collaboratori storici: Magister Flavus e Giuseppe Molteni. Sotto lo pseudonimo del primo

si nasconde Fortunato Rizzi, nato a Capo di Ponte nel 1880, laureato in letteratura

all’Università di Bologna che scrive, oltre che sulla «Rivista», anche sulla «Pro familia»,

altro periodico cattolico ruotante nell’orbita della Federazione delle biblioteche circolanti.

L’avvocato Giuseppe Molteni ha concentrato la sua carriera sul giornalismo di impronta

cattolica, occupandosi di critica letteraria ed artistica su un gran numero di riviste

cattoliche, tra cui «L’Italia» di Milano. Il loro lavoro è equiparabile a quello del Casati per

quanto riguarda quantità, qualità e devozione alla causa.

La «Rivista» è stata sicuramente una voce importante, forse la maggiore, per quel

che riguarda il mondo delle biblioteche popolari cattoliche, nell’intento di inserire un

complesso di biblioteche isolate in un sistema ordinato, aiutandole a crescere,

finanziandole coi pochi mezzi. Nel mondo ecclesiastico il riconoscimento fu grande, a

70 Ibid.

40

fronte del supporto costante offerto da «La civiltà cattolica» e dall’«Osservatore romano»

che ne sottolineavano la necessità in un panorama, quale quello editoriale e bibliotecario

italiano, che non aveva nessun riguardo per la fede e la morale, lasciato spesso allo sbando.

Nonostante il regime fascista abbia lasciato perire le varie realtà bibliotecarie

popolari, e in definitiva tutto il primo Novecento s’è rivelato incoerente e piuttosto

inefficace sotto questo punto di vista, don Casati è stato una voce autorevole e grazie alla

sua «Rivista di letture» ha permesso la creazione e la diffusione di un sistema bibliotecario

rivolto ai giovani e individui desiderosi di sapere: un sapere sottoposto a giudizi che spesso

andavano a confondersi con la censura ecclesiastica oscurantista.

41

3. Manuale di letture

3.1 Prima Edizione e struttura

Nel giugno del 1918 don Casati diede alle stampe il Manuale di letture per le

Biblioteche le Famiglie e le Scuole, come estensione e organizzazione sistematica dei

materiali sviluppati nei primi anni della «Rivista di letture»: venne stampato dalla

“Fondazione Italiana delle biblioteche circolanti”, di cui appunto Casati era direttore. La

prima edizione del volume constava di 312 pagine.

Il volume è introdotto da un saggio sui giusti metodi su come impiantare e render

funzionale una biblioteca popolare, naturale evoluzione della parte corrispondente presente

nelle pagine del Manuale del bibliotecario, ampliata e sistematizzata.

Il Manuale è diviso in due sezioni, una analitica e una sintetica: la prima sezione a

sua volta è suddivisa in cinque parti; la prima parte si occupa delle letture amene e

letterarie, basandosi sui lavori critici sviluppati negli anni sulla «Rivista di letture»; di ogni

autore preso in esame si riportano le principali notizie biografiche e l’elenco dei libri più

rilevanti, con l’argomento del libro e il “carattere” di tale argomento: fondamentale era la

critica d’ordine morale e la categoria di persone a cui il libro deve esser consigliato. Per i

libri considerati invece “ammissibili” veniva allegata anche una notizia bibliografica.

Nella seconda parte del Manuale si trattano invece i libri e la letteratura scolastica,

cioè tutti quei libri d’intrattenimento che avessero anche un’attinenza particolare alla

scuola, ovvero fatti leggere durante il corso di studi per cultura e analisi. Essenzialmente il

metodo di giudizio è lo stesso della prima parte e riprende il materiale già analizzato nelle

“bibliotechine scolastiche”, una rubrica fissa presente sulle pagine della «Rivista di

letture».

Per la terza parte, il tema è quello dei libri di cultura riferiti ad argomenti di

attualità e interesse, chiaramente rispetto all’epoca di pubblicazione del Manuale.

Continuando sul solco pedagogico della seconda parte, nella quarta ci si occupa dei

testi per le scuole, suddivisa a sua volta in due sezioni, la prima delle quali si occupa dei

libri per le scuola secondarie, con una cospicua argomentazione per ogni volume trattato;

nella seconda sezione si tratta dei libri per le scuole elementari, etichettati a seconda del

42

valore morale che trasmettono: educativi ed istruttivi, non cattivi ma mancanti del senso

religioso, deficitarii sia dal punto di vista morale sia educativo e infine la categoria dei libri

antieducativi e “atei”.

Nell’ultima parte vengono elencati essenzialmente libri consigliabili, presenti o

meno nelle sezioni precedenti, con un interesse particolare per i libri di carattere religioso e

inseribili nelle biblioteche sacerdotali; segue poi una lista dei principali libri messi

all’Indice.

La seconda sezione del Manuale, di carattere sintetico, dal nome «Indice-

Catalogo», si occupa di elencare tutti i libri presi in esame disponendoli in ordine

alfabetico e con la pagina relativa in cui sono presi in esame. Viene poi attribuito ad

ognuno di essi un commento sintetico espresso da una lettera, come “E” per escluso, “G”

per i libri consigliati ai giovani, “C” per i libri da consigliare con cautela e così via.

3.1.1 Diffusione e successo: il processo contro il Casati

Largamente pubblicizzato dalle pagine della «Rivista di letture» come «più che

utile necessario»71 e recensito poi da «Civiltà cattolica», il volume ebbe un discreto

successo, esaurendo nell’aprile dell’anno successivo la prima edizione composta da

duemila copie e facendo uscire nel giugno del 1918 una prima ristampa, non una vera e

propria nuova edizione per via della grande domanda e i tempi stretti per realizzarla; non di

meno vengono corrette, aggiunte o emendate alcune parti.

A dimostrazione della larga diffusione di pubblico, favorita anche dalle numerose

recensioni ricevute, don Casati venne chiamato in giudizio il 22 ottobre del 1918 dalla

scrittrice Anna Franchi72, ritenutasi danneggiata nei suoi diritti commerciali e nelle vendite

da un commento negativo (si parla delle sue opere come di libri «con spunti

pornografici»73, riferito in particolare al romanzo Mamma della Franchi), operato dal

Casati dalle pagine del Manuale ed espresso, secondo le considerazioni della Franchi sulla

base dell’incompetenza, dell’ignoranza e della malafede: la richiesta della Franchi è la

refusione dei danni in seguito al giudizio espresso dall’autore sul libro. La difesa del

71 «Rivista di letture» anno XV n.5, 15 maggio 1918, pp. 65-66. 72 Anna Franchi, nata a Livorno il 15 gennaio 1867 e morta nel 1954, giornalista, critica d’arte e scrittrice di romanzi e libri per bambini e attivista politica per i diritti delle donne. Fra i suoi libri ricordiamo Avanti il divorzio (1902). 73 G. CASATI, Manuale di letture, Milano, 1918, Federazione Italiana delle biblioteche cattoliche, p.57.

43

Casati, a nome anche della Federazione Italiana delle biblioteche cattoliche e della ditta

Bertelli di Milano, responsabile della stampa della «Rivista di letture» e del Manuale

incriminato, tutte e tre parti chiamate in causa, si rivolge in contro ricorso alla

“Commissione per il patrocinio gratuito” del tribunale di Milano: la sua difesa si muove

affermando come il contenuto espresso nel libro sia essenzialmente la sintesi delle

recensioni e dei giudizi espressi nel corso degli anni sulle pagine della «Rivista di letture»

e come di conseguenza esse dovessero essere inquadrate nel contesto e nel significato

attribuito ivi; in secondo luogo sottolinea come la «Rivista», e di conseguenza anche il

Manuale, trattandosi «di un periodico di idee che dà un giudizio morale dei libri,

preventivo a ogni vendita o commercio»74 si poneva soltanto come un veicolo di

suggerimenti e consigli specificatamente indirizzati a una delimitata classe di persone, oltre

che alle biblioteche per parrocchie, istituti religiosi e affini; istituti che, rientrando nella

definizione di cattolici erano chiamati a seguire specifiche direttive e principi morali

definiti. Viene, dunque, sottolineata la natura libera del giudizio di critica e dell’implicita

esposizione pubblica di chi produce materia artistica e criticata l’erronea attribuzione della

frase del libro, che parlava di «libri con contenuti pornografici» e non di «libri

pornografici». Il Casati chiede di spostare la discussione al di fuori dei meriti artistici

dell’opera, poiché la sua critica si pone come meramente morale: a tal proposito, il Casati

cita la recensione del libro su menzionato nelle pagine della «Rivista» («è un romanzo

intessuto di scene lubriche per impurità»75), riguardante esclusivamente l’ambito morale

senza alcun riferimento al valore artistico.

A seguito delle argomentazioni del Casati, espresse di persona nella seduta del 5

novembre del 1918, la Commissione accettò la difesa del sacerdote e rifiutò invece il

ricorso della Franchi, non concedendole il gratuito patrocinio.

Nel febbraio del 1919 la Franchi ricorse in appello contro la sentenza del Tribunale

di Milano, affermando che la segnalazione sul Manuale era da ritenersi ingiuriosa e che, al

di là di ogni giudizio critico, aveva cagionato un danno all’opera della scrittrice. Questa

volta, nonostante la difesa accorata del Casati della sua posizione ideologica e la difesa

della natura prettamente critica dell’affermazione riportata, la Commissione, nonostante

escludesse l’intenzione ingiuriosa da parte del Casati, e ammettesse che «possa darsi danno

74 «Rivista di letture», n. 11, 15 novembre 1918, anno XV, p.162. 75 Ibid.

44

per “insufficienza o incompetenza di giudizio” pretestata dalla parte avversaria»76, senza

entrare nel merito della questione e rimandando il tutto al Tribunale, stavolta concesse il

gratuito patrocinio alla Franchi.

Dalle pagine della «Rivista», don Casati si lascia andare a commenti piccati circa la

questione, affermando che si avrà sì il processo, ma che si ridurrà essenzialmente

«all’ambito di litigio civile» e che «la Franchi faccia questione di palanche e non di

principii»77; in conclusione aggiunge

«Resterà sempre a sapersi se un libro di scarso valore o disonesto potrà per sentenza del Tribunale o della Corte d’Appello diventa di valore e onesto; o quanto meno, se non sarà lecito avvertire pubblicamente che un libro di ragion pubblica non ha valore ed è disonesto, senza incorrere il pericolo di dover rifondere i danni a chi lo scrisse78.»

Il processo quindi riprende, con don Casati difeso dagli avvocati Carlo Albertario e

Angelo Mauri79, stante la concessione da parte delle Corte d’Appello del gratuito

patrocinio alla Franchi, e si riconosce la possibilità di «esorbitazione dal diritto di critica»80

dell’autore del Manuale. Per evitare infine di impelagarsi in una causa perennemente

oscillante tra motivazioni ideologiche e questioni monetarie le parti in causa raggiunsero

un comune accordo e posero fine alla vertenza. Ancora nell’agosto del 1921 è l’avvocato

della Franchi, Eucardio Momigliano a insistere perché vengano corrisposte le spese di

processo spettanti a loro, corrispondenti a circa un centinaio di lire, ultimo strascico di una

vicenda commentata così dal Casati: «Decisamente si vede che carmina non dant panem, e

scarso credito anche»81.

3.2 Edizioni successive

Come detto, la prima edizione di appena duemila copie finisce nell’arco di pochi

mesi e si ricorre subito a una prima ristampa per rispondere il più in fretta possibile alla

domanda creatasi: nel luglio del 1919 esce la seconda versione, aggiornata. Il Manuale

76 «Rivista di letture», n. 3, 15 marzo 1919, anno XVI, p.35. 77 Ibid. 78 Ibid. 79 «Rivista di letture», n.10, anno XVI, 15 ottobre 1919, p.146. 80 «Rivista di letture», n.4, anno XVI, 15 aprile 1919, p.50. 81 «Rivista di letture», n.8, anno XVIII, 15 agosto 1921, p.141.

45

veniva venduto esclusivamente attraverso la Federazione, senza intermediari, poiché

«nessun libraio ne volle il deposito»82

La terza edizione vede la luce nel 1922, ampliandosi e inserendo tra le opere trattate

i principali libri usciti fino al 1921, arrivando a fornire notizie bibliografiche di circa 7000

opere. Permane l’impronta “contemporanea” data al Manuale, che tratta perlopiù opere

moderne, ponendosi quindi come una sorta di «compendioso dizionario di letteratura

contemporanea italiana»83.

La quarta edizione esce dopo circa due anni dalla precedente, arricchendosi delle

analisi riguardanti le opere uscite a cavallo tra le due edizioni. Recensendo la nuova

versione, la «Civiltà cattolica» si «dispiace di non trovare in questa edizione la lista delle

pubblicazioni periodiche principali»84 auspicando che tale assenza possa invece esser

sopperita nella «Rivista», l’effettivo contraltare periodico del Manuale.

La quinta edizione esce nel 1928, anno tra l’altro del venticinquesimo anniversario

della «Rivista di letture», confermando l’importanza e la diffusione ottenuta dal volume

anche al di fuori dell’ambito prettamente cattolico di analisi e critica, venendo riconosciuto

anche presso le autorità scolastiche governative85 che vedevano con fervore il volume per

la sua natura moralizzante.

La successiva edizione vede la luce nel 1931, arrivando a recensire circa undicimila

e cinquecento opere di letteratura coeva di carattere “comune”, per un totale di circa

quattromila e quattrocento autori presi in esame, di cui la maggior parte italiani e in misura

minore autori francofoni, anglofoni o tedeschi, meno di un centinaio di autori per tutti gli

altri paesi europei o extracontinentali e intorno a cinquanta classici greci e latini tradotti.

Viene svolta una revisione dei giudizi definitiva per le opere prese in considerazione,

anche a fronte delle richieste e delle lettere pervenute alla redazione della «Rivista», e per

venire incontro ai nuovi tempi e quindi esprimere un giudizio più equo e giusto.

In un numero della «Rivista di letture», ove compare un lungo articolo su questa

sesta edizione del Manuale86, con una certa soddisfazione di fondo, viene fatto notare

come molti degli autori e delle opere prese in esame, specialmente quelle riguardanti la

«letteratura romantica scartata come perniciosa», siano rimasti isolati nel panorama

82 «Rivista di letture», n.6, anno XVIII, 15 giugno 1921, p. 102. 83 «La civiltà cattolica», anno 73°, 1922, vol. I, p.457. 84 «La civiltà cattolica», anno 75°, 1924, vol. IV, p.163. 85 «La civiltà cattolica», anno 79°, 1928, vol.IV, pp. 70-71. 86 «Rivista di letture», n.3, anno XXVIII, 1931, p.65.

46

letterario a causa proprio della loro natura non consona e della manchevole moralità,

«vittime del loro stesso modo di scrivere», sentenziando in chiusura così:

«Perchè non si spiegherebbe neppure la diffusione del Manuale se davvero un certo genere di letteratura trovasse incontrastata la sua via. Se a quelli che leggono male, per ignoranza o per mera occasione, disgustati poi d’aver sprecato i danari, s’aggiungono tutti coloro che non trascurarono di prendere conoscenza prima di prendere i libri: e ciò nonostante il batter di cassa della critica compiacente, oggi così in uso: è lecito concludere ancora con un senso di ottimismo». In poco più di una decina d’anni dalla prima pubblicazione furono stampate oltre

diciottomila copie87del Manuale.

3.2.1 Il secondo volume, edizioni successive e supplementi

Vista la grande mole d’informazioni raccolte in quasi trent’anni d’attività della

«Rivista di letture», enumerate e sintetizzate poi nel corso delle varie edizioni del

Manuale, per non incorrere nel problema di stampare un’ulteriore edizione dal numero di

pagine eccessivo, quindi troppo costosa ed ingombrante, si opta per far uscire un secondo

volume di complemento al primo: a differenza del primo che si occupava del periodo

compreso tra il 1900 e il 1929, questo secondo volume trattava dei libri più recenti,

relativamente al periodo di pubblicazione, nell’arco di tempo di quattro anni che andava

dal 1930 al 1933 compreso. A questo nuovo volume veniva aggiunta una prefazione che

riassume «le più sagge norme e le più chiare, quanto concise indicazione per la scelta delle

letture secondo le varie età e condizioni dei lettori»88. Pubblicato sempre dalla libreria

pontificia ed arcivescovile “Romolo Ghirlanda”, il formato permane coerentemente quello

dell’in-8°, per un’edizione di 168 pagine.

Questo secondo volume è diviso in due parti, la prima delle quali si occupa delle

«letture amene, letterarie e per Bibliotechine Scolastiche», la seconda invece dei «Libri per

la coltura popolare»; ogni parte viene seguita da un’appendice in cui si giudicano

collezioni, raccolte, biblioteche e bibliotechine, profili, manuale e via dicendo. Il volume si

chiude con un “indice-catalogo”, dove vengono elencati tutti gli autori in ordine alfabetico,

87 Ibid. 88 «La civiltà cattolica», anno 85°,1934, vol.IV, p.81.

47

con a fianco un giudizio sintetico, espresso da una lettera come nel primo volume, con cui

si dà un giudizio sul valore morale delle singole opere.

Preferita la pubblicazione di ulteriori volumi piuttosto che l’ampliamento delle

versioni precedenti in nuove ristampe, esce nel 1938 il terzo volume del Manuale che

compendia gli studi della «Rivista» per il periodo tra il 1934 e il luglio del 1937 in 152

pagine in-8°. Vengono analizzati e commentati in sintesi circa tremila volumi.

Il secondo volume viene esaurito completamente e, viste le vendite anche del terzo,

si decide di varare una nuova edizione capace di operare come sintesi tra i due volumi,

arrivando a considerare le opere edite fino al gennaio 1940, per ottenere un secondo

volume equivalente grosso modo al primo in un formato di circa 430 pagine89.

Come ulteriore complemento alla monumentale opera di catalogazione del Manuale

sempre nel 1940, vengono compilati e organizzati per la pubblicazione, a partire dal

settembre dello stesso anno, due supplementi: due liste di 32 pagine, venduti al prezzo di

2,5 lire l’uno, il primo dei quali riguardante l’elenco delle norme per il funzionamento di

una biblioteca e le liste di libri consigliati per formare un primo impianto letterario per i

vari tipi di biblioteca; nel secondo supplemento invece si tratta delle biblioteche per le

scuole e per gli istituti d’istruzione elementari e secondari, con liste riguardanti norme e

titoli letterari, per l’insegnamento o di narrativa per l’infanzia90.

Il nuovo formato del secondo volume viene confermato ed ampliato in una seconda

ristampa, completata e diffusa nel maggio del 1942, con l’aggiornamento del manuale alle

opere pubblicate entro l’anno precedente, il 1941. Parallelamente continua la ristampa del

primo volume, immutato nei contenuti.

L’anno successivo, nel 1943, il secondo volume si rivela inadatto ad ulteriori

ampliamenti, così viene deciso di stampare un terzo volume di complemento ed

aggiornamento fino agli ultimi mesi del 1943, insieme alle ristampe dei primi due volumi.

Questo terzo volume, di sole 78 pagine, si occupava di trattare le opere pubblicate dal 1941

al 1943, lasciando l’analisi delle opere del decennio dal 1931 al 1940 al secondo volume; il

primo volume continuava a racchiudere i libri commentati dai primi mesi del secolo fino al

1930.

89 «Rivista di letture», n.3, anno XXXIX, 1940, p.33. 90 Ibid.

48

Con la fine della Guerra, la caduta del regime fascista e con l’interruzione della

pubblicazione della «Rivista di letture», la “Federazione delle biblioteche circolanti” esaurì

la sua funzione di diffusione e gestione del sapere, e il Manuale non venne più pubblicato.

3.3 I contenuti

Il Manuale di letture è introdotto da un prontuario redatto dal Casati contenente una

serie di norme e indicazioni atte a facilitare l’apertura e la gestione di una biblioteca

circolante, a cui il manuale stesso è indirizzato; come premessa, elenca, tra i suggerimenti

da seguire prima ancora di aprire la propria biblioteca, una serie di motivi per i quali

l’apertura e la diffusione delle biblioteche circolanti è fondamentale, tra cui l’essenziale

servizio culturale per ogni tipo di persona e la selezione dei libri buoni, attraverso

l’esclusione dei «libri perniciosi»91; tra i consigli basilari, vi era quello di non aprire una

biblioteca basandosi esclusivamente su un blocco di libri antichi, «per quanto nei libri

vecchi ci stia la sapienza»92 ma di allargare, nei limiti posti dalle condizioni economiche e

d’ambiente, l’offerta anche al materiale contemporaneo. Trova spazio anche il

suggerimento a organizzare una festa inaugurale della biblioteca.

Il Casati cerca di fornire quante più indicazioni possibili, sia sotto forma di consigli

e suggerimenti pratici sia attraverso disegni, rappresentazioni grafiche, moduli

precompilati e esempi di tessere, pronti per esser copiati. Il sistema proposto viene

riconosciuto come uno dei tanti possibili e da contestualizzare caso per caso, basato però

sugli anni d’esperienza personale come bibliotecario su come gestire il fondo

bibliotecario, come garantire un buon servizio per i soci, come tenere in ordine e in

maniera pulita la biblioteca e molte altre nozioni di carattere puramente pratico. Ulteriore

consiglio per ogni bibliotecario era quello di tenere sempre sotto mano e di consultare per

ogni richiesta la «Rivista di letture», come strumento di critica più completo e preciso.

Nell’introduzione al secondo volume, e così anche nel temporaneo terzo volume, si

sottolinea come tali strumenti non erano rivolti direttamente agli studiosi, i quali avevano

comunque la possibilità di accostarsi a letture non consone per motivi di analisi e studio,

ma erano rivolti invece a tutti coloro i quali volevano applicarsi a letture buone e sane

secondo i principi religiosi cristiani; per cui l’utilizzo del termine escluso era da intendersi 91 G. CASATI, Manuale di letture volume I, 1935, VII edizione, Romolo Ghirlanda, Milano, p. 5. 92 Ibid.

49

essenzialmente per quelle categorie di libri che non potevano esser considerati adatti a tale

pubblico; alla stessa maniera, i libri indicati da leggersi con cautela erano tali per

manchevolezze morali o religiose, seppur non gravi quanto i libri da escludere, o perché

tali libri non fossero consigliabili in maniera totale alla categoria di persone per le quali

furono scritte, senza esser però condannabili in toto; degli altri libri, da intendersi quindi

come inclusi, si specificava la categoria di persone alle quali detti libri dovevano esser

indirizzati: libri d’arte ma con immagini sconvenienti sono così per adulti, romanzi con

storie d’amore saranno per persone mature e via dicendo. I libri proibiti e inseriti

nell’Indice sono per questo motivo a un livello superiore rispetto quelli esclusi:

quest’ultimi sono sconsigliati dall’autore per tutte le biblioteche e le famiglie, i primi

invece erano condannati in una biblioteca cattolica.

I contenuti del corpus principale del Manuale si rifanno essenzialmente alle

recensioni sviluppate nella «Rivista di letture», ricalcandone l’essenzialità e la sintesi

dichiarativa; il Casati è a volte quasi brutale nei suoi giudizi lapidari. Della gran parte degli

scrittori presenti si presenta esclusivamente il nome e le date di nascita e morte, se

conosciute, con pochissime parole sulla biografia del personaggio; a queste seguono i titoli

delle opere prese in analisi in cui si traccia quasi esclusivamente il giudizio sul contenuto

morale dell’opera, quanto cioè sia affine o meno con i sentimenti di religione e fede della

Chiesa cattolica; nel poco spazio concesso ad ogni autore non è presente in pratica nessuna

analisi sul valore letterario, se non ridotta ai minimi termini e compressa in una manciata di

parole; così, ad esempio, di Gustave Flaubert si dice che «alcuni suoi libri son capolavori

di letteratura, ma purtroppo perversi»93; o di Shakespeare che «anche moralmente il teatro

shakespeariano è corretto, se si eccettua talora, dal lato religioso, qualche deficienza

dovuta allo spirito del suo tempo»94. È piuttosto difficile trovare un autore tra quelli trattati

che non presenti perlomeno un’opera per adulti e, non a caso, la maggior parte delle opere

viene inserita tra quelle escluse, specialmente per quel che riguarda gli autori maggiori.

Solo pochi autori, perlopiù minori e di ambito ecclesiastico, hanno la loro opera consigliata

per tutti, a dimostrazione di un atteggiamento esasperatamente rigido nei giudizi e

fortemente limitante. Dice ad esempio di Jules Verne, uno dei pochi autori maggiori le cui

opere sono ritenute idonee:

93 Ivi, p. 75. 94 Ivi, p.150.

50

«grande scrittore di viaggi fantastici, ma di buona scuola, istruttivi assai; miglior lettura che non quelli di Salgari, Boussenard, ecc., che nulla hanno di educativo e pochissimo d’istruttivo. I suoi racconti d’avventure si possono dare ai giovani»95 Tra i suoi contemporanei italiani, tema preferito della «Rivista» e

conseguentemente anche del Manuale, descrive ad esempio Guido Gozzano come «il

giovane poeta che muore insoddisfatto nei suoi desideri di godere; moralmente non

accettabile»96. Com’è intuibile i commenti più salaci sono riservati ai casi che fecero più

scalpore nell’ambito religioso, come il già accennato caso di Fogazzaro, oggetto di una

relativamente lunga disamina, o La storia di Cristo di Papini, opera che aveva segnato la

conversione religiosa dell’autore, «libro in cui è tutta l’anima dello scrittore; vi sono però

passi scabrosi che non rendono la lettura adatta a tutti»97.

Desta comunque una certa perplessità la validità e la coerenza del giudizio adottato,

specialmente nel secondo volume98, di fronte a scelte critiche e giudizi espressi di parte;

nel suddetto volume, tra i tanti autori “da escludersi”, si potrebbero citare Corrado Alvaro,

Achille Campanile , Luigi Pirandello o Cesare Zavattini, tra gli italiani, oppure autori

stranieri come Aldous Huxley, H.G. Wells, Hermann Hesse o Joseph Conrad; eppure, tra i

libri raccomandati troviamo ancora La dottrina del fascismo e Vita di Sandro e Arnaldo del

Mussolini. Ancora più grottesco, specialmente per un manuale uscito in piena Seconda

Guerra Mondiale, vedere come il Mein Kampf di Adolph Hitler sia inserito tra i libri «per

la coltura» consultabili con cautela, di cui dice «interessante per la conoscenza dei

rivolgimenti moderni in Germania e in Europa; per vari apprezzamenti, cautela»99 100; di

contro, nella stessa sezione che comprende un lungo elenco di opere religiose,agiografiche

e morali consigliate, vengono esclusi categoricamente le opere di Croce, Gentile, del

Loisy, uno dei promulgatori del modernismo teologico, ma vengono consigliate alcune

opere di esaltazione del regime fascista e dell’Impero.

95 Ivi, p.164. 96 Ivi, p.87. 97 Ivi, p.128. 98 Per “secondo volume” si intende l’edizione che incorporava in sé anche il temporaneo terzo volume e che si occupava dei libri pubblicati tra il 1930 e il 1941. 99 G. CASATI, Manuale di letture volume II, 1941, III edizione, Romolo Ghirlanda, Milano, p. 194. 100 La figura di Hitler come uomo politico fu comunque dichiaratamente criticata per la sua visione religiosa, accusata di «paganesimo» sulle pagine della «Rivista di letture» (cfr. Da Lutero a Hitler. – La revoca del dott. Carlo Barth in «Rivista di letture», n.1, anno XXXII, 15 gennaio 1932, pp.7-9) e per la visione della superiorità della razza, condannata dalla Chiesa.

51

3.4 La fortuna dell’opera

In definitiva, con le sue oltre ventiduemila copie vendute solo del primo volume, in

più di trent’anni di lavoro e diffusione, in una Italia che tentava di allargare il suo bacino

d’utenza letterario piuttosto ristretto, il Manuale può ritenersi un successo editoriale, cosa

di cui lo stesso Casati era consapevole e fiero. Il successo e la popolarità dell’opera sembra

confermata anche dall’autore quando sostiene che «si diffonde ormai dovunque, tantoché

anche la Federazione Popolare ne ha richiesti per le biblioteche sue federate»101; proprio la

Federazione di Turati scrive al riguardo, in un articolo del 1925 pubblicato su «La parola e

il libro», elogiando il lavoro del Casati per la cura nella stesura di un manuale pensato per

le biblioteche parrocchiali e per tutti coloro che volevano attenersi a letture d’ordine

confessionale, ma criticando necessariamente:

«che un così rigoroso e assoluto criterio di scelta induca l’autore a sconsigliare la lettura di libri, come – per citare un solo esempio fra mille – Da quarto al Volturno, dell’Abba»102.

Numerosi sono stati gli articoli e le recensioni fatte per il manuale: oltre quelle de

«La civiltà cattolica» che ha attivamente promosso il libro e le sue varie edizioni nelle

proprie pagine, il Manuale viene elogiato anche nelle pagine dell’«Osservatore romano»

(«opera di grande utilità per la tutela morale e religiosa della gioventù rispetto alle

letture»103); altre recensioni elogiative vengono pubblicate su «L’unità cattolica» e ne

scrive il professor Antonio Sartori ponendo l’opera come assolutamente necessaria per

qualsiasi biblioteca, che non avendo i mezzi per poter conoscere tutti i libri in dotazione,

deve ricorrere assolutamente al manuale per giudicare il valore delle opere letterarie da

proporre104.

Articoli polemici vennero invece, ad esempio, dalle pagine de «L’avanti!» o da «Il

lavoro» di Genova. In quest’ultimo, l’articolista commenta, in chiave ironica come il

Manuale, con la sua impronta dichiaratamente polemica e ostinatamente critica, abbia

numerosi spunti umoristici nelle sue recensioni. Molto risentito dell’epiteto usato,

“umoristico”, don Casati risponde:

101 «Rivista di letture», n.8, anno XVIII, 15 agosto 1921, p.141. 102 «Rivista di letture», n.11, anno XXII, 15 novembre 1925, p.321. 103 La medaglia d’oro, in «Rivista di letture», n. 7, anno XXII, 15 luglio 1925, p.195. 104 Cfr. «Rivista di letture», n. 12, anno XXV, 15 dicembre 1928, pp.353-354.

52

«Pensi Il lavoro di Genova: in venticinque anni […] mi sono messo sulla coscienza oltre 15000 recensioni […] Ora, più che far dell’umorismo, se ci penso, mi sento non so qual commozione, avendo, forse solo io, bazzicato sì a lungo, sì vicino, e sì tenacemente, pure da solitario spettatore, nel mondo degli scrittori, con volontà di conoscerli»105.

Anche sulle stesse pagine della «Rivista di letture» il Manuale viene recensito, non

da Casati stesso chiaramente, ma dal citato Magister Flavus, naturalmente celebrativo

dell’opera del direttore del periodico, dandone una descrizione non di censore, ma di uomo

ponderato nelle scelte e nei gusti, sempre teso al giusto giudizio («il Manuale si sforza di

stare sempre nel giusto mezzo, cioè nel vero e nel giusto»106).

Il Manuale viene recensito positivamente anche in lingua francese, da Henri

Lemaìtre107, confermando la grande diffusione di pubblico e l’interesse d’oltralpe per la

Federazione e la «Rivista».

Nonostante la dichiarata propensione critica, estremamente schierata in difesa della

religione cristiana e, in un secondo momento, di una leggera celebrazione dell’Italia

fascista, il Manuale è un’opera importante per capire l’approccio culturale delle biblioteche

cattoliche, che, stando a quanto suggerito dal libro, nel marasma di un’Italia bibliotecaria

confusa e caotica, non potevano fare a meno di agiografie, vite dei papi e opere

moralistiche, ma potevano e anzi dovevano privarsi di opere letterarie e filosofiche

“sconvenienti”, seppur di enorme valore letterario e di grande diffusione di pubblico, oggi

considerate a tutti gli effetti “classici della letteratura”. L’impressione di una forte chiusura

mentale, conscia e fiera di sé e totalmente antimoderna, rimane.

105 G. CASATI, Il manuale di letture, in «Rivista di letture», n. 10, anno XXXII, 15 luglio 1935, p.283. 106 MAGISTER FLAVUS, Conversazioni letterarie:il manuale di letture, in «Rivista di letture», n. 10, anno XXXI, 15 ottobre 1934, p.292. 107 Cfr. «Rivista di letture», n. 9, anno XXI, 15 settembre 1924, p.257.

53

4. I Libri letterari condannati dall’Indice Il lavoro svolto dal Casati con il Manuale e la «Rivista di letture», cioè la

compilazione e l’analisi critica dei libri ritenuti “immorali”, o comunque sconsigliabili, si è

sempre ispirato all’ordinamento morale della Chiesa cattolica e, nel respingere le accuse di

censura religiosa sosteneva la natura prettamente analitica degli studi effettuati e la

funzione della sua azione quale “consiglio” per tutti i credenti cattolici che volessero

perseguire letture di carattere consono alla propria fede.

Di stampo diverso è il libro pubblicato nel 1921 Saggi di libri letterari condannati

all’Indice in cui, invece, si preoccupa di dare una sorta di giustificazione letteraria alle

decisioni censorie della “Congregazione del Santo ufficio” nel mettere all’Indice le opere

di narrativa.

Per inquadrare al meglio l’operato del Casati nell’analisi dei libri letterari posti

all’Indice è necessario, per quanto consentito, fare un breve excursus sulla storia e gli scopi

dell’Indice, in particolare nell’ultimo periodo d’attività di questo che coincide in gran parte

con gli anni in cui il Casati opera.

4.1 La congregazione e l’Indice dei libri proibiti La Congregazione del Sant’ufficio fu istituita da Papa Paolo III il 12 luglio 1542

come reazione al dilagare dell’eresia protestante in Italia: uno dei suoi principali strumenti

di controllo del sapere e d’inquadramento del pensiero all’interno dell’ortodossia cattolica

fu l’Index Librorum Prohibitorum che vide ufficialmente la luce in Italia il 30 dicembre del

1558. Seppure la censura dei testi era già avvenuta in passato in altre forme108, questo

primo Indice è l’erede di una versione del 1557, ma mai pubblicata, realizzata per volere di

Papa Paolo IV.

Oltre alla mera elencazione dei titoli proibiti, che comunque costituiva il fulcro

dell’opera, questa versione conteneva la legislazione ecclesiastica riguardante la censura e

le regole per la proibizione dei libri, elementi che la distinguevano da tutti i precedenti

tentativi di Index. La natura dell’opera era di carattere universale, perlomeno nelle

108 Solo per nominarne un paio, ad esempio il decreto del 496 di papa Gelasio I contenente liste di libri raccomandati e proibiti oppure la messa al rogo delle opere di Lutero nel 1521.

54

intenzioni dichiarate, ciò nonostante, dal punto di vista prettamente giuridico, ebbe valore

solamente sul territorio italiano e, con risultati discutibili, in particolare in quelli sottoposti

alla giurisdizione dell’Inquisizione romana; negli altri paesi cattolici europei i risultati

furono scarsissimi.

Oggetto della condanna furono tutti i libri ritenuti empi secondo i criteri più

disparati, ordinati per tre diverse classi d’attribuzione, a seconda che si condannasse la

singola opera, l’autore o l’intera categoria di libri che non rispettavano determinate

caratteristiche109: in pratica, si passava da autori colpevoli perché non cattolici, attraverso i

libri di magia e astrologia, quindi tacciati “di superstizione”, per arrivare ad includere le

volgarizzazioni della Bibbia, non permessa dall’Inquisizione data la stessa natura sacra del

Libro.

Anche questa versione dell’Index venne presto accantonata con la morte di Papa

Paolo IV nell’agosto dello stesso 1559.

Il progetto originario fu rivisto e messo in pratica nel 1564, con il cosiddetto Indice

tridentino, più mite nella condanna e caratterizzato dalla formulazione di dieci regole di

proibizione che rimarranno pressoché invariate fino alla riforma dell’Indice del 1897:

erano proibiti i libri ereticali e superstiziosi e quelli considerati osceni, con l’eccezione dei

classici antichi della tradizione greca e latina; venne ripresa la tripartizione adottata già in

precedenza ma rivista e resa più indulgente: era accettata la lettura dei testi biblici

volgarizzati ma esclusivamente sotto richiesta esplicita posta alle autorità religiose,

possibilità che venne estesa anche alle donne e a chi non conoscesse il latino.

L’esperienza raggiunse la sua piena maturità nel 1596, con la pubblicazione del

nuovo Index da parte di Papa Clemente VIII che, per le proibizioni, le raccomandazioni e

le sanzioni in caso di colpa, segna il culmine dell’opera censoria dell’Inquisizione Romana.

A questo, seguì la coppia di Index elaborata e fatta uscire da papa Alessandro VII

tra il 1664 e il 1665, che allargavano i criteri al punto da renderli suscettibili

dell’interpretazione del censore nell’applicare le regole e le pene previste.

Fu solo nel 1758 che venne rimessa mano all’Indice, per opera di Papa Benedetto

XIV: un gran numero di correzioni, revisioni e delucidazioni furono aggiunte all’interno di

una sistemazione catalogatrice più corretta dal punto di vista filologico; di particolare

109 Come quelli che non riportavano sul frontespizio il nome dell’autore o dell’editore, oppure quelli editi senza il permesso delle autorità ecclesiastiche. Vd. F. BARBIERATO (a cura di), Libro e censure, Milano, Sylvestre Bonnard, 2002, pp. 116-127

55

interesse è la prima sezione che contiene le classi di libri generalmente proibiti e degli

scritti su questioni dogmatiche della Chiesa.

Dopo la Bolla Sollicita ac provida del 1753, si rese necessario aggiornare i criteri e

i metodi di controllo della produzione libraria che già aveva segnato un allentarsi del peso

delle proibizioni e delle pene. Tale sistema rimase fino al 1869, fino a quando, cioè, venne

ufficializzata la Bolla Apostolicae sedis di papa Pio IX, la quale annullava la scomunica,

prevista dagli Indici clementini, per gli autori e stampatori che non avessero sottoposto il

proprio operato al controllo ecclesiastico.

Come si evince, rispetto alle prime edizioni del ‘500, il peso e l’impatto dell’Indice

era molto cambiato, perdendo nel corso del tempo l’impronta assolutistica, emblema

dell’egemonia culturale cattolica e moraleggiante dei secoli pre-illuministici: seguendo di

pari passo l’affievolirsi della potenza politica del regno pontificio, si smarrì anche

l’impatto legislativo e punitivo sui possibili trasgressori e l’Indice stesso incominciò a

diventare anacronistico in un’era di grande sviluppo culturale, politico e ideologico; non è

un caso che nel corso del ‘700 il grande avversario da combattere fu proprio l’Illuminismo,

per il suo carattere di rottura con la mentalità passatista, aperto invece alla Ragione e alla

conoscenza.

L’intero ordine sociale ne risultò sconvolto e la Chiesa subì violente ripercussioni

politiche e sociali: tra il 1768 e il 1800 sarebbero spariti i tribunali inquisitori da Parma,

dalla Lombardia, in Sicilia, in Toscana, fino a esser informalmente annullati a Torino,

Venezia e Genova; lo stesso monopolio della stampa e della censura fu sottratto all’autorità

ecclesiastica e assunto dai nascenti stati laici.

L’autorità religiosa subì il colpo più forte a seguito dei grandi avvenimenti storici e

sociali seguiti alla Rivoluzione Francese e all’avvento dell’Impero napoleonico:

specialmente quest’ultimo annullò, con la conquista di Roma nel 1798 e l’istituzione della

Repubblica Romana, il potere politico dell’allora Papa Pio VI e del suo successore Pio VII.

Solo con la fine dell’era napoleonica e la Restaurazione, secondo quanto concordato nel

Congresso di Vienna, il Papa riottenne indietro i suoi territori e potè tornare a far sentire la

sua influenza su essi e, quindi, restaurare anche l’Inquisizione e la Congregazione

dell’Indice, ridando strumenti alla lotta contro la nuova forma mentis che si era andata a

delineare dal ‘700, sebbene con risultati deludenti.

56

Nell’800, sotto la spinta dei moti risorgimentali unitari, la politica censoria della

Chiesa rimase negli intenti immutata, perennemente tesa a bloccare sul nascere il

diffondersi di ogni idea deviata e perversa, quali ad esempio il socialismo, il razionalismo e

l’indifferentismo110; parallelamente, ci fu il tentativo di reprimere le libertà d’opinione, di

coscienza e soprattutto di stampa contro le quali Papa Gregorio XVI scrisse nell’enciclica

Mirari Vos del 15 agosto 1832:

«Pertanto, per tale costante sollecitudine con la quale in tutti i tempi questa Sede Apostolica si adoperò sempre di condannare i libri pravi e sospetti, e di strapparli di mano ai fedeli, si rende assai palese quanto falsa, temeraria ed oltraggiosa alla stessa Sede Apostolica, nonché foriera di sommi mali per il popolo cristiano sia la dottrina di coloro i quali non solo rigettano come grave ed eccessivamente onerosa la censura dei libri, ma giungono a tal punto di malignità che la dichiarano perfino aborrente dai principi del retto diritto e osano negare alla Chiesa l’autorità di ordinarla e di eseguirla»

Altre encicliche, come la Quanta cura di Papa Pio IX del 1864 e la Libertas,

diffusa da Leone XIII nel 1888, tennero ferma la condanna e il divieto della mala stampa e

delle male idee. Nel corso dell’800 uscirono ben sei Indici, il primo dei quali nel 1819 e

l’ultimo nel 1887, resi necessari per il grande aumento di opere ritenute sovversive e

indigeste (tra gli altri, si ricorda la messa all’Indice delle opere dell’Alfieri, di Ugo

Foscolo, e di Leopardi, solo per nominare alcuni dei letterati italiani più rappresentativi

colpiti dalla censura religiosa), bandendo non solo opere di intrattenimento letterario ma

anche scritti di natura scientifica, filosofica e d’analisi storica, salvaguardando,

indipendentemente dal valore delle tesi proposte, tutti gli scrittori e pensatori affini

all’ideologia cattolica.

Dopo la già accennata Bolla di Papa Pio IX del 1869, con la quale fu abolita la

scomunica per gli autori e stampatori che non avessero sottoposto le proprie opere

all’autorità religiosa prima della messa in stampa, si ebbe un passo successivo con la

limatura dei criteri di compilazione degli Indici, promosso dal suo successore Leone XIII,

il quale nella costituzione Officiorum ac Munerum del 1897 ordinò la cancellazione dagli

Indici dei testi relativi alle eresie antiche, medievali e moderne; da queste rimaneva ancora

escluso il giansenismo. È importante notare come la condanna delle eresie rimaneva

immutata e venivano snelliti soltanto gli Indici per una mera questione di praticità: in altre

110 Sotto il termine indifferentismo vengono poste quelle teorie religiose o filosofiche che sostengono l’idea che a Dio sia ugualmente gradita ogni religione, orientamento invece condannato fermamente dalla Chiesa cattolica poiché in opposizione al dogma Extra Ecclesiam nulla salus.

57

parole, l’omissione dall’Indice non equivaleva assolutamente al “perdono” delle opere, che

continuavano ad esser bandite in via ufficiosa; alla stessa maniera di moltissime altre opere

che nel corso dei secoli erano agli effetti pratici bandite, poiché avverse ai criteri morali

essenziali, pur non essendo inserite in nessuna lista.

Il 1900 si aprì con la pubblicazione di un nuovo Indice, che segnò l’esclusione di un

vastissimo numero di autori del passato, da Dante a Lorenzo Valla, insieme alla conferma

dell’esclusione delle opere di Lutero, Calvino e di altre personalità ritenute eretiche. A

questo Indice sarebbero seguite revisioni lungo tutto il corso degli ultimi sessant’anni di

esistenza formale dell’Index.

Il gran nemico da combattere divenne il Modernismo teologico, movimento interno

alla Chiesa che tentava di operare in chiave riformista, cercando di aprire una discussione e

di applicare metodi storici e critici sulle fonti bibliche, provando a liberare la Chiesa e la

dottrina religiosa da una pesante eredità di leggende, superstizioni e dogmi anacronistici:

tra gli altri aderenti a questa nuova, moderna, concezione religiosa ci furono Alfred Loisy,

storico delle religioni e filosofo francese, e lo scrittore italiano Antonio Fogazzaro. Non ci

volle molto ché le opere dei due letterati venissero messe al bando. Nel 1906 Il Santo di

Antonio Fogazzaro, tra le altre opere, venne posto all’Index e l’anno successivo, col

decreto Lamentabili sane exitu, Papa Pio X si disapprovavano ufficialmente sessantacinque

tesi estratte dalle opere del Loisy, oltre a molti altri indirizzi ideologici, condannando in

definitiva tutto il movimento modernista; a ciò seguirono le sospensioni a divinis e le

scomuniche.

Il caso di Antonio Fogazzaro, autore del successo del 1895 Piccolo mondo antico, è

emblematico di tutto un sistema di pensiero e non a caso ebbe un’eco importante agli inizi

del secolo scorso. Fogazzaro, scrittore fervidamente credente, fin dal 1902 fu

profondamente influenzato dalle tesi moderniste e dalle letture del Loisy, e dei molti

pensatori cattolici in rottura col sistema tradizionale; tra l’altro, fu vicino al primo allorché,

nel 1903, scattò la condanna ad opera del Santo Uffizio. Dopo la pubblicazione de Il Santo,

nel novembre del 1905, si sollevò un piccolo caso a livello internazionale: il libro

promuoveva una nuova visione del sistema religioso e nel racconto stesso il protagonista,

Piero Maironi, si recava a Roma nel tentativo di convincere il Papa ad attuare una riforma

nella Chiesa Cattolica. Nonostante la scarsa risposta di pubblico, il libro ebbe un grande

risalto dal punto di vista critico, ricevendo gli elogi perfino dell’allora presidente degli

58

Stati Uniti Theodore Roosevelt che ne lodò lo spirito moderno e l’apertura; per contro,

venne completamente disprezzato dalla critica di ispirazione cattolica e da una certa critica

laica intransigente. Il 4 aprile 1906 Il Santo venne messo all’Indice e condannato: in

risposta a ciò, Fogazzaro fece atto di obbedienza verso la Chiesa, non discutendo

ulteriormente la condanna e non autorizzando altre edizioni o ristampe. Nonostante ciò,

continuò comunque a ribadire le sue idee d’ispirazione modernista che si concretizzarono

in Leila, opera del 1910, ma iniziata già nel 1905, altrettanto decisa nel proporre un’idea

riformista della religione e, alla stessa maniera dell’opera precedente, universalmente

condannata da tutte le istituzioni religiose. Colpito e deluso dall’ennesima condanna da

parte della Chiesa, malato da tempo, s’aggravò ulteriormente e, dopo un’operazione subita

il 4 marzo, morì pochi giorni dopo, il 7 marzo 1911, a Vicenza.

Il caso Fogazzaro è la più importante e più discussa condanna di un letterato

italiano del ‘900, per la eco che ebbe nel panorama internazionale e italiano, a fronte anche

di come la sua sottomissione ai voleri della Chiesa venne vista come una resa della libertà

e della dignità intellettuale.

Come è noto, essenziale nel gioco politico italiano fu il reciproco consenso tra la

Chiesa cattolica e il regime fascista, coronato nel 1929 dai Patti Lateranensi, e dal punto di

vista dell’azione di controllo del sapere la Chiesa trovò l’appoggio nel governo fascista nel

proseguire la condanna dei libri e la messa all’Indice di opere e autori contemporanei,

intervenendo per contrastare gli scritti che si riferivano sempre più spesso ai “malaffari”

della Chiesa più che a questioni di matrice morale o di fede. Di particolare rilievo fu, per

esempio, la condanna delle opere dei filosofi Croce e Gentile che vennero messe all’Indice,

il primo per uno scritto su Perché non possiamo dirci cristiani, in cui si criticavano le

credenze mitologiche su cui si fondava la potenza cattolica, e il secondo per il recupero di

pensatori del passato, come Campanella o Bruno, oggetto di damnatio memoriae, e non

ultimo per l’opposizione al Concordato del ’29.

Nonostante ciò, l’influenza dell’Indice si era andata affievolendo e questo tipo di

interventi si configuravano solo come un ultimo tentativo di preservare i credenti da tutte le

idee ritenute capaci di compromettere la visione del mondo della Chiesa di Roma,

attraverso l’imposizione di un insegnamento ormai anacronistico e tramite il supporto alle

politiche governative di repressione delle idee, nella speranza di eliminare il patrimonio

culturale avverso.

59

Dopo la fine del secondo conflitto mondiale l’Index rimase vivo per altri vent’anni,

rivisto nella forma in una sua nuova pubblicazione nel 1948 e un’ultima revisione nel

1959, in cui si trovavano, tra gli altri, autori come D’Annunzio e Malerba: furono gli ultimi

respiri dell’Indice, che cessò formalmente il 14 giugno 1966 per volontà di Papa Paolo VI,

con l’abolizione dell’Index Librorum Prohibitorum come legge ecclesiastica, pur

confermando l’impegno morale per tutti i credenti cattolici. L’abolizione dell’Indice non

pose fine agli interventi censorei da parte della Chiesa, che rimase nelle sue posizioni

oltranziste e tradizionali per molto tempo, tanto che l’Opus Dei, prelatura personale della

Chiesa Cattolica, poté redigere nel 2003 una “guida bibliografica”, erede di molto del

materiale bandito dall’Indice e comprendente una lista di opere, non solo letterarie ma

anche cinematografiche, consigliate o meno per i fedeli.

4.2 Saggi di libri letterari condannati dall’Indice

Il libro del Casati, a fronte degli studi compiuti nel corso degli anni sulla letteratura

moderna e contemporanea sulle pagine della «Rivista di letture», si presenta come una

raccolta dei numerosi saggi scritti sulle opere messe all’Indice dal Consorzio.

4.2.1 Prima edizione, struttura ed edizioni successive La pubblicazione del volume avviene nel 1921, a seguito della revisione che il

Casati fece del lavoro sviluppato sulle pagine della «Rivista di letture» dei tanti saggi

dedicati alle pagine proibite da non leggere.

Pubblicato dalla tipografia pontificia “Romolo Ghirlanda”, la stessa che si era

occupata del Manuale di letture, il volume era composto di circa 500 pagine, dove, dopo

una prefazione affidata al Cardinal Maffi e un’introduzione dello stesso Casati, i saggi

erano suddivisi a seconda degli argomenti, toccando pressoché tutto il patrimonio letterario

coevo e con una sezione dedicata ai “Classici italiani”; uno spazio di rilievo veniva

riservato ad Antonio Fogazzaro, che, come detto, rappresentò un caso di particolare

interesse nei primi anni del ‘900. Infine, il volume si chiudeva con una “Conclusione”,

sempre opera del Casati.

60

Esaurita questa prima edizione, l’autore optò per una revisione e un ampliamento

del formato: nel 1937, fa uscire, stavolta con la casa editrice “Pro Familia” di Milano, due

volumi sotto il titolo L’Indice dei libri proibiti:saggi e commenti.

Il primo volume è una Introduzione all’opera, in 60 pagine, rivolta essenzialmente

ai direttori di biblioteche e con una forte impronta pedagogica: dopo alcuni cenni storici e

statistici, vengono riassunte le leggi della Chiesa sull’Indice; in più, vengono fornite

soluzioni ad alcuni quesiti pratici posti in genere da persone di media cultura, rifacendosi

alle sentenze dei canonisti e dei moralisti, ma senza cadere in discussioni teologiche.

Il secondo volume, dal titolo Libri letterari, è essenzialmente una ristampa del libro

precedente, rivista e corretta in alcuni punti, come ad esempio, nelle pagine dedicate a

Croce e a Gentile, con un aggiornamento delle notizie all’anno di pubblicazione, più

un’appendice su Ada Negri, dove viene riportata brevemente la notizia di una sua

pubblicazione più recente, Il dono del 1936, che segnalava un riaccostamento dell’autrice a

una «sincera pratica religiosa»111, ed ancora con i giudizi espressi sul Concordato tra lo

Stato Italiano e la Chiesa Cattolica.

Un terzo volume venne pubblicato un paio d’anni dopo, nel 1939, sempre dalla

“Pro Familia” dal titolo Breve commento di tutta l’opera, in 412 pagine. A conti fatti è

quasi un libro a sé stante, visto che vengono ripresi e commentati anche autori presenti

nella seconda parte, con un profilo bio-bibliografico per ogni autore, ribadendo comunque i

giudizi già espressi sui saggi di cui si era occupato nel manuale precedente e sulla rivista. Il

libro, su due colonne per pagina, contiene in ordine alfabetico i nomi di tutti gli scrittori

posti all’Indice e di essi e delle loro opere bandite vengono date alcune notizie essenziali di

carattere bio-bibliografico, critico, storico o dottrinale, per inquadrare in maniera diretta e

sintetica il ruolo di ogni autore nel quadro delle correnti religiose o di pensiero, partendo

dal XVII secolo fino ad oggi.

4.2.2 I contenuti La «Prefazione» è affidata al Cardinal Pietro Maffi, figura di rilievo nel mondo

ecclesiastico, e arcivescovo di Pisa, amico personale del Casati, fruitore e collaboratore

111 G. CASATI, L’Indice dei libri proibiti, saggi e commenti – parte II: i libri letterari, Milano, Pro Familia, 1937, p.137

61

saltuario della «Rivista di letture». Dopo un elogio rivolto all’operato del Casati,

specificatamente per la «Rivista di letture» e il Manuale, pone la fondatezza dell’opera

nella necessità di poter disporre di un libro che chiarisse a tutti come libri ritenuti innocui

fossero invece pericolosi per la morale, specialmente quelli che:

«nelle scuole sono imposti, e i giovani se li devono leggere, studiare, sorbire come

fondamentali per la vita»112,

ingiustamente ritenuti meritevoli e, stando sempre alle considerazioni del cardinal Maffi, in

quanto in realtà si trattava esclusivamente di

«veleno, diluito se si vuole, addolcito anche, ma sempre però veleno»113.

La dichiarazione d’intenti di don Casati è largamente spiegata nello

«Schiarimento», una sorta di prefazione con le linee guida ideologiche e pratiche in cui ci

si appella alla «verità» e alla «libertà», specialmente nei confronti di quelli che per

battaglia ideologica o politica si schieravano contro i dettami della Chiesa cattolica

promuovendo opere che negavano i valori secolari dell’istituzione religiosa, e che, di

conseguenza, richiedevano la produzione di una difesa.

L’appello del Casati era rivolto soprattutto ai giovani e agli studenti che ricevevano

troppo spesso una cattiva istruzione scolastica basata appunto sullo studio di quei libri

condannati all’Indice; oltretutto, c’è la volontà di rispondere ai dubbi sui motivi per cui tali

libri non erano da considerarsi validi, quanto piuttosto erronei e da evitare. Come

sottolinea il Casati:

«La Sacra Congregazione dell’Indice, giustamente […] non motiva le sentenze. La ragione è ovvia e guai se non fosse così»114 intendendo cioè, come il giudizio dei censori fosse motivo bastevole di condanna, poiché

operato attraverso lo Spirito Santo o, citando direttamente

«riguardo a quello che può essere elemento umano, gli uomini deputati alla disamina del libro, è da supporre che siano persone che alla Chiesa e allo Spirito Santo fanno onore»115.

112 CARD. P. MAFFI, Prefazione in: G. CASATI, I libri letterari condannati dall’”Indice”, Milano, Romolo Ghirlanda, 1921, p.3. 113 Ivi, p.4. 114 G. CASATI, I libri letterari condannati all’”Indice”, Milano, Romolo Ghirlanda, 1921, pp.6-7. 115 Ivi, p.7.

62

Di conseguenza, non era neanche lecito porre dubbi sull’effettiva validità della

condanna, che si spiegava da sola e trovava giustificazione nell’operato dello Spirito

Santo:

«la Chiesa ha condannato il libro, questo è il motivo vero di conclusione e di premessa»116 A ciò faceva seguire una sorta di “giustificazione” del suo operato, ovvero del

motivo per cui interveniva nello spiegare le motivazioni intrinseche delle sentenze della

Congregazione «solo a ragione di studio»117, sottolineando inoltre come i giudizi espressi

fossero essenzialmente personali e non necessariamente gli stessi dei censori ecclesiastici,

anzi ribadendo la totale estraneità dei loro giudizi e l’assenza di un loro intervento nella

compilazione dei saggi che, nell’analisi personale ma sempre fedele ai precisi canoni

ecclesiastici, diventavano, secondo il Casati, sostituti ideali dei libri condannati, per far sì

che tali libri potessero essere evitati anche da quegli studiosi che ne dovevano compiere la

lettura, o per diventare in alternativa «antidoto» alle letture forzate imposte da professori e

maestri.

A conclusione di questa prima parte introduttiva è posta una selezione di canoni dal

“Codice di diritto canonico”, contenente una breve lista di regole relative ai divieti di

pubblicazione e stampa di varie opere, quali libri riguardanti le Sacre Scritture o le loro

volgarizzazioni non autorizzate o poste sotto il controllo ecclesiastico, la pubblicazione di

libri eretici o immorali, riguardanti pratiche stregonesche o superstiziose, da ultimo i libri

con rappresentazioni di Cristo o di qualsiasi altra figura sacra alla Chiesa.

Nella parte più prettamente analitica, il libro è suddiviso in sezioni, concernenti

specifici argomenti o periodi storici. La prima sezione riguarda le opere del periodo della

“Restaurazione”.

Il primo autore, largamente analizzato in tre lunghi saggi, è Victor Hugo: dopo una

biografia essenziale di poche righe, come poi farà per tutti gli autori citati, inizia con

l’analisi de I Miserabili. L’incipit del saggio è quasi brutale nel suo linguaggio e dà

un’impronta stilistica e ideologica fondamentale, protratta poi per tutto il libro:

«Il romanzo I Miserabili è tutto improntato a idee fataliste, malsane e sovversive; è il trionfo del socialismo e della rivoluzione; gli unici che hanno diritto al vivere sociale sono gli usciti dai bassifondi della società viziosa; è

116 Ibid. 117 Ibid.

63

la riabilitazione del forzato, della giovane caduta, che soli hanno nobili sentimenti, che escono sempre puri e immacolati dal vizio»118

Manca, come si vede, qualsiasi riferimento allo stile letterario e al contesto

dell’opera, operando in definitiva una condanna in toto dei personaggi e dell’autore, reo di

preferire il vizioso all’uomo perbene, l’immorale al posto del giusto e di rinunciare al buon

senso per assecondare un’immagine volgare e perversamente popolare.

Il resto dei saggi si muove su questa falsariga, anche con l’inclusione spesso di

opinioni personali, come nella sezione dedicata ai «Classici italiani», dov’è presente un

saggio dedicato a “Giovanni Boccacci” (sic), analizzato nel libro pur se non presente

nell’Index poiché

«sono però nominatamente condannate le opere di molti scrittori posteriori che rifecero in versi le novelle del “Decamerone”, oppure che scrissero novelle che del “Decamerone” hanno la immoralità: onde passano sotto l’appellativo di boccaccesche»119.

Oggetto dei saggi sono alcuni dei casi letterari più famosi messi all’Indice, sia per

la fama dell’autore condannato sia per il risalto che ebbe la notizia: autori quali Vittorio

Alfieri e Ugo Foscolo, ben rappresentativi della letteratura italiana del fine ‘700,

specialmente di quelle idee di stampo illuministico che criticavano la potenza religiosa

della Chiesa in Italia e di una visione del mondo e della vita espresse nelle opere prese in

esame, la Vita di Alfieri e Le ultime lettere a Jacopo Ortis del Foscolo.

L’analisi del Casati si concentra sui punti in comune delle due opere, entrambe tese,

nonostante le evidenti idiosincrasie tra i libri e tra gli autori, a

«aggredire il vecchio ordine di cose, e proclamare con la Rivoluzione la sovranità dell’individuo»120.

È interessante il saggio dedicato alle Operette morali di Giacomo Leopardi,

condannato per l’impronta filosofica pessimistica e scettica, ma solo in quanto opera in

prosa, a differenza dei Canti, che seppur infusi della stessa anima filosofica, per la loro

natura lirica non hanno la stessa desolazione e ostentata avversità alla religione delle

Operette e di conseguenza non vengono posti all’Indice.

118 Ivi, p. 13. 119 G. CASATI, L’Indice dei libri proibiti, saggi e commenti, parte II: libri letterari, Milano, Pro Familia, p.61. 120 Ivi, p.90.

64

Il manuale non si occupa solo di poesia o di romanzi: ampie sezioni vengono

dedicate anche al teatro, con saggi su Maeterlinck o Giovanni Bovio, oppure alle opere di

carattere religioso bandite dalla Chiesa, come Le vite di Gesù di Renàn o le opere di Arturo

Graf; vengono trattati i filosofi “prima e dopo l’Enciclopedia” attraverso l’analisi della

corrente di pensiero filosofica che va da Montesquieu a Rousseau, passando attraverso la

trattazione sistematica del pensiero filosofico di Locke, Hume, Kant e altri; tratta di

teologia contemporanea dibattendo su Gaetano Negri, filosofo critico-religioso, o su

Ernesto Bonaiuti, professore e prete scomunicato.

Un intero capitolo è dedicato a «Fogazzaro e fogazzariani», poiché, come detto nel

paragrafo precedente, il caso di Antonio Fogazzaro sollevò grandi discussioni interne ed

esterne alla Chiesa. Il Fogazzaro, fervente cattolico, s’era prodigato per realizzare delle

opere letterarie che non trascurassero i valori spirituali e operassero al contempo una sorta

di azione riformatrice per la Chiesa Cattolica, ricevendo di contro la messa all’Indice di

due sue opere, Il santo e Leila.

L’analisi del Casati si poneva con toni moderati e critici, non solo sull’autore ma

anche alla luce della svolta religiosa della Chiesa nei primi anni del ‘900: negando le idee

del Fogazzaro Casati si scagliava contro tutto il cosiddetto movimento modernista

teologico. Per contro, spezzava una lancia in suo favore in quanto, a differenza del

Carducci e di D’annunzio e del loro «anticlericalismo romantico»121, Fogazzaro si rendeva

ammirabile per la sua passione religiosa che l’aveva spinto a segnalare una grave crisi

religiosa personale, seppur senza essere in grado di proporre alternative valide, tanto che:

«riformatore incerto […] e pensatore fiacco, che non ebbe una convinzione profonda intorno alla risoluzione del problema religioso che sentiva»122. Di conseguenza: «la religiosità del Fogazzaro, convertendosi col sentimento, manca della calma serena e sicura della fede»123, motivo per cui le sue opere, perlomeno “Il santo” e “Leila”, doveva essere messa

all’Indice e bandita dalla Chiesa.

Tra i “fogazzariani” vengono inseriti Tommaso Gallarati Scotti e Antonio Rosmini.

Anche quest’ultimo creò un caso interno alla Chiesa col suo trattato Delle cinque piaghe 121 Ivi, p.438. 122 Ivi, p.444. 123 Ivi, p.445.

65

della Santa Chiesa, giacché in esso venivano criticati gli atteggiamenti di chiusura delle

gerarchie ecclesiastiche e il loro allontanamento dal mondo “reale” della Chiesa, giudicati

dal Casati come tentativi di unire «il Cattolicismo e il razionalismo»124; a ciò si aggiungeva

che le idee politiche del Rosmini spostavano decisamente l’obiettivo del suo trattato sul

potere temporale del Papa, tralasciando quello religioso: eppure, anche sul piano politico,

dice Casati, i papi da Leone XIII, erede dello Stato della Chiesa dopo l’annessione di

Roma al Regno d’Italia, fino a papa Pio XI, autore del Concordato tra la Santa Sede e lo

stato italiano sotto il regime fascista, avevano sempre operato nella giustezza delle loro

azioni per favorire i credenti; specialmente in riferimento all’avvicinamento perlomeno

formale tra lo Stato della Chiesa e l’Italia fascista, il Casati sostiene che «Il Governo di

Mussolini e del Fascismo promosse le pratiche conciliative […] per buona volontà del

popolo italiano», aggiungendo poi:

«la conciliazione fu possibile sol quando un Governo libero da pregiudizi seppe considerare e valutare la posizione conservata dalla Santa Sede fra gli urti terribili che sapevan spesso di persecuzione»125

dimostrando una sua propensione favorevole alla dittatura fascista.

Il Gallarati Scotti fu uno scrittore milanese molto vicino a Fogazzaro e autore, per

l’appunto, de La vita di Antonio Fogazzaro, libro anche questo messo all’Indice: l’autore,

fervente cristiano modernista, colpito dalla condanna, ritornò a posizioni più dottrinali e

fece ammissione di colpa. Ripercorrendo le sue tesi, che non potevano che seguire le

ideologie moderniste del Fogazzaro, don Casati traccia un elogio dell’operato della Chiesa

e del papato nel ‘900, ponendola ben lontana dalle accuse e dalla sfiducia espresse dal

Fogazzaro e dal suo “erede” Tommaso Gallarati Scotti.

Il libro si chiude con un commento con cui Casati espone il filo logico del suo

operato: scopo dell’opera è ricercare l’errore, che «ha due branchie principali: o va contro

la fede, o va contro la morale»126; per l’errore avverso alla fede, «il più diffuso e il più

importante», il riferimento è quella della dottrina della Chiesa appresa durante gli studi

ecclesiastici; per la seconda tipologia d’errore, quella di manchevole morale, ci si rifà al

comune buonsenso, che trascende la conoscenza e può esser rinvenuto anche nelle persone

incolte. Si augura inoltre di aver saputo contenere il suo linguaggio e di non esser caduto in

124 Ivi, p.452. 125 Ivi,p.456. 126 G. CASATI, I libri letterari condannati dall’”Indice”, Milano, Romolo Ghirlanda, 1921, p.417.

66

un’inutile ostentazione di erudizione. Chiude il libro ammettendo l’incompletezza

inevitabile dell’opera, che richiedeva un secondo volume di uguale mole, dedicando il suo

lavoro ai «giovani studiosi e seri». Riporta, infine, un episodio emblematico: un giovane

studente avrebbe citato il giudizio di un professore, a detta del Casati «gran barbassoro

della Massoneria», secondo il quale sarebbe vietato ai cattolici discutere, poiché a loro era

imposta una costrizione mentale. La risposta sentenzia così: «finché sarà vero che il

pensiero non è anarchia, che la libertà non è licenza, quel giudizio rimane falso», la

discussione è avvenuta, lungo le pagine del manuale e sempre restando fedeli ai due criteri

enunciati all’inizio dell’opera: la verità e la libertà.

Nella riedizione del 1937, cioè il secondo volume dell’opera dal titolo L’Indice dei

libri proibiti, saggi e commenti, trova posto nell’appendice un articolo originariamente

uscito su «Il Cittadino» di Monza, di cui il Casati era direttore, del 14 giugno 1934, che

esponeva alcuni concetti utili sulle condanne ecclesiastiche: sottolineando la segretezza

delle procedure e delle motivazioni delle condanne, il Casati rilevava come solo negli

ultimi anni la motivazione della condanna fosse stata resa pubblica «in forma ufficiale od

ufficiosa»127, esaltando ancor più la natura personale delle opinioni espresse, sempre fedeli

però agli indirizzi del Sant’Uffizio. Nonostante l’ammissione della natura frammentaria ed

occasionale dell’Indice, se ne ribadiva la validità come specchio di un pensiero di una

determinata età e della dottrina cattolica contro gli errori di fede e morale, esempio di

«baluardo di difesa dell’ortodossia e una arma di offesa contro l’errore»128 nei confronti

del Modernismo Teologico, ultimo grande movimento d’opposizione al pensiero religioso

cattolico.

Di pari passo, le opere messe all’Indice sono indicative delle varie correnti

intellettuali e ideologiche che sin dai tempi del Concilio di Trento erano avversate dalla

Chiesa, partendo dalla Riforma luterana fino alle idee della Rivoluzione Francese e della

Restaurazione, dimostrando quindi una coerenza di pensiero o una chiusura mentale, a

seconda della fazione, e l’utilità dell’Indice per intervenire quanto più prontamente e nella

misura necessaria per eliminare alla radice l’errore.

In effetti, il libro difficilmente riesce a separare i meriti artistici e le presunte colpe

morali, portando l’autore spesso a esprimere opinioni personali di esclusiva condanna

127 G. CASATI, L’Indice dei libri proibiti, saggi e commenti, parte II: libri letterari, Milano, Pro Familia, p. 494. 128 Ibid.

67

all’opera nella sua totalità o, al contrario, a elogiare comunque le capacità letterarie o

poetiche degli autori analizzati. Ed ancora, si rileva la strenua difesa non solo dei valori

cristiani tradizionali ma anche dell’istituzione stessa della Chiesa, poiché infatti, come

anche evidenziato precedentemente, viene sistematicamente elogiato il lavoro svolto dalla

Congregazione dell’Indice e dai singoli pontefici laddove essi venivano attaccati o criticati,

presentando in più passaggi una giustificazione delle scelte adottate che un’analisi critica

delle stesse. I saggi mostrano, comunque, una grande conoscenza non solo letteraria, ma

anche critica e specialistica e, in definitiva, il manuale stesso si pone come una guida

ragionata di tutta la letteratura nazionale ed internazionale, dai classici del ‘300 fino agli

autori contemporanei al Casati.

4.2.3 La fortuna dell’opera L’opera, che si proponeva di dare quindi giudizi personali sulle opere tacciate di

scarsa moralità e di mancanza o avversione alla fede, non poteva che sollevare giudizi

contrastanti: elogiative furono le pagine de «La civiltà cattolica», che in un articolo del

1922, continuava ad apprezzare e supportare l’operato del Casati, premiando il suo

impegno nel realizzare un’opera ritenuta essenziale e lodando le grandi capacità critiche,

attraverso una lunga analisi delle singole sezioni del libro preso in esame; in conclusione si

sottolineava ulteriormente l’importanza dell’opera in quanto era:

«veramente nuova, in gran parte originale ed erudita, sempre equanime e oggettiva, spesso geniale nell’intuire nuovi aspetti dell’arte»129.

Non mancava, comunque, qualche critica all’operato del Casati per le parole di

lode, “sfuggite”, nei riguardi di qualche “autore”, senza specificare chi, non meritevole di

alcun elogio e l’eccessivo dilungarsi nell’analisi di argomenti che non necessitavano una

così lunga trattazione.

In un altro articolo del marzo del 1939, riferito al III volume de L’Indice dei libri

proibiti, contenente un “commento” a tutto l’Indice, venne ribadita l’essenzialità di

un’opera pressoché unica e di fondamentale importanza per tutti coloro che si ponevano

dubbi sulle motivazioni di condanna dei libri da parte del “Santo Ufficio”:

129 «La civiltà cattolica», anno 72°, 1921, vol. 4, p. 251

68

«Si comprende perciò quanto grande sia l’opportunità e l’utilità di questa opera alle biblioteche, ai Sacerdoti, ai direttori di scuole ed in generale a tutti gli educatori»130.

Da segnalare, un altro lungo articolo, a firma di Pietro Pancrazi131 sulle pagine del

«Secolo»132 e prontamente riportato dalla «Rivista di letture», che ringraziava per le parole

spese ma che intendeva precisare di non condividere indiscriminatamente tutto il contenuto

dell’articolo: infatti, l’elogio dell’operato del Casati veniva dopo una dura accusa alla

critica e alla stampa cattolica, alla quale si obiettava di esser rimasta indietro di vent’anni

poiché legata a un dogmatismo rigido e vincolante nelle opinioni; come eccezione venne

indicato proprio il libro del Casati, capace di muoversi tra i principi del dogma «con una

destrezza, un garbo, un’intelligenza, una vigoria e una scaltrezza»133 tali da rendere l’opera

al contempo fedele ai vincoli ideologici cattolici ma senza risultare pedante, dimostrando

così che «un cattolico può scrivere cattolicamente, della buona critica letteraria»134.

Altri giudizi positivi vengono riportati direttamente sulla «Rivista di letture», dopo

l’invio del manuale da parte dell’autore ad alcuni amici e letterati, tra cui Giovani Papini,

che riconosce il valore di molti artisti trattati «grandi sotto il rispetto dell’arte, ma non

possono essere letti impunemente da tutti»135.

Nondimeno, l’opera del Casati è oggetto anche di critiche: come riportato,

perentoriamente, nelle pagine della «Rivista di letture», don Casati, a seguito della

pubblicazione del libro, ricevette alcune lettere da parte di professori facenti parte

dell’”Accademia dei Lincei”, contenenti critiche circa alcuni autori analizzati nel manuale:

a tutti risponde, attraverso la «Rivista di letture», confermando che ogni critica verrà

ponderata nella seconda edizione dell’opera, sempre restando fedele al criterio adottato:

non sottolineare i meriti letterari, ma evidenziare le pecche e gli errori tali da giustificare la

condanna all’Indice, non esaminare gli uomini ma solo i libri.

130 «La civiltà cattolica», anno 90°, 1939, vol. 1, p. 559 131 Pietro Pancrazi, nato a Cortona nel 1893, fu un giornalista e critico letterario italiano. Scrisse per vari giornali, quali l'«Adriatico» e la «Gazzetta di Venezia» nel 1913; in seguito operò come critico militante, nel «Resto del Carlino», nel «Secolo» di Milano, e nel «Corriere della sera». Fu redattore della rivista «Pègaso» tra il 1929 e il 1933. Morì a Firenze nel 1952. 132 Il «Secolo» è stato un importante quotidiano milanese, uscito la prima volta il 5 maggio 1866 per volontà dell'editore Edoardo Sonzogno. Giornale d’orientamento democratico, fu il più venduto in Italia tra il XIX secolo e il XX secolo. Le pubblicazioni terminarono nel 1927. 133 «Rivista di letture»,n.3, anno XIX, 1922, p.64 134 Ivi, p.66. 135 Novità librarie, in «Rivista di letture», n.11, anno XVIII, 15 novembre 1921, p.201

69

Sul «Momento» di Torino, giornale di ispirazione cattolica, il giornalista e politico

Filippo Crispolti136 scrisse un articolo critico per mettere in dubbio la bontà dell’indirizzo

critico dell’opera, intesa nei confronti delle sole opere: il Crispolti, amico personale di

Antonio Fogazzaro, spezzava così una lancia in suo favore lamentandosi di come le sue

opere fossero disapprovate in toto, senza limitarsi ai due soli libri condannati, Il santo e

Leila: un’affermazione a cui Casati obiettò che le idee del Fogazzaro «hanno però una

preparazione e quasi uno svolgimento preparatorio negli altri suoi libri precedenti»137. C’è

da sottolineare comunque come il Crispolti fu un amico personale del Casati e assiduo

lettore della «Rivista di letture».

Altre critiche vennero anche dall’interno del mondo ecclesiastico, come ad esempio

emerge da un opuscolo scritto dal sacerdote Giuseppe Bozzetti contro le opinioni espresse

sull’opera di Antonio Rosmini, Le cinque piaghe: viene criticata la mancanza di “simpatia”

nei confronti dell’autore e la «diffidenza verso quella che egli crede la mentalità del

Rosmini»138, critica, cioè, il non considerare la personalità dell’autore, vero credente

d’indubbia fede, che risultava invece danneggiata dal giudizio espresso nel manuale; come

in altre occasioni, l’appello difensivo del Casati ruota sulla base letteraria del suo giudizio,

che esclude sistematicamente qualsiasi opinione sulla persona.

Nello stesso opuscolo una seconda critica venne mossa sulle motivazioni circa la

messa all’Indice delle Cinque piaghe addotte dal Casati, ritenute da Bozzetti inappropriate

per i contenuti dell’opera, non meritevole di condanna: secondo il critico, tale condanna

sarebbe avvenuta esclusivamente «per opportunità».

La risposta giunse dalle pagine della «Rivista di letture», nel numero del gennaio

del 1923, dove si affermava che:

«questo appare troppo poca cosa. Sarebbe da concedersi se per opportunità s’intendesse il fatto d’aver la Chiesa condannato fra i libri errati questo piuttosto che un altro libro d’ugual sentire»139

e, tentando di rifiutare qualsiasi accostamento tra “opportunità” e “opportunismo”, si

ribadiva come l’Indice non fosse altro che «un elenco di libri proscrivibili», libri che la 136 Filippo Crispolti, nato a Rieti nel 1857, fu un politico e aristocratico, senatore e marchese, legato al mondo cattolico e vicino agli ambienti episcopale. Si occupò anche di letteratura, autore di romanzi e poesie; fu amico personale di Fogazzaro e curò per lungo tempo una rubrica sulla rivista cattolica “Pro Familia”. Morì a Roma all’età di 85 anni, nel 1942. 137 «Rivista di letture», n.1, anno XX, 1923, p.20 138 G. BOZZETTI, Per una giusta valutazione delle Cinque piaghe di Rosmini, Novara, Arti grafiche novaresi, 1922, p.24. 139 «Rivista di letture», n.1, anno XX, 1923, p.20.

70

Chiesa ritenne opportuno condannare per richiamare l’attenzione dei fedeli sul pericolo in

corso, che proveniva anche dall’opera del Rosmini, motivo fondamentale della sua

inclusione nell’Indice e nel manuale del Casati.

Un articolo sulla «Sera» di Milano, del 29 dicembre 1922, ribadisce la natura

ortodossa e critica del libro, ma riconosce al suo autore una certa erudizione, base di un

giudizio

«che è qualcosa di più della semplice giustificazione della condanna, ma quasi sempre un vivace dibattito che se non persuade sempre, ha la virtù di avvincere il lettore e di costringerlo a meditare»140.

140 «Rivista di letture», n.1, anno XIX, 15 gennaio 1922, p.1.

71

5. I dizionari bio-bibliografici

5.1 Il Dizionario degli scrittori d’Italia

Oltre i manuali di natura bibliotecaria e di critica letteraria, Giovanni Casati si è

occupato anche di redigere dei dizionari tematici di carattere letterario. Opere d’ispirazione

diversa rispetto quelle già prese in esame, non di stampo cioè prettamente d’analisi critica,

questi dizionari sono di pari passo indirizzati ad un pubblico diverso: le aspettative di

pubblico per libri come il Manuale o i saggi di Libri letterari condannati all’Indice non

erano fondamentalmente gli studiosi, ma più che altro tutti coloro i quali sentivano il

bisogno di fare delle buone letture emendate da ogni amoralità o immoralità; un pubblico

di bibliotecari e lettori, laici e ecclesiasti, necessitanti di una guida alla lettura dei buoni

libri.

Il Dizionario degli scrittori d’Italia si rivolge a tutte le persone della classe media

che vogliono acculturarsi, sapere e studiare; non direttamente scritto per i dotti o per i

«dissotterratori di carte ammuffite»141, il Casati lo ritiene comunque di interesse e non

esclude possa servire loro.

L’opera non viene ritenuta “rivoluzionaria”, ma comunque necessaria per un

corretto inquadramento storico della letteratura italiana, fortemente legata e influenzata dal

pensiero cristiano e cattolico. Il sentimento con cui compila il Dizionario è sempre quello

di dare una visione dei letterati nei confronti del loro rapporto con la morale e la dottrina

della Chiesa cattolica, inquadrando la loro posizione nei confronti del problema religioso;

secondo intento è quello di offrire una guida agli studenti che si distaccasse da tutta la

critica recente, nata e cresciuta con un forte orientamento anticlericale, mostrare quindi una

visione letteraria non d’avversione alla Chiesa ma d’appoggio. La forte e continua

opposizione alla religione, al papato e alla Chiesa avrebbe generato una critica

pregiudiziale, rea di aver cancellato dalla memoria artisti, poeti e letterati, degni di lode

eppur condannati al silenzio: l’intenzione di riconoscere il valore dell’arte di tanti scrittori

ingiustamente assenti dalle storie della letteratura è l’altro grande obiettivo del Casati.

141 «Rivista di letture», n.9, anno XXII, 15 settembre 1925, p.258

72

A differenza del Manuale, suddiviso parimenti in ordine alfabetico ma per

argomenti e con l’attribuzione dei libri buoni a un determinata classe di persone, il

Dizionario è, fedele al nome, una lunga elencazione d’autori esclusivamente in ordine

alfabetico, tralasciando quindi ogni velleità di porsi come “corso di letteratura”. Il tentativo

è comunque quello di inserire ogni scrittore nella sua cornice storica d’appartenenza,

completando le informazioni bio-bibliotecarie per quanto possibile, e per quanto necessario

a un lettore di cultura media, attraverso un lungo processo di raccolta delle informazioni e

di disambiguazione delle notizie; il Casati afferma di aver preso visione di persona di gran

parte del materiale analizzato e d’aver consultato i testi più autorevoli di critica e di storia

letteraria: il lavoro è svolto quasi interamente da lui, con qualche aiuto per l’individuazione

di determinate opere o informazioni biografiche su letterati pressoché sconosciuti.

La scelta sul periodo storico ricade “dalle origini sino ai viventi”, limitandosi però

perlopiù ai libri a stampa e tralasciando quegli scrittori

«ch’ebbero un nome registrato dagli antichi compilatori, ma le cui opere, in fondo a qualche biblioteca e per lo più manoscritte, non ebbero influenza né interesse alcuno»142. L’arco di tempo è compreso tra le origini della lingua volgare italiana e il 1925,

perlomeno nel momento in cui viene scritto il primo volume.

Viene percepita dallo stesso autore come “pericolosa” la scelta di trattare anche

autori viventi, poiché non essendo autori provenienti dalla tradizione letteraria e protetti

dalla storia, il rischio di incorrere in errori di giudizio per mancanza di prospettiva storica;

parimenti, trattare una materia così ingente come gli autori italiani “dalle origini fino ai

viventi” deve incappare necessariamente in una serie di scelte soggettive e personali

sull’inclusione di un autore e nell’eventuale esclusione di un altro e, non meno importante,

quanto dilungarsi, e come, su ognuno di essi.

Il primo volume, che si occupa degli autori italiani i cui cognomi iniziano con le

lettere A e B, vede la luce sul finire del 1925: un volume di quasi 300 pagine che tratta di

oltre 2500 scrittori italiani. Nonostante la scelta di utilizzare un’elencazione in stile

dizionario, i singoli articoli presentano caratteristiche varie: non una mera sintesi di

nozioni biografiche e elenchi di opere, ma anche stralci di versi, citazioni riportate per

intero, annotazioni personali e tanti altri elementi che colorano il dizionario rendendolo

142 Ibid.

73

spesso simile a un’antologia d’autori. Altra caratteristica saliente è quella di incorporare

come appendice al volume una statistica sugli scrittori trattati all’interno, riguardo l’anno

di nascita, l’estrazione sociale, le professioni e quant’altro.

Il Dizionario è presentato dal Casati come compilato nei ricalchi di tempo tra la

gestione della «Rivista di letture» e la stesura delle recensioni, figlio inoltre di una ricerca

approfondita e protratta a lungo nel tempo.

È per questo motivo che il secondo volume impiega quasi cinque anni per venire

pubblicato; solo nei primi mesi del 1930 il lavoro già iniziato sugli altri autori previsti per

l’opera viene formalizzato nella pubblicazione del secondo volume del Dizionario, che

tratta gli autori sotto le lettere C e D; sono circa 3000 gli scrittori compilati e il libro

mantiene il formato e le caratteristiche del volume precedente, come le biografie, le

citazioni, i giudizi desunti dalle storie letterarie e la statistica conclusiva.

Nonostante il progetto venga ammirato e riconosciuto di un valore di rilievo nella

trattazione della materia bio-bibliografica, i lavori d’ampliamento e di compilazione dei

volumi successivi procedono lentamente, preso com’è il Casati dagli altri impegni quali la

direzione della «Rivista» e de «Il cittadino». Il terzo volume esce a più di due anni di

distanza dal secondo, trattando gli autori i cui cognomi sono compresi tra le lettere E e K

Nonostante sia coperto un raggio di autori maggiore, il numero di questi rimane coerente

con quello degli altri volumi, sintomo di una selezione maggiore; ulteriore problema è

quello relativo all’arco di tempo intercorso tra i due volumi, giacché l’intenzione di

interessarsi degli scrittori viventi viene a perdere di senso visto che dalla pubblicazione del

primo volume molti di quegli autori trattati erano nel frattempo deceduti, senza contare le

tante altre possibili inclusioni non prese in considerazione.

Arrivato comunque intorno alla metà della trattazione, il Casati sembra

disinteressarsi infine del progetto, che non vede un ulteriore sviluppo: non sono reperibili

informazioni circa ulteriori volumi che completino l’opera. Con estrema probabilità, data

la scarsità di mezzi già negli anni precedenti alla Guerra Mondiale, don Giovanni Casati

lascia in sospeso il progetto, forse in attesa di tempi migliori, e in seguito alla chiusura

della «Rivista di letture» abbandona definitivamente l’idea per l’impossibilità di stampa e

per la mancanza di un pubblico di riferimento.

74

5.1.1 Contenuti

Il dizionario nell’introduzione è presentato come «critico» e «in parte polemico»,

indirizzato contro ogni opinione comune «preconcetta ed errata»; in un’analisi della

letteratura italiana riflesso della storia politica e religiosa, necessariamente influenzata

dalla chiesa di Roma, il periodo del Risorgimento, in opposizione al potere temporale del

Papa, si sarebbe espresso nello «sforzo di abbattere, pressoché tutte le manifestazioni di

fede e religione, uomini e principii», manifestandosi come una vera «lotta contro i Papi e

contro la religione», sotto il peso di un «anticlericalismo che disonorò l’Italia fino alla

nostra guerra»143. Questo preconcetto che si sarebbe diffuso in Italia, questa posizione

critica pregiudiziale, avrebbe compromesso ogni analisi letteraria, la quale, abbandonando

qualsiasi ricerca filologica o sperimentale, si sarebbe preoccupata solo di giudicare i

classici senza preoccuparsi delle fonti originali, tramandando solamente i giudizi erronei e

densi di preconcetti. Solo il periodo storico del dopo guerra avrebbe ripristinato quel

bisogno di revisione e di analisi senza pregiudizi di sorta, in una volontà tesa a indagare il

vero per proclamarlo con coraggio: è essenziale quindi tornare al cattolicismo, anima

culturale italiana e quanto mai prima essenziale nella riforma dei costumi e dei valori di un

popolo allo sbando, la cui mentalità falsata dal pregiudizio aveva portato sull’orlo del

baratro e che la Grande Guerra aveva spazzato via; per cui «son da rifarsi letteratura,

storia, politica: rifare cioè il giudizio, con una revisione più accurata»144.

Per cui il lavoro del Casati nella stesura del dizionario è quello di ridare una nuova

luce a un periodo storico e letterario malevolmente influenzato da tale critica nefasta e di

«sgombrare quella nebbia che avvolge di tristezza e di desolazione i nostri secoli

passati»145; un primo passo quindi di rivalutazione storica e critica in un’ottica

maggiormente religiosa, in un dizionario che doveva fungere da base di studio, come

primo passo per un lavoro teso a ridare il giusto peso alla critica letteraria. Un tale

dizionario si proponeva come un’operazione nuova, come un tentativo di parlare di opere e

autori senza cadere nell’enciclopedia o nel dizionario d’erudizione, ma un opera che

sentisse la necessità di «correggere i giudizi riguardo ad alcuni principi fondamentali della

critica, dal lato religioso e morale, allargando ad essi i concetti artistici ed estetici»146, in

143 G. CASATI, Introduzione in Dizionario degli scrittori d’Italia, vol. I, Romolo Ghirlanda, Milano, p. III 144 Ivi, p. IV. 145 Ibid. 146 Ivi, p. VI.

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una chiave di lettura religiosa ed essenziale, perché intimamente collegata al contesto in

cui si diffuse la cultura italiana.

L’arte non è quasi mai fine a se stessa, dice il Casati, motivo per cui l’arte poteva

diventare antiecclesiale o irreligiosa. Casati sente la necessità di trattare la materia

letteraria alla luce dell’ispirazione cristiana e dell’armonia religiosa, di una letteratura cioè

«riflesso della fede nella Chiesa di Cristo»147.

Il dizionario, formato particolare e non propriamente adatto per i contenuti, che

avrebbero avuto una miglior efficacia nel formato del saggio critico, si caratterizza per una

discussione basata più sulle tematiche trattate che sui nomi, a seconda di quanto l’analisi

dei problemi morali e religiosi delle principali opere fosse pressante: in altre parole, il

dizionario pone come elemento caratterizzante il peso morale piuttosto che quello

letterario, tentando di scavarsi una nicchia critica non toccata precedentemente; per questo

motivo sono trattati in misura relativamente minore i grandi autori come Dante o

Boccaccio, lungamente analizzati anche da tanti altri, rispetto a molti autori minori, a volte

neanche mai nominati in altre opere affini, ma maggiormente interessanti per la tematica

toccata dal Casati.

A proposito di Dante e della scelta stilistica e contenutistica del Dizionario,

un’ampia sezione del paragrafo a lui dedicato riporta questioni extra letterarie, di

commento e d’inquadramento storico per ribadire la moralità e la religione del Poeta:

«Dante è un poeta cattolico. Chi negò e fece di lui un precursore di Lutero, lo credette forse un poeta tedesco ignorante di quel che fosse il Medioevo, il suo secolo, l’Italia»148.

Continuando nella sua analisi, dice:

«Nel 1887, fondata dal Governo Italiano una cattedra dantesca nell’Università di Roma, un gruppo di microcefali la volle elevare a baluardo contro il clericalismo e insistè presso il Carducci perché ne accettasse il posto»149

A differenza delle altre opere, non si pone nessuna forma di “condanna” per gli

autori, come invece potevano apparire i giudizi di posizione espressi nel Manuale o nei

saggi di Libri letterari condannati all’Indice. Permane, ed è anzi l’elemento caratterizzante

della revisione di ogni autore, il giudizio moraleggiante, a cui talvolta si associa anche una

147 Ibid. 148 G. CASATI, Dizionario degli scrittori d’Italia, vol. I, Romolo Ghirlanda, Milano, p. 23. 149 Ibid.

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qualche indicazione sul valore delle opere; dice a riguardo dell’opera di Fogazzaro e delle

sue propensioni moderniste

«questa critica religiosa, presto sorpassata e vinta dal tempo, portata come un

tormento nei romanzi, ove troppa gente di salotto disputa, rovinò l’arte di Fogazzaro»150. Il

tentativo è quello di dare un giudizio quanto più imparziale possibile, rimanendo però

fedele alla sua linea ideologica, in bilico perenne tra una visione oggettiva e soggettiva

della letteratura. Esempio perfetto di questa propensione contraddittoria è ciò che dice a

riguardo di Giovanni Boccaccio:

«Il Decamerone, infatti, rispecchiando ed esagerando la corruzione del tempo […] è libro corrotto. Non si può per altro dire che il Boccaccio abbia di proposito inteso far opera corrompitrice. L’arte, sia della lingua, sia della plasticità del descrivere, è insuperabile.»151 Oltre la trattazione dei vari autori italiani in ordine alfabetico, vengono inseriti e

analizzate anche forme e modelli letterari particolari, come la «Commedia dell’arte» o le

«Farse» o le lunghe pagine dedicate ai «Canti» (carnascialeschi, popolari, spirituali etc.): in

questi paragrafi vengono trattati essenzialmente quegli scrittori anonimi o quelle forme di

tradizione popolare che sarebbe stato impossibile inserire altrove.

La caratteristica forse più interessante rispetto le altre opere del Casati è l’aggiunta

in chiusura dei volumi delle statistiche sugli autori. Si tratta di una raccolta di dati riguardo

i criteri più disparati, dai più generici tradizionali, come il numero di autori suddivisi per

l’anno di nascita, o le regioni o città d’appartenenza, fino ai più curiosi, come il rango di

nascita, la suddivisione per mestieri o quella per i morti infelici, cioè quanti suicidi, quanti

messi a morte, quanti per malattia, disgrazia e via dicendo. Con la funzione di servire da

raccolta informativa di rapida consultazione, la sezione delle statistiche mostra quanto lo

studio sui singoli autori sia stato approfondito, e quanto l’indirizzo ideologico dell’autore

abbia influito, a fronte della scelta di inclusione di criteri così particolari come le morti non

naturali.

5.1.2 La fortuna dell’opera

L’ «Osservatore romano», in un articolo dal titolo Un libro e una battaglia,

analizza diffusamente la prefazione del Dizionario e la sua natura polemica nei confronti di

150 G. CASATI, Dizionario degli scrittori d’Italia, vol. III, Romolo Ghirlanda, Milano, p. 71 151 G. CASATI, Dizionario degli scrittori d’Italia, vol. I, Romolo Ghirlanda, Milano, p. 159

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quel sentimento critico anticattolico che avrebbe condizionato la letteratura recente; il

Casati sarebbe allora il primo passo per una revisione del giudizio critico e letterario

italiano in una chiave maggiormente fedele alla verità, e raggiunta la conclusione

dell’opera

«se crolleranno molti idoli, se molte idee che si credettero assolute e maestre, e cui grandi e piccoli fecero tanto di cappello, appariranno in tutta la loro miseria e falsità, tanto meglio: sarà un servizio reso alla verità e un po’ anche alla nostra serietà »152 Aggiungendo inoltre che «nessuno meglio del simpatico e benemerito direttore

della «Rivista di letture» possiede gli elementi e il coraggio per condurre un lavoro di

questo genere»153. Tanta quindi l’ammirazione per don Casati, coraggioso nel muoversi in

una direzione mai esplorata prima alla ricerca di una verità a lungo osteggiata, operando

«un ottimo servizio alla verità e alla nostra storia letteraria. E la buona e bella battaglia sarà

vinta»154.

Anche «L’unità cattolica» di Firenze celebra l’opera del Casati, seppur in toni meno

entusiastici rispetto quelli dell’ «Osservatore romano», evidenziando l’essenzialità di un

volume dal taglio critico notevolmente diverso rispetto tutta la critica faziosa e avversa155.

Il primo volume viene celebrato in molti altri articoli, come ne «L’Italia», dove

viene definito «un’opera magnifica di purificazione morale»156, o su «La civiltà cattolica»,

il «Corriere veneto», la «Città di Milano», per dirne alcuni.

Il Dizionario riceve anche diffusione fuori dai confini nazionali, dove viene

apprezzato ad esempio da Anton Hilckman, che sulle pagine della rivista «Literarischer

Handweiser» esalta la completezza e profondità del dizionario, che getta una luce nuova su

una produzione italiana ingiustamente dimenticata, dando risalto a tutta una tradizione e

una produzione culturale italiana.157

«L’università italiana», rivista dell’Istruzione superiore, per l’uscita del secondo

volume presenta un lungo articolo, dove l’autore elogia il lavoro del Casati nel compilare

un libro che si pone su un argomento mal trattato in maniera brillante senza pedanterie,

152 «Rivista di letture», n.3, anno XXIII , 15 ottobre 1926, p. 66 153 Ibid. 154 Ibid. 155 Ibid. 156 Ibid. 157 «Rivista di letture», n.6, anno XXVII , 15 giugno 1930, p. 154.

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criticandogli appena alcune particolarità strutturali, come la sotto elencazione per gli autori

dallo stesso cognome che porta facilmente a sviste o a paragrafi troppo essenziali.158

Un articolo di segnalazione del secondo volume appare sulla rivista “Echi e

commenti” di Roma, che ne sottolinea il carattere critico e in parte polemico, augurando

all’autore di completare l’opera in breve onde evitare il protrarsi di essa in un tempo

eccessivo col rischio di perdere coerenza e concretezza.159

Su l’«Italia» di Milano, Filippo Molteni recensisce positivamente il terzo volume

del dizionario, organizzato in maniera più efficace e perfezionato nella forma rispetto i suoi

due predecessori, con il lavoro del Casati organico e vivace, che non si limita alla mera

critica estetica, affiancata dalla critica morale e religiosa. Ne sottolinea ed elogia la natura

aperta, non limitata alla mera elencazione di fatti e notizie bio-bibliografiche ma

l’inserimento di aneddoti, nozioni e curiosità, caratteristiche l’avvicinano a una storia

letteraria o ad una antologia. Molteni conferma le critiche sui refusi, sulle confusioni tra

alcuni autori e sulle inclusioni od estromissioni meno lecite, a fronte però del

riconoscimento dell’enorme lavoro svolto dal Casati, degno d’ogni lode e sempre pronto a

rimediare laddove possibile.160

5.2 Scrittori cattolici italiani viventi

Parallelamente al Dizionario degli scrittori d’Italia, Giovanni Casati completa un

dizionario di stampo diverso, su un tema ancora più specifico. Nel 1928 don Casati

pubblica un volume sugli Scrittori cattolici italiani viventi: un dizionario bio-bibliografico

degli autori di manifesta fede cattolica, in ordine alfabetico.

Il Casati ha selezionato e contattato personalmente quelli ritenuti idonei chiedendo

loro il permesso di comparire nella sua opera: sono circa seicento gli scrittori che appaiono

in questo dizionario e, se vogliamo credere alle parole del Casati, si tratta praticamente di

tutti i letterati cattolici attivi nei primi decenni del Novecento, ad esclusione chiaramente

degli scrittori deceduti prima della conclusione dell’opera. L’intenzione è quella di

rappresentare, con l’elencazione dei soli scrittori viventi, la cultura cattolica coeva e tutte

158 «Rivista di letture», n.5, anno XXVII , 15 maggio 1930, p. 129-130. 159 «Rivista di letture», n.7, anno XXVII , 15 luglio 1930, p. 176. 160 «Rivista di letture», n.7, anno XXX , 15 luglio 1933, p. 193-94.

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le forze intellettuali sotto il dettame della dottrina cattolica, in una sorta di summa della

tradizione cattolica, fortemente messa in discussione all’inizio del nuovo secolo.

Valorizzare quindi la cultura cattolica, raramente presa in considerazione al di fuori delle

riviste cattoliche, le quali anzi spesso cadono nel problema di trattare di più le opere

sconsigliate e da evitare che d’occuparsi delle opere degne e meritevoli.

Il dizionario opera così anche come sintesi e inquadramento storico-letterario delle

correnti di pensiero interne alla Chiesa, ponendosi come

«arbitro fra le due correnti, ottimista e pessimista, di coloro che, pieni d’entusiasmo, credono con un libro d’aver iniziato la nuova era della coltura cattolica, e di coloro che negano perfino l’esistenza dello scrittore cattolico».161

A tal proposito il concetto stesso di scrittore cattolico, criterio di inclusione alquanto vago

e soggettivo, è minuziosamente definito da Filippo Meda, autore della prefazione del

dizionario:

« Scrittori cattolici si intendono le persone che, essendo per abito mentale, per educazione e per condotta pratica nella vita privata e pubblica aderenti alla dottrina ed alla disciplina della Chiesa, abbiano esplicato esplichino una attività letteraria non occasionale e sporadica, ma metodica e continuativa, o direttamente rivolta alla difesa ed alla propaganda della dottrina e della disciplina suddette,, o indirettamente apologetica e didattica nel senso che i loro scritti, anche, per dir così, di carattere profano, non soltanto non contraddicano e non offendano i principii religiosi ed etici dell’insegnamento cattolico, ma appaiano da essi costantemente ispirati e guidati»162 Questa citazione trova posto in un articolo del Casati tra le pagine della «Rivista di

letture», dove pone le fondamenta dei suoi criteri di selezione del suddetto dizionario e

dove solleva dubbi riguardo le possibili inclusioni, cioè se il criterio di selezione debba

esser restrittivo al punto da includere solo i veri scrittori cattolici, senza dar spazio a quelli

che non si conformano pienamente alla dottrina o se invece includere anche quegli autori

d’opere «non del tutto cattolici o non del tutto scrittori».

Il Dizionario ha la funzione di guida essenziale e pratica dei buoni scrittori

cattolici, di facile e immediata consultazione, in ordine alfabetico e provvisto anche di un

dettagliato indice per materie, sviluppato dando ad ogni scrittore, già elencato in ordine

alfabetico, un numero progressivo a cui ogni argomento dell’indice è associato, come le

161 «Rivista di letture», n.10, anno XXV, 15 ottobre 1928, p. 290 162 G. CASATI, Scrittori cattolici in «Rivista di letture», 15 novembre 1927, p.323

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varie città o regioni d’appartenenza o altre nozioni quale ad esempio luoghi sacri o lotta

religiosa.

Ad aprire il dizionario, per il rilievo della figura, utilizzata come simbolo della

giusta via da seguire è l’allora Papa Pio XI, Achille Ratti, già tra i collaboratori della

«Rivista» come ricordato e contattato più volte personalmente dal Casati.

Il volume come detto, racchiude quasi seicento scrittori cattolici in 112 pagine,

perlopiù sacerdoti e religiosi. È più che altro una elencazione di nomi senza una vera

trattazione delle opere, mantenendo quindi una forma riassuntiva più simile a un dizionario

vero e proprio, rimandando l’analisi completa di ciascuno degli scrittori presi in

considerazione direttamente al Dizionario degli scrittori d’Italia.

È essenzialmente uno strumento di conoscenza interno alla Chiesa e di scarsissima

diffusione, un’operazione culturale tesa a unire le file degli scrittori cattolici per dare una

coerenza del loro pensiero religioso: rafforzare l’impronta ideologica cristiana unendo ogni

singola voce in un’unica grande cultura cattolica italiana.

L’intento del Casati nella compilazione di questi dizionari è di portare lo studio personale,

come sviluppato largamente nella «Rivista» a un passo successivo; rendere cioè

l’esperienza di promozione culturale della “Federazione italiana delle biblioteche

circolanti” totale, impegnata su ogni aspetto dell’universo librario e bibliotecario,

promuovendo gli autori tesi a una promozione culturale e spirituale e bandendo gli altri, rei

di diffondere idee sbagliate e malsane. Anche se di minor fortuna e meno efficaci del

Manuale nella promozione culturale o non così specifici come i saggi sui Libri letterari

condannati all’Indice, questi dizionari si pongono come un lavoro di ricerca e d’analisi

unico nel suo genere, a ulteriore dimostrazione dello spessore culturale di don Giovanni

Casati.

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Bibliografia Sono riportati di seguito i principali volumi consultati, a cui si deve aggiungere lo spoglio

dei vari numeri delle riviste «La civiltà cattolica» e «Rivista di letture».

A. ASOR ROSA, La cultura in Storia d'Italia, vol. IV, Torino, Einaudi, 1975.

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