Libertorum bona ad patronos pertineant: su Calp. Flacc. decl. exc. 14, in Index 40 (2012) 313-325

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JOVENE EDITORE NAPOLI Index Quaderni camerti di studi romanistici International Survey of Roman Law estratto 40 2012

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J O V E N E E D I T O R E N A P O L I

IndexQuaderni camerti di studi romanisticiInternational Survey of Roman Law

estratto

440022001122

IndexQuaderni camerti di studi romanisticiInternational Survey of Roman Law

Direttore Luigi LabrunaCondirettore Cosimo CascioneSotto gli auspicidella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Camerinoe del «Consorzio interuniversitario Gérard Boulvertper lo studio della civiltà giuridica europea e per la storia dei suoi ordinamenti».

Organo del «Gruppo di ricerca sulla diffusione del diritto romano».Presidente Pierangelo Catalano.

Comitato direttivo: Ignazio Buti, Luigi Capogrossi Colognesi, PierangeloCatalano, Luigi Labruna, Giovanni Lobrano, Sandro Schipani.

In redazione:

Valeria Di Nisio; Nunzia Donadio; Alessandro Manni; Aglaia McClintock;Carlo Nitsch; Natale Rampazzo; Paola Santini; Fabiana Tuccillo.

Segretaria: Daniela Piccione.

Comitato di redazione: Carla Masi Doria, Felice Mercogliano, FrancescaReduzzi Merola.

Comitato scientifico:

Jean AndreauParis EHESS

Hans AnkumAmsterdam

Ignazio ButiCamerino

Luigi Capogrossi ColognesiRoma Sapienza

Alessandro CorbinoCatania

Teresa Giménez-CandelaBarcelona Autònoma

Michel HumbertParis II

Rolf KnütelBonn

Giovanni LobranoSassari

Carla Masi DoriaNapoli Federico II

Pascal PichonnazFribourg

Francesca Reduzzi MerolaNapoli Federico II

Martin J. SchermaierBonn

Sandro SchipaniRoma Sapienza

Peter SteinCambridge

Gunter WesenerGraz

Laurens WinkelRotterdam

Witold WołodkiewiczWarszawa

Index

Volume realizzato con l’intervento della Facoltà di Giurisprudenza dell’Universitàdi Camerino e del «Consorzio interuniversitario Gérard Boulvert per lo studio dellaciviltà giuridica europea e per la storia dei suoi ordinamenti» nell’àmbito della Con-venzione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche.

La pubblicazione di articoli e note proposti alla Rivista è subordinata allavalutazione positiva espressa su di essi (rispettando l’anonimato dell’autoree in forma anonima) da due lettori scelti dal Direttore in primo luogo tra icomponenti del Comitato scientifico internazionale. Ciò in adesione alcomune indirizzo delle Riviste romanistiche italiane (AG., RISG., BIDR.,AUPA., SDHI., Iura, Index, Roma e America, IAH., Quaderni Lupiensi,Diritto@storia, TSDP.), in seguito alle indicazioni del gruppo di lavoro pro-mosso dal Consorzio interuniversitario Gérard Boulvert e a conseguentidelibere del CUN e del CNR.Gli autori sono invitati a inviare alla Rivista insieme con il testo da pubbli-care un abstract in lingua diversa da quella del contributo e «parole chiave»nelle due lingue.

Copyright 2012 by Jovene Editore s.r.l. - NapoliRegistr. Trib. Camerino nr. 1 del 14.3.1970 - L. Labruna dir. resp.Printed in Italy - Fine stampa maggio 2012 - Ink Print Service - Napoli

Scritti di:

Giorgia AlessiFrancesco AmarelliPaola Angeli BernardiniAntonio BanfiOkko BehrendsMaurizio BettiniMaria Vittoria BramanteEmiliano J. BuisLuigi Capogrossi ColognesiAdelaide CaravagliosCosimo CascioneAmelia CastresanaVanessa CavalleriRita Compatangelo-

SoussignanAlessandro CorbinoTommaso dalla MassaraValentina Dell’Anno

Valeria Di NisioNunzia DonadioLucia FanizzaThomas FinkenauerMichael GagarinLorenzo GagliardiFilippo GalloCarol GilliganPatrizia GiuntiGiulio GuidorizziAlejandro Guzmán-BritoEvelyn HöbenreichLuciana JacobelliElena KrinytzynaLuigi LabrunaFrancesca LambertiAlberto MaffiAlessandro ManniCarla Masi DoriaAglaia McClintockRosa Mentxaka

Felice MercoglianoFrancesco MilazzoValerio Massimo MinaleKatariina MustakallioUmberto PappalardoLaura PepeFederico PergamiJohannes PlatschekNatale RampazzoFrancesca Reduzzi MerolaGiunio RizzelliOsvaldo SacchiBernardo SantaluciaPaola SantiniTullio Spagnuolo VigoritaJakob Fortunat StaglOriana ToroArmando TorrentFabiana TuccilloJakub UrbanikBeate Wagner-Hasel

«Libertorum bona ad patronos pertineant»:su Calp. Flacc. decl. exc. 14

Carla Masi Doria

Rivive, di recente, un’attenzione significativa, nella storiografia ro-manistica, per le fonti declamatorie1, che a lungo – dopo l’utile pionieri-stico lavoro di Fabio Lanfranchi, pubblicato sul finire degli anni ’30 delNovecento2 – erano state poste a margine della ricerca storico-giuridica3.

Questa rinascenza di interessi – ne sono certa – può portare buonifrutti, anche per la conoscenza della prassi giuridica del primo principato,sulla quale si modellano gli intrecci declamatori, come è noto destinatiprimariamente alla scuola.

In un contributo da poco pubblicato4, in cui intendevo presentare adun pubblico piú ampio di quello formato dai colleghi del ‘Fach’ romani-stico la costruzione nel diritto romano di ‘principi’ e ‘regole’, avevo notatocome le declamationes costituiscano luogo di ritrovamento di brachilogiegiuridiche che, in modo sintetico e senza argomentazione, rappresentanovere e proprie regulae iuris5 almeno in uno dei significati che a questa

1 Si v. le rilevanti notazioni di D. Mantovani, I giuristi, il retore e le api. Ius con-troversum e natura nella Declamatio maior XIII, in D. Mantovani, A. Schiavone (a curadi), Testi e problemi del giusnaturalismo romano (Pavia 2007) 323 ss. [= in Sem. Compl.19 (2006) 205 ss.], cfr. T. Wycisk, Quidquid in foro fieri potest – Studien zum römischenRecht bei Quintilian (Berlin 2008; Diss. Freiburg 2005); A. Corbino, Actio in factumadversus confitentem. Quint., Declam. maior. XIII, in Studi A. Metro I (Milano 2009)511 ss.; F.J. Casinos Mora, Lex raptarum y matrimonio expiatorio, in Estudios Jurídicosen Homenaje al Prof. A. Guzmán Brito, a cura di P.I. Carvajal, M. Miglietta I (Ales-sandria 2011) 595 ss.; J.F. Stagl, La Lis de dotibus socrus et nurus e il potere del favordotis (Quint. decl. 360), e G. Rizzelli, Sen. contr. 2.4 e la legislazione matrimoniale au-gustea. Qualche considerazione, in questo stesso volume di Index, rispettivamente a p.326 ss. e p. 271 ss. 2 Il diritto nei retori romani (Milano 1938), con le rec. di B. Kübler,in SDHI. 5 (1939) 285 ss.; L.F. Schnorr von Carolsfeld, in ZSS. 61 (1941) 447 ss.; P.W.Duff, in JRS. 50 (1940) 154 ss. Importanti considerazioni sulle fonti declamatorie perla ricostruzione di problemi giuridici si trovano, poi in D. Nörr, Causa mortis: auf denSpuren einer Redewendung (München 1986) 36 ss. 3 Brevi cenni in F. Wieacker, Rö-mische Rechtsgeschichte I (München 1988) 100 con nt. 99. 4 Principii e regole. Valorie razionalità come forme del discorso giuridico, in Tra retorica e diritto. Linguaggi e formeargomentative nella tradizione giuridica. Incontro di studio Trani, 22-23 maggio 2009, acura di A. Lovato (Bari 2011) 19 ss. 5 Sulle regole piú antiche ampia trattazione, conbibliografia, in F. Wieacker, Römische Rechtsgeschichte I cit. 590 ss. Sul discorso rego-lare nella giurisprudenza classica si v. almeno (da punti di vista diversi) P. Stein, TheDigest Title De Diversis Regulis Iuris Antiqui, and the General Principles of Law, inEssays in Jurisprudence in Honour of R. Pound (New York 1962) 1 ss. [= in TheCharacter and Influence of Roman Civil Law: historical essays (London 1990) 53 ss.];Id., Lo svolgimento storico della nozione di ‘regula iuris’, in Diritto romano, Antologiagiuridica romanistica ed antiquaria (Milano 1966) 95 ss.; Id., Regulae Juris: from juristicrules to legal maxims (Edinburgh 1966); D. Nörr, Spruchregel und Generalisierung,in ZSS. 89 (1972) 18 ss. [= Historiae iuris antiqui II (Goldbach 2003) 775 ss.]; B.Schmidlin, Die römischen Rechtsregeln. Versuch einer Typologie (Köln-Wien 1970);

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espressione si può dare. E cioè le regole come proposizioni normative ge-neralmente valide, espresse in forma di brevi massime, passibili invero dieccezione e dunque contraddette in una serie di articolazioni di specie delcaso principale, astratto e generale, rispetto al quale la regola stessa si pro-duce e vige.

In questo munusculum, che dedico alla carissima amica Eva Canta-rella, studiosa appassionata alle vicende della famiglia romana sotto i pro-fili storico, giuridico, sociale, antropologico, vorrei proporre qualche ri-flessione su una declamatio (meglio, su quanto ci resta di una declamatio:si tratta solo di un excerptum) del (misterioso) Calpurnio Flacco. Sull’au-tore e sul corpus di 53 estratti traditi sotto il suo nome poco si sa; per lediverse tesi sviluppate in storiografia basti, in questa sede, un rinvio allaletteratura6. La cronologia, condivisa dalla communis opinio, pone scrit-tore e opera nell’ultima parte del I secolo d.C.

L’excerptum che qui interessa è il XIV, intitolato (secondo l’uso di at-tribuire a ciascuna declamatio un’epigrafe rappresentativa del contenuto)Abdicatus patrem liberans. È un caso di diritto privato, ereditario, inne-stato in una vicenda familiare, a fronte di una maggioranza di declamatio-nes calpurnie dedicate al diritto criminale7, evidentemente piú attraentesotto il profilo dell’intreccio e – dunque – della resa oratoria del contrastotra le parti. Lo trascrivo, secondo l’edizione di Håkanson8, per comoditàdel lettore:

Calp. Flacc. decl. exc. 14. Addictus feneratori serviat. Abdicatus de bo-nis paternis nihil habeat. Libertorum bona ad patronos pertineant. Quidamex duobus liberis alterum abdicavit. <Abdicatus> addictum postea credi-tori patrem redemit et manumisit. Quo mortuo ambigunt de bonis abdi-catus iure patroni et filius, qui in familia permansit.

Equidem nec avarum me fuisse nec impium docui, nam et redemipatrem et manumisi. ‘Abdicatus es’ inquit. En quem putes doluisse casummeum! Filius dicit beneficio parentis se esse nutritum, eius indulgentia li-bertatem civitatemque sortitum; at haec ipsa patronus liberto suo contulit,quae filius a parente percepit. Proinde beneficium hereditatis filio datur,patrono redditur. Addictus numquam sperat libertatem; negligenter enimet contumaciter servit, qui servire non novit. Quid mihi abdicatorum obi-cis legem? Ego si quasi filius experirer, merito ut abdicatus expellerer;utor patroni actione, non filii. Quid enim, si non esset manumissus? Pe-culium servi mei peteres? Specta defuncti condicionem, quae fuit mortistempore, non quae aliquando praecessit. Sistitur venalis pater; non festi-nat hic bonus filius? Non denique metuit, ne illum redimat abdicatus? Fi-

Id., Regulae iuris, Standard, Norm oder Spruchregel? Zum hermeneutischen Problem desRegelverständnisses, in Festschrift M. Kaser zum 70. Geburtstag (München 1976) 91 ss.

6 Da ultimo F.J. Casinos Mora, Lex raptarum y matrimonio expiatorio cit. 595 entt. 1 e 2. 7 Cfr. L. Wenger, Die Quellen des römischen Rechts (Wien 1953) 254, conl’avanzamento della datazione all’età di Adriano e Antonino Pio. 8 L. Håkanson(ed.), Calpurnius Flaccus declamationum excerpta (Stuttgart 1978) 14 s.

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lius incolumi dignitate non potuit explicare quantum abdicatus explicuit?Quotiens se pater paenitere confessus est, quotiens de huius impietateconquestus! Utinam licuisset addicto exercere ius patrium! Esset hic ab-dicatus, hic filius. Bona ipsa meo sunt labore quaesita; unde senex testarinoluit, ne mihi quasi suum relinqueret, quod meum sciret. Tu illud priusconsumpsisti patrimonium, illud amplum, illud quod <d>uobus paraba-tur heredibus. Ego postulo tenue, libertinum, quod vix sufficit ipsius fu-neri. Hic enim quando sepeliet iacentem, qui noluit redimere venalem?

Questa declamatio9 ha suscitato il mio interesse proprio per la pre-senza nell’argumentum, che ne riassume i termini di diritto, di brevi frasidal tenore prescrittivo, che sembrano assumere valore regolare. La terzaed ultima suona Libertorum bona ad patronos pertineant, sintetizzando (invia generalissima e piuttosto grossolanamente) il diritto ereditario dei pa-troni sui bona libertorum. Tale ius ha un suo peculiare sviluppo storico esfaccettature invero irriducibili a tale semplicistica formulazione, che tut-tavia rende un principio sentito nella società romana e riconosciuto dal-l’ordinamento, sul quale mi sono soffermata soprattutto in un lavoro mo-nografico del 199610.

Il plot è intricato. Una «realistica tranche de vie»11 si svolge nell’an-tinomia tra due leges enunciate nel thema: l’esclusione dell’abdicatus dallasuccessione e il suo diritto ad essa come patronus12. Dall’altra parte c’è ilfratello (ora contraddittore) qui in familia permansit, che afferma il pro-prio diritto. La trama deve essere ingarbugliata, per consentire la contro-versia tra oratori e per interessare i discenti (eventualmente anche i let-tori). Il padre (un tale, quidam) allontana uno dei suoi due figli. Il dramma

9 Esaminata di recente da L. Peppe, Fra corpo e patrimonio. Obligatus, addictus,ductus, persona in causa mancipi, in A. Corbino, M. Humbert, G. Negri (a cura di),Homo, caput, persona. La costruzione giuridica dell’identità nell’esperienza romana. Dal-l’epoca di Plauto a Ulpiano (Pavia 2010) spec. 479 s. nt. 208 (suoi rilievi già in Studi sul-l’esecuzione personale I. Debiti e debitori nei primi due secoli della repubblica romana[Milano 1981] 149 nt. 140, 179 nt. 228, 180; e in Riflessioni intorno all’esecuzione per-sonale in diritto romano, in AUPA. 53 [2009] 155 s. e nt. 181); qualche osservazionesull’interpretazione dello studioso romano sarà svolta infra, dopo aver valutato i puntiprincipali del testo. La declamazione è citata stranamente a proposito di «Übergangder Patronatsrechte nach dem Tode des Patrons» da W. Waldstein, Operae libertorum.Untersuchungen zur Dienstpflicht freigelassener Sklaven (Stuttgart 1986) 323 nt. 15 (maqui non di «Übergang der Patronatsrechte» si tratta, in quanto vi è un patrono, o pre-sunto tale). 10 Bona libertorum. Regimi giuridici e realtà sociali (Napoli 1996), con lerec. di R. Astolfi, in SDHI. 65 (1999) 283 ss.; T. Giménez Candela, in Index 28 (2000)488 ss.; J. Heinrichs, in Gnomon 72 (2000) 647 ss.; T.J. Chiusi, in ZSS. 117 (2000) 770ss.; cfr. già Civitas operae obsequium. Tre studi sulla condizione giuridica dei liberti(Napoli 1993); poi anche: Libertinitas e successione gentilizia, in Index 27 (1999) 251;Patronos y libertos: perspectivas jurídicas y realidades sociales. Movilidad de la riqueza yderecho sucesorio, in http://www.uc3m.es/uc3m/inst/LS/home.htm - Lucio AnneoSéneca, Instituto de Estudios Clásicos sobre la Sociedad y la Política (2005). 11 CosíL. Peppe, Studi sull’esecuzione personale I cit. 180; cfr. anche G. Rizzelli, Sen. contr. 2.4e la legislazione matrimoniale augustea cit. 290 nt. 69. 12 Cfr. F. Lanfranchi, Il dirittocit. 63, 262.

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del figlio rifiutato, cacciato dal padre13, ma che poi si rivela pio e fedele, èun topos della letteratura universale14, e compare fin dalle prime battutedell’escerto. «Non vi è un tema piú banale»15 – è stato scritto – nella let-teratura declamatoria romana del contrasto tra padri e figli. La dialetticatra fratelli è l’altro motivo forte della nostra declamatio, complementare alprimo. Un tema declinato sub specie iuris nella controversia giuridica conbase economica, la causa ereditaria, che però manifesta ruggine piú antica,distanza di modi e di pensieri.

Un iniziale problema giuridico è cosa significhi qui abdicatio. È notala procedura di ‘allontanamento’ del filius familias da parte del titolaredella patria potestas che va sotto questo nome (e che secondo la communisopinio sarebbe anche ricordata, nelle fonti letterarie, come relegatio)16. Si

13 Con il provvedimento piú duro (ad eccezione dell’esercizio del ius vitae ac ne-cis) tra quelli nella disponibilità del pater: ultimo fulmine castigari ne costituisce segnoeloquente in ps. Quintil. decl. maior. 9.2, 10, cfr. 19.13. Sul punto B.M. Levick, Abdi-cation and Agrippa Postumus, in Historia 21/4 (1972) spec. 676, 678. 14 Ricorre, perrimanere nel genere letterario, nella «quasi totalità delle controversiae» di Seneca re-tore «contemplanti il contrasto padre-figlio», cosí E. Migliario, Luoghi retorici e realtàsociale nell’opera di Seneca il Vecchio, in Athenaeum 67 (1989) 538 nt. 48. 15 Cosí Y.Thomas, Paura dei padri e violenza dei figli: immagini retoriche e norme di diritto, in E.Pellizer, N. Zorzetti, La paura dei padri nella società antica e medievale (Roma-Bari1983) 126, dati numerici a p. 123 s. Cfr. anche P. Voci, Storia della patria potestas daAugusto a Diocleziano, in Iura 31 (1980) 76 [= Studi di diritto romano II (Padova 1985)439]. 16 Per tutti M. Kaser, Das Römische Privatrecht I2 (München 1971) 69 con nt.13; sui rapporti tra abdicatio e relegatio R. Düll, Iudicium domesticum, abdicatio undapoceryxis, in ZSS. 63 (1943) 97 ss.; P. Voci, Storia della patria potestas cit. 77 [= Studidi diritto romano II cit. 440], secondo il quale la diversità di terminologia rispecchie-rebbe invece una differenza sostanziale tra abdicatio e relegatio; sul punto si v. ancheB.M. Levick, Abdication and Agrippa Postumus, cit. 677; S. Sciortino, C. 8.46.6: breviosservazioni in tema di abdicatio ed apokeryxis, in AUPA. 48 (2003) 333 ss., ove un rin-vio alle fonti principali che attestano per l’età repubblicana e del primo principato «di-versi casi di abdicatio», 334 nt. 5. L’istituto sarebbe «inesistente» nel diritto romano se-condo L. Peppe, Fra corpo e patrimonio cit. 480 nt. 208, che, senza argomentare, sulpunto segue S. Bonner, Roman Declamation in the Late Republic and Principate (Li-verpool 1949) 101 ss. (ma v. p. 102 s., ove l’abdicatio, specie con riferimento all’operadi Seneca il Vecchio, è considerata «a reflection, even if somewhat distorted reflection,of the Roman courts»); e si cfr. soprattutto P. Voci, Storia della patria potestas cit. 76 s.[= Studi di diritto romano II cit. 439 s.]: «non si può disconoscere l’esistenza effettivadi quella figura». È ovviamente importante il riferimento in C. 8.46.6: abdicatio, quaeGraeco more ad alienandos liberos usurpatur et apoceryxis dicebatur, Romanis legibusnon comprobatur [a. 288], ma il testo non deve di necessità condurre a un’interpreta-zione che distingua tra abdicatio nel senso che si rinviene nelle opere declamatorie (e– invero – non solo in queste) e «emancipazioni punitive» / «confino in campagna»,come fa Y. Thomas, Paura dei padri e violenza dei figli cit. 126 con nt. 65, cfr. anche139, ove però è da condividere la conclusione che nella letteratura retorica si trova unaimmagine «autenticamente romana» del rapporto padri-figli (e anche fratello-fratello).Non bisogna – a mio parere – sottovalutare il significato tecnico (nella cancelleria diDiocleziano) di alienare, che è cosa molto diversa da «allontanare», «cacciare», perchéserve a «rendere alieno»; per tutti: A. Berger, s.v. «Alienatio», in Encyclopedic Dictio-nary of Roman Law (Philadelphia 1953) 359; cfr. B.M. Levick, Abdication and AgrippaPostumus cit. 689. Sull’abdicatio, si v., comunque, anche la bibliografia in nt. 18.

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tratterebbe di una cacciata del tutto fattuale, informale, revocabile17. In-vero nelle fonti (specie nell’interessante rappresentazione che ValerioMassimo, 5.8.3, fa del caso di Tito Manlio Torquato e Decimo Silano) l’ab-dicatio sembra prendere forme giuridiche, addirittura processuali nell’am-bito di ‘giudizi domestici’. Sul tema (vasto, problematico e ampiamentediscusso) non ci si può qui soffermare18. Il punto interessante è che nel te-sto si trova una strettissima dipendenza dell’esclusione del figlio abdicatusdall’eredità (legittima) paterna. Il caso rappresentato è certamente unasuccessione ab intestato19 e l’estromissione dall’eredità si ha come conse-guenza dell’abdicatio. Non vi è dunque un testamento che avrebbe potutocontenere la formale exheredatio. È come se, in tale situazione, l’abdicatiofunzionasse da diseredazione ab intestato: abdicatus de bonis paternis nihilhabeat20. Questa è la cd. lex abdicatorum, richiamata dal fratello rimasto infamiglia per escludere l’altro dall’eredità21. Guardando a un uso tecnico

17 «… eine bloss tatsächliche, formlose und frei widerrufliche Ausweisung ausdem Haus …», cosí M. Kaser, Das Römische Privatrecht I2 cit. 69; cfr. P. Voci, Storiadella patria potestas cit. 76 s. [= Studi di diritto romano II cit. 440]. 18 Tra la lettera-tura che si è occupata dell’abdicatio, su posizioni diverse, si v. almeno F. von Woeß,Das römische Erbrecht und die Erbanwärter. Ein Beitrag zur Kenntnis des römischenRechtslebens vor und nach der constitutio Antoniniana (Berlin 1911) 182 ss. (casisticanelle fonti retoriche a p. 196 ss.); A. Albertoni, L’apokeryxis. Contributo alla storiadella famiglia (Bologna 1923) spec. 55 ss.; R. Düll, Iudicium domesticum cit. 54 ss.; M.Wurm, Apokeryxis, Abdicatio und Exheredatio (München 1972), su cui, con un cennoalla fonte qui esaminata, la rec. di G. Thür, in Iura 23 (1972) 287; B.M. Levick, Abdi-cation and Agrippa Postumus cit. 674 ss. (che propone un’interessante comparazionecon l’emancipatio 680 ss.); S. Querzoli, I testamenta e gli officia pietatis. Tribunale cen-tumvirale, potere imperiale e giuristi tra Augusto e i Severi (Napoli 2000) 35 ss.;S. Sciortino, C. 8.46.6: brevi osservazioni in tema di abdicatio ed apokeryxis cit. 333 ss.;T. Wicysk, Quidquid in foro cit. 130 ss., 168, 173 s.; G. Rizzelli, Sen. contr. 2.4 e la le-gislazione matrimoniale augustea cit. 271 ss. (con altri riferimenti). Sul iudicium dome-sticum, da ultimo: C. Russo Ruggeri, Ancora in tema di ‘iudicium domesticum’, in IAH.2 (2010) 51 ss., con altra letteratura, e ora, in questo stesso volume di Index, N. Do-nadio, ‘Iudicium domesticum’, riprovazione sociale e persecuzione pubblica di atti com-messi da sottoposti alla ‘patria potestas’ a p. 175 ss. 19 Sul punto potrebbe essere inte-ressante approfondire la portata di Quintil. inst. or. 7.4.11, ove si trova il paragone tratemi dell’argomentazione scolastica e realtà dei tribunali e risulta la specifica compa-razione tra abdicatio (in scholis) ed exheredatio (in foro), il che potrebbe dimostrare laprassi delle cause centumvirali nelle quali solitamente si dibatteva di successioni testa-mentarie; cfr. S. Querzoli, I testamenta e gli officia pietatis cit. 35. 20 Sulla differenzatra abdicatio ed exheredatio si v. già la significativa affermazione di J. Cuiacius, inOpera omnia I (Neapoli 1722) 1066: «abdicatio inter vivos fit, exheredatio causa mor-tis nec potest nisi testamento scribi». Sul rapporto tra i due istituti si v. anche, in talsenso, con sfumature diverse, B.M. Levick, Abdication and Agrippa Postumus cit. 689s., che conclude a p. 690: «In a very limited sense, then, abdicare was exheredare». Nonsi pone il problema A. Salomone, Per una storia degli accordi in sede esecutiva, in ‘Ac-tio in rem’ e ‘actio in personam’. In ricordo di M. Talamanca I, a cura di L. Garofalo(Padova 2011) 980 s., che considera tout court «diseredato» il figlio, citando il testo,invero solo cursoriamente, in tema di addictio. 21 Cfr. Quintil. inst. or. 3.6.98; ps.Quintil. decl. maior. 9; decl. min. 368, 374, 388. Sul punto: B.M. Levick, Abdicationand Agrippa Postumus cit. 677; T. Wicysk, Quidquid in foro cit. spec. 168.

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(di un giurista classico) di abdicare22 si può affermare che il termine sipossa riferire ad una modificazione di status23.

La questione non è incontroversa, sul punto la storiografia non è af-fatto unanime, ma – visto che l’abdicatus stesso accetta la sua esclusionedall’eredità paterna24 in quanto tale, reclamando invece il patrimoniocome patronus (Ego si quasi filius experirer, merito ut abdicatus expellerer;utor patroni actione, non filii) – si può proseguire verso il punto che sivuole piú da vicino esaminare.

La fattispecie, come si è anticipato, non è semplice. Le cose si com-plicano tenendo presente la posizione giuridica del pater. Questi, infatti,ha subito un rovescio finanziario, si è indebitato e non è stato in grado dipagare il creditore. Il quale è rappresentato come un fenerator, un usuraio.Conseguenza dell’insolvenza25 è l’addictio26. Tale condizione non deve sor-prendere in un testo che verosimilmente rimanda alla realtà del princi-pato: l’addictio era ancora diffusa nella società romana coeva, come ha direcente mostrato Leo Peppe27.

Fin dall’esordio dell’excerptum si mette in evidenza la sottoposizionedell’addictus al creditore, con un’altra dichiarazione di principio che de-scrive una condizione giuridica: addictus feneratori serviat. Il linguaggio ècrudo e chiaro: il pater si trova vincolato in uno stato che – per dirla conGaio28 – sembra quello di coloro qui in causa mancipi sunt, e che vengonoconsiderati loco servorum. Sul punto si dovrà tornare.

Il figlio abdicatus ha però riscattato (redemi) il padre e lo ha mano-messo (manumisi). Morto il genitore, contende la sua eredità iure patroni(cioè proprio sulla base della manumissio) contro il fratello, che evidente-mente invece la reclama sulla base del legame di sangue. Dopo il riferi-mento ai punti di diritto (leges nel lessico declamatorio29) e l’inquadra-mento generale del caso, si sviluppa la controversia.

22 D. 1.5.21 (Mod. 7 reg.), testo cit. infra 322. 23 Cfr. H. Siimets-Gross, DieAusdrücke status libertatis, civitatis und familiae. Savignys berechtigte Kritik an denneueren Juristen?, in Homo, caput, persona cit. 228. 24 Potrebbe però forse reclamarlacome un emancipatus, nelle forme della richiesta al pretore di una bonorum possessiounde liberi? Sul punto si v. le interessanti riflessioni di B.M. Levick, Abdication andAgrippa Postumus cit. 686 ss. 25 Credo che una preventiva esecuzione patrimoniale (o– almeno – un tentativo) debba essere stato esperita prima del provvedimento diaddictio. Non prova il contrario (nonostante che L. Peppe, Fra corpo e patrimonio cit.479 nt. 208, ne dubiti) l’esistenza di un piccolo patrimonio (non si tratta tecnicamente,però, di un peculium, come infatti Peppe l.u.c.: il riferimento al termine sta in unaargomentazione per assurdo, cfr. infra nt. 33): potrebbe trattarsi di qualche sostanzaacquisita dal padre (attraverso il libero lavoro o, perché no, un lascito ereditario) tra ilmomento della manomissione e quello della morte. 26 Sulla terminologia dell’addic-tio, con cospicui riferimenti alle fonti, sempre utile B. Albanese, Le persone nel dirittoprivato romano (Palermo 1979) 387 ss. (v. spec. le ntt. 207 a p. 387 e 222 a p. 392).27 L. Peppe, Fra corpo e patrimonio cit. 473 ss., spec. 481 ss. 28 Cfr. Gai 1.138. 29 Direcente: M. Lentano, «Un nome piú grande di ogni legge». Declamazione latina e ‘patriapotestas’, in Boll. Stud. Lat. 35/2 (2005) 563. Cfr. O. Behrends, Der Zwölftafelprozess.Zur Geschichte des römischen Obligationenrechts (Göttingen 1974) 182 nt. 351.

[7] 319«LIBERTORUM BONA AD PATRONOS PERTINEANT»

Il primo a intervenire è proprio l’abdicatus, vero protagonista par-lante del testo declamatorio, che dichiara di non essere stato né avaro néimpius: il riferimento è – come pare – al riscatto del padre: è costato de-naro ed è stato posto in essere in funzione della filiale pietas. Qui si trovail riferimento alla redemptio dal fenerator e alla successiva manumissio. Lareplica del fratello, riportata, è secca e si riassume nel ricordare alla con-troparte l’abdicatio, che evidentemente voleva significare la recisione delrapporto di parentela. Ma l’abdicatus non accetta l’esclusione dall’ereditàdilungandosi in un interessante parallelismo generale tra la posizione dipater familias e quella di patronus. La costruzione non è invero simme-trica30; si basa sul beneficium costituito dal nesso libertas civitasque. In ge-nere il padre lo concede al figlio; il patrono al liberto. Di qui al figlio vienel’eredità del padre, e al patrono la ‘restituzione’ di quella del manomesso.Si tratta, in modo molto semplificato, della giustificazione socio-politica(libertas, civitas) del diritto ereditario legittimo, quello strettamente fami-liare (che però – ecco l’asimmetria – premia normalmente il figlio, non ilpadre), e quello (invero piú limitato)31 che si instaura in virtú della mano-missione. Poi il figlio già abdicatus, a suo vantaggio, aggiunge la difficoltàper gli addicti di (ri)ottenere la libertà: solitamente non la sperano nep-pure32, poiché colui che è addictus servit in modo negligente e contumaci-ter (direi di interpretare: con insolenza, l’insolenza del libero costretto allaservitú). Dunque il padre era stato davvero fortunato. Respinge inoltre,esplicitamente, il ricorso della controparte alla lex abdicatorum, dichia-rando di agire come patronus (utor patroni actione), non come figlio (soloin tal caso sarebbe stato merito respinto, ut abdicatus): questo punto eragià stato accennato. Il ragionamento prosegue con un’ipotesi non corri-spondente a realtà, ma che serve all’argomentazione: quod enim, si non es-set manumissus? Peculium servi mei peteres? La difesa della pretesa fa sup-porre, per assurdo, che il pater non fosse stato manumissus, che dunquefosse rimasto nella condizione di servus: ovviamente l’altro figlio, in talcaso, non avrebbe potuto richiederne il peculium33. E qui compare un’in-dicazione che – a mio giudizio – è della massima importanza: specta de-functi condicionem, quae fuit mortis tempore, non quae aliquando praeces-sit. Il punto è centrale nell’argomentazione, ed è un punto giuridicamenterilevante. La controparte non deve osservare la condizione del pater in un

30 F. Lanfranchi, Il diritto cit. 182, lo considera un «semplice paragone»; cfr. L.A.Sussman, The Declamations of Calpurnius Flaccus (Leiden 1994) 136 s. 31 Per una de-scrizione si v. i richiami infra in nt. 58. 32 F. Lanfranchi, Il diritto cit. 202, dichiara di«non … comprende[re]» il punto, sostenendo che in realtà per l’addictus non dovevainvece essere difficile ottenere la libertà; cosí anche M.W. Frederiksen, Caesar, Ciceroand the problem of debts, in JRS. 56 (1966) 129 nt. 12. A mio parere bisogna sempreconsiderare la natura del testo: è ovvio che l’abdicatus voglia positivamente esagerare ilsuo ruolo nella liberazione del padre. Cfr. anche O. Behrends, rec. a L. Peppe, Studisull’esecuzione personale I cit., in Iura 32 (1981) 270 nt. 23ª. 33 È diversa e non con-divisibile l’interpretazione di L. Peppe, Fra corpo e patrimonio cit. 479 nt. 208, se-condo il quale l’un figlio (A) accusa l’altro (B) «che se egli A non avesse manomesso ilpadre, B rivendicherebbe il peculium del padre».

320 [8]CARLA MASI DORIA

aliquando posto nel passato, ma in un momento preciso: quello dellamorte. E il pater era stato venalis, vendibile e dunque venduto. Non l’a-veva però acquistato, riscattato quel figlio che ora, come tale, ne richie-deva la successione, ma l’altro, l’abdicatus, colui che in dignitas dal padrestesso era stato vulnerato. La serie di domande è un atto d’accusa: non fe-stinat hic bonus filius? (sottolineerei qui la qualificazione attraverso l’usodell’aggettivo bonus); non denique metuit, ne illum redimat abdicatus? Fi-lius incolumi dignitate non potuit explicare quantum abdicatus explicuit?34

Conseguenza di questo atteggiamento inerte è da una parte la disaffezionedel pater per il figlio che si era reputato ‘buono’ (impietas è qui il segnodel riconoscimento del vero sentimento di quello), dall’altra il pentimentoper aver allontanato quello erroneamente ritenuto ‘cattivo’. L’oratore con-tinua utilizzando esclamativamente un’ipotetica dell’impossibilità, che cidà una notizia interessante sulla condizione giuridica dell’addictus: utinamlicuisset addicto exercere ius patrium! Dunque, l’addictus non sarebbe (piú)in possesso del ius patrium (cioè della patria potestas)35. Probabilmente loha perso al momento dell’addictio al creditore. Se lo avesse ancora posse-duto, continua la declamatio, lo avrebbe esercitato commutando le reci-proche posizioni dei figli, col rendere abdicatus il bonus (evidentementeprocedendo all’allontanamento del filius, qui in familia permansit).

A questo punto il protagonista dichiara l’appartenenza dei bona pa-terni. Li ha acquisiti attraverso uno sforzo (labor): congegnare la combi-nazione di redemptio e manumissio. Sforzo che ha significato anche per luiun sacrificio economico. Il vecchio (senex) non ha fatto testamento, forseperché, in quella condizione di manomesso, sapeva che i suoi bona ab in-testato sarebbero andati al figlio che lo aveva liberato, ne mihi quasi suumrelinqueret, quod meum sciret. Emerge da parte del padre la consapevo-lezza piena del diritto del figlio/patronus (altrimenti, s’intende, avrebbefatto testamento in suo favore). E si spiega la lex apposta nel thema delladeclamazione, che pianamente (e senza le invero necessarie specificazioni)dichiara l’appartenenza al patronus dei bona liberti. Questo comporta-mento inattivo del pater costituiva una sorta di ritrattazione tacita di quel-l’atto, che – come si è visto – poteva essere (a quanto pare) anche del tuttoinformale? Revocando l’abdicatio poteva restituire al figlio la sua posi-zione ereditaria ab intestato? Non di questo si tratta: il figlio descriveapertamente il riconoscimento da parte del padre del suo diritto come pa-tronus (il fondamento della sua actio): unde senex testari noluit, ne mihiquasi suum relinqueret, quod meum sciret. Ammettendo il contrario, vi sa-rebbe stata concorrenza tra i due fratelli, ugualmente legittimati. Il se-guito, è piuttosto retorico, come forse s’addice al finale patetico di un’o-razione che mira a muovere i sentimenti dell’uditorio a favore del figlio‘veramente’ buono. Apprendiamo della prodigalità del fratello, dichiaratoapertamente dilapidatore dei beni paterni (consumpsisti patrimonium); no-

34 Sul profilo della dignitas: L.A. Sussman, The Declamations of Calpurnius Flac-cus cit. 132 (con indicazione di ulteriori fonti). 35 In tal senso L.A. Sussman, The De-clamations of Calpurnius Flaccus cit. 138.

[9] 321«LIBERTORUM BONA AD PATRONOS PERTINEANT»

tiamo la qualificazione libertinum riferita alla consistenza attuale dell’asseereditario, appena bastevole al pagamento del funerale36 (ultimo segno dipietà per il genitore defunto).

La descrizione, sinteticamente qui svolta, che appare piana, è inveroirta di problemi giuridici. Uno è già emerso, la diseredazione ab intestatoattraverso l’abdicatio. Ancora piú significativo, forse, quello della qualifi-cazione rispettivamente di patronus e libertus37 di figlio e padre dopo lamanomissione. Si tratta di terminologia tecnica? Dobbiamo pensare di sí,solo in tal modo, infatti, lo squarcio declamatorio regge sotto il profilogiuridico. Se infatti non vi fosse stato un rapporto di questo tipo, non cisarebbe potuta essere actio del figlio in quanto patrono. E solo il fatto cheil pater avesse perso la propria originaria posizione giuridica giustifiche-rebbe la pretesa del figlio manumissore sull’altro. La fonte orienta l’inter-pretazione in questo senso, anche al di là della terminologia utilizzata, chesi riferisce a libertorum bona, patronus (tre volte, oltre alle costruzioni su-bito infra menzionate), manumittere, ius patroni (che nelle fonti retorichericorre certamente per indicare il diritto successorio del manomissore38),libertus suus, actio patroni, patrimonium libertinum. Un dato decisivo sta –a mio parere – nella descrizione della condizione del padre debitore inquanto sottoposto, che è costantemente qualificata, oltre che come addic-tio (per quattro volte il padre è dichiarato addictus), attraverso l’uso dellasfera semantica di servire (utilizzato per tre volte) e servus meus. Si trattadi segni molto chiari in questo senso. Si potrebbe dire che si tratta di let-teratura atecnica, imprecisa. Ma questa osservazione, in un contesto de-clamatorio, non mi sembrerebbe la migliore. Del resto, a far da pendant alservire v’è la libertas (liberans è nel titolo), secondo un preciso canone, unrapporto di contrapposizione netta, che compendia posizioni giuridicherelative sia al diritto privato, sia a quello pubblico. Addirittura, s’è già no-tato, risulta la tipica locuzione civitas libertasque (invero qui a termini in-vertiti), che corrisponde al risultato delle manumissiones iustae ac legiti-mae39. Il figlio fa conseguire al padre, manomettendolo, proprio, insieme,la libertà e la cittadinanza. Allora, bisogna pensare che l’addictus perdesseil proprio status a seguito del provvedimento magistratuale di assegna-zione al creditore, subisse, cioè, una capitis deminutio maxima. Non è que-sta l’opinione comune in storiografia, ma è la tesi di recente proposta daRoberto Fiori40 (che non utilizza il testo in questione), con stringente ar-gomentazione, nell’esercizio di spiegazione del nesso servitutem servire.Secondo lo studioso romano, in sintesi, «a quel che sembra, i giuristi ro-

36 Ciò non significa, come sostiene L. Peppe, Fra corpo e patrimonio cit. 479nt. 208, che il figlio pretenda «solo quanto necessario per il funerale di un liberto».37 Un quadro d’insieme sui rapporti tra liberto e patrono ora in W. Waldstein, Patronie liberti, in Homo, caput, persona cit. 551 ss. 38 Cfr. F. Lanfranchi, Il diritto cit. 190.39 Gai 1.17. … iusta ac legitima manumissione libereretur, id est vindicta aut censu auttestamento, is civis Romanus fuit …, cfr. Frg. ps. Dosith. 5. Sul punto si v. il mio Civi-tas operae obsequium cit. 1 ss. 40 R. Fiori, Servire servitutem, in Iuris vincula. Studi inonore di M. Talamanca III (Napoli 2001) 355 ss.

322 [10]CARLA MASI DORIA

mani indicavano con l’espressione servire servitutem uno stato di asservi-mento proprio dei cittadini romani, distinto dalla servitus, ma che verisi-milmente comportava una capitis deminutio cd. maxima. E parrebbe cheun esempio di questa condizione sia rintracciabile nella figura dell’addic-tus»41. Il dubbio che, fino almeno dal diritto decemvirale, il Romano nonpotesse cadere in schiavitú42 a Roma, è fugato dalla tecnica di diritto ci-vile, attraverso la quale l’addictus serve pur non essendo stato acquistatocome schiavo, ma attribuito per ordine del magistrato. E ciò s’accorda conla parte centrale della ricostruzione demartiniana della piú antica schiavitúromana43. Tra l’altro la sottolineatura iniziale del testo calpurnio, secondola quale addictus feneratori serviat mostra immediatamente uno stato disottoposizione servile. Ebbene, a me sembra che proprio il testo di Cal-purnio Flacco possa gettare luce ulteriore sulla questione, mostrando nonsolo la necessità di una manumissio dell’addictus (probabilmente nelleforme ricordate per le persone in causa mancipii da Gai 1.138. Ii, qui incausa mancipii sunt, quia servorum loco habentur, vindicta, censu, testa-mento manumissi sui iuris fiunt), ma anche che tale liberazione da unaparte rende insieme, proprio libertas e civitas, e dall’altra impone sul libe-rato gli obblighi dovuti al patrono. Non a caso Gai 1.138 replica loschema di Gai 1.1744 … iusta ac legitima manumissione libereretur, id estvindicta aut censu aut testamento, is civis Romanus fuit … La situazioneappare alquanto simile a quella dell’uomo libero che si venda: una voltamanomesso, non viene ricondotto alla sua condizione giuridica iniziale,ma diviene (seppur – a quanto pare – non formalmente liberto) «di con-dizione libertina»:

D. 1.5.21 (Mod. 7 reg.). Homo liber, qui se vendidit, manumissusnon ad suum statum revertitur, quo se abdicavit, sed efficitur libertinaecondicionis45.

Come si è già accennato, si tratta di una mutazione di status, di unacapitis deminutio.

Risulta interessante la comparazione, proposta da MarianneMeinhart46, di quest’ultimo testo con D. 38.17.2.2 (Ulp. 13 ad Sab.)47, par-tendo da una riflessione sul senso di ‘libertinus effectus’ e simili. Nel fram-mento ulpianeo, che tratta del senatusconsultum Tertullianum e richiama

41 R. Fiori, Servire servitutem cit. 406. 42 Cfr. Tab. 3.5 [Gell. 20.1.47]: … auttrans Tiberim peregre venum ibant, che però mostra solo come la vendita del cittadinodovesse avvenire trans Tiberim. 43 F. De Martino, Intorno all’origine della schiavitú aRoma, in Labeo 20 (1974) 168 ss. [= Diritto economia e società nel mondo romano III(Napoli 1997) 32 ss.]. 44 Cfr. Frg. ps. Dosith. 5. 45 Sul testo, da comparare con D.1.5.5.1 (Marcian. 1 inst.), si v., per tutti, M. Kaser, Das Römische Privatrecht I2 cit. 292e nt. 46 (con bibliografia). 46 M. Meinhart, Die Senatusconsulta Tertullianum und Or-fitianum in ihrer Bedeutung für das klassische Römische Erbrecht (Graz-Wien-Köln1967) 48 ss. 47 Sed si filius vel filia libertini sint effecti, mater legitimam hereditatemvindicare non poterit, quoniam mater esse huiusmodi filiorum desiit: idque et Iulianusscripsit et constitutum est ab imperatore nostro.

[11] 323«LIBERTORUM BONA AD PATRONOS PERTINEANT»

insieme sia una tradizione giurisprudenziale, sia un intervento imperiale, simostra il distacco civilistico tra la madre (che in forza del senatusconsultumsarebbe loro erede) e i figli (maschi o femmine), qualora questi libertini sinteffecti. La spiegazione è netta: quoniam mater esse huiusmodi filiorum de-siit. Evidentemente la manomissione costruisce il segno di un passaggio distatus che ha annullato il legame di ius civile. Come non si può essere perdiritto civile madre (o padre) di uno schiavo, cosí non si può esserlo di chida una condizione di schiavitú o paraservile sia stato manomesso.

Tornando al caso in esame, solo se il pater ha subito la capitis demi-nutio si è reciso il rapporto con l’altro figlio48. Se cosí non fosse, al pa-trono non spetterebbe nulla: sappiamo che i figli naturali, il suus in primoluogo (ma con le riforme pretorie anche l’emancipato e il dato in ado-zione49), escludevano il patrono dai bona libertorum (e non si può pensareche i diritti patronali fossero garantiti almeno in parte in questo caso dallalex Papia Poppaea50, in quanto il padre/liberto potesse essere centenario:s’è visto che possedeva in punto di morte solo un piccolo patrimonio ap-pena bastevole per il funerale). Evidentemente la perdita di libertà e citta-dinanza aveva – per cosí dire – azzerato la relazione familiare e reso pie-namente capace il figlio, essendo stato reciso il rapporto col padre ridottoallo stato servile.

Questa è l’argomentazione che implicitamente serve a rappresentareil diritto del figlio abdicatus (e infatti nelle edizioni a stampa preottocen-tesche la declamatio era qualificata «pro abdicato»51). Attendibile, sub spe-cie iuris, come si è visto. Ovviamente per favorire l’abdicatus la declama-zione tende ad assimilare il servus e qui servit, figure che nelle loro diver-sificazioni appaiono contrapposte come connotanti l’una la schiavitúcivilistica (servus) l’altra quell’assoggettamento di cittadini che si verificaattraverso l’addictio (qui servit)52. Il punto era controverso, come mostra ilricorrere alla semantica della quaestio in Quintil. inst. or. 5.10.60 e 7.3.2653

48 È un punto a quanto pare non considerato dal pur cauto L. Peppe, Studi sul-l’esecuzione personale I cit. 180 nt. 228, cfr. O. Behrends, rec. cit. 274 nt. 34. 49 Qua-lora fossero scripti nel testamento ovvero avessero chiesto la bonorum possessio contratabulas: Gai 3.41. … prosunt autem liberto ad excludendum patronum naturales liberi,non solum quos in potestate mortis tempore habet, sed etiam emancipati et in adoptio-nem dati, si modo aliqua ex parte heredes scripti sint aut praeteriti contra tabulas testa-menti bonorum possessionem ex edicto petierint … C. Masi Doria, Bona libertorum cit.65 s. 50 Per un liberto locuples con meno di tre figli: Gai 3.42. Postea lege Papia auctasunt iura patronorum, quod ad locupletiores libertos pertinet. Cautum est enim ea lege,ut ex bonis eius, qui sestertium centum milibus amplius patrimonium reliquerit et pau-ciores quam tres liberos habebit, sive is testamento facto sive intestato mortuus erit, viri-lis pars patrono debeatur; itaque cum unum filium unamve filiam heredem reliquerit li-bertus, proinde pars dimidia patrono debetur, ac si sine ullo filio filiave moreretur; cumvero duos duasve heredes reliquerit, tertia pars debetur; si tres relinquat, repellitur patro-nus. C. Masi Doria, Bona libertorum cit. 131 ss., spec. 136 s. 51 Si v., ad esempio, M.Fabii Quinctiliani Declamationes … ex recensione Ulrici Obrechti (Argentorati 1698)777. 52 Per tutti, R. Fiori, Servire servitutem cit. 357 ss. 53 Cfr. anche 7.3.27; ps.Quintil. decl. min. 311. Sul punto si v. già F. Lanfranchi, Il diritto cit. 200 ss. Impor-tanti riflessioni su Quintil. 7.3.26 in R. Fiori, Servire servitutem cit. 386 ss.

324 [12]CARLA MASI DORIA

e – in particolare – in quest’ultimo luogo il richiamo alla magna subtilitasdel problema (e delle discussioni su di esso)54. Sottigliezza che sta nellasfumata differenza tra esse iure in servitute (posizione propria del servus)e esse in servitute eo iure quo servus (condizione di colui che servitutemservit), partes ambedue sostenibili nella disputa cum quaeritur an addictus… servus sit. La relazione iure/eo iure quo mostra la differenza tra una si-tuazione puramente e semplicemente ‘di diritto’ (quella del servus) eun’altra, ad essa comparata, che però è formalmente diversa (quella di«chi serve», cioè dell’addictus). E in ambito declamatorio è ovvio che sulpunto si rinvengano anche soluzioni opposte, le quali, oltre a dichiararenettamente la differenza tra servire e servus esse, distinguono altrettantonettamente le conseguenze giuridiche della eterogeneità delle due condi-zioni (tra l’altro proprio con riguardo all’addictus)55. D’altra parte, diffe-renziando le due posizioni (del servus tout court e di colui qui servit), cosída negare che il padre fosse mai stato, tecnicamente, uno schiavo, e dun-que tenendo distinti gli effetti delle diverse manomissioni, si potrebbe in-vece con qualche speranza di successo provare a imbastire una difesa dellaposizione dell’altro fratello, quello rimasto in famiglia, che potrebbe es-sere presa in considerazione, attraverso l’esercizio della giurisdizione pre-toria, nell’ordine successorio dei liberi. È ovvio che in un contesto reto-rico, si tratta di casi limite, che possono entrambi essere difesi, consen-tendo cosí lo sviluppo della discussione56. Mi sembra interessantericordare come per la posizione del fur manifestus Gaio (3.189) rammentila quaestio che si era sviluppata tra i veteres: anche in quel caso vi era l’ad-dictio, ma si disputava se, ex addictione, il ladro diventasse vero e proprioservus del derubato ovvero an adiudicati loco constitueretur.

Forse è questa la prospettiva dalla quale osservare la declamatio, piúche costringere l’interpretazione alla ricerca di una precisa situazione per-sonale, quella del padre, che, sotto il profilo sostanziale, non può che ap-parire «grigia», come ha sostenuto Peppe57, cioè non chiara. In tal caso loscrittore sceglie di mettere in evidenza una figura, quella del filius già ab-dicatus, prima che un ius. E ciò per chiari motivi moralizzanti, funzionalialla costruzione del personaggio principale, dell’attore che fa da protago-nista nel testo: il figlio che resta fedele pur se rinnegato e scacciato dal pa-dre, con il finale ricongiungimento e la prevalenza del figlio pietoso suquello fintamente ‘buono’. Cosí la declamatio assolve anche a una fun-zione di costruzione di un modello etico.

Per un momento, in chiusura, torniamo alla regola che dà il titolo aquesto contributo. Libertorum bona ad patronos pertineant: evidentementeserve a coprire la fattispecie presa in considerazione nella declamatio,ovviamente pro abdicato (si potrebbe dire anche pro patrono, considerata

54 Per tutti: L.A. Sussman, The Declamations of Calpurnius Flaccus cit. 136. 55 Siv. ps. Quintil. decl. min. 311, con il commento di T. Wicysk, Quidquid in foro cit. 48ss., 168 s. 56 Di recente: E. Berti, Scholasticorum studia. Seneca il Vecchio e la culturaretorica e letteraria della prima età imperiale (Pisa 2007) 79 ss. 57 L. Peppe, Fra corpoe patrimonio cit. 480 nt. 208.

[13] 325«LIBERTORUM BONA AD PATRONOS PERTINEANT»

la veste assunta processualmente). Non vale, cosí come espressa, in ognicaso, anche se può essere utile a indicare un principio genericamentepreso in considerazione dall’ordinamento (e mai contraddetto in via ge-nerale, anzi giustificato sulla base di motivazioni sociali), ma poi reso effi-cace con importanti specificazioni, che ne possono limitare la portata58.

Napoli. CARLA MASI DORIA

58 Per tutti rinvio alle scansioni storiche individuate con i corrispettivi diversiregimi giuridici in C. Masi Doria, Bona libertorum cit. spec. 15 ss. (XII Tavole), 61 ss.(riforme pretorie), 131 ss. (provvedimenti augustei).

Sommario

DONNE FAMIGLIA E POTERE IN GRECIA E A ROMA. [STUDI PER EVA CANTARELLA]

1 Luigi Labruna, «Donne e pene in Roma antica»

19 Carol Gilligan, «The Psychological Wisdom of Ancient Myths»

32 Paola Angeli Bernardini, «I cataloghi delle eroine e la funzione ge-nealogica secondaria della donna nella Grecia arcaica»

42 Aglaia McClintock, «L’ira di Demetra»

57 Michael Gagarin, «Women and the Law in Gortyn»

68 Giulio Guidorizzi, «Un padre, un figlio e una donna contesa: ilcaso di Fenice»

80 Beate Wagner-Hasel, «Die Solonische phernê: Brautgut oderMitgift?»

91 Alberto Maffi, «Lo statuto dei ‘beni materni’ nella Grecia classica»

112 Emiliano J. Buis, «‘¿Y quién creen ustedes que soy?’: Abandonoamoroso, delación judicial y la (re)distribución de roles actoralesen Pluto de Aristófanes (v. 823-1096)»

131 Laura Pepe, «Processo a un’avvelenatrice: la prima orazione di An-tifonte»

146 Luigi Capogrossi Colognesi, «Familia, pater, civis: intrecci e con-traddizioni»

155 Alessandro Corbino, «Il matrimonio romano in età arcaica e re-pubblicana»

165 Katariina Mustakallio, «Women outside their homes, the femalevoice in early Republican memory: Reconsidering Cloelia and Ve-turia»

VIII SOMMARIO

175 Nunzia Donadio, «Iudicium domesticum, riprovazione sociale epersecuzione pubblica di atti commessi da sottoposti alla patria po-testas»

196 Paola Santini, «… damnatam triumviro in carcere necandam tradi-dit …: spunti di riflessione su Val. Max. 5.4.7»

211 Maurizio Bettini, «‘Non nato da donna’. La nascita di Cesare e il‘parto cesareo’ nella cultura antica»

238 Cosimo Cascione, «Matrone vocatae in ius: tra antico e tardoantico»

244 Francesca Lamberti, «Mulieres e vicende processuali fra repub-blica e principato: ruoli attivi e ‘presenze silenziose’»

257 Tullio Spagnuolo Vigorita, «Joersiana IV: Livia, Augusto e il plebi-scito Voconio»

271 Giunio Rizzelli, «Sen. contr. 2.4 e la legislazione matrimoniale au-gustea. Qualche considerazione»

313 Carla Masi Doria, «Libertorum bona ad patronos pertineant: suCalp. Flacc. decl. exc. 14»

326 Jakob Fortunat Stagl, «La Lis de dotibus socrus et nurus e il poteredel favor dotis (Quint. decl. 360)»

342 Patrizia Giunti, «Il ruolo sociale della donna romana di età impe-riale: tra discriminazione e riconoscimento»

380 Francesca Reduzzi Merola, «Le donne nei documenti della prassicampana»

387 Bernardo Santalucia, «Incendiari, ladri, servi fuggitivi: i grattacapidel praefectus vigilum»

407 Luciana Jacobelli, «Ruolo e immagine della donna nei medaglionia soggetto erotico della Valle del Rodano»

423 Lorenzo Gagliardi, «La madre tutrice e la madre ejpakolouqhvtria:osservazioni sul rapporto tra diritto romano e diritti delle provinceorientali»

447 Rosa Mentxaka, «Género y violencia(s) en la ‘Pasión’ de Perpetuay Felicidad»

475 Antonio Banfi, «Commistioni improprie: a proposito della legisla-zione costantiniana circa le unioni fra donne libere e schiavi»

IXSOMMARIO

493 Federico Pergami, «La repressione dell’adulterio nella legislazionetardoimperiale»

512 Evelyn Höbenreich, «Vergewaltigung und Verführung in der me-dizinisch-juristischen Literatur im deutschen Sprachraum um1900»

TRADIZIONE ROMANISTICA E METODO STORICO-GIURIDICO

533 Filippo Gallo, «L’eredità perduta del diritto romano»

537 Armando Torrent, «Celso, Kelsen, Gallo e la rifondazione dellascienza giuridica»

558 Alejandro Guzmán-Brito, «El instante jurídico»

575 Valerio Massimo Minale, «Diritto romano e diritto russo antico:per un’impostazione della questione»

590 Giorgia Alessi, «Chiese, diritto, modernità»

598 Luigi Labruna, «Mario Talamanca e Index»

LE COSTITUZIONI

605 Lucia Fanizza, «Asilo, diritto d’asilo. Romolo, Cesare, Tiberio»

617 Johannes Platschek, «Das nomen universitatis in D. 3.4.7.2 (Ulp.10 ed.)»

633 Felice Mercogliano, «Humanitas vs. maiestas nelle accuse a Pisone»

640 Armando Torrent, «La cura annonae en lex Irn. 75. Un intento deexplicación en clave económica del control de los mercados»

PERSONE

671 Thomas Finkenauer, «Marco Aurelio e la schiavitú»

686 Bernardo Santalucia, «Servi della pena»

OBBLIGAZIONI

695 Amelia Castresana, «La relevancia jurídica del silencio (a propósitode ciertos deberes de información del vendedor)»

X SOMMARIO

745 Adelaide Caravaglios, «Gaio e le fonti dell’obbligazione da fatto il-lecito: il maleficium»

750 Tommaso dalla Massara, «Il contratto nella prospettiva storico-comparatistica»

PROFILI

773 Carla Masi Doria, «In Index, Guzmán-Brito»

780 Okko Behrends, «Detlef Liebs»

LA VALUTAZIONE

795 Cosimo Cascione, «Note a margine del dibattito su autonomia uni-versitaria e valutazione della ricerca»

RICORDI

803 Rosa Mentxaka, «Juan de Churruca Arellano»

807 Francesco Amarelli, «Giuliano Crifò. Un anno dopo»

810 Umberto Pappalardo, «Antonino Di Vita»

813 LIBRORUM INDEX, a cura di Fabiana Tuccillo

PREMIO BOULVERT

855 «Il bando del ‘Nono Premio romanistico internazionale GérardBoulvert’»

NOTIZIE

857 Valerio Massimo Minale, «Gli Ebrei a Bisanzio. Storia, società, di-ritto»

858 Francesca Reduzzi Merola, «République: modèles, anti-modèles etutopies»

860 Rita Compatangelo-Soussignan, «Guerres, violences et corps sup-pliciés»

XISOMMARIO

863 Valentina Dell’Anno, «Aurum. L’oro nelle culture del Mediterra-neo antico»

866 Alessandro Manni, «Diritto romano e scienze antichistiche nell’eradigitale»

874 Vanessa Cavalleri, «La LXV Sessione della SIHDA»

881 Francesco Milazzo, «Arcaismi: tra diritto romano e diritto mo-derno»

882 Elena Krinytzyna, «Alessandro Corbino e Manuel García Garridodottori moscoviti honoris causa: diritto romano e attualità»

884 Cosimo Cascione, «Su diritto e verità»

886 Valeria Di Nisio, «L’impatto della cultura giuridica tra Europa eAmerica Latina»

888 Oriana Toro, «Tempo e tempi del diritto»

892 Maria Vittoria Bramante, «Lingue e testi tecnici antichi»

894 Luigi Labruna, «Politica antica»

895 ABSTRACTS

INDICE

913 «Libri discussi»

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