La scelta federalista di Andrea Caffi

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IL POUTlCO (Univ. Pavia, ltaly) 1997, anno LXII, n. 4, pp. 583-616 LA SCELTA FEDERALISTA DI ANDREA CAFFI di Alberto Castelli L'ipotesi federalista è, in Italia, al centro di una viva discussione sia sul piano intellettuale, sia sul piano più strettamente politico. Le ragioni di questo rinnovato interesse sono rintraccia bili, da un lato, nella sempre maggiore concretezza assunta dal processo di integrazio- ne europea; dall'altro, nelle richieste - legittime o illegittime - di au- tonomia provenienti da diverse parti del paese. In questo clima di aperto dibattito, allo scopo di contribuire alla chiarificazione di alcuni concetti, ci sembra utile esaminare con attenzione le idee sull'Europa e sul federalismo proposte da Andrea Caffi, nel corso della sua attività intellettuale. Caffi nasce a Pietroburgo nel 1887. Si avvicina alle idee socialiste fin da ragazzo e, allo scoppio della rivoluzione del 1905, è uno degli organizzatori del sindacato dei tipografi di Pietroburgo. Già in questo periodo entra in contatto con gli esponenti del partito socialista rivolu- zionario, che sono i continuatori della tradizione del populismo russo. Secondo questa tradizione, il federalismo è l'unico assetto istituzionale che garantisca la libertà degli individui e delle comunità. Permette in- fatti di abolire il dispotismo dello Stato centralizzato che, facendo di- scendere le direttive dall'alto in basso, impone la propria volontà alla società. Il federalismo, secondo i populisti russi, inverte il movimento: l'organizzazione nasce dal basso, dalla libera federazione « degli indi- vidui nei comuni, dei comuni nelle provincie, delle provincie nelle na- zioni, e infine di queste ultime negli Stati Uniti d'Europa e più tardi del mondo intero» (1). Si può dunque dire che Caffi erediti, venendo Dottorato di ricerca in Storia del pensiero politico, Università di Perugia. (1) M. BAKUNIN, Féderalisme, socialisme, antithéologisme (1867), pubblicato postumo da M. NETILAUin: Oeuvres, Paris, Stock 1895-1913, vol. I (diverse tradd. itt.); qui lo citiamo da M. LARIZZA,Stato e potere nell'anarchismo, Milano, Angeli, 1986; p. 52. Sul populismo russo si veda l'opera fondamentale di F. VENTURI, Il populi- smo russo, Torino, Einaudi, 1952. Per la biografia di Andrea Caffi, si vedano C. VALLAURI, CAFFIANDREA,in Dizio- - 583

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IL POUTlCO (Univ. Pavia, ltaly)1997, anno LXII, n. 4, pp. 583-616

LA SCELTA FEDERALISTA DI ANDREA CAFFI

di Alberto Castelli

L'ipotesi federalista è, in Italia, al centro di una viva discussionesia sul piano intellettuale, sia sul piano più strettamente politico. Leragioni di questo rinnovato interesse sono rintraccia bili, da un lato,nella sempre maggiore concretezza assunta dal processo di integrazio-ne europea; dall'altro, nelle richieste - legittime o illegittime - di au-tonomia provenienti da diverse parti del paese. In questo clima diaperto dibattito, allo scopo di contribuire alla chiarificazione di alcuniconcetti, ci sembra utile esaminare con attenzione le idee sull'Europa esul federalismo proposte da Andrea Caffi, nel corso della sua attivitàintellettuale.

Caffi nasce a Pietroburgo nel 1887. Si avvicina alle idee socialistefin da ragazzo e, allo scoppio della rivoluzione del 1905, è uno degliorganizzatori del sindacato dei tipografi di Pietroburgo. Già in questoperiodo entra in contatto con gli esponenti del partito socialista rivolu-zionario, che sono i continuatori della tradizione del populismo russo.Secondo questa tradizione, il federalismo è l'unico assetto istituzionaleche garantisca la libertà degli individui e delle comunità. Permette in-fatti di abolire il dispotismo dello Stato centralizzato che, facendo di-scendere le direttive dall'alto in basso, impone la propria volontà allasocietà. Il federalismo, secondo i populisti russi, inverte il movimento:l'organizzazione nasce dal basso, dalla libera federazione « degli indi-vidui nei comuni, dei comuni nelle provincie, delle provincie nelle na-zioni, e infine di queste ultime negli Stati Uniti d'Europa e più tardidel mondo intero» (1). Si può dunque dire che Caffi erediti, venendo

Dottorato di ricerca in Storia del pensiero politico, Università di Perugia.(1) M. BAKUNIN,Féderalisme, socialisme, antithéologisme (1867), pubblicato

postumo da M. NETILAUin: Oeuvres, Paris, Stock 1895-1913, vol. I (diverse tradd.itt.); qui lo citiamo da M. LARIZZA,Stato e potere nell'anarchismo, Milano, Angeli,1986; p. 52. Sul populismo russo si veda l'opera fondamentale di F. VENTURI,Il populi-smo russo, Torino, Einaudi, 1952.

Per la biografia di Andrea Caffi, si vedano C. VALLAURI,CAFFIANDREA,in Dizio-

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in contatto fin dalla giovinezza con l'anarchismo e il populismo russo,l'idea che federalismo e libertà siano termini inscindibili. Confermedella correttezza di questa idea verranno in seguito a Caffi dalla lettu-ra dei testi di Proudhon e dalla conoscenza personale di Kropotkin.

Dopo aver viaggiato e soggiornato in Germania e in Francia, Caffigiunge in Italia nel 1915 e viene a conoscenza della tradizione federali-sta italiana, che ha trovato le sue espressioni più significative nel pen-siero di Giuseppe Ferrari e Carlo Cattaneo. Anche questi autori, comeProudhon, Bakunin e Kropotkin, affermano che ogni Stato centralista(monarchico o repubblicano) è di per sé oppressivo e livellatore; e so-stengono che il federalismo sia l'unica formula in grado di conciliareunità nazionale e libertà (2).

Nel 1920 Caffi, volendo partecipare alle vicende rivoluzionarierusse, parte per Mosca. L'esperienza diretta della situazione russa glipermette di rendersi conto del carattere autoritario della politica bol-scevica, e del fatto che, in nome del socialismo, i dirigenti bolscevichihanno instaurato un regime militare ferreo e spregiudicato. Fa ritornoa Roma nel giugno del 1923. Collabora al periodico di area socialista« Il Quarto Stato », di Pietro Nenni e Carlo RosseIli, curando una ru-brica dedicata alla politica estera. In un articolo del 1926 Caffi ribadi-sce il suo apprezzamento per il pensiero federalista di Cattaneo: « IlCattaneo - scrive - ( ... ) non era per nulla un "municipale", c nonvoleva niente affatto ridurre l'Italia in pillole; ma voleva salire, di gra-do in grado, dal comune alla regione, alla nazione, agli Stati Uniti'd'Europa. Concezione politica che, se attuata, sarebbe ( ... ) garanzia si-cura di libertà e di pace» (3).

Il federalismo occupa dunque un posto centrale nel pensiero caf-fiano. Il contatto con la cultura russa, la conoscenza personale conKropotkin, le letture di Proudhon, di Cattaneo e di Ferrari fanno SIche il nostro autore consideri il federalismo un presupposto imprescin-dibile per la costruzione di una società libera, pacifica e giusta.

I. Europeismo e [ederalismo dopo la prima guerra mondiale.

Iniziamo la nostra analisi del federalismo nell'opera di Caffi dalsaggio intitolato La pace di Versailles (4), scritto nel 1919 in collabo-razione con Umberto Zanotti Bianco, in cui Caffi discute per la primavolta il problema dell'integrazione europea. In via introduttiva però èopportuno soffermarsi sulla situazione storica venutasi a creare dopoil trattato di pace di Versailles. La pace di Versailles viene stipulata se-condo criteri che non tengono affatto conto di una prospettiva di inte-grazione europea. II trattato, infatti, è l'espressione degli interessi dellaFrancia, che mira ad affermare la propria egemonia in Europa a scapi-to della Germania, e della Gran Bretagna, che tende a consolidarel'impero. Una pace di questo tipo non può che far nascere motivi dicontrasto nel già martoriato continente europeo (5).

In La pace di Versailles viene proposta una ripartizione dei popolie dei territori europei alternativa a quella attuata dalla politica dellepotenze vincitrici della guerra. Secondo Caffi e Zanotti Bianco i criterisu cui fondare l'assetto europeo devono essere: l'autodeterminazionedei popoli, la possibilità reale di collaborazione tra nazioni vicine el'assenza di qualsiasi tipo di vendetta nei confronti degli sconfitti. Ingenerale, secondo i nostri autori, soltanto armonizzando, e non repri-mendo, gli interessi e i valori delle nazioni è possibile creare un assettoeuropeo pacifico e duraturo. C'è un nesso profondo tra pace, intesacome assenza di conflitti internazionali, e armoniosa sistemazione po-litica delle nazioni europee. Scrivono Caffi e Zanotti Bianco: « La pacedi Versailles è la pace dei siderurgici che aspettano nuove guerre, è lapace dei Governi in cerca di primati, a lunga o presta scadenza; è lapace degli affaristi in cerca di monopoli di materie prime; è la pace checonsidera le Nazioni come cenci che si possono sforbiciare e ricucire aproprio talento. Non rende giustizia ai vinti ed agli stessi vincitori; nonabolisce gli armamenti, non annienta le ragioni di odio tra i popoli,non distrugge i vecchi ordinamenti, non getta le basi della nuova so-cietà» (6).

Non può dunque esserci pace in un continente diviso secondo lalogica dei grandi capitalisti e del prestigio delle classi dirigenti politi-che. Solo tenendo realmente conto delle aspirazioni dei popoli è possi-bile prevenire lo scatenarsi di una nuova guerra mondiale. Caffi e Za-notti Bianco criticano l'atteggiamento delle grandi potenze che, dietro

nario biografico degli italiani, diretto da A.M. GHISALIlERTl, Roma, Istituto dell'Enci-clopedia Italiana, 1973, voI. XVI, pp. 264-266; e G. BIANCO, Un socialista irregolare:Andrea Caffi, Cosenza, Lerici, 1977. Per una bibliografia degli scritti di Caffi e su Caffisi veda A. CASTELLI,Bibliografia caffiana, in Andrea Caffi un socialista libertario, a cu-ra di G. Landi, Pisa, BFS, 1996, pp. 169-181.

(2) Si veda A. CArri, Lettera a Zanotti Bianco, disponibile presso Archivio Za-notti Bianco di Roma, ora in U. ZANOTTI BIANCO, Carteggio 1906-1918, Laterza, Bari,1989, p. 548.

(3) A. CArri, Mazzini o Cattaneo?, « Il Quarto Stato» (Milano), I, n. 15,3 lu-glio 1926, p. 3.

(4) A. CArFI-U. ZANO'ITI BIANCO. La pace di Versailles, Roma. La Voce. 1919.(5) Si veda M.L. SAI.VADORI.Il primo dopoguerra in Europa: trionfo o crisi del-

lo Stato nazionale?, in: Alle origini dell'europeismo in Piemonte. a cura di C. Malan-drino, Torino, Fondazione Luigi Einaudi, 1993. pp. 32-41.

(6) A. CAFFI-U. ZANO'ITI BIANCO. La pace .... cit., p. 33.

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facciate di altruismo e solidarietà, nascondono interessi egoistici e .vel-leità di sfruttamento. I parlamenti degli Stati colpiti dalle conseguenzedella guerra devono, secondo i nostri autori, ribellarsi a questa politicarifiutando qualsiasi soluzione che non armonizzi tra loro gli interessidelle varie nazioni. Il ruolo delle grandi potenze deve consistere nellacreazione delle premesse per la ricostruzione, lasciando da.parte ognivelleità di sfruttamento imperiali sta (7).

La necessità immediata è, secondo Caffi e Zanotti Bianco, quelladi organizzare, in modo armonico e democratico, le popolazioni euro-pee. L'assetto che i due autori considerano più idoneo a questo scopoè il federalismo. « È inutile cercare nei vecchi sistemi di indipendenzastatale un mezzo per realizzare i diritti uguali di tutti i popoli. Sappia-mo anche noi quanto sia amaro parlare di Società delle Nazioni inquesta fine d'aprile 1919! Ma è proprio la pratica che ci riporta' al di-lemma: o salda federazione dei popoli (integrata da organizzazioni fe-derative e democratiche nell'amministrazione interna e nella economiasociale), o perpetuazione di prepotenze, di schiavitù, di conflitti» (8).E in base a queste affermazioni va riconosciuto che il federalismo pro-pugnato in La pace di Versailles è poco elaborato, privo di una teoriacoerente che lo sorregga, e occupa una parte marginale all'interno del-l'opera. È un pensiero federalista appena intuito dai due autori, affer-mato in frasi generiche, isolate e ancora segnato dalla concezione maz-ziniana dello Stato nazionale.

Per comprendere a fondo la prospettiva di Caffi e Zanotti Bianconel 1919, può essere utile richiamare alcune tesi di fondo del pensierodi Mazzini. Secondo Mazzini l'umanità deve raggiungere un fine asse-gnato dalla provvidenza. Ogni nazione ha un compito preciso in vistadel raggiungimento di questo fine. La questione della nazionalità è,perciò, la questione stessa della divisione del lavoro europeo. In que-sto quadro, il compito dell'Italia è quello di guida spirituale dell'Euro-pa. Scrive Mazzini: « Senza patria non è umanità, come senza organiz-zazione e divisione del lavoro non esiste speditezza e fecondità di la-voro. Le Nazioni sono gl'individui dell'umanità come i cittadini sonogl'individui della Nazione. (... ) ogni Nazione deve compiere una mis-sione speciale, una parte di lavoro a seconda delle proprie attitudiniper lo sviluppo generale, per l'incremento progressivo dell'umanità(... ). E questi Stati, divisi, ostili, gelosi l'uno dell'altro finché la .orobandiera nazionale non rappresentava che un interesse di casta o di di-nastia, s'assoceranno, mercé la democrazia, sempre più intimamente.

Le Nazioni saranno sorelle, Libere, indipendenti nella scelta dei mezzi,a raggiungere il fine comune» (9).

L'unità europea deve dunque essere raggiunta, ma è solo una uni-tà di scopi comuni, non una unità politica. Ci pare evidente l'influenzadel pensiero mazziniano sugli autori de La pace di versailles, là doveaffermano che le nazioni, per vivere in pace ed armonia, devono vede-re rispettate le loro aspirazioni più profonde, in conformità con i prin-cipi di autodeterminazione e di democrazia. D'altra parte l'affermazio-ne secondo cui la pace di Versailles « considera le Nazioni come cenciche si possono sforbiciare e ricucire a proprio talento» (IO), ci sem-bra emblematica del fatto che Caffi e Zanotti Bianco considerano, co-me Mazzini, la nazione come il nucleo inviolabile, il soggetto fonda-mentale di ogni politica europea. l due autori parlano spesso di armo-nica ripartizione dei territori e delle risorse, e solo una volta di lesionedella sovranità nazionale.

L'Europa di Caffi e Zanotti Bianco è, dunque, più simile al mo-dello mazziniano, in cui ogni nazione ha un proprio scopo che deve ar-monizzarsi con quello delle nazioni sorelle, che al modello federalistache proprio in quegli anni vanno proponendo Luigi Einaudi (11), Gio-vanni Agnelli e Attilio Cabiati (12).

Nel dicembre del 1918 Einaudi pubblica un articolo sul « Corrie-re della Sera », dal titolo Il dogma della sovranità e l'idea della Societàdelle Nazioni (13), in cui afferma che l'idea della sovranità dello Statoè tanto penetrata nel patrimonio concettuale delle persone che vieneconsiderata come qualche cosa di naturale, di non storicamente deter-minato. Ma è proprio la sovranità statale, secondo Einaudi, che sta al-l'origine delle guerre. Le necessità di qualsiasi Stato sovrano, infatti,

(7) [vi, p. 199.(8) [vi, p, 138,

(9) G. MAZZINI, La santa alleanza dei popoli, (1849), ora in: G. MAZZINI, Ope-re, Imola, edizione nazionale, 1906-1943, val. XXXIX, pp, 213-22 L Qui è stato citatoda Grande antologia filosofica, diretta da M,F. Sciacca, Milano, Marzorati, 1973, val.XX, p, 390. Sull'aspetto supernazionale del pensiero di Mazzini si veda L. LEVI, Il Fe-deralismo, in: Il pensiero politico contemporaneo, a cura di G.M. Bravo e S. Rota Ghi-baudi, Milano, Franco Angeli, 1985-1987, val. Il. pp. 52-54.

(IO) A. CAFrl-U. ZANOTI'I BIANCO, La pace .... cit.. p. 33.(11) Su questo aspetto del pensiero di Einaudi si veda U. MORELLI, Contro il

mito dello stato sovrano. Milano. Franco Angeli, 1990, più recentemente: C. CRESSATI,L'Europa necessaria. Il federalismo di Luigi Einaudi, Torino, Giappichelli, 1992.

(12) Si veda: G. AGNELLI-A. CAIlIATI, Federazione europea o Lega delle Nazio-ni?, Torino, Bocca, 1918; S. PISTONE, Le critiche di Einaudi, Agnelli e Cabiati alla So-cietà delle Nazioni, in: L'idea dell'unificazione europea dalla prima alla seconda guer-ra mondiale, a cura di S. Pistone. Torino, Fondazione Luigi Einaudi, 1975. pp. 25-38.

(13) JUNIUS (L. Einaudi), Il dogma della sovranità e l'idea della Società delleNazioni, «Corriere della Sera» (Milano), XLIII, n. 362, 28 dicembre 1918. p. 2; oraanche in: L. EINAUDI, Il buongoverno, a cura di E. Rossi. Bari, Laterza. 1973. val. Il.pp. 635-643.

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sono quelle di avere confini sicuri e sbocchi sul mare, e di essere auto-nomo per quanto riguarda le risorse indispensabili alla vita pacifica ealla guerra. Per soddisfare queste esigenze gli Stati sovrani sono cc-stretti ad acquisire continuamente nuovi territori « secondo una rea-zione a catena che si ferma solo con il dominio del mondo »,

In un articolo successivo, sempre pubblicato sul « Corriere dellaSera» e intitolato La Società delle nazioni è un ideale possibile? (14),Einaudi critica l'idea diffusa, derivante almeno in parte da Mazzini, se-condo cui gli Stati confederati devono rimanere indipendenti e sovra-ni. Secondo Einaudi la storia insegna che uno Stato confederale nonresiste alle spinte centrifughe, determinate dagli interessi divergenti, esi dissolve velocemente. « Al contrario hanno avuto successo le fusionidi più Stati in un unico Stato unitario e la federazione nordamericana,nata appunto per superare i limiti della confederazione costituita du-rante la guerra d'indipendenza e che stava per dissolversi ». '.

Einaudi conclude che non solo la Società delle Nazioni è destinataa fallire, ma anche che essa aumenterà i motivi di attrito poiché, alledivergenze già esistenti, si aggiungeranno le gelosie e le ire causatedalla convivenza obbligata. La Società delle Nazioni insomma, inquanto organismo confederale, è « il nulla », perché, non 'attuando lasoppressione della sovranità degli Stati, non pone la necessaria pre-messa per una pace duratura. Il « dogma della sovranità perfetta », se-condo Einaudi, deve essere distrutto, perché presuppone l'idea, falsa,che ogni Stato possa essere autonomo. In realtà le nazioni sono legatele une alle altre da vincoli irriducibili e i popoli « non sono sovrani as-soluti ed arbitri, senza limite, delle proprie sorti ( ... ). Alla verità dell'i-dea nazionale "noi apparteniamo a noi stessi" bisogna _. conclude Ei-naudi - accompagnare la verità della comunanza delle nazioni: "noiapparteniamo anche agli altri" » (15).

Nello stesso periodo Agnelli e Cabiati pubblicano un libro, dal si-gnificativo titolo Federazione europea o Lega delle Nazioni? (16), cheriprende le argomentazioni di Einaudi. Secondo Agnelli e Cabiati unalega delle nazioni, in cui la sovranità nazionale non venga eliminata,non è altro che un organismo che tenta di ripristinare l'equilibrio dellepotenze europee. La storia dimostra che tali equilibri n?n sono maiduraturi. La lega delle nazioni sovrane non farebbe che Imporre con-venzioni contrarie agli interessi dei suoi aderenti e, perciò, sarebbe es-

sa stessa causa di conflitti. Però critiche così radicali al principio di so-vranità nazionale sono estranee a Caffi e Zanotti Bianco. Il loro pen-siero nel 1919 è evidentemente lontano dalle moderne prospettive eu-ropeistiche dei loro contemporanei liberali. Troppo forte è ancora, neinostri autori, l'idea mazziniana di un armonico sodalizio tra nazionisovrane.

2. l contributi a « Il Quarto Stato ».

Il mantenimento delle politiche protezionistiche anche dopo la fi-ne della guerra e l'avvento del fascismo, fanno SI che negli ambientisocialisti si sviluppi una sensibilità particolare per i problemi dello svi-luppo dell'unità europea. Per contrasto alle tendenze economiche epolitiche dominanti che portano verso la frammentazione, i socialistisottolineano l'importanza di realizzare un nuovo corso europeo chesuperi gli antagonismi nati dalla guerra, e avvii la ripresa economica.Si fa strada l'idea che si debbano sanare i problemi causati dalla guer-ra con la collaborazione degli Stati, lasciando da parte le umiliazioni ele vendette verso gli sconfitti. Caffi, come abbiamo detto, nel 1926collabora con « Il Quarto Stato» di Nenni e Rosselli scrivendo articolidi politica estera. È opportuno pertanto prendere in esame quelli cheriguardano la Società delle Nazioni e il problema dell'unità euro-pea (17).

Nell'articolo Note di politica estera (18), Caffi assume una posi-zione critica nei confronti della Società delle Nazioni: non è disposto ariconoscerle alcuna capacità concreta di influenzare immediatamentele decisioni politiche, e la definisce un organismo « imperfetto e difet-toso ed utopistico ». Malgrado questo giudizio negativo, Caffi è con-vinto che la Società delle Nazioni costituisca, da un lato, un progressorispetto alla situazione di totale anarchia internazionale che vigeva pri-ma della guerra; dall'altro, una sia pur minima garanzia di pace perl'Europa. L'aspetto positivo più importante della Società delle Nazioniconsiste nel fatto che, come il parlamento all'interno degli Stati libera-li, può rappresentare quello che Caffi chiama un « organo di progres-so ». La Società delle Nazioni, pur non essendo un'istituzione in gradodi risolvere i difficili problemi che affliggono le relazioni internazionalieuropee negli anni '20, è un organo che può servire alla borghesia libe-rale contro la borghesia reazionaria e che può trasformarsi, qualora il

(14) JUNIUS (L Einaudi), La società delle nazioni è un ideale possibile?, « Cor-riere della Sera» (Milano), XLIII, n. 5, 5 gennaio 1918, pp. 1-2.

(15) JUNIUS (L Einaudi), Il dogma ... , cit. Qui lo citiamo da: L EINAUDI, Ilbuongoverno, ci t. , p. 639. . .? .

(16) G. AGNELLI-A. CAIlIATI. Federazione europea o Lega delle Nazioni: , cit.

(17) Sulle relazioni politiche che intercorrono tra Caffi e RosselIi, mi permettodi rinviare a A. CASTELLI, 1/ socialismo liberale di Andrea Caffi, « Storia in Lombar-dia » (Milano), XVI, n. 2, giugno 1996, pp. 129-150.

(18) « Il Quarto Stato» (Milano), I. n. l, 27 marzo 1926, p. 4.

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proletariato influenzi efficacemente le politiche dello Stato, in un'isti-tuzione socialista. « Come la « uguaglianza dinnanzi alla legge» pro-clamata nel 1789, sebbene sia sembrata una crudele ironia, avendo la-sciato sussistere tutte le diseguaglianze sociali, ha tuttavia potente-mente accelerato il movimento di emancipazione» (19), così l'eeisten-za della Società delle Nazioni e le, sia pure ipocrite, dichiarazioni dimolti capi di Stato, che esaltano l'abolizione degli egoismi nazionali ela nascita di una cultura e di una identità europee, contengono un po-tenziale positivo da non trascurare perché contribuiscono a creare unamentalità nuova.

Sempre nel 1926 i socialisti danno molto risalto al rapporto diFriedrich Adler, segretario dell'Internazionale Operaia e Socialista(IOS), sulla Società delle Nazioni (20). Adler, nella sua relazione, pro-pone argomentazioni molto simili a quelle di Caffi, là dove affermache la Società delle Nazioni, in quanto organo sovranazionale, può es-sere utilizzata per conseguire obiettivi socialisti in politica internazio-naie (21). Secondo il segretario dell'IOS la Società delle Nazioni èun'istituzione per molti versi simile al parlamento. Entrambe le istitu-zioni sono strumenti nelle mani dei privilegiati e non possono, di persé, aprire la via al socialismo. Tuttavia, è vero che il proletariato si av-vantaggia dall'esservi rappresentato perché, in questo modo, ha l'occa-sione di parlare alle classi borghesi « in favore della estensione dei di-ritti della classe operaia ». La Società delle Nazioni, dunque, non èun'istituzione che possa dare un impulso immediato alla lotta del pro-letariato. Non per questo, però, bisogna rinunciare a migliorarla e adorganizzarla per poi tentare di «servirsene a profitto del proletaria-to » (22). Adler, come Caffi, dunque, pur considerando la Società del-le Nazioni un organo imperfetto e per molti aspetti inefficace, le rico-nosce una funzione positiva che non deve andare persa.

In un altro importante articolo dal titolo Pro e contro il trattatorusso tedesco (23), Caffi torna a discutere il problema europeo, spie-gando che il recente accordo tra Germania ed Unione Sovietica è fo-riero di contrasti e squilibri per l'Europa. L'autoritarismo bolscevico,secondo il nostro autore, interagendo con le nazioni europee, non puòche perturbare il già delicato equilibrio del continente. A monte di

(19) A. CAFFI,Dopo lo scacco di Ginevra, « Il Quarto Siato » (Milano), I, n. 3,lO aprile 1926, p. 4.

(20) Si veda F. ADLER,I socialisti e la Società delle Nazioni, « Il Quarto Stato »(Milano), I, n. 26, 2 ottobre 1926, p. 2. .

(21) Si veda C. MALANORINO,Socialismo e libertà, Milano, Angeli, 1990, p. 90.(22) F. ADLER,op. cito(23) Pro e contro il trattato russo-tedesco, « Il Quarto Stato » (Milano), l, n. 8,

15 maggio 1926, p. 2.

questa posizione c'è, ovviamente, un forte sentimento anti bolsccvicoe la coscienza chiara che da un regime come quello sovietico non puònascere nulla di buono per la causa del socialismo e del progresso del-la democrazia. Sulla base di queste considerazioni, Caffi denuncia ilcarattere utopico del progetto di confederazione mondiale incarnatodalla Società delle Nazioni, e ritiene più facilmente realizzabile un'uni-tà solo europea. Una unità, cioè, di nazioni che condividono gli stessiinteressi economici, culturali e politici. L'esistenza di forti interessi co-muni in Europa, secondo Caffi, si è palesata dopo la Grande Guerra,allorché sono emersi problemi che riguardano tutti gli Stati europei.Questi problemi sono costituiti dalla necessità di tenere una posizioneunitaria nei confronti degli Stati Uniti d'America, in qualità di partnereconomici, e nei confronti dell'Unione Sovietica, considerata una mi-naccia permanente per la democrazia. Questi comuni interessi dovreb-bero, secondo Caffi, fondare in modo non utopico l'unione europea.La mancata realizzazione di tale unione è da imputarsi all'ingiustiziadelle clausole del trattato di Versailles. La pace « cartaginese » impo-sta alla Germania e la politica di potenza messa in atto dai vincitorinon fanno che mantenere vivi vecchi rancori e crearne di nuovi. Si sa-rebbe 'dovuto, in primo luogo, ripartire equamente « l'enorme passivocreato dalla guerra »; e in secondo luogo, realizzare una intesa interna-zionale che favorisse una proficua cooperazione economica tra le na-zioni europee.

Può essere interessante confrontare le posizioni di Caffi sui pro-blemi europei con quelle di due intellettuali suoi contemporanei. Nel1924, dunque due anni prima degli articoli di Caffi su « Il Quarto Sta-to », veniva pubblicato il volume La rivoluzione liberale di Piero Go-betti (24), secondo cui la partecipazione dei popoli vinti e dei vincitorialla stessa organizzazione sovra-nazionale, pur auspicabile in astratto,non risultava realizzabile in concreto. Gobetti era favorevole alla So-cietà delle Nazioni in quanto organo di associazione economico-cultu-rale degli Stati europei, ma non aveva fiducia che potesse comprende-re a breve termine anche le potenze sconfitte nella Grande Guerra. PerGobetti, come per Caffi, gli ostacoli ad un assetto pacifico e conformeagli ideali socialisti derivavano dalla divisione dell'Europa in due bloc-chi contrapposti; ma, mentre per Caffi una buona revisione del tratta-to di Versailles avrebbe potuto far superare molti problemi, per Go-betti questa possibilità non esisteva a breve scadenza.

(24) La rivoluzione liberale, Rocca San Casciano-Trieste, Licinio Cappelli,1924 (diverse riediz. qui ci riferiamo all'ediz. con prefazione di P. Spriano, Torino Ei-naudi, 1983). Gobetti aveva già manifestato in precedenza le idee sulla Società delleNazioni espresse in La rivoluzione liberale in un articolo dal titolo La Società delle Na-zioni, « Energie Nove » (Torino), I, n. S, 1-15 gennaio 1919, pp. 65-57.

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Era infatti convinto che le aspirazioni all'unità europea e mondia-le sottovalutassero le « naturali differenze» esistenti tra i popoli e leprofonde divisioni lasciate dalla guerra.

A sua volta Wladimir Woytinsky, un menscevico russo amico diCaffi ed emigrato in Germania, nel suo saggio del 1926 intitolato DieVereinigten Staaten von Europa (25) affermava che la causa dellaguerra era da ricercarsi nella suddivisione del continente in Stati so-vrani. L'unificazione europea, quindi, prima di costituire un passo ver-so il socialismo, rappresentava l'inizio di un era pacifica. L'unione eu-ropea, secondo Woytinsky, doveva essere realizzata per gradi, a parti-re, non dai trattati diplomatici, ma dall'assecondare le naturali tenden-ze delle economie dei singoli Stati a oltrepassare i confini politici. Inquesta prospettiva, la prima riforma da operare era l'abbattimento del-le barriere doganali. Benché Caffi non faccia alcun esplicito riferimen-to a Woytinsky, si può notare un'affinità di fondo nei pensieri dei dueintellettuali, convinti che l'integrazione europea si renda necessaria acausa dell'emergere di interessi oggettivi che spingono in quel senso.Per Caffi questi interessi sono costituiti dalla posizione comune che gliStati europei devono assumere nei confronti degli Stati Uniti d'Ameri-ca e dell'Unione Sovietica; per Woytinsky dalle necessità di espansionedell'industria e del mercato.

missione di Trotzkij, Stalin accentra il potere nelle sue mani. Il Partitocomunista -- un'istituzione centralista, monolitica, priva di sezioni re-gionali autonome, che si estende su tutto il territorio sovietico, ed è ri-gidamente controllata dalla capitale - si sostituisce di fatto ai sovietnel prendere decisioni e farle rispettare. Il partito viene proclamato daisuoi dirigenti infallibile, unico vero interprete della volontà collettivadelle classi lavoratrici. La politica giusta perciò è solo quella espressadal partito, non sono ammessi dissensi.

Di fronte a questa situazione molti antifascisti italiani emigrati inFrancia, e tra questi i maggiori esponenti del movimento di Giustizia eLibertà (GL), considerano prioritario lottare per un assetto infrastata-le che garantisca la libertà e l'uguaglianza, piuttosto che per un rinno-vamento dell'organizzazione interstatale dell'Europa. A costoro sem-bra più importante abbattere il fascismo e creare sulle sue ceneri unnuovo Stato democratico, che lavorare per l'integrazione europea. Al-l'interno di GL, movimento a cui Caffi è molto vicino, questa opinioneprevale decisamente fino all'avvento al potere di Hitler (26). E propriogli unici intellettuali giellisti che prima di tale data discutono la que-stione dell'assetto europeo sui « Quaderni di Giustizia e Libertà» so-no Caffi e Libero Battistelli, che nel 1932 pubblicano rispettivamente isaggi Il problema europeo e Disarmo e Stati Uniti d'Europa (27).

Nel suo scritto Caffi affronta il problema della riorganizzazionedel continente, rifacendosi al piano proposto da Aristide Briand. [l no-stro autore parte dalla constatazione che il precario equilibrio sociale epolitico europeo, stabilitosi dopo la Grande Guerra, non regge e chesfumano con esso tutte le speranze di costruire una « sana e salda»cooperazione economica e politica tra i popoli (28). Questo esito infe-lice dipende sia dall 'incapacità delle élites, sia dalla passività dellemasse. « È ovvio - scrive Caffi - accusare l'assenza di fede e di au-dacia nei dirigenti responsabili; ma la passività delle masse, l'incapaci-tà di coloro che avrebbero dovuto guidare, illuminare, congregare l'o-pinione pubblica hanno veramente determinato lo spreco delle occa-sioni opportune e l'attuale rovina pure delle prime impalcature che ti-midamente si costruivano per un riassetto europeo », Il piano Briandè, secondo Caffi, significativo perché pone in primo piano la necessitàdi un legame tra gli Stati e di un superamento dello Stato nazionale.L'élite politica e gli intellettuali, tuttavia, non sono stati capaci di far

3. Il dibattito federalista in Giustizia e Libertà.

Dopo la prima guerra mondiale si innesca un processoinvolutivoin senso autoritario all'interno di molti Stati europei, che prosegue e siacuisce negli anni '30 con il consolidamento del regime autoritario fa-scista, dello stalinismo e con l'ascesa al potere di Hitler in Germania. Inuovi ordinamenti statali autoritari non lasciano alcuno spazio alla li-bertà individuale e dei gruppi. Gli uomini non sono più liberi cittadìni,uniti in uno Stato per meglio attendere ai loro interessi collettivi; di-ventano via via servitori di cui il potere politico dispone a seconda del-le proprie esigenze. L'esistenza dell'individuo è giustificata solo perquel tanto che può servire agli scopi dello Stato. In Italia il regime fa-scista si libera di quel che resta delle istituzioni liberali per approdare,dopo il 1925, alla dittatura. Il potere viene accentrato nelle mani diMussolini e di una ristretta élite di dirigenti impermeabile alle richiesteprovenienti dal basso. L'opposizione politica viene soppressa e lo Sta-to diventa onnicomprensivo e controlla ogni attività sociale.

In Unione sovietica, dopo la morte di Lenin e la definitiva estro-

(25) Berlin. Dietz, 1926.

(26) Sui motivi che spingono Caffi ad avvicinarsi a GL mi permetto di rinviareancora a A. CASTELLI,Il socialismo liberale, cit., pp. 139-141.

(27) Rispettivamente« Quaderni di Giustizia e Libertà » (Paris), I. n. 3. giugno1932, pp. 53-70; e n. 4. settembre 1932, pp. 29-37.

(28) Il problema europeo. cit., p. 55. Le citazioni seguenti sono comprese tra p.55 e p. 62.

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attecchire, dopo la prima guerra mondiale, questo progetto tra le mas-se.

A questo punto Caffi passa ad analizzare quale sia il carattere del-le masse e i motivi della loro estraneità ai discorsi dei dirigenti sociali-sti e democratici. Scrive infatti: « lo squallore, la fame, l'esperienzaquotidiana di spregiudicata durezza da parte del prossimo, le umilia-zioni che continuamente si è costretti a sopportare, il regime d'effetti-vo illegalismo che ormai .bituale, l'accumulazione di odio e di invi-dia, l'eccitazione brutale, incessante, chiassosa, vertiginosa che emanadagli stessi ritmi del traffico, della pubblicità, d'ogni meccanizzatafunzione dell'urbanesimo moderno - tutto ciò determina uno statod'animo collettivo avidamente predisposto alle formule di elementareviolenza e di sommaria invettiva, all'aspettativa di vendette orgiastichee di immediata e miracolosa rigenerazione, al culto delirante dell'eroeprovvidenziale, del duce, del prestigioso istrione ». Le masse, dunque,esasperate dalle inumane condizioni di vita, sono più inclini ai facilidiscorsi demagogici e violenti che ai complessi progetti dell' élite intel-lettuale.

La politica miope e dominata dagli interessi dei capitalisti e delleélites al potere, inoltre, esaspera la violenza e la disperazione dellemasse; in Germania, in particolare, « l'esplosione di rancori» si ;ali- .menta sia del disagio sociale, sia del patriottismo offeso dall'umiliazio-ne della pace di Versailles. « Il grido spontaneo: vogliamo uscire daquesta miseria si tramuta (e nella coscienza dei tedeschi si sublima)nella sfida: siamo una grande nazione e costringeremo il mondo a con-vincersene! ». Dunque questa disperazione delle masse sfocia in senti-menti violenti e vendicativi. A loro volta tali sentimenti e fanatismi in-fluenzano i governi, impedendo loro di valutare con la necessaria cal-ma la situazione. Il fanatismo nazionalista non lascia spazio per la ri-cerca di una cooperazione tra nazioni, pone i problemi in termini cosirancorosi, così gonfi « di ulteriori imperiali rivendicazioni, da non po-tersi pensare che possano venire accettate se non da avversari, ridottia mercé con le armi ».

Per concludere su questo punto, Caffi esamina in modo critico ilpiano Briand allo scopo, da un lato, di sottolineare la necessità di unaccordo a livello europeo; dall'altro, di mostrare che le masse non co-stituiscono un terreno fertile sul quale far crescere l'idea di una federa-zione europea e di affermare che non esiste una élite intellettuale e po-litica capace di sostenere questa idea. Questo progetto europeo di Caf-fi, non può ancora dirsi pienamente federalista in quanto non prevede,almeno in un primo momento, la completa abolizione della sovranitànazionale. Scrive infatti: « L'unione degli Stati dell'Europa in un supe-riore corpo politico giuridicamente definito e provvisto di organi e

mezzi per governare effettivamente, d'un tratto farebbe svanire l'incu-bo della mala guerra e subito (cioè fino dalla prima fase - molto lon-tana da una trasformazione in veri Stati Uniti - e quando la Iarnigera-ta sovranità dei singoli membri della Confederazione sarebbe appenaintaccata) abolirebbe le questioni stesse che oggi sono atri d'uragani.

Il pensiero dì Caffi, nel 1932, è lontano da quello di Einaudi,Agnelli e Cabiati perché, mentre questi, già nel 1918, affermano la ne-cessità di instaurare un regime federale, Calfi è convinto che, per rag-giungere un ordinamento pacifico, sia necessario dapprima formare unorganismo confederale e, solo in seguito, spingere i paesi a rinunciarealla loro sovranità nazionale. Naturalmente il patto confederativo ini-ziale, secondo Caffi, dovrà essere fondato sugli imprescindibili valoridell'uguaglianza e della libertà. « L'unica cosa che importa è che l'u-nione tra gli Stati europei si faccia in base a norme che assicurino l'as-soluta uguaglianza di tutti i consociati ed assieme alla pace garantisca-no le più ampie libertà ad individui e gruppi sociali ».

Nell'Europa del 1932 la via della confederazione è, a giudizio diCaffi, una scelta obbligata: non decidersi ad irnboccarla significa offri-re ai regimi autoritari la possibilità di scalzare definitivamente la de-mocrazia. Non riuscendo ad attuare la confederazione, le democrazie,deboli e divise, avrebbero finito per sancire il trionfo dei regimi autori-tari. La confederazione allora sarebbe realizzata non pacificamente enel rispetto degli uguali diritti delle nazioni, ma « cementata dal ferroe dal fuoco ed in essa, accanto ad altre gerarchie oppressive, sussisteràla divisione fra uno o due popoli domina tori e molti popoli schiavi ».Comunque, pur affermando l'assoluta necessità della confederazionedelle nazioni democratiche europee, Caffi non si fa illusioni sulla suaattuabilità. Ancora troppo forti sono il pregiudizio nazionale e quellostatalista e neppure è possibile una alleanza, su questo punto, tra so-cialisti e comunisti. Le forze democratiche non socialiste, poi, temono,appoggiando il progetto confederale, di dover fare troppe concessionial socialismo. Malgrado tutto ciò, Caffi dichiara che una pace duraturapuò essere garantita solo da un'Europa unificata.

Verso la fine del saggio Caffi affronta il difficile compito di indi-care quale soggetto collettivo sia in grado di promuovere efficacemen-te l'unione europea. Esclusa la Gran Bretagna, a causa del suo isola-zionismo, non rimane che la Francia, che però non potrà fare molto dasola. « Vorrà la Francia ed, anche volendo, potrà la Francia svolgereun'azione di qualche efficacia per salvare e riordinare l'Euro-pa? »(29). La Francia dovrebbe, secondo il nostro autore, trovare

(29) A. CArFI, 1/ problema europeo, cit., p. 68. Le citazioni seguenti si trovano ap.70.

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un'alleata con la quale proporre agli altri Stati il nuovo corso. Questapossibile alleata potrebbe essere l'Italia liberata dal fascismo.

Il saggio si conclude con queste parole: « l'Italia deve al più pre-sto sbarazzarsi del disastroso regime che compromette tutto il suo av-venire assieme all'avvenire dell'Europa. E la rivoluzione italiana. pernecessità di cose. s'inquadra nel più vasto movimento di riscossa euro-pea. Ciò deve conferire maggiore chiarezza e decisione al nostro pro-gramma di lotta per la libertà in Italia. Ciò dovrebbe pure essere pre-sente alla mente di tutti coloro che in Europa vogliono davvero difen-dere la causa della democrazia ». Si noti che Caffinon è in disaccordocon quegli antifascisti che considerano la rivoluzione in Italia priorità-ria rispetto alla risoluzione del problema europeo. Tuttavia. secondoCaffi, la rivoluzione italiana trova il suo pieno significato solo se si sal-da « ad un più vasto movimento di riscossa europeo ». Caffi cioè nonritiene possibile separare il problema interstatale europeo da quellodel rinnovamento dell'assetto politico all'interno dei singoli Stati.

Come Caffi, anche Battistelli, intervenuto sui « Quaderni di Giu-stizia e Libertà» pochi mesi dopo, è convinto che la pace di equilibriotra le potenze europee, stabilitasi dopo la prima guerra mondiale, nonpossa essere duratura. Nel progetto uscito da Versailles, la pace dove-va essere garantita dal disarmo; ma il disarmo. se effettivamente rea-lizzato, non è affatto una garanzia contro l'esplosione dei conflitti.« La guerra - scrive Battistelli - non è nata con gli armamenti mc-derni. Tutto può servire da arma ». Inoltre, « una volta infranto il pat-to di disarmo, nuovi armamenti possono essere improvvisati e nuovicontingenti istruiti. E tal guerra (00') potrebbe raggiungere, col tempo.le proporzioni dell'ultima carneficina ». Il disarmo quindi non garanti-sce affatto la pace (30).

Battistelli ritiene che l'unica soluzione reale al problema dellaguerra sia la costituzione, « al disopra dei singoli Stati », di una autori-tà politica dotata del potere giuridico di dirimere i conflitti interstatalie della forza necessaria a far rispettare le proprie decisioni. Quindi, so-lo un assetto federale dell'Europa potrebbe eliminare i conflitti armatie avviare una duratura convivenza pacifica dei popoli europei. Tutta-via la possibilità di realizzare tale assetto - che implica la lesione del-la sovranità statale - non è stata affatto presa in considerazione « da-gli statisti che, spaventati dal suo radicalismo e dalla sua difficoltà (00')continuano a segnare il passo sul terreno sterile del disarmo ».

Prendendo in esame le condizioni che renderebbero possibileun' organizzazione federale del continente europeo, Battistelli spiega

come e perché la federazione europea non può essere realizzata a par-tire da un accordo esclusivamente politico tra gli Stati: presuppostoper la sua costruzione è l'esistenza di una certa omogeneità culturale.o linguistica. o religiosa. o giuridica. che funzioni da elemento coesivodell'organismo politico sovranazionale. Per risolvere il problema dellaguerra. dunque. è necessario creare quell'omogeneità tra i popoli euro-pei, senza la quale nessun organismo federale potrebbe consolidarsi. El'unica omogeneità che «appare essenziale nel mondo contempora-neo» è quella politico-sociale. Bisogna cioè. prima di costituire l'asset-to federale europeo. fare sì che tutti gli Stati futuri membri della fede-razione siano retti dal medesimo tipo di regime.

«L'uniformità (00') dei «regimi» - argomenta Battistelli - èstata sempre, ed è, specialmente oggi, indispensabile. Non sarebbeconcepibile un cantone svizzero od uno Stato nordamericano retto amonarchia. Non sarebbe concepibile una repubblica, facente parte del-l'Unione Sovietica. e nella quale vigesse il sistema capitalista ». « Il ca-rattere intrinseco del regime» che creerà l'omogeneità indispensabilea porre in essere la federazione europea non è affatto indifferente achi, come Battistelli, desidera una Europa non solo pacifica, ma anchelibera e retta da un ordinamento più giusto. Il compito quindi. secon-do l'intellettuale giellista, è quello di « far sì che. dall'interno delle sin-gole nazioni, le volontà non solo di pace. ma di giustizia, si orientinoconcordi verso un ideale comune e informino di questo comune idealela struttura politico-sociale dei singoli Stati ».

È interessante notare che sia nel saggio di Camo sia in quello diBattistelli, la liberazione dell'ltalia dal fascismo costituisce una condi-zione imprescindibile se si vuole realizzare l' integrazione europea. PerCaffi, l'abbattimento del fascismo italiano è necessario affinché l'ltaliasi faccia promotrice, insieme alla Francia, di una politica estera tesa adintegrare tra loro le nazioni europee; per Battistelli, la liberazione del-l'Italia dal fascismo costituisce una tappa indispensabile verso la co-struzione di una omogeneità politica europea (senza la quale non èpossibile realizzare alcun assetto federale) fondata sui valori di libertàe giustizia. Entrambi questi autori quindi non considerano opportunoporsi immediatamente l'obiettivo dell'integrazione europea: un taleobiettivo, insomma. non risulta prioritario ma rimane subordinato aquello della liberazione dell'Italia dal fascismo. Va tuttavia ribaditoche per entrambi, Caffi e Battistelli, la lotta politica deve portare allanascita dell'integrazione europea, di cui l'abbattimento del regime fa-scista costituisce solo una tappa.

Questi articoli di Caffi e Battistelli hanno. probabilmente, avutouna certa influenza su Rosselli che nel 1933 scrive il celebre saggio La

(30) L. BATIlSTELLI. Disarmo ...• cit .• p. 31. Le quattro citazioni seguenti si tro-vano rispettivamente alle pp. 33, 34, 35. 37.

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guerra che torna (31), in cui afferma che la costruzione della (edera-zione europea, lungi da poter essere il risultato del lavoro di un/orga-nismo paralizzato come la Società delle nazioni, deve essere la conclu-sione vittoriosa della guerra civile europea. Rosselli dunque raccogliel'invito di Caffi e Battistelli a saldare il problema della rivoluzione ita-liana a quello dell'integrazione europea, a delineare una politica nonsemplicemente chiusa nella prospettiva della lotta al fascismo italiano,ma autenticamente europeista (32).

(31) C. ROSSELLI. La guerra che torna. « Quaderni di Giustizia e Libertà » (Pa-ris), Il, n. 9, novembre 1933, pp. 2-8. .

(32) Sullo sviluppo del pensiero europeista di Rosselli si veda P. GRAGLIA, Uni-tà europea e federalismo, Bologna, Il Mulino, 1996, pp. 21-86.

(33) Si veda P. GRAGLIA, Unità europea ... , cit., pp. 44-45. Su questo argomentosi veda N. TRANFAGLlA, Una scelta di campo necessaria. Carlo Rosselli e GL di fronte aHitler e all'espansione dei fascismi, « Studi Storici » (Roma), XXXVI, n. 3, luglio-set-tembre 1995, pp. 720-725.

(34) A. CAFFI, Semplici riflessioni sulla situazione europea, « Giustizia e Liber-tà » (Paris), II, n. 16, 19 aprile 1935, p. 3, ora in Scritti politici, Firenze, La Nuova Ita-lia. 1970, pp. 189-196. Le cinque citazioni che seguono si trovano rispettivamente allepp. 190, 191, 194 (2) e 195.

ta realizzazione del progetto di disarmo generale e di una politica eco-nomica di cooperazione. « Dinanzi a questi problemi, non l'imprepara-zione ma la volontà ben determinata di eluderli in qualsiasi modo, aqualunque costo, ha provocato - parallelamente alla grande crisi del-l'economia mondiale - uno smarrimento che sarebbe stolido chiama-re crisi della democrazia ». La crisi, dunque, non è determinata dainarrestabili leggi di natura e neppure dall'innocente incapacità dei go-vernanti, ma dalla cosciente volontà di non mettere in atto alcuna mi-sura preventiva.

Caffi non si limita a criticare la politica dei dirigenti politici euro-pei, ma salda le sue osservazioni polemiche ad un'analisi più profondadelle relazioni internazionali. Afferma infatti che è l'anarchia interna-zionale che, consentendo solo una instabile pace di equilibrio, permet-te che si verifichino tali situazioni gravide di conflitti. Finché esistonoStati sovrani, non ci si può fidare dei loro governi perché agiscono inbase alla logica del « sacro egoismo» nazionale e non in base ai realiinteressi dei popoli. Ecco le parole di Caffi: « finché vi sono Stati, il sa-cro egoismo è legge suprema, massima intelligenza, e - grazie al cielo- oggi non si può più illudersi di fare agire questi egoismi nel senso diun interesse generale; sono chimere da abbandonare ai non innocentitrastulli della storiografia liberale ». E prosegue: «Quello che portal'Europa alla guerra non è il fascismo, ma l'assetto dell'Europa, divisain Stati sovrani. Le spartizioni territoriali, i corridoi, le minoranze na-zionali, la rovina economica creata dalle barriere doganali, non è il fa-scismo che li ha inventati o creati. Sono questioni che si potevano po-co a poco risolvere senza guerra? Cosa si è fatto su questa via in di-ciassette anni? ».

Questo è il nocciolo del problema finalmente chiarito. Caffi nonpensa più, come nel 1932, che la Francia e l'Italia, liberata dal fasci-smo, possano costruire l'unione europea. Non si tratta più di creareuna confederazione. La causa della « mala guerra» sta tutta nell'esi-stenza degli Stati sovrani. Sono questi che bisogna abolire per mutareil corso degli eventi. Anche nel saggio Semplici riflessioni sulla situa-zione europea Caffi condanna la bellicosità di tutti gli Stati dell'epoca,sia di quelli democratici, sia di quelli autoritari. Le democrazie, infatti,al pari delle dittature, dichiarano di volere la pace, ma solo a condizio-ne che « vi trovino il tornaconto loro »; i fatti, poi, smentiscono defini-tivamente ogni dichiarazione pacifica, dal momento che in tutti gliStati europei è in atto una frenetica corsa agli armamenti. E la sfiduciadi Caffi negli Stati allora esistenti, democratici o autoritari, si esprimein modo ancora più definitivo nella conclusione dell'articolo: « i rivo-luzionari non hanno proprio nulla da vedere in questi affari e nessunconsiglio da dare alle democrazie, ai governi, ai partiti, salvo quello

4. Federalismo e critica dello Stato nazionale.

Il 1933 è un momento decisivo per la riflessione sulle tematicheeuropeiste nell'ambito del movimento di Giustizia e Libertà: l'avventodi Hitler al potere spinge i giellisti a considerare il fascis~o un pro~le-ma di dimensione europea, e non più un fenomeno esclusivamente Ita-liano. L'avvento del nazismo in Germania fa sì che la lotta antifascistavenga ora concepita come lotta di tutte le forze democra~iche e so~iali-ste d'Europa contro una minaccia comune. In questo chma, acquista-no importanza tra gli antifascisti le proposte di ~iordino in se~so un.ita-rio e federalista del continente (33). Nel 1935, e ancora Caffi a scnve-re, su « Giustizia e Libertà », un nuovo articolo intitolato Semplici ri-flessioni sulla situazione europea (34) che .costituisce, p~r alcuniaspetti, una revisione ed un completamento rispetto al saggio Il pro-blema europeo del 1932. Ma prima di concentrarci sul contenuto fede-ralista di queste pagine, vale la pena di soffermarci sull'analisi caffianadella crisi politica europea: è proprio il particolare carattere di questacrisi che rende necessario l'assetto federale dell'Europa.

Dopo una breve introduzione, Caffi muove una critica serrata allepolitiche imperialiste di tutti gli Stati europei. Hitler e il nazismo no~sono la causa della crisi europea, ne sono solo un effetto. Volendo n-cercare tale causa si deve risalire alle clausole della pace di Versailles,alle esagerate riparazioni richieste dalle potenze vincitrici, alla manca-

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(che sarebbe sprecata retorica) di andarsene ali 'inferno. Stando così lecose, credo che, oltre la politica interna rivoluzionaria, vi sia un'azioneinternazionale da svolgere, metodica e non fatta di pura propaganda.Ma, appunto, non è un tema per teoriche dissertazioni »,

Un mese dopo la pubblicazione di Semplici riflessioni sulla situa-zione europea, Carlo Rosselli interviene nel dibattito sull'Europa conun articolo dal titolo Europeismo o fascismo (35). Nel suo scritto, af-ferma che la forza degli Stati fascisti non consiste tanto nei loro arma-menti, quanto nel fatto di riuscire a far presa sulle masse con paroled'ordine efficaci. Per questa ragione, secondo Rosselli, combattere ilfascismo significa in primo luogo opporgli parole d'ordine efficaci eprincipi in grado di riconquistare le masse. « La passione - scrive -si vince con un'altra passione più potente, lucida, giusta. Ci salverà so-lo un movimento di riscossa della coscienza europea. Riscossa socialee politica; lega dei rivoluzionari europei e, nei paesi ancora relativa-mente immuni, sforzo di idealisti pratici per portare questa passione,con linguaggio semplice e umano che esprima le aspirazioni confusedei milioni e milioni »,

L'obiettivo - « la passione» - che Rosselli indica come il piùadatto per dare impulso alla «riscossa della coscienza europea» èriassumibile nella parola d'ordine « fare l'Europa ». Gli antifascisti, se-condo Rosselli, dovrebbero fare proprio l'appello all'unità europea,l'unico in grado di far presa sulle masse e di strapparle ai miti di cui siserve il fascismo.

Rosselli, in questo articolo, sostiene che la radice della decadenzaeuropea e dell'affermarsi dei fascismi è da ricercare in una mancanzadi principi, in una sorta di vuoto morale che gli antifascisti hanno ilcompito di riempire con nuovi valori. È appena necessario ricordareche una concezione siffatta della decadenza europea era già stata pro-posta da Caffi in Il problema europeo del 1932 ed ancora prima in unalettera a Rosselli del 1929. In questa lettera, affrontando il problemadi come uscire dalla crisi europea, Caffi argomentava che erano neces-sarie: « a) una ideologia organica, genialmente creata, capace di quelledue funzioni che così raramente si combinano: entusiasmare le miglio-ri intelligenze, diffondersi in una cerchia vastissima di « anime umili »;b) collegare, affiatare, temprare una vera élite che nei campi più vari- economia e arte, educazione e politica - operi avendo per sacro unpreciso tipo di vita civile, una concezione ben chiara di quello che ègiusto e di quello che è bello; c) l'una e l'altra (ideologia ed élite) pos-sono attuarsi unicamente su « scala europea» - ogni azione, panico-

lare sarà rabberciamento di catapecchie che non valgono la spesa, au-menterà la confusione c le delusioni, I crolli sono stati molto più gravidi quel che crediamo, vedendo ancora molte facciate in piedi - madietro non vi sono che polverosi archivi - occorre un immenso slan-cio di ricostruzione (con coraggioso sgombero di macerie) e perciò ilsoffio d'una religione come quella che elevò l'Acropoli o le Cattedraligotiche» (36). Sembra dunque plausibile sostenere che, sulle causedella decadenza europea, l'influenza di Caffi su Rosselli sia stata pro-fonda e decisiva. Il pensiero di Caffi e quello di Rosselli divergono in-vece su un'altra questione. Caffi in Semplici riflessioni sulla situazioneeuropea afferma molto chiaramente che un'Europa rinnovata potrà co-stituirsi solo con l'abolizione della sovranità degli Stati, perché tale so-vranità è la responsabile ultima dei conflitti europei. Rosselli in Euro-peismo e fascismo, pur sostenendo la necessità della federazione euro-pea e degli Stati Uniti d'Europa, non fa preciso riferimento all'aboli-zione della sovranità statale. Rosselli ha in mente, prima di tutto, unariforma dello Stato nazionale in senso democratico: tale Stato sarà for-mato da una pluralità di corpi autonomi e indipendenti e dovrà costi-tuire il nucleo della futura federazione europea. Caffi invece è più ra-dicale e si spinge fino a teorizzare l'abolizione dello Stato nazionale,l'istituzione più solida che la storia europea abbia creato (37).

5. Caffi e le riflessioni di Georges Gurvitch e Silvio Trentin.

Prima di considerare il pensiero federalista di Caffi, convieneprendere in esame le riflessioni di Silvio Trentin e di Georges Gurvit-eh, dalle quali - come vedremo meglio più avanti - Caffi trae ispira-zione. Nel 1935, in un libro intitolato La crise du droit et de l'é-tat (38), anche Trentin, collaboratore dei « Quaderni di Giustizia e Li-bertà » che probabilmente Caffi conosce di persona, affronta i temi delfederalismo. La caratteristica del pensiero federalista di Trentin è quel-la di privilegiare il federalismo interno rispetto a quello esterno alloStato. Certamente egli è consapevole del nesso che lega i due proble-

(36) Lettera del 29 aprile 1929 disponibile negli Archivi del movimento «Giu-stizia e Libertà » (d'ora in poi AGL), Sez. I, fase. l, sottofasc. 22; presso l'Istituto sto-rico della Resistenza in Toscana di Firenze. Ora in A. CASTELLI,Il socialismo liberale diAndrea Caffi, cit., pp. 151-153.

(37) Su questo argomento si veda P. GRAGLIA,Stato nazionale ed europeismoda/1930 a/1935 nella riflessione di Andrea Caffi, in Andrea Caffi, cit., 1996, pp. 144-146.

(38) S. TRENTIN.La crise du droit e de I'état , Paris, Alcan, 1935, ora in: S.TRENTIN,Federalismo e libertà. Scritti teorici 1935-1943, a cura di N. Bobbio, traduzio-ne di L. Sovelli. Venezia. Marsilio, 1987. pp. 3-31.

(35) GL (C. ROSSELLI),Europeismo o fascismo. « Giustizia e Libertà» (Paris),II, n. 20, 17 maggio 1935, p. I.

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mi; tuttavia il suo intresse principale si appunta sulla dimensione in-fra-nazionale del federalismo. Il compito che si propone Trentin è in-somma quello di trovare prima di tutto un assetto che garantisca la li-bertà degli individui e l'autonomia dei gruppi contro la tendenza op-pressiva del potere statale (39).

Esaminiamo brevemente l'ultimo capitolo dell'opera La crise dudroit et de l'état in cui viene prefigurato il carattere delle istituzioniche dovranno sostituire quelle autoritarie dello Stato centralista. Tren-tin afferma che l'ordinamento giuridico che dovrà sostituire quello at-tuale, il cui fallimento gli appare ormai compiuto, dovrà fondarsi sudue principi essenziali: « 1) L'emancipazione dell'individuo attraversola soppressione del privilegio economico e la sostituzione dell'insiemedelle istituzioni che costituiscono la sovrastruttura del regime che ca-ratterizza l'economia capitalista con un sistema normativo a fonda-mento nettamente, integralmente socialista. 2) La rigenerazione attra-verso il federalismo - in quanto modo di realizzazione, sul piano col-lettivo, del principio dell'autonomia - delle basi istituzionali dellostato particolare e l'integrazione sempre più organica di quest'ultimonell'ordine completo dello stato universale» (40).

Per Trentin la crisi dello Stato moderno è semplicemente la crisidello Stato monocentrico e sovrano; quindi non sarà possibile supera-re tale crisi se non adattando la struttura dello Stato alle esigenze dellasocietà, mediante un'organizzazione statale che sia conforme alleespressioni spontanee che nascono nella società. Lo Stato, insomma,può superare la crisi soltanto facendosi interprete e servitore della so-cietà. Questo però non può accadere senza una sostanziale, oltre cheformale, autonomia della società dallo Stato. Scrive Trentin: « L'auto-nomia dev'essere istituita alla base di ogni attività, all'origine-di ognifacoltà e di ogni potere. Sarà di diritto, come lo è di fatto, il fermentovivificante che solo saprà rendere operanti gli interessi sia degli indivi-dui che dei gruppi. Autonomia del cittadino, autonomia dell'imprendi-tore, autonomia dell'impresa, autonomia del sindacato, autonomia del-le collettività territoriali, grandi o piccole, dovunque indichino l'esi-stenza di un centro unitario, di un focolaio indipendente di vita econo-mica o politica, o spirituale ... Autonomia dello Stato. L'autonomia del-lo Stato non può sussistere che in funzione degli elementi particolaridi quel mondo complesso di cui opera l'unificazione e in rapporto alquale l'ordine che realizza si trasforma in fonte della legge» (41).

Il Iederalismo interno, tcso a garantire la libertà all'interno delloStato, caldeggiato da Trcntin, non è affatto estraneo a Caffi, che è at-tento lettore di Proudhon e dei populisti russi. Tuttavia, come abbia-mo visto, negli scritti degli anni '30 il nostro autore appunta la s~a at-tenzione soprattutto sulla dimensione internazionale del federahsmo.

È utile esaminare anche il pensiero di Georges Gurvitch, filosofoe sociologo russo, che negli anni '30 vive a Parigi, e di cui Caffi leggecon grande interesse L'idée du droit social (42). Gurvitch si ricollega,come Caffi, alla tradizione socialista che deriva da Proudhon, autorequest'ultimo di cui accoglie l'idea della realtà sociale come prodottodegli sforzi collettivi degli uomini e come totalità comprendente diver-si livelli. Di Proudhon, Gurvitch apprezza anche l'antistatalismo e ilmodo in cui pone in evidenza la contrapposizione tra la molteplicità,la spontaneità, la mutevolezza della società e l'unitarietà e la meccani-cità dello Stato.

Gurvitch parte dalla constatazione che la caratteristica tipica del-lo Stato moderno è il monopolio del potere giuridico. Lo Stato è l'enteche impone le proprie leggi ai cittadini in modo incondizionato e chenon ammette la coesistenza, nel territorio da lui amministrato, di altriordinamenti giuridici. Secondo questo studioso non si può combatterela prepotenza dello Stato se non negandogli la facoltà di imporre leggiin modo incondizionato. Se questo è il compito, si pone il problema ditrovare altre fonti di diritto da far valere contro la legge dello Stato. Ilproblema è risolto da Gurvitch affermando che queste altre fonti sitrovano in ogni ambito in cui l'uomo svolge una attività sociale. LoStato, con le sue leggi, è soltanto il frutto di uno di questi ambiti socia-li e, perciò, dovrebbe essere legittimato ad esprimere soltanto un ordi-namento giuridico: l'ordinamento giuridico della società politica. Laconquista del monopolio del diritto da parte dello Stato sancisce la so-praffazione, da parte della società politica, di tutte le altre società.Questa sopraffazione non potrà avere termine se non quando, accantoall'ordinamento giuridico della società politica, coesisteranno altri or-dinamenti giuridici, generati da altre attività sociali, indipendenti o ad-dirittura in concorrenza con lo Stato.

Alla base del pensiero di Gurvitch c'è il concetto di « diritto so-ciale ». Il diritto sociale è caratteristico delle comunità; nasce sponta-neo nei gruppi associativi ed integra gli individui nel tutto sociale.Gurvitch lo definisce con queste parole: « il diritto sociale, o diritto diintegrazione, è prodotto da ogni fusione parziale, da ogni inserimentoin quel noi che è alla base normale della vita di ogni gruppo (...). Ognigruppo attivo, realizzando valori positivi, crea il suo proprio diritto di(39) Si veda N. BOBBIO, Introduzione a: S. TRENTIN, Federalismo e libertà, cit.,

p. XIII-XIV.(40) S. TRENTIN, Federalismo ... , cit., pp. 26-29.(41) [vi, pp. 29-30. (42) Paris, Recueil Sirey, 1932.

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integrazione, cioè un sistema di diritto sociale» (43). Questa tesi, ched'altra parte è di chiara derivazione proudhoniana, viene accettata daCaffi. Questi infatti già nel 1932 aveva affermato che le relazioni tragli uomini «implicano (...) norme d'un diritto, d'una giustizia razio-nalmente esplicabile e preesistente (... ) ad ogni decisione d'una sovra-na volontà» (44). Il diritto sociale, insomma, per i due autori, nascespontaneamente, senza che sia necessario un atto di volontà, in ognicomunità. E ogni comunità ha il proprio diritto sociale. .

Il monopolio della facoltà di produrre leggi da parte dello Stato sibasa esclusivamente sulla possibilità di esercitare coercizione. In altreparole, lo Stato non ha alcuna autorità morale per possedere il mono-polio del diritto; lo possiede perché costringe gli individui a rispettaresolo la propria legge. Esiste, tuttavia, una forma di Stato che non entrain contrasto con il diritto sociale, ma anzi è essa stessa creatrice di talediritto: la forma dello Stato democratico. Democrazia e diritto sociale,in effetti, sono intimamente legati. Ogni gruppo organizzato democra-ticamente, se è veramente tale, deve essere fondato sul diritto sociale.« Si può dire in generale - scrive Gurvitch - che ogni struttura de-mocratica costituisce, dal punto di vista giuridico, una manifestazionedi diritto sociale (... ). Si ha quindi un diritto ingeneratoda unxoi vi-vente che non si aliena in alcuna forma. In questo senso lo Stato de-mocratico ed il suo ordine giuridico sono la manifestazione d'una spe-cie particolare di diritto sociale, emanante dalla sottoposta comunitàdi cittadini» (45).

Anche Caffi ritiene utile e positiva la presenza dello Stato, solo seè realmente democratico e non opprime la società imponendosi in mo-do dispotico. Infatti, richiamandosi direttamente a Gurvitch, nel 1932scrive (46): « Le istituzioni politiche sono una realtà positiva quanto leistituzioni sociali. Importa che queste ultime non vengano schiacciateda quelle. Limitando le prerogative e le funzioni dell'apparecchio sta-tale, costringendo a compenetrarsi esso stesso di « diritto sociale » sipotrà giungere al complesso di varie autonomie che costituiranno la"democrazia industriale" » (47). Sia Caffi sia Gurvitch si pongono il

problema di come si possa fondare una intera società sul diritto socia-le; di come sia possibile realizzare una società interamente democrati-ca, una società la cui organizzazione sia perfettamente aderente allacomunità sottostante di cui è espressione. Per realizzare questa socie-tà, secondo Gurvitch e Caffi, bisogna considerare l'uomo non in modoastratto, ma calato nelle sue molteplici attività sociali. Quindi comeproduttore, consumatore, membro di una chiesa, di una nazione, del-l'umanità e così via.

Tutte le attività sociali a cui l'uomo partecipa (politiche, economi-che, religiose ecc.) devono integrarsi in società che si sviluppano libe-ramente le une accanto alle altre senza che si verifichino interferenze oprevaricazioni che, inevitabilmente, distruggerebbero il diritto socialee la democrazia. Lo Stato, ormai è chiaro, viene, nel progetto di Gur-vitch e Caffi, ridotto ad essere soltanto una di queste società, la societàpolitica, e a comprendere solo un aspetto dell'uomo, quello del cittadi-no (48).

6. La tesi di Tolosa.

Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, Caffi fugge daParigi prima che venga occupata dai tedeschi e si rifugia a Tolosa, do-ve entra in contatto con i dirigenti del PSL L'avvicinamento di Caffi alPartito Socialista richiede qualche spiegazione. Nel 1939 si assiste aduna importante svolta nella politica del PSI. Pietro Nenni - fautore diuna stretta alleanza antifascista con i comunisti, e sostenitore dell'ideasecondo cui la transizione verso il socialismo deve essere diretta da unpotere statale forte - si dimette dalla carica di segretario del partitoin seguito alla firma del patto nazi-sovietico. I nuovi dirigenti del PSI,tra cui Angelo Tasca e Giuseppe Faravelli, propongono un programmapolitico che, per i suoi contenuti libertari e antisovietici, incontra l'a-desione di Caffi. Tale programma prevede la rottura dell'alleanza conil PCd'l; e, poiché il primo obiettivo dei socialisti deve essere quello digarantire la libertà individuale, respinge l'idea che la transizione al so-cialismo possa essere guidata da uno stato centrale forte e autorità-

(43) G. GURVITCH,La déclaration des droits sociaux, Paris, 1946 (trad. it. Ladichiarazione dei diritti sociali, traduzione di L. Foà, con prefazione di N. Bobbio, Mi-lano, Comunità, 1949, p. 96). .

(44) A. CArFI, Opinioni sulla rivoluzione russa, « I Quaderni di Giustizia e Li-bertà» (Paris), I, n. 2, marzo 1932; ora in Scritti politici, cit. , p. 102.

(45) G. GURVITCH,La dichiarazione ... , cit. , pp. 98-99.(46) A. CArFI, Opinioni ... , cit., p. 103.(47) Queste considerazioni di Caffi sulla necessità e positività delle istituzioni

politiche, purché democratiche e non oppressive della società, dimostrano i'inconsi-stenza della tesi di Dino Cofrancesco secondo cui Caffi « non comprese che se lo Stato

nazionale non ha più nulla di progressivo, ciò non significa che ogni apparato di poterein quanto tale costituisca, rispetto ai valori di cui si dichiara tutore, una realizzazioneche è al coniempo una perdita » (D. COfRANCESCO,Il contributo della resistenza italia-na al dibattito teorico sull'unificazione europea, in: L'idea dell'unificazione europea ... ,cit., p. 131).

(48) Sull'influenza di Gurvitch su Caffi e sul gruppo di Giustizia e Libertà si ve-da C. MALANDRINO,Socialismo e libertà, autonomie, federalismo, Europa da Rosselli aSilone, Milano, Franco Angeli. 1990, p. 115.

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rio (49). Caffi dunque a Tolosa si avvicina al PSI e prende parte alleattività del partito.

,. Nel 1941, dopo l'entrata in guerra dell'Unione Sovietica, si apreall mterno del PSI una discussione sulla politica da seguire nella lottacontro il fascismo. Si delineano tre posizioni: la prima, di Nenni e Sa-ragat, sostiene un'incondizionata adesione alla politica delle potenzealleate antifasciste; la seconda, propugnata da Modigliani, affermal'autonomia del socialismo dalle potenze imperialiste alleate; la terza,di Caffi (SO), Faravelli e Emilio Zannerini (51), esprime un'adesionecondizionata alle potenze antifasciste. Il movimento socialista, secon-do Caffi, deve appoggiare la lotta degli alleati ai regimi autoritari man-tenendo però una propria autonomia e una propria libertà di azione invista della situazione che si verrà a creare nel dopoguerra. SecondoCaffi, Faravelli e Zannerini, sarebbe un errore legarsi in una « unionesacra» con le democrazie perché ciò vorrebbe dire appiattire la politi-ca socialista sulla politica estera dei propri paesi. D'altra parte non sa-rebbe desiderabile neppure l'altra « unione sacra », quella con l'Unio-ne Sovietica, perché in tal modo si perderebbe la propria identità e fal-lirebbe qualsiasi tentativo di proporre, a guerra finita, un'alternativarealmente democratica e socialista alla dittatura bolscevica (52).

I redattori della tesi non considerano feconda neppure la posizio-ne zimmerwaldiana di Modigliani, perché non è possibile, secondo lo-ro, raggiungere uno stato pacifico finché esistono i fascismi. La loroproposta, quindi, è di allearsi con le forze anti-fasciste conservandouna propria autonomia in vista della continuazione della lotta per ilsocialismo una volta terminato il conflitto (53).

Per Caffi e i suoi compagni, la base da cui partire per ricostruireuna politica socialista è l'analisi attenta della realtà sociale, non per

aderire acriticamentc ad essa, ma per trasforrnarla nella direzione diun ordinamento economico e sociale più giusto (54).

Le tematiche generali della tesi di Tolosa redatta da Caffi, Fara-velli e Zannerini ci servono perché in esse si trova formulata in manie-ra esauriente una teoria federalista che tiene conto sia della dimensio-ne infrastatale, sia di quella interstatale. Secondo Caffi e i suoi compa-gni di lavoro la costruzione del socialismo deve passare per il supera-mento dello Stato sovrano e onnipotente perché non è possibile pernessun socialista, pur onesto, controllare e dirigere, attraverso il parla-mento, tutte le attività di una istituzione - lo Stato nazionale - in-trinsecamente oppressiva. Caffi non ritiene possibile che, passando le« leve del comando» ad esponenti sinceramente socialisti, eletti a suf-fragio universale e controllati da commissioni popolari, sia possibiletrasformare lo Stato da forza oppressiva a organo garante della pace edella giustizia. Il nostro autore ritiene questa opinione « semplicisticaed ottimistica », specialmente dopo l'esperienza fallimentare della ri-voluzione russa, nel corso della quale i capi del partito bolscevico han-no prima conquistato il potere statale, per poi dare vita ad una terribi-le dittatura. Scrive infatti Caffi: « Mercé la loro psicologica predisposi-zione i seguaci di Lenin riuscirono a diventare padroni assoluti dell'ap-parecchio di governo imperiale, venuto in loro possesso quasi per uncolpo insperato di fortuna. E senza dover cedere il posto ad un altropartito, per una specie di involuzione interna (cioè adattandosi sempremeglio alla ragion di Stato, scartando gli elementi troppo fedeli alleorigini insurrezionali, aggregandosi tecnici più valenti ed arrivisti sem-pre meno scrupolosi) lo stato maggiore rivoluzionario di Lenin e diTrockij si tramutò in una burocrazia e tecnocrazia nazionalista sottoStalin » (55).

Il rifiuto di ogni socialismo che sacrifica l'ideale per l'accesso allastanza dei bottoni, è totale. Il vero socialismo, secondo Caffi, ha le sueradici nella società, non nello Stato. Pone al primo posto la società ele sue spontanee aspirazioni, non i giochi politici di vertice. Lo Stato,certo, è necessario, ma solo come coordinatore al fine di evitare con-flitti e paralisi (56). Non si può quindi riproporre un riformismo socia-lista che lasci intatta la struttura statale. Si pone piuttosto l'urgenza difondare un'organizzazione della società che sia in grado di far coesi-stere l" pace, la libertà e la giustizia con l'efficienza amministrativa. Ilfederalismo può essere, secondo Caffi ed i suoi collaboratori, la possi-bilità concreta di quella coesistenza.

(49) Su questo tema si veda L. RApONE, Da Turati a Nenni, Milano, Franco An-geli, 1992, pp. 162-196.

(50) Si veda A. CAFFI, I socialisti, la guerra e la pace (1941). ora in: « Quadernidel Gobetti » (Genova), I. n. l, 1958, pp. 3-72, e in: Scritti politici, cit., pp.' 239-307.Sulla tesi di Tolosa si vedano i saggi di S. MERLI, I socialisti, la guerra, la nuòva Euro-pa: dalla Spagna alla Resistenza 1936-1942, Fondazione Anna Kuliscioff. Mila; IO,1993; e Andrea Caffi e la tradizione proudhoniana nel socialismo italiano. ;( Rivistastorica dell'anarchismo » (Pisa), I, n. l, gennaio-giugno 1994. pp. 97-114; ora in An-drea Caffi un socialista libertario ... , ci t. , 1996, pp. 65-83.

(51) Si veda 1. TOGNARINI, op. cit., p. 288 e. per una trattazione più completa:G. ARFt, Introduzione a Il Partito Socialista Italiano nei suoi congressi, Milano, Edi-zioni Avantil, 1963, voI. IV, pp. 5-17, e i contributi di S. Merli. citati nella nota prece-dente.

(52) A. CAFFI, I socialisti. la guerra e la pace. cit., in: A. CAFFI. Scritti politici.cit., pp. 245-246.

(53) La tesi di Caffi non sarà accettata dal partito socialista; prevarrà invecequella di Nenni e Saragat.

(54) Si veda S. MERLI. / socialisti. la guerra. la nuova Europa .... cit., p. 103.(55) A. CAFFI. / socialisti ...• cit .• p. 270. La citazione seguente sitrova a p. 273.(56) Si veda S. MERLI. Andrea Caffì e la tradizione proudhoniana nel sociali-

smo italiane. cit .. p. 109- t t O.

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Caffi, Zannerini e Faravelli proseguono affermando la necessità diopporre alla potenza dello Stato dei limiti realmente efficaci e non so-lo quelli ins~~itti nelle costituzioni. Questi limiti possono e~sere postisolo « smobilitando » la forza dell'apparato statale sia per quanto ri-guarda i rapporti internazionali, sia per quanto riguarda i rapporti in-terni. Per illustrare questo punto conviene riportare interamente il bra-no che segue: « 1) I mezzi di schiacciare l'individuo e le libere associa-zioni di individui devono essergli tolti. Ciò significa che gli attributidella "sovranità" non dovranno più essere esclusivo monopolio delloStato nazionale. Al di sopra di esso si dovrà erigere un'organizzazionesovranazionale - per es. l'assemblea e gli organi esecutivi della fede-razione europea -, e questa istituzione dovrà disporre di forzeade-guate per esercitare sanzioni immediate e non di pura forma controuno Stato che mettesse in pericolo la pace o che introducesse un regi-me incompatibile con la libertà e l'uguaglianza di tutti gli uomini. 2)Un secondo limite alla strapotenza dello Stato dovrà essere assicuratoall'interno, mediante il rafforzamento di tutti gli enti autonomi, le as-sociazioni di ogni genere (politiche, economiche, sindacali, cooperati-ve, mutualistiche, colturali, ecc.), gli enti e gruppi locali, ai quali sa-ranno deferite e trasferite molte funzioni di autorità sociale» (57).

Il federalismo che Caffi propone è, dunque, sia interno sia esternoallo Stato. All'interno dello Stato l'assetto federale serve ad assicurarela libertà e la giustizia, e in questo il pensiero di Caffi non differisce daquel.lo di Silvio Trentin. All'esterno il federalismo serve: invece d ga-rantìre la pace, condizione necessaria per la sussistenza di qualsiasi re-gime non autoritario. È interessante notare che la tesi di Tolosa elabo-rata da Caffi, Faravelli e Zannerini influenza direttamente Ignazio Si-Ione nella redazione della cosiddetta Tesi del Terzo Fronte, destinata adiventare la piattaforma politica del Centro Estero di Zurigo (58). In-fatti Silone, da un lato, considera l'anarchia internazionale la causaprincipale dei conflitti tra gli Stati; dall'altro, sostiene che l'integrazio-ne europea è possibile solo se, all'interno di ogni Stato futuro conso-ciato, si attua una serie di riforme interne indispensabili a garantire lalibertà e la giustizia agli individui e ai gruppi.

Silone insomma, come Caffi prima di lui, ritiene necessari due tipidi riforme federaliste: il primo volto a creare un assetto intrastatalefondato sull'autogoverno dei cittadini e sulla socializzazione delle

strutture economiche fondamentali; il secondo con l'obiettivo di aboli-re la sovranità dei singoli Stati in modo da eliminare il problema dellaguerra. Silone, insomma, ritiene che « potrà essere duratura e rispetta-ta come giusta solo una pace la quale riconosca il diritto all'autogover-no locale anche a piccoli popoli nel quadro della Federazione euro-pea ». Ne consegue che il federalismo, per Silone e Caffi, deve esseresia interno sia esterno allo Stato: l'integrazione europea non può fon-darsi su una precaria alleanza di Stati sovrani; deve invece nascere daun'unione di ,< popoli liberi presso i quali le associazioni dirette daiproduttori abbiano riassorbito una buona parte delle funzioni ora mo-nopolizzate dal Grande capitale e dalla burocrazia statale ».

Nel 1941 Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi redigono, come è noto,Il Manifesto di Ventotene (59), che, pur trattando temi più ampi diquelli discussi nel documento di Caffi e dei suoi collaboratori, può es-sere utilmente messo in relazione con esso. Infatti, in un capitolo dedi-cato alla critica del socialismo sovietico Spinelli afferma che non èpossibile collettivizzare coerentemente i mezzi di produzione se noncedendoli allo Stato che li gestisce secondo un suo piano. Collettiviz-zare, dunque, significa statalizzare. Ma la statalizzazione dell'econo-mia non dà come risultato una società più libera e più giusta, bensìuna dittatura di burocrati che asservisce la popolazione agli interessistatali. « Se ad un regime in cui domina la potenza della ricchezza sene sostituisce uno in cui in mano ad alcuni è posto praticamente il po-tere di disporre illimitatamente di altri individui, di adoperarli comesemplici mezzi per realizzare i propri scopi, in tal caso non si è fattoun passo verso la realizzazione del nostro ideale; se ne è fatto uno chece ne allontana decisamente» (60).

Questo sta a indicare che nello Stato ad economia statalizzata sirende necessario standardizzare i prodotti e i bisogni dei cittadini, cosiche gli uomini vengono privati dell'opportunità di coltivare le proprieinclinazioni e i propri gusti. Questo, naturalmente, implica la rinunciaa « potenziare la personalità umana» e non permette la libertà degliindividui c dei gruppi. « Si trasformano tutti i cittadini in servi delloStato, assegnando a ciascuno, dall'alto, il posto che deve occupare, estabilendo quel che deve fare e come deve farlo: si distrugge cosi quel-la libertà di iniziativa e di movimenti che è un altro dei pregi che anda-vano non aboliti, ma estesi a chi ne godeva solo formalmente », Il col-lettivismo, dunque, è incompatibile con l'ideale libertario del sociali-

(57) A. CArri, op. cit., p. 303. Le successive due citazioni si trovano a p. 305.(58) Il testo della Tesi è pubblicato in « L'Avvenire dei Lavoratori» (Zurigo), 1

agosto 1942; ora in I. SILONE,Nel bagaglio degli esuli, in Esperienze e studi socialisti.Scritti in onore di Ugo Guido Mondolfo, a cura di « Critica Sociale », Firenze, La Nuo-va Italia. 1957, pp. 301-315.

(59) A. SPINELLI-E.ROSSI. Il manifesto di Ventotene (1941), Roma, 1944, (nu-merose ristampe, qui ci riferiamo alla seguente edizione: Bologna, Il Mulino, 1991).

(60) A. SPINELLI-E.ROSSI, op. cit., p. 117. Le prossime tre citazioni si trovanorispettivamente alle pp. 118, 119 e 50.

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smo. È appena necessario far notare che, su questo punto, -Spinelli eCaffi sono in perfetta sintonia. ,

Caffi avrebbe probabilmente sottoscritto anche quest'altratesidiSpinelli: « se teniamo conto che il collettivismo consiste nel massimopotenziamento della forza dello Stato, dobbiamo dire che l'unica cosaa cui veramente esso serve è la preparazione e la conduzione dellaguerra totale. Quando una comunità deve concentrare tutti gli sforzi etutte le risorse per la guerra, quando deve rigorosamente disciplinarenon solo l'esercito combattente ma anche tutto il paese che gli è die-tro, il collettivismo è certo la più coerente e radicale forma di tale or-ganizzazione della vita sociale ».

Come è noto l'alternativa al collettivismo statale, proposta da Spi-nelli e Rossi, è il federalismo: la creazione di uno Stato federale sovra-nazionale che sostituisca agli eserciti nazionali una forza armata euro-pea, che abolisca le autarchie economiche, e che disponga di. mezziadeguati per far osservare le proprie decisioni agli Stati federati, purlasciando loro l'autonomia necessaria per uno sviluppo politico con-forme alle particolari caratteristiche dei singoli popoli. Ne consegueche appare palese il sostanziale accordo tra gli autori de Il Manifestodi Ventotene e Caffi, Faravelli e Zannerini: esso si fonda sulla stessaconsapevolezza che il collettivismo e il centralismo amministrativonon portano ad una società di uomini liberi ed uguali, ma trascinanoalla dittatura di una ristretta cerchia di burocrati, con il risultato chel'unica via al socialismo è la federazione, mentre l'anarchia internazio-nale è la causa primaria delle guerre.

Eppure se la tesi di Tolosa e l'opera di Spinelli e Rossi presentanonotevoli affinità teoriche, tra esse intercorre anche un'importante dif-ferenza. Caffi concepisce il federalismo come un'organizzazione che,all'esterno, permette di risolvere per vie pacifiche le controversie traStati e che, all'interno, lascia un notevole spazio di autodeterminazio-ne alle singole comunità locali. L'assetto federale interno allo Stato,per Caffi, è importante quanto quello internazionale: sonu due aspetticorrelati dello stesso problema - quello di garantire la pace, la libertàe la giustizia - che non possono in alcun modo essere separati. Unariforma dell'assetto europeo che non affrontasse il problema infrasta-tale, che è il problema stesso della democrazia, non farebbe che riuni-re sotto un unico potere dispotico tutti i popoli europei, le cui condi-zioni di vita non migliorerebbero affatto. D'altra parte, una riforma insenso democratico degli Stati senza l'abolizione della sovranità nazio-naie non risolverebbe il problema della guerra e, di conseguenza, nonpermetterebbe il perdurare della democrazia.

Spinelli e Rossi invece, pur considerando importante il problemadella democrazia, affermano che la costruzione della federazione euro-

pea costituisce un obiettivo strategicamente più importante. rispetto aquello del rinnovamento dell'assetto infrastata!e. La ~ede:azIOne. euro-pea, secondo loro, è il punto di partenza da .CUl non SI p~o pres~mde::per la realizzazione di qualsiasi scopo ulteriore: senza di essa infatti I

governi statali - non importa a quale ideologia ispirati - generereb-bero di nuovo guerre e imperialismo. Prima il federalismo internazio-nale dunque, poi la democrazia e il socialismo (61).

7. Federalismo e sovranità nazionale dopo la seconda guerra mon-diale.

Sono molti i federalisti che nutrono la speranza che, a guerra fini-ta, si verifichino le condizioni favorevoli per la realizzazione della fe-derazione europea; tuttavia tali speranze vanno deluse. Gli alleati in-fatti non considerano affatto la prospettiva dell'unità europea, e prefe-riscono strutturare il piano di ricostruzione del continente secondo li-nee che non mettono in discussione la sovranità dei singoli Stati. An-che le aspettative di riforma interna dello Stato, in senso libertario edemocratico, vengono disattese. Vengono soltanto attuate riforme cheprevedono la concessione di larghe autonomie agli enti locali, ma chenon implicano una messa in discussione della preminenza dell'ordina-mento statale sulle autonomie. L'idea di Stato nazionale sovrano,quindi, non viene affatto scalfita (62).

Dopo la fine della guerra Caffi non abbandona l'idea secondo cuinulla di buono può venire da un'Europa divisa in Stati sovrani. In unalettera a Faravelli, del gennaio 1946, scrive: «se vogliamo sul seriosalvare la società dalle guerre, dai governi totalitari e da tutte le bestia-lità che questi due aspetti d'un medesimo fenomeno implicano (... ) bi-sogna abbattere al più presto l'idolo della nazione; in particolare l'Eu-ropa sarà ridotta allo stato di "giungla" (terreno per tigri e grossi cac-ciatori) se non si rinuncia radicalmente alle "sovranità nazionali", agliorgogli e « sacri egoismi» patriottici, alla superstizione della solidarie-tà etnica in nome della quale bisogna uccidere e morire ». E precisa:« La nazione come patrimonio culturale (lingua, "memorie comuni",costumi, nella misura in cui possono ancora differenziarsi nell'inevita-bile uniformità della nostra vita planetaria) si deve dissociare da qual-

(61) Si veda L. LEVI, Il federalismo, ci t. , pp. 98-100; si veda anche S. PISTONE,

L'interpretazione dell'imperialismo e del fascismo, in L'idea dell'unificazione europea,cit., p. 186.

(6:) Si veda R. ROMANELLI, Centralismo e autonomie, in Storia dello Stato ita-liano dall'unità ad oggi, a cura di R. Romanelli, Roma, Donzelli. 1995, pp. 161-167: siveda anche P. GRAGLIA, Unità europea, ... cit., pp. 233-234.

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siasi formazione politica, privare completamente d'ogni mezzo di coer-cizione i suoi "membri" - che tali saranno unicamente per spontaneae revocabile adesione» (63).

Caffi, insomma, propone una totale demistificazione dell'idea dinazione ove si intenda con questo termine, non una tradizione cultura-le, ma un valore politico per il quale gli uomini trovino doveroso sacri-ficarsi. « Se non si secolarizza la nazione - prosegue - (oggi adoratae satollata di vittime umane come qualsiasi Moloch o Geova) secondole stesse linee con cui illiberalismo ha assicurato la libertà di coscien-za ed il libero esercizio di tutti i culti, è inutile voler edificare - nelquadro dello « Stato nazionale» essenzialmente barbaro - un regimedi libertà e di giustizia sociale. E naturalmente « le Nazioni Unite» so-no. una tragica buffonata purtroppo peggiore - perché fatta con piùevidente malafede - che la defunta SdN. La tesi dell'internazionalesocialista è stata sempre l'abolizione delle frontiere e della nozionestessa di "straniero". Se per ragioni ovvie conviene che ogni regioneabbia un suo autonomo governo, bisogna stabilire fra i vari «paesi»patti non di semplice "amicizia, non aggressione" ecc. - ma di com-pleta « simpolitia » (usando un vocabolo che definiva l'unione -;>i: es.fra Atene e Samo) per cui cioè, senza formalità alcuna, il « cittadino»d'un paese trasferendosi in un altro vi godrà degli identici diritti chegli "indigeni" di quello », E conclude: « È implicito che ciò comportiun mutamento radicale di tutto l'apparecchio giuridico, poliziesco,amministrativo (quello militare dovendo semplicemente scomparire)che si riassume ora nello "Stato" » (64).

L'apparato giuridico, lo Stato, deve dunque essere modificatoprofondamente in funzione della realizzazione di un modello in cui siapossibile la « simpolitia », in cui ogni uomo possa godere degli stessidiritti in ogni paese. Oltre all'assoluta necessità - più volte ribaditadal nostro autore nel corso della sua attività intellettuale - di supera-re lo Stato nazionale, e l'ideologia ad esso legata, allo scopo di garantì-re la pace tra i popoli europei, è importante sottolineare un aspetto deldiscorso di Caffi che concerne la natura del federalismo da costruire: ilnostro autore non considera desiderabile né un federalismo che sia so-lo il frutto di un accordo verticistico tra Stati, né un federalismo che sirisolva esclusivamente in riforme interne allo Stato nazionale, Per Caf-fi, come si è già sottolineato, federalismo internazionale e infranazio-

naIe devono complctarsi a vicenda. In altre parole, da un lato, non èpossibile prescindere dall'attuazione di radicali riforme interne agliStati senza compromettere la costruzione di un Iederalismo europeocompleto; dall'altro, una società realmente democratica non può chesvilupparsi nell'ambito della federazione tra gli Stati europei.

Se torniamo ora al dibattito sulla pace dopo la seconda guerramondiale, possiamo vedere che nel 1948, in un articolo intitolato Chivuole la pace? (65) e pubblicato sul « Corriere della Sera », Luigi Ei-naudi esprime un parere non discordante da quello di Caffi. SecondoEinaudi non è possibile realizzare la pace senza la federazione, l'istitu-zione di « un potere superiore a quello dei singoli Stati sovrani ». Ognialtra soluzione non può portare ad una pace stabile. La pace, in altreparole, passa necessariamente per l'abolizione della sovranità nazionale.

L'opinione di Einaudi s'accorda solo in parte con quella di Caffi.Per entrambi gli autori il mantenimento dello Stato nazionale implicanecessariamente il protrarsi dello stato di guerra, e quindi va abolito.Ma, se secondo Einaudi la federazione è semplicemente un assetto po-litico atto a garantire la pace, per Caffi il federalismo non ha solo que-sto scopo: la soppressione degli Stati nazionali, e l'instaurazione dellapace, non sono altro che un passo verso la creazione di una società li-bertaria in cui viga la più completa « simpolitia » tra i paesi. In altreparole, se Einaudi auspica il federalismo per ragioni pragmatiche, Caf-fi, pur non ponendo in secondo piano tali ragioni, attribuisce all'ipote-si federale, e alla pace che ne deriverebbe, il compito di realizzare l'i-deale libertario. E non è difficile ricondurre la differenza tra la conce-zione del federalismo di Einaudi e quella caffiana a due diverse ideedella natura umana.

Einaudi, in effetti, fonda tutta la sua costruzione teorica su un'an-tropologia negativa secondo la quale gli uomini non tendono ad asso-ciarsi naturalmente e a vivere in pace; al contrario, sono sempre dispo-sti a trarre il proprio vantaggio a discapito degli altri uomini con imezzi dell'imbroglio, della rapina e della violenza. Il federalismo quin-di, per Einaudi, non è altro che un argine contro la malvagità umana,un ingegnoso espediente istituzionale atto a mettere gli uomini e gliStati nelle condizioni di non nuocersi a vicenda, ma anzi di conviverepacificamente e di progredire. L'assetto federale europeo, per Einaudi,non estirperebbe affatto la malvagità dall'animo umano; le impedireb-be tuttavia di provocare i disastri e le distruzioni della guerra.

(63) Lettera a Giuseppe Faravel/i, 6 gennaio 1946, disponibile presso la Fonda-zione di Studi storici Filippo Turati a Firenze; ora in Il socialismo al bivio l'archivio diG. Faravelli 1945-1950, a cura di S. Merli e P.C. Masini, Annali della Fo~d".c:;one Fel-trinelli 1988-1989, Milano, 1990, pp. 76.

(64) Ivi, pp. 76-77.

(65) L. EINAUDI, Chi vuole la pace?, « Corriere della Sera » (Milano), 4 aprile1948, ora in: L. EINAUDI, La guerra e l'unità europea, Milano, Comunità, 1950, p. 61.Citiamo questo passo dal volume di C. CRESSATI,L'Europa necessaria, Torino, Giappi-chelli, 1992, p. 107.

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Molto diversa è la prospettiva di Caffi: alla base delle sue rifles-sioni c'è un'antropologia positiva che considera gli uomini, una voltaliberati da pressanti bisogni e dall'oppressione dei governanti, intrinse-camente e naturalmente solidali tra loro. « In condizioni normali --scrive nel 1947 - (ossia quando la fame, la paura o la malattia nonl'esasperano) l'atteggiamento naturale dell'animale umano è pacifico,fiducioso, portato alla socievolezza curiosa e gioiosa» (66). Nel pen-siero di Caffi quindi il federalismo (e più in generale qualsiasi istitu-zione politica) non serve affatto a pone degli argini alla malvaz'tàumana: il suo scopo, al contrario, è quello di permettere che la natura-le socievolezza degli uomini possa trovare nella libertà, nell'autogover-no, nella pace i canali che le sono necessari per esprimersi.

Nel 1947 Faravelli e altri esponenti del PSI, in disaccordo con lalinea politica della segreteria, si distaccano dal partito e fondano ilPartito Socialista dei Lavoratori Italiani. Faravelli invita Caffi a colla-borare con « L'Umanità », organo del partito, in qualità di corrispon-dente da Parigi. Caffi rifiuta, sostenendo di essere stanco ed ammala-to; ma va segnalato che scriverà lo stesso alcuni articoli per il periodi-co (67). Tra questi è interessante esaminare lo scritto, pubbiicato neldicembre del 1948, dal titolo I presupposti della democrazia (68), do-ve Caffi ripropone la sua concezione libertaria del federalismo c iJren-de posizione nei confronti delle democrazie rappresentative nate dalleceneri della seconda guerra mondiale. Caffi inizia la sua trattazioneparlando dell'impossibilità per il popolo di esprimere una volontà co-sciente all'interno di uno Stato comprendente un grande numero di in-dividui.

« Nella repubblica di Atene - scrive - i quarantamila cittadinideliberanti si incontravano più o meno ogni giorno ed è poco probabi-le che qualcuno dell'assemblea del popolo non conoscesse vita e mira-coli di colui che dalla tribuna emetteva una proposta. Così nei 13 Statiestremamente autonomi, della Confederazione americana ai suoi inizi,vi era una effettiva familiarità fra tutti i cittadini chiamati ad U:10 scru-tinio o ad una manifestazione pubblica. Ma Platone giudica già Ateneingovernabile perché la cittadinanza è troppo numerosa e non v'ede

possibilità di concordia che in comunità molto più ristrette. Ed è certoche al momento della guerra di secessione (1862) negli Stati Uniti vierano partiti organizzati e folle consenzienti, ma non potevano più es-servi dirette e ragionate espressioni di "volontà popolare". Assoluta-mente assurdo è supporre una "decisione" presa da 10 o da 5 milionie anche da un mezzo milione di "votanti" che non sia frutto del piùgregario "conformismo", cioè degli effetti meccanici di un demagogi-co "imbottimento di crani". Così come è impensabile che ventimilaoperai possano "controllare" il funzionamento di una grande officina ».

Solo in comunità piccole, quindi, è possibile che le decisioni sianoprese con consapevolezza dagli individui deliberanti. Non esiste alcunapossibilità che una massa sia in grado di esprimere una volontà razio-nalmente motivata. « I limiti della democrazia - prosegue Caffi - so-no quelli dell'umana comprensione: la "libera scelta" è una atroce bef-fa quando non si possono conoscere né i veri motivi né le necessarieconseguenze di ciò che si sceglie. Nessun uomo di buon senso, "uomodella strada", "français moyen", italiano idem, ha deliberatamente"scelto" h guerra nel 1914-15, nel 1939-40, e probabilmente nonavrebbe mai scelto le conquiste coloniali né la gara agli armamenti, néuna quantità di regolamenti polizieschi, fiscali ecc. È che nei suoi attipositivi tutta la democrazia moderna consiste in una certa "fiducia adocchi chiusi" accordata sia ad un uomo sia ad un "partito" ».

Non esiste, secondo lui, la possibilità della libera scelta dove nonsi possono conoscere i motivi e le conseguenze delle decisioni da pren-dere. Le politiche nazionali sono troppo distanti dagli individui perchéquesti siano in grado di valutarle in modo avveduto. Il limite della de-mocrazia consiste perciò nel fatto che quella che dovrebbe essere lasovranità popolare si risolve in una cieca fiducia accordata ad un uo-mo o ad un partito. Caffi non nega che nelle democrazie esiste ancheuna sorta di « limite negativo », imposto dal popolo, che impedisce laviolazione dei più elementari diritti umani; tuttavia il fatto che le de-mocrazie siano degenerate nei regimi fascisti e che, anche dopo laguerra, non siano immuni da tendenze autoritarie - Caffi cita a que-sto proposito il successo di De Gaulle in Francia - dimostra la fragili-tà di tale « limite negativo ».

Proprio le ultime parole del saggio di Caffi mostrano quale debbaessere il compito di un socialismo autentico in rapporto alla realtà eu-ropea. « I socialisti possono benissimo avversare la "democrazia" che

.immancabilmente si "polarizza" in conformismi o vane turbolenze dimasse mantenute nell'ignoranza. Di fatto i più ardenti assertori del so-cialismo (...) hanno sempre denunciato i macchinosi apparecchi di ac-centramento politico. nazionale ed economico come causa precipuadelle "inumane" condizioni sociali ed hanno auspicato un libero "fe-

(66) La pace come condizione naturale, (1947), ora in «Tempo Presente »(Roma), VI, n. 8, agosto 1961, pp. 354-358, e in Scritti politici, cit. , pp. 331-336 (ilbrano citato è a p. 335). Per una trattazione più approfondita di questo aspetto delpensiero di Caffi mi permetto di rinviare a A. CASTELLI,Andrea Caffi e la critica dellaviolenza, «Giano» (Napoli), n. 23, ottobre 1996, pp. 144-146.

(67) Su queste vicende si veda il carteggio tra Caffi e FaravelIi, in AA.W., Ilsocialismo al bivio, cit. , pp. 223-249.

(68) A. CAFFI,I presupposti della democrazia, «L'Umanità)} (Milano), II, n.290, 8 dicembre 1948, p. 3.

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deralismo" di comunità, conformi alla misura effettiva della compren-sione e del normale raggio d'azione d'un uomo semplice IJ. Dunque,per concludere, il federalismo infrastatale costituisce il necessario pre-supposto di qualsiasi democrazia che non sia soltanto formale. Nonesiste democrazia sostanziale senza un assetto giuridico in cui le singo-le comunità siano liberamente federate; solo in un tale assetto, infatti,si evita l'accentramento politico, amministrativo e burocratico che, co-me Caffi ha sempre insistito nel dimostrare, è l'antitesi della democra-zia. '

Summary - An introduction to the in-tellectual origins of Caffi's federalistthought shows that Caffi knows not onlythe tradition of federalist thought but al-so the French and the Russian ones.

However, the work that is analysedfirst, La Pace di Versailles (1919) writtenby Caffi and Umberto Zanotti Bianco,deals with the situation of Europe afterthe First World War. In this work Caffiand Zanotti Bianco propose a solution tothe ·European problems which illustratetheir the influence on them of GiuseppeMazzini's ideas, and how far they arefrom the federalist ideas, supported in thesame years by Luigi Einaudi, Attilio Cabi-ati and Giovanni Agnelli. In the twentiesCaffi got in touch with Carlo Rosselli andcontributed to Rosselli's socialist review« Il Quarto Stato », In his essays Caffishows a great interest in European inte-

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gration but his thought cannot be consid-ered federalist yet. From 1930 to 1935Caffi took part in the activities of Gius-tizia e Mbertà, an antifascist politica Irnovement founded by Rosselli. In thisperiod he definitively agrees that a peace-fui society in Europe can be created onlythrough federalism. The author cornparesCaffi's thought with the ideas of the mostimportant intellectuah who v'n'te inthose years about peace in Europe andfederalism. According to Caffi, federalismis also a suitable means for creating afree, democratic and fair society. So Caffithinks federalism should concern not onlyEuropean international organization, butalso the internai juridical structure ofStates. In this sense Caffi agrees with Sil-vio Trentin and Georges Gurvitch, whowrote about democracy and federalism inthe same years as Caffi.