"Libera", "Regia", di massa: l'Università degli Studi di Perugia

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Storia dell’Umbria dall’Unità a oggiPoteri, istituzioni e societàa cura di Mario Tosti

Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea

Marsilio

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© 2014 by Marsilio Editori® s.p.a. in Venezia

Prima edizione: dicembre 2014

ISBN 978-88-317-2116-5

www.marsilioeditori.it

Realizzazione editoriale: Valeria Bové

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indice

vii Presentazione Catiuscia Marini

ix introduzione Mario Tosti

storia dell’umbria dall’unità a oggi poteri, istituzioni e società

3 Le classi dirigenti tra oligarchia e autarchia Alberto Stramaccioni

37 Massoneria, società e politica Fulvio Conti

79 Vescovi e clero Mario Tosti

135 «Libera», «Regia», di massa: l’Università degli Studi di Perugia Ferdinando Treggiari

167 La stampa: giornali ed editori Paolo Marzani

211 Associazioni dei lavoratori e sindacati Giancarlo Pellegrini

259 L’ordinamento burocratico periferico Antonio Pio Lancellotti

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indice

277 Le istituzioni tra centralismo e autonomia Matteo Aiani

309 Risorgimento e nazione nelle politiche locali della memoria Luciana Brunelli

353 Storie di famiglie Augusto Ciuffetti

379 ebrei e protestanti nell’Umbria postunitaria Paolo Pellegrini

395 indice dei nomi 409 indice dei luoghi 413 Gli autori

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«LiBeRA», «ReGiA», di MASSA: L’UniVeRSiTÀ deGLi STUdi di PeRUGiA

una storia di sette secoli

La catena delle delibere del comune di Perugia mirate, fra xiii e xiv secolo, alla provvista di doctores che garantissero alla città gli in­segnamenti del diritto e delle arti liberali, «ut civitas Perusii sapien­tia valeat elucere et in ea Studium habeatur» – come si legge nello statuto del 1285, allorché si volle garantire in città una pubblica let­tura del diritto giustinianeo –, documenta la volontà che il comune di Popolo aveva impegnato nella promozione degli studi superiori e nell’istituzione dello Studium, necessario alla formazione di una clas­se di intellettuali che desse espressione alle istanze politiche e cultu­rali della città 1. con il riconoscimento di Studium generale in qualibet facultate, concesso nel 1308 da papa clemente v, e con i privilegi di addottorare in diritto civile e canonico (1318) e in Arti e Medicina (1321) concessi da papa Giovanni xxii, a cui seguirono nel 1355 gli analoghi riconoscimenti ottenuti dall’imperatore carlo iv, l’universi­tà perugina era uscita dai confini dell’istituzione comunale per collo­carsi nell’ambito, illimitato, delle autorità universali 2. La fondazione dello Studio generale e la concessione della licentia ubique docendi

1 e. Bellini, L’università a Perugia negli statuti cittadini (secoli xiii-xvi), Perugia, deputa­zione di storia patria per l’Umbria, 2007.

2 M.A. Panzanelli Fratoni, Due papi e un imperatore per lo Studio di Perugia, Perugia, de­putazione di storia patria per l’Umbria, 2009.

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avevano segnato l’avvio di una fase di crescente prestigio dell’univer­sità umbra, già nel corso del Trecento palcoscenico di maestri la cui fama era giunta a togliere all’Alma Mater alcuni dei suoi primati, co­me quello nelle scienze giuridiche, grazie alla formidabile sequenza di giuristi (iacopo da Belviso, cino da Pistoia, Bartolo da Sassoferra­to, Baldo, Pietro e Angelo degli Ubaldi) che in quel secolo avevano avuto cattedra a Perugia 3.

nell’età moderna l’università aveva vissuto fasi legate alle vicende politiche della città, caduta prima nelle mani dei signori e poi defi­nitivamente soggiogata al potere del pontefice, che avrebbe esercita­to sempre più diretta vigilanza sullo Studio a mezzo dei suoi legati e governatori. Questa seconda fase, che durerà fino all’annessione del ­l’ex provincia pontificia al regno sabaudo (1860), era stata segnata nel 1625 dalla riforma di papa Urbano viii, che aveva cancellato ogni residuo del passato medievale dello Studium 4. in questo periodo, a mantenere saldo il rapporto con la città aveva provveduto il corpo dei dottori leggenti, sempre più organico al mondo cittadino e sempre più «cittadino» esso stesso. Forte del controllo degli esami di dottora­to e articolato nei suoi potenti collegia, durante l’antico regime il cor­po dottorale aveva assunto la direzione dello Studio, condividendo le sue prerogative con il vescovo e il delegato del governo centrale 5.

nell’età del dominio pontificio l’ateneo dà di sé un’immagine di decadenza. L’elenco, diviso per secoli, dal xiv al xviii, dei nomi dei giuristi più famosi dell’università incisi sulla lastra di marmo fatta pre­parare nel 1890 in occasione della visita a Perugia del re Umberto i e ancora oggi infissa in una parete al piano terra dell’ateneo, testimonia

3 F. Treggiari, Le ossa di Bartolo. Contributo alla storia della tradizione giuridica perugina, Perugia, deputazione di storia patria per l’Umbria, 2009; Maestri, insegnamenti e libri a Pe-rugia. Contributi per la storia dell’Università (1308-2008), catalogo della mostra, a cura di c. Frova, F. Treggiari, M.A. Panzanelli Fratoni, Milano, Skira, 2009. Le ricerche più recenti sul­la storia dell’università di Perugia, nel solco della tradizione storiografica che ha il suo cen­tro nell’opera di Giuseppe ermini, sono oggi raccolte nel n. 18 (2014) degli «Annali di storia delle università italiane» e, in volume monografico, in Per la storia dell’Università di Perugia, a cura di F. Treggiari, Bologna, clueb, 2014.

4 Sulla riforma urbaniana, cfr. G. ermini, Storia dell’Università di Perugia, Firenze, Olschki, 1971, pp. 209 ss.

5 c. Frova, Sette secoli, in id., Scritti sullo «Studium Perusinum», a cura di e. Bellini in collaborazione con M.A. Panzanelli Fratoni, Perugia, deputazione di storia patria per l’Um­bria, 2011, pp. 3­36 (pp. 12 ss); Doctores excellentissimi. Giuristi, medici, filosofi e teologi del -l’Università di Perugia (secoli xiv-xxi), catalogo della mostra, a cura di c. Frova, G. Giubbini, M.A. Panzanelli Fratoni, città di castello, edimond, 2003.

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nei secoli xvii e xviii la parabola discendente del suo originario pre­stigio 6. Soffocati dal conservatorismo culturale del governo clericale e dalla resistenza dei collegi dottorali e dei ceti aristocratici cittadi­ni, i tentativi di riforma settecenteschi non erano riusciti a frenarne il declino. ne scapitarono le scienze, come attesta, per quelle naturali e la medicina, la vicenda accademica e politica di Annibale Mariotti (1738­1801), «direttore degli studi» e riformatore dell’università nel biennio giacobino (1798­1799), che finì i suoi giorni da perseguitato 7.

Al successivo decennio di ripresa dell’autorità papale sulla città e sull’università, durato fino al 1809, era seguito il quinquennio del do­minio napoleonico, che aveva uniformato l’ordinamento dell’ateneo a quello delle università francesi, annullando le prerogative dei collegi dottorali e decretando la chiusura dei tre collegi studenteschi cittadi­ni: la Sapienza Vecchia (la cui fondazione risaliva agli anni sessanta del Trecento), la nuova e la Bartolina 8. nei cinque anni di vita del di­partimento del Trasimeno (questo il nome dell’Umbria all’epoca del­la prima Repubblica Romana e del primo impero francese) l’univer­sità perugina, scampata alla minaccia della chiusura o del declassa­mento, aveva conosciuto una certa modernizzazione, dovuta al relati­vo ricambio dei docenti e delle materie d’insegnamento (a comincia­re dai corsi di commento ai codici francesi) e all’introduzione di nuo­vi orientamenti intellettuali 9. il periodo napoleonico avrebbe lasciato non poche sue tracce nel cinquantennio della seconda restaurazione pontificia. Tra queste, la nuova sede dell’ateneo. «nomade» nei primi due secoli di vita, quando le sue aule erano disse minate nei più svaria­ti luoghi della città, con le campane del duomo e del comune a scan­dire l’inizio e la fine delle lezioni per gli studenti provenienti da ogni

6 F. Treggiari, Alberico Gentili alumnus, in Alberico Gentili, la tradizione giuridica peru-gina e la fondazione del diritto internazionale, Perugia, Università degli Studi, 2010, pp. 26­28.

7 cfr. id., Annibale Mariotti e la Rota romana: un capitolo di storia patria perugina, intro­duzione ad A. Mariotti, Memorie istoriche de’ perugini auditori della Sacra Rota Romana (Pe­rugia 1787), rist. anast. Bologna, Forni, 2009, pp. 5­15 (anche per la bibliografia).

8 Sui collegi studenteschi perugini, cfr. G. Angeletti, A. Bertini, La Sapienza Vecchia, Pe­rugia, Onaosi, 1993; Il fondo archivistico del Collegio Pio della Sapienza di Perugia. Inventario, a cura di L. Marconi, d. Mori, M.A. Panzanelli Fratoni, Perugia, Soprintendenza archivisti­ca per l’Umbria, 2005.

9 cfr. R. Lupi, Progetti di riforma per l’Ateneo di Perugia negli anni della Consulta (1809-1810), in La storia delle università alle soglie del xxi secolo, atti del convegno internazionale di studi, a cura di P. Gheda et al. (Aosta, 18­20 dicembre 2006), Bologna, clueb, 2008, p. 379.

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parte d’italia e d’europa 10, lo Studium aveva avuto solo a fine Quat­trocento la sua degna sede nel Palazzo del Sopramuro, grazie alla so­prelevazione di un piano del fabbricato dell’ospedale di Santa Maria della Misericordia. Lì vi era rimasta per tre secoli. durante il governo napoleonico aveva traslocato (1810) nel grande fabbricato costruito nel 1740, su disegno di Luigi Vanvitelli e progetto di carlo Murena, sul colle sopra la conca (nell’odierno quartiere elce), per ospitare i monaci olivetani dopo la rovina del loro originario convento di Mon­te Morcino, posto appena fuori città. Rimasto vacante a seguito della soppressione dell’ordine (1809), l’edificio era stato destinato al nuovo uso, rimanendo fino a oggi la sede centrale dell’ateneo 11.

il quasi mezzo secolo (1814­1860) del nuovo dominio pontificio sul la città e sull’università fu caratterizzato dalle riforme introdot­te nel 1824 da Leone xii con la bolla Quod divina sapientia, che con il definitivo Regolamento degli studi da osservarsi in Roma e in tutto lo Stato ecclesiastico accentuarono la centralizzazione del potere sul ­l’università, ora sottoposta al regime del vescovo cancelliere e del ret­tore di diretta nomina pontificia, con forte limitazione del l’autorità dei collegi dottorali. Questo assetto, scosso dai moti liberali del 1831 e dai turbolenti mesi della Repubblica Romana (1848­1849), eventi che determinarono la chiusura temporanea dello Studio, trovò un in­transigente interprete nell’ultimo rettore (1854­1860) dell’ateneo pe­rugino di età pontificia, il padre servita e professore sardo Bonfiglio Mura (1810­1882), il cui rettorato fu dedicato a ristabilire il control­lo disciplinare e ideologico sull’università, a reprimere l’associazioni­smo studentesco e a combattere le dottrine filosofiche e politiche che avevano ispirato il fermento rivoluzionario quarantottesco 12.

dopo l’ultima crisi rivoluzionaria, infatti, l’ambiente accademico non era rimasto insensibile ai fermenti d’innovazione che animavano il mondo scientifico, in particolare nel campo della medicina, degli studi di agraria e di quelli di diritto. Quanto a questi ultimi, l’inse­gnamento di diritto naturale e delle genti – potenziale veicolo del­

10 U. nicolini, Dottori, scolari, programmi e salari alla Università di Perugia verso la metà del sec. xv, in «Bollettino della deputazione di storia patria per l’Umbria», 58, 1961, pp. 139­159 (pp. 142, 146 ss).

11 Sulle vicende che accompagnarono il trasferimento della sede universitaria a Palazzo Murena, cfr. ermini, Storia dell’Università di Perugia, cit., pp. 829­837.

12 c. Frova, Bonfiglio Mura (1810-1882) docente e rettore nell’Università di Perugia (2001), in id., Scritti sullo «Studium Perusinum», cit., pp. 201­219.

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le idee liberali, introdotto nello Studio perugino nel 1799, durante il primo esperimento della Repubblica Romana, quando era stato con­cepito come corso introduttivo ad altre scienze direttamente forma­tive per le funzioni pubbliche 13, abolito dalla restaurazione pontifi­cia e reintrodotto negli anni del governo napoleonico, nuovamente soppresso nel 1824 e riattivato vent’anni dopo grazie alle pressanti ri­chieste dell’amministrazione comunale – continuò a essere impartito sino alla fine dell’università pontificia 14.

pepoli, l’età dell’università «libera», la regificazione (1860-1925)

L’insurrezione del 20 giugno 1859, avvenuta quando vescovo can­celliere era Gioacchino Pecci, futuro Leone xiii, aveva visto la signi­ficativa partecipazione degli universitari. La restaurazione papalina seguita alla repressione di quei moti, compiuta dalle truppe svizze­re inviate da papa Pio ix 15, fu troncata dagli eventi militari che nel settembre 1860 consentirono la costituzione a Perugia del governo provvisorio sabaudo guidato dall’illuminato Gioacchino napoleone Pepoli (1825­1881), commissario straordinario incaricato di portare l’ex legazione pontificia all’annessione al regno di Vittorio emanuele ii 16. La convocazione dei «comizj popolari per l’espressione del libero

13 R. Belforti, La riforma repubblicana dell’Università di Perugia nel 1799, in «Rassegna storica del Risorgimento», 27, 1940, p. 969.

14 Sulle vicende di questo insegnamento si veda V.i. comparato, Il diritto di natura a Pe-rugia tra la Repubblica romana e l’Unità, in «Annali di storia delle università italiane», 18, 2014, pp. 221­242.

15 Sui fatti del 20 giugno 1859, cfr. F. Bozzi, Autobiografia del risorgimento perugino. Le vicende che portarono all’Unità attraverso il racconto dei protagonisti, in Dallo Stato della Chie-sa al Regno d’Italia. Fonti per la storia del biennio 1860-1861, a cura di A. Bartoli Langeli, d. Sini, Perugia, deputazione di storia patria per l’Umbria, 2011, pp. 265 ss; Il xx Giugno peru-gino nel Risorgimento nazionale, a cura di F. Bozzi, R. Ranieri, Perugia, Quaderni dell’Asso­ciazione diomede, n. 1, 2011.

16 Sulla figura di Gioacchino napoleone Pepoli si vedano gli atti della giornata di studi (Bologna, 21 ottobre 2011) Eroi in carta. Dall’archivio di Gioacchino Napoleone Pepoli e di al-tri protagonisti del Risorgimento, in «Percorsi Storici», 1, 2012. Sull’opera riformatrice da lui svolta in Umbria tra il settembre e il dicembre 1860 si veda F. Treggiari, Carte che parlano. Giustizia e riforme istituzionali in Umbria nei cento giorni di Pepoli, in La giustizia in Umbria dallo Stato pontificio all’Italia unita, a cura di W. de nunzio, M. campiani, F. Treggiari, na­poli, Jovene, 2013, pp. 83­153, nonché in «Bollettino della deputazione di storia patria per l’Umbria», cx, 2, 2013, pp. 355­421.

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suffragio» sul l’annessione dell’Umbria alla monarchia sabauda (de­creto 21 ottobre 1860 n. 83) portò, nei giorni 4 e 5 novembre 1860, al plebiscito, che con schiacciante maggioranza decretò l’annessione della regione allo Stato piemontese 17.

La costituzione della provincia dell’Umbria (decreto commissa­riale 15 dicembre 1860 n. 240), che riuniva in una sola le quattro preesi stenti province (ex delegazioni) di Perugia, Spoleto, Orvieto e Rie ti, pose, fra i numerosi altri problemi istituzionali, quello della riforma dell’unica università del territorio, del suo governo istituzio­nale e del suo profilo scientifico. Tutto stava cambiando attorno all’u­niversità, nell’organizzazione amministrativa, politica, giudiziaria e civile della nuova provincia. L’estensione delle leggi della monarchia costituzionale piemontese ai territori sottratti al dominio del papa era stata la prima premura del commissario straordinario. i suoi de­creti avevano pubblicato in Umbria le leggi sarde sulla guardia nazio­nale, sull’ordinamento della pubblica sicurezza, sulla pubblica istru­zione, sulla stampa, sulla leva militare; rinnovato i consigli comunali e provinciali con libere elezioni; proibito i vincoli fedecommissari; laicizzato le fondamentali funzioni pubbliche, a cominciare dallo sta­to civile; introdotto il matrimonio civile (con decreto 31 ottobre 1860 n. 111: eccezionale anteprima di un istituto che il resto dell’italia avrebbe conosciuto solo dal 1865). Le istituzioni ecclesiastiche, che avevano da secoli, in Umbria, come nel resto dello Stato della chie­sa, il monopolio della scuola e dell’università, vennero colpite da una fitta serie di provvedimenti indirizzati ad annullarne o falci diarne

17 celebrati a due settimane di distanza dai due meridionali (napoli e Palermo), quello umbro e quello marchigiano furono gli ultimi plebisciti italiani dell’anno. il verbale comple­to delle votazioni in Umbria, insieme ad altri documenti, si legge ora in P. Monacchia, Il 1860 nelle Carte Pepoli, in Dallo Stato della Chiesa al Regno d’Italia, cit., pp. 45 ss. i risultati del voto furono resi ufficiali da Pepoli il 9 novembre 1860, due giorni prima delle elezioni comunali e provinciali: popolazione 472.185; iscritti 123.011; votanti 97.625; voti per il sì 97.040; voti per il no 380; nulli 205. Sui plebisciti per l’annessione, cfr. e. Mongiano, Il “voto della Nazio-ne”. I plebisciti nella formazione del Regno d’Italia (1848-60), Torino, Giappichelli, 2003; G.S. Pene Vidari, Considerazioni sui plebisciti italiani del 1860, in «Rivista di storia del diritto ita­liano», 83, 2010, pp. 5­24 (per l’Umbria, pp. 22­23); c. Ghisalberti, Storia costituzionale d’Ita-lia 1848-1948, Roma­Bari, Laterza, 1997, pp. 97­100; e. Passerin d’entrèves, La politica delle annessioni nell’Italia centrale nel 1860, in Atti del xxxix Congresso di storia del Risorgimento italiano, Roma, istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1961, pp. 271­308; P. Franzese, L’Umbria e l’unificazione italiana, in Gli archivi umbri e l’Unità. Guida alle fonti documenta-rie 1859-1865, a cura di e. david, S. Maroni, M. Pitorri, Perugia, deputazione di storia patria per l’Umbria, 2011, pp. xv ss.

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poteri e sostanze economiche. Furono aboliti il tribunale dell’inqui­sizione e i privilegi del foro ecclesiastico; proibiti i lasciti testamentari e le donazioni in favore dei corpi morali, con divieto per i medesimi di acquistare immobili senza l’autorizzazione del commissario; tas­sati i redditi dei beni di manomorta; sciolte le opere pie e costituite le congregazioni di carità municipali; abolite le decime e le primizie ecclesiastiche, sostituite da un sussidio a carico dello Stato in favore dei parroci «mal provveduti»; soppresse le corporazioni religiose, i capitoli delle chiese collegiate, i benefici semplici, le cappellanie lai­cali, affidando l’amministrazione dei relativi beni alla cassa ecclesia­stica dello Stato. Tutti gli istituti di educazione e di istruzione pub­blici e privati dell’Umbria furono sciolti dalla soggezione ai vescovi. Fu altresì abolita la compagnia di Gesù, da secoli braccio operativo della chiesa di Roma nel campo dell’educazione, e i suoi beni indi­rizzati al finanziamento dell’istruzione pubblica. Gli immobili eccle­siastici vennero destinati a usi di pubblico interesse (al comune di Perugia, per esempio, vennero assegnati i locali del convento di San domenico «ad uso dell’Accademia di belle Arti e Pinacoteca»; oggi vi hanno ancora sede il Museo archeologico dell’Umbria e l’Archivio di Stato). Una circolare commissariale del 25 dicembre 1860 (si va­rarono riforme anche il giorno di natale) sollecitò gli amministrato­ri locali a procurare il maggiore sviluppo ed estensione all’istruzione pubblica, a promuovere la fondazione di asili infantili, a incentivare l’istruzione tecnica di primo grado e riformare l’istruzione classica dei ginnasi (dal 1° febbraio 1861 avrebbe avuto inizio l’insegnamen­to nei tre licei regi di Perugia, Spoleto e Rieti). «Anche l’Università di Perugia», si legge in questa circolare, «ebbe in dote convenevoli mezzi per ampliare e ridurre a maggior perfezione gli studj. Onde è che il Governo avendo provveduto con Leggi e sussidj a tutti i gradi dell’insegnamento, se l’attività e la solerzia dei Municipj si mostra­no pari all’impulso ricevuto, non andrà guari e la bella Provincia dell’Umbria sarà in grado di gareggiare nell’istruzione con ogni più colta parte del regno» 18.

Sotto questi auspici, i provvedimenti commissariali relativi all’u­niversità di Perugia disciplinarono il passaggio dell’autorità sull’ate­

18 Atti ufficiali pubblicati dal marchese G.N. Pepoli [...] regio commissario generale straor-dinario per le provincie dell’Umbria, 2 voll., Firenze, Stamperia Reale, 1861, ii, p. 1311.

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neo dal vescovo ai poteri civili e riformarono in molti punti l’ordina­mento degli studi. Quanto al governo dell’ateneo, dopo la partenza di Bonfiglio Mura e il rifiuto del vicerettore Sebastiano Purgotti, in nome del giuramento fatto al papa, di ricoprire il maggiore ufficio, il 14 novembre 1860, pochi giorni dopo il risultato del plebiscito che aveva sancito l’annessione, Pepoli nominò rettore emilio Barbanera (1799­1876), professore di istituzioni criminali, Filosofia del diritto e diritto naturale e delle genti nell’università di Perugia. Barbanera sa­rebbe rimasto in tale incarico fino al giugno 1861 19. Già nell’ottobre 1860 il commissario straordinario aveva però adottato alcuni provve­dimenti per garantire la ripresa del normale funzionamento dell’uni­versità, compromesso dagli ultimi atti d’autorità del passato regime, che, in seguito ai fatti del 20 giugno 1859, aveva vendicativamente disposto la chiusura di tutti i corsi per l’anno accademico 1859­1860 e sospeso il conferimento dei gradi. Gli studenti furono da Pepoli ammessi a dare gli esami e a laurearsi dal 1° al 20 novembre 1860 20 e i corsi furono riaperti il 12 novembre per garantire il regolare svol­gimento del nuovo anno accademico, giacché, come si legge nel de­creto del 24 ottobre 1860, «col cessare del dispotismo clericale de­ve cessare anche il silenzio imposto da esso alla scienza» 21. in attesa dell’esito del plebiscito e delle riforme che sarebbero prevedibilmen­te conseguite al risultato favorevole all’annessione, Pepoli mantenne provvisoriamente all’autorità ecclesiastica gli insegnamenti della fa­coltà di Teologia 22 (le facoltà teologiche sarebbero state soppresse in italia nel gennaio 1873), abolendo però l’insegnamento di istituzio­ni canoniche e dispensandone il suo docente, monsignor Giuseppe Lippi, che per ventotto anni aveva insegnato quella materia 23. Pochi giorni prima di cessare il suo incarico di commissario straordina­rio, Pepoli restituì all’ateneo, «illustre per antiche glorie», la facoltà

19 cfr. F. Treggiari, Emilio Barbanera (1799-1876), in Avvocati che fecero l’Italia, a cura di S. Borsacchi, G.S. Pene Vidari, Bologna, il Mulino, 2011, pp. 544­551. nei mesi del governo di Pepoli, Barbanera fu anche membro della commissione incaricata di proporre le confer­me e le nomine dei giudici e le riforme legislative più urgenti. Preside di Giurisprudenza, nel 1873 porterà la sua facoltà a votare per la conservazione della pena di morte, in risposta alla richiesta di parere del ministro guardasigilli.

20 decreto 1° ottobre 1860, n. 47, in Atti ufficiali, cit., i, pp. 139­140.21 decreto 24 ottobre 1860, n. 89, ivi, pp. 279­280.22 decreto 24 ottobre 1860, n. 87, ivi, pp. 275­276.23 decreti del 10 novembre 1860, n. 155 e 16 dicembre 1860, n. 246, ivi, i, pp. 693­694;

ii, pp. 953­954.

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di dare la laurea in Medicina e chirurgia e parificò il valore di tut­ti i gradi e titoli conferiti nell’università di Perugia a quelli ottenuti nelle altre università del Regno 24. Questo provvedimento rimediava, almeno in parte, al declassamento a cui il governo centrale pontifi­cio, sin dai primi anni della seconda restaurazione, aveva condannato l’ateneo umbro. nel quadro della riforma complessiva dell’istruzio­ne superiore predisposta dalla Sacra congregazione per gli Studi sin dal 1816 (sotto il pontificato di Pio vii), l’ateneo di Perugia era stato infatti inserito tra le università di second’ordine dello Stato e minac­ciato persino della soppressione a vantaggio delle due università di Roma e Bologna. La riforma prevedeva la privazione per la facoltà di Medicina di rilasciare i gradi accademici – gloriosa eredità del pas­sato medievale, risalendo alla storica concessione di Giovanni xxii di mezzo millennio prima (1321) – e l’incorporazione dei beni del­le tre Sapienze (le case per gli scolari) a vantaggio dell’istituzione a Roma di un collegio studentesco, con la sola riserva di alcuni posti per i perugini. il Regolamento degli studi, reso esecutivo il 28 agosto 1824 da Leone xii, da pochi mesi salito al soglio pontificio, confermò in buona parte queste misure: collocando Perugia tra le cinque uni­versità «secondarie» dello Stato (con Ferrara, camerino, Macerata e Fermo, quest’ultima poi sostituita da Urbino nel 1826: a queste sedi venivano attribuite diciassette cattedre rispetto alle trentotto conces­se alle due sedi «primarie», Roma e Bologna); qualificando la laurea conseguita in queste sedi come non idonea per l’ammissione ai col­legi professionali, alle cattedre universitarie e a qualunque altro uffi­cio a Roma o a Bologna; togliendo alle università secondarie il diritto di conferire lauree in Medicina e chirurgia; subordinando il rilascio delle altre lauree all’ispezione di un inviato dalla congregazione per gli Studi. il 7 giugno 1825 venne decretata l’abolizione della Sapienza Vecchia e di quella Bartolina, con assegnazione in perpetuo dei loro beni all’università, mentre si provvide alla restaurazione del collegio Pio, già Sapienza nuova 25.

Questo era lo stato delle cose nei giorni delle decisioni di Pepo­li. in vista dell’inquadramento delle università ex pontificie nel si­stema universitario nazionale, già orientato verso una statalizzazione

24 decreto 15 dicembre 1860, n. 237, ivi, ii, pp. 927­928.25 ermini, Storia dell’Università di Perugia, cit., pp. 664­683.

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selettiva delle sedi esistenti, la soluzione che egli adottò, concertata con Torino e con i governatori delle altre ex province pontificie, fu quella di assegnare a Perugia, come alle altre tre università seconda­rie dell’ex Stato della chiesa (Ferrara, camerino e Urbino), un regi­me non dissimile da quello goduto sotto il precedente governo, ma­scherato ora però sotto un’etichetta nuova e falsamente lusinghiera: una bandiera di autonomia, che dietro la suggestiva rievocazione del passato cela va la ben più misera realtà del presente. Un decreto del 16 dicembre 1860 (n. 247), adottato sulla falsariga di quello già ema­nato dal governo dell’emilia il 14 febbraio per l’università di Ferra­ra, dichiarò l’ateneo di Perugia università «libera» 26. L’art. 2 di tale decreto stabilì che «il Municipio di Perugia e i rettori dell’Univer­sità saranno in potere di ordinarvi l’insegnamento a quel modo che stimeranno migliore; essi compileranno gli Statuti dell’Università e li sottoporranno all’approvazione del Governo»; anche «le nomine dei Professori saranno fatte dal Municipio, e da questo comunicate al Governo» (art. 3).

con il nuovo status, che avrebbe mantenuto per sessantacinque anni, fino alla «regificazione» (1925), l’ateneo perugino tornava dun­que a essere «cosa principalmente della città, e la magistratura citta­dina e il rettore, che già nel lontano periodo delle origini ne aveva­no con tanto amore promosso l’incremento, ne tornavano ad essere i curatori» 27. il contesto «comunale» si presentava, però, tutto diverso da quello delle origini; non solo per il prestigio nel frattempo perdu­to dall’ateneo, ma per la penuria dei mezzi finanziari necessari a rial­zarlo. La «libertà» dell’università di Perugia e delle altre tre universi­tà «libere», più che a rialimentare un’antica tradizione storica di au­tonomia, appariva mirata a evitare allo Stato nazionale «il loro man­tenimento a spese dell’erario» 28. nel gennaio 1861 un decreto del mi­

26 Atti ufficiali, cit., ii, pp. 955­956.27 ermini, Storia dell’Università di Perugia, cit., p. 698. Si veda anche G. dozza, Università di

Perugia. Sette secoli di modernità. 1308-1976, Perugia, delta, 1991, pp. 263­267; S. Slaverio, L’U-niversità di Perugia rischia di chiudere, in «corrispondenze dall’Ottocento», 1, 2008, pp. 46 ss.

28 G. Menotti de Francesco, Rapporti tra Stato, Comuni ed altri enti locali in materia di pubblica istruzione. Studio di diritto amministrativo e di scienza dell’amministrazione, Roma, Athenaeum, 1912, p. 102, citato in M. Moretti, Piccole, povere e “libere”: le università muni-cipali nell’Italia liberale, in Le Università minori in Europa (secoli xv-xix), convegno interna­zionale di studi, a cura di G.P. Brizzi, J. Verger (Alghero, 30 ottobre­2 novembre 1996), So­veria Mannelli, Rubbettino, 1998, pp. 533­562 (p. 533). Si veda anche Le università minori in Italia nel xix secolo, a cura di M. da Passano, Sassari, centro interdisciplinare per la storia

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nistro della Pubblica istruzione Terenzio Mamiani impose ai comuni di Ferrara e di Perugia di compilare entro l’anno gli statuti dei propri atenei e di sottoporli all’approvazione del ministro, disponendo altre­sì che i laureati in Medicina, «per avere la matricola di libero eserci­zio della loro professione», avrebbero dovuto frequentare il biennio clinico presso l’università di Bologna o l’istituto di studi superiori di Firenze, sostenendovi i relativi esami. Rispetto al provvedimento di Pepoli, quest’ultima misura riportava l’ateneo umbro alla condizione già vissuta nella precedente organizzazione pontificia. All’indomani dell’Unità d’italia, il regolamento Matteucci del 14 settembre 1862 29 sistemò la materia in senso ancora più centralistico e discriminatorio per Perugia e per le altre piccole sedi: ripropose la distinzione delle università governative in primarie (Torino, Pavia, Bologna, Pisa, na­poli, Palermo; in seguito si aggiungeranno Padova e Roma) e secon­darie (cagliari, catania, Genova, Siena, Macerata, Messina, Modena e Parma), relegando le quattro università «libere» al terzo e più bas­so livello del sistema universitario italiano. distinte da quelle statali, perché abbandonate all’autofinanziamento dei municipi, le universi­tà libere venivano private anche del diritto di dare i gradi, attribuito in via esclusiva a sei commissioni di laurea per tutte le università, sia statali sia libere: questione su cui si accese nel 1863 un’aspra contro­versia tra Giovanni Pennacchi, battagliero rettore dell’università pe­rugina, e il ministro della Pubblica istruzione.

il primo statuto (1864) consacrò la dimensione strettamente mu­nicipale dell’ateneo perugino, ponendolo «sotto l’immediata dipen­denza» del comune che, a mezzo della giunta e del sindaco, provve­deva all’amministrazione patrimoniale, alla nomina del rettore, dei professori e del personale, all’organizzazione dei corsi delle tre facol ­tà (Giurisprudenza; Medicina e chirurgia; Scienze naturali e mate­matiche), agli esami, alle tasse e agli stipendi. Affidata alle insuffi­cienti competenze dell’amministrazione civica e alle sue ancor più scarse risorse economiche, l’università finì in pochi anni per avere

dell’Università di Sassari, 1993 (in particolare: i. Porciani, La questione delle piccole universi-tà dall’unificazione agli anni Ottanta, pp. 9­18; M. Moretti, La questione delle piccole università dai dibattiti di fine secolo al 1914, pp. 19­44).

29 Su cui si veda i. Porciani, Lo Stato unitario di fronte alla questione dell’università, in L’Università tra Otto e Novecento. I modelli europei e il caso italiano, a cura di i. Porciani, na­poli, Jovene, 1994, pp. 135­184.

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vita assai grama. il sensibile calo degli iscritti portò alla decisione, fra il 1882 e il 1886, di sopprimere la facoltà di Scienze e l’insegna­mento di Archeologia. Ridotta a due sole facoltà, l’università provò a risollevarsi costituendosi in ente autonomo dal comune e dandosi un’organizzazione più vicina a quella delle università statali. il nuovo statuto del 1885, affidando a organi accademici la direzione scientifi­ca, didattica e disciplinare dell’ateneo, previde modalità di selezione dei docenti analoghe a quelle seguite per le università regie. erano ora le facoltà interessate a indicare alla giunta di vigilanza, composta dai delegati degli enti locali, le commissioni di concorso da nomina­re, le quali avrebbero dovuto comprendere professori di ruolo nelle università statali 30.

Sempre più sofferente dal punto di vista finanziario, l’ateneo si candidò a ottenere il riconoscimento statale, unica medicina per la sua malattia. i dati statistici dell’ultimo decennio di secolo conforta­vano questa aspirazione. Tra le libere, l’università di Perugia era l’u­nica che nell’anno accademico 1890­1891 avesse superato per nume­ro di iscritti alcune università regie minori. La visita, il 18 settembre 1890, a Perugia del re d’italia, accolto solennemente dal rettore To­rello Ticci nell’aula magna dell’università 31, rilanciò la richiesta del pareggiamento. La prima istanza intesa a questo risultato fu inoltrata dal corpo accademico perugino al ministero della Pubblica istruzio­ne nell’aprile 1910 32, ma non ebbe successo. Sarebbero dovuti passare altri quindici anni. La riforma Gentile (1923), distinguendo fra uni­versità a totale e a parziale carico dello Stato, propiziò il regio decre­to legge 29 ottobre 1925 n. 1965, che promosse l’università libera di Perugia a università regia di grado B (ossia del secondo tipo): lo Sta­to si impegnava a versare un contributo annuo alla nuova università regia, che per il resto doveva provvedere alle proprie necessità con il patrimonio acquisito dall’università libera e con i contributi degli en­ti locali. Tutti i docenti dell’università libera passavano nei ruoli del­la nuova istituzione.

30 ermini, Storia dell’Università di Perugia, cit., pp. 714­715, 801­802.31 cfr. Per una festa scientifica dell’Università di Perugia il 18 settembre 1890, Perugia, Ti­

pografia di Vincenzo Santucci, 1891.32 Università degli Studi di Perugia, Per la regificazione dell’Università di Perugia. Rela-

zione della Commissione nominata dal Corpo accademico nell’adunanza del 28 febbraio 1910, Perugia, s.e., 1910.

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nel frattempo l’università perugina, pur ancora composta da due sole facoltà (Giurisprudenza e Medicina e chirurgia), aveva allargato il suo perimetro scientifico e didattico, inaugurando nel 1896 il «Re­gio istituto agrario sperimentale», destinato a trasformarsi nel 1936 in facoltà di Agraria, mentre le scuole di Farmacia e di Medicina e chirurgia veterinaria, annesse entrambe alla facoltà di Medicina e chirurgia, assumevano in quegli anni sempre più il profilo di facoltà a sé stanti. il decreto di regificazione del 1925 costituì in istituto au­tonomo la scuola di Veterinaria, annettendola ai regi istituti superiori di Medicina veterinaria alle dipendenze del ministero dell’economia nazionale. La scuola di Farmacia iniziò dal novembre 1927 a conferi­re il diploma in Farmacia e la laurea in chimica e farmacia, articolan­done il corso in cinque anni. Lo stesso decreto del 1925 istituì presso l’università di Perugia «un ente autonomo, che avrà per fine di orga­nizzare e mantenere speciali corsi di letteratura e cultura italiana per stranieri», preconizzando la nascita, oramai prossima, dell’Università per Stranieri di Perugia.

l’ateneo nel ventennio fascista (1925-1944)

Prima delle università libere a ottenere la regificazione, Perugia fu premiata anche per la fedeltà che la città – «capitale della rivolu­zione», essendo stata quartiere generale della marcia su Roma – ave­va sino allora manifestato al regime di Mussolini 33. L’anno della re­gificazione è lo stesso della fondazione a Perugia dell’Università per gli Stranieri, inaugurata solennemente da Benito Mussolini con una prolusione roboante e dal tema a dir poco fuori quadro: Roma antica sul mare (nell’Umbria, cuore verde) 34. in quell’occasione (era il 5 ot­tobre 1926), anche l’Università degli Studi aveva ricevuto la visita del

33 il contenuto di questo paragrafo e in particolare le vicende dell’epurazione del perso­nale universitario sono sviluppate più ampiamente in F. Treggiari, Università e giuristi a Pe-rugia (1925-1945), in Giuristi al bivio. Le Facoltà di Giurisprudenza tra regime fascista ed età repubblicana, a cura di M. cavina, Bologna, clueb, 2014, pp. 227­258.

34 Sulla cornice retorica che accompagnò la nascita dell’Università per Stranieri di Peru­gia si veda F. Treggiari, Da Perugia a Oxford: la parabola del giurista cinquecentesco Alberico Gentili, in «diomede», 10, 2008, pp. 85­89. Per un profilo complessivo si veda A. Stramaccio­ni, Un’istituzione per la lingua e la cultura italiana. L’Università per Stranieri di Perugia (1925-2005), città di castello, edimond, 2006.

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duce, giunto a Perugia insieme al ministro della Pubblica istruzione Pietro Fedele e a uno stuolo di sottosegretari e onorevoli. nell’aula magna dell’ateneo, dove troneggiava un suo busto in gesso, i docenti avevano indossato i costumi accademici, la milizia universitaria (po­chi mesi prima, il 24 maggio, era stato inaugurato a Perugia il Grup­po universitario fascista) aveva prestato servizio d’onore, gli studenti avevano indossato il berretto goliardico.

esattamente un anno dopo, nell’ottobre 1927, sotto gli auspici del capo del governo, era stata istituita la «Facoltà Fascista di Scienze Po­litiche», sorta di università di regime («reparto mobilitato della Rivo­luzione Fascista», «seminario della Rivoluzione» venne definita dal suo artefice, Sergio Panunzio, filosofo del diritto in ruolo nella facol­tà di Giurisprudenza di Perugia, onorevole e sottosegretario di Stato fino al 1926, nel 1927­1928 rettore dell’università di Perugia) destina­ta a formare i quadri e i funzionari («gli operai dello Stato») del na­scente «Stato nuovo» mussoliniano 35. Lo statuto dell’ateneo, appena varato, all’art. 28 attribuiva alla nuova facoltà «il fine di promuove­re la conoscenza e la coscienza del fascismo e di preparare i Fascisti alle carriere: amministrativa, sindacale­corporativa, consolare­diplo­matica, coloniale, giornalistica» 36. con i suoi corsi di Storia e dottri­na generale del fascismo, Sistema della legislazione fascista, diritto corporativo, Storia delle colonie e politica coloniale, diritto coloniale e i robusti innesti di insegnamenti mutuati dalla facoltà di Giurispru­denza, essa avrebbe dovuto condurre Perugia a essere «nel secolo fa­scista» ciò che «Bologna era nel Medioevo» 37.

35 Regia Università di Perugia, La Facoltà Fascista di Scienze Politiche, Perugia, Tipografia commerciale, 1929, pp. 21, 41 (ripr. facs. in La Facoltà fascista di scienze politiche di Perugia, a cura di A. campi, Perugia, Stampa & comunicazione, 2006).

36 id., La Facoltà Fascista nei primi sei anni di vita. Relazione del Commissario del Gover-no prof. Sergio Panunzio al Duce del Fascismo e Capo del Governo, Perugia, Tipografia della Rivoluzione Fascista G. donnini, 1935, pp. 23­24 (anche questo testo è stato ripubblicato in ripr. facs. in La Facoltà fascista di scienze politiche di Perugia, cit.).

37 La grande importanza per Perugia dell’istituzione della Facoltà fascista di scienze politi-che, in «L’Assalto», 6­7 agosto 1927, p. 1, citato in L. di nucci, Nel cantiere dello Stato fasci-sta, Roma, carocci, 2008, p. 72 (sulla facoltà di Scienze politiche, pp. 91­120). cfr. inoltre id., Le facoltà di Scienze Politiche in Italia e il caso di Perugia, in Le scienze politiche. Modelli con-temporanei, a cura di V.i. comparato, R. Lupi, G.e. Montanari, Milano, FrancoAngeli, 2011, pp. 71­84; id., La Facoltà fascista di Scienze Politiche di Perugia: origini e sviluppo, in Continu-ità e fratture nella storia delle università italiane dalle origini all’età contemporanea, Perugia, Università degli Studi di Perugia, dipartimento di Scienze storiche, 2006, pp. 133­151; M.c. Giuntella, La facoltà fascista di Scienze Politiche di Perugia e la formazione della classe dirigente

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il progetto della nuova facoltà aveva cominciato a prendere for­ma già nell’estate 1925, in concomitanza con la regificazione dell’a­teneo. nel luglio di quell’anno il rettore dell’università, l’ammini­strativista della facoltà di Giurisprudenza edoardo Tommasone, era andato a Palazzo chigi, insieme a una commissione di autorità e di gerarchi di Perugia, per ringraziare Mussolini dell’avvenuta regifi­cazione, e aveva ricevuto dal duce l’ordine di caratterizzare in sen­so fascista l’ateneo. Ritornato a Perugia, Tommasone aveva coinvolto Sergio Panunzio, intimo di Mussolini e dal giugno 1925 professore a Perugia. insieme al preside di Giurisprudenza, Angelo criscuoli (già rettore dell’ateneo nel 1923­1924), Panunzio affinò il progetto, forte del sostegno finanziario del governo e degli altri stanziamenti prove­nienti da comune, provincia, sindacati e banche. nell’agosto 1927 il consiglio dei ministri deliberò l’istituzione della «Facoltà Fascista di Scienze Politiche», denominazione preferita a quella di «Facoltà di Studi fascisti». Panunzio, chiamato nel novembre 1927 a insegnare dottrina generale dello Stato a Roma, ne venne nominato commis­sario per l’organizzazione e il primo avviamento (lo sarà fino all’ot­tobre 1933). nel primo organico della facoltà insegnavano non pochi professori di Giurisprudenza 38. nel 1934 fu chiamato alla cattedra di Storia moderna Federico chabod, che fu anche preside della «Facol­tà Fascista» dal 1935 al 1937, quando si trasferì a Roma (gli subentrò Aldo Maria Ghisalberti). nel 1940 vi fu chiamato a insegnare Storia economica Luigi dal Pane. non pochi professori della nuova facoltà erano fascisti «di fede»: tra questi, Paolo Orano, Maurizio Maravi­glia, Francesco coppola, Angelo Oliviero Olivetti, Giuseppe Mara­nini. dall’anno accademico 1938­1939 la facoltà prevedeva due indi­rizzi di laurea, uno in Scienze politiche, l’altro in economia e com­mercio. Per immatricolarsi, gli studenti dovevano possedere la matu­rità classica o scientifica ed essere iscritti al Pnf.

Gratificata e ben voluta dal regime, il 28 marzo 1927 l’università di Perugia e la sua facoltà di Giurisprudenza conferirono la dignità di professore onorario al ministro della Pubblica istruzione Pietro Fedele, insignendolo anche della cittadinanza perugina 39. La devo­

fascista, in Politica e società in Italia dal fascismo alla Resistenza, a cura di G. nenci, Bologna, il Mulino, 1976, pp. 293­313.

38 Regia Università di Perugia, La Facoltà Fascista nei primi sei anni di vita, cit., pp. 74­75.39 dozza, Università di Perugia, cit., pp. 400­401.

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zione al regime fruttò all’ateneo umbro favori finanziari, che consen­tirono l’espansione delle sue strutture. erano anni di gloria e di boria accademica: nel 1934, in un articolo sul «Giornale d’italia» che fe­ce molta eco, indro Montanelli definì Perugia l’«Oxford italiana» 40.

Le testimonianze dei vincoli che legavano l’ateneo perugino al re­gime si moltiplicarono negli anni successivi. il 17 giugno 1928 Tura­ti, segretario del Pnf, venne a tenervi una lezione affollatissima, ac­compagnato dal ministro Fedele. nella circostanza Lanciotto Rossi, appena nominato rettore dell’ateneo e da alcuni anni in ruolo nella facoltà di Giurisprudenza perugina come professore di diritto pro­cessuale civile, nel suo discorso «fascisticamente devoto» sottolineò nella presenza dei due illustri ospiti il «nuovo riconoscimento, quan­to mai solenne, del carattere nettamente, fortemente fascista della nostra Università» 41. il 27 ottobre 1929 a Luigi Federzoni, presidente del Senato, l’ateneo conferì la laurea honoris causa in Giurispruden­za. Le iscrizioni degli studenti intanto salivano, trainate da Scienze politiche (dei 476 iscritti all’ateneo nell’anno accademico 1928­1929, 203 avevano scelto la nuova facoltà) e dal carismatico Paolo Orano (1875­1945), ordinario di Storia del giornalismo e incaricato di Storia e dottrina generale del fascismo in quella facoltà; una figura destina­ta a lasciare non labile traccia di sé nell’ateneo perugino: sarà rettore per dieci anni, dal 1935 al 1944, e sotto la sua guida l’università vivrà la sua più fervida stagione politica.

il 28 agosto 1931 un regio decreto legge (n. 1227) aveva intanto imposto ai professori universitari di ruolo e agli incaricati di giurare «di essere fedele al Re, ai suoi Reali successori e al Regime fascista, di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato, di eser­citare l’ufficio di insegnante e adempiere a tutti i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e devoti alla Patria ed al Regime Fascista». era la via forzosa alla fascistizzazione delle università. Quell’anno l’ateneo di Perugia, più fascista che mai, si era attrezzato di locali per la milizia universitaria, che contò subito oltre duecento aderenti. il 6 dicembre 1931, nella sua prolusione inaugura­le dell’anno accademico, dal titolo Giornalismo, opinione pubblica e

40 Treggiari, Da Perugia a Oxford, cit., pp. 85­86; di nucci, Nel cantiere dello Stato fasci-sta, cit., pp. 69 ss.

41 il discorso è pubblicato in Regia Università di Perugia, La Facoltà Fascista di Scienze Politiche, cit., pp. 29­31.

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potere politico, Paolo Orano aveva difeso ed esaltato la stretta del re­gime sulla «cosidetta libertà di stampa» 42.

in questa cornice si inserì il rifiuto di giurare di edoardo Ruffini (1901­1982), a Perugia da pochi mesi come professore di Storia del diritto italiano nella facoltà di Giurisprudenza 43. Vi era stato chiama­to il 17 marzo 1931 dal preside Antonio Ambrosini – un «vecchio e caro amico, malgrado il suo conformismo fascista» 44 –, da poco tra­sferito nell’ateneo perugino da camerino, ove era stato rettore nei primi anni di docenza di Ruffini. A parte «l’invincibile ripugnanza per il bel gesto» 45, Ruffini non ebbe mai incertezze sul da farsi, cioè sul non giurare 46. il rettore Leonardo dominici (successore di Lan­ciotto Rossi, governò l’ateneo dal 1930 al 1935) 47 tentò di fargli cam­biare idea, cercando di convincerlo che il giuramento era solo una formalità e che dopo avrebbe potuto insegnare come voleva; ma inu­tilmente. in quel suo primo anno d’insegnamento a Perugia Ruffini fece in tempo a tenere le sole prime due lezioni dei corsi di Storia del diritto italiano e di diritto ecclesiastico e canonico, il 19 e il 20 no­vembre 1931. il 29 novembre 1931, all’invito formale «di trovarsi il

42 dozza, Università di Perugia, cit., p. 412.43 Profili di edoardo Ruffini in A. Passerin d’entreves, Ricordo di Edoardo Ruffini, in

«nuova Antologia», dlii, 2147, luglio­settembre 1983, pp. 267­270; d. Segoloni, Edoardo Ruf-fini, in «Rivista di storia del diritto italiano», 58, 1985, pp. 333­368; G. crifò, “Vivere insie-me”: Edoardo Ruffini e noi, in Lezioni per Edoardo Ruffini, i, Perugia, centro studi giuridici e politici­Regione Umbria, 1994, pp. 21­46; P. Grossi, Omaggio a Edoardo Ruffini (Discorren-do di una singolare esperienza di studio e di due libri singolari), in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 7, 1978, pp. 575­582; Per Edoardo Ruffini, a cura di S. caprioli, L. Rossi, Perugia, centro studi giuridici e politici­Regione Umbria, 1985; A. Mat­tone, a.v. Ruffini Avondo, Edoardo, in Dizionario biografico dei giuristi italiani, ii, Bologna, il Mulino, 2013, pp. 1755­1756.

44 H. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, Firenze, La nuova italia, 2000, p. 100 (citando dalle lettere di edoardo Ruffini a Helmut Goetz del 14 febbraio 1971 e del 13 giugno 1972).

45 dalla lettera di edoardo Ruffini alla cugina nina Ruffini del 26 agosto 1931, citato in G. Boatti, Preferirei di no. Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini, Torino, einaudi, 2001, p. 6.

46 cfr. la lettera dell’11 novembre 1978, in e. Ruffini, Lettere da Borgofranco su principio maggioritario e dintorni, a cura di S. caprioli, F. Treggiari, in Giuristi dell’Università di Peru-gia. Contributi per il vii centenario dell’Ateneo, a cura di F. Treggiari, Roma, Aracne, 2010, p. 420 (già edita in «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 1983, pp. 1094­1101, sotto il titolo Conciso autoritratto di Edoardo Ruffini e poi in Per Edoardo Ruffini, cit., pp. 147­158).

47 nato a Trevi (Perugia) nel 1879, professore di clinica chirurgica, Leonardo domini­ci era salito al governo dell’ateneo dopo quattro consecutivi rettori provenienti dalla facoltà di Giurisprudenza: Angelo criscuoli (1923­1924), edoardo Tommasone (1924­1926), Sergio Panunzio (1926­1928) e Lanciotto Rossi (1928­1930).

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giorno di martedì 1° dicembre, alle ore 12 nell’Ufficio Rettorale per prestare giuramento secondo la nuova formula stabilita dall’art. 18 del R.d. 28 agosto 1931 n. 1227» 48, rispose con una lettera, in cui di­ceva di non potere, «in coscienza, assumere l’obbligo di adempiere con la voluta efficacia a quell’ufficio di formazione spirituale dei gio­vani che la formula prescritta impone» 49.

il suo rifiuto di giurare – un cuneo nel conformismo e nell’obbe­dienza che caratterizzava l’atteggiamento dei suoi colleghi (di quella che passava per essere l’università fascista per eccellenza) – scatenò un’ondata di panico nella facoltà giuridica perugina. Uno dei dodi­ci professori che in quei giorni voltavano le spalle al regime (Ruffini, appena trentenne, ne era il più giovane) era tra loro. in italia, convie­ne ricordarlo, giurò il 99% dei 1225 professori universitari dell’epo­ca: certamente non tutti fascisti e tra essi, anzi, anche non pochi mae ­stri di antifascismo (il Partito comunista clandestino aveva ordinato ai professori iscritti di prestare il giuramento) 50. il rifiuto di Ruffini e degli altri undici professori fu uno scandalo senza precedenti; e sen­za epigoni: due anni dopo, nessun professore tedesco avrebbe rifiuta­to il giuramento di fedeltà e obbedienza ad Adolf Hitler.

il rettore dominici fece pregare Ruffini di ritirare la sua lettera. Ruffini non accolse la richiesta e la lettera venne fatta sparire dal suo fascicolo personale 51. il 24 dicembre 1931, tuttavia, cedendo alle pre­ghiere di Ambrosini, Ruffini, a cui era giunto l’invito del ministero «di giustificare il proprio atto dinanzi al ministro stesso o di dare le dimissioni», scrisse da Roma al rettore la richiesta di accettare le sue dimissioni da professore di ruolo di Storia del diritto italiano per «motivi di famiglia». Le dimissioni furono accettate a decorrere dal 1° gennaio 1932. della cattedra di Storia del diritto italiano lasciata libera da edoardo Ruffini divenne titolare Giuseppe ermini, trasferi­to dall’università di cagliari, dove insegnava quella materia dal 1927.

48 copia della lettera in Archivio storico dell’Università di Perugia (asupg), Parte gene­rale, 1945, cat. i, pos. 16, Giuramento del personale.

49 nel fascicolo personale di edoardo Ruffini non è conservato né l’originale né copia di questa lettera, edita poi (il testo fu probabilmente tratto dalla copia che Ruffini ne conservò) in «Resistenza, Giustizia e Libertà» del 14 gennaio 1962, nonché in A. Galante Garrone, I miei maggiori, Milano, Garzanti, 1984, p. 36, e in H. Goetz, Il Tornante del 1931, in Per Edoa -rdo Ruffini, cit., pp. 25­34 (p. 31).

50 Goetz, Il giuramento rifiutato, cit., pp. 16­17.51 ivi, p. 103 nota 236.

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Ruffini rientrerà senza sollecitudine e senza entusiasmo nell’uni­versità di Perugia, dopo che il nuovo ministro della Pubblica istru­zione, Guido de Ruggiero, il 1° giugno 1944 aveva annullato tutte le forzate dimissioni del 1931. Poco più di un anno prima, nella prima­vera del 1943, era stata la volta, anche per Perugia e la sua universi­tà, di un nuovo giuramento di fedeltà, prescritto dalla Rsi a tutti i di­pendenti statali. con un telegramma del 23 marzo 1944 il ministro Biggini lo aveva imposto anche ai direttori amministrativi, ai funzio­nari e agli altri impiegati degli atenei, rinviando per il momento di estenderlo al personale insegnante. Un processo verbale redatto su modulo a stampa, con impressa la formula del giuramento («giuro di servire lealmente la Repubblica Sociale italiana nelle sue istituzioni e nelle sue leggi e di esercitare le mie funzioni per il bene e la grandez­za della Patria»), lo avrebbe sancito 52. il prorettore carlo Fuschini (il rettore Paolo Orano era «da tempo assente da Perugia» ed era in quei giorni in corso presso il ministero dell’educazione nazionale della Rsi la procedura per la nomina del suo successore, che sarebbe cadu­ta sullo stesso Fuschini), dopo essersi assicurato dal ministro l’esone­ro dei docenti dall’obbligo di giurare, il 20 aprile 1944 aveva garan­tito allo stesso ministro la presenza di tutti i dipendenti dell’ateneo alla cerimonia pubblica per il giuramento di fedeltà da parte dei capi degli uffici delle amministrazioni statali (i dipendenti sarebbero stati in seguito invitati a giurare dinanzi al loro diretto superiore), indetta dal comune per la mattina di domenica 23 aprile 1944 al teatro Pavo­ne, nel centro storico cittadino. Per chi si fosse rifiutato di giurare, il governo della Rsi minacciava il «collocamento a riposo d’autorità» 53.

dopo l’espulsione di Ruffini dall’università, gli omaggi dell’ate­neo perugino al regime erano intanto proseguiti. il 6 marzo 1932 Achille Starace, segretario del Pnf, aveva visitato l’università. il suc­cessivo 28 ottobre l’ateneo e le scuole di Perugia avevano reso omag­gio, nel decennale fascista, ai caduti per la Rivoluzione. il 6 aprile 1933 l’intera rappresentanza dell’università si era recata a Roma per visitare la mostra della Rivoluzione fascista e per essere ricevuta da Starace. il 17 maggio era stata la volta della visita a Perugia del mini­stro dell’educazione nazionale de Vecchi, seguita in giugno da quel­

52 documenti in asupg, Parte generale, 1945, cat. i, pos. 16, Giuramento del personale.53 ivi, circolare del ministro Biggini del 22 maggio 1944.

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la del ministro dei Lavori pubblici cobolli Gigli, venuto a inaugu­rare le opere per il policlinico universitario. Anche i tradizionali riti universitari erano stati piegati al costume del regime: la prolusione inaugurale dell’anno accademico era stata abolita e sostituita da di­scorsi – tra cui quello del rappresentante del Guf, che con i suoi set­tecento iscritti aveva aperto un’elegante sede nel centro cittadino –, in cui si affrontassero «i problemi della Patria non disgiunti da quelli della cultura» 54.

Grazie anche a queste devozioni politiche, l’ateneo consolidò le sue strutture e avanzò di grado tra le università statali. nel 1934­1935 il regio istituto superiore di Medicina veterinaria fu trasformato in facoltà; l’anno seguente fu istituita la facoltà di chimica­Farmacia e nel 1936 anche il regio istituto superiore di Agraria divenne facoltà, portandone così il numero a sei. nel 1935 gli iscritti all’ateneo furo­no 561 (Medicina in testa con 209 iscritti, Giurisprudenza con 152, Scienze politiche con 91, Farmacia con 56, Veterinaria con 35), più della metà dei quali provenienti da fuori regione, 32 dall’estero. nel 1936 l’università di Perugia fu inserita fra gli atenei di grado A (ossia a totale carico dello Stato).

Al suo insediamento come rettore nel 1935 (lo sarà fino al 1944, riconfermato tre volte in questo incarico; dal 1939 sarà anche senato­re del regno), Paolo Orano si dichiarò senza esitazioni «personalità politica e combattiva, chiamata rigorosamente a rappresentare e ad affermare lo spirito e il comando dello Stato voluto dal partito fasci­sta», partecipe della «militarizzazione delle anime» richiesta dalle «urgenti necessità del momento storico» 55. Orano esercitò un pote­re personale sulle facoltà dell’ateneo, subordinando alla sua propo­sta la nomina dei presidi. nel 1937 vide la luce il suo libro Gli Ebrei in Italia – una «dichiarazione di guerra a tutto campo nei confronti degli ebrei italiani» 56 –, destinato a raccogliere presto fama e consen­

54 dozza, Università di Perugia, cit., pp. 419­423. Sul Guf perugino, cfr. M.c. Giuntella, Autonomia e nazionalizzazione dell’Università. Il fascismo e l’inquadramento degli atenei, Ro­ma, Studium, 1992, p. 208; L. La Rovere, Storia dei Guf. Organizzazione, politica e miti della gioventù universitaria fascista 1919-1943, Torino, Bollati Boringhieri, 2003.

55 dozza, Università di Perugia, cit., pp. 407, 424. Su Orano si veda G. Fabre, a.v. Orano, Paolo, in Dizionario biografico degli italiani, lxxix, Roma, istituto dell’enciclopedia italiana Treccani, 2013, pp. 395­402.

56 e. collotti, Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia, Roma­Bari, Laterza, 2006, p. 45 (su Orano, pp. 42­47).

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si. L’anno seguente, proprio durante il suo rettorato, scese sul corpo accademico perugino la mannaia delle leggi razziali. A farne le spese furono sei docenti, gli ultimi due dei quali, però, sarebbero stati po­co dopo «discriminati» dalla «discriminazione» 57: cesare Finzi, or­dinario di chimica farmaceutica e tossicologia e preside della facol­tà di Farmacia; Gino de Rossi, ordinario di Microbiologia agraria; Giorgio Todesco, straordinario di Fisica; Bernardo dessau, ordina­rio di Fisica sperimentale; Quinto Micheletti (Michaelstadter), assi­stente incaricato di Patologia speciale chirurgica e Leonardo Vivia­ni, assistente incaricato presso Scienze politiche. i primi tre furono sospesi alla data del 16 ottobre 1938; saranno poi riammessi, a fini economici, dal 1° gennaio 1944. dessau non fu sospeso in quanto già collocato a riposo; venne però cancellato dall’annuario dell’universi­tà, ove compariva tra i professori emeriti (ai sensi della circolare del ministero dell’educazione nazionale, n. 7589 del 27 dicembre 1938, ai professori emeriti o onorari di razza ebraica il titolo onorifico non doveva essere revocato, ma essi andavano esclusi da qualsiasi parte­cipazione alla vita accademica). i provvedimenti di sospensione di Micheletti e Viviani vennero invece annullati con disposizioni mini­steriali rispettivamente del 19 ottobre 1939 e del 10 dicembre 1938.

negli anni della guerra, con sei facoltà (Giurisprudenza, Medici­na e chirurgia, Scienze politiche, Farmacia, Agraria e Medicina vete­rinaria) e un buon numero di studenti (1287 alla vigilia del conflitto, non pochi dei quali iscritti al corso di laurea in economia e commer­cio, istituito dal 1939­1940 nell’ambito della facoltà di Scienze politi­che), l’ateneo perugino organizzò la Mostra storica dell’Università di Perugia, onorata il 18 febbraio 1942 della visita del ministro dell’e­ducazione nazionale, Giuseppe Bottai. Vi si esponeva materiale ar­chivistico, iconografico e bibliografico dal xiii al xix secolo, rievoca­tivo della storia plurisecolare dell’ateneo. Una mostra organizzata in mezzo ai bombardamenti, malgrado l’indisponibilità di documenti e

57 La «discriminazione dalla discriminazione» era stata sancita da più provvedimen­ti, che avevano attribuito all’autorità amministrativa l’arbitrio di escludere i cittadini italia­ni dall’appartenenza alla razza ebraica, anche a dispetto delle risultanze anagrafiche: cfr. F. Treggiari, Questione di stato. Codice civile e discriminazione razziale in una pagina di Francesco Santoro Passarelli, in Per saturam. Studi per Severino Caprioli, a cura di G. diurni, P. Mari, F. Treggiari, Spoleto, centro italiano di Studi per l’Alto Medioevo, 2008, pp. 821­868 (pp. 846 ss), saggio pubblicato anche in Il pensiero giuridico di Francesco Santoro Passarelli, a cura di B. Montanari, Torino, Giappichelli, 2010, pp. 17­63.

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pezzi già riposti altrove per misure di protezione antiaerea, non lega­ta ad alcun anniversario e dunque voluta per mettere in vetrina i glo­riosi cimeli medievali dello Studium, Bartolo e Baldo in testa, e creare così una nuova occasione di visibilità politica dell’ateneo 58.

la transizione alla democrazia (1944-1945)

destituito dalla cattedra dal governo Bonomi nel giugno 1944, catturato dagli Alleati il successivo 11 agosto, incarcerato e trasferi to nel campo di concentramento di Padula (Salerno), dove erano stati raccolti i gerarchi fascisti in attesa di giudizio, Paolo Orano morì il 7 aprile 1945. Al suo posto di rettore dell’ateneo perugino il governo della Repubblica di Salò designò l’entomologo carlo Fuschini (1880­1957), preside della facoltà di Agraria dal 1936 (lo sarà in seguito ininterrottamente fino al 1951), che già in passato aveva sostituito Orano nei periodi di sua assenza. Fuschini ebbe il gradimento del Governo militare alleato (Gma) di stanza a Perugia 59 e rimase in ca­rica di fatto fino a circa la metà di settembre 1944. Tornerà a ricopri­re l’ufficio di rettore dell’ateneo perugino dieci anni dopo, nell’anno accademico 1954­1955, unico intervallo del più che trentennale retto­rato di Giuseppe ermini.

nelle settimane successive alla liberazione di Perugia (20 giugno 1944) 60, gli Alleati e poi l’amministrazione italiana dettero avvio alle misure epurative dei pubblici impiegati compromessi con il regime

58 Se ne veda la descrizione fatta da uno dei suoi curatori, il bibliotecario dell’ateneo: R. Belforti, La mostra storica dell’Università di Perugia, in «Bollettino della deputazione di storia patria per l’Umbria», xl, 1943, pp. 193­199. nella sede del centro servizi biblioteca­ri dell’Università di Perugia (ex Biblioteca centrale) ne è conservato il catalogo fotografico.

59 cfr. la lettera del 25 luglio 1944, non firmata, scritta (da mano italiana, a giudicarne l’inglese) in risposta alla richiesta di informazioni sull’università di Perugia (chi ne fosse at­tualmente rettore e da chi fosse stato nominato; notizie sul «corpo accademico in generale oppure a proposito di elementi particolarmente sospetti», nonché sulla condizione della bi­blioteca e degli altri edifici universitari) inviata il 18 luglio 1944 dai colonnelli carl M. Ge­vers e i.F. Belser, in Perugia liberata. Documenti anglo-americani sull’occupazione alleata di Pe-rugia (1944-1945), a cura di R. Absalom, Firenze, Olschki, 2001, pp. 533­534.

60 cfr. ivi, pp. 112 ss; R. Absalom, Il Governo militare alleato nell’Italia centrale, in L’Um-bria verso la Ricostruzione, atti del convegno Dal conflitto alla libertà (Perugia, 28­29 marzo 1996), Perugia­Foligno, isuc­editoriale Umbra, 1999, pp. 21­33; S. innamorati, Perugia, dalla Repubblica sociale al governo del Cln, ivi, pp. 45­64.

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dittatoriale 61. Quanto all’università, dopo un primo provvedimento adottato il 20 luglio 1944, con cui il Gma aveva disposto il licenzia­mento di cinque fra docenti di ruolo e incaricati 62, al rettore Fuschi­ni, nell’agosto 1944, era toccato il compito di stilare le schede del personale in servizio, che gli Alleati avrebbero utilizzato come base per i procedimenti epurativi. Fuschini compilò una lista di ventidue persone, squadristi o membri del Partito fascista repubblicano (due professori di ruolo, due professori incaricati, cinque aiuti e assistenti, quattro liberi docenti, due assistenti volontari, i restanti amministra­tivi), che il Gma era intenzionato a sospendere dal servizio 63. L’elenco doveva essere stato poi assottigliato, se un successivo documento del 21 agosto 1944 del Provincial Public Safety Office, Perugia Province, a firma del capitano c.e. Godbold, propose al prefetto reggente, l’av­vocato Luigi Peano (nominato dagli Alleati su designazione del co­mitato provinciale di liberazione nazionale [cpln] e in carica dal lu­glio 1944), l’immediato licenziamento di soli quindici dipendenti 64.

nel settembre 1944, mentre erano in corso queste vicende, il Gma

61 L’epurazione alleata a Perugia fu durissima, con più di un migliaio di allontanamen­ti dai pubblici uffici, un fatto compiuto con il quale l’epurazione italiana, che si risolse in un quasi fallimento (si colpì poco e «in basso»: per un bilancio, cfr. G. Rescigno, L’epurazione a Perugia, ivi, pp. 125­134, [pp. 130 ss]), dovette suo malgrado confrontarsi: cfr. G. Severi­ni, I problemi dell’epurazione a Perugia, in Gli Alleati in Umbria (1944-45), atti del convegno Giornata degli Alleati, a cura di R. Ranieri (Perugia, 12 gennaio 1999), Perugia, fondazione Ranieri di Sorbello, 2000, pp. 111­119; Perugia liberata, cit., pp. 376­417. Le carte d’archivio relative all’epurazione a Perugia sono conservate in asupg, Parte generale, 1945, cat. i, in Ar­chivio di Stato Perugia (aspg), Prefettura, Gabinetto, bb. 195­198, e in aspg, comitato Pro­vinciale di Liberazione nazionale (cpln), bb. 4­7; l’archivio della sezione per l’epurazione della corte d’Appello, conservato anch’esso in aspg, concerne i procedimenti riguardanti il personale degli enti locali.

62 aspg, Prefettura, Gabinetto, b. 196, fasc. 1/i, c. n.n. il Memorandum to Prefect Peano del 20 luglio 1944, a firma del colonnello Ozni H. cornwell, indicava i seguenti professori da licenziare: Paolo Orano (Scienze politiche, rettore), Brajo Fuso (Medicina), Mario Filomeni (Farmacia), Giuseppe Priorelli e Augusto Agostini (Agraria).

63 Relazione 1° settembre 1944 del colonnello Rowell, in Perugia liberata, cit., pp. 538­539 note 12­14.

64 aspg, Prefettura, Gabinetto, b. 196, fasc. 1/i, c. 8. i licenziandi (vi erano inclusi, tran­ne Paolo Orano, anche quelli del Memorandum del 20 luglio 1944) erano: Giuseppe Priorelli, Francesco Boschi, Mario Bandini, carlo Seppolini, Brajo Fuso, Paolo Toponi, camillo Gian­nantoni, Giuseppe Minniti, Alfredo Berardi, prof. desiderio nai, prof. Mario Filomeni, Vir­gilio Bianconi, Alberto Bacanella, dott. carlo doneddu, dott. Augusto Agostini. Buona par­te di loro (Boschi, Seppolini, Berardi, nai, Filomeni, Bianconi, Bacanella, doneddu) è com­presa nell’Elenco dei nomi fascisti repubblicani conservato in aspg, cpln, b. 6, fasc. 49. Rispet­tivamente in aspg, cpln, b. 4, fasc. 2B e in aspg, Prefettura, Gabinetto, b. 196, fasc. 47, c. 5, sono conservate le schede di Boschi e di Toponi (quest’ultimo archivista presso l’università).

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nominò Giuseppe ermini, ordinario di Storia del diritto italiano nel­la facoltà di Giurisprudenza di Perugia, commissario ministeriale e prorettore dell’ateneo 65. ermini sarà confermato rettore dal cor­po accademico il 29 giugno 1945 e manterrà questa carica per oltre trent’anni, fino al 1976, con la sola eccezione dell’anno accademico 1954­1955, quando la lasciò in conseguenza della sua nomina a mini­stro della Pubblica istruzione nel primo governo Scelba; in quell’oc­casione, come si è già ricordato, sarà sostituito da carlo Fuschini 66.

il primo della lunga serie di discorsi inaugurali di anni accade­mici tenuti da ermini come rettore dell’università perugina fu quel­lo che aprì, domenica 10 dicembre 1944, nell’aula magna dell’ateneo (l’ex chiesa dell’università), alla presenza del comando alleato, l’an­no accademico 1944­1945 67. Sul delicato tema del personale univer­sitario compromesso con il passato regime la linea scelta da ermi­ni, pur nell’esecrazione dell’esperienza totalitaria, fu sin dall’inizio di sostanziale difesa del corpo accademico dalle minacce epurative, nell’equivoco presupposto che il prestigio dell’istituzione universita­ria dipendesse dal salvataggio in blocco dei suoi docenti: «non cre­

65 Sulla nomina di ermini a prorettore, cfr. ancora il documento in data 1° settembre 1944 a firma del colonnello Rowell, da cui risulta che ermini era il candidato rettore del mi­nistro della Pubblica istruzione de Ruggiero (p. 539, nota 15), il quale, come seconda scelta, aveva indicato Leonardo coviello, ordinario di diritto civile nella facoltà giuridica perugina. Sono pertanto errati i dati riportati negli Annuari dell’università di Perugia, i quali, oltre a non tener conto della «reggenza» di carlo Fuschini da maggio a settembre 1944 (la sua nomi­na a rettore proveniva dal governo della Rsi, è vero, ma il comando alleato la confermò di fat­to), indicano Giuseppe ermini «dal 7 aprile 1944 ff. Rettore, dall’1 novembre 1944 Rettore»; Annuario dell’Università degli studi di Perugia 1948-49, Perugia, Grafica, 1949, p. 42, nota 6.

66 Giuseppe ermini (Roma, 1900­1981) si era laureato in Giurisprudenza nel 1921 a Ro­ma. Libero docente nel 1926, aveva vinto l’anno successivo il concorso per la cattedra di Sto­ria del diritto italiano. chiamato a insegnare a cagliari, vi era rimasto fino al suo trasferimen­to a Perugia, dove era giunto nel novembre 1932. A Perugia insegnò dal 1932 al 1976, ultimo anno della sua carriera di professore e di rettore. eletto nel 1946 all’assemblea costituente nelle liste della democrazia cristiana, fu deputato fino al 1968 e senatore dal 1972 al 1976. Sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri nel primo governo Fanfani (1954) e poi nel successivo governo Scelba, ebbe in quest’ultimo governo il dicastero della Pubblica istruzione (settembre 1954­luglio 1955). nel 1958 presiedette la commissione pubblica istru­zione della camera dei deputati, negli anni della riforma della scuola dell’obbligo (1962) e dei tentativi di quella universitaria. cfr. F. Treggiari, a.v. Ermini, Giuseppe, in Dizionario bio-grafico dei giuristi italiani, cit., i, pp. 801­803.

67 G. ermini, Discorso inaugurale dell’anno accademico 1944-45, in Annuario dell’Univer-sità degli studi di Perugia 1948-49, cit., pp. 197­212. il discorso fu stampato anche in lingua inglese (Inaugural Speech for the Academic Year 1944-45 of the Royal University of Perugia, in this its 637th Year, Perugia, Grafica 1944) a beneficio degli ospiti del Gma. Una copia dell’o­puscolo in lingua inglese è in asupg, Parte Generale, 1945, cat. i, pos. 7.

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do», disse, «di peccare di ottimismo asserendo che la struttura basi­lare della costruzione universitaria ed i caratteri essenziali e lo spirito animatore della nostra cultura hanno ben resistito e sono usciti salvi dalla terribile prova» 68. La tesi, perfettamente armonizzata al mon­tante «paradigma antifascista» 69, era quella di una diffusa refratta­rietà della cultura universitaria all’ideologia del regime, nell’assun­to che una maggioranza virtuosa fosse stata piegata alle violenze «di una sparuta quanto astuta associazione di facinorosi» 70.

il desiderio di ermini di riportare l’ateneo alla sua funzione di educazione e di studio convergerà fatalmente con il colpo di spu­gna sulle compromissioni politiche, grazie alle quali, nel corso del ventennio, l’università perugina aveva costruito la sua identità e la sua fortuna. certamente, ermini parlò della necessità di «nettare dal fango […] le aule di questo bell’edificio, gettandone fuori i tradi­tori della scienza e gli avventurieri della politica»; di liberare la vi­ta universitaria «dal dilettantismo, dalla malafede, dagli intrighi e dai personalismi»; di «recidere con taglio netto la parte cancerosa dell’organismo» 71. Ma pochissimi, alla fine, furono «gettati fuori». La stessa «Facoltà Fascista di Scienze Politiche», di cui il Senato ac­cademico il 17 ottobre 1944, su proposta di ermini, votò la soppres­sione 72 – a cui nel novembre 1944 dette corso il ministro della Pub­blica istruzione Guido de Ruggiero –, già nell’agosto 1945 fu solo «sospesa» 73, subendo il temporaneo blocco delle immatricolazioni (dal 1945 al 1948). Tutti i suoi docenti (quelli dei due corsi di laurea, in Scienze politiche e in economia e commercio), temporaneamente «adottati» dalla facoltà di Giurisprudenza, restarono al loro posto e continuarono a insegnare: se si sfogliano gli annuari dell’università, i professori di Scienze politiche dell’anno accademico 1948­1949 ri­sultano gli stessi dell’anno 1943­1944 (a parte Paolo Orano e Raffael­

68 ermini, Discorso inaugurale, cit., p. 201.69 Su cui si veda L. La Rovere, L’eredità del fascismo. Gli intellettuali, i giovani e la transi-

zione al postfascismo. 1943-1948, Torino, Bollati Boringhieri, 2008, pp. 9 ss.70 ermini, Discorso inaugurale, cit., p. 201.71 Ibid., p. 204.72 asupg, Parte generale, 1945, cat. i, pos. 10, Senato accademico, verbale della seduta

del Senato accademico del 17 ottobre 1944. il Senato fece voto per la costituzione in facoltà del corso di laurea in economia e commercio, che nel 1939 era stato attivato nella facoltà di Scienze politiche «al fine di darle nuova linfa e giustificarne la esistenza».

73 ivi, pos. 32, Soppressione Fac. Scienze Politiche.

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lo Morghen). neanche il progetto alleato (inizialmente fatto proprio dal Senato accademico) di abolire la facoltà di Scienze politiche per sostituirla con quella di economia e commercio ebbe seguito 74. Le due facoltà sarebbero tornate presto a convivere.

Alle richieste di provvedimenti disciplinari a carico di docenti compromessi con il regime, rivolte al rettore dal cpln di Perugia per il tramite del prefetto reggente, ermini oppose la competenza previa della commissione interna di epurazione universitaria 75. Quest’ul­tima nel dicembre 1944 propose alla commissione istituita presso il ministero della Pubblica istruzione dal decreto legislativo luogote­nenziale 9 novembre 1945 n. 702 un primo elenco di undici docenti da dispensare dal servizio 76. il lavoro della commissione interna fu compiuto quando il 9 febbraio 1945 una lettera del prorettore ordinò la «sospensione» dal servizio di ventiquattro dipendenti universitari, fra docenti e personale amministrativo (la sospensione comportava la corresponsione ai dipendenti sospesi, che si trovassero nell’italia li­berata, dello stipendio­base a far data dal 7 settembre 1944) 77. Per al­

74 Si veda ancora la relazione del 1° settembre 1944 del colonnello Rowell in Perugia li-berata, cit., p. 539 nota 16.

75 Presieduta dallo stesso ermini e composta dai professori Leonardo coviello (Giuri­sprudenza) e Raffaello Silvestrini (Medicina e chirurgia) e dai dottori Aldo Magrini (Medici­na e chirurgia) e Renato Franciosini (bibliotecario). il procedimento epurativo di primo gra­do, da svolgersi dinanzi a una commissione dell’amministrazione interessata, era previsto dal decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944 n. 159 (Sanzioni contro il fascismo), il cui titolo ii (Epurazione dell’Amministrazione) sanzionava con la dispensa dal servizio la parteci­pazione attiva alla vita politica del fascismo, con manifestazioni di apologia o di faziosità, di tutti gli appartenenti all’amministrazione pubblica, statale e locale. in secondo grado, all’i­niziale competenza di commissioni centrali per l’epurazione, previste dall’art. 20 del decreto 1944 n. 159, sopravvenne (con il decreto legislativo luogotenenziale 9 novembre 1945 n. 702) la competenza del consiglio di Stato per i dipendenti statali e delle commissioni distrettuali d’Appello per l’epurazione (appositamente costituite presso le corti d’Appello) per i dipen­denti degli enti locali. cfr. Rescigno, L’epurazione a Perugia, cit., pp. 126­127.

76 cfr. «corriere di Perugia», i, 23, 16 dicembre 1944, p. 2 e ivi, 24, 23 dicembre 1944, p. 2.77 asupg, Parte Generale, 1945, cat. i, pos. 31: Personale esonerato dal servizio presso la

Università dal 7.9.44. di seguito i colpiti dalla sanzione. due professori di ruolo: Mario Ban­dini, ordinario dal 1937 di economia e politica agraria nella facoltà di Agraria e dino de­siderio nai, ordinario di Patologia generale e anatomia patologica veterinaria nella facoltà di Medicina veterinaria, nonché preside dal 1940­1941; cinque professori incaricati: Augu­sto Agostini, docente di Apicoltura e selvicoltura nella facoltà di Agraria; Brajo Fuso, libe­ro docente di Odontoiatria e protesi dentaria nella facoltà di Medicina e chirurgia; Federi­co Augusto Perini Bembo, libero docente di Storia del giornalismo nella facoltà di Scienze politiche e incaricato di Geografia economica in quella stessa facoltà e di cultura militare nella facoltà di Agraria; Zeno Vignati, docente di estimo rurale e contabilità nella facoltà di Agraria; Ascanio Marchini; tre liberi docenti: Maurizio dainelli (Patologia speciale e chi­rurgica, facoltà di Medicina e chirurgia); carlo Fratini (Radiologia medica, facoltà di Medi­

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tri docenti le procedure epurative in corso in primo grado dinanzi al­la commissione interna universitaria – proseguite, in base all’art. 13 del già citato decreto legislativo luogotenenziale 1945 n. 702, dinanzi alla seconda commissione per l’epurazione del personale universita­rio, istituita presso il ministero della Pubblica istruzione – si arresta­rono prima, grazie anche ai favorevoli rapporti informativi trasmessi da ermini, che, separando le virtù scientifiche e didattiche dalle idee politiche degli epurandi, contribuì alla soluzione, a loro favorevole, di diversi casi critici.

L’esito fu questo: che la «defascistizzazione» non intaccò il corpo accademico perugino, confermando quanto aveva sostenuto ermini nel suo discorso inaugurale del dicembre 1944 a proposito della «ir ­riducibilità universitaria al credo fascista», seguito nell’università so­lo da pochi «isolati» 78. Pochi mesi dopo i risultati delle elezioni po­litiche nazionali del 18 aprile 1948, che avrebbero prodotto effetti di lungo periodo sulla politica italiana e sullo stesso destino dell’ateneo perugino, nel discorso inaugurale dell’anno accademico 1948­1949 ermini invitò tutti i professori a «tornare immediatamente al silen­zioso diuturno lavoro del tavolo di studio, del gabinetto scientifico e della cattedra», per riprendere ognuno «il suo posto di responsabili­tà nella vita nazionale» 79.

il rettorato di giuseppe ermini (1945-1976)

i trent’anni anni di rettorato di ermini – durante i quali lo storico del diritto fu anche membro dell’assemblea costituente e poi, ininter­rottamente dalla prima alla settima legislatura, deputato e senatore

cina e chirurgia) e Giuseppe Madruzza (clinica ostetrico­ginecologica, facoltà di Medicina e chirurgia); tre aiuti di ruolo: Giuseppe Minniti (clinica ostetrico­ginecologica, facoltà di Medicina e chirurgia), Mario Filomeni (Farmocologia e farmacognosia, facoltà di Farmacia), camillo Giannantoni (clinica oculistica, facoltà di Medicina e chirurgia); un assistente di ruolo: Giuseppe Priorelli (Topografia e costruzioni rurali, facoltà di Agraria); un assistente incaricato: carlo doneddu; due assistenti volontari: Mario Asdrubali (facoltà di Medicina veterinaria) e Giuseppe Andreoli; due archivisti di ruolo: Paolo Toponi ed ermanno Pro­feta; due applicati di ruolo: Francesco Boschi e Angelo Rossetti; il portiere della facoltà di Agraria, carlo Seppolini; un subalterno di ruolo, Alberto Bacanella; un subalterno avventi­zio, Virgilio Bianconi.

78 ermini, Discorso inaugurale, cit., pp. 202­203.79 Annuario della Università degli studi di Perugia 1948-49, cit., pp. 7­8.

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della Repubblica – hanno inciso notevolmente su ogni aspetto – cul­turale, politico, organizzativo – dell’università. il primo impegno del rettore fu rivolto alla ricostruzione e all’ampliamento delle sedi – che avevano subito danni notevoli durante la guerra – e alla riorganizza­zione dei servizi amministrativi, per sostenere il prevedibile aumen­to della domanda formativa. nell’anno accademico 1947­1948 le sei facoltà accoglievano già circa 2500 studenti (per la maggior parte iscritti a Medicina) e 129 professori, tra ordinari (40), incaricati (53) e liberi docenti (36) 80. negli anni successivi furono istituite cinque nuove facoltà: nel 1953 «rinacque», dopo la soppressione decretata settant’anni prima, la facoltà di Scienze; nel 1957 fu istituita la facol­tà di Lettere e filosofia, che nel 1960 trovò sede nel sontuoso palazzo Manzoni, accanto al teatro Morlacchi; nel 1965 fu la volta della facol­tà di Magistero, nel 1968 di quella di ingegneria (con corso di laurea inizialmente limitato al biennio propedeutico) e nel 1969 di quella di economia e commercio. L’espansione delle strutture legate all’attivi­tà delle undici facoltà e la creazione di nuove sedi (l’imponente aula magna, opera di Giuseppe nicolosi, fu conclusa nel 1957 e inaugura­ta il 19 gennaio 1958 in occasione dell’apertura del 650° anno accade­mico dalla fondazione dello Studium generale) 81 fu accompagnata da un sensibile aumento delle iscrizioni. A metà degli anni sessanta gli studenti salirono a più di settemila e alla fine di quel decennio, con la liberalizzazione degli accessi disposta dalla legge dell’11 dicembre 1969, raddoppiarono 82. Grande sviluppo ebbe, di conseguenza, l’edi­lizia universitaria (sedi di facoltà e di istituti, cliniche, case dello stu­dente) con la costruzione di nuovi edifici e l’acquisto e il restauro di palazzi storici, dentro e fuori la città (come il palazzo cesi di Acqua­sparta, acquistato nel 1964; il palazzo Vitelli di città di castello, ac­quistato l’anno successivo). il corpo docente si arricchì di personalità di grande prestigio e furono fondati centri di studio di rango inter­

80 dozza, Università di Perugia, cit., p. 472.81 dopo che per quasi centocinquant’anni era stata destinata alle cerimonie accademi­

che, con la costruzione della nuova aula magna tornava a essere luogo di culto la chiesa del ­l’Annunziata, annessa all’immobile conventuale (Palazzo Murena) dal 1810 sede dell’ateneo. Sull’opera dell’ingegnere Giuseppe nicolosi, che ha improntato di sé l’edilizia universitaria perugina durante il rettorato di ermini, cfr. i saggi raccolti in Giuseppe Nicolosi (1901-1981). Architettura Università Città, atti del convegno, a cura di P. Belardi (Perugia, 19 ottobre 2006), Melfi, Libria, 2008.

82 dozza, Università di Perugia, cit., pp. 579, 596.

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nazionale, come il centro italiano di studi sull’alto Medioevo di Spo­leto (1952), l’Accademia Tudertina­centro di studi sulla spiritualità medievale (1955, dal 1992 ridenominato centro italiano di studi sul basso Medioevo­Accademia Tudertina) di Todi 83, il centro universi­tario di studi umbri di Gubbio, l’Accademia romanistica costantinia­na di Spello (1973).

ermini mise al servizio dell’ateneo anche le sue notevoli compe­tenze di storico del diritto e delle istituzioni, producendo una serie di ricerche storiche sull’università di Perugia di grande pregio 84. dal saggio del 1942 sul Concetto di «Studium generale» aveva preso cor­po il grande progetto di Storia dell’Università di Perugia, realizzato con una prima edizione nel 1947 e portato a compimento nel 1971 con la seconda edizione, notevolmente ampliata. in questa definiti­va, ponderosa stesura l’opera copre l’intero arco della storia dello Studio perugino, dalle origini tardoduecentesche alla regificazione del 1925, ordinata originalmente in tre grandi periodi: quello del­lo Studio generale del libero comune; quello dello Studio signorile e principesco dei secoli xv-xviii; quello dell’università della monar­chia pontificia e poi italiana del xix secolo. All’interno di questi ri­quadri temporali la storia dell’ateneo viene descritta nel suo intrec­cio con le vicende politiche del comune medievale (nel cui alveo lo Studium nacque e visse la sua stagione forse più luminosa); nei nuovi assetti conseguiti alla riforma di Urbano viii (1625); nelle convulse vicende dell’età contemporanea, attraversata dalla fiammata giaco­bina, dal ritorno del dominio papale, dall’annessione napoleonica, dal riassetto «statalista» degli anni della Restaurazione e infine dal­la realtà postunitaria, che perpetuava sotto nuove forme la decaden­za che aveva già caratterizzato il periodo pontificio. Queste ricerche storiche erano indubbiamente sospinte dall’impulso di collegare le glorie della tradizione con la prosperità e le ambizioni del presente, stringendole in un nesso inscindibile, che si riproponeva a ogni oc­casione cerimoniale e scientifica, come testimoniano eloquentemen­

83 e. Menestò, Appunti per una storia dell’Accademia Tudertina, in L’Accademia Tuderti-na 1955-1995. Storia, storiografia, immagini, a cura di e. Menestò, Spoleto, centro italiano di studi sull’alto Medioevo, 1995, pp. 3­34.

84 Sulla tradizione storiografica sull’università di Perugia si veda e. Menestò, Appunti di storia della storiografia dell’Università di Perugia, in «Annali di storia delle università italia­ne», 18, 2014, pp. 287­292.

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te le solenni celebrazioni del vi centenario della morte di Bartolo da Sassoferrato, organizzate nel 1959 proprio all’inizio della fase di ri­lancio dell’ateneo 85.

gli ultimi decenni

L’era erminiana, caratterizzata dalla crescita delle strutture dell’a­teneo al passo con la realtà dell’università di massa, ha preparato il terreno alla fase di massimo aumento della popolazione studentesca dell’Università degli Studi, che negli anni accademici 2003­2004 e 2004­2005 ha superato i 35 mila iscritti, con corrispondente incre­mento del corpo docente e del personale tecnico e amministrativo (1187 docenti e 1229 non docenti nel 2004). La politica dei successivi rettori (Giancarlo dozza, 1976­1994; Giuseppe calzoni, 1994­2000; Francesco Bistoni, 2000­2013) è stata pertanto indirizzata anche al ­l’ulteriore ampliamento degli spazi dedicati alle attività didattiche e alla creazione di nuove sedi, a Perugia (Giurisprudenza, Medicina) come in altri centri della regione (Terni, narni, Foligno, Assisi). i nu­meri della presenza studentesca universitaria nel capoluogo umbro sono inoltre cresciuti anche grazie all’aumento parallelo degli iscrit­ti dell’Università per Stranieri di Perugia, che ai tradizionali corsi di lingua e cultura italiana ha affiancato, a partire dal 1992, propri cor­si di laurea (circa 8000 il totale dei suoi iscritti nell’anno accademico 2005­2006).

il settimo centenario dell’ateneo (2008) è coinciso con l’avvio del­la crisi economica globale e, per l’Università degli Studi, con la pro­gressiva contrazione del numero delle immatricolazioni, dovuta prin­cipalmente alla concorrenza delle altre sedi universitarie nazionali e, in qualche misura, anche alla cattiva luce mediatica gettata sulla città da un clamoroso fatto di cronaca nera (l’omicidio, il 1° novem­bre 2007, di Meredith Kercher, studentessa inglese in soggiorno era­

85 cfr. Frova, Sette secoli, cit., pp. 34­35. di analogo segno fu anche la riedizione, a cu­ra di ermini, delle Laudes Academiae Perusinae et Oxoniensis (Hanoviae, apud Guilielmum Antonium, 1605) di Alberico Gentili (1552­1608), il celebre giurista laureatosi nel 1572 in iure civili nell’ateneo perugino e poi professore di civil law a Oxford (Lodi delle Accademie di Perugia e di Oxford. Testo latino con versione italiana e note a cura di G. ermini, Perugia, Libreria universitaria, 1968).

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smus). Gli iscritti all’anno accademico 2013­2014 sono risultati poco più di 24 mila.

L’attuazione della riforma Gelmini (2010), con la trasformazione delle undici facoltà in sedici dipartimenti, il riassetto degli organi di governo e i nuovi sistemi di reclutamento del personale docente e di valutazione della didattica e della ricerca, incrocia oggi il sessennio (2013­2019) che il nuovo rettore, Franco Moriconi, dovrà dedicare al rilancio dell’antica istituzione, per affrontare, nella difficile situazio­ne economica, le sfide della competizione universitaria nazionale e internazionale.

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