LA FORMA DELL'ELLISSE - The shape of the ellipse

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VLADIMIRO VALERIO LA FORMA DELL'ELLISSE Estratto da: Arte e Matematica - Un sorprendente binomio Istituto Italiano per gli Studi Fi losofici - Napoli 2006 ARTE TIPOGRAFICA EDITRICE NAPOLI 2006 Le forme in natura non si presentano mai attraverso formule matematiche ma la loro comprensione è il risultato di misurazio- ni, di rilevamenti, di osservazioni, di esperienze percettive o, tal- volta, semplicemente di aspettative. Figura 1 Se ciò non fosse vero, il titolo del mio intervento sarebbe pri- vo di senso, ancor prima che privo di interesse: 1'ellisse è una par- ticolare sezione conica, (Fig. 1) definita con grande esattezza e con un gran numero di proprietà già sul finire del III secolo a.c. da Apollonio di Perge, la cui espressione algebrica moderna è data dalla formula canonica x}/a 2 + l/b 2 = 1, dove 2a e 2b sono rispet- tivamente la misura dell' asse maggiore e dell' asse minore, oppure dalla più generale espressione algebrica 2: (iJ = 1, 2, 3) a ..x. x. = O l} l J con Ma queste formule non ci sono di molto aiuto nell'affron- tare il problema della forma di una tale curva e, soprattutto, non consentono di mettere a fuoco le questioni relative alla 241

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VLADIMIRO VALERIO

LA FORMA DELL'ELLISSE

Estratto da: Arte e Matematica - Un sorprendente binomio

Istituto Italiano per gli Studi Filosofici - Napoli 2006

ARTE TIPOGRAFICA EDITRICE

NAPOLI

2006

Le forme in natura non si presentano mai attraverso formule matematiche ma la loro comprensione è il risultato di misurazio­ni, di rilevamenti, di osservazioni, di esperienze percettive o, tal­volta, semplicemente di aspettative.

Figura 1

Se ciò non fosse vero, il titolo del mio intervento sarebbe pri­vo di senso, ancor prima che privo di interesse: 1'ellisse è una par­ticolare sezione conica, (Fig. 1) definita con grande esattezza e con un gran numero di proprietà già sul finire del III secolo a.c. da Apollonio di Perge, la cui espressione algebrica moderna è data dalla formula canonica x}/a2+ l/b2 = 1, dove 2a e 2b sono rispet­tivamente la misura dell' asse maggiore e dell' asse minore, oppure dalla più generale espressione algebrica 2: (iJ = 1, 2, 3) a .. x. x. = O

l} l J

con ~<O. Ma queste formule non ci sono di molto aiuto nell'affron­

tare il problema della forma di una tale curva e, soprattutto, non consentono di mettere a fuoco le questioni relative alla

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costruzione ed alla percezione dell' ellisse: quale delle forme che sto vedendo, misurando, studiando o costruendo può soddisfare quelle condizioni matematiche? Inoltre, abituati oggi, già da qual­che lustro ormai, ad utilizzare programmi informatici capaci di graficizzare e di disegnare le più complesse espressioni matemati­che, dimentichiamo che per secoli ci siamo misurati con l'espe­rienza e con l'approssimazione delle nostre costruzioni materiali, meccaniche o manuali che fossero.

Le questioni che porrò si manifestano sia all' atto della nasci­ta di una tale curva sia all' atto della sua interpretazione, investo­no quindi sia il versante della "discovery" sia quello della "justification" (Feyerabend 1993, p. 147). Esse valgono, cioè, sia nel caso mi riferisca alla curva dell'ideatore, del descrittore o del­l'esecutore (pittore, architetto, matematico, astronomo . .. ) poi­ché dove ipotizzare, e quindi provare, quale fosse effettivamente la forma che questi immaginavano nella loro mente (problema dell'ideazione), sia a quella ottenuta attraverso misurazioni ed os­servazioni (problema dell'interpretazione o della "giustificazio­ne" per dirla con Feyrabend) . In tale secondo caso è chiaro che la questione si sposta sul terreno dell' attendibilità delle mie ope­razioni (della loro correttezza ed esattezza, ove mai ve ne fos­se una, assoluta) e su quello ancora più lubrico dell'influenza delle aspettative del misuratore sulla realtà osservata. Quin&, in entrambi i casi ("scoperta" o "interpretazione critica") ci troviamo ad affrontare non solo questioni scientifiche, o for­se, niente affatto questioni scientifiche ma fondamentalmente psicologiche ed ideologiche, che appartengono alla storia della mentalità e delle società.

"In quel tempo, quando cioè Jahwe dette gli Amorriti in ba­lia dei figli d'Israele, Giosuè parlò a J ahwe, esprimendosi così alla presenza d'Israele: 'O sole, fermati su Ghibeon, e tu, o luna, nella valle di Ajjalon'. E il sole si fermò, e la luna ristette, finché il popolo si fu vendicato dei suoi nemici" (Giosuè lO, 12-13). Quando nella Bibbia leggiamo la famosa frase proferi­ta da Giosuè "o sole fermati", il cui risultato fu che "il sole si fermò, e la luna ristette" non è detto che quella storia sia una pura fantasticheria soltanto perché noi sappiamo che non è il

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sole che gira intorno alla terra ma è l'esatto contrario. La sto­ria potreb be essere andata così: Giosuè esclamò" o sole fer­mati", e ... "la terra si fermò". Il potere di Dio era tale da rendere il risultato egualmente perseguito, pure nell'igno­ranza dell' effettivo movimento dei corpi celesti e nell' as­soluta inconsapevolezza da parte di Giosuè di quanto fos­se realmente accaduto. Giosuè riteneva che fosse stato il sole a fermarsi ma Dio, che sapeva, aveva fermato la terra.

Con questa breve storia usata sotto forma di parabola (ancora una conica!) ci inoltriamo in un altro ambito di valutazione negli studi storici, che è quello della consape­volezza, oggetto di alcune delle. più interessanti tesi del già ricordato Feyerabend (Feyerabend 1993) e da me già ri­prese in un lavoro sulla geometria proiettiva nel mondo antico (Valerio 1998): non è sufficiente che qualcosa acca­da o che si realizzi perché vi sia consapevolezza di ciò che stiamo facendo, osservando e vivendo. A tale proposito c'è una frase molto significativa di Charles Singer in un capi­tolo su Keplero - che poi rientrerà come personaggio emblematico in uno degli esempi di cui tratterò - che vor­rei riproporre: "Qualunque cosa possa essere la realtà, sem­bra che noi 'siamo fatti in maniera tale da tendere ad un'inter­pretazione dell'universo che tenga tutto insieme in uno sche­ma completo e ragionevole. Il fatto che noi aspiriamo a que­sto non vuoI dire affatto che tale schema corrisponda alla realtà" (Singer 1959, p. 239) .

Fatte queste poche premesse, non vorrei spostare ulte­riormente il discorso su un terreno teorico e astratto, di pura storia della mentalità, pertanto presenterò alcune con­siderazioni e tratterò esempi estremamente concreti di ellissi di~pettose, difettose, che soffrono delle preoccupa­zioni dell' osservatore e che fanno soffrire lo studioso che le vuole trattare, a volte anche uomini attenti come Piero della Francesca, Diirer o Keplero . Non è una trattazione esaustiva né vuole esseremanualistica ma vuole solo forni­re uno stimolo a vedere le cose da differenti e contrastanti punti di vista.

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1. Ellisse ad occhio (Euclide) Euclide è il primo che descrive 1'apparente deformazione del

cerchio quando il nostro sguardo è posto in posizione particolare rispetto al piano del cerchio osservato; nella proposizione XXXV dell'Ottica egli asserisce che "Se la retta di congiunzione tirata dall' occhio al centro del cerchio non forma un angolo retto con il piano del cerchio .. . i diametri con i quali questa retta forma angoli diseguali appaiono diseguali" (Euclide, Ottica, prop. XXXV). Nella successiva proposizione il geometra alessandrino fornisce un esempio, potremmo dire, figurativo di tale fenomeno percettivo allorché stabilisce che "Le ruote dei carri possono ap­parire tanto circolari quanto oblunghe" e ne fornisce un' accurata dimostrazione-spiegazione: "Se la retta di congiunzione tirata dall' occhio al centro [del cerchio] è ad angolo retto rispetto al piano, ... , tutti i diametri appaiono eguali; di modo che la ruota appare circolare. Ma se la retta di congiunzione tirata dall' occhio al centro non forma angoli retti col piano, . .. , i diametri appaiono diseguali, uno essendo il più grande l'altro essendo il più picco­lo" (Euclide, Ottica, prop. XXXVI). Questi due diametri altro non sono che il diametro maggiore e minore della curva nella quale si trasforma il cerchio percepito, ma qual è questa curva secondo Euclide: "tra tutti i diametri che si possono tracciare tra

. il più grande ed il più piccolo - continua Euclide nella stessa pro­posizione - uno solo sarà visto eguale ad un altro, tirato simme­tricamente da ogni lato, in modo che la ruota, appaia oblunga" .Il cerchio, per Euclide, viene.percepito come una curva oblunga e simmetrica: l'ellisse ad occhio, appunto, e come tale viene rap­presentato nelle pitture vascolari che raffigurano carri di profilo.

La ruota è rappresentata circolare, quindi frontale, in gran parte delle opere figurative dell' antico Egitto, della cultura Micenea e di quella Assira, come tale appare ad esempio in una pittura tombale del nuovo Regno (c. 1400 a.c.), in un vaso Miceneo (XIII sec. a. C.) ed in un rilievo Assiro (IX sec. a.c.) riprodotti da Gisela Richter (Richter 1970, figg. 4, 20, 23). Anco­ra nel periodo arcaico e orientalizzante (VIII-VI sec. a. C.) i cer­chi (scudi di guerrieri, ruote di carri) sono visti frontalmente, pri­vi di scorcio (Fig. 2).

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54. DrawÌl1g -after the Françoi$ vase in FI(lrCIl(C

Figura 2

Solo a partire dal V secolo a.C.appaiono nella caratteri­stica forma "oblunga", con i diametri diseguali; uno splendi­do esempio lo si ritrova in un cratere a volute del IV secolo a. C. (Fig. 3) conservato nel Museo di Villa Giulia (Richter 1970, fig. 163 ) .

Figura 3

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2. Ellisse ad ogni costo (A nfiteatrz) I rilevamenti degli anfiteatri romani sono un buon banco

di prova per dimostrare , ove mai ce ne fosse ancora biso­gno, quanto ingombrante sia l 'influenza dell'osservatore sulle osservazioni e la sua "presunzione ", che va ben al di là della tecnologia e della qualità degli strumenti messi in cam­po. La predeterminazione della forma sembra guidare le misurazioni verso la figura desiderata.

"La pianta del Colosseo ha forma ellittica , come risulta da un semplice sguardo alla planimetria allegata ", è questo l 'incipit di un lungo articolo sul rilievo fotogrammetrico del Colosseo che ha visto impegnato il Dipartimento di Idraulica, Area Topografia, dell 'Università di Roma, nei primi anni '80 del secolo scorso, (Birardi, et alii 1988, p. 94) . Purtroppo, fin dall 'inizio del lavoro, ed anche in fase di elaborazione dei dati , era evidente da parte degli operatori che bisognava ricercare l'ellisse che governava la forma dell ' anfiteatro Flavio; si trattava, in sostan­za' di una semplice "verifica delle ipotesi" (Ibidem, p. 95) . Difatti , dopo avere impiantato "una rete trigonometrica di in­quadramento circostante il Colosseo " ed avere determinato "con l'appoggio a tale rete una serie di punti del paramento" si è giunti alla " determinazione, con la tecnica dei minimi qua­drati , di una ellisse di best-fit su tutti i punti suddetti " (Ibidem, p. 97) . Recenti rilevamenti effettuati dal Dipartimento di Rap­presentazione e Rilievo dell'Architettura di Roma La Sapien­za, hanno dimostrato che, a seconda delle "aspettative" dei diversi ricercatori , la curva dell' arena è di forma ovale a quat­tro centri, oppure di forma ellittica o di forma policentrica ad infiniti centri per assimilare l'ovale all' ellisse in quanto que­st 'ultima curva risponderebbe ad "una precisa esigenza dello spirito" (Disegnare 1999, p. 99): è evidente che quando la misti­ca entra nella ricerca la ragione non può che uscirne.

D'altronde, come ben sa chiunque abbia un po ' di dime­stichezza con policentriche ed ellissi, la differenza tra le due curve, sotto certe condizioni, è minima (Rosin 2001, pp. 66-68) ed in alcuni punti le due curve addirittura coinci­dono (Fig. 4).

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Figura 4

Certo una delle proposizioni della Expositio et Ratio Omnium Formarum di Balbo, agrimensore di età traianea è molto chiara , sebbene in via indiretta, circa la forma degli an­fiteatri: "ex pluribus circulis forma sine angulo, ut arenae ex quattuor circulis" (prop. V, 9), cioè "figure senza angolo for­mate da parecchi cerchi, come le arene formate da quattro cerchi" (parzialmente citato in WilsonJones 1993, p. 396; cfr. Guillaumin 1996, p. 73). Questa frase avrebbe dovuto far quantomeno riflettere sulla vera forma di queste strutture architettoniche, ove non bastassero le evidenti difficoltà di natura tecnica ed esecutiva collegate alla costruzione sul ter­reno di ellissi parallele tra loro - condizione che comporta la non coincidenza dei fuochi - e con diametro maggiore ben più lungo di cento metri. L'anfiteatro Flavio di Pozzuoli, rile­vato nel 1980 con tecniche tradizionali e con il supporto dell' aerofotogrammetria e, soprattutto, senza alcuna preven­zione circa la sua forma (Valerio 1993), risulta costruito sulla scorta di una policentrica a quattro centri, come d'altra parte

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suggeriva il buon Balbo (Fig. 5) . Tuttavia, l'ipotesi dell'ellisse ad ogni costo, come dimostrano alcuni recenti prese di posi­zione, ancora condiziona una folta schiera architetti e di stori­ci. Rimando, per alcune di tali posizioni, al sintomatico Il Colosseo studi e ricerche (Disegnare 1999) dove le ipotesi "ellisse" e "policentrica" si alternano come nel lancio dei dadi e con la stessa affidabilità di certezza nella previsione.

Figura 5

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3 . Quasi ellisse (Tolomeo) Che la curva in questione, cioè 1'ellisse, fosse di difficile ricono­

scimento ancora nei primi due secoli dell' era cristiana ci è confer- . mato da alcuni passi di Tolomeo (metà del II sec. d. C.) che per primo si cimentò nella rappresentazione di un anello circolare visto di scorcio, questione già affrontata da Euclide per le ruote dei carri (vedi sopra ellisse a occhio) ma dall' astronomo alessandrino genera­lizzata e, potremmo dire, portata" ad astra". Partendo da preceden­ti osservazioni inerenti 1'ottica, Tolomeo - anch' egli autore di un trattato di Ottica (Gavi 1885, Smith 1996) - analizza nella Geografia un particolare tipo di proiezione prospettica della sfera terrestre vista attra­verso gli anelli di una sfera armillare che le sta intorno. Questa parti­colare rappresentazione dell' ecumene, la così detta terza proie­zione tolemaica, ha dato origine ad uno dei più accesi dibattiti sull' origine antica della prospettiva lineare (Gioseffi 1957) e sulla sua eventuale "riscoperta" rinascimentale (Edgerton 1975 e re­centemente Valeria 1998) .

Ecco come Tolomeo, che pure conosceva la curva di Apollonia, descrive l'immagine delle armille circolari scorciate nel capitolo sesto del VII libro della Geografia: "bisogna fare at­tenzione a ciò che riguarda la configurazione degli anelli, affin­ché ciascuno passi per i quattro punti indicati con una figura a forma di uovo e che non termini a punta, ave avviene l'intersezione con il cerchio più esterno affinché non offra una immagine con­traria alle regole; ma anche qui restituisca un circuito corrispondente alla parte che segue, anche se le convessità che determinano la parte mancante (elleipsis) cadono al di fuori del cerchio che circoscrive l'im­magine" e termina affermando" questo in verità è ciò che sembra acca­dere" (traduzione di Francesco Valeria da Nobbe 1843-45).

Tolomeo qui dimostra di non avere la più pallida idea dell' ellisse inteso quale scorcio prospettico del cerchio; infatti, se si fosse tratta­to di una ellisse non avrebbe avuto senso asserire che le due curve che rappresentano la parte anteriore e quella posteriore del circolo prospettico dovevano essere collegate tra loro "a forma d'uovo"; con tale approssimazione, nella migliore delle ipotesi, il cerchio ver­rà ancora visto e rappresentato dalla cultura rinascimentale fino alla fine del XVI secolo.

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Figura 6

A tal proposito si può vedere la forma dell' eclittica e quel­la dei paralleli nel disegno d'insieme della terza proiezione, inserito nella traduzione italiana della Geografia di Tolomeo curata da Andrea Mattiolo, pubblicata a Venezia nel 1548 (fig. 6), ove è manifesta la sola intenzione di arrotondare i raccordi tra le curve anteriori e posteriori che rappresentano i cerchi prospettici, malgrado l'esecutore del disegno lavorasse ormai oltre cent' anni dopo l'introduzione della prospettiva lineare in pittura. Ma la consapevolezza della trasformazione proiettiva del cerchio in ellisse sarà parzialmente raggiunta solo sul fini­re del XVI secolo.

Purtroppo, per Tolomeo e per gli umanisti si trattava an­cora di una quasi ellisse.

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4. Ellisse involontaria (5. Maria del Fiore) Altre opere nelle quali si è cercato di riconoscere un profilo

ellittico sono alcune cupole del rinascimento italiano, ed in parti­colare la cupola di S. Maria del Fiore a Firenze. Anche in questo caso sono stati messi in campo i più moderni sistemi di rileva­mento strumentale per giungere a disegnare un' ellisse che appros­sima la curvatura dell'intradosso della cupola (Cleur, Fondelli, Greco 1976). I risultati dei rilevatori sono stati in seguito uti­lizzati, in maniera oserei dire poco critica, per dimostrare che essendo quasi trascurabili gli scarti tra un arco di cerchio ed uno di ellisse non avrebbe più senso porre la questione di quale sia la forma reale di quella curva bensì di "spiegare il perché di una così ostinata volontà di costruire se non proprio l'ellisse, almeno una curva per così dire gemella" (Migliari 1995, p . 98). È un po' come volersi chiedere non quale sia il vero colo­re di un gatto di notte , ma perché di notte tutti i gatti siano bigi. Quello di S. Maria del Fiore, e di molte altre fabbriche rinascimentali, è uno di quei casi nei quali è molto probabile che la sezione dell'intradosso della cupola sia effettivamente ellittica, ma questo - sempre ricordando l'insegnamento di Feyerabend -non vuoI dire che i progettisti o i carpentieri abbiano immaginato e realizzato "volontariamente" (o consapevolmente) una curva ellittica per voltare la cupola.

La sezione ellittica viene fuori, ad esempio, nel momento in cui si disegnano e si realizzano i costoloni della cupola in forma circolare. Il cilindro costruito su due costoloni (diret­trici) circolari, posizionati su piani non paralleli, e che genera la superficie di ognuna delle otto vele della cupola, dà tutte sezioni circolari nei piani paralleli a quelli dei due costoloni, mentre fornisce sezioni ellittiche in ogni altro piano, compre­so quello ortogonale all' asse del cilindro , lungo il quale sono state effettuate le misurazioni. Perché mai i carpentieri della prima metà del '400 avrebbero dovuto costruire centine di for­ma ellittica, o semplicemente immaginare un profilo ellittico nel­la cupola rimane un grande mistero: è un dato di fatto , che in quegli anni (prima metà del '400) non si aveva pressoché alcuna cognizione delle coniche. La prima presenza in Italia dell' opera

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sulle coniche di Apollonia, in lingua greca, è attestata al 1427, quando Francesco Filelfo (1398-1481) ne porta con sé una co­pia dall'Oriente. Il primo che provò a lavorare su queste cur­ve e tentò di farne una versione in latino fu Regiomontano (1436-1476), ma la sua morte prematura non consentì la rea­lizzazione di tale progetto. La prima comparsa, in assoluto, di alcune parti del trattato sulle coniche in latino risale alI' edi­zione di Giorgio Valla del De rebus expetendis et fugiendis del 1501. Inoltre, la prima traduzione latina di un certo interesse è quella di Commandino, pubblicata a Bologna nel 1566. È, quindi, molto più che probabile che per tutto il '400 non si avesse la più pallida idea di cose fosse un' ellisse e non si com­prende perché mai gli architetti ed i carpentieri avrebbero do­vuto costruire cupole a sezione ellittica; inoltre costoro igno­ravano anche quale fosse la curva nella quale si trasformava prospetticamente un cerchio, sebbene la nascita della prospet­tiva lineare risalga per lo meno al 1435 -36, anni di realizzazio­ne del De Pictura di Leon Battista Alberti. L'ellisse brunelleschiana di S. Maria del Fiore, e di tutte le altre cupole rinascimentali, è del tutto involontaria.

5. Ellisse inconsapevole (Piero della Francesca) La questione della prospettiva del cerchio, con la quale

ho chiuso i due precedenti paragrafi ci porta a trattare un' al­tro caso di ellisse, che definirei inconsapevole. Ai vari, per fortuna pochi, studiosi che si sono cimentati nel dimostrare la conoscenza da parte dei geometri antichi della trasformazio­ne proiettiva delle coniche, è sfuggito che per tutto il Quat­trocento e fino alla seconda metà del Cinquecento, nessun matematico o pittore accenni alla forma del cerchio in pro­spettiva, e che anzi questo era rappresentato nelle forme più strane. Anche gli strumenti per disegnare le ellissi nel Rinasci­mento, del quale esiste un discreto censimento (Rose 1970), sono tutti cinquecenteschi ed in gran parte risalgono alla se­conda metà del secolo e, comunque, per tali strumenti non vi è alcuna relazione evidente con il disegno prospettico.

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Figura 7

Ad altri, più attenti, non è sfuggito tuttavia che le aureole disegnate da Piero della Francesca fossero ellissi quasi perfette (Fig. 7) e potessero quindi fornire una dimostrazione implicita, sul campo direi, di tale acquisita conoscenza, tanto nota ed ovvia da non meritare nemmeno una menzione in un trattato di pittura.

Ma se si ripercorre l'iter costruttivo suggerito ed utilizzato da Piero della Francesca nel suo De Prospectiva Pingendi ci si ren­de conto del motivo per il quale le prospettive del cerchio da lui disegnate sono delle vere e proprie ellissi sebbene "inconsapevoli" di essere tali.

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Figura 8

Piero insegna a costruire in pianta ed in alzato l'oggetto da ritrarre posizionando anche il centro di proiezione ed il piano di proiezione. Quindi, costruisce i raggi proiettanti che collegano i punti dell' oggetto da rappresentare con il centro di proiezione e determina le intersezione dei raggi con il qua­dro (Fig. 8).

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Figura 9

Le intersezioni, a coppia, costituiscono una sorta di coor­dinate di ogni punto sul quadro (Fig. 9) . La procedura da lui suggerita , di determinare per ogni punto la posizione prospettica attraverso l'intersezione del raggio visuale con il quadro, è assolutamente corretta dal punto di vista geometri­co al punto che fu riproposta da Gaspard Monge trecento anni dopo; la proiezione di tutti i punti di una circonferenza porta­va giocoforza all 'individuazione di un ' ellisse. Ma il fatto che la prospettiva di un cerchio risulti esattamente un' ellisse e che Piero della Francesca abbia disegnato ellissi quasi perfette non implica la conoscenza dell' effettiva forma di quella curva , mai citata da Piero in alcuno dei suoi scritti ed ottenuta in modo del tutto inconsapevole.

6. Ellisse sbagliata (Durer) Diirer nel suo famoso trattato Unterweisung der Messung del

1525, mostra chiaramente di essere tratto in inganno dall'effettiva forma della sezione ellittica del cono. Uno dei massimi artisti del Rinascimento, nonché grafico, disegnatore e prospettivista di gran­de fama, aveva seri problemi di riconoscimento dell' ellisse: sapeva

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cosa era ma non sapeva come era. Già Federico Amadeo aveva nota­to in un pioneristico articolo pubblicato nel 1908, che la sezione del cono disegnata da Diirer assomigliava ad un ovale, però, non volen­do ammettere l'errore del maestro, così scrive: "è però molto strano che la figura dell' ellisse non è molto esatta poiché, specialmente a sinistra, si accentua la forma di un uovo" e continua osservando che "su questa inesattezza io taccio, non avendo a mia disposizione l'ori­ginale tedesco" (Amadeo 1908). Se avesse avuto accesso ad un'edi­zione originale dell' opera, Amadeo si sarebbe reso conto che la de­formazione da lui osservata non era dovuta alla cattiva riproduzione ma apparteneva all'idea che Diirer aveva della forma dell' ellisse.

Figura 10

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Toccò a Erwin Panofsky, nel 1943, chiarire in maniera defini­tiva l'effettivo punto di vista di Diirer, che semplicemente ignora­va quale fosse la vera forma dell' ellisse. Secondo l'artista tedesco la sezione del cono doveva essere più "stretta" verso il vertice ed ingrandirsi in proporzione con l'allargarsi del cono (Fig. lO) e, involontariamente, "forzò la costruzione affinché il risultato fos­se non un ellisse "ortodosso" ma un "Eierlinie" [linea a forma d'uovo]' più stretta in alto che non in basso" (Panofsky 1971, p . 255). Egli si lasciò così ingannare da un' apparenza che nulla ave­va di scientifico e che sarebbe stata facilmente confutata oltre che da un banale esperimento, quale la vera e propria sezione di un cono di legno, dalla corretta applicazione del metodo della doppia proiezione ortogonale, a lui ben nota e messa in atto proprio nell' esercizio dell' ellisse. Ma la sua "prevenzio­ne" era talmente radicata (sembra di rivedere quelli che vo­gliono trovare ad ogni costo l'ellisse negli anfiteatri romani) da portarlo a forzare la costruzione.

Secondo Panofsky, e non si può che condividere la sua posi­zione, il fatto che tale errore fosse commesso non solo" dimostra il significativo conflitto tra il pensiero geometrico astratto e l'im­maginazione visiva ma anche l'assoluta autonomia delle ricerche di Diirer" (Panofsky 1971, p. 255). limando artistico tedesco efiam­mingo, influenzato dalla forza del messaggio grafico di Diirer, per tutto il Cinquecento ebbe un rapporto conflittuale con tale curva e con la prospettiva del cerchio (Fig. 11), anche dopo che in Italia Federico Commandino nel Commentario al planisfero di Tolomeo del 1588 e, quindi, Guidobaldo dal Monte nella Perspectiva libri Sex, del 1600, avevano dimostrato che sotto certe condizioni l'im­magine prospettica del cerchio poteva essere un' ellisse.

7. Ellisse malgrado tutto (Keplero) Fino al 1604 la struttura geometrica dell'universo era fonda­

ta sul cerchio e sulle curve derivate - l'ellisse non era ancora proiettivamente collegata al cerchio - originate, cioè, da movi­menti circolari. Con Tolomeo queste curve raggiungono le forme più complesse e raffinate attraverso l'invenzione degli epicicli,

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curve generate da un moto circolare il cui centro si sposta su di un' altra circonferenza, e ciò per rendere ragione degli apparenti movimenti retrogradi di alcuni pianeti.

Figura 11

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Persino Copernico, mentre metteva in crisi l'ipotesi geocentrica tolemaica, osservava che "soltanto il cerchio può ri­portare un corpo nella sua posizione di partenza" e che il mondo ha la forma di una sfera "la figura più perfetta e più capace di spazio, che ogni cosa tende ad assumere" (Dreyer 1977, p. 293). In effetti, la struttura tolemaica, sebbene risultasse notevolmente complicata, sia dal punto di vista grafico che algortimico, posse­deva una notevole giustificazione interna dovuta all'uso del cer­chio come generatore dei moti.

Anche Keplero avvia i propri studi sulle orbite planetarie partendo dal cerchio, sebbene lo ponga eccentrico affinché pos­sano trovare giustificazione certe anomalie angolari nelle orbite planetarie. Il successivo passo di avvicinamento all' orbita vera fu così da lui descritto: " È chiaro perciò che l'orbita di Marte non è un cerchio, ma passa all'interno del cerchio ai lati, aumentando di nuovo la sua grandezza rispetto a quella del cerchio al perigeo. La forma di una traiettoria di questo tipo è detta un ovale" (cit. in Hall 1976, p. 123). Lo sviluppo del pensiero di Keplero fu in­fluenzato dalla sua cultura e dalla soggezione alla perfezione del moto circolare. Egli faticò lungamente nella vana ricerca di far corrispondere 1'orbita ovale ai dati a sua disposizione. Solo alla fine nel "tentativo di geometrizzare tale ipotesi .. . usò addirittura (corsivo mio) un' ellisse come approssimazione all' ovoide" (Rupert Hall cit., p. 124). La cultura classica e la mitologia del cerchio pesava su Keplero come su tutti gli uomini del suo tempo mentre una sorta di animismo lo portava a considerare il moto di rivolu­zione dei pianeti intorno al sole come causato da uno "spirito motore" in esso presente. Quanto più ci si allontanava da questo spirito tanto più debole diveniva 1'azione di tale forza. Quando, nel 1604, egli riuscì finalmente a venire fuori dall'aporia, stabi­lendo la famosa prima legge sulle orbite ellittiche dei pianeti ri­spetto alle quali il sole occupa uno dei fuochi, egli rimase comun­que insoddisfatto del risultato non riuscendo ad attribuire un plau­sibile significato all' orbita ellittica.

L'ellisse, in ultima analisi - è stato detto - "rappresentò uno strumento di calcolo ... quello che oggi chiameremmo un mo­dello" (Petroni 1990, p. 209). Come non ricordare l'introduzione

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dell'infinito da parte di Pascal, alcuni anni dopo, come mera ipo­tesi di lavoro senza nessuna relazione con il mondo fisico, forse anche per evitare il rischio di imbattersi in questioni metafisiche soggette al giudizio della Santa Inquisizione? Ma questo ci porta su altri versanti della disputa epistemologica.

Se Keplero si fosse accontentato della massima cui sopra ab­biamo accennato, secondo la quale" di notte tutti i gatti sono bigi" si sarebbe fermato all' ovale, o forse al cerchio eccentrico, tanto le curve sono così prossime l'una all'altra per cui basta spostare di pochissimo i dati che tutto torna. Ma egli, finalmente, conosceva bene la forma dell' ellisse e, malgrado tutto, l'accettava rendendo­la una figura naturale, dotata di un valore euristico pari a quello riconosciuto al cerchio dal mondo antico fino a Copernico ed oltre, e fece di tale curva uno degli elementi portanti della sua "architettura celeste". Solo dopo Keplero l'ellisse viene introdot­ta nella "architettura terrena", ma questa è un' altra storia.

8. Conclusioni Il tema dell' ellisse consente di collegare aspetti storici e

cognitivi afferenti all' arte e alla scienza molto distanti nel tempo e nello spazio, che trovano una loro unità solo allorché le varie forme sotto le quali questa curva si manifesta vengono univocamente riconosciute come variazioni proiettive del cerchio e si crea, con Desargues e Pascal intorno al 1640, la famiglia proiettiva delle coniche. Strumento essenziale per avvicinarsi alla studio della forma dell' ellisse, e non solo a questo tema per qualche verso emblematico, ritengo sia la filologia o se si vuole usare un ter­mine meno datato la storicizzazione degli avvenimenti; se da un lato è impossibile non vedere con i nostri occhi e non riconoscere il presente nel passato, per cui ogni ricostruzione è in qualche modo contemporanea, dall' altro non è possibile cogliere appieno il sen­so della storia senza indagare la mentalità degli uomini del passa­to. Ogni studio storico è uno studio della mentalità, è un' analisi dei contesti storico-culturali e della cultura materiale effettuata con gli strumenti della filologia; l'alternativa è affidarsi, come si è visto, alla tecnologia o alla mistica ma con poco profitto.

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