Liberali, socialisti, martiri. Gli eretici medievali tra Ottocento e Novecento.

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ANNO XV NUMERO 4 LUGLIO-AGOSTO 2011 Le Lettere ontemporanea toria BIMESTRALE DI STUDI STORICI E POLITICI SULL’ETÀ CONTEMPORANEA

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Le Lettere

ontemporaneatoria

B I M E S T R A L E D I S T U D I S T O R I C I E P O L I T I C I S U L L ’ E T À C O N T E M P O R A N E A

Direttore

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Comitato scientifico

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LETTERE

ANNO XV - NUMERO 4 LUGLIO-AGOSTO 2011

SAGGI

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RICERCHE

NOTE E DISCUSSIONI

Francesco PerfettiAlle origini dell’egemoniaIdeologie e culturedell’Italia repubblicana 5

George-Henri SoutouL’Intelligence francesee l’Europa dell’EstI servizi di informazione tra laQuarta e la Quinta Repubblica 15

Massimiliano TenconiIl mondo cattolico e la politicasociale del fascismo 33

Federico RobbeGli Stati Uniti e Achille Lauronegli anni CinquantaStoria di un incontro impossibile 45

Fabio FattoreI corrispondenti di guerra italianie la campagna di Russia 73

Riccardo FacchiniLiberali, socialisti, martiriGli eretici medievali traOttocento e Novecento 95

RECENSIONI

Maurizio SerraLa Francia di Vichye il collaborazionismo 113

Alessandro OrsiniFilippo Turatie la cultura politica dei riformistiUn’analisi comparata (1898-1921) 135

Matematici al Senatoda Silvio Maracchia 163

Gabriel de Broglie, La monarchiede Juillet 1830-1848di Maurizio Serra 165

Rivista bimestrale anno XV - n. 4 - luglio-agosto 2011

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La corrispondenza va inviata a:Casa Editrice Le LetterePiazza dei Nerli, 8 - 50124 FirenzeCopyright © 2011: Casa Editrice Le Lettere srl - Firenze

Finito di stampare nel mese di settembre 2011 presso la Tipografia ABC - Sesto Fiorentino (FI)

In copertina: Un manifesto di propaganda diffuso a Vichy con l’immagine dell’AmmiraglioDarlan.

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l panorama degli studi eresiologici italiani si presenta come un inte-ressante orizzonte di indagine per chiunque abbia mai desiderato av-venturarsi nel complesso mondo dei movimenti ereticali di età tardomedievale. L’alto valore scientifico degli studi di Manselli, di Mor-ghen, di Merlo e di tutto il filone eresiologico italiano, non pare però

in questi anni aver contribuito – rimanendo relegato in parte solo all’ambito ac-cademico – alla demolizione di diffuse vulgate aventi per protagonisti gli ereticiitaliani. Nel credo collettivo, infatti, questi personaggi si collocano in uno spazionebuloso della memoria e, laddove le reminiscenze scolastiche non riescono acolmare tali vuoti, queste vengono soppiantate dai numerosi clichés loro inerenti:gli eretici sono quindi stati oggetto di numerose strumentalizzazioni negli ultimidue secoli e, all’occasione, si sono trasformati in “liberi pensatori” ante litteram,partigiani o ireniche vittime dell’oscurantismo ecclesiale.

Per scorgere i primi casi di appropriazione della vicenda personale di un ereticodobbiamo partire dagli esordi del processo di secolarizzazione della società euro-pea, iniziato agli albori del XVIII secolo e ampliatosi poi in seguito alla diffusionedei messaggi provenienti dalla Francia rivoluzionaria. Ciononostante, già a partiredai secoli precedenti – soprattutto da parte di autori di area protestante o gianseni-sta – venne intrapreso uno sdoganamento degli eresiarchi medievali, visti sempremaggiormente come “protoriformatori” messi a tacere dalle autorità ecclesiastichee non più come i nemici della fede descritti dalla controversistica cattolica.

Gli eretici che più si sono prestati a una strumentalizzazione politico-ideologi-ca non sono stati, ovviamente, quelli condannati dalla Chiesa durante l’età tardoantica o alto medievale. Essi non arringavano folle ribelli e quasi mai si scagliaro-no contro l’autorità romana. Le loro caratteristiche da “eretici dotti”, più inclinia discutere delle nature presenti in Cristo piuttosto che del diritto della Chiesa apossedere beni, erano poco utili agli scopi degli anticlericali ottocenteschi o no-vecenteschi. Il sofisticato impianto teologico del monotelismo, ad esempio, dif-ficilmente avrebbe eccitato le fantasie di scrittori e artisti. Nell’Italia del XIXsecolo le istanze pauperiste di un Arnaldo si sarebbero invece rivelate molto piùadatte – in quel determinato contesto storico – a biasimare e condannare il poteretemporale dei Papi, ultimo ostacolo sulla tortuosa strada del progetto di unitànazionale promosso dalla classe dirigente liberale piemontese.

L’affermazione della storiografia marxista ha inoltre successivamente fornito,agli inizi del XX secolo, un sostanzioso contributo alla trasmissione dell’imma-gine di un eretico quasi sempre “povero”, leader di rivolte più sociali che religiose

Liberali, socialisti, martiri

di Riccardo Facchini

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IGli eretici medievali tra Ottocento e Novecento

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e vittima della repressione borghese-clericale. Tutte queste caratteristiche venne-ro, in Italia, attribuite alla romantica figura di Dolcino che ha fornito ampiomateriale alla costruzione di un’agiografia marxista che giunse addirittura a scor-gere nella sua tenace resistenza sul monte Rubello un illustre precedente di quellaattuata dalle bande partigiane del secondo dopoguerra1.

Credo sia ora necessario precisare che questo studio non pretende di essere unasumma storiografica di tutti gli autori che hanno trattato – negli ultimi due secoli– il tema delle eresie. Scopo principale, infatti, sarà certamente analizzare le opi-nioni di alcuni storici sull’argomento, ma limitando la ricerca a quelle posizionipiù segnate da un approccio ideologico e, al tempo stesso, ampliandolo anche aopere di carattere divulgativo (piéces teatrali, romanzi) che influenzarono nonpoco l’opinione pubblica del tempo.

Dall’analisi del dibattito che si sviluppò in seguito alla riabilitazione di questecontroverse figure si può così giungere a cogliere quali fossero i fini e le aspetta-tive degli uomini che, durante il XIX e il XX secolo, hanno strumentalizzato lafigura degli eretici medievali, contribuendo a trasmettere al grande pubblico quel-l’immagine stereotipata dell’eretico a cui ho accennato poc’anzi.

Tale dibattito, appare forse superfluo ricordarlo, vide nella maggior parte deicasi – almeno fino agli inizi del Novecento – l’opinione pubblica cattolica schie-rata contro intellettuali di area liberale o socialista. La Chiesa Cattolica ben co-glieva, infatti, la ragione profonda della apologia degli eretici compiuta da partedel mondo anticlericale. Arnaldo, Dolcino – ma anche Bruno e altri – potevanoinfatti essere dei pericolosi arieti usati per incrinare l’autorità della Chiesa stessa.

L’esposizione di spesso fantasiose interpretazioni aventi come oggetto le vitedegli eretici non è però finalizzata al “mettere alla berlina” questo o quell’intellet-tuale, liberale, marxista o anticlericale che sia. Il ruolo di questi ultimi fu infattiimportante agli albori della ricerca sul fenomeno dell’eresia medievale; anzi, que-sto saggio intende in parte anche essere un omaggio a coloro che, sebbene tutt’al-tro che imparziali, hanno comunque avuto il merito di “smuovere le acque” e difar iniziare, sia in ambito laico che cattolico, uno studio approfondito sulle fonti.

Non possiamo però negare che, anche a causa dei loro ormai superati lavori, atutt’oggi sugli eretici medievali si riversi spesso una “simpatia” che fa dimenticarequali fossero le più verosimili motivazioni alle origini delle loro ribellioni.

Eretici, massoni e gesuiti: Arnaldo come eroe risorgimentale2

«I temi arnaldiani hanno, come dire, troppa forza di contemporaneità, richia-mano cioè lo storico pensoso a problemi che i nostri tempi sentono e sollecitano

1 P. SECCHIA-C. MOSCATELLI, Il Monte Rosa è sceso a Milano, Torino, Einaudi, 1958, p.173.2 La bibliografia su Arnaldo è molto vasta. Mi limito qui a segnalare i contributi più importanti. Cfr. G.

DE CASTRO, Arnaldo da Brescia e la rivoluzione romana del XII. Secolo, Livorno, F. Vigo, 1875; A. DESTEFANO, Arnaldo da Brescia e i suoi tempi, Roma, Bilychnis, 1921; P. FEDELE, Fonti per la Storia di Arnal-do da Brescia (Testi medievali per uso delle scuole universitarie 1), Roma, 1938; A. FRUGONI, Arnaldo daBrescia nelle fonti del secolo XII, Torino, Einaudi, 1989; M. PEGRARI (a cura di), Arnaldo da Brescia e il suotempo, Brescia 1991; R. SCHMITZ-ESSER, Arnold of Brescia in exile: April 1139 to december 1143. His roleas a reformer, reviewed, in Exile in the Middle Ages. Selected proceedings from the International MedievalCongress, University of Leeds, 8-11 July 2002, Turnhout, 2004, pp. 213-231; A. SURACI, Arnaldo da Bre-scia, un agitatore del secolo XII (1095-1155), Asti, Elle di ci, 1952.

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con una intensità tutta tesa»3. Le parole con cui Arsenio Frugoni si rivolgeva nel1955 agli studenti della Scuola Normale Superiore, iniziando un ciclo di lezioniincentrato sull’Arnaldismo, dimostrano come, ancora nel secondo dopoguerra,le vicende dell’eretico bresciano potessero risultare motivo di dibattito. Nonpossiamo esattamente percepire e descrivere quale fosse, ancora nel 1955, la “for-za di contemporaneità” delle tematiche arnaldiane a cui faceva riferimento Fru-goni. Forse lo studioso si riferiva a quel bisogno percepito, in parte del mondocattolico, di una autoriforma della Chiesa che sarebbe poi culminato nell’indizio-ne del Concilio Vaticano II. Evitando però di avanzare audaci ipotesi su quale siail significato da attribuire alle parole del Frugoni è bene ora invece ripercorrere imotivi di scontro e discussione che, nel secolo precedente, seguirono alla rivalu-tazione del bresciano soprattutto nella cultura risorgimentale.

Lo “sdoganamento” italiano di Arnaldo fu, infatti, un’iniziativa in gran parteottocentesca, sebbene, già a partire dalla rivoluzione luterana, si fosse timidamentecominciato a parlare di lui come una sorta di primo riformatore. Esemplare alriguardo fu la sua apparizione nel Catalogus testium veritatis di Flacio Illirico, nelquale, però, compariva erroneamente sotto le insolite vesti di vescovo di Brescia4.

Il suo inserimento, da parte di autori protestanti, nel proprio personale panthe-on è quindi perfettamente comprensibile poiché fu compiuto da studiosi che,rimanendo in ambito strettamente religioso, cercavano negli eretici del medioevoillustri precursori dei loro strappi con Roma5.

A partire dal Settecento iniziò progressivamente la rivalutazione “laica” di Ar-naldo da parte soprattutto del mondo illuminista, basti pensare al giudizio che dilui diede Voltaire6, ma una svolta decisiva si verificò solo alla fine del secolo XVIII,grazie all’opera del sacerdote giansenista Giovan Battista Guadagnini7.

Il Guadagnini – che, “per mezzo di Arnaldo”, ambiva sostanzialmente alla “as-soluzione del gruppo giansenista”8 – era animato dai medesimi intenti degli autoriprotestanti. Intendeva infatti giustificare le proprie posizioni dottrinali utilizzan-do l’epopea di “martiri” vissuti molti secoli prima. L’autore – la cui opera presentanumerose imprecisioni “pur rappresentando un serio impegno di scientificità”9 –non giudica infatti mai le posizioni dell’eretico come eterodosse, ne esalta anzi ilvalore “riformatore” che esse avrebbero potuto avere se solo il papato avesseaccettato di rifiutare di “addossarsi il peso del governo temporale e terreno”10. La

3 A. FRUGONI, La fortuna di Arnaldo da Brescia, in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa”, II,24 (1955), p. 146.

4 M. FLACIUS ILLYRICUS, Catalogus testium veritatis, qui ante nostra aetatem reclamarunt Papae, Basel,1556, p. 645 ; M. FLACIUS ILLYRICUS, Catalogus testium veritatis, qui ante nostram aetatem Pontifici Roma-no atque Papismi erroribus reclamarunt, II, Lyon, 1597, p. 482.

5 A. FRUGONI, La fortuna, cit., p. 154. Oltre alla timida esaltazione dell’eretico da parte protestante, ènecessario ricordare le ovvie posizioni critiche assunte, dal XVI fino al XVIII secolo, da autori cattolicicome Cesare Baronio, Ludovico Antonio Muratori e sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Cfr. R. SCHMITZ-ESSER, Giuseppe Mazzini im 12. Jahrhundert: Zur Rezeption Arnolds von Brescia in Italien zwischen 1750und 1950, in «Römische Historische Mitteilungen», 47 (2005) pp. 375-376.

6 VOLTAIRE, Essai sur le moeurs et l’esprit des nations et sur le principaux faits de l’histoire depuis Charle-magne jusqu’a Louis XIII, Paris 1963, p. 509: « En ce temps, Arnaud de Brescia, un de ces hommes àenthousiasme, dangereux aux atre set à eux-mêmes, prêchait de ville en ville contre le richesses immense-s des ecclésiastiques, et contre leur luxe. Il vint à Rome il trova les esprits disposés à l’entendre. Il se flattaitde réformer les papes, et de contribuer à rendre Rome libre ».

7 G.B. GUADAGNINI, Apologia di Arnaldo da Brescia, Pavia 1790. Un altro giansenista, Pietro Tamburini,aveva già in precedenza preso le difese di Arnaldo: cfr. R. SCHMITZ-ESSER, Giuseppe Mazzini, cit., p. 376.

8 A. FRUGONI, La fortuna¸ cit., p. 156.9 ID., Lettura del giansenista Guadagnini (1723-1807), in «Ricerche religiose», XVIII, 1948, p. 115.10 G.B. GUADAGNINI, Apologia di Arnaldo da Brescia, cit., p. 30.

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sua interpretazione rimaneva quindi circoscritta a un dibattito – quello sollevatodalle posizioni dottrinali dei giansenisti – ancora inserito in una logica di scontrotra diverse posizioni religiose. Ciononostante il lavoro del Guadagnini ricoprì inseguito un’enorme importanza nella costruzione mitica della figura di Arnaldooperata durante l’epoca risorgimentale, soprattutto in campo neoghibellino.

Possiamo infatti constatare come le opinioni del Guadagnini – che, sebbene allimite dell’eterodossia, analizzavano comunque gli aspetti più propriamente dot-trinali della predicazione di Arnaldo – venissero riprese, non molti anni dopo, daldrammaturgo Giovanni Battista Niccolini.

Questi condivideva infatti, con il giansenista, forse solo il nome di battesimo:repubblicano, liberale, anticlericale e avverso alle teorie neoguelfe11, nulla lo lega-va apparentemente alle posizioni di un prete giansenista o, tantomeno, alle vicen-de di un eretico vissuto sette secoli prima. Eppure, con lui, si può dire abbia de-finitivamente inizio l’appropriazione ideologica delle vicende di Arnaldo da partedi intellettuali laici ed anticlericali.

Il drammaturgo toscano, autore di diverse tragedie a sfondo patriottico12, pen-sò infatti di utilizzare Arnaldo come personaggio principale di una delle sue ope-re. Il risultato fu la stesura dell’Arnaldo da Brescia, composta nel 1840, e ambien-tata durante la predicazione di Arnaldo a Roma in seguito ai tumulti del 114313.

Nel dramma, in cui emerge soprattutto la “riesumazione e riproposizione ro-mantico-risorgimentale d’un Medioevo rivisitato e rivissuto”14, la tematica nazio-nalista si staglia chiara fin dalle prime pagine. Già dall’introduzione all’edizionedel 1852, l’autore sottolineava infatti che ad uccidere Arnaldo furono soprattuttoun “pontefice inglese” (Adriano IV) e un “imperatore tedesco”15 (Federico IBarbarossa).

Numerosi sono inoltre i punti della tragedia in cui emerge l’anticlericalismoneoghibellino del Niccolini/Arnaldo. Esemplari i passi in cui il bresciano incita ilpopolo romano a togliere “all’empia [la Chiesa, nda] scettro e spada” affinchérendesse loro le “malnate ricchezze”16 poiché “il clero” – aggiunge Arnaldo dopopoche battute – “tutto acquistò con forza o con inganno”17.

Elemento tipico della propaganda risorgimentale era, come risaputo, anchel’evocazione idealista dei fasti della Roma repubblicana, in antitesi a quella papa-lina. Anche questo aspetto non era assente nell’opera niccoliniana e si evince

11 Vincenzo Gioberti, principale rappresentante del neoguelfismo italiano, definì inizialmente Arnaldoun “utopista pazzoide”, per poi moderare successivamente il suo giudizio: cfr. V. GIOBERTI, Del primatomorale e civile degli italiani, I, Brüssel3, 1884, pp. 19-23; IDEM, Il gesuita moderno, II, (Opere di VincenzoGioberti), Lausanne, 1846, p. 584. In merito ai contrastanti giudizi dei neoguelfi, tra cui Cesare Balbo, suArnaldo cfr. R. SCHMITZ-ESSER, Giuseppe Mazzini, cit., pp. 379-380.

12 Cfr. Studi su Giovan Battisti Niccolini. Atti del Convegno di San Giuliano Terme, 16-18 settembre1982, Pisa, Giardini, 1985.

13 Il dramma del Niccolini non fu l’unica opera teatrale dedicata ad Arnaldo. Come ricorda Benzoni, l’ere-tico fu protagonista di un’altra tragedia, composta da Carlo Marenco intorno al 1834 ma pubblicata nel 1856.L’opera non ebbe però lo stesso successo di quella di Niccolini. Ciò fu dovuto sia al fatto che fu pubblicataquattro anni dopo e, in parte, anche al taglio più spiccatamente neoguelfo del dramma. La vicenda di Arnal-do venne infatti relegata da Marenco più a «un dolente episodio d’orgoglio individuale sconfitto» che auna titanica e niccoliniana ribellione del bresciano contro le autorità ecclesiastiche. Cfr. G. BENZONI, Ilfantasma di Arnaldo in Arnaldo da Brescia e il suo tempo, cit., p. 76; v. anche C. MARENCO, Tragedie ineditedi Carlo Marenco aggiuntevi alcune liriche e la Pia de’ Tolomei tragedia, Firenze, Le Monnier, 1856.

14 G. BENZONI, Il fantasma di Arnaldo, cit., p. 74.15 G.B. NICCOLINI, Arnaldo da Brescia: tragedia, Firenze, Le Monnier, 1852, p. 1.16 Ivi, p. 59.17 Ibidem.

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perfettamente nell’esortazione che Arnaldo fa al “popol di Roma” affinché torni“a grandezza e virtù”18.

L’opera, dopo aver riscosso un immediato successo di pubblico19, suscitò il pre-vedibile sdegno degli ambienti ecclesiastici. Tra questi, la voce più critica fu quelladei gesuiti che, dalle pagine della «Civiltà Cattolica», definivano il Niccolini “unillustre letterato, che per avventura diè troppa fede agli scritti dell’arciprete Gua-dagnini” e che inoltre “chiamò la poesia e la tragedia a render più popolare l’apo-teosi dell’infelice Bresciano”20.

Appare quindi fin troppo facile ironizzare sull’opera del Niccolini, se pensiamoanche alla presunta estrazione “plebea” che il bresciano avrebbe avuto secondo ildrammaturgo21. Il ghibellinismo, d’altronde, “di ingegni storici non brillò”22. Èperò opportuno sottolineare che “la banalità perfino efficace”23 dell’anticlericali-smo di Niccolini, il vero leit motiv della sua opera, stimolava facilmente le fanta-sie di molti intellettuali dell’epoca, tra cui Giosuè Carducci24, che ricevettero l’im-magine di Arnaldo esattamente così come venne trasmessa dal drammaturgo to-scano e che ne fecero, in tal modo, un loro eroe e martire.

La distorsione dell’immagine di Arnaldo elaborata tramite opere di caratterestorico-divulgativo – come l’Apologia del Guadagnini o la tragedia del Niccolini– non portava però ancora il dibattito al di fuori di una ristretta cerchia di intel-lettuali e rimase quindi circoscritto a quei pochi letterati neoguelfi o neoghibel-lini che avevano tempo e voglia di disquisire sulla personalità di un eretico vissutosette secoli prima25. Un vero “caso Arnaldo” nacque invece quando l’immagine ela memoria del bresciano, e con lui di molti altri “martiri della libertà”, iniziò a essereincisa in modo indelebile su statue e monumenti. L’impatto propagandistico chela monumentalistica di epoca post unitaria poteva avere sugli animi più semplicipreoccupava infatti la Chiesa Cattolica, che temeva non poco la strumentalizzazio-ne della figura degli eretici portata avanti in quegli anni dagli anticlericali.

Giungiamo così al 1870, anno della conquista di Roma da parte dei Savoia edella sua elevazione al rango di capitale del neonato Regno. La breccia aperta aPorta Pia dai bersaglieri spianò la strada all’innalzamento, nella Città Santa, diuna lunga serie di monumenti dedicati a eroi o precursori ideali del Risorgimen-to. Tra questi, spicca – e non ci dovrebbe ormai sorprendere – un busto di Arnal-do che fa bella mostra di sé al Pincio, dove fu collocato nel 187126. Nello stessoanno il comune decise di stanziare 500 lire per la costruzione di un monumentodedicato al bresciano27.

18 Ivi, p. 61.19 G. BENZONI, Il fantasma di Arnaldo, cit., p. 75.20 Arnaldo da Brescia, in «La Civiltà Cattolica», IV, 2 (1851), p. 35. V. anche G. PIANCIANI, Intorno ad

Arnaldo da Brescia. Nuove considerazioni, in «La Civiltà Cattolica», V, 8 (1857), 654-665; ID., Intorno adArnaldo da Brescia. Nuove considerazioni, in «La Civiltà Cattolica», VI, 8 (1857), 43-59.

21 G.B. NICCOLINI, Arnaldo da Brescia, cit., p. 63: «Amo la plebe, d’esser plebeo mi vanto».22 A. FRUGONI, La fortuna, cit., p. 157.23 Ibidem.24 Cit. in ibidem, p. 158: “Arnaldo da Brescia lo gridò alto: né papa, né imperatore! Risaliamo il Cam-

pidoglio e ristoriamo la repubblica!”.25 Secondo Carlotta Sorba, al contrario, la «commercializzazione» di tale genere di opere si inseriva “nel

solco di [...] una crescente permeabilità della produzione operistica al gusto del pubblico”. Cfr. C. SORBA,Il Risorgimento in musica: l’opera lirica nei teatri del 1848, in A. M. BANTI-R. BIZZOCCHI (a cura di),Immagini della nazione nell’Italia del Risorgimento, Roma, Carocci, 2002, p.135.

26 L. BERGGREN-L. SJÖSTEDT, L’ombra dei grandi: monumenti e politica monumentale a Roma (1870-1895), Roma, Artemide, 1996, p. 103.

27 Atti del Consiglio Comunale di Roma 1870-1871 (d’ora in poi ACCR), p. 372.

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Quest’ultima impresa, a Roma, non fu mai realizzata. Vi riuscì invece il comunedi Brescia che, nel 1882, grazie anche a finanziamenti provenienti dalle casse ca-pitoline28, inaugurò solennemente il monumento al suo illustre cittadino.

Autore dell’opera – che, per alcuni, era piuttosto somigliante alla figura diMazzini29 – fu lo scultore Odoardo Tabacchi, che ricopriva in quegli anni un ruo-lo simile a quello che il Niccolini aveva svolto pochi anni prima nel campo delladrammaturgia. Come molte delle tragedie niccoliniane erano infatti incentrate suepisodi storici reinterpretati in chiave romantico-risorgimentale (il paragone conVerdi è quasi obbligato), così Tabacchi dedicò quasi tutta la sua produzione arti-stica alla celebrazione di grandi eroi del Risorgimento. Tra i suoi lavori più impor-tanti ricordiamo infatti il monumento a Cavour eretto a Milano, quello di Gari-baldi a Torino e quello di Umberto I ad Asti. Niccolini e Tabacchi condividevanoquindi, insieme a molti altri artisti loro contemporanei, una visione del ruolodell’arte di carattere pedagogico-civile e di matrice decisamente mazziniana. Lostesso Mazzini era infatti un “osservatore particolarmente lucido del mondomusicale [e artistico in generale, n.d.A.] italiano”30 e, sulla scia di Schlegel e inlinea col pensiero romantico31, attribuiva alle forme d’arte – e in particolare al“teatro per musica”32 – un elevato ruolo “civile e morale”33.

Tornando ora al monumento ad Arnaldo, questo fu inaugurato il 14 agosto del1882, sebbene i primi progetti risalissero a ben vent’anni prima34. I quotidiani li-berali dell’epoca seguirono con interesse l’evento35, ma la più dettagliata cronacadella giornata, sebbene affatto imparziale, la troviamo nelle pagine della “CiviltàCattolica” dello stesso anno36.

All’inaugurazione sembra fossero presenti ben “cinquecento personaggi gra-duati in frammassoneria”37. Il riferimento alla matrice massonica della celebrazio-ne è più volte ribadito dal cronista gesuita, che sottolinea come “cotal festa mas-sonica” somigliava “a tutte le altre di tal genere già celebrate pel Mazzini, pelGaribaldi ed altri cotali”38.

Altre voci cattoliche si levarono contro la fastosa cerimonia, denunciando an-che i presunti sprechi di denaro pubblico che l’inaugurazione avrebbe comporta-

28 L. BERGGREN-L. SJÖSTEDT, L’ombra dei grandi..., cit., p. 103.29 G. RODA, Monumento ad Arnaldo, in Brixia 1882, Brescia 1882, p. IX: “chi ebbe famigliare Mazzini,

non trova in lui forse riprodotto Arnaldo?”.30 C. SORBA, Il Risorgimento in musica..., cit., p. 134.31 G. TOMLINSON, Italian Romanticism and Italian Opera. An essay in their affinities, in “19th Century

Music”, X, 1986, 1, pp. 43-60; R. MONTEROSSO, La musica nel Risorgimento, Milano 1948.32 C. SORBA, Il Risorgimento in musica..., cit., p.135.33 Ibidem. Per meglio comprendere il pensiero mazziniano sull’argomento cfr. G. MAZZINI, Filosofia della

musica, a cura di M. DE ANGELIS, Rimini-Firenze, Guaraldi, 1977; ID., Doveri dell’uomo, Firenze 1921.Come ricorda Simon Levis Sullam, tutta l’opera di Mazzini era permeata di un forte carattere “pedagogi-co-patrernalistico”: cfr. S. LEVIS SULLAM, L’apostolo a brandelli. L’eredità di Mazzini tra Risorgimento efascismo, Roma-Bari, Laterza, 2010, p. 6.

34 G.L. MASETTI ZANNINI, Nell’Unità italiana, in Storia di Brescia, IV, Dalla Repubblica Bresciana aigiorni nostri (1797-1963), Brescia, Morcelliana, 1964, pp. 438-439.

35 Cfr. Arnaldo da Brescia, in «La Capitale», 14 agosto 1882: “Oggi la città di Brescia, col consenso econ gli applausi di tutta Italia, inaugura un monumento in onore del suo grande Arnaldo. La chiesa cat-tolica, col mezzo dei suoi giornali, lo chiama ancora un malvagio, mentre la storia e la civiltà lo hannocollocato fra gli eroi, fra i benefattori del genere umano”. Parole di elogio furono spese, negli stessi gior-ni, anche dai giornalisti de «Il Diritto», «La Riforma» e «Il Popolo Romano»: cfr. R. SCHIMTZ-ESSER,Giuseppe Mazzini, cit., p. 384

36 Cronaca Contemporanea, III, Cose Italiane, in «La Civiltà Cattolica», XI, 33 (1882), pp. 754-759.37 Ivi, p. 754.38 Ibidem.

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to. Tra queste ricordiamo quella del «Popolo Cattolico» che sosteneva, inoltre,che l’intera festa si era rivelata un colossale fiasco: “l’impresa degli entusiasmi feceuna ben magra figura: gli esercenti rimasero di stoppa; si andava dicendo chesarebbero capitati da tutta Italia e dalla provincia e perfino dall’estero, dalla Germa-nia e dalla Svizzera, forse un cinquantamila persone, ed invece la piazza del Mercatograni restò per due terzi vuota; si calcola non ci fossero più di tremila persone”39.

Le fonti di parte cattolica sottolineano come la popolazione bresciana si sentissesostanzialmente estranea alle celebrazioni: “la campagna si è quasi astenuta [...] mol-te famiglie signorili si assentarono dalla città in atto di protesta”; si riferisce inoltredi “alcuni fischi all’indirizzo di Zanardelli nel recarsi alla stazione”40. Sembrava pro-prio che “a queste feste per Arnaldo, Brescia [...] e l’Italia non erano presenti”41.

Nonostante la presunta estraneità della popolazione bresciana, l’inaugurazionefu decisamente solenne, così come ammesso anche dalla rivista gesuita42. La pre-senza in città, pochi giorni prima, del re Umberto I – e l’elogio che il sovranostesso fece di Arnaldo43 – contribuirono infatti a conferire all’inaugurazione untono ancor più ufficiale.

Il 14 agosto, in assenza del sovrano, il compito di rappresentare il governo sa-baudo fu però affidato al Guardasigilli, il ministro Zanardelli, che non esitò daldefinire l’eretico bresciano un vero “martire della libertà”44. Il ministro della Sini-stra Storica aveva molto a cuore la figura di Arnaldo: oltre a essere originario luistesso di Brescia, aveva dimostrato fin dagli anni Sessanta il suo appoggio allacostruzione di un monumento ad Arnaldo, così come si evince da una sua letteraa Benedetto Cairoli datata 25 novembre 186945. Nel 1878 il nome di Arnaldo rie-cheggiò addirittura nell’aula del parlamento, durante un discorso parlamentare incui Zanardelli paragonò Arnaldo alla persona di Giuseppe Mazzini46.

Nonostante questo revival di arnaldismo, sembra però che nessuno, in queglianni, portasse avanti serie ricerche sulle vicende che videro come protagonistaArnaldo47. Ancora nel 1901, in uno studio pubblicato da Umberto Leoni che pursi distingue per un accorto utilizzo delle fonti, si poneva in risalto il grande “acu-me politico”48 di un Arnaldo le cui idee furono soffocate dal “giogo pesante della

39 Cfr. «Il Popolo Cattolico», 18 agosto 1882.40 Ibidem. Giuseppe Zanardelli, che ricoprirà la carica di presidente del Consiglio dei Ministri del Re-

gno d’Italia dal febbraio 1901 al novembre 1903, era giunto in quei giorni nella sua città natale nelle vestidi ministro della giustizia, in rappresentanza del re Umberto I.

41 Cfr. «Il Cittadino di Brescia», 17 agosto 1882.42 “Tuttavolta, per omaggio alla verità, dobbiamo aggiungere che, sotto il risguardo del carattere ufficia-

le, l’apoteosi di Arnaldo non potea essere più splendida”: v. Cronaca Contemporanea, in «La Civiltà Catto-lica», XI, 33 (1882), p. 756.

43 Ibidem.44 Ibidem. Sempre secondo «La Civiltà Cattolica», il testo del discorso – così come fu stampato nel

Diritto n. 231 del 19 agosto – fu addirittura “emendato e corretto” a causa del continuo “oltraggio allareligione” presente invece nel discorso pronunciato originariamente di fronte alla folla.

45 Cit. in E. SANESI, Giuseppe Zanardelli: dalla giovinezza alla maturità. Con documenti inediti, Brescia,Ateneo di Brescia, 1967, pp. 111-112.

46 Cfr. G. ZANARDELLI, Discorsi parlamentari. Pubblicati per deliberazione della Camera dei Deputati, I,Roma, Tipografia della Camera dei Deputati, 1905, p. 149.

47 Gli studi di Ragazzoni e Fedele, primi sintomi dell’inizio di una ricerca scientifica sul tema, giunseroinfatti solo negli anni Trenta del XX secolo. Cfr. A. RAGAZZONI, Arnaldo da Brescia nella tradizione sto-rica, Brescia, Vittorio Gatti, 1937; P. FEDELE, Fonti per la storia di Arnaldo da Brescia, cit. Primi tentativisi ebbero però già a partire dalla fine del secolo XIX, con la pubblicazione dello studio di De Castro. Cfr.G. DE CASTRO, Arnaldo da Brescia e la rivoluzione romana del XII secolo. Studio, Livorno, F. Vigo, 1875.

48 U. LEONI, L’uomo politico nell’Arnaldo da Brescia di G. B. Niccolini. Saggio storico-letterario, Roma,Tipografia Nazionale di G. Bertero, 1901, p. 22.

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tirannia teocratico-imperiale”49. Nonostante l’autore ribadisse, commentando latragedia del Niccolini, che “il tragico non è lo storico” e che “una tragedia non èla storia”50, la sua faziosità rappresentava ancora, per lui come per altri studiosi,un notevole intralcio, che impediva una ricostruzione delle teorie del bresciano ilpiù possibile scevra da incrostazioni ideologiche.

Ciononostante, grattando oltre la superficie “reazionaria” di molte espressioni,la breve descrizione che la «Civiltà Cattolica» dava di Arnaldo negli anni Ottantadel XIX secolo poteva inaspettatamente offrire alcuni utili spunti per una vero-simile ricostruzione della sua personalità.

Nell’articolo L’apotesi di Arnaldo da Brescia, pubblicato nello stesso numero incui si dava ampio spazio all’inaugurazione del monumento, la rivista gesuita di-mostrava infatti di sapere ben utilizzare le fonti a disposizione; fonti utilizzate, ènecessario ricordarlo, sempre in funzione apologetica e antimassonica ma con cui,in ogni caso, si tentava di restituire l’eretico al contesto in cui era vissuto.

L’aspra critica rivolta alle presunte idee “liberali” di Arnaldo offriva infatti ildestro all’autore per soffermarsi brevemente sulle posizioni politiche del brescia-no così come sono giunte a noi attraverso le fonti51. Posizioni che l’autore defi-niva audacemente, a causa della spiccata preferenza di Arnaldo per un forte pote-re imperiale in sostituzione a quello temporale della Chiesa, “regaliste”. Proprioevidenziando il “cesarismo”52 di Arnaldo i gesuiti tentavano quindi di sottolinearele contraddittorie posizioni di chi, in quegli anni, voleva arruolarlo tra le fila deirepubblicani anticlericali53.

L’inaugurazione del monumento bresciano offrì l’opportunità, agli anticlericaliromani, di tentare una simile operazione anche nella nuova capitale del Regno. Ilbusto posizionato undici anni prima sulla terrazza del Pincio a Roma voleva forserappresentare solo l’inizio di una sequela di opere dedicate all’eretico.

La loggia Galileo propose di collocare una lapide dedicata ad Arnaldo nel pre-sunto luogo della sua esecuzione. L’incisione che i massoni proposero recitava:“AD / ARNALDO DA BRESCIA / DEL TEMPORAL REGGIMENTO DELLA CHIESA / TRA LEFIAMME DEL ROGO OPPUGNATORE FORTISSIMO / LA LOGGIA GALILEO DI ROMA / AU-SPICE LA LIBERA MURATORIA D’ITALIA / XX SETTEMBRE MDCCCLXXXII”54. La lapide, però,non fu mai realizzata. Probabilmente, come ricordano Berggren e Sjöstedt, “Ar-naldo a Brescia e Arnaldo a Roma erano due cose distinte e separate”55: non sipotevano, cioè, condizionare eccessivamente i già aspri rapporti tra il Comune el’Oltretevere. La ferita di Porta Pia era ancora drasticamente aperta56.

49 Ivi, p. 53.50 Ivi, p. 59.51 Cfr. GIOVANNI DI SALISBURY, Historia Pontificalis, in MGH, SS, XX, c. 31, p. 538: “Preterea non esse

homines admittendos, qui sedem imperii fontem libertatis Romam, mundi dominam, volebant subicereservituti”. Cfr. anche OTTONE DI FRISINGA, Gesta Friderici I Imperatoris, in MGH, SS, XX, c. 20, pp. 403-404: “Dicebat enim, nec clericos proprietatem, nec Episcopos regalia, nec monachos possessiones haben-tes, aliqua ratione salvari posse: cuncta haec principis esse, ab eiusque beneficentia in usum tantum laico-rum cedere oportere”.

52 L’apoteosi di Arnaldo da Brescia, in «La Civiltà Cattolica», XI, 33 (1882), p. 265.53 Ivi, p. 264: “Senonchè fu egli, nei principi teorici, liberale, secondo il significato che oggi politica-

mente a questo vocabolo si assegna? Tutt’altro! Il Guadagnini, che pure nella sua apologia idolatra Arnal-do, è costretto dall’evidenza a dichiararlo regalista”.

54 Archivio Storico Capitolino, Gabinetto del Sindaco, 1882, b. 8, Pos. 93, fasc. “Monumenti ad uominiillustri”, s.f. “Monumento ad Arnaldo da Brescia”.

55 L. BERGGREN-L. SJÖSTEDT, L’ombra dei grandi..., cit., p. 103.56 G. ORTALLI, Arnaldo da Brescia: il personaggio e la sua memoria in Arnaldo da Brescia e il suo tempo,

cit., p. 42.

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Arnaldo era ormai diventato un beniamino degli anticlericali italiani: a testimo-nianza di ciò basti ricordare il progetto iniziale della statua di Giordano Bruno inCampo de’ Fiori a Roma, un vero e proprio avatar dell’anticlericalismo ottocen-tesco57. In un primo momento, infatti, tra i rilievi posti sul basamento della statua– oggi raffiguranti tre diverse fasi della vita dell’eretico nolano – si era pensato didedicarne uno alla figura di Arnaldo58.

L’avviamento dei lavori per l’innalzamento della statua a Bruno, inaugurata poinel 1889, aveva contribuito ad esacerbare lo scontro tra cattolici e “mangiapreti”,conferendo a questi ultimi maggiore audacia e spingendoli a proporre nuovamen-te, nel 1888, la costruzione di un monumento ad Arnaldo, “il più grande propu-gnatore antico della separazione del potere temporale dallo spirituale”59.

Anche questa volta il progetto non si concretizzò, ma questi “filii Arnaldi”60

dell’età contemporanea ottennero comunque una vittoria agli inizi del nuovosecolo. L’otto maggio del 1911 il Comune di Roma intitolò infatti una porzionedel lungotevere ad Arnaldo61, sancendo la fine del dibattito ideologico – ma nondi quello storiografico, fortunatamente – sulla figura dell’eretico bresciano.

Il XX secolo avrebbe però visto la nascita, in ambito ereticale, di un nuovo mitostoriografico: quello di fra’ Dolcino.

Il Partigiano Dolcino62

Nessun eretico medievale ha forse conosciuto tanta fortuna durante lo scorsosecolo quanto fra Dolcino da Novara. D’altronde, è difficile negarlo, gli episodiche lo videro protagonista agli albori del XIV secolo ben si prestavano a una stru-mentalizzazione politica e ideologica che superò – quantitativamente e qualitati-vamente – quella attuata nei confronti di Arnaldo da Brescia durante il XIX.

Nel corso del Novecento, monumenti, pièces teatrali e movimenti politici con-tribuirono infatti a creare e alimentare un mito storiografico che, attraverso i

57 In favore del monumento si mobilitò gran parte della classe intellettuale italiana: cfr: L. BERGGREN-L. SJÖSTEDT, L’ombra dei grandi..., cit., pp. 161-178. Tra questi, contribuì con “una piccola offerta” ancheGiosuè Carducci. Per il poeta, però, il “primo monumento dell’Italia in Roma doveva essere ad Arnaldoda Brescia”: cfr. G. CARDUCCI, Confessioni e battaglie di Giosue Carducci. Serie seconda (Opere di GiosueCarducci 12), Bologna, Zanichelli, 1902. p. 364.

58 L. BERGGREN-L. SJÖSTEDT, L’ombra dei grandi..., cit., p. 175.59 Lettera di Biagio Placidi pubblicata sul “Popolo Romano”, 30 aprile 1888. A questi rispose «L’Osser-

vatore Romano» il 3 maggio dello stesso anno.60 Con questa espressione, riportata dal solo Ottone Morena, si è spesso definito un presunto movi-

mento “arnaldista” che avrebbe incarnato le istanze più radicali e violente del messaggio di Arnaldo. Cfr.OTTONE MORENA, Historia, ad annum 1159, in MGH, Scriptores Rerum Germanicarum, n.s., ed. F. GÜTER-BOCK, VII, Berolini 1930, p. 73; F. COGNASSO, «Filii Arnaldi» (Per l’interpretazione di un passo di OttoneMorena), in «Aevum», XXXII (1958), pp. 184-187; A. FRUGONI, Arnaldo da Brescia nelle fonti del secoloXII, Torino, Einaudi, 1989, p. 158. ID., “Filii Arnaldi” (Per l’interpretazione di un passo di Ottone More-na), in “Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo e archivio muratoriano”, 70 (1958), pp.521-524; G. G. MERLO, ‘Heresis Lumbardorum’ e ‘Filii Arnaldi’: note su Arnaldismo e Arnaldisti, in «Nuo-va Rivista Storica», 78 (1994), pp. 87-102.

61 ACCR, 1911, secondo quadrimestre, p. 71.62 Sulla figura di fra Dolcino da Novara cfr. G.C. BADONE, La guerra contro Dolcino “perfido eresiarca”.

Descrizione e studio di un assedio medievale, Oxford, 2005; E. DUPRÉ THESEIDER, Fra Dolcino: storia e mitoin Mondo cittadino e movimenti ereticali nel Medio Evo, Bologna, Patron editore, 1978, pp. 317-343; R.ORIOLI, “Venit perfidus heresiarcha”. Il movimento apostolico dolciniano dal 1260 al 1307, Roma, IstitutoStorico italiano per il Medio Evo, 1988; R. ORIOLI (a cura di), Fra Dolcino. Nascita, vita e morte di un’ere-sia medievale, Milano, Jaca Book, 2004.

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mezzi di comunicazione di massa, si è poi trasmesso al grande pubblico.Nonostante in Italia, durante l’Ottocento, si fosse data, per ovvi motivi politi-

ci, enorme importanza a quei riformatori/eretici medievali che avevano condan-nato il potere temporale dei papi, non si era ancora giunti ad elevare ai laici altaridel libero pensiero una figura come quella di Dolcino, che pur poteva essere fa-cilmente arruolato dai neoghibellini come loro precursore. Gli aspetti più radicalidell’eretico novarese – la “resistenza” violenta attuata sulle alpi, nonché i messag-gi da lui propugnati – erano forse ancora lontane dalla sensibilità borghese risor-gimentale. Risultava così difficile inquadrarlo in quel cliché agiografico, che calza-va perfettamente su Arnaldo e Bruno, ad esempio, che vedeva negli eretici – sep-pur con diverse sfumature – nient’altro che ireniche vittime dell’oscurantismoclericale. Ciononostante, prima della novecentesca rivalutazione marxista di Dol-cino, si può già cogliere nel XIX secolo una certa simpatia di alcuni autori neisuoi confronti.

La “fortuna di fra Dolcino”63 ha, infatti, lontane radici. Come Arnaldo, ancheDolcino fa, ad esempio, una rapida apparizione nel Catalogus di Flacio Illirico64, doveviene anche lui dipinto come una sorta di precursore di posizioni riformate65.

Escludendo però questo accenno, almeno fino alla fine del XIX secolo, rimane-va di Dolcino principalmente solo un “ricordo [...] favoloso”66 che permeava ilfolklore di area piemontese, così come riporta la testimonianza del conte Emilia-no Fasola citata dal Segarizzi nella sua introduzione alla Historia fratris Dulciniheresiarche67.

Uno dei primi tentativi di arruolamento di Dolcino da parte degli anticlericaliitaliani si verificò nel 1884, non a caso ad opera di un drammaturgo. Il successoriscosso pochi anni prima dall’Arnaldo del Niccolini funse infatti da volano per lacomposizione, da parte di Ulisse Bacci, del “dramma storico in versi” Fra’ Dol-cino, dedicato al Gran Maestro aggiunto della Massoneria Adriano Lemmi68.

In alcuni aspetti il Dolcino di Bacci era chiaramente ispirato all’Arnaldo di Nic-colini, in particolar modo quando sferzava gli uomini di Chiesa rivolgendosi lorocosì: “I Vescovi la spada e la terrena / Potestà – in odio alle divine leggi, / Ai popolied ai principi usurpata – Depongano”69. Grande novità rappresentava però la ro-manzesca storia d’amore tra Dolcino e Margherita di Trento70.

Il dramma di Bacci si differenziava inoltre, rispetto a quello di Niccolini, per unaspetto non marginale come l’impronta più spiccatamente socialista assegnata alle

63 G. MICCOLI, Note sulla fortuna di Fra Dolcino, in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa”(Lettere, Storia e Filosofia), 25 (1956), pp. 245-259.

64 M. FLACIUS ILLYRICUS, op. cit., p. 504.65 G. MICCOLI, Note sulla fortuna di Fra Dolcino, cit., pp. 251-252.66 Ivi, p. 253.67 Historia fratris Dulcini heresiarche, ed. A. SEGARIZZI, in RIS2, IX, V, Città di Castello 1905, pp. XXXIX-

XL: “Visitando io nel 1876 i luoghi percorsi da fra Dolcino per raccoglierne le memorie, mi fermai unanotte a Crevacuore, comunello della Valsesia. Ero presso al fuoco della famiglia dell’oste, e uscendo aparlare di fra Dolcino, la vecchia madre subito prese a dire: ‘Ora vi racconterò io la vera storia che bam-bina intesi raccontare da’ vecchi di quell’epoca’”.

68 U. BACCI, Fra’ Dolcino. Dramma storico in versi, Roma, Sommaruga, 1884. Bacci stesso ricopriva altecariche all’interno del Grande Oriente d’Italia. Cfr. U. BACCI, Il libro del massone italiano, Roma, 1911.

69 U. BACCI, Fra’ Dolcino, cit., p. 23. Cfr. i versi del Niccolini in cui Arnaldo sprona il popolo di Romaaffinché tolga «all’empia [la Chiesa, nda] scettro e spada» in modo da rendere loro le «malnate ricchezze»poiché «il clero tutto acquistò con forza o con inganno»: v. G.B. NICCOLINI, Arnaldo da Brescia, cit., p. 59.

70 Struggente la scena d’addio tra Dolcino e Margherita al momento della loro condanna a morte: v. U.BACCI, Fra’ Dolcino, cit., p. 138.

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battute pronunciate in scena dell’eretico. Così si concludeva infatti il primo atto:“Dio sta meco! / E dì che il rogo affrettin, perché il ferro / Non deporrò finchèd’Augia le stalle, / Come del lezzo dell’immonda lupa, / Non deterga la sacraonda del Tebro; / E, al suol stravolti i vostri altari, il mondo / Nel ver non si rin-novi, e dagli oppressi / Pace e giustizia non ridoni amore”71. Se i chiari riferimential “rinnovamento del mondo” e agli “oppressi” potrebbero non rappresentaresufficienti prove dell’impianto socialista dell’opera, possiamo comunque chiama-re in nostro soccorso le parole dello stesso Bacci che, in una nota esplicativa aiversi appena citati, così commentava: “In questi versi [...] si è voluto accennare aquei principi che oggi si chiamano di socialismo, e che pure l’ardito innovatore[Dolcino, nda] andava predicando e propagando con l’eloquenza e con le armi”72.

Ancora una volta, quindi, la drammaturgia ottocentesca si prestava a creare lebasi per la nascita di un mito storiografico. Un mito che ora nasceva però sottoun segno ben connotato politicamente: quello socialista. Negli stessi anni in cuiil Bacci portava in scena il suo dramma, la figura di Dolcino iniziava infatti paral-lelamente a farsi strada in ambito operaio. Caso emblematico fu lo pseudonimo– “frà Dolcino” appunto – che un cronista utilizzò nel 1882 per pubblicare un suotesto in difesa del diritto di sciopero73.

La canonizzazione marxista di Dolcino giunse però solo alla fine del XIX seco-lo, principalmente ad opera di Antonio Labriola. Per Labriola, convinto sosteni-tore “dell’applicazione del materialismo storico alla storia del cristianesimo”74 le“idee” erano da considerarsi “come il prodotto e non come la causa di una deter-minata struttura sociale”75. Da qui scaturiva quindi la sua interpretazione dell’epo-pea dolciniana, non comprensibile al di fuori del contesto economico – quellodell’Italia settentrionale – in cui essa si era affermata76.

Le posizioni del Labriola furono modificate in seguito da altri autorevoli storicimarxisti come Kautsky, Skaskin e Töpfer che, però, non ne alterarono sostanzial-mente l’impianto77. La stessa interpretazione che Volpe diede di Dolcino78, pursenza voler avallare del tutto le frequenti ipotesi sul “presunto marxismo”79 dellostorico, lasciavano comunque spazio a non poche ambiguità.

Da parte degli studiosi socialisti vi era, quindi, la precisa volontà di assegnare aDolcino il ruolo di protorivoluzionario. Tale operazione non fu tuttavia una ste-rile iniziativa intellettuale, condannata a rimanere rilegata in ambito accademico.Essa riscosse invece un significativo successo soprattutto nelle aree dove si erasvolta, secoli prima, l’epopea dolciniana. Il fiorire di movimenti operai nel bielle-

71 Ivi, p. 26.72 Ivi, p. 162, n. 21.73 Gli scioperi biellesi; il «Quid agendum» del signor Cesare Mosca. I mali dei nostri operai. I rimedi e

l’avvenire della Democrazia. Per cura di frà Dolcino, Torino 1882.74 G. MICCOLI, Note sulla fortuna di Fra Dolcino, cit., p. 255.75 A. LABRIOLA, Discorrendo di socialismo e di filosofia, VI, ed. a cura di B. Croce, Bari, Laterza, 1953,

p. 119.76 Ivi, p. 140: “il moto dolciniano è uno dei momenti della gran catena delle sollevazioni delle plebi

cristiane, che [...] si ribellarono alla gerarchia, e nei momenti più acuti furono portate alla inevitabile con-seguenza dell’aspettazione del comunismo”.

77 Cfr. G. MICCOLI, Note sulla fortuna di Fra Dolcino, cit., pp. 257-259; G.G. MERLO, Il problema di FraDolcino negli ultimi vent’anni, in “Bollettino storico bibliografico subalpino”, 72 (1974), pp. 701-708.

78 Secondo Volpe in Dolcino, “condottiero di contadini e di servi fuggiti» si sentivano «vicine le insur-rezioni dei contadini, francesi, tedeschi, svizzeri”: cfr. G. VOLPE, Movimenti religiosi e sette ereticali nellasocietà medievale italiana (sec. XI-XIV), Firenze, Doznelli, 1922, pp. 121-122.

79 O. CAPITANI, Medioevo passato e prossimo. Aggiunti storiografici: tra due guerre e molte crisi, Bologna,il Mulino, 1979, p. 204.

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se e nel vercellese, la propaganda socialista e, non ultimo, il ruolo che la figura diDolcino ricopriva da sempre nella tradizione folklorica della regione, furono in-fatti le componenti ideali di un mix che ebbe come risultato la nascita del fortu-nato mito a cui più volte ho fatto riferimento.

Prime avvisaglie di un’attenzione operaia alla storia di Dolcino si ebbero già allafine del XIX secolo. Nel 1890 un cartaio biellese, Federico Scaramuzzi, scalòinfatti con altri compagni di partito il monte Rubello (palcoscenico della resi-stenza armata dolciniana) per piantarvi un gigantesco vessillo rosso80.

Nello stesso anno il comune di Borgosesia – dove la federazione giovanile inter-collegiale socialista era intitolata a Dolcino – dedicò una via all’eretico, suscitandol’aspra reazione della stampa cattolica locale; nella cittadina di Campertogno glivenne intitolato un teatro81. Cinque anni dopo, un gruppo di intellettuali si diedeappuntamento sul monte Rubello, dove fu solennemente annunciata la fondazionedi un periodico di ispirazione socialista che prese il nome di «Corriere Biellese» eche ricoprì un ruolo chiave nella diffusione popolare della figura di Dolcino82.

Nel 1898, stando alla ricostruzione operata da Buratti83, fu lo stesso Scaramuzzi– il cartaio che otto anni prima aveva issato il vessillo rosso sul Rubello – a pro-porre all’intellettuale Emanuele Sella l’innalzamento di un obelisco in onore diDolcino84. Luogo prescelto non sarebbe però stato il Rubello, dove era stato edi-ficato nel 1839 il santuario del San Bernardo, ma il monte Massaro, distante inlinea d’aria poche centinaia di metri. L’iniziativa dello Scaramuzzi, sempre secon-do il Buratti, confutava quindi l’ipotesi di una presunta matrice colta dell’inizia-tiva, e provava invece la “riscoperta della memoria di classe”85 da parte del prole-tariato biellese e vercellese.

Se la proposta di partenza fu di origine operaia, di certo gli eventi che la segui-rono dimostravano il notevole interesse della stampa e degli intellettuali socialisti– tra cui Sella, “il più illustre animatore e realizzatore dell’idea di Scaramuzzi”86 –nei confronti della costruzione di un monumento a Dolcino87.

I lavori iniziarono nel 1907, a seicento anni dalla morte dell’eretico; la primapietra fu posta il 29 giugno e l’obelisco fu concluso il 15 luglio88. Durante lo svol-gimento dei lavori non mancarono i motivi di scontro con l’opinione pubblicacattolica. Il periodico «Il Biellese» sosteneva (o si augurava?) che “un giorno ol’altro si troverà l’obelisco giù per i burroni”89. Il 4 giugno pubblicava inoltre unostudio, a cura di Pietro Botto, che evidenziava – in risposta alla tesi dell’Ubertini,

80 E. BARBANO, Storia della Valsesia, Borgosesia, Società Valsesiana di cultura, 1967, p. 185.81 E. BARBANO, Storia della Valsesia, cit., pp. 191-192; E. ROTELLI, Fra Dolcino e gli Apostolici nella sto-

ria e nella tradizione, Torino, Claudiana, 1979, p. 88, n. 2.82 R. RIGOLA, Rinaldo Rigola e il movimento operaio nel Biellese. Autobiografia, Bari, Laterza, 1930, p.

141; E. ROTELLI, Fra Dolcino e gli Apostolici..., cit., pp. 89-90.83 G. BURATTI, L’altra religione. L’obelisco per rivendicare Dolcino, in «L’Impegno», VII, 2 (1987), pp.

13-18. L’articolo sarà poi ripubblicato col titolo L’altra religione in C. MORNESE-T. BURAT (a cura di),Maledetto Fra Dolcino! Storia di una memoria scandalosa, Milano. Lampi di stampa, 2007, pp. 13-21 (lecitazioni che seguiranno sono tratte da quest’ultima opera).

84 Ivi, p. 15.85 Ivi, p. 13.86 Ivi, p. 15.87 Fin dal 1904 Emanuele Sella fu in prima linea nell’organizzazione dei festeggiamenti per i seicento

anni dalla morte di Dolcino. Cfr. Il sesto centenario di Fra Dolcino, in “La Tribuna Biellese”, 18 settembre1904.

88 G. BURATTI, L’altra religione, cit., p. 16.89 Sul monte Ribelle, in «Corriere Biellese», 19 luglio 1907.

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secondo cui “Dante Alighieri e fra Dolcino avevano lo stesso pensiero in fatto direligione”90 – le discordanze tra il messaggio dolciniano e quello dantesco91. Sem-pre da parte cattolica fu poi promosso, il 16 luglio, in occasione della ricorrenzadi S. Bernardo da Mentone, una festa con processioni, messe e fuochi d’artificioin memoria del “VI centenario dell’eroica vittoria sui dolcini ani”92.

L’obelisco venne comunque eretto e l’inaugurazione – svoltasi l’11 agosto traun tripudio di vessilli socialisti, repubblicani, anarchici e massonici93 – fu patroci-nata da testate sensibili all’iniziativa come «L’Asino», «Il Corriere Biellese» e «LaTribuna Biellese»94. Due giorni prima, la testata cattolica – definita per l’occasionedal «Corriere Biellese» come “l’organo locale della pornografia cattolica”95 – uscìlistata a lutto96.

L’ostilità dei cattolici si concretizzò, almeno secondo quanto riportato dai libe-rali de «La Tribuna Biellese», nel mese di novembre. Le lapidi poste alla base del-l’obelisco – su cui erano stati incisi i versi che Dante, nella Commedia, dedicò aDolcino97 – furono infatti seriamente danneggiate e la paternità “dello sfregio”venne attribuita dalla testata liberale a qualcuno “mandato dai preti certamente”98.

Dopodiché, il monumento visse vita relativamente tranquilla per circa venti anni.Nel 1917 divenne addirittura meta di una manifestazione antimilitarista – fattoironico se consideriamo la natura armata e combattente della ribellione di Dolci-no e dei suoi seguaci – nata probabilmente sull’onda delle speranze suscitate nelmondo socialista dalla rivoluzione bolscevica99.

La breve vita dell’obelisco si concluse però nel luglio del 1927, quando fu abbat-tuto, secondo Buratti, ad opera di alcuni fascisti che lo fecero saltare in aria conuna carica di dinamite100. «Il Biellese», pur deprecando “l’atto vandalico”, sosten-ne che “ben poca eco” poteva avere “il fatto dell’abbattimento, perché quel poverocumulo di pietre [...] aveva cessato di essere un faro e un punto di riferimento”101.

Tuttavia, il mito di Dolcino si era ormai saldato nelle tradizioni operaio-folklo-riche degli abitanti dell’area valsesiana, se consideriamo che ancora nel 1943, se-condo Secchia, il locale fronte partigiano portò avanti la propria lotta armata esat-tamente lì “dove combatté fra’ Dolcino”102.

Dopo l’esperienza partigiana, non si registrarono più – per circa trent’anni – grandi

90 Dante e Fra’ Dolcino, in «Corriere Biellese», 24 maggio 1907.91 Dante e Fra Dolcino. Ossia: menzogne ed asinerie di G. Ubertini, in «Il Biellese», 4 giugno 1907.92 Festa di S. Bernardo da Mentone, in «Il Biellese», 16 luglio 1907.93 I diecimila. Le grandi feste centenarie per fra Dolcino, in «La Tribuna Biellese», 15 agosto 1907: “Fra

le bandiere viene tosto riconosciuta quella della Grande Loggia Simbolica del Grande Oriente di Roma”.Nell’articolo è comunque contenuto tutto l’elenco delle delegazioni socialiste, operaie e massoniche in-tervenute all’inaugurazione.

94 Sul monte Ribelle, in «Corriere Biellese», 9 luglio 1907.95 Toccati, in «Corriere Biellese», 13 agosto 1907.96 «Il Biellese», 9 agosto 1907.97 Inferno, XXVIII, 55-60: “Or dì a Fra Dolcin dunque che s’armi, / tu che forse vedrai il sole in breve,

/ s’ello non vuol qui tosto seguitarmi, / sì di vivanda, che stretta di neve / non rechi la vittoria al Noarese,/ch’altrimenti acquistar non saria leve». Sull’interpretazione del passo cfr. F. TOCCO, Dante e l’eresia,Bologna 1899, p. 88.

98 Uno sfregio alla lapide di Fra Dolcino, in «La Tribuna Biellese», 21 novembre 1907. Cfr. anche Cana-glie matricolate, in “Corriere Biellese”, 26 novembre 1907. Ai liberali della «Tribuna» risposero i cattolicide «Il Biellese» con un articolo del 22 novembre 1907, in cui declinavano ogni responsabilità nei confron-ti del gesto vandalico.

99 G. BURATTI, L’altra religione, cit., p. 17.100 Ibidem.101 L’obelisco a Fra Dolcino abbattuto, in «Il Biellese», 2 agosto 1929.102 P. SECCHIA-C. MOSCATELLI, Il Monte Rosa è sceso a Milano, cit., p.173.

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manifestazioni di interesse popolare per Dolcino, la cui figura tornava così ad esse-re appannaggio esclusivo degli storici, non più ora di sola estrazione marxista103.

Nonostante il successivo fiorire, durante gli anni Settanta, di illustri studi sulfenomeno dell’eresia in Italia, la figura di Dolcino fu però ancora una volta ripro-posta al grande pubblico in chiave socialista. Una vera svolta si verificò tra il 1969e il 1974, anni in cui due iniziative in particolare posero le basi per un rilanciodella figura di Dolcino che ora, oltre alle istanze socialiste, riassumeva in sé anchele posizioni dei movimenti studenteschi post-sessantotto.

La prima di queste due iniziative fu la stesura, nel 1969, dell’opera teatraleMistero Buffo, scritta e interpretata da Dario Fo. L’opera – una “giullarata popo-lare”104 composta da monologhi ispirati ad episodi biblici, apocrifi o storici rilettiin chiave anticlericale – fu messa in scena per la prima volta nell’ottobre del 1969e riscosse un immediato successo. Ai nostri scopi è fondamentale notare la lettu-ra che, nella parte dedicata alla figura di Bonifacio VIII, Dario Fo compie dellavita di Dolcino e di Gherardo Segarelli, considerato il suo maestro105.

Partiamo dal Segarelli: secondo Fo,

questo frate [...] se ne andava in giro a provocare i contadini: “Ehi, voi, ma che fate?Giocate? Ah no? Vangate la terra? Lavorate! E di chi è la terra? Vostra, immagino! No?Non è vostra? Ma come! Voi lavorate la terra e... Ma ne avete un profitto?! Che Profitto?Ah... una percentuale così bassa? E come, tutto il resto se lo tiene il padrone? Padrone diche cosa! Della terra? Ah ah ah! C’è un padrone della terra? Voi credete davvero che sullaBibbia il tal appezzamento di terra sia assegnato a tal de tali... Cretini! Deficienti! La terraè vostra: loro se la sono fregata, e poi l’han data a lavorare a voi. La terra è di chi lavora:chiaro?!”

Pensate, nel Medioevo andare in giro a dire certe cose: la terra è di chi lavora! È da pazzidirlo oggi, figuratevi nel medioevo!106.

Stando alla lettura di Fo, Segarelli avrebbe quindi tutte le caratteristiche di unvero protosocialista, su tutte l’idea che la proprietà privata sia un furto: «la terraè vostra: loro se la sono fregata». Per l’autore, la tragica fine del Segarelli sarebbequindi stata dovuta alla sua presa di posizione a favore dei contadini e non tantoalle sue idee in materia di fede e dottrina. Dopo la sua morte, il suo messaggio

103 Di fronte alla persistenza di studi marxisti sull’eretico, fiorirono – in particolar modo negli anniSessanta – anche studi di diversa ispirazione storiografica. Tra i primi a iniziare un lavoro di «ripulitura»,per usare le parole di Merlo, vi furono Eugenio Dupré Theseider e Cinzio Violante. Cfr. G. G. MERLO, Ilproblema di fra Dolcino, cit., p. 701; E. DUPRÉ THESEIDER, Fra Dolcino: storia e mito, cit., pp. 5-25; C.VIOLANTE, Hérésies urbaines et hérésies rurales en Italie du XIe au XIIe siècles. Communications et débatsdu Colloque de Royaumont présentés par J. LE GOFF, Paris-La haye, 1968 (Civilisations et Sociétés, 10),pp. 171-197. Quest’ultimo saggio sarà poi tradotto in italiano e pubblicato quattro anni più tardi. Cfr. C.VIOLANTE, Studi sulla cristianità medievale. Società istituzioni spiritualità, Milano, Vita e Pensiero, 1972(Cultura e Storia, 8), pp. 349-379.

104 D. FO, Mistero Buffo. Giullarata popolare di Dario Fo, in (a cura di) F. RAME, Dario Fo. Teatro, Torino,Einaudi, 2000, pp. 215-541.

105 Sulla vita del fondatore degli Apostolici cfr: R. ORIOLI, Venit perfidus, cit., pp. 19-85; G.G. MERLO,Salimbene e gli Apostolici, in «Società e Storia», 39 (1988), pp. 3-21; B.R. CARNIELLO, Gerardo Segarelli asthe anti-Francis: Mendicant rivalry and heresy in medieval Italy, 1260-1300, in «The Journal of Ecclesiasti-cal History», 57 (2006), pp. 226-251. Gherardo Segarelli era già stato protagonista di un’opera lirica com-posta nel 1928 da Ildebrando Pizzetti. Questi, però, ponendo un significativo accento più sulla presuntavita “privata” del Segarelli che sul suo ruolo di martire riformatore, conferiva all’opera tutte le caratteri-stiche del dramma borghese di inizio Novecento piuttosto che quelle del teatro di stampo “civile”. Cfr.I. PIZZETTI, Fra Gherardo. Dramma in tre atti, Milano, Ricordi, 1928.

106 D. FO, Mistero Buffo, cit., p. 424.

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non rimase inascoltato ma fu ereditato dal discepolo più zelante: fra Dolcino. Lostesso Dolcino proseguì infatti nel propagandare le idee socialiste del maestro107

che, stavolta, riscossero un successo tale da riuscire a coagulare un grande nume-ro di seguaci, tutti, ovviamente, contadini. Questi si diedero, secondo Fo, il nomedi “comunitardi [...] i primi della storia che conosciamo”108.

Dolcino risultò però ancora più audace del Segarelli: dai presunti proclami con-tro i grandi proprietari terrieri, sarebbe infatti poi passato ad organizzare il suoseguito sullo stile di una vera ‘comune’, basata sulla “divisione dei beni comuni”e dove tutto “si distribuiva a ciascuno secondo il suo bisogno”109.

L’unico aspetto non falsato dalla – comunque spassosa e artisticamente valida –giullarata di Fo, fu la tragica fine di Dolcino. Come per gli altri testi teatrali finoa questo momento esaminati, si potrà facilmente obiettare che è solo un’opera dispettacolo e che non bisogna prenderla necessariamente sul serio. Un’osserva-zione ragionevole e che condividerei pienamente se non fosse stato lo stesso Fo– così come i Niccolini e i Bacci – a concepire molto seriamente il proprio ruolo.Emerge infatti, nella chiusura del brano dedicato a Dolcino, quella tendenza –propria spesso dei politici e degli artisti – a dire “Ora ve la racconto io come èandata veramente la storia”. Emblematico il passo in cui l’autore lombardo arrin-ga così il suo pubblico:

Di questa storia che vi ho così sommariamente raccontato, sui libri di testo in uso nellescuole non si fa cenno. Ed è giusto, d’altra parte: chi organizza la cultura? Chi decide cosainsegnare? Chi ha l’interesse a non dare certe informazioni? Il padrone, la borghesia. Finche glielo permetteremo, è normale che continuino a fare quello che ritengono giusto110.

Il contesto culturale degli anni in cui fu portato sulle scene Mistero Buffo erad’altronde piuttosto sensibile ai messaggi lanciati da Fo/Dolcino: la contestazio-ne studentesca e il movimento operaio non potevano che essere affascinati daquesto protorivoluzionario, antiborghese, anticapitalista ed anticlericale.

Lo spazio fin qui dedicato all’opera di Fo potrà forse sembrare eccessivo, ma èperfettamente giustificato se consideriamo la grande importanza che questa haavuto nella costruzione contemporanea del “mito Dolcino”. Tra le moltissimerepliche della giullarata che seguirono alla prima dell’ottobre 1969, notevole rilie-vo assunse infatti quella portata in scena nei pressi del monte Massaro nel 1974.La cima, come sappiamo, era il luogo ove era stato abbattuto, nel 1927, l’obeliscoa Dolcino. Per rimediare, quarantacinque anni dopo, sui suoi ruderi, fu inaugura-to un cippo dedicato alla sua memoria. Promotore dell’iniziativa fu l’ancora atti-vo «Corriere Biellese» e, come padrino e madrina dell’evento, furono invitatiproprio Dario Fo e Franca Rame, che misero in scena in quella occasione unareplica di Mistero Buffo, forse la più simbolica mai rappresentata111.

Sosteneva acutamente Merlo, commentando proprio nel 1974 l’inaugurazionedel cippo, che “se un mito ha tutto il diritto di esistere nelle tradizioni popolari,

107 Ibidem: “Scampò uno solo [alla persecuzione, nda]. Si chiamava fra’ Dolcino, e [...] andò intornoancora a provocare i contadini, a fare il giullare. Andava e cominciava: ‘Ehi contadino!... la terra è tua,tientela, cretino deficiente, la terra è di chi la lavora...’”.

108 Ivi, pp. 424-425: “Sapendo di non poter resistere da soli, si univano, si associavano l’un con l’altro[...] fra loro si chiamavano ‘comunitardi’”.

109 Ivi, p. 425.110 Ivi, p. 426.111 Cfr. le cronache in «Corriere Biellese», 6 e 13 settembre 1974.

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non così può essere nella ricerca storica”112. L’augurio di Merlo non era però de-stinato a trovare grande ascolto: anzi, proprio nel 1974 nasceva, presso la ChiesaEvangelica Valdese di Biella, un’associazione che, amalgamando abilmente ricercastorica e coltivazione del mito, mirava a ottenere una larga diffusione della leg-genda di Dolcino. Il Centro Studi Dolciniani, fondato da Gustavo Buratti (TavoBurat in dialetto locale) si caratterizza infatti, fin dalla sua fondazione, per unaprolifica attività di divulgazione di opere relative alla figura di Dolcino e di altrieretici meno noti113. Un’attività che, molto probabilmente, trova la sua giustifica-zione nella storica sensibilità che la Chiesa Evangelica Valdese ha spesso avutonei confronti delle minoranze perseguitate.

Nonostante il serio impegno scientifico che si evince da molte pubblicazionidel Centro, queste, purtroppo, non sono mai riuscite ad andare oltre una decisaimpostazione storico-militante, tendente più a rafforzare i miti agiografici relati-vi a Dolcino piuttosto che a restituire l’eretico al proprio contesto storico.

Mistero Buffo, l’inaugurazione del cippo nel 1974 e, nello stesso anno, la nascitadel Centro Studi Dolciniani ci portano quindi fino al 1988, anno in cui – sullepagine di «Sinistra Indipendente» – un articolo di Mauro Longoni, studente uni-versitario, riaprì il dibattito sulla figura di Dolcino114.

Longoni proponeva infatti, provocatoriamente, di rendere onore “erigendo” inpiazza Martiri a Novara “un monumento all’eresiarca”; d’altronde, aggiungevaLongoni, “se non è Martire fra Dolcino, chi lo è?”115. L’autore allegava inoltreall’articolo una sommaria bibliografia, in cui compariva il Fra Dolcino di Orioli,uno dei massimi esperti italiani sul tema.

Chissà però se Longoni, che sosteneva che il pensiero dolciniano contenesse“elementi di comunismo” e prefigurasse “la libertà sessuale”116, aveva dato un’oc-chiata anche a un’altra opera di Orioli, in cui lo studioso sottolineava come

Se [...] si aggiungono le prolifiche fantasie di taluni scrittori e la meccanicistica e sciattaripetitività di molti altri, possiamo renderci conto di come il quadro della storia dolcinia-na in periodo piemontese possa divenire oltremodo confuso e contraddittorio, semprepiù facilmente incline ad assumere aspetti teatrali o novellistici e a perdere, nel contem-po, la sua effettiva dimensione storica117.

Nonostante il palese aspetto strumentale dell’articolo di Longoni, questo su-scitò un ampio dibattito su tutte le testate nazionali, molto ben ricostruito da unarecente pubblicazione del Centro Studi Dolciniani118.

Per amor di sintesi, data la vasta portata del dibattito in questione, mi limito asegnalare gli articoli che al tema dedicarono le cronache nazionali de «La Stampa»e de «l’Unità»119 – che simpatizzavano con la proposta dello studente – a cui fe-

112 G.G. MERLO, Il problema di fra Dolcino, cit., p. 708.113 Cfr. C. MORNESE-G. BURATTI, Fra Dolcino e gli Apostolici tra eresia, rivolta e roghi, Roma, Derive

Approdi, 2000; C. MORNESE, Eresia dolciniana e resistenza montanara, Roma, Derive Approdi, 2002; T.BURAT, L’anarchia cristiana di fra Dolcino e Margherita, Pollone-Biella, Leone e Griffa edizioni, 2002.

114 M. LONGONI, Un monumento per fra Dolcino. Il giusto contributo di una città al figlio più illustre escomodo, in «Sinistra Indipendente Novara», gennaio 1988, p. 12.

115 Ibidem.116 Monumento all’eretico Dolcino, in «La Stampa», 10 gennaio 1988.117 R. ORIOLI, Venit perfidus, cit., p. 241.118 C. MORNESE-T. BURAT, Fra Dolcino e gli Apostolici, cit., pp. 174-195.119 Monumento all’eretico Dolcino. Un’idea provocatoria a Novara per ricordare il frate bruciato sul rogo,

in «La Stampa», 10 gennaio 1988; S. TREVES, ‘Fra Dolcino al posto del re’. Novara litiga per un monumento,in «L’Unità», 23 gennaio 1988. Ampio spazio fu dato sulle pagine di cronaca locale de «La Stampa»: cfr.C. MORNESE-T. BURAT, Fra Dolcino e gli Apostolici, cit., pp. 178-182.

111

cero da contraltare gli articoli comparsi sul periodico cattolico locale «L’Azio-ne»120 e sul «Corriere di Novara»121.

Ad esacerbare il dibattito si aggiunse, nello stesso anno, il fortuito ritrovamen-to – nel sottotetto dell’ufficio tecnico erariale – di una lapide che era stata appo-sta, nel 1907, sulla facciata della Casa del Popolo di Vercelli per poi essere rimossadurante gli anni del fascismo122.

Alcuni consiglieri comunali del partito dei Verdi riuscirono, nel 1990, nell’in-tento di porre la lapide nell’atrio del municipio, ma – in seguito a un compromes-so tra il sindaco e il vicario generale della diocesi – questa fu poi traslata e affissapresso l’assessorato alla cultura123.

La questione non era però affatto chiusa. Nel 2006 un sottosegretario del go-verno Berlusconi, Roberto Rosso, chiese al comune di Vercelli la rimozione dellalapide, sostenendo che fosse «assurdo che negli anni Duemila, in quella che pre-sto diventerà la città della cultura, anche grazie ai fondi olimpici, [nel 2006 sisarebbe svolta a Torino la XX edizione dei Giochi Olimpici Invernali, nda], com-paia ancora una lapide che reciti tuttora testualmente, secondo una vieta conce-zione massonico-socialista, “dalla tirannide sacerdotale attanagliato ed arso vivo...per aver predicato la pace e l’amore tra gli uomini”»124. Un locale centro socialeanarchico organizzò una manifestazione in difesa della lapide125, a dimostrazionedella nuova forma di strumentalizzazione a cui la figura di Dolcino ormai si pre-stava: quella di carattere anarchico-antagonista126.

Tale approccio si fece chiarissimo nel settecentesimo anniversario della mortedi Dolcino, il 2007. Le iniziative del Centro Studi Dolciniani127, sempre zelantepromotore di eventi legati alla memoria del più celebre noarese, furono infatti inqualche modo “scavalcate a sinistra”: prima dalla riproposizione di un Dolcinovetero-comunista128; poi dal montante movimento di opposizione alla costruzio-ne della linea ferroviaria per l’Alta Velocità in Valsusa.

Emblematico al riguardo un articolo comparso su «la Repubblica» del 6 maggio2007 a firma di Paolo Rumiz. Secondo l’autore, il mito di Dolcino “riemerge sem-pre, nei tempi di lotta: con la caccia alle streghe del Seicento [...] Fino alle trinceedell’oggi contro l’insensata monocultura del Globale”; il messaggio dell’ereticostava quindi diventando “manifesto per i ribelli anti-Tav della Valsusa”, che loconsideravano in quei giorni al pari di “un ribelle anticentralista [...], un fratello”.Il merito della riscoperta novecentesca di Dolcino, secondo Rumiz, andava senzaombra di dubbio attribuito a ben precise figure: Antonio Labriola, gli operai ar-

120 G. CACCIAMI, Uno scherzo da prete, in «L’Azione», 23 gennaio 1988.121 E. COLLI VIGNARELLI, Un monumento in piazza Martiri per fra Dolcino, l’eresiarca?, in «Il Corriere

di Novara», 11 gennaio 1988122 C. MORNESE-T. BURAT, Fra Dolcino e gli Apostolici, cit., pp. 183-184.123 Ivi, p. 184.124 Ivi, p.185.125 Ibidem.126 Cfr. M. MATTEO, Il filo della memoria, in «Rivista Anarchica», 30, 6 (Estate 2000), pp. 9-10. L’autrice

sostiene che “Dante collocò Dolcino all’inferno nel girone riservato agli eresiarchi, i fondatori di eresie”.Sappiamo invece che nella Commedia si parla di Dolcino solo nella nona bolgia, quella dedicata ai “semi-natori di discordie”, dove viene nominato da Maometto: v. Inferno, XXVIII, 55-60.

127 Nel 2007 venne inaugurata una nuova lapide dedicata “Ai montanari Valsesiani che appoggiaronoDolcino, Margherita e i fratelli Apostolici nella lotta per la libertà”: cfr. C. MORNESE-T. BURAT, Fra Dol-cino e gli Apostolici, cit., p. 190.

128 A. PELLEGATTA, L’eresia dolciniana, un movimento comunista primitivo. 1307-2007: 700° anniversariodella battaglia del monte Rubello, in «Pagine Marxiste», 18 (Ottobre-Dicembre 2007): http://www.paginemarxiste.it/modules.php?name=Archivio&pa=showpage&pid=193

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tefici dell’obelisco del 1907 e, ovviamente, Dario Fo, che riuscì a far riemergerela storia di Dolcino dall’oblio causato dal “cloroformio democristiano” del se-condo dopoguerra129.

Conclusioni

Se l’Ottocento fu il secolo di Arnaldo e il Novecento quello di Dolcino, po-trebbe ora essere lecito chiedersi a quali future strumentalizzazioni la figura dialcuni eretici medievali si presterà in futuro. Alcuni segnali suggeriscono, ma èsolo un’ipotesi, un probabile recupero mitico dell’epopea catara, vista la sua giàconsistente presenza in molta letteratura fantateologica. Oltre a tale nutrito eremunerativo filone narrativo che li vede protagonisti, essi vengono spesso inseritiin miti e leggende riguardo i loro presunti legami con il Sacro Graal130 e in cui spessonon mancano i Templari, ormai un vero must di certa pseudo-divulgazione.

Gli eretici dualisti sono stati inoltre fonte di ispirazione per la formazione dilogge di carattere esoterico – come quella fondata nel 1890 dal massone JulesDoinel e a cui aderì anche René Guénon131 –, per poi essere arruolati anche tra lefila di chi contribuì alla formazione della identità linguistica, geografica e cultu-rale di quella “non-nazione” che corrisponde all’Occitania, uno degli scenari nelquale si affermò l’eresia catara132.

Riservando per il futuro lo sviluppo di tali ipotesi, mi limito ora in conclusionea segnalare un piccolo, ma forse simbolico, aspetto dell’evoluzione attuale del“mito Dolcino”. Digitando “fra Dolcino” sulla barra di ricerca del popolare socialnetwork Facebook, risultano infatti esserci sette account registrati sotto il nomedell’eretico e una pagina di suoi ‘fan’ che, al 15 gennaio 2010, registrava 526 iscrit-ti. L’iniziativa più importante che si riscontra sulla rete, però, è un’altra e comparesempre su Facebook ad opera del movimento “Società Futura”. Si tratta di unappello finalizzato alla ricollocazione nell’atrio del municipio della lapide a fraDolcino – quella riscoperta in un sottotetto nel 1988 per intenderci – e che vedetra i firmatari più noti l’Unione Atei Agnostici e Razionalisti, la segreteria pro-vinciale del Partito Radicale e il politico valdese Paolo Ferrero, segretario nazio-nale del Partito della Rifondazione Comunista133.

Dolcino, nel 2010, è ormai sbarcato su internet e continua a far parlare di sé.

129 P. RUMIZ, Il ritorno di Dolcino, ribelle per sempre, in «la Repubblica», 6 maggio 2007.130 G. BAIETTI, Rennes Le Chateau: il segreto di Berenger Sauniere: Catari, Templari e Rosacroce custodi

del Graal e della Porta del Destino, Torino, Clerico, 2001. Per un’interessante analisi della leggenda chelega catarismo e Graal v. M. ROQUEBERT, I catari e il Graal: il mistero di una grande leggenda e l’eresiaalbigese, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2007. L’ossessione per il presunto legame tra eretici albi-gesi e Graal perseguitò il gerarca nazista Otto Rahn: cfr. O. RAHN, La corte di Lucifero: i catari guardianidel Graal, Saluzzo, Barbarossa, 1989.

131 A. BERTÉ, Origini e sviluppi contemporanei della dottrina catara, tesi di laurea discussa presso la Sa-pienza Università di Roma nell’a.a. 2002/2003 e avente come relatore il prof. Gaetano Lettieri, p. 27.

132 L’Occitania comprende il sud della Francia, parte della Spagna (valle d’Aran e parte della Catalogna)e parte delle valli piemontesi a ridosso delle alpi Cozie e delle alpi Marittime. Per l’influenza del mito cataroin ambito occitanista cfr. J. MARKALE, Santi od eretici? L’enigma dei catari, Milano, Sperling&Kupfer, 1999.

133 Collochiamo la lapide di Fra Dolcino nello scalone del municipio: http://www.facebook.com/group.php?gid=89968742251&v=info