LA FORMAZIONE DEI RICERCATORI : TRA METODO, DEBOLEZZA E PASSIONE

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1 1. SCARDICCHIO A.C. (2011), La formazione dei ricercatori. Tra metodo, debolezza e passione, in PINTO F., a cura di, La memoria del parco. Il parco della memoria, BARI: Progedit (ITALY) LA FORMAZIONE DEI RICERCATORI : TRA METODO, DEBOLEZZA E PASSIONE Antonia Chiara Scardicchio 1. SULL’ISOMORFISMO TRA COMPETENZE DI RICERCA E COMPETENZE DELL’EDUCAZIONE. La formazione dei ricercatori è un ambito delicato e cruciale. Cruciale: perché da essa dipende il futuro della Accademia. La sua fertilità, intesa come capacità di produrre conoscenze che si incarnino e servano alla vita al di fuori dei confini dei saperi scritti solo per i dotti . Delicato: poiché inerisce questioni di metodo intrise con questioni di scienza, poiché implica non solo un fare ma, soprattutto, come anche altrove ribadito 1 , un essere in ricerca, ed un impegno per il cambiamento inteso come urgenza e spinta 2 . E’ la formazione di un habitus interiore, prima ancora che di un modus operandi. La ricerca nei contesti pedagogici poi, richiede al ricercatore non soltanto le medesime competenze di tutti gli altri suoi colleghi che per mestiere ricercano ma, anche, insieme, le medesime competenze del pedagogista e dell’educatore, non essendo mai l’operazione di progettazione di un piano sperimentale scevra dall’intenzionalità pedagogica che mira al miglioramento della realtà, non alla sua mera ratifica, mai paga della semplice raccolta dei dati finalizzata alla descrizione ed analisi di un fenomeno. La tesi che dunque attraversa questo saggio è, pertanto, la consapevolezza che un ricercatore in pedagogia è sì un professionista delle metodologie della ricerca ma, anche e prima di tutto, un pedagogista ed un filosofo dell’educazione ed, anche, un educatore: un esperto di saperi e di pratiche, di episteme e technè, di teorie e rel-azioni. Chi che compie ricerca empirica in educazi one sa che “maneggia” contesti e persone e che, dunque, il rigore e la precisione dei protocolli richiedono, in egual misura rispetto alla verificabilità delle procedure, anche un habitus interiore che consenta, come da indicazione di Salomon, di lavorare con i soggetti e non sui soggetti 3 : pertanto, anche la formazione al metodo si configura come connotata pedagogicamente e salda nell’epistemologia così come nella metodologia. Questa la premessa imprescindibile per illustrare la scelta di progettare ed attuare un piano formativo per i ricercatori sul campo che ha coniugato epistemologia e metodologia, formazione e 1 Cfr. BALDASSARRE V. A., DI GREGORIO L., SCARDICCHIO A.C., La Vita come Paradigma, Ed. Dal Sud, Modugno,Bari, 1999 2 Cfr.: F. FRABBONI, F. PINTO MINERVA, Manuale di pedagogia generale, Laterza, Roma-Bari 2002 ; FRABBONI F.; WALLNÖFER G., La pedagogia tra sfide e utopie, Franco Angeli, Milano, 2009 3 Cfr. BANNISTER D. , FRANSELLA F., L’uomo ricercatore. Introduzione alla psicologia dei costrutti personali, Psycho, Firenze, 1986, pp. 64-65

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1. SCARDICCHIO A.C. (2011), La formazione dei ricercatori. Tra metodo, debolezza e passione, in PINTO F., a cura di, La memoria del parco. Il parco della memoria, BARI: Progedit (ITALY)

LA FORMAZIONE DEI RICERCATORI :

TRA METODO, DEBOLEZZA E PASSIONE

Antonia Chiara Scardicchio

1. SULL’ISOMORFISMO TRA COMPETENZE DI RICERCA E COMPETENZE

DELL’EDUCAZIONE.

La formazione dei ricercatori è un ambito delicato e cruciale.

Cruciale: perché da essa dipende il futuro della Accademia. La sua fertilità, intesa come

capacità di produrre conoscenze che si incarnino e servano alla vita al di fuori dei confini dei saperi

scritti solo per i dotti . Delicato: poiché inerisce questioni di metodo intrise con questioni di scienza,

poiché implica non solo un fare ma, soprattutto, come anche altrove ribadito1, un essere in ricerca,

ed un impegno per il cambiamento inteso come urgenza e spinta2.

E’ la formazione di un habitus interiore, prima ancora che di un modus operandi.

La ricerca nei contesti pedagogici poi, richiede al ricercatore non soltanto le medesime

competenze di tutti gli altri suoi colleghi che per mestiere ricercano ma, anche, insieme, le

medesime competenze del pedagogista e dell’educatore, non essendo mai l’operazione di

progettazione di un piano sperimentale scevra dall’intenzionalità pedagogica che mira al

miglioramento della realtà, non alla sua mera ratifica, mai paga della semplice raccolta dei dati

finalizzata alla descrizione ed analisi di un fenomeno.

La tesi che dunque attraversa questo saggio è, pertanto, la consapevolezza che un

ricercatore in pedagogia è sì un professionista delle metodologie della ricerca ma, anche e prima di

tutto, un pedagogista ed un filosofo dell’educazione ed, anche, un educatore: un esperto di saperi e

di pratiche, di episteme e technè, di teorie e rel-azioni.

Chi che compie ricerca empirica in educazione sa che “maneggia” contesti e persone e che,

dunque, il rigore e la precisione dei protocolli richiedono, in egual misura rispetto alla verificabilità

delle procedure, anche un habitus interiore che consenta, come da indicazione di Salomon, di

lavorare con i soggetti e non sui soggetti3 : pertanto, anche la formazione al metodo si configura

come connotata pedagogicamente e salda nell’epistemologia così come nella metodologia.

Questa la premessa imprescindibile per illustrare la scelta di progettare ed attuare un piano

formativo per i ricercatori sul campo che ha coniugato epistemologia e metodologia, formazione e

1 Cfr. BALDASSARRE V. A., DI GREGORIO L., SCARDICCHIO A.C., La Vita come Paradigma, Ed. Dal Sud,

Modugno,Bari, 1999

2 Cfr.: F. FRABBONI, F. PINTO MINERVA, Manuale di pedagogia generale, Laterza, Roma-Bari 2002 ;

FRABBONI F.; WALLNÖFER G., La pedagogia tra sfide e utopie, Franco Angeli, Milano, 2009

3 Cfr. BANNISTER D. , FRANSELLA F., L’uomo ricercatore. Introduzione alla psicologia dei costrutti personali,

Psycho, Firenze, 1986, pp. 64-65

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1. SCARDICCHIO A.C. (2011), La formazione dei ricercatori. Tra metodo, debolezza e passione, in PINTO F., a cura di, La memoria del parco. Il parco della memoria, BARI: Progedit (ITALY)

teoretica e formazione empirica, considerando la competenza del fare ricerca scientifica come

“prassi anche interiore”4.

Per tali motivazioni, dunque, la formazione dei ricercatori che sono andati sul campo a

raccogliere dati, ad incontrare persone, per noi si è configurata in modalità molto più complessa,

rispetto alla mera fornitura di erudizione intorno alla metodologia scelta, ovvero quella

autobiografica. E, anzi, proprio per la peculiarità di tale metodologia, laddove non è possibile

ridurla ad un corpus di metodi e tecniche da applicare previo studio delle istruzioni per l’uso, essa

ha implicato, prima di tutto, una sosta intorno al senso stesso della ricerca nel campo delle scienze

umane:

«Come si deve interpretare la responsabilità di coloro che si occupano

dei sistemi viventi, della vasta ed eterogenea folla di entusiasti e di cinici, di generosi e di

avidi? Tutti costoro, individualmente o collettivamente hanno la responsabilità di un sogno »

Gregory Bateson, Mary Catherine Bateson5

Comprendere un fenomeno – ed un fenomeno umano – richiede, come da esortazione

husserliana6, l’habitus del ricercatore partecipe, immerso nel mondo-della-vita (Lebenswelt),

responsabile di un sogno e della realtà e consapevole che l’astrazione da essi – dalla realtà e dalla

propria visione del mondo - è un artificio, ed anche una perdita, non un valore aggiunto per la

ricerca; e comprendere un fenomeno nel campo della ricerca empirica in educazione implica che lo

stesso ricercatore non sia mero pensatore/produttore né mero applicatore/fruitore di teorie ed ipotesi

progettuali: il ricercatore empirico in pedagogia, indipendentemente dal tipo di tecnica e metodo per

il quale si sente personalmente di optare, è sempre formato alla intenzionalità pedagogica ed alla

opzione per la compromissione cognitiva e relazionale e, di conseguenza, riconosce che la chiave

dell'intero processo conoscitivo è custodita nella capacità non già del mero osservare ma altresì,

risiede nel saper “guardare”: inteso, sottolinea Dal Lago, come il saper relazionarsi all'altro con la

vista e con tutti gli altri sensi possibili7: laddove, primo fra tutti, il primo sia il senso dell’ascolto: il

senso della ragione che sa sospendersi ed aprirsi al non conosciuto.

Ecco perché, con Colombis, sentiamo di poter affermare che la ricerca qualitativa è una

forma della mente.8

2. EPISTEMOLOGIA E METODOLOGIA DELL’IMPLICAZIONE

Il primo passo, dunque, della formazione erogata ai giovani ricercatori, ha visto offrire agli

stessi l’approfondimento intorno al paradigma problematicista9 ed alle sue derivazioni rispetto alle

opzioni metodologiche proprie della ricerca sul campo in educazione.

4 Cfr BALDASSARRE V. A., DI GREGORIO L., SCARDICCHIO A.C., op. cit.

5 BATESON G., BATESON M. C., Dove Gli Angeli Esitano. Adelphi, Milano, 1989, pag. 273

6 Cfr. HUSSERL E., Die Krisis der Europäischen Wissenschaften und die Transzendentale Phänomenologie,

ediz. postuma, a cura di W. Biemel, Den Haag, M. Nijhoff, 1954; Ed. italiana: HUSSERL E., La crisi delle scienze

europee e la fenomenologia trascendentale: introduzione alla filosofia fenomenologica, a cura di Biemel W., trad. di

Filippini E., Il Saggiatore, Milano, 1968 7DAL LAGO A., DE BIASI R., a cura di, Un certo sguardo. Introduzione all'etnografia sociale, Laterza, Roma-

Bari, 2002, pag. XII 8 Cfr. COLOMBIS A., Fuori dal mito: la sociologia “qualitativa” è una forma della mente, in CIPOLLA C., DE

LILLO A., Il sociologo e le sirene. La sfida dei metodi qualitativi, Franco Angeli, Milano, 1996, pp. 179-241 9 Cfr. FRABBONI F., PINTO MINERVA F., op. cit.; BALDACCI M., Il problematicismo. Dalla filosofia

dell'educazione alla pedagogia come scienza , Milella, Lecce, 2003

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1. SCARDICCHIO A.C. (2011), La formazione dei ricercatori. Tra metodo, debolezza e passione, in PINTO F., a cura di, La memoria del parco. Il parco della memoria, BARI: Progedit (ITALY)

L’analisi ermeneutica dei dati qualitativi, quali quelli raccolti durante la rilevazione negli

incontri narrativi con gli anziani del Parco, ha richiesto ai ricercatori accademici che hanno

interpretato gli stessi la medesima consapevolezza problematicista che essi stessi hanno contagiato

ai ricercatori rilevatori; i quali, seppur non coinvolti nella fase di analisi, hanno conosciuto ogni fase

ed ogni fine della ricerca stessa: tutti dunque, ascoltatori in diretta ed ascoltatori a distanza, hanno

approcciato i soggetti della ricerca e le informazioni da loro fornite con la coscienza accogliente

propria di una “doppia ermeneutica”, quella intesa da Melucci come la consapevolezza di poter

produrre non conoscenze assolute ma, soltanto, interpretazioni plausibili: ispirato

dall’etnometodologia di Garfinkel e dall’approccio interpretativo di Geertz, anche Melucci nella

sua teorizzazione nel merito del dibattito sul metodo nelle scienze sociali ha spodestato

l’epistemologia della verità con l’epistemologia della plausibilità10

: quanto mai pertinente nella

raccolta e nella analisi di dati non ordinati nelle maglie di griglie o di interviste rigidamente

strutturate ma libere e per molti versi ingovernabili .

Tale approdo, lungi dal confinare la ricerca nel relativismo, è altresì radicato nelle conquiste

epistemologiche ed empiriche della Cibernetica di second’ordine11

, del Costruttivismo12

, della

Teoria Sistemica13

, della Ecology of mind14

ed anche della Fisica Quantistica15

, che hanno sfibrato il

10

Cfr. MELUCCI A., Verso una sociologia riflessiva. Ricerca qualitativa e cultura, Il Mulino, Bologna, 1998 11

Cfr.: WIENER N., Introduzione alla Cibernetica, Boringhieri, Torino, 1961; CECCATO S., Cibernetica per

tutti, voll. I-II Feltrinelli, Milano, 1968, 1970; ATLAN H., Complessità disordine e autocreazione di significato, in

BOCCHI G.L., CERUTI M., a cura di, La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano, 1985; FOERSTER H.VON, Notes pour

une epistemologle des obJets vivants, Seuil, Paris, 1974; FOERSTER H.VON, Cibernetica ed epistemologia: storia e

prospettive, in BOCCHI G.L., CERUTI M., op. cit; FOERSTER H.VON, Sistemi che osservano, Astrolabio, Roma, 1987;

PORKSEN B., La verità è un'invenzione di un bugiardo. Colloqui per gli scettici, Meltemi, Roma, 2001; FRABBONI F.,

PINTO MINERVA F., op. cit.

12 Cfr.: BERGER P.L., LUCKMANN T., La realtá come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 1969;

WATZLAWICK P., La realtà della realtà, Astrolabio, Roma, 1976; PIATTELLI PALMARINI M., a cura di, Livelli di realtá,

Feltrinelli, Milano, 1984; MATURANA H., VARELA F., Autopoiesi e cognizione, Marsilio, Venezia, 1985; MATURANA H.,

VARELA F., The tree of knowledge, New Science Library, Boston, 1985; FOERSTER H.VON,. Attraverso gli occhi

dell'altro, Guerini, Milano, 1996; GLASERSFELD E. VON, Radical Constructivism: A Way of Knowing and Learning,The

Falmer Press , London & Washington , 1995; FOERSTER H.VON, GLASERSFELD E. VON, Come ci si inventa. Storia,

buone ragioni ed entusiasmi di due responsabili dell'eresia costruttivistica , Odradek, Roma, 2001; KELLY G., La

psicologia dei costrutti personali, Raffaello Cortina, Milano 2004.

13 Cfr.: BERTALANFFY L. VON., Teoria Generale dei Sistemi, ISEDI, Milano, 1971; BERTALANFFY L. VON,

Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppo, applicazioni, Mondadori, Milano, 2004; STROLLO M.R., Prospettiva

sistemica e modelli di formazione, Liguori, Napoli, 2003; FRABBONI F., PINTO MINERVA F., op. cit.;

14 Cfr.: BATESON G., Verso Un’ Ecologia della Mente, Adelphi, Milano, 1993; F G., Mente e Natura, Adelphi,

Milano, 1984; BATESON G., BATESON M. C., op. cit.,; BATESON G., Una Sacra Unità. Altri passi verso un'ecologia

della mente, Adelphi, Milano, 1997; MANGHI S. a cura di, Attraverso Bateson. Ecologia della mente e relazioni

sociali. Con un lavoro inedito di Gregory Bateson, Raffaello Cortina, Milano 1998 ; MANGHI S., La conoscenza

ecologica. Attualità di Gregory Bateson, Raffaello Cortina, Milano, 2004

15

Cfr. : BOHR N., I quanti e la vita, Bollati Boringhieri, Torino, 1984; GILMORE R., Alice nel paese dei quanti.

Le avventure della fisica , Raffaello Cortina, Milano, 1996; GILMORE R., Il quanto di Natale. Esplorando con Dickens i

misteri della fisica, Raffaello Cortina, Milano, 1999; CAVALLINI G., La costruzione probabilistica della realtà, CUEN,

Napoli, 2001CIANCHI L., LANTIERI M., MORETTI P., Determinismo, realismo e località in fisica classica e quantistica ,

Aracne, Roma, 2007; LINDLEY D., Incertezza. Einstein, Heisenberg, Bohr e il principio di indeterminazione, Einaudi,

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1. SCARDICCHIO A.C. (2011), La formazione dei ricercatori. Tra metodo, debolezza e passione, in PINTO F., a cura di, La memoria del parco. Il parco della memoria, BARI: Progedit (ITALY)

“dogma della immacolata osservazione”16

, e che, dunque, hanno condotto la ricerca scientifica al

salto “dalla dicotomia osservatore/campo” verso la “connessione osservatore-nel-campo”17

: “tutto

ciò che è osservato nella realtà sociale è osservato da qualcuno che si trova a sua volta inserito in

relazioni sociali e in rapporto al campo che osserva”18

.

Pertanto, il ricercatore, poiché è parte – e non super partes – della realtà che va a studiare,

non può far nulla per sottrarsi alla sua materialità, alla sua implicazione, alla sua incidenza: non solo

parlando ma, anche restando in assoluto silenzio, soltanto il “semplice” osservare implica un

intervento nella realtà.

Questa consapevolezza – che nelle scienze naturali si è tradotta nella concezione

probabilistica della realtà e nello studio dei sistemi caotici e delle regole “fuzzy”19

- permette ai

ricercatori ed agli scienziati di sottrarsi al rischio di quella che Bateson definiva “follia

epistemologica” , da lui considerata una vera e propria patologia umana, e che egli, appunto,

identificava in una serie di “errori epistemologici” tra cui emergeva, in primis, la fiducia

nell’oggettività.20

All’ego cartesiano dunque, fideisticamente e dogmaticamente devoto alla visione

matematica – galileiana e newtoniana - della realtà, davanti all’evidenza quantistica – circa

l’inclusione dell’osservatore nella sua osservazione - , non resta che riconoscere che la sua pretesa

di una visione oggettiva della realtà gli è costitutivamente impossibile: egli non è spectator mundi

ma parte di quello stesso mondo che vuole descrivere ed osservare, tanto da poter affermare che,

sempre, ogni qualvolta, sta descrivendo il mondo e l’altro, sta, piuttosto, descrivendo se stesso: o,

meglio, la sua relazione con esso21

.

Ogni conoscenza è dunque, relazione.

E non esiste osservazione, neppure quella governata dai più rigidi protocolli, che non sia

“carica di teoria” (theory ladeness)22

: già dalla Krisis di Husserl invero, e poi fino per Einstein ed

Heisenberg, la visione ingenua – o “folle”, come la definiva Bateson, di una realtà conoscibile

oggettivamente, a prescindere dalla corporeità (Husserl), dalla singolarità biologica (Maturana,

Varela), storica (Kuhn, Ceruti) e passionale (Polanyi) di chi la conosce, ha da apprendere che, suo

malgrado, non esistono uno spazio ed un tempo neutri ed absoluti nei quali si possa guardare e

Torino, 2008; MACCONE L., SALASNICH L., Fisica moderna. Meccanica quantistica, caos e sistemi complessi , Carocci,

Roma, 2008; TARSITANI C., Dalla fisica classica alla fisica quantistica, Editori Riuniti, Roma, 2009 16 Cfr. KUHN T., La tensione essenziale. Cambiamenti e continuità nella scienza , Einaudi, Torino, 1985

17 MELUCCI A., op. cit., pag. 22

18 IVI, pp. 22-23

19 Cfr. : PRIGOGINE I., Le leggi del caos, Laterza, Roma-Bari 1994; GLEICK J., Caos, Sansoni, Milano, 1997;

GIVIGLIANO A., Teorema di Gödel, Logica Fuzzy, Pensiero Complesso:una lettura metodologica, Quaderni del C.S.S.

"A. Grandi", Livorno 1999; KOSKO B., Il fuzzy-pensiero. Teoria e applicazioni della logica fuzzy, Baldini & Castoldi,

Milano, 2000; VERONESI M. , VISIOLI A., Logica Fuzzy. Fondamenti teorici e applicazioni pratiche, Franco Angeli,

Milano, 2004 20

Cfr.: BATESON G., op. cit., 1993 21

Cfr.: CERUTI M., La danza che crea. Evoluzione e cognizione nell'epistemologia genetica, Feltrinelli,

Milano, 1989; CERUTI M., a cura di, Evoluzione e conoscenza, Lubrina, Bergamo, 1992; CERUTI M., a cura di, Il caso e

la libertà, Laterza, Roma-Bari, 1994 22

Cfr.: KUHN T., La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 1962; HANSON N.R., I modelli

della scoperta scientifica. Ricerca sui fondamenti concettuali della scienza, Feltrinelli, Milano, 1978; FEYERABEND P., I

limiti della ragione, Il Saggiatore, Milano, 1983; POLANYI M., La conoscenza personale. Verso una filosofia post-

critica, Rusconi Libri, 1990.

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1. SCARDICCHIO A.C. (2011), La formazione dei ricercatori. Tra metodo, debolezza e passione, in PINTO F., a cura di, La memoria del parco. Il parco della memoria, BARI: Progedit (ITALY)

conoscere il reale senza contaminazione alcuna: senza l’implicazione ed il coinvolgimento della

soggettività umana che è ininterrottamente fertile in interpretazioni.

La conoscenza è observer dependent (von Foerster), il guardato è intriso di chi lo guarda -

la neutralità non ci appartiene costitutivamente, l’assolutezza ci è preclusa biologicamente - e,

soprattutto, la conoscenza è embodied, incarnata23

. Al punto tale da poter essere sempre connotata –

e pur negli ambiti apparentemente più algidi della ricerca scientifica nel campo delle scienze

naturali - come “appassionata”:

“In ogni atto di conoscenza entra un contributo appassionato della persona che

conosce ciò che viene conosciuto e (…) questa componente non è un’imperfezione

bensì un fattore vitale della conoscenza”24

“La scienza viene considerata come oggettivamente fondata a dispetto delle sue

origini imbevute di emozionalità. Da questo momento dovrebbe essere chiaro che non

sono d'accordo con una tale convinzione; adesso sono giunto al punto in cui devo

parlare esplicitamente della passione che è presente nella scienza. Desidero mostrare

che le passioni scientifiche non sono affatto prodotti secondari puramente psicologici,

ma hanno una funzione logica che contribuisce con un elemento essenziale alla

costituzione della scienza.(…).

Le teorie del metodo scientifico che cercano di spiegare la determinazione della verità

scientifica mediante un procedimento formale puramente oggettivo, sono destinate al

fallimento. Ogni processo di ricerca che non sia guidato da passioni intellettive si

dissolve inevitabilmente in un deserto di banalità.”25

Michael Polanyi

Michael Polanyi era chimico e fisico: paradossalmente, difatti, gli approdi che hanno

rivoluzionato le fissità del Metodo “Forte” della Scienza Moderna sono giunti proprio dalle Scienze

naturali26

e non da quelle sociali - che nel frattempo dalle prime mutuavano il modello per fondare i

propri statuti epistemologici su paradigmi positivistici, adottati come inossidabili evidenze - :

proprio dalla fisica e dalla matematica e dalla geometria sono giunte quelle confessioni di

irrisolutezza che insegnano a chiunque si accinga a disegnare e realizzare una ricerca empirica,

23 VARELA F. J. THOMPSON E. , ROSCH, E., La via di mezzo della conoscenza. Le scienze cognitive alla prova

dell’esperienza, Feltrinelli, Milano, 1992; MATURANA H., VARELA F., Macchine ed esseri viventi. L'autopoiesi e

l'organizzazione biologica, Astrolabio, Roma, 1992.

24 POLANYI M., op. cit, pag.70

25 IVI, pag. 248- 252

26 Cfr.: HEISENBERG W. , BORN M., SCHRODINGER E., AUGER P., Discussione sulla fisica moderna, Einaudi,

Torino, 1959; HOFSTADTER D.R. , Godel, Escher, Bach: un'Eterna Ghirlanda Brillante , Adelphi, Milano, 1984;

LUDOVICO A., Effetto Heisenberg. La rivoluzione scientifica che ha cambiato la storia, Armando, Roma, 2001;

LINDLEY D., Einstein, Heisenberg, Bohr e il principio di indeterminazione, Einaudi, Torino, 2007; BERTO F., 2007,

Logica da zero a Gödel, Laterza, Roma-Bari, 2007.

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anche in educazione, che non è possibile dirsi ricercatori se non nella consapevolezza di una forma

debole27

, senza presunzione di definire-prevedere-controllare qualsivoglia fenomeno28

, assumendo,

indi, innanzitutto l’habitus interiore dell’ errante: appunto, ricercatore.

Questo limite della conoscenza umana, lungi dal configurarsi come una rinuncia, implica

altresì una sua risemantizzazione, un mutamento di paradigma non un impoverimento:

“Non dovremmo consentire all’imperfezione della nostra comprensione di alimentare la

nostra ansia e di aumentare così il bisogno di controllo. I nostri studi potrebbero piuttosto ispirarsi

ad una motivazione più antica, anche se oggi appare meno rispettabile: la curiosità per il mondo di

cui facciamo parte. La ricompensa per questo lavoro non è il potere ma la bellezza. ”

Gregory Bateson29

3. L’OPZIONE PER LA RICERCA AUTOBIOGRAFICA: TRA PARACADUTISTI

E CERCATORI DI TARTUFI

Nel campo della ricerca in educazione assume una rilevanza molto particolare l’utilizzo

dell’approccio autobiografico quale metodologia di ricerca. Esso infatti, implica, per la natura stessa

del metodo - e della filosofia che lo sottende – che ogni ricerca sì configurata non si esaurisca nella

mera raccolta dei dati e dunque, non si sostanzi nel perseguimento della sola valenza conoscitiva:

poiché l’utilizzo delle storie di vita implica inequivocabilmente un cambiamento in chi narra, in chi

ascolta ed in chi raccoglie le storie ne risulta che, accanto alla funzionalità conoscitiva, sempre esso

ne consegua una anche formativa.

Possiamo dunque, sostenere che la scelta di questo tipo di percorso nei disegni empirici della

ricerca pedagogica implichi necessariamente una scelta di formazione, non solo di descrizione. Una

scelta pedagogica per tutti gli attori del processo - per i ricercatori così come per i soggetti della

ricerca - e per il contesto: una scelta di cambiamento che nasce e muove proprio dalla possibilità -

così offerta di comprendere “sentendo il polso” ”30

persone, contesti e relazioni e, anche, processi

e teorie, modelli e weltaschaung dei ricercatori.

E dunque, una tale competenza non asserisce unicamente al curriculum definibile dai soli

titoli accademici per un Ricercatore: il “progetto di ricerca” non è solo quello confezionato

scientificamente per le riviste e l’alveo dotto e ristretto della cultura universitaria, ma anche, ed in

particolare, ogni progetto che, poiché educativo - cioè avente come obiettivo il cambiamento -

parta non da una risposta ma da una domanda alla realtà ed, in primis, a se stessi rispetto a quella

realtà.

E dunque questo modus è il primum requisito “scientifico” della ricerca, come

dell’educazione, dello scienziato come dell’educatore, e dell’educatore come di ogni persona che è

soggetto di una ricerca e che, dunque, proprio per questo è “in formazione”.

Ogni volta che un intervistato partecipa ad una ricerca autobiografica, l’atto del suo

raccontare sorvola la mera produzione di dati e giunge inevitabilmente a connotarsi

normativamente: nella misura in cui il narrarsi fa crescere in autoconoscenza, intesa come

consapevolezza, conferimento di nessi, appropriazione della propria storia. Ei allora qui possibile

27

Cfr. BERTOLDI F., Ipotesi epistemologiche sulla sperimentazione, in “Pedagogia e vita”, n.3/1994 28

Cfr. FRABBONI F., PINTO MINERVA F., op. cit. 29

BATESON G., op. cit., 1993 pag. 32. 30

La metafora, di Keats, è ripresa in TURNER V., Dal rito al teatro, Il Mulino, Bologna, pag. 180.

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testimoniare come l’esperienza del narrare in questa ricerca si sia manifestata come momento

formativo, nella misura in cui, con la Formenti, riconosciamo alla narrazione autobiografica “potere

auto-formativo”31

: ovvero generatore di apprendimento e cambiamento, laddove la consapevolezza

generata, che in questo “metodo” trova la sua via privilegiata, fa della memoria e della narrazione

“il terreno su cui può cimentarsi la difficile impresa socratica del “conosci te stesso” ” 32

, nella

misura in cui “imparare a raccontare (a se stessi prima che agli altri), confidando sulla complicità

di un ascolto fluttuante e non giudicante …è fondamentalmente imparare a conversare con se

stessi...”33

.

Ne deriva, allora, che ogni soggetto intervistato per noi è stato più ed altro che parte di un

campione la cui rilevanza si giudica secondo fini statistici: egli ed ella sono stati considerati

innanzitutto come destinatari ed, insieme, essi stessi, erogatori di un intervento educativo: nella

misura in cui la condivisione della loro memoria diventa apprendimento per chi la riceve.

Per questo, anche quando anche un racconto autobiografico è considerato statisticamente

non valido, avendo apportato informazioni non sulla media ma solo su uno, e non essendo quindi

rappresentativo, generalizzabile, ripetibile, ecc...., il ricercatore - pedagogista ed educatore - non

valuta mai la sua ricerca inutile ed improduttiva, se questa è stata educativa: se, dunque, egli avrà

saputo cogliere della sua professionalità l’essere sempre educatore, anche nella veste del

ricercatore.

La connotazione squisitamente formativa della ricerca empirica in educazione dunque,

risemantizza anche la stessa aspirazione alla generalizzazione, a cui ambisce da sempre ogni esito

della ricerca sperimentale in strictu sensu, intesa come sovrano criterio di valutazione del merito di

una attività scientifica sul campo: queste memorie raccolte sono le memorie del Parco del Gargano,

le memorie di Maria, Carmela, Giuseppina, forse non estendibili al di fuori di smagriti confini, ma

anche, proprio perché non generalizzabili, particolarmente significative perché, con l’espressione di

Mounier, sono “ininventariabili”:

“Un’obiezione ricorrente che si muove all’uso delle storie di vita come

metodologia scientifica riguarda soprattutto la misurabilità del dato qualitativo, non

facilmente traducibile in termini numerici statisticamente elaborabili. Opera così una

sorta di “terrorismo metodologico” che mette in guardia di fronte alla scientificità

dell’elemento frammentario, isolato, singolare, non catalogato entro le categorie

predisposte secondo precisi items. Tale atteggiamento di riserva nei confronti di una

metodologia come la storia di vita manifesta in realtà una presunzione di legittimità

per l’unico criterio di riferimento campione: il sacro ètalon fatto di cifre percentuali,

scarti quadratici medi, coefficienti di correlazione. Con quest’ottica si ritiene di

soppesare anche valori e attività, ricompense e problemi, sempre con misure

quantitative. Il problema visto in una simile prospettiva è davvero mal posto, giacché

perpetua una dicotomia che è solo apparente e che produce come effetto immediato la

segmentazione dell’individuo sociale, costretto a perdere la sua fondamentale unità

biologica e comportamentale. La scorporazione del numericamente quantificabile dà

luogo ad un’ipertrofia dell’appariscente, lasciando invece in ombra gli stessi fattori

che tale evidenza superficiale hanno prodotto. In realtà aspetti qualitativi e

31

Cfr.: FORMENTI L., La storia che educa: contesti, metodi, procedure dell’autobiografia educativa, in

Adultità, n. 4/1996. 32

SMORTI A., Costruzione delle storie costruzione di sé, in Adultità, , n. 4/1996, pag. 71 33

GAMELLI I., , A scuola con la propria storia, in Adultità, , n. 4/1996, pag. 125

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1. SCARDICCHIO A.C. (2011), La formazione dei ricercatori. Tra metodo, debolezza e passione, in PINTO F., a cura di, La memoria del parco. Il parco della memoria, BARI: Progedit (ITALY)

quantitativi sono inestricabilmente connessi tra loro, sicché la contrapposizione che

caratterizza l’attuale dibattito metodologico è fasulla...”34

Quale rilevanza ci chiediamo dunque, in termini di governance della ricerca accademica che

oggi più che mai deve rispondere a criteri di internazionalizzazione, può avere una ricerca sì

contestualizzata?

La medesima delle ricerche – e si perdoni l’ardito accostamento – delle ricerche di Bateson

sulla popolazione di Bali: ci sono parti che raccontano qualcosa sul tutto, ambiti dell’umano che ci

erudiscono sull’umano intero, per uguaglianze e per differenze..laddove l’universalizzazione dei

risultati non risiede nella loro possibilità di standardizzazione ma nel riconoscimento di un “umano”

che, ininterrotto, riscontriamo empiricamente nell’universalità di ogni particolare e che ciò è che ci

fa cogliere una laica trascendenza pur nella molteplicità di ogni umana immanenza: e che è il senso

della “ecologia della conoscenza” a cui Bateson ha dedicato una vita intera35

.

E dunque, sostenere la “valenza anche universale del singolare non comporta un

confinamento nel soggettivismo assoluto”36

: poiché persino una biografia soltanto…non racconta

la storia di una sola vita: essa narra infatti, non solo di chi la scrive ma anche di tutte le persone che

chi scrive ha incontrato: poiché “è dal microcosmo che si intravede il macrocosmo”.37

Nella sua creativa analisi metaforica, Stone38

definisce “paracadutisti” i ricercatori – nello

specifico egli si riferisce agli storici - che leggono i fatti alla luce di ipotesi macro e teorie generali e

che dunque, “scendono dalle nuvole e non sempre toccano il suolo”39

; ed altresì, identifica come

“cercatori di tartufi” i ricercatori appassionati del micro, che cercano i particolari e che quindi

“stanno col grugno a terra”40

: a noi piace pensare ad un ricercatore, pedagogista ed educatore, che

sia competente nelle questioni di cielo ed in quelle di terra, che sappia alzare lo sguardo ed, anche,

abbassarlo.

4. ERMENUTICHE: DELLA VERITA’ E DEL METODO

Riflettendo intorno alla ricerca pedagogica condotta col metodo autobiografico, che

configura come così delicati e pregnanti il momento della raccolta dei dati ed il momento della

analisi degli stessi – che, diversamente dalla ricerca nelle scienze naturali, si configurano entrambi

come momento di incontro, di relazione – ci sembra di poter e dover riprendere le osservazioni che

Ricoeur41

ha condiviso a proposito della relazione tra verità e metodo esplicitata da Gadamer42

.

34

Cfr. CIPRIANI R., Introduzione, in ID., a cura di, La metodologia delle storie di vita. Dall’autobiografia alla

life history, Ed. Euroma- La Goliardica, Roma., pp. 24-25

35 Cfr. nota 13.

36 “...Il dato biografico non ha mai in effetti un contenuto solamente personale, ma ha dei punti di aggancio

pure nella comunità locale e nella società più vasta”, CIPRIANI R., op. cit., pag. 21 37

IVI, pag. 26 38

Cfr.: STONE L., The past and the present, Routledge & Kegan; Boston, 1981 39

FERRAROTTI F., L’Italia tra storia e memoria. Appartenenza e identità, Donzelli, Roma, 1998, pag. 48 40

IBIDEM. 41

Cfr.: RICOEUR P., Dal testo all'azione: saggi di ermeneutica, Jaka Book, Milano, 2004 42

GADAMER, H. G. , Verità e metodo , Bompiani, Milano, 1990

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1. SCARDICCHIO A.C. (2011), La formazione dei ricercatori. Tra metodo, debolezza e passione, in PINTO F., a cura di, La memoria del parco. Il parco della memoria, BARI: Progedit (ITALY)

Egli è giunto persino a sostenere che, considerata la visione gadameriana, forse sarebbe stato

più opportuno intitolare l’autorevole saggio “Verità o metodo”: ciò che Ricoeur non accetta è la

contrapposizione tra spiegazione e comprensione che Gadamer pone come autoescludentesi, al

punto tale da ritenere la verità extrametodica, cioè impossibilitata a percorrere le procedure di

metodo che per lui è solo quello delle scienze naturali nella loro accezione forte, propria della

modernità: per Gadamer epistemologia ed ermeneutica sono, pertanto, linguaggi irriducibilmente

diversi, un po’ come linguaggio scientifico e linguaggio narrativo in Bruner43

: due diverse modalità

di accedere al mondo ed a se stessi.

La riflessione intorno alle possibilità di incontro e non di autoesclusione tra verità e metodo

riteniamo assuma una connotazione precipua anche intorno proprio ai discorsi sulla ricerca empirica

in educazione: laddove si risemantizzino problematicisticamente le stesse espressioni di verità e di

metodo.

Laddove allora, la verità non sia religiosamente – nel senso di assolutisticamente – intesa ma

dalle lezioni della postmodernità – da Husserl a Godel - , sia intesa come continua approssimazione,

come processo e non come stato: laddove proprio dalle scienze esatte, e dalla fisica, invero quella

quantistica, abbiamo appreso che perturbazione, flessibilità e mutamento non sono sinonimi di

relativismo ma equivalenti di creatività e vita44

.

Verità fuzzy che non per questo ci rinnovi il peso della caducità e della fugacità e

dell’esistere umano. Verità che proprio nell’imprescindibilità della soggettività sappia

approssimarsi ad una oggettività fatta non di regolarità e leggi ma di condivisione, comunione,

trascendenza nell’immanenza: intersoggettività nell’elaborazione husserliana45

.

E laddove anche il metodo non sia più, cartesianamente, il protocollo deduttivamente

stabilito che diventa programma e procedura standardizzata come una monade inaccessibile

dall’esterno, ove lo scarto dal previsto è errore sia solo deviazione dalla norma, ma laddove la

scientificità sia garantita da un meta metodo : l’interrogazione continua.

Poiché il metodo è antimetodo quando voglia farsi teleologia ed ontologia.

E poiché, a lezione dall’anarchismo metodologico46

, abbiamo appreso che non esiste metodo

in sé che sia garanzia di scientificità..

La garanzia della scienza è la sua procedura di autocorrezione, intesa non tanto e non

soltanto popperianemente ma, anche e soprattutto, come possibilità di autoconoscenza, da parte di

chi ricerca, della propria epistemologia implicta47

, spesso inespressa48

e, dunque, per questo,

pericolosa49

: la soggettività dell’epistemologia imprescindibile di ognuno richiede allora, con le

parole di Bruner, il “prendere coscienza, in primo luogo, del nostro processo di formulazione della

conoscenza, e inoltre di divenire quanto più possibile consci dei valori che sono responsabili del

43

Cfr. BRUNER J., La mente a più dimensioni, Laterza, Roma-Bari, 1993, pag. 75. 44

Cfr. bibliografie note 11,12,13 e 14 45

Cfr. HUSSERL E., op. cit 46

Cfr. FEYERABEND P., Dialogo sul metodo, Laterza, Roma- Bari , 1989 47

Cfr.: CERUTI M., Epistemologie implicite, in MASSA R., CERIOLI L., a cura di, Sottobanco. Le dimensioni

nascoste della vita scolastica, Franco Angeli, Milano, 1999 48

Cfr.: POLANYI M., The tacit dimension, Routledge & Kegan Paul, London, 1966

49 Cfr.: FEYERABEND P., op.cit. ; BATESON G., op. cit., 1993

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1. SCARDICCHIO A.C. (2011), La formazione dei ricercatori. Tra metodo, debolezza e passione, in PINTO F., a cura di, La memoria del parco. Il parco della memoria, BARI: Progedit (ITALY)

nostro modo di vedere”50

: riconoscere che poiché anche il metodo, come l’epistemologia di un

ricercatore, è sempre biograficamente connotato, allora a fondamento della competenza

metodologica ne occorre una epistemologica: “pensare i presupposti del pensare”51

.

La verità senza metodo è folle ed il metodo senza la verità è sterile: l’una necessita dell’altro

ed entrambi necessitano della capacità del ricercatore di guardarsi allo specchio, non solo di

guardare fuori: l’aspirazione alla attendibilità e validità della ricerca, dunque, richiederà al

ricercatore l’impegno costante nella metavalutazione dei propri processi cognitivi ed emotivi, delle

proprie modalità di gestione del protocollo e di implementazione delle procedure della ricerca: un

impegnativo self-assestment, insieme al research-assestment.

A tal fine, riprendendo le sollecitazioni di Swartz e Perkins52

, possiamo identificare taluni

passaggi cruciali di meta analisi della ricerca e, soprattutto, del ricercatore:

1. Consapevolezza che si fa un uso tacito delle proprie procedure di pensiero: ove non si sia in

grado di identificare ed esplicitare il proprio stile cognitivo e la propria rappresentazione del

mondo, di se stessi, della propria professione ed anche: dell’oggetto della ricerca, delle

metodologie scelte e delle motivazioni, anche “scientifiche” per le quali esse, e non altre, sono

state scelte;

2. Autoconoscenza di quale tipo di procedura cognitiva ed emotiva si mette in atto in

situazione scientifica;

3. Consapevolezza strategica: ri-conosciute le proprie procedure cognitive ed emotive le si

organizza strategicamente, in modo da trasformarle da “limite” (ove tacite) in “risorsa” (poichè

esplicitate);

4. Consapevolezza riflessiva: il ricercatore non smette mai di fare ricerca innanzitutto su se

stesso, non per delirio narcisistico o per solipsismo ma proprio al fine di poter riconoscere che

in ogni sua analisi/intervento sulla realtà esiste una parte che gli appartiene irriducibilmente e

che riconoscerla – monitorarla e valutarla – è l’unica garanzia di veglia sulla scientificità della

ricerca.

5. FORME DELLA RICERCA SCIENTIFICA: IL DIALOGO ED IL LIBRO, IL TU

E L’IO.

“Feyerabend: Che ci vuoi fare, caro Imre: anche se è possibile esaminare

liberamente le buone idee in lettere, telefonate, fax e conversazioni conviviali, la

forma preferita dagli accademici resta quella del saggio o del libro. E qualsiasi

saggio ha un inizio, un centro e una fine. C'è un'esposizione, uno svolgimento, un

risultato. Dopodiché, l'idea è tanto chiara e ben definita quanto una farfalla morta

nella vetrina del collezionista.

50

BRUNER J., La ricerca del significato, Bollati Boringhieri, Torino, 1990, pag. 44

51MORTARI L. Ecologicamente pensando, Unicopli, Milano, 1998, pag, 171

52 Cfr. SWARTZ R.J., PERKINS D.N., Teaching Thinking: Issues and Approaches, Midwest Publications, Pacific Grove,

1990

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1. SCARDICCHIO A.C. (2011), La formazione dei ricercatori. Tra metodo, debolezza e passione, in PINTO F., a cura di, La memoria del parco. Il parco della memoria, BARI: Progedit (ITALY)

Lakatos: Platone pensava che l'abisso tra le idee e la vita potesse essere

attraversato dal ponte del dialogo — non il dialogo scritto, resoconto superficiale di

eventi passati, ma quello vivo, tra persone provenienti dalle esperienze più diverse.

Un dialogo è più rivelatore di un saggio: mostra gli effetti delle argomentazioni sia

sui profani sia sugli esperti, rende esplicita la vaghezza delle conclusioni...

Feyerabend: ... e, ciò che più conta, può indicarci la natura chimerica di

quelle che noi crediamo siano le parti più solide della nostra esistenza. Con questo

siamo già in argomento: vorrei parlare dell'abisso tra le varie immagini della scienza

e la "cosa reale". Osservando il distacco tra realtà scientifica e "castelli in aria"

epistemologici, non riesco a evitare l'impressione che questi ultimi abbiano qualcosa

in comune con le malattie mentali: un carattere di tali disturbi è la tendenza del

malato a staccarsi sempre più dalla realtà.”53

Il dialogo colma l’abisso tra le idee e la vita: la scelta autobiografica per colmare lo iato tra

ricerca teoretica e mondo empirico.

L’approccio biografico è, per antonomasia, metodologia di ricerca scientifica fondata sul

dialogo e sull’apologia, anziché sulla negazione, dell’idiografico, del micro, del soggettivo: poiché

esso

“implica uno statuto epistemologico all’interno del quale la soggettività non è un

elemento da neutralizzare a vantaggio dell’oggettività, ma nel quale, piuttosto, la

soggettività e l’intersoggettività sono le categorie dalle quali partire nel processo di

comprensione e di intervento rispetto all’esperienza e all’esperire”.54

“Il condizionamento esercitato dal ricercatore su colui che osserva non è una novità.

Al contrario, l’ “effetto ricercatore” è fonte delle maggiori difficoltà epistemologiche

delle scienze sociali. E del resto anche le scienze della natura non ne sono del tutto

immuni. Tuttavia – eco l’elemento di novità - nel metodo biografico l’intersoggettività

permea a tal punto i dati raccolti da dissolversi in quanto problema. essa non è più un

ostacolo, ma il locus della conoscenza.

Risiede qui la “specificità” dei materiali biografici: nell’impossibilità di mantenersi

nemmeno idealmente fedeli alle prescrizioni di un metodo scientifico fondato sul

concetto classico di oggettività”.55

Le interviste biografiche sono eventi autobiografici: eventi che sono relazioni, relazioni che

a paso doble di parole e di gesti e di sguardi dimostrano quanto teorizzato dalla Ong56

: l'oralità non

produce meramente testi ma vere e proprie perfomances e, dunque, con esse, transazioni simboliche

e corporee, slatentizza e comunica significati, visioni del mondo, epistemologie, emozioni e vissuti.

53

MOTTERLINI M., a cura di, Sull’orlo della scienza. Imre Lakatos, Paul K. : Pro e contro il metodo, Cortina,

Milano, 1995 54

GRANA M.,La presenza assente. La produzione di significati nella relazione educativa., in “Animazione

Sociale”, n. 12/1996, pag. 360. 55

C. CORRADI, Storie di vita: intersoggetività in prassi, in: CIPRIANI R., a cura di, op. cit., pag. 203. Corsivi,

tranne l’ultimo, nostri 56

Cfr. ONG W., Oralità e scrittura, Il Mulino, Bologna 1986

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1. SCARDICCHIO A.C. (2011), La formazione dei ricercatori. Tra metodo, debolezza e passione, in PINTO F., a cura di, La memoria del parco. Il parco della memoria, BARI: Progedit (ITALY)

Per tali ragioni, il ricercatore biografo, che sul campo ascolta e raccoglie i racconti, le storie,

le narrazioni, configura la sua professionalità anche come quella di chi deve ineluttabilmente

formarsi al divenir “esperto di parole”: parole che suscitano altre parole oltre a se stesse, parole

creatrici, feconde, floride. Competenza che noi riconosciamo come decisiva per l’educatore come

per il ricercatore in pedagogia:

“ questo spazio di parole (uno spazio locutivo continuo anche nel silenzio, nell’esercizio

interiore della parola) è il più profondo (e appunto antico) ambito pedagogico che si conosca” 57

.

Laddove però, l’essere esperto di parola non si identifichi con l’incapacità di silenzio ma,

anzi, tratteggi un pattern di competenze che sono, scrupolosamente, le medesime che la Sclavi

identifica come quelle proprie dell’ascolto58

e che è possibile riassumere in una sola macro-

metacompetenza: saper uscire dalle proprie cornici:

“Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili”

Marianella Sclavi59

6. OGNI CONOSCENZA È RELAZIONE. OGNI RICERCA È UN INCONTRO.

“Non intratur in veritate nisi per charitatem”

S. Agostino

Alla luce di tali assunti di base, possiamo dunque, in sintesi, così delineare i tratti salienti

delle procedure di ricerca implementate ed ergo, le crucialità individuate nella formazione offerta ai

giovani ricercatori rilevatori sul campo:

1. Implicazione: La consapevolezza della imprescindibilità della

relazione tra intervistatori ed intervistati e delle sue ricadute in termini

epistemologici (costruttivismo, fenomenologia, interazionismo simbolico) e

metodologici (monitoraggio continuo, team feedback, supervisione costante delle

procedure e dei processi attributivi);

2. Opzione per l’eccezione: attenzione e presa in carico dello studio degli

aspetti micro, idiografici, connotati da dimensioni di significato individuale a

culturale, dalle connotazioni cognitive ed emotive, di contro alla ricerca di

generalizzazioni totalizzanti e di regole-formule-paradigmi ipostatizzati:

predilezione per l’Ininventariabile (Mounier) vs la media ed il calcolo statistico;

3. Ricerca come relazione: l’analisi, lo sguardo, la

“misura”/interpretazione della realtà, come anche da conforto proprio della fisica

quantistica, implica una relazione: affinché, dunque, la chimica delle soggettività

non infici l’attendibilità della ricerca, imprescindibile la formazione dei

57

DEMETRIO D., L’accanimento educativo, in Animazione Sociale, 1996, n.3, pp. 15-16 58 SCLAVI M., Arte di ascoltare e mondi possibili : come si esce dalle cornici di cui siamo parte, Le vespe,

Pescara, 2000

59 IVI, pag. 115

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1. SCARDICCHIO A.C. (2011), La formazione dei ricercatori. Tra metodo, debolezza e passione, in PINTO F., a cura di, La memoria del parco. Il parco della memoria, BARI: Progedit (ITALY)

ricercatori all'ascolto inteso come esercizio di decentramento (Pinto);

4. Monitoraggio e valutazione delle epistemologie: di chi conosce, non

solo di chi è conosciuto.

Queste le core skills del ricercatore che ci permettono di sottolineare l’isomorfismo

peculiare tra formazione degli educatori e la formazione dei ricercatori in educazione: come già

altrove ribadivamo, non sono i primi esperti di azione ed i secondi esperti di teoria, e, soprattutto,

non sono i primi meri fruitori ed i secondi produttori di conoscenza che gli altri debbono

implementare. Un ricercatore in pedagogia non può sottrarsi al compito – epistemologico,

metodologico, etico – di ritenersi in primis, e contestualmente, educatore, coltivando la teleologia

propria del suo essere esperto di scienze dell’educazione; analogamente riteniamo che ogni

educatore dovrebbe apprendere del ricercatore habitus e modus, poiché il senso dell’educazione

stesso trova nella ricerca – teoretica ed empirica – metafora e metodo del suo fine ultimo:

interrogarsi, problematizzare, sostenere l’inquietudine e la crisi non come errore/distorsione da far

rientrare, ma come unica possibilità reale di apprendimento60

.

6.1. COMPETENZE DEL RICERCATORE DEBOLE

“Una volta istituita la professione di “psicologo”, sembra sia stato necessario trovare dei

modi di vedere le persone che permettessero di mantenere una soddisfacente differenza tra lo

psicologo di professione e il suo oggetto di studio, “l’organismo” .

Ma se vogliamo salire in cattedra per fare generalizzazioni sul comportamento dell’uomo,

allora tali generalizzazioni dovrebbero spiegare chiaramente il comportamento di

salire in cattedra per fare generalizzazioni sul comportamento dell’uomo”

Donald Bannister, Fay Fransella61

L’opzione costruttivistica ci rende consapevoli del limite a cui ogni conoscenza e, dunque,

ogni ricerca approda. Il carattere micro, la prelazione - antropologicamente e pedagogicamente

orientata - per la situazionalità ci rende edotti circa l’ impossibilità di credere ed affermare che i

risultati della nostra analisi corrispondano alla chiave di lettura unica, univoca ed esaustiva del reale

indagato, svincolandoci dalla presunzione di averne eliminato o ridotto l'intrinseca opacità. La

consapevolezza problematicista ci guida e ci indirizza nel controllo della iperdilatazione dell'io del

ricercatore62

e ci permette di caratterizzare gli esiti della nostra indagine con uno dei contrassegni

precipui della scienza post.-moderna: l'umiltà della “doppia ermeneutica”63

che pone costantemente

in discussione non solo l'oggetto di studio ma il ricercatore stesso, in un ininterrotto ed in

interrompibile processo di riflessività e meta analisi dei prodotti così come dei processi, e che così

promuove nel ricercatore la maieutica del Sé , per apprendere a guadarsi non solo “ intorno”64 ma,

60 Cfr. BATESON G., FOERSTER H.VON.

61 BANNISTER D. , FRANSELLA F., op cit., pp. 21-22

62 Cfr. GEERTZ C., Opere e vite. L'antropologo come autore, Il Mulino, Bologna, 1990

63 Cfr. MELUCCI A., op. cit.

64 DAL LAGO A., DE BIASI R., a cura di, op. cit., pag. XII

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1. SCARDICCHIO A.C. (2011), La formazione dei ricercatori. Tra metodo, debolezza e passione, in PINTO F., a cura di, La memoria del parco. Il parco della memoria, BARI: Progedit (ITALY)

anche, dentro, nell’ottica di quella auto-eco-conoscenza auspicata da Morin65

e nella

consapevolezza d’avere nel probabile, plausibile, possibile l’unica certezza:

“L’etica dell’essere indebolito è un’etica ecologica”66

.

6.2. UN MODELLO DI COMPETENZE PER IL RICERCATORE EMPIRICO IN

PEDAGOGIA

Thomas67

ha elaborato nel 2004 un quadro delle competenze strategiche ed imprescindibili

per qualificare l’efficacia dei ricercatori nel campo del management: benché fin’ora questo saggio

abbia tratto ispiratori piuttosto nel campo del teoretico, riteniamo che in linea con le medesime

ispirazioni, la check list che qualifica il management, che mescola conoscenze, capacità ed abilità di

livello teorico ed empirico, possa qualificare anche la ricerca empirica in educazione, laddove però,

noi la si legga come l’elenco dei requisiti necessari ma non sufficienti per il ricercatore in

pedagogia:

REQUISITI DI CONOSCENZA, CAPACITÀ E ABILITÀ DEI RICERCATORI EFFICACI68

Fonte: Thomas, 2004

• Conoscenza della specifica area tematica o disciplina

• Conoscenza degli argomenti di aree/ discipline collegate

• Consapevolezza dei problemi epistemologici

• Abilità di ricerca bibliografica

• Conoscenza delle strategie di impostazione e progettazione della ricerca e

capacità di applicarle

• Conoscenza dei metodi per ottenere dati qualitativi

• Conoscenza dei metodi per ottenere dati quantitativi

• Abilità nell’ottenere dati qualitativi

• Abilità nell’ottenere dati quantitativi

• Capacità di comprendere e applicare le tecniche di analisi qualitativa

• Capacità di comprendere e applicare le tecniche di analisi quantitativa

• Abilità di redazione dei testi: scrittura, sintesi, gestione dei testi

• Capacità retoriche: come creare un’argomentazione logica e persuasiva

• Abilità di presentazione orale

• Capacità di utilizzo del computer

• Capacità di pianificazione e gestione del tempo

• Capacità di lavorare efficacemente con un supervisore

• Capacità di ottenere collaborazione e sostegno da colleghi, soggetti di ricerca e

altre persone

65

MORIN E., Auto-eco-conoscenza, in CERUTI M., PRETA L., a cura di, Che cos’è la conoscenza, Laterza,

Roma-Bari, 1990 66

PRETA L., Prefazione, in CERUTI M., PRETA L.a cura di, op. cit., pag. XIV 67 THOMAS A. B., Research Skills for Management Studies, Routledge, London, 2004 68 Rielaborazione dalla traduzione italiana di G. Rebora, in : REBORA G., Ricerca senza qualità? Il caso delle

scienze aziendali e dal management, in “Liuc Papers” n. 209, Serie Economia aziendale 31, novembre 2007

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1. SCARDICCHIO A.C. (2011), La formazione dei ricercatori. Tra metodo, debolezza e passione, in PINTO F., a cura di, La memoria del parco. Il parco della memoria, BARI: Progedit (ITALY)

• Capacità di inserirsi in reti di relazioni e sviluppare contatti

• Consapevolezza degli standard: cosa determina la buona o cattiva qualità della

ricerca

• Capacità auto-critica (ma senza auto-paralizzarsi)

• Consapevolezza dei propri punti di forza e debolezza

• Abilità creativa, originalità, innovatività

• Resilienza emotiva: abilità di sostenere alti e bassi di motivazione e morale

• Resistenza: abilità di reggere l’impegno per periodi lunghi

• Abilità di problem solving,

A queste ci permettiamo di aggiungere, alla luce delle argomentazione sin qui addotte, le

seguenti altre:

• Conoscenza del dibattito sul Metodo in Filosofia della Scienza

• Conoscenza degli interstizi epistemici tra la propria disciplina ed anche quelle di

area non attigua

• Capacità di change management

• Capacità di crisis management

• Competenze comunicative e relazionali: ascolto, empatia, discrezione

• Competenze cognitive: analisi, sintesi, precisione, rigore

• Competenze meta cognitive: riflessività, decentramento, flessibilità

• Competenze educative: intenzionalità, progettualità, valutazione

A fondamento di questo pattern, l’identità salda e chiara intorno ad una opzione pedagogica

intesa come consocenza che muove all’azione, la chiara specificità della ricerca emirica in

pedagogia, che non mira alla mera analisi, né è mai paga della sola descrizione dell’umano :

“Il discorso pedagogico e quello sperimentale appaiono antitetici se si

accostano in modo superficiale. Il primo intende infatti avvalorare l’originalità e

l’unità dinamica differenziata della presenza; il secondo cerca invece di cogliere le

regolarità ed i principi generali sottesi alla varietà delle condotte e delle relazioni

umane. E’ compito della ricerca educativa superare tale dicotomia con uno sforzo

incessante di sintesi, per evitare che la scienza dell’educazione si riduca da un lato a un

discorso su modelli formativi astratti e, dall’altro, ad un empirismo di pratiche

disordinate.”

Renata Viganò

E, dunque, l’Autrice propone d’intendere la ricerca educativa “come domanda di senso

prima ancora che di conoscenza”69

: domande di senso intorno all’uomo, all’educazione, alla

conoscenza della realtà ma anche domande di senso intorno alla ricerca stessa: esprit non

esprimibile e riducibile in qualsivoglia check list o tabella, di cui, dunque, non neghiamo la

parzialità.

Esprit che corrisponde ad una risemantizzazione della scientificità stessa, batesonianamente

ispirata e che, così, si ritrovi nella apparente non-scientificità dell’esortazione di March che,

69

VIGANÒ R., Pedagogia e sperimentazione. metodi e strumenti per la ricerca educativa, Vita e Pensiero,

Milano, 1995, pag. 286

16

1. SCARDICCHIO A.C. (2011), La formazione dei ricercatori. Tra metodo, debolezza e passione, in PINTO F., a cura di, La memoria del parco. Il parco della memoria, BARI: Progedit (ITALY)

riflettendo intorno alla revisione degli obiettivi della ricerca accademica, che egli ritiene spesso

mediocre e, soprattutto, inutile, sostiene che, nel riconoscere di non poter prevedere il futuro e

governare il presente individuando regole e regolarità da standardizzare a scopo assicurativo, i

ricercatori debbano dunque apprendere a produrre piccoli frammenti di conoscenza, pezzi di un

mosaico che però, siano di qualità: qualità che egli connota ben diversamente rispetto agli standard

della quantofrenia di ispirazione laplaciana, definendo una buona ricerca come caratterizzata da :

“bellezza, rigore, persistenza, competenza, eleganza e grazia”70

James G. March

Nella medesima ottica, la proposta di una formazione dei ricercatori che sia salda

nell’epistemologia come nella metodologia e che, anche, offra la costruzione di meta competenze

(l’esprit di cui sopra) orientate ad una visione complessa della realtà, della ricerca e del ricercatore,

è orientata a superare il rischio della riduzione del ricercatore a semplice specialista, o meglio,

“iperspecialista”, così nelle parole di Chargaff, biochimico austriaco le cui ricerche sono state

fondamentali nella determinazione della struttura del DNA71

:

“poco dopo la fondazione delle scienze pure ci fu dato in dono lo specialista.

Ciascuno riceve una chiavetta d’accesso a un minuscolo ripostiglio in cantina, dove,

così gli dicono, troverà tutto quello che è necessario, per svolgere le sue ricerche. Se,

al momento in cui va via, il ripostiglio è un po’ più ingombro di prima, è un

grand’uomo (..)

Siamo così giunti all’assurdità per cui l’unica cosa profonda in una ricerca

siffatta è la tecnica. (…) si potrebbe quasi dire che oggi non ci sono più ricercatori ma

soltanto specialisti. Specialista è colui che ha ottenuto il permesso di trovare ciò che

cerca”.

Erwin Chargaff

7. “UN BUON FILOSOFO E’ ANCHE UN BUON CALZOLAIO” (ORAZIO)

OVVERO: LA PROFESSIONALITA’ DEL RICERCATORE 72

Ci sembra che la ricerca implementata abbia permesso di raggiungere una delle precipue

finalità della ricerca empirica in educazione: coniugare la teoria e la pratica, “riconciliare” il “luogo

della teoria” – L’Accademia, l’Università, il locus della Ricerca – e il “luogo della vita” – la

memoria viva e vissuta ed agita del Parco, locus della Azione -. Ma, soprattutto, ciò che di stra-

ordinario essa ha consentito, è che in essa la produzione di teoria e teorie non è avvenuta

nell’Accademia, non è stata opera degli accademici che poi l’hanno condivisa all’esterno ma ha

70

MARCH J.G., Explorations in organization, Stanford University Press, Stanford, CA, 2008, pag. 379.

Traduzione della sottoscritta. 71

CHARGAFF E., Mistero impenetrabile. La scienza come lotta pro e contro la natura, Scrinium, Catania, 1995,

pag. 184 72

Il titolo del paragrafo si ispira al titolo di un volume di Donata Fabbri, ove l'Autrice utilizza l’ aforisma

oraziano per caratterizzare la competenza del saper coniugare pensiero ed azioni propria dell’educatore: analogamente

qui si è cercato di argomentare quanto la medesima competenza sia fondamentale anche per un ricercatore. Cfr.: FABBRI

D., Un buon filosofo è anche un buon calzolaio (Orazio) ovvero: la professionalità dell’educatore, Quaderni di

aggiornamento n.4, Comune di Carpi – Assessorato alla pubblica istruzione, Carpi, 1990

17

1. SCARDICCHIO A.C. (2011), La formazione dei ricercatori. Tra metodo, debolezza e passione, in PINTO F., a cura di, La memoria del parco. Il parco della memoria, BARI: Progedit (ITALY)

altresì, seguito il movimento inverso: gli anziani del Parco sono stati produttori di teoria, narratori

e, dunque, epistemologi, a cui è stata riconosciuta dignità gnoseologica.

Epistemologo lo è ogni essere umano73

: ma di molte epistemologie si perde traccia,

memoria, persino ontologia, se esse restano inespresse, talora persino a chi le possiede, e non

legittimate.

L’ evento della ricerca vissuta ha allora permesso di non disperdere preziosi saperi che

altrimenti - non essendo mai prima d’ora trascritti - sarebbero forse diventati silenti perdendo i loro

narratori. Ma, soprattutto, l’evento della ricerca-dialogo-incontro si è trasformato in

apprendimento: per gli intervistatori e per gli intervistati. E per gli analisti-ermeneuti dei dati

raccolti. E’ stato monito e sollecitazione. Come ogni ricerca empirica in educazione: ci esorta a non

dimenticare che in quanto ricercatori dell'umano, abbiamo una responsabilità, che è sempre

educativa, nella misura in cui ad ogni nostra azione corrisponde un effetto e, insieme, un'aspettativa.

Come scriveva Bateson: poiché ci occupiamo di sistemi viventi… individualmente e

collettivamente abbiamo

“la responsabilità di un sogno, che è poi il modo di porsi di fronte alla domanda: “Che

cos’è un uomo, che può conoscere i sistemi viventi e agire su di essi, e che cosa sono questi sistemi

viventi che possono essere conosciuti?”74

E, dunque, questo sogno e questa responsabilità ci chiamano e ci implicano in quanto attori,

filosofi e calzolai, non solo pensatori e scrittori accademici, la cui qualità della ricerca possa essere

valutata non soltanto ingegneristicamente – come è ormai guisa contemporanea - ma anche e

soprattutto nella misura in cui l’Università incontri la quotidianità e la ricerca si imbatta nella vita.

E i ricercatori, di qualsivoglia settore disciplinare, possano essere “misurati” non soltanto

con la “vis compulsiva della quantità”75

: numeri, impact factor delle loro pubblicazioni ed

indicatori di efficienza delle loro performance; ma, innanzitutto, nella misura in cui essi possano

dirsi “esperti dell’umano”76

.

“Mi piacerebbe che in tutte le facoltà scientifiche si insistesse a oltranza su un punto:

ciò che farai quando eserciterai la professione può essere utile per il genere umano, o

neutro, o nocivo. (...) Non nasconderti dietro l'ipocrisia della scienza neutra: sei

abbastanza dotto da saper valutare se dall'uovo che stai covando sguscerà una colomba

o un cobra o una chimera o magari nulla”.77

Primo Levi

73

Come da bibliografia costruttivista citata in nota 11, alla quale ci permettiamo di aggiungere i riferimenti

presenti nella bibliografia finale, con particolare riferimento alle opere di Bruner ed al volume di Bannister e Fransella. 74

BATESON G., BATESON M. C., op. cit., pag. 272 75

COLOMBIS A., op. cit., pag, 216 76

L’espressione si ispira al titolo di un articolo della Ducci, cfr. DUCCI E., I veri educatori: esperti del sacro e

dell'umano, in: Jesus, n.12/1996, pag. 85

77 LEVI P., Per non covare il cobra, in ID., Opere, Einaudi, Torino, 1984, pag. 993.

18

1. SCARDICCHIO A.C. (2011), La formazione dei ricercatori. Tra metodo, debolezza e passione, in PINTO F., a cura di, La memoria del parco. Il parco della memoria, BARI: Progedit (ITALY)

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