IN TEMA DI ACCETTAZIONE DI ADEMPIMENTO PARZIALE CON RISERVA DI SALDO
"Libera", "Regia", di massa: l'Università degli Studi di Perugia
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Storia dell’Umbria dall’Unità a oggiPoteri, istituzioni e societàa cura di Mario Tosti
Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea
Marsilio
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© 2014 by Marsilio Editori® s.p.a. in Venezia
Prima edizione: dicembre 2014
ISBN 978-88-317-2116-5
www.marsilioeditori.it
Realizzazione editoriale: Valeria Bové
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indice
vii Presentazione Catiuscia Marini
ix introduzione Mario Tosti
storia dell’umbria dall’unità a oggi poteri, istituzioni e società
3 Le classi dirigenti tra oligarchia e autarchia Alberto Stramaccioni
37 Massoneria, società e politica Fulvio Conti
79 Vescovi e clero Mario Tosti
135 «Libera», «Regia», di massa: l’Università degli Studi di Perugia Ferdinando Treggiari
167 La stampa: giornali ed editori Paolo Marzani
211 Associazioni dei lavoratori e sindacati Giancarlo Pellegrini
259 L’ordinamento burocratico periferico Antonio Pio Lancellotti
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indice
277 Le istituzioni tra centralismo e autonomia Matteo Aiani
309 Risorgimento e nazione nelle politiche locali della memoria Luciana Brunelli
353 Storie di famiglie Augusto Ciuffetti
379 ebrei e protestanti nell’Umbria postunitaria Paolo Pellegrini
395 indice dei nomi 409 indice dei luoghi 413 Gli autori
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«LiBeRA», «ReGiA», di MASSA: L’UniVeRSiTÀ deGLi STUdi di PeRUGiA
una storia di sette secoli
La catena delle delibere del comune di Perugia mirate, fra xiii e xiv secolo, alla provvista di doctores che garantissero alla città gli insegnamenti del diritto e delle arti liberali, «ut civitas Perusii sapientia valeat elucere et in ea Studium habeatur» – come si legge nello statuto del 1285, allorché si volle garantire in città una pubblica lettura del diritto giustinianeo –, documenta la volontà che il comune di Popolo aveva impegnato nella promozione degli studi superiori e nell’istituzione dello Studium, necessario alla formazione di una classe di intellettuali che desse espressione alle istanze politiche e culturali della città 1. con il riconoscimento di Studium generale in qualibet facultate, concesso nel 1308 da papa clemente v, e con i privilegi di addottorare in diritto civile e canonico (1318) e in Arti e Medicina (1321) concessi da papa Giovanni xxii, a cui seguirono nel 1355 gli analoghi riconoscimenti ottenuti dall’imperatore carlo iv, l’università perugina era uscita dai confini dell’istituzione comunale per collocarsi nell’ambito, illimitato, delle autorità universali 2. La fondazione dello Studio generale e la concessione della licentia ubique docendi
1 e. Bellini, L’università a Perugia negli statuti cittadini (secoli xiii-xvi), Perugia, deputazione di storia patria per l’Umbria, 2007.
2 M.A. Panzanelli Fratoni, Due papi e un imperatore per lo Studio di Perugia, Perugia, deputazione di storia patria per l’Umbria, 2009.
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avevano segnato l’avvio di una fase di crescente prestigio dell’università umbra, già nel corso del Trecento palcoscenico di maestri la cui fama era giunta a togliere all’Alma Mater alcuni dei suoi primati, come quello nelle scienze giuridiche, grazie alla formidabile sequenza di giuristi (iacopo da Belviso, cino da Pistoia, Bartolo da Sassoferrato, Baldo, Pietro e Angelo degli Ubaldi) che in quel secolo avevano avuto cattedra a Perugia 3.
nell’età moderna l’università aveva vissuto fasi legate alle vicende politiche della città, caduta prima nelle mani dei signori e poi definitivamente soggiogata al potere del pontefice, che avrebbe esercitato sempre più diretta vigilanza sullo Studio a mezzo dei suoi legati e governatori. Questa seconda fase, che durerà fino all’annessione del l’ex provincia pontificia al regno sabaudo (1860), era stata segnata nel 1625 dalla riforma di papa Urbano viii, che aveva cancellato ogni residuo del passato medievale dello Studium 4. in questo periodo, a mantenere saldo il rapporto con la città aveva provveduto il corpo dei dottori leggenti, sempre più organico al mondo cittadino e sempre più «cittadino» esso stesso. Forte del controllo degli esami di dottorato e articolato nei suoi potenti collegia, durante l’antico regime il corpo dottorale aveva assunto la direzione dello Studio, condividendo le sue prerogative con il vescovo e il delegato del governo centrale 5.
nell’età del dominio pontificio l’ateneo dà di sé un’immagine di decadenza. L’elenco, diviso per secoli, dal xiv al xviii, dei nomi dei giuristi più famosi dell’università incisi sulla lastra di marmo fatta preparare nel 1890 in occasione della visita a Perugia del re Umberto i e ancora oggi infissa in una parete al piano terra dell’ateneo, testimonia
3 F. Treggiari, Le ossa di Bartolo. Contributo alla storia della tradizione giuridica perugina, Perugia, deputazione di storia patria per l’Umbria, 2009; Maestri, insegnamenti e libri a Pe-rugia. Contributi per la storia dell’Università (1308-2008), catalogo della mostra, a cura di c. Frova, F. Treggiari, M.A. Panzanelli Fratoni, Milano, Skira, 2009. Le ricerche più recenti sulla storia dell’università di Perugia, nel solco della tradizione storiografica che ha il suo centro nell’opera di Giuseppe ermini, sono oggi raccolte nel n. 18 (2014) degli «Annali di storia delle università italiane» e, in volume monografico, in Per la storia dell’Università di Perugia, a cura di F. Treggiari, Bologna, clueb, 2014.
4 Sulla riforma urbaniana, cfr. G. ermini, Storia dell’Università di Perugia, Firenze, Olschki, 1971, pp. 209 ss.
5 c. Frova, Sette secoli, in id., Scritti sullo «Studium Perusinum», a cura di e. Bellini in collaborazione con M.A. Panzanelli Fratoni, Perugia, deputazione di storia patria per l’Umbria, 2011, pp. 336 (pp. 12 ss); Doctores excellentissimi. Giuristi, medici, filosofi e teologi del -l’Università di Perugia (secoli xiv-xxi), catalogo della mostra, a cura di c. Frova, G. Giubbini, M.A. Panzanelli Fratoni, città di castello, edimond, 2003.
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nei secoli xvii e xviii la parabola discendente del suo originario prestigio 6. Soffocati dal conservatorismo culturale del governo clericale e dalla resistenza dei collegi dottorali e dei ceti aristocratici cittadini, i tentativi di riforma settecenteschi non erano riusciti a frenarne il declino. ne scapitarono le scienze, come attesta, per quelle naturali e la medicina, la vicenda accademica e politica di Annibale Mariotti (17381801), «direttore degli studi» e riformatore dell’università nel biennio giacobino (17981799), che finì i suoi giorni da perseguitato 7.
Al successivo decennio di ripresa dell’autorità papale sulla città e sull’università, durato fino al 1809, era seguito il quinquennio del dominio napoleonico, che aveva uniformato l’ordinamento dell’ateneo a quello delle università francesi, annullando le prerogative dei collegi dottorali e decretando la chiusura dei tre collegi studenteschi cittadini: la Sapienza Vecchia (la cui fondazione risaliva agli anni sessanta del Trecento), la nuova e la Bartolina 8. nei cinque anni di vita del dipartimento del Trasimeno (questo il nome dell’Umbria all’epoca della prima Repubblica Romana e del primo impero francese) l’università perugina, scampata alla minaccia della chiusura o del declassamento, aveva conosciuto una certa modernizzazione, dovuta al relativo ricambio dei docenti e delle materie d’insegnamento (a cominciare dai corsi di commento ai codici francesi) e all’introduzione di nuovi orientamenti intellettuali 9. il periodo napoleonico avrebbe lasciato non poche sue tracce nel cinquantennio della seconda restaurazione pontificia. Tra queste, la nuova sede dell’ateneo. «nomade» nei primi due secoli di vita, quando le sue aule erano disse minate nei più svariati luoghi della città, con le campane del duomo e del comune a scandire l’inizio e la fine delle lezioni per gli studenti provenienti da ogni
6 F. Treggiari, Alberico Gentili alumnus, in Alberico Gentili, la tradizione giuridica peru-gina e la fondazione del diritto internazionale, Perugia, Università degli Studi, 2010, pp. 2628.
7 cfr. id., Annibale Mariotti e la Rota romana: un capitolo di storia patria perugina, introduzione ad A. Mariotti, Memorie istoriche de’ perugini auditori della Sacra Rota Romana (Perugia 1787), rist. anast. Bologna, Forni, 2009, pp. 515 (anche per la bibliografia).
8 Sui collegi studenteschi perugini, cfr. G. Angeletti, A. Bertini, La Sapienza Vecchia, Perugia, Onaosi, 1993; Il fondo archivistico del Collegio Pio della Sapienza di Perugia. Inventario, a cura di L. Marconi, d. Mori, M.A. Panzanelli Fratoni, Perugia, Soprintendenza archivistica per l’Umbria, 2005.
9 cfr. R. Lupi, Progetti di riforma per l’Ateneo di Perugia negli anni della Consulta (1809-1810), in La storia delle università alle soglie del xxi secolo, atti del convegno internazionale di studi, a cura di P. Gheda et al. (Aosta, 1820 dicembre 2006), Bologna, clueb, 2008, p. 379.
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parte d’italia e d’europa 10, lo Studium aveva avuto solo a fine Quattrocento la sua degna sede nel Palazzo del Sopramuro, grazie alla soprelevazione di un piano del fabbricato dell’ospedale di Santa Maria della Misericordia. Lì vi era rimasta per tre secoli. durante il governo napoleonico aveva traslocato (1810) nel grande fabbricato costruito nel 1740, su disegno di Luigi Vanvitelli e progetto di carlo Murena, sul colle sopra la conca (nell’odierno quartiere elce), per ospitare i monaci olivetani dopo la rovina del loro originario convento di Monte Morcino, posto appena fuori città. Rimasto vacante a seguito della soppressione dell’ordine (1809), l’edificio era stato destinato al nuovo uso, rimanendo fino a oggi la sede centrale dell’ateneo 11.
il quasi mezzo secolo (18141860) del nuovo dominio pontificio sul la città e sull’università fu caratterizzato dalle riforme introdotte nel 1824 da Leone xii con la bolla Quod divina sapientia, che con il definitivo Regolamento degli studi da osservarsi in Roma e in tutto lo Stato ecclesiastico accentuarono la centralizzazione del potere sul l’università, ora sottoposta al regime del vescovo cancelliere e del rettore di diretta nomina pontificia, con forte limitazione del l’autorità dei collegi dottorali. Questo assetto, scosso dai moti liberali del 1831 e dai turbolenti mesi della Repubblica Romana (18481849), eventi che determinarono la chiusura temporanea dello Studio, trovò un intransigente interprete nell’ultimo rettore (18541860) dell’ateneo perugino di età pontificia, il padre servita e professore sardo Bonfiglio Mura (18101882), il cui rettorato fu dedicato a ristabilire il controllo disciplinare e ideologico sull’università, a reprimere l’associazionismo studentesco e a combattere le dottrine filosofiche e politiche che avevano ispirato il fermento rivoluzionario quarantottesco 12.
dopo l’ultima crisi rivoluzionaria, infatti, l’ambiente accademico non era rimasto insensibile ai fermenti d’innovazione che animavano il mondo scientifico, in particolare nel campo della medicina, degli studi di agraria e di quelli di diritto. Quanto a questi ultimi, l’insegnamento di diritto naturale e delle genti – potenziale veicolo del
10 U. nicolini, Dottori, scolari, programmi e salari alla Università di Perugia verso la metà del sec. xv, in «Bollettino della deputazione di storia patria per l’Umbria», 58, 1961, pp. 139159 (pp. 142, 146 ss).
11 Sulle vicende che accompagnarono il trasferimento della sede universitaria a Palazzo Murena, cfr. ermini, Storia dell’Università di Perugia, cit., pp. 829837.
12 c. Frova, Bonfiglio Mura (1810-1882) docente e rettore nell’Università di Perugia (2001), in id., Scritti sullo «Studium Perusinum», cit., pp. 201219.
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le idee liberali, introdotto nello Studio perugino nel 1799, durante il primo esperimento della Repubblica Romana, quando era stato concepito come corso introduttivo ad altre scienze direttamente formative per le funzioni pubbliche 13, abolito dalla restaurazione pontificia e reintrodotto negli anni del governo napoleonico, nuovamente soppresso nel 1824 e riattivato vent’anni dopo grazie alle pressanti richieste dell’amministrazione comunale – continuò a essere impartito sino alla fine dell’università pontificia 14.
pepoli, l’età dell’università «libera», la regificazione (1860-1925)
L’insurrezione del 20 giugno 1859, avvenuta quando vescovo cancelliere era Gioacchino Pecci, futuro Leone xiii, aveva visto la significativa partecipazione degli universitari. La restaurazione papalina seguita alla repressione di quei moti, compiuta dalle truppe svizzere inviate da papa Pio ix 15, fu troncata dagli eventi militari che nel settembre 1860 consentirono la costituzione a Perugia del governo provvisorio sabaudo guidato dall’illuminato Gioacchino napoleone Pepoli (18251881), commissario straordinario incaricato di portare l’ex legazione pontificia all’annessione al regno di Vittorio emanuele ii 16. La convocazione dei «comizj popolari per l’espressione del libero
13 R. Belforti, La riforma repubblicana dell’Università di Perugia nel 1799, in «Rassegna storica del Risorgimento», 27, 1940, p. 969.
14 Sulle vicende di questo insegnamento si veda V.i. comparato, Il diritto di natura a Pe-rugia tra la Repubblica romana e l’Unità, in «Annali di storia delle università italiane», 18, 2014, pp. 221242.
15 Sui fatti del 20 giugno 1859, cfr. F. Bozzi, Autobiografia del risorgimento perugino. Le vicende che portarono all’Unità attraverso il racconto dei protagonisti, in Dallo Stato della Chie-sa al Regno d’Italia. Fonti per la storia del biennio 1860-1861, a cura di A. Bartoli Langeli, d. Sini, Perugia, deputazione di storia patria per l’Umbria, 2011, pp. 265 ss; Il xx Giugno peru-gino nel Risorgimento nazionale, a cura di F. Bozzi, R. Ranieri, Perugia, Quaderni dell’Associazione diomede, n. 1, 2011.
16 Sulla figura di Gioacchino napoleone Pepoli si vedano gli atti della giornata di studi (Bologna, 21 ottobre 2011) Eroi in carta. Dall’archivio di Gioacchino Napoleone Pepoli e di al-tri protagonisti del Risorgimento, in «Percorsi Storici», 1, 2012. Sull’opera riformatrice da lui svolta in Umbria tra il settembre e il dicembre 1860 si veda F. Treggiari, Carte che parlano. Giustizia e riforme istituzionali in Umbria nei cento giorni di Pepoli, in La giustizia in Umbria dallo Stato pontificio all’Italia unita, a cura di W. de nunzio, M. campiani, F. Treggiari, napoli, Jovene, 2013, pp. 83153, nonché in «Bollettino della deputazione di storia patria per l’Umbria», cx, 2, 2013, pp. 355421.
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suffragio» sul l’annessione dell’Umbria alla monarchia sabauda (decreto 21 ottobre 1860 n. 83) portò, nei giorni 4 e 5 novembre 1860, al plebiscito, che con schiacciante maggioranza decretò l’annessione della regione allo Stato piemontese 17.
La costituzione della provincia dell’Umbria (decreto commissariale 15 dicembre 1860 n. 240), che riuniva in una sola le quattro preesi stenti province (ex delegazioni) di Perugia, Spoleto, Orvieto e Rie ti, pose, fra i numerosi altri problemi istituzionali, quello della riforma dell’unica università del territorio, del suo governo istituzionale e del suo profilo scientifico. Tutto stava cambiando attorno all’università, nell’organizzazione amministrativa, politica, giudiziaria e civile della nuova provincia. L’estensione delle leggi della monarchia costituzionale piemontese ai territori sottratti al dominio del papa era stata la prima premura del commissario straordinario. i suoi decreti avevano pubblicato in Umbria le leggi sarde sulla guardia nazionale, sull’ordinamento della pubblica sicurezza, sulla pubblica istruzione, sulla stampa, sulla leva militare; rinnovato i consigli comunali e provinciali con libere elezioni; proibito i vincoli fedecommissari; laicizzato le fondamentali funzioni pubbliche, a cominciare dallo stato civile; introdotto il matrimonio civile (con decreto 31 ottobre 1860 n. 111: eccezionale anteprima di un istituto che il resto dell’italia avrebbe conosciuto solo dal 1865). Le istituzioni ecclesiastiche, che avevano da secoli, in Umbria, come nel resto dello Stato della chiesa, il monopolio della scuola e dell’università, vennero colpite da una fitta serie di provvedimenti indirizzati ad annullarne o falci diarne
17 celebrati a due settimane di distanza dai due meridionali (napoli e Palermo), quello umbro e quello marchigiano furono gli ultimi plebisciti italiani dell’anno. il verbale completo delle votazioni in Umbria, insieme ad altri documenti, si legge ora in P. Monacchia, Il 1860 nelle Carte Pepoli, in Dallo Stato della Chiesa al Regno d’Italia, cit., pp. 45 ss. i risultati del voto furono resi ufficiali da Pepoli il 9 novembre 1860, due giorni prima delle elezioni comunali e provinciali: popolazione 472.185; iscritti 123.011; votanti 97.625; voti per il sì 97.040; voti per il no 380; nulli 205. Sui plebisciti per l’annessione, cfr. e. Mongiano, Il “voto della Nazio-ne”. I plebisciti nella formazione del Regno d’Italia (1848-60), Torino, Giappichelli, 2003; G.S. Pene Vidari, Considerazioni sui plebisciti italiani del 1860, in «Rivista di storia del diritto italiano», 83, 2010, pp. 524 (per l’Umbria, pp. 2223); c. Ghisalberti, Storia costituzionale d’Ita-lia 1848-1948, RomaBari, Laterza, 1997, pp. 97100; e. Passerin d’entrèves, La politica delle annessioni nell’Italia centrale nel 1860, in Atti del xxxix Congresso di storia del Risorgimento italiano, Roma, istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1961, pp. 271308; P. Franzese, L’Umbria e l’unificazione italiana, in Gli archivi umbri e l’Unità. Guida alle fonti documenta-rie 1859-1865, a cura di e. david, S. Maroni, M. Pitorri, Perugia, deputazione di storia patria per l’Umbria, 2011, pp. xv ss.
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poteri e sostanze economiche. Furono aboliti il tribunale dell’inquisizione e i privilegi del foro ecclesiastico; proibiti i lasciti testamentari e le donazioni in favore dei corpi morali, con divieto per i medesimi di acquistare immobili senza l’autorizzazione del commissario; tassati i redditi dei beni di manomorta; sciolte le opere pie e costituite le congregazioni di carità municipali; abolite le decime e le primizie ecclesiastiche, sostituite da un sussidio a carico dello Stato in favore dei parroci «mal provveduti»; soppresse le corporazioni religiose, i capitoli delle chiese collegiate, i benefici semplici, le cappellanie laicali, affidando l’amministrazione dei relativi beni alla cassa ecclesiastica dello Stato. Tutti gli istituti di educazione e di istruzione pubblici e privati dell’Umbria furono sciolti dalla soggezione ai vescovi. Fu altresì abolita la compagnia di Gesù, da secoli braccio operativo della chiesa di Roma nel campo dell’educazione, e i suoi beni indirizzati al finanziamento dell’istruzione pubblica. Gli immobili ecclesiastici vennero destinati a usi di pubblico interesse (al comune di Perugia, per esempio, vennero assegnati i locali del convento di San domenico «ad uso dell’Accademia di belle Arti e Pinacoteca»; oggi vi hanno ancora sede il Museo archeologico dell’Umbria e l’Archivio di Stato). Una circolare commissariale del 25 dicembre 1860 (si vararono riforme anche il giorno di natale) sollecitò gli amministratori locali a procurare il maggiore sviluppo ed estensione all’istruzione pubblica, a promuovere la fondazione di asili infantili, a incentivare l’istruzione tecnica di primo grado e riformare l’istruzione classica dei ginnasi (dal 1° febbraio 1861 avrebbe avuto inizio l’insegnamento nei tre licei regi di Perugia, Spoleto e Rieti). «Anche l’Università di Perugia», si legge in questa circolare, «ebbe in dote convenevoli mezzi per ampliare e ridurre a maggior perfezione gli studj. Onde è che il Governo avendo provveduto con Leggi e sussidj a tutti i gradi dell’insegnamento, se l’attività e la solerzia dei Municipj si mostrano pari all’impulso ricevuto, non andrà guari e la bella Provincia dell’Umbria sarà in grado di gareggiare nell’istruzione con ogni più colta parte del regno» 18.
Sotto questi auspici, i provvedimenti commissariali relativi all’università di Perugia disciplinarono il passaggio dell’autorità sull’ate
18 Atti ufficiali pubblicati dal marchese G.N. Pepoli [...] regio commissario generale straor-dinario per le provincie dell’Umbria, 2 voll., Firenze, Stamperia Reale, 1861, ii, p. 1311.
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neo dal vescovo ai poteri civili e riformarono in molti punti l’ordinamento degli studi. Quanto al governo dell’ateneo, dopo la partenza di Bonfiglio Mura e il rifiuto del vicerettore Sebastiano Purgotti, in nome del giuramento fatto al papa, di ricoprire il maggiore ufficio, il 14 novembre 1860, pochi giorni dopo il risultato del plebiscito che aveva sancito l’annessione, Pepoli nominò rettore emilio Barbanera (17991876), professore di istituzioni criminali, Filosofia del diritto e diritto naturale e delle genti nell’università di Perugia. Barbanera sarebbe rimasto in tale incarico fino al giugno 1861 19. Già nell’ottobre 1860 il commissario straordinario aveva però adottato alcuni provvedimenti per garantire la ripresa del normale funzionamento dell’università, compromesso dagli ultimi atti d’autorità del passato regime, che, in seguito ai fatti del 20 giugno 1859, aveva vendicativamente disposto la chiusura di tutti i corsi per l’anno accademico 18591860 e sospeso il conferimento dei gradi. Gli studenti furono da Pepoli ammessi a dare gli esami e a laurearsi dal 1° al 20 novembre 1860 20 e i corsi furono riaperti il 12 novembre per garantire il regolare svolgimento del nuovo anno accademico, giacché, come si legge nel decreto del 24 ottobre 1860, «col cessare del dispotismo clericale deve cessare anche il silenzio imposto da esso alla scienza» 21. in attesa dell’esito del plebiscito e delle riforme che sarebbero prevedibilmente conseguite al risultato favorevole all’annessione, Pepoli mantenne provvisoriamente all’autorità ecclesiastica gli insegnamenti della facoltà di Teologia 22 (le facoltà teologiche sarebbero state soppresse in italia nel gennaio 1873), abolendo però l’insegnamento di istituzioni canoniche e dispensandone il suo docente, monsignor Giuseppe Lippi, che per ventotto anni aveva insegnato quella materia 23. Pochi giorni prima di cessare il suo incarico di commissario straordinario, Pepoli restituì all’ateneo, «illustre per antiche glorie», la facoltà
19 cfr. F. Treggiari, Emilio Barbanera (1799-1876), in Avvocati che fecero l’Italia, a cura di S. Borsacchi, G.S. Pene Vidari, Bologna, il Mulino, 2011, pp. 544551. nei mesi del governo di Pepoli, Barbanera fu anche membro della commissione incaricata di proporre le conferme e le nomine dei giudici e le riforme legislative più urgenti. Preside di Giurisprudenza, nel 1873 porterà la sua facoltà a votare per la conservazione della pena di morte, in risposta alla richiesta di parere del ministro guardasigilli.
20 decreto 1° ottobre 1860, n. 47, in Atti ufficiali, cit., i, pp. 139140.21 decreto 24 ottobre 1860, n. 89, ivi, pp. 279280.22 decreto 24 ottobre 1860, n. 87, ivi, pp. 275276.23 decreti del 10 novembre 1860, n. 155 e 16 dicembre 1860, n. 246, ivi, i, pp. 693694;
ii, pp. 953954.
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di dare la laurea in Medicina e chirurgia e parificò il valore di tutti i gradi e titoli conferiti nell’università di Perugia a quelli ottenuti nelle altre università del Regno 24. Questo provvedimento rimediava, almeno in parte, al declassamento a cui il governo centrale pontificio, sin dai primi anni della seconda restaurazione, aveva condannato l’ateneo umbro. nel quadro della riforma complessiva dell’istruzione superiore predisposta dalla Sacra congregazione per gli Studi sin dal 1816 (sotto il pontificato di Pio vii), l’ateneo di Perugia era stato infatti inserito tra le università di second’ordine dello Stato e minacciato persino della soppressione a vantaggio delle due università di Roma e Bologna. La riforma prevedeva la privazione per la facoltà di Medicina di rilasciare i gradi accademici – gloriosa eredità del passato medievale, risalendo alla storica concessione di Giovanni xxii di mezzo millennio prima (1321) – e l’incorporazione dei beni delle tre Sapienze (le case per gli scolari) a vantaggio dell’istituzione a Roma di un collegio studentesco, con la sola riserva di alcuni posti per i perugini. il Regolamento degli studi, reso esecutivo il 28 agosto 1824 da Leone xii, da pochi mesi salito al soglio pontificio, confermò in buona parte queste misure: collocando Perugia tra le cinque università «secondarie» dello Stato (con Ferrara, camerino, Macerata e Fermo, quest’ultima poi sostituita da Urbino nel 1826: a queste sedi venivano attribuite diciassette cattedre rispetto alle trentotto concesse alle due sedi «primarie», Roma e Bologna); qualificando la laurea conseguita in queste sedi come non idonea per l’ammissione ai collegi professionali, alle cattedre universitarie e a qualunque altro ufficio a Roma o a Bologna; togliendo alle università secondarie il diritto di conferire lauree in Medicina e chirurgia; subordinando il rilascio delle altre lauree all’ispezione di un inviato dalla congregazione per gli Studi. il 7 giugno 1825 venne decretata l’abolizione della Sapienza Vecchia e di quella Bartolina, con assegnazione in perpetuo dei loro beni all’università, mentre si provvide alla restaurazione del collegio Pio, già Sapienza nuova 25.
Questo era lo stato delle cose nei giorni delle decisioni di Pepoli. in vista dell’inquadramento delle università ex pontificie nel sistema universitario nazionale, già orientato verso una statalizzazione
24 decreto 15 dicembre 1860, n. 237, ivi, ii, pp. 927928.25 ermini, Storia dell’Università di Perugia, cit., pp. 664683.
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selettiva delle sedi esistenti, la soluzione che egli adottò, concertata con Torino e con i governatori delle altre ex province pontificie, fu quella di assegnare a Perugia, come alle altre tre università secondarie dell’ex Stato della chiesa (Ferrara, camerino e Urbino), un regime non dissimile da quello goduto sotto il precedente governo, mascherato ora però sotto un’etichetta nuova e falsamente lusinghiera: una bandiera di autonomia, che dietro la suggestiva rievocazione del passato cela va la ben più misera realtà del presente. Un decreto del 16 dicembre 1860 (n. 247), adottato sulla falsariga di quello già emanato dal governo dell’emilia il 14 febbraio per l’università di Ferrara, dichiarò l’ateneo di Perugia università «libera» 26. L’art. 2 di tale decreto stabilì che «il Municipio di Perugia e i rettori dell’Università saranno in potere di ordinarvi l’insegnamento a quel modo che stimeranno migliore; essi compileranno gli Statuti dell’Università e li sottoporranno all’approvazione del Governo»; anche «le nomine dei Professori saranno fatte dal Municipio, e da questo comunicate al Governo» (art. 3).
con il nuovo status, che avrebbe mantenuto per sessantacinque anni, fino alla «regificazione» (1925), l’ateneo perugino tornava dunque a essere «cosa principalmente della città, e la magistratura cittadina e il rettore, che già nel lontano periodo delle origini ne avevano con tanto amore promosso l’incremento, ne tornavano ad essere i curatori» 27. il contesto «comunale» si presentava, però, tutto diverso da quello delle origini; non solo per il prestigio nel frattempo perduto dall’ateneo, ma per la penuria dei mezzi finanziari necessari a rialzarlo. La «libertà» dell’università di Perugia e delle altre tre università «libere», più che a rialimentare un’antica tradizione storica di autonomia, appariva mirata a evitare allo Stato nazionale «il loro mantenimento a spese dell’erario» 28. nel gennaio 1861 un decreto del mi
26 Atti ufficiali, cit., ii, pp. 955956.27 ermini, Storia dell’Università di Perugia, cit., p. 698. Si veda anche G. dozza, Università di
Perugia. Sette secoli di modernità. 1308-1976, Perugia, delta, 1991, pp. 263267; S. Slaverio, L’U-niversità di Perugia rischia di chiudere, in «corrispondenze dall’Ottocento», 1, 2008, pp. 46 ss.
28 G. Menotti de Francesco, Rapporti tra Stato, Comuni ed altri enti locali in materia di pubblica istruzione. Studio di diritto amministrativo e di scienza dell’amministrazione, Roma, Athenaeum, 1912, p. 102, citato in M. Moretti, Piccole, povere e “libere”: le università muni-cipali nell’Italia liberale, in Le Università minori in Europa (secoli xv-xix), convegno internazionale di studi, a cura di G.P. Brizzi, J. Verger (Alghero, 30 ottobre2 novembre 1996), Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998, pp. 533562 (p. 533). Si veda anche Le università minori in Italia nel xix secolo, a cura di M. da Passano, Sassari, centro interdisciplinare per la storia
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nistro della Pubblica istruzione Terenzio Mamiani impose ai comuni di Ferrara e di Perugia di compilare entro l’anno gli statuti dei propri atenei e di sottoporli all’approvazione del ministro, disponendo altresì che i laureati in Medicina, «per avere la matricola di libero esercizio della loro professione», avrebbero dovuto frequentare il biennio clinico presso l’università di Bologna o l’istituto di studi superiori di Firenze, sostenendovi i relativi esami. Rispetto al provvedimento di Pepoli, quest’ultima misura riportava l’ateneo umbro alla condizione già vissuta nella precedente organizzazione pontificia. All’indomani dell’Unità d’italia, il regolamento Matteucci del 14 settembre 1862 29 sistemò la materia in senso ancora più centralistico e discriminatorio per Perugia e per le altre piccole sedi: ripropose la distinzione delle università governative in primarie (Torino, Pavia, Bologna, Pisa, napoli, Palermo; in seguito si aggiungeranno Padova e Roma) e secondarie (cagliari, catania, Genova, Siena, Macerata, Messina, Modena e Parma), relegando le quattro università «libere» al terzo e più basso livello del sistema universitario italiano. distinte da quelle statali, perché abbandonate all’autofinanziamento dei municipi, le università libere venivano private anche del diritto di dare i gradi, attribuito in via esclusiva a sei commissioni di laurea per tutte le università, sia statali sia libere: questione su cui si accese nel 1863 un’aspra controversia tra Giovanni Pennacchi, battagliero rettore dell’università perugina, e il ministro della Pubblica istruzione.
il primo statuto (1864) consacrò la dimensione strettamente municipale dell’ateneo perugino, ponendolo «sotto l’immediata dipendenza» del comune che, a mezzo della giunta e del sindaco, provvedeva all’amministrazione patrimoniale, alla nomina del rettore, dei professori e del personale, all’organizzazione dei corsi delle tre facol tà (Giurisprudenza; Medicina e chirurgia; Scienze naturali e matematiche), agli esami, alle tasse e agli stipendi. Affidata alle insufficienti competenze dell’amministrazione civica e alle sue ancor più scarse risorse economiche, l’università finì in pochi anni per avere
dell’Università di Sassari, 1993 (in particolare: i. Porciani, La questione delle piccole universi-tà dall’unificazione agli anni Ottanta, pp. 918; M. Moretti, La questione delle piccole università dai dibattiti di fine secolo al 1914, pp. 1944).
29 Su cui si veda i. Porciani, Lo Stato unitario di fronte alla questione dell’università, in L’Università tra Otto e Novecento. I modelli europei e il caso italiano, a cura di i. Porciani, napoli, Jovene, 1994, pp. 135184.
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vita assai grama. il sensibile calo degli iscritti portò alla decisione, fra il 1882 e il 1886, di sopprimere la facoltà di Scienze e l’insegnamento di Archeologia. Ridotta a due sole facoltà, l’università provò a risollevarsi costituendosi in ente autonomo dal comune e dandosi un’organizzazione più vicina a quella delle università statali. il nuovo statuto del 1885, affidando a organi accademici la direzione scientifica, didattica e disciplinare dell’ateneo, previde modalità di selezione dei docenti analoghe a quelle seguite per le università regie. erano ora le facoltà interessate a indicare alla giunta di vigilanza, composta dai delegati degli enti locali, le commissioni di concorso da nominare, le quali avrebbero dovuto comprendere professori di ruolo nelle università statali 30.
Sempre più sofferente dal punto di vista finanziario, l’ateneo si candidò a ottenere il riconoscimento statale, unica medicina per la sua malattia. i dati statistici dell’ultimo decennio di secolo confortavano questa aspirazione. Tra le libere, l’università di Perugia era l’unica che nell’anno accademico 18901891 avesse superato per numero di iscritti alcune università regie minori. La visita, il 18 settembre 1890, a Perugia del re d’italia, accolto solennemente dal rettore Torello Ticci nell’aula magna dell’università 31, rilanciò la richiesta del pareggiamento. La prima istanza intesa a questo risultato fu inoltrata dal corpo accademico perugino al ministero della Pubblica istruzione nell’aprile 1910 32, ma non ebbe successo. Sarebbero dovuti passare altri quindici anni. La riforma Gentile (1923), distinguendo fra università a totale e a parziale carico dello Stato, propiziò il regio decreto legge 29 ottobre 1925 n. 1965, che promosse l’università libera di Perugia a università regia di grado B (ossia del secondo tipo): lo Stato si impegnava a versare un contributo annuo alla nuova università regia, che per il resto doveva provvedere alle proprie necessità con il patrimonio acquisito dall’università libera e con i contributi degli enti locali. Tutti i docenti dell’università libera passavano nei ruoli della nuova istituzione.
30 ermini, Storia dell’Università di Perugia, cit., pp. 714715, 801802.31 cfr. Per una festa scientifica dell’Università di Perugia il 18 settembre 1890, Perugia, Ti
pografia di Vincenzo Santucci, 1891.32 Università degli Studi di Perugia, Per la regificazione dell’Università di Perugia. Rela-
zione della Commissione nominata dal Corpo accademico nell’adunanza del 28 febbraio 1910, Perugia, s.e., 1910.
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nel frattempo l’università perugina, pur ancora composta da due sole facoltà (Giurisprudenza e Medicina e chirurgia), aveva allargato il suo perimetro scientifico e didattico, inaugurando nel 1896 il «Regio istituto agrario sperimentale», destinato a trasformarsi nel 1936 in facoltà di Agraria, mentre le scuole di Farmacia e di Medicina e chirurgia veterinaria, annesse entrambe alla facoltà di Medicina e chirurgia, assumevano in quegli anni sempre più il profilo di facoltà a sé stanti. il decreto di regificazione del 1925 costituì in istituto autonomo la scuola di Veterinaria, annettendola ai regi istituti superiori di Medicina veterinaria alle dipendenze del ministero dell’economia nazionale. La scuola di Farmacia iniziò dal novembre 1927 a conferire il diploma in Farmacia e la laurea in chimica e farmacia, articolandone il corso in cinque anni. Lo stesso decreto del 1925 istituì presso l’università di Perugia «un ente autonomo, che avrà per fine di organizzare e mantenere speciali corsi di letteratura e cultura italiana per stranieri», preconizzando la nascita, oramai prossima, dell’Università per Stranieri di Perugia.
l’ateneo nel ventennio fascista (1925-1944)
Prima delle università libere a ottenere la regificazione, Perugia fu premiata anche per la fedeltà che la città – «capitale della rivoluzione», essendo stata quartiere generale della marcia su Roma – aveva sino allora manifestato al regime di Mussolini 33. L’anno della regificazione è lo stesso della fondazione a Perugia dell’Università per gli Stranieri, inaugurata solennemente da Benito Mussolini con una prolusione roboante e dal tema a dir poco fuori quadro: Roma antica sul mare (nell’Umbria, cuore verde) 34. in quell’occasione (era il 5 ottobre 1926), anche l’Università degli Studi aveva ricevuto la visita del
33 il contenuto di questo paragrafo e in particolare le vicende dell’epurazione del personale universitario sono sviluppate più ampiamente in F. Treggiari, Università e giuristi a Pe-rugia (1925-1945), in Giuristi al bivio. Le Facoltà di Giurisprudenza tra regime fascista ed età repubblicana, a cura di M. cavina, Bologna, clueb, 2014, pp. 227258.
34 Sulla cornice retorica che accompagnò la nascita dell’Università per Stranieri di Perugia si veda F. Treggiari, Da Perugia a Oxford: la parabola del giurista cinquecentesco Alberico Gentili, in «diomede», 10, 2008, pp. 8589. Per un profilo complessivo si veda A. Stramaccioni, Un’istituzione per la lingua e la cultura italiana. L’Università per Stranieri di Perugia (1925-2005), città di castello, edimond, 2006.
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duce, giunto a Perugia insieme al ministro della Pubblica istruzione Pietro Fedele e a uno stuolo di sottosegretari e onorevoli. nell’aula magna dell’ateneo, dove troneggiava un suo busto in gesso, i docenti avevano indossato i costumi accademici, la milizia universitaria (pochi mesi prima, il 24 maggio, era stato inaugurato a Perugia il Gruppo universitario fascista) aveva prestato servizio d’onore, gli studenti avevano indossato il berretto goliardico.
esattamente un anno dopo, nell’ottobre 1927, sotto gli auspici del capo del governo, era stata istituita la «Facoltà Fascista di Scienze Politiche», sorta di università di regime («reparto mobilitato della Rivoluzione Fascista», «seminario della Rivoluzione» venne definita dal suo artefice, Sergio Panunzio, filosofo del diritto in ruolo nella facoltà di Giurisprudenza di Perugia, onorevole e sottosegretario di Stato fino al 1926, nel 19271928 rettore dell’università di Perugia) destinata a formare i quadri e i funzionari («gli operai dello Stato») del nascente «Stato nuovo» mussoliniano 35. Lo statuto dell’ateneo, appena varato, all’art. 28 attribuiva alla nuova facoltà «il fine di promuovere la conoscenza e la coscienza del fascismo e di preparare i Fascisti alle carriere: amministrativa, sindacalecorporativa, consolarediplomatica, coloniale, giornalistica» 36. con i suoi corsi di Storia e dottrina generale del fascismo, Sistema della legislazione fascista, diritto corporativo, Storia delle colonie e politica coloniale, diritto coloniale e i robusti innesti di insegnamenti mutuati dalla facoltà di Giurisprudenza, essa avrebbe dovuto condurre Perugia a essere «nel secolo fascista» ciò che «Bologna era nel Medioevo» 37.
35 Regia Università di Perugia, La Facoltà Fascista di Scienze Politiche, Perugia, Tipografia commerciale, 1929, pp. 21, 41 (ripr. facs. in La Facoltà fascista di scienze politiche di Perugia, a cura di A. campi, Perugia, Stampa & comunicazione, 2006).
36 id., La Facoltà Fascista nei primi sei anni di vita. Relazione del Commissario del Gover-no prof. Sergio Panunzio al Duce del Fascismo e Capo del Governo, Perugia, Tipografia della Rivoluzione Fascista G. donnini, 1935, pp. 2324 (anche questo testo è stato ripubblicato in ripr. facs. in La Facoltà fascista di scienze politiche di Perugia, cit.).
37 La grande importanza per Perugia dell’istituzione della Facoltà fascista di scienze politi-che, in «L’Assalto», 67 agosto 1927, p. 1, citato in L. di nucci, Nel cantiere dello Stato fasci-sta, Roma, carocci, 2008, p. 72 (sulla facoltà di Scienze politiche, pp. 91120). cfr. inoltre id., Le facoltà di Scienze Politiche in Italia e il caso di Perugia, in Le scienze politiche. Modelli con-temporanei, a cura di V.i. comparato, R. Lupi, G.e. Montanari, Milano, FrancoAngeli, 2011, pp. 7184; id., La Facoltà fascista di Scienze Politiche di Perugia: origini e sviluppo, in Continu-ità e fratture nella storia delle università italiane dalle origini all’età contemporanea, Perugia, Università degli Studi di Perugia, dipartimento di Scienze storiche, 2006, pp. 133151; M.c. Giuntella, La facoltà fascista di Scienze Politiche di Perugia e la formazione della classe dirigente
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il progetto della nuova facoltà aveva cominciato a prendere forma già nell’estate 1925, in concomitanza con la regificazione dell’ateneo. nel luglio di quell’anno il rettore dell’università, l’amministrativista della facoltà di Giurisprudenza edoardo Tommasone, era andato a Palazzo chigi, insieme a una commissione di autorità e di gerarchi di Perugia, per ringraziare Mussolini dell’avvenuta regificazione, e aveva ricevuto dal duce l’ordine di caratterizzare in senso fascista l’ateneo. Ritornato a Perugia, Tommasone aveva coinvolto Sergio Panunzio, intimo di Mussolini e dal giugno 1925 professore a Perugia. insieme al preside di Giurisprudenza, Angelo criscuoli (già rettore dell’ateneo nel 19231924), Panunzio affinò il progetto, forte del sostegno finanziario del governo e degli altri stanziamenti provenienti da comune, provincia, sindacati e banche. nell’agosto 1927 il consiglio dei ministri deliberò l’istituzione della «Facoltà Fascista di Scienze Politiche», denominazione preferita a quella di «Facoltà di Studi fascisti». Panunzio, chiamato nel novembre 1927 a insegnare dottrina generale dello Stato a Roma, ne venne nominato commissario per l’organizzazione e il primo avviamento (lo sarà fino all’ottobre 1933). nel primo organico della facoltà insegnavano non pochi professori di Giurisprudenza 38. nel 1934 fu chiamato alla cattedra di Storia moderna Federico chabod, che fu anche preside della «Facoltà Fascista» dal 1935 al 1937, quando si trasferì a Roma (gli subentrò Aldo Maria Ghisalberti). nel 1940 vi fu chiamato a insegnare Storia economica Luigi dal Pane. non pochi professori della nuova facoltà erano fascisti «di fede»: tra questi, Paolo Orano, Maurizio Maraviglia, Francesco coppola, Angelo Oliviero Olivetti, Giuseppe Maranini. dall’anno accademico 19381939 la facoltà prevedeva due indirizzi di laurea, uno in Scienze politiche, l’altro in economia e commercio. Per immatricolarsi, gli studenti dovevano possedere la maturità classica o scientifica ed essere iscritti al Pnf.
Gratificata e ben voluta dal regime, il 28 marzo 1927 l’università di Perugia e la sua facoltà di Giurisprudenza conferirono la dignità di professore onorario al ministro della Pubblica istruzione Pietro Fedele, insignendolo anche della cittadinanza perugina 39. La devo
fascista, in Politica e società in Italia dal fascismo alla Resistenza, a cura di G. nenci, Bologna, il Mulino, 1976, pp. 293313.
38 Regia Università di Perugia, La Facoltà Fascista nei primi sei anni di vita, cit., pp. 7475.39 dozza, Università di Perugia, cit., pp. 400401.
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zione al regime fruttò all’ateneo umbro favori finanziari, che consentirono l’espansione delle sue strutture. erano anni di gloria e di boria accademica: nel 1934, in un articolo sul «Giornale d’italia» che fece molta eco, indro Montanelli definì Perugia l’«Oxford italiana» 40.
Le testimonianze dei vincoli che legavano l’ateneo perugino al regime si moltiplicarono negli anni successivi. il 17 giugno 1928 Turati, segretario del Pnf, venne a tenervi una lezione affollatissima, accompagnato dal ministro Fedele. nella circostanza Lanciotto Rossi, appena nominato rettore dell’ateneo e da alcuni anni in ruolo nella facoltà di Giurisprudenza perugina come professore di diritto processuale civile, nel suo discorso «fascisticamente devoto» sottolineò nella presenza dei due illustri ospiti il «nuovo riconoscimento, quanto mai solenne, del carattere nettamente, fortemente fascista della nostra Università» 41. il 27 ottobre 1929 a Luigi Federzoni, presidente del Senato, l’ateneo conferì la laurea honoris causa in Giurisprudenza. Le iscrizioni degli studenti intanto salivano, trainate da Scienze politiche (dei 476 iscritti all’ateneo nell’anno accademico 19281929, 203 avevano scelto la nuova facoltà) e dal carismatico Paolo Orano (18751945), ordinario di Storia del giornalismo e incaricato di Storia e dottrina generale del fascismo in quella facoltà; una figura destinata a lasciare non labile traccia di sé nell’ateneo perugino: sarà rettore per dieci anni, dal 1935 al 1944, e sotto la sua guida l’università vivrà la sua più fervida stagione politica.
il 28 agosto 1931 un regio decreto legge (n. 1227) aveva intanto imposto ai professori universitari di ruolo e agli incaricati di giurare «di essere fedele al Re, ai suoi Reali successori e al Regime fascista, di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato, di esercitare l’ufficio di insegnante e adempiere a tutti i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e devoti alla Patria ed al Regime Fascista». era la via forzosa alla fascistizzazione delle università. Quell’anno l’ateneo di Perugia, più fascista che mai, si era attrezzato di locali per la milizia universitaria, che contò subito oltre duecento aderenti. il 6 dicembre 1931, nella sua prolusione inaugurale dell’anno accademico, dal titolo Giornalismo, opinione pubblica e
40 Treggiari, Da Perugia a Oxford, cit., pp. 8586; di nucci, Nel cantiere dello Stato fasci-sta, cit., pp. 69 ss.
41 il discorso è pubblicato in Regia Università di Perugia, La Facoltà Fascista di Scienze Politiche, cit., pp. 2931.
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potere politico, Paolo Orano aveva difeso ed esaltato la stretta del regime sulla «cosidetta libertà di stampa» 42.
in questa cornice si inserì il rifiuto di giurare di edoardo Ruffini (19011982), a Perugia da pochi mesi come professore di Storia del diritto italiano nella facoltà di Giurisprudenza 43. Vi era stato chiamato il 17 marzo 1931 dal preside Antonio Ambrosini – un «vecchio e caro amico, malgrado il suo conformismo fascista» 44 –, da poco trasferito nell’ateneo perugino da camerino, ove era stato rettore nei primi anni di docenza di Ruffini. A parte «l’invincibile ripugnanza per il bel gesto» 45, Ruffini non ebbe mai incertezze sul da farsi, cioè sul non giurare 46. il rettore Leonardo dominici (successore di Lanciotto Rossi, governò l’ateneo dal 1930 al 1935) 47 tentò di fargli cambiare idea, cercando di convincerlo che il giuramento era solo una formalità e che dopo avrebbe potuto insegnare come voleva; ma inutilmente. in quel suo primo anno d’insegnamento a Perugia Ruffini fece in tempo a tenere le sole prime due lezioni dei corsi di Storia del diritto italiano e di diritto ecclesiastico e canonico, il 19 e il 20 novembre 1931. il 29 novembre 1931, all’invito formale «di trovarsi il
42 dozza, Università di Perugia, cit., p. 412.43 Profili di edoardo Ruffini in A. Passerin d’entreves, Ricordo di Edoardo Ruffini, in
«nuova Antologia», dlii, 2147, lugliosettembre 1983, pp. 267270; d. Segoloni, Edoardo Ruf-fini, in «Rivista di storia del diritto italiano», 58, 1985, pp. 333368; G. crifò, “Vivere insie-me”: Edoardo Ruffini e noi, in Lezioni per Edoardo Ruffini, i, Perugia, centro studi giuridici e politiciRegione Umbria, 1994, pp. 2146; P. Grossi, Omaggio a Edoardo Ruffini (Discorren-do di una singolare esperienza di studio e di due libri singolari), in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 7, 1978, pp. 575582; Per Edoardo Ruffini, a cura di S. caprioli, L. Rossi, Perugia, centro studi giuridici e politiciRegione Umbria, 1985; A. Mattone, a.v. Ruffini Avondo, Edoardo, in Dizionario biografico dei giuristi italiani, ii, Bologna, il Mulino, 2013, pp. 17551756.
44 H. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, Firenze, La nuova italia, 2000, p. 100 (citando dalle lettere di edoardo Ruffini a Helmut Goetz del 14 febbraio 1971 e del 13 giugno 1972).
45 dalla lettera di edoardo Ruffini alla cugina nina Ruffini del 26 agosto 1931, citato in G. Boatti, Preferirei di no. Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini, Torino, einaudi, 2001, p. 6.
46 cfr. la lettera dell’11 novembre 1978, in e. Ruffini, Lettere da Borgofranco su principio maggioritario e dintorni, a cura di S. caprioli, F. Treggiari, in Giuristi dell’Università di Peru-gia. Contributi per il vii centenario dell’Ateneo, a cura di F. Treggiari, Roma, Aracne, 2010, p. 420 (già edita in «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 1983, pp. 10941101, sotto il titolo Conciso autoritratto di Edoardo Ruffini e poi in Per Edoardo Ruffini, cit., pp. 147158).
47 nato a Trevi (Perugia) nel 1879, professore di clinica chirurgica, Leonardo dominici era salito al governo dell’ateneo dopo quattro consecutivi rettori provenienti dalla facoltà di Giurisprudenza: Angelo criscuoli (19231924), edoardo Tommasone (19241926), Sergio Panunzio (19261928) e Lanciotto Rossi (19281930).
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giorno di martedì 1° dicembre, alle ore 12 nell’Ufficio Rettorale per prestare giuramento secondo la nuova formula stabilita dall’art. 18 del R.d. 28 agosto 1931 n. 1227» 48, rispose con una lettera, in cui diceva di non potere, «in coscienza, assumere l’obbligo di adempiere con la voluta efficacia a quell’ufficio di formazione spirituale dei giovani che la formula prescritta impone» 49.
il suo rifiuto di giurare – un cuneo nel conformismo e nell’obbedienza che caratterizzava l’atteggiamento dei suoi colleghi (di quella che passava per essere l’università fascista per eccellenza) – scatenò un’ondata di panico nella facoltà giuridica perugina. Uno dei dodici professori che in quei giorni voltavano le spalle al regime (Ruffini, appena trentenne, ne era il più giovane) era tra loro. in italia, conviene ricordarlo, giurò il 99% dei 1225 professori universitari dell’epoca: certamente non tutti fascisti e tra essi, anzi, anche non pochi mae stri di antifascismo (il Partito comunista clandestino aveva ordinato ai professori iscritti di prestare il giuramento) 50. il rifiuto di Ruffini e degli altri undici professori fu uno scandalo senza precedenti; e senza epigoni: due anni dopo, nessun professore tedesco avrebbe rifiutato il giuramento di fedeltà e obbedienza ad Adolf Hitler.
il rettore dominici fece pregare Ruffini di ritirare la sua lettera. Ruffini non accolse la richiesta e la lettera venne fatta sparire dal suo fascicolo personale 51. il 24 dicembre 1931, tuttavia, cedendo alle preghiere di Ambrosini, Ruffini, a cui era giunto l’invito del ministero «di giustificare il proprio atto dinanzi al ministro stesso o di dare le dimissioni», scrisse da Roma al rettore la richiesta di accettare le sue dimissioni da professore di ruolo di Storia del diritto italiano per «motivi di famiglia». Le dimissioni furono accettate a decorrere dal 1° gennaio 1932. della cattedra di Storia del diritto italiano lasciata libera da edoardo Ruffini divenne titolare Giuseppe ermini, trasferito dall’università di cagliari, dove insegnava quella materia dal 1927.
48 copia della lettera in Archivio storico dell’Università di Perugia (asupg), Parte generale, 1945, cat. i, pos. 16, Giuramento del personale.
49 nel fascicolo personale di edoardo Ruffini non è conservato né l’originale né copia di questa lettera, edita poi (il testo fu probabilmente tratto dalla copia che Ruffini ne conservò) in «Resistenza, Giustizia e Libertà» del 14 gennaio 1962, nonché in A. Galante Garrone, I miei maggiori, Milano, Garzanti, 1984, p. 36, e in H. Goetz, Il Tornante del 1931, in Per Edoa -rdo Ruffini, cit., pp. 2534 (p. 31).
50 Goetz, Il giuramento rifiutato, cit., pp. 1617.51 ivi, p. 103 nota 236.
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Ruffini rientrerà senza sollecitudine e senza entusiasmo nell’università di Perugia, dopo che il nuovo ministro della Pubblica istruzione, Guido de Ruggiero, il 1° giugno 1944 aveva annullato tutte le forzate dimissioni del 1931. Poco più di un anno prima, nella primavera del 1943, era stata la volta, anche per Perugia e la sua università, di un nuovo giuramento di fedeltà, prescritto dalla Rsi a tutti i dipendenti statali. con un telegramma del 23 marzo 1944 il ministro Biggini lo aveva imposto anche ai direttori amministrativi, ai funzionari e agli altri impiegati degli atenei, rinviando per il momento di estenderlo al personale insegnante. Un processo verbale redatto su modulo a stampa, con impressa la formula del giuramento («giuro di servire lealmente la Repubblica Sociale italiana nelle sue istituzioni e nelle sue leggi e di esercitare le mie funzioni per il bene e la grandezza della Patria»), lo avrebbe sancito 52. il prorettore carlo Fuschini (il rettore Paolo Orano era «da tempo assente da Perugia» ed era in quei giorni in corso presso il ministero dell’educazione nazionale della Rsi la procedura per la nomina del suo successore, che sarebbe caduta sullo stesso Fuschini), dopo essersi assicurato dal ministro l’esonero dei docenti dall’obbligo di giurare, il 20 aprile 1944 aveva garantito allo stesso ministro la presenza di tutti i dipendenti dell’ateneo alla cerimonia pubblica per il giuramento di fedeltà da parte dei capi degli uffici delle amministrazioni statali (i dipendenti sarebbero stati in seguito invitati a giurare dinanzi al loro diretto superiore), indetta dal comune per la mattina di domenica 23 aprile 1944 al teatro Pavone, nel centro storico cittadino. Per chi si fosse rifiutato di giurare, il governo della Rsi minacciava il «collocamento a riposo d’autorità» 53.
dopo l’espulsione di Ruffini dall’università, gli omaggi dell’ateneo perugino al regime erano intanto proseguiti. il 6 marzo 1932 Achille Starace, segretario del Pnf, aveva visitato l’università. il successivo 28 ottobre l’ateneo e le scuole di Perugia avevano reso omaggio, nel decennale fascista, ai caduti per la Rivoluzione. il 6 aprile 1933 l’intera rappresentanza dell’università si era recata a Roma per visitare la mostra della Rivoluzione fascista e per essere ricevuta da Starace. il 17 maggio era stata la volta della visita a Perugia del ministro dell’educazione nazionale de Vecchi, seguita in giugno da quel
52 documenti in asupg, Parte generale, 1945, cat. i, pos. 16, Giuramento del personale.53 ivi, circolare del ministro Biggini del 22 maggio 1944.
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la del ministro dei Lavori pubblici cobolli Gigli, venuto a inaugurare le opere per il policlinico universitario. Anche i tradizionali riti universitari erano stati piegati al costume del regime: la prolusione inaugurale dell’anno accademico era stata abolita e sostituita da discorsi – tra cui quello del rappresentante del Guf, che con i suoi settecento iscritti aveva aperto un’elegante sede nel centro cittadino –, in cui si affrontassero «i problemi della Patria non disgiunti da quelli della cultura» 54.
Grazie anche a queste devozioni politiche, l’ateneo consolidò le sue strutture e avanzò di grado tra le università statali. nel 19341935 il regio istituto superiore di Medicina veterinaria fu trasformato in facoltà; l’anno seguente fu istituita la facoltà di chimicaFarmacia e nel 1936 anche il regio istituto superiore di Agraria divenne facoltà, portandone così il numero a sei. nel 1935 gli iscritti all’ateneo furono 561 (Medicina in testa con 209 iscritti, Giurisprudenza con 152, Scienze politiche con 91, Farmacia con 56, Veterinaria con 35), più della metà dei quali provenienti da fuori regione, 32 dall’estero. nel 1936 l’università di Perugia fu inserita fra gli atenei di grado A (ossia a totale carico dello Stato).
Al suo insediamento come rettore nel 1935 (lo sarà fino al 1944, riconfermato tre volte in questo incarico; dal 1939 sarà anche senatore del regno), Paolo Orano si dichiarò senza esitazioni «personalità politica e combattiva, chiamata rigorosamente a rappresentare e ad affermare lo spirito e il comando dello Stato voluto dal partito fascista», partecipe della «militarizzazione delle anime» richiesta dalle «urgenti necessità del momento storico» 55. Orano esercitò un potere personale sulle facoltà dell’ateneo, subordinando alla sua proposta la nomina dei presidi. nel 1937 vide la luce il suo libro Gli Ebrei in Italia – una «dichiarazione di guerra a tutto campo nei confronti degli ebrei italiani» 56 –, destinato a raccogliere presto fama e consen
54 dozza, Università di Perugia, cit., pp. 419423. Sul Guf perugino, cfr. M.c. Giuntella, Autonomia e nazionalizzazione dell’Università. Il fascismo e l’inquadramento degli atenei, Roma, Studium, 1992, p. 208; L. La Rovere, Storia dei Guf. Organizzazione, politica e miti della gioventù universitaria fascista 1919-1943, Torino, Bollati Boringhieri, 2003.
55 dozza, Università di Perugia, cit., pp. 407, 424. Su Orano si veda G. Fabre, a.v. Orano, Paolo, in Dizionario biografico degli italiani, lxxix, Roma, istituto dell’enciclopedia italiana Treccani, 2013, pp. 395402.
56 e. collotti, Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia, RomaBari, Laterza, 2006, p. 45 (su Orano, pp. 4247).
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si. L’anno seguente, proprio durante il suo rettorato, scese sul corpo accademico perugino la mannaia delle leggi razziali. A farne le spese furono sei docenti, gli ultimi due dei quali, però, sarebbero stati poco dopo «discriminati» dalla «discriminazione» 57: cesare Finzi, ordinario di chimica farmaceutica e tossicologia e preside della facoltà di Farmacia; Gino de Rossi, ordinario di Microbiologia agraria; Giorgio Todesco, straordinario di Fisica; Bernardo dessau, ordinario di Fisica sperimentale; Quinto Micheletti (Michaelstadter), assistente incaricato di Patologia speciale chirurgica e Leonardo Viviani, assistente incaricato presso Scienze politiche. i primi tre furono sospesi alla data del 16 ottobre 1938; saranno poi riammessi, a fini economici, dal 1° gennaio 1944. dessau non fu sospeso in quanto già collocato a riposo; venne però cancellato dall’annuario dell’università, ove compariva tra i professori emeriti (ai sensi della circolare del ministero dell’educazione nazionale, n. 7589 del 27 dicembre 1938, ai professori emeriti o onorari di razza ebraica il titolo onorifico non doveva essere revocato, ma essi andavano esclusi da qualsiasi partecipazione alla vita accademica). i provvedimenti di sospensione di Micheletti e Viviani vennero invece annullati con disposizioni ministeriali rispettivamente del 19 ottobre 1939 e del 10 dicembre 1938.
negli anni della guerra, con sei facoltà (Giurisprudenza, Medicina e chirurgia, Scienze politiche, Farmacia, Agraria e Medicina veterinaria) e un buon numero di studenti (1287 alla vigilia del conflitto, non pochi dei quali iscritti al corso di laurea in economia e commercio, istituito dal 19391940 nell’ambito della facoltà di Scienze politiche), l’ateneo perugino organizzò la Mostra storica dell’Università di Perugia, onorata il 18 febbraio 1942 della visita del ministro dell’educazione nazionale, Giuseppe Bottai. Vi si esponeva materiale archivistico, iconografico e bibliografico dal xiii al xix secolo, rievocativo della storia plurisecolare dell’ateneo. Una mostra organizzata in mezzo ai bombardamenti, malgrado l’indisponibilità di documenti e
57 La «discriminazione dalla discriminazione» era stata sancita da più provvedimenti, che avevano attribuito all’autorità amministrativa l’arbitrio di escludere i cittadini italiani dall’appartenenza alla razza ebraica, anche a dispetto delle risultanze anagrafiche: cfr. F. Treggiari, Questione di stato. Codice civile e discriminazione razziale in una pagina di Francesco Santoro Passarelli, in Per saturam. Studi per Severino Caprioli, a cura di G. diurni, P. Mari, F. Treggiari, Spoleto, centro italiano di Studi per l’Alto Medioevo, 2008, pp. 821868 (pp. 846 ss), saggio pubblicato anche in Il pensiero giuridico di Francesco Santoro Passarelli, a cura di B. Montanari, Torino, Giappichelli, 2010, pp. 1763.
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pezzi già riposti altrove per misure di protezione antiaerea, non legata ad alcun anniversario e dunque voluta per mettere in vetrina i gloriosi cimeli medievali dello Studium, Bartolo e Baldo in testa, e creare così una nuova occasione di visibilità politica dell’ateneo 58.
la transizione alla democrazia (1944-1945)
destituito dalla cattedra dal governo Bonomi nel giugno 1944, catturato dagli Alleati il successivo 11 agosto, incarcerato e trasferi to nel campo di concentramento di Padula (Salerno), dove erano stati raccolti i gerarchi fascisti in attesa di giudizio, Paolo Orano morì il 7 aprile 1945. Al suo posto di rettore dell’ateneo perugino il governo della Repubblica di Salò designò l’entomologo carlo Fuschini (18801957), preside della facoltà di Agraria dal 1936 (lo sarà in seguito ininterrottamente fino al 1951), che già in passato aveva sostituito Orano nei periodi di sua assenza. Fuschini ebbe il gradimento del Governo militare alleato (Gma) di stanza a Perugia 59 e rimase in carica di fatto fino a circa la metà di settembre 1944. Tornerà a ricoprire l’ufficio di rettore dell’ateneo perugino dieci anni dopo, nell’anno accademico 19541955, unico intervallo del più che trentennale rettorato di Giuseppe ermini.
nelle settimane successive alla liberazione di Perugia (20 giugno 1944) 60, gli Alleati e poi l’amministrazione italiana dettero avvio alle misure epurative dei pubblici impiegati compromessi con il regime
58 Se ne veda la descrizione fatta da uno dei suoi curatori, il bibliotecario dell’ateneo: R. Belforti, La mostra storica dell’Università di Perugia, in «Bollettino della deputazione di storia patria per l’Umbria», xl, 1943, pp. 193199. nella sede del centro servizi bibliotecari dell’Università di Perugia (ex Biblioteca centrale) ne è conservato il catalogo fotografico.
59 cfr. la lettera del 25 luglio 1944, non firmata, scritta (da mano italiana, a giudicarne l’inglese) in risposta alla richiesta di informazioni sull’università di Perugia (chi ne fosse attualmente rettore e da chi fosse stato nominato; notizie sul «corpo accademico in generale oppure a proposito di elementi particolarmente sospetti», nonché sulla condizione della biblioteca e degli altri edifici universitari) inviata il 18 luglio 1944 dai colonnelli carl M. Gevers e i.F. Belser, in Perugia liberata. Documenti anglo-americani sull’occupazione alleata di Pe-rugia (1944-1945), a cura di R. Absalom, Firenze, Olschki, 2001, pp. 533534.
60 cfr. ivi, pp. 112 ss; R. Absalom, Il Governo militare alleato nell’Italia centrale, in L’Um-bria verso la Ricostruzione, atti del convegno Dal conflitto alla libertà (Perugia, 2829 marzo 1996), PerugiaFoligno, isuceditoriale Umbra, 1999, pp. 2133; S. innamorati, Perugia, dalla Repubblica sociale al governo del Cln, ivi, pp. 4564.
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dittatoriale 61. Quanto all’università, dopo un primo provvedimento adottato il 20 luglio 1944, con cui il Gma aveva disposto il licenziamento di cinque fra docenti di ruolo e incaricati 62, al rettore Fuschini, nell’agosto 1944, era toccato il compito di stilare le schede del personale in servizio, che gli Alleati avrebbero utilizzato come base per i procedimenti epurativi. Fuschini compilò una lista di ventidue persone, squadristi o membri del Partito fascista repubblicano (due professori di ruolo, due professori incaricati, cinque aiuti e assistenti, quattro liberi docenti, due assistenti volontari, i restanti amministrativi), che il Gma era intenzionato a sospendere dal servizio 63. L’elenco doveva essere stato poi assottigliato, se un successivo documento del 21 agosto 1944 del Provincial Public Safety Office, Perugia Province, a firma del capitano c.e. Godbold, propose al prefetto reggente, l’avvocato Luigi Peano (nominato dagli Alleati su designazione del comitato provinciale di liberazione nazionale [cpln] e in carica dal luglio 1944), l’immediato licenziamento di soli quindici dipendenti 64.
nel settembre 1944, mentre erano in corso queste vicende, il Gma
61 L’epurazione alleata a Perugia fu durissima, con più di un migliaio di allontanamenti dai pubblici uffici, un fatto compiuto con il quale l’epurazione italiana, che si risolse in un quasi fallimento (si colpì poco e «in basso»: per un bilancio, cfr. G. Rescigno, L’epurazione a Perugia, ivi, pp. 125134, [pp. 130 ss]), dovette suo malgrado confrontarsi: cfr. G. Severini, I problemi dell’epurazione a Perugia, in Gli Alleati in Umbria (1944-45), atti del convegno Giornata degli Alleati, a cura di R. Ranieri (Perugia, 12 gennaio 1999), Perugia, fondazione Ranieri di Sorbello, 2000, pp. 111119; Perugia liberata, cit., pp. 376417. Le carte d’archivio relative all’epurazione a Perugia sono conservate in asupg, Parte generale, 1945, cat. i, in Archivio di Stato Perugia (aspg), Prefettura, Gabinetto, bb. 195198, e in aspg, comitato Provinciale di Liberazione nazionale (cpln), bb. 47; l’archivio della sezione per l’epurazione della corte d’Appello, conservato anch’esso in aspg, concerne i procedimenti riguardanti il personale degli enti locali.
62 aspg, Prefettura, Gabinetto, b. 196, fasc. 1/i, c. n.n. il Memorandum to Prefect Peano del 20 luglio 1944, a firma del colonnello Ozni H. cornwell, indicava i seguenti professori da licenziare: Paolo Orano (Scienze politiche, rettore), Brajo Fuso (Medicina), Mario Filomeni (Farmacia), Giuseppe Priorelli e Augusto Agostini (Agraria).
63 Relazione 1° settembre 1944 del colonnello Rowell, in Perugia liberata, cit., pp. 538539 note 1214.
64 aspg, Prefettura, Gabinetto, b. 196, fasc. 1/i, c. 8. i licenziandi (vi erano inclusi, tranne Paolo Orano, anche quelli del Memorandum del 20 luglio 1944) erano: Giuseppe Priorelli, Francesco Boschi, Mario Bandini, carlo Seppolini, Brajo Fuso, Paolo Toponi, camillo Giannantoni, Giuseppe Minniti, Alfredo Berardi, prof. desiderio nai, prof. Mario Filomeni, Virgilio Bianconi, Alberto Bacanella, dott. carlo doneddu, dott. Augusto Agostini. Buona parte di loro (Boschi, Seppolini, Berardi, nai, Filomeni, Bianconi, Bacanella, doneddu) è compresa nell’Elenco dei nomi fascisti repubblicani conservato in aspg, cpln, b. 6, fasc. 49. Rispettivamente in aspg, cpln, b. 4, fasc. 2B e in aspg, Prefettura, Gabinetto, b. 196, fasc. 47, c. 5, sono conservate le schede di Boschi e di Toponi (quest’ultimo archivista presso l’università).
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nominò Giuseppe ermini, ordinario di Storia del diritto italiano nella facoltà di Giurisprudenza di Perugia, commissario ministeriale e prorettore dell’ateneo 65. ermini sarà confermato rettore dal corpo accademico il 29 giugno 1945 e manterrà questa carica per oltre trent’anni, fino al 1976, con la sola eccezione dell’anno accademico 19541955, quando la lasciò in conseguenza della sua nomina a ministro della Pubblica istruzione nel primo governo Scelba; in quell’occasione, come si è già ricordato, sarà sostituito da carlo Fuschini 66.
il primo della lunga serie di discorsi inaugurali di anni accademici tenuti da ermini come rettore dell’università perugina fu quello che aprì, domenica 10 dicembre 1944, nell’aula magna dell’ateneo (l’ex chiesa dell’università), alla presenza del comando alleato, l’anno accademico 19441945 67. Sul delicato tema del personale universitario compromesso con il passato regime la linea scelta da ermini, pur nell’esecrazione dell’esperienza totalitaria, fu sin dall’inizio di sostanziale difesa del corpo accademico dalle minacce epurative, nell’equivoco presupposto che il prestigio dell’istituzione universitaria dipendesse dal salvataggio in blocco dei suoi docenti: «non cre
65 Sulla nomina di ermini a prorettore, cfr. ancora il documento in data 1° settembre 1944 a firma del colonnello Rowell, da cui risulta che ermini era il candidato rettore del ministro della Pubblica istruzione de Ruggiero (p. 539, nota 15), il quale, come seconda scelta, aveva indicato Leonardo coviello, ordinario di diritto civile nella facoltà giuridica perugina. Sono pertanto errati i dati riportati negli Annuari dell’università di Perugia, i quali, oltre a non tener conto della «reggenza» di carlo Fuschini da maggio a settembre 1944 (la sua nomina a rettore proveniva dal governo della Rsi, è vero, ma il comando alleato la confermò di fatto), indicano Giuseppe ermini «dal 7 aprile 1944 ff. Rettore, dall’1 novembre 1944 Rettore»; Annuario dell’Università degli studi di Perugia 1948-49, Perugia, Grafica, 1949, p. 42, nota 6.
66 Giuseppe ermini (Roma, 19001981) si era laureato in Giurisprudenza nel 1921 a Roma. Libero docente nel 1926, aveva vinto l’anno successivo il concorso per la cattedra di Storia del diritto italiano. chiamato a insegnare a cagliari, vi era rimasto fino al suo trasferimento a Perugia, dove era giunto nel novembre 1932. A Perugia insegnò dal 1932 al 1976, ultimo anno della sua carriera di professore e di rettore. eletto nel 1946 all’assemblea costituente nelle liste della democrazia cristiana, fu deputato fino al 1968 e senatore dal 1972 al 1976. Sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri nel primo governo Fanfani (1954) e poi nel successivo governo Scelba, ebbe in quest’ultimo governo il dicastero della Pubblica istruzione (settembre 1954luglio 1955). nel 1958 presiedette la commissione pubblica istruzione della camera dei deputati, negli anni della riforma della scuola dell’obbligo (1962) e dei tentativi di quella universitaria. cfr. F. Treggiari, a.v. Ermini, Giuseppe, in Dizionario bio-grafico dei giuristi italiani, cit., i, pp. 801803.
67 G. ermini, Discorso inaugurale dell’anno accademico 1944-45, in Annuario dell’Univer-sità degli studi di Perugia 1948-49, cit., pp. 197212. il discorso fu stampato anche in lingua inglese (Inaugural Speech for the Academic Year 1944-45 of the Royal University of Perugia, in this its 637th Year, Perugia, Grafica 1944) a beneficio degli ospiti del Gma. Una copia dell’opuscolo in lingua inglese è in asupg, Parte Generale, 1945, cat. i, pos. 7.
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do», disse, «di peccare di ottimismo asserendo che la struttura basilare della costruzione universitaria ed i caratteri essenziali e lo spirito animatore della nostra cultura hanno ben resistito e sono usciti salvi dalla terribile prova» 68. La tesi, perfettamente armonizzata al montante «paradigma antifascista» 69, era quella di una diffusa refrattarietà della cultura universitaria all’ideologia del regime, nell’assunto che una maggioranza virtuosa fosse stata piegata alle violenze «di una sparuta quanto astuta associazione di facinorosi» 70.
il desiderio di ermini di riportare l’ateneo alla sua funzione di educazione e di studio convergerà fatalmente con il colpo di spugna sulle compromissioni politiche, grazie alle quali, nel corso del ventennio, l’università perugina aveva costruito la sua identità e la sua fortuna. certamente, ermini parlò della necessità di «nettare dal fango […] le aule di questo bell’edificio, gettandone fuori i traditori della scienza e gli avventurieri della politica»; di liberare la vita universitaria «dal dilettantismo, dalla malafede, dagli intrighi e dai personalismi»; di «recidere con taglio netto la parte cancerosa dell’organismo» 71. Ma pochissimi, alla fine, furono «gettati fuori». La stessa «Facoltà Fascista di Scienze Politiche», di cui il Senato accademico il 17 ottobre 1944, su proposta di ermini, votò la soppressione 72 – a cui nel novembre 1944 dette corso il ministro della Pubblica istruzione Guido de Ruggiero –, già nell’agosto 1945 fu solo «sospesa» 73, subendo il temporaneo blocco delle immatricolazioni (dal 1945 al 1948). Tutti i suoi docenti (quelli dei due corsi di laurea, in Scienze politiche e in economia e commercio), temporaneamente «adottati» dalla facoltà di Giurisprudenza, restarono al loro posto e continuarono a insegnare: se si sfogliano gli annuari dell’università, i professori di Scienze politiche dell’anno accademico 19481949 risultano gli stessi dell’anno 19431944 (a parte Paolo Orano e Raffael
68 ermini, Discorso inaugurale, cit., p. 201.69 Su cui si veda L. La Rovere, L’eredità del fascismo. Gli intellettuali, i giovani e la transi-
zione al postfascismo. 1943-1948, Torino, Bollati Boringhieri, 2008, pp. 9 ss.70 ermini, Discorso inaugurale, cit., p. 201.71 Ibid., p. 204.72 asupg, Parte generale, 1945, cat. i, pos. 10, Senato accademico, verbale della seduta
del Senato accademico del 17 ottobre 1944. il Senato fece voto per la costituzione in facoltà del corso di laurea in economia e commercio, che nel 1939 era stato attivato nella facoltà di Scienze politiche «al fine di darle nuova linfa e giustificarne la esistenza».
73 ivi, pos. 32, Soppressione Fac. Scienze Politiche.
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lo Morghen). neanche il progetto alleato (inizialmente fatto proprio dal Senato accademico) di abolire la facoltà di Scienze politiche per sostituirla con quella di economia e commercio ebbe seguito 74. Le due facoltà sarebbero tornate presto a convivere.
Alle richieste di provvedimenti disciplinari a carico di docenti compromessi con il regime, rivolte al rettore dal cpln di Perugia per il tramite del prefetto reggente, ermini oppose la competenza previa della commissione interna di epurazione universitaria 75. Quest’ultima nel dicembre 1944 propose alla commissione istituita presso il ministero della Pubblica istruzione dal decreto legislativo luogotenenziale 9 novembre 1945 n. 702 un primo elenco di undici docenti da dispensare dal servizio 76. il lavoro della commissione interna fu compiuto quando il 9 febbraio 1945 una lettera del prorettore ordinò la «sospensione» dal servizio di ventiquattro dipendenti universitari, fra docenti e personale amministrativo (la sospensione comportava la corresponsione ai dipendenti sospesi, che si trovassero nell’italia liberata, dello stipendiobase a far data dal 7 settembre 1944) 77. Per al
74 Si veda ancora la relazione del 1° settembre 1944 del colonnello Rowell in Perugia li-berata, cit., p. 539 nota 16.
75 Presieduta dallo stesso ermini e composta dai professori Leonardo coviello (Giurisprudenza) e Raffaello Silvestrini (Medicina e chirurgia) e dai dottori Aldo Magrini (Medicina e chirurgia) e Renato Franciosini (bibliotecario). il procedimento epurativo di primo grado, da svolgersi dinanzi a una commissione dell’amministrazione interessata, era previsto dal decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944 n. 159 (Sanzioni contro il fascismo), il cui titolo ii (Epurazione dell’Amministrazione) sanzionava con la dispensa dal servizio la partecipazione attiva alla vita politica del fascismo, con manifestazioni di apologia o di faziosità, di tutti gli appartenenti all’amministrazione pubblica, statale e locale. in secondo grado, all’iniziale competenza di commissioni centrali per l’epurazione, previste dall’art. 20 del decreto 1944 n. 159, sopravvenne (con il decreto legislativo luogotenenziale 9 novembre 1945 n. 702) la competenza del consiglio di Stato per i dipendenti statali e delle commissioni distrettuali d’Appello per l’epurazione (appositamente costituite presso le corti d’Appello) per i dipendenti degli enti locali. cfr. Rescigno, L’epurazione a Perugia, cit., pp. 126127.
76 cfr. «corriere di Perugia», i, 23, 16 dicembre 1944, p. 2 e ivi, 24, 23 dicembre 1944, p. 2.77 asupg, Parte Generale, 1945, cat. i, pos. 31: Personale esonerato dal servizio presso la
Università dal 7.9.44. di seguito i colpiti dalla sanzione. due professori di ruolo: Mario Bandini, ordinario dal 1937 di economia e politica agraria nella facoltà di Agraria e dino desiderio nai, ordinario di Patologia generale e anatomia patologica veterinaria nella facoltà di Medicina veterinaria, nonché preside dal 19401941; cinque professori incaricati: Augusto Agostini, docente di Apicoltura e selvicoltura nella facoltà di Agraria; Brajo Fuso, libero docente di Odontoiatria e protesi dentaria nella facoltà di Medicina e chirurgia; Federico Augusto Perini Bembo, libero docente di Storia del giornalismo nella facoltà di Scienze politiche e incaricato di Geografia economica in quella stessa facoltà e di cultura militare nella facoltà di Agraria; Zeno Vignati, docente di estimo rurale e contabilità nella facoltà di Agraria; Ascanio Marchini; tre liberi docenti: Maurizio dainelli (Patologia speciale e chirurgica, facoltà di Medicina e chirurgia); carlo Fratini (Radiologia medica, facoltà di Medi
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tri docenti le procedure epurative in corso in primo grado dinanzi alla commissione interna universitaria – proseguite, in base all’art. 13 del già citato decreto legislativo luogotenenziale 1945 n. 702, dinanzi alla seconda commissione per l’epurazione del personale universitario, istituita presso il ministero della Pubblica istruzione – si arrestarono prima, grazie anche ai favorevoli rapporti informativi trasmessi da ermini, che, separando le virtù scientifiche e didattiche dalle idee politiche degli epurandi, contribuì alla soluzione, a loro favorevole, di diversi casi critici.
L’esito fu questo: che la «defascistizzazione» non intaccò il corpo accademico perugino, confermando quanto aveva sostenuto ermini nel suo discorso inaugurale del dicembre 1944 a proposito della «ir riducibilità universitaria al credo fascista», seguito nell’università solo da pochi «isolati» 78. Pochi mesi dopo i risultati delle elezioni politiche nazionali del 18 aprile 1948, che avrebbero prodotto effetti di lungo periodo sulla politica italiana e sullo stesso destino dell’ateneo perugino, nel discorso inaugurale dell’anno accademico 19481949 ermini invitò tutti i professori a «tornare immediatamente al silenzioso diuturno lavoro del tavolo di studio, del gabinetto scientifico e della cattedra», per riprendere ognuno «il suo posto di responsabilità nella vita nazionale» 79.
il rettorato di giuseppe ermini (1945-1976)
i trent’anni anni di rettorato di ermini – durante i quali lo storico del diritto fu anche membro dell’assemblea costituente e poi, ininterrottamente dalla prima alla settima legislatura, deputato e senatore
cina e chirurgia) e Giuseppe Madruzza (clinica ostetricoginecologica, facoltà di Medicina e chirurgia); tre aiuti di ruolo: Giuseppe Minniti (clinica ostetricoginecologica, facoltà di Medicina e chirurgia), Mario Filomeni (Farmocologia e farmacognosia, facoltà di Farmacia), camillo Giannantoni (clinica oculistica, facoltà di Medicina e chirurgia); un assistente di ruolo: Giuseppe Priorelli (Topografia e costruzioni rurali, facoltà di Agraria); un assistente incaricato: carlo doneddu; due assistenti volontari: Mario Asdrubali (facoltà di Medicina veterinaria) e Giuseppe Andreoli; due archivisti di ruolo: Paolo Toponi ed ermanno Profeta; due applicati di ruolo: Francesco Boschi e Angelo Rossetti; il portiere della facoltà di Agraria, carlo Seppolini; un subalterno di ruolo, Alberto Bacanella; un subalterno avventizio, Virgilio Bianconi.
78 ermini, Discorso inaugurale, cit., pp. 202203.79 Annuario della Università degli studi di Perugia 1948-49, cit., pp. 78.
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della Repubblica – hanno inciso notevolmente su ogni aspetto – culturale, politico, organizzativo – dell’università. il primo impegno del rettore fu rivolto alla ricostruzione e all’ampliamento delle sedi – che avevano subito danni notevoli durante la guerra – e alla riorganizzazione dei servizi amministrativi, per sostenere il prevedibile aumento della domanda formativa. nell’anno accademico 19471948 le sei facoltà accoglievano già circa 2500 studenti (per la maggior parte iscritti a Medicina) e 129 professori, tra ordinari (40), incaricati (53) e liberi docenti (36) 80. negli anni successivi furono istituite cinque nuove facoltà: nel 1953 «rinacque», dopo la soppressione decretata settant’anni prima, la facoltà di Scienze; nel 1957 fu istituita la facoltà di Lettere e filosofia, che nel 1960 trovò sede nel sontuoso palazzo Manzoni, accanto al teatro Morlacchi; nel 1965 fu la volta della facoltà di Magistero, nel 1968 di quella di ingegneria (con corso di laurea inizialmente limitato al biennio propedeutico) e nel 1969 di quella di economia e commercio. L’espansione delle strutture legate all’attività delle undici facoltà e la creazione di nuove sedi (l’imponente aula magna, opera di Giuseppe nicolosi, fu conclusa nel 1957 e inaugurata il 19 gennaio 1958 in occasione dell’apertura del 650° anno accademico dalla fondazione dello Studium generale) 81 fu accompagnata da un sensibile aumento delle iscrizioni. A metà degli anni sessanta gli studenti salirono a più di settemila e alla fine di quel decennio, con la liberalizzazione degli accessi disposta dalla legge dell’11 dicembre 1969, raddoppiarono 82. Grande sviluppo ebbe, di conseguenza, l’edilizia universitaria (sedi di facoltà e di istituti, cliniche, case dello studente) con la costruzione di nuovi edifici e l’acquisto e il restauro di palazzi storici, dentro e fuori la città (come il palazzo cesi di Acquasparta, acquistato nel 1964; il palazzo Vitelli di città di castello, acquistato l’anno successivo). il corpo docente si arricchì di personalità di grande prestigio e furono fondati centri di studio di rango inter
80 dozza, Università di Perugia, cit., p. 472.81 dopo che per quasi centocinquant’anni era stata destinata alle cerimonie accademi
che, con la costruzione della nuova aula magna tornava a essere luogo di culto la chiesa del l’Annunziata, annessa all’immobile conventuale (Palazzo Murena) dal 1810 sede dell’ateneo. Sull’opera dell’ingegnere Giuseppe nicolosi, che ha improntato di sé l’edilizia universitaria perugina durante il rettorato di ermini, cfr. i saggi raccolti in Giuseppe Nicolosi (1901-1981). Architettura Università Città, atti del convegno, a cura di P. Belardi (Perugia, 19 ottobre 2006), Melfi, Libria, 2008.
82 dozza, Università di Perugia, cit., pp. 579, 596.
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nazionale, come il centro italiano di studi sull’alto Medioevo di Spoleto (1952), l’Accademia Tudertinacentro di studi sulla spiritualità medievale (1955, dal 1992 ridenominato centro italiano di studi sul basso MedioevoAccademia Tudertina) di Todi 83, il centro universitario di studi umbri di Gubbio, l’Accademia romanistica costantiniana di Spello (1973).
ermini mise al servizio dell’ateneo anche le sue notevoli competenze di storico del diritto e delle istituzioni, producendo una serie di ricerche storiche sull’università di Perugia di grande pregio 84. dal saggio del 1942 sul Concetto di «Studium generale» aveva preso corpo il grande progetto di Storia dell’Università di Perugia, realizzato con una prima edizione nel 1947 e portato a compimento nel 1971 con la seconda edizione, notevolmente ampliata. in questa definitiva, ponderosa stesura l’opera copre l’intero arco della storia dello Studio perugino, dalle origini tardoduecentesche alla regificazione del 1925, ordinata originalmente in tre grandi periodi: quello dello Studio generale del libero comune; quello dello Studio signorile e principesco dei secoli xv-xviii; quello dell’università della monarchia pontificia e poi italiana del xix secolo. All’interno di questi riquadri temporali la storia dell’ateneo viene descritta nel suo intreccio con le vicende politiche del comune medievale (nel cui alveo lo Studium nacque e visse la sua stagione forse più luminosa); nei nuovi assetti conseguiti alla riforma di Urbano viii (1625); nelle convulse vicende dell’età contemporanea, attraversata dalla fiammata giacobina, dal ritorno del dominio papale, dall’annessione napoleonica, dal riassetto «statalista» degli anni della Restaurazione e infine dalla realtà postunitaria, che perpetuava sotto nuove forme la decadenza che aveva già caratterizzato il periodo pontificio. Queste ricerche storiche erano indubbiamente sospinte dall’impulso di collegare le glorie della tradizione con la prosperità e le ambizioni del presente, stringendole in un nesso inscindibile, che si riproponeva a ogni occasione cerimoniale e scientifica, come testimoniano eloquentemen
83 e. Menestò, Appunti per una storia dell’Accademia Tudertina, in L’Accademia Tuderti-na 1955-1995. Storia, storiografia, immagini, a cura di e. Menestò, Spoleto, centro italiano di studi sull’alto Medioevo, 1995, pp. 334.
84 Sulla tradizione storiografica sull’università di Perugia si veda e. Menestò, Appunti di storia della storiografia dell’Università di Perugia, in «Annali di storia delle università italiane», 18, 2014, pp. 287292.
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te le solenni celebrazioni del vi centenario della morte di Bartolo da Sassoferrato, organizzate nel 1959 proprio all’inizio della fase di rilancio dell’ateneo 85.
gli ultimi decenni
L’era erminiana, caratterizzata dalla crescita delle strutture dell’ateneo al passo con la realtà dell’università di massa, ha preparato il terreno alla fase di massimo aumento della popolazione studentesca dell’Università degli Studi, che negli anni accademici 20032004 e 20042005 ha superato i 35 mila iscritti, con corrispondente incremento del corpo docente e del personale tecnico e amministrativo (1187 docenti e 1229 non docenti nel 2004). La politica dei successivi rettori (Giancarlo dozza, 19761994; Giuseppe calzoni, 19942000; Francesco Bistoni, 20002013) è stata pertanto indirizzata anche al l’ulteriore ampliamento degli spazi dedicati alle attività didattiche e alla creazione di nuove sedi, a Perugia (Giurisprudenza, Medicina) come in altri centri della regione (Terni, narni, Foligno, Assisi). i numeri della presenza studentesca universitaria nel capoluogo umbro sono inoltre cresciuti anche grazie all’aumento parallelo degli iscritti dell’Università per Stranieri di Perugia, che ai tradizionali corsi di lingua e cultura italiana ha affiancato, a partire dal 1992, propri corsi di laurea (circa 8000 il totale dei suoi iscritti nell’anno accademico 20052006).
il settimo centenario dell’ateneo (2008) è coinciso con l’avvio della crisi economica globale e, per l’Università degli Studi, con la progressiva contrazione del numero delle immatricolazioni, dovuta principalmente alla concorrenza delle altre sedi universitarie nazionali e, in qualche misura, anche alla cattiva luce mediatica gettata sulla città da un clamoroso fatto di cronaca nera (l’omicidio, il 1° novembre 2007, di Meredith Kercher, studentessa inglese in soggiorno era
85 cfr. Frova, Sette secoli, cit., pp. 3435. di analogo segno fu anche la riedizione, a cura di ermini, delle Laudes Academiae Perusinae et Oxoniensis (Hanoviae, apud Guilielmum Antonium, 1605) di Alberico Gentili (15521608), il celebre giurista laureatosi nel 1572 in iure civili nell’ateneo perugino e poi professore di civil law a Oxford (Lodi delle Accademie di Perugia e di Oxford. Testo latino con versione italiana e note a cura di G. ermini, Perugia, Libreria universitaria, 1968).
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smus). Gli iscritti all’anno accademico 20132014 sono risultati poco più di 24 mila.
L’attuazione della riforma Gelmini (2010), con la trasformazione delle undici facoltà in sedici dipartimenti, il riassetto degli organi di governo e i nuovi sistemi di reclutamento del personale docente e di valutazione della didattica e della ricerca, incrocia oggi il sessennio (20132019) che il nuovo rettore, Franco Moriconi, dovrà dedicare al rilancio dell’antica istituzione, per affrontare, nella difficile situazione economica, le sfide della competizione universitaria nazionale e internazionale.
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