La Costruzione Pratica e l'Architettura Rurale

753
Il Formichiere La Costruzione Pratica e l’Architettura Rurale Compendio delle lezioni date nella R. Università di Pisa dal Prof. Guglielmo Calderini Anno Accademico 1885-1886 a cura di Paolo Belardi, Massimo Mariani

Transcript of La Costruzione Pratica e l'Architettura Rurale

Il Formichiere Il Formichiere

“Trarre da uno scaffale un vecchio libro e addentrarsi nella sua lettura desta sempre sentimenti diversi: di curiosità, d’immedesimazione in un’epoca lontana, di confronto con lo stato delle conoscenze di allora e fors’anche di compiacimento per gli avanzamenti intervenuti. Una serie molteplice e contrastata di istanze, scientifiche ed emotive, investe lo studioso o il semplice lettore e lo accompagna, magari alla ricerca di una forbita citazione, lungo il percorso scandito da pagine redatte in un tempo passato.

Diverso è proporre la ristampa di una dispensa universitaria a quasi 130 anni dalla sua redazione, come avviene nel caso presente, poiché alla base di una tale scelta non possono che individuarsi solide ragioni culturali e pertinenti motivazioni d’attualità del tema, oltre alla avvertita necessità di contribuire a una più completa valutazione del contributo offerto dal mondo accademico, nei decenni immediatamente successivi all’unità d’Italia, alla risoluzione delle più urgenti problematiche dello stato e della società civile.

Entro questa cornice si colloca il compendio delle lezioni dedicate a La Costruzione Pratica e l ’Architettura Rurale impartite dal professor Guglielmo Calderini nei suoi primi anni di docenza presso l’Università di Pisa.”

dalla Prefazione di Carlo Pongetti

Paolo Anderlini (Perugia 1959)ingegnere, è libero professionista e presidente della Fondazione Ordine Ingegneri Perugia

Mauro Baglioni (Assisi 1963)ingegnere, è libero professionista e consigliere della Fondazione Ordine Ingegneri Perugia

Paolo Belardi (Gubbio 1958)ingegnere, è professore associato di Disegno presso il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Perugia, dove insegna Architettura e composizione 1 nel Corso di Laurea magistrale in In-gegneria edile-Architettura. È direttore dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” Perugia

Marco Giorgio Bevilacqua (Foggia 1974)ingegnere e dottore di ricerca, è ricercatore di Disegno presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni dell’Univer-sità di Pisa, dove insegna Disegno dell’architettura 2 e metodi di rilievo dell’architettura nel Corso di Laurea magistrale in Ingegneria Edile Architettura

Fabio Bianconi (Nocera Umbra 1966)ingegnere e dottore di ricerca, è ricercatore di Disegno presso il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambien-tale dell’Università di Perugia, dove insegna Disegno dell’architettura nel Corso di Laurea magistrale in In-gegneria edile-Architettura

Piero Borghi (Perugia 1954)agronomo, è professore associato di Costruzioni Rura-li e Territorio Agroforestale presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Univer-sità di Perugia, dove insegna Costruzioni, macchine ed impianti per la zootecnica (modulo di Sistemi edilizi per le produzioni animali) nel Corso di Laurea in Pro-duzioni Animali

Simone Bori (Perugia 1975)ingegnere e dottore di ricerca, collabora all’attività di ri-cerca del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambien-tale dell’Università di Perugia ed è docente a contratto di Laboratorio di progettazione digitale nel Corso di Laurea magistrale in Ingegneria edile-Architettura

Marco Breccolotti (Perugia 1974)ingegnere e dottore di ricerca, è ricercatore di Tecnica delle Costruzioni presso il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Perugia, dove insegna Tecnica delle costruzioni nel Corso di Laurea magistrale in Ingegneria edile-Architettura

Luca Cesaretti (Città della Pieve 1975)ingegnere e dottore di ricerca, è libero professionista e docente a contratto di Architettura tecnica 2 nel Corso di Laurea magistrale in Ingegneria edile-Architettura dell’Università di Perugia

Marco Filippucci (Roma 1979)ingegnere e dottore di ricerca, è titolare di borsa di stu-dio presso il Dipartimento di Ingegneria Civile e Am-bientale dell’Università di Perugia

Massimo Mariani (Roma 1948)ingegnere e architetto, è libero professionista, accade-mico di merito dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” Perugia, componente del C.N.I. Consiglio Nazionale degli Ingegneri di Italia con delega alla Cul-tura e rappresentante italiano presso l’ECCE European Council of Civil Engineers, di cui è membro del Board. È esperto di chiara fama di consolidamento e restauro degli edifici monumentali e delle città in dissesto idro-geologico

Luca Martini (Arezzo 1978)ingegnere e dottore di ricerca, collabora all’attività di ri-cerca del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambien-tale dell’Università di Perugia. È docente a contratto di Progettazione di interventi urbani e territoriali presso l’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” Perugia

Valeria Menchetelli (Marsciano 1976)ingegnere e dottore di ricerca, è ricercatore a tempo de-terminato di Disegno presso il Dipartimento di Inge-gneria Civile e Ambientale dell’Università di Perugia, dove insegna Rilievo dell’architettura nel Corso di Lau-rea magistrale in Ingegneria edile-Architettura

Maria Alessandra Panzanelli Fratoni (Foligno 1971)bibliotecario, archivista e dottore di ricerca, è coordina-trice del Gruppo di lavoro “Libri rari e collezioni spe-ciali” del Centro Servizi Bibliotecari dell’Università di Perugia. Si occupa di storia del libro, delle biblioteche e di storia dell’Università

Carlo Pongetti (Senigallia 1960)geografo, è professore ordinario di Geografia presso il Dipartimento di Studi umanistici. Lingue, mediazio-ne, storia, lettere e filosofia dell’Università di Macerata, dove insegna Geografia nel Corso di Laurea in Lettere. È presidente dell’Accademia Georgica di Treia (MC)

Marco Vizzari (Reggio Calabria 1974)agronomo e dottore di ricerca, è ricercatore di Costru-zioni Rurali e Territorio Agroforestale presso il Dipar-timento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Università di Perugia, dove insegna Rilievo e rap-presentazione del territorio nel Corso di Laurea magi-strale in Sviluppo rurale sostenibile

La Costruzione Pratica e l’Architettura Rurale

Compendio delle lezioni date nella R. Università di Pisa dal Prof. Guglielmo Calderini

Anno Accademico 1885-1886

a cura di Paolo Belardi, Massimo Mariani

La Costruzione Pratica

e l’Architettura R

uraleC

ompendio delle lezioni date nella

R. U

niversità di Pisa dal Prof. Guglielm

o Calderini

Anno A

ccademico 1885-1886

a cura di Paolo Belardi, M

assimo M

ariani

48,0

0 eu

ro

Nota dell’EditoreNel presente volume è pubblicato La Costruzione Pratica e l ’Architettura Rurale. Compendio delle lezioni date nella R. Università di Pisa dal Prof. Guglielmo Calderini Anno Accademico 1885-1886.Il testo è citato nei saggi che seguono attraverso la dicitura “Compendio” seguita dalla numerazione di pagina dell’originale e, tra parentesi, dalla numerazione di pagina della presente edizione. Con la dicitura “t.” si rimanda a una determinata tavola dell’originale stesso e con la dicitura “f.” a una determinata figura tra quelle che compongono una tavola.

Il presente volume pubblica alcuni esiti intermedi, relativi all’indagine storica e tipologica, del progetto di ricerca “Edilizia Rurale Innovativa Sostenibile con Autonomia Energetica: Torre Idraulico-Architettonico-energetica Rurale” (TIAR) del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università degli Studi di Perugia, finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (codice CUP J91J1200021001).

coordinamento editorialeLuca Martini

progetto graficoLuca [email protected]

©2013 Il FormichiereVia Cupa snc - 06034 - Foligno (Pg)[email protected] - www.dalformichiere.it

ISBN: 978 88 98428 07 6

Realizzato con il contributo di

La Costruzione Pratica e l’Architettura Rurale

Compendio delle lezioni date nella R. Università di Pisa dal Prof. Guglielmo Calderini

Anno Accademico 1885-1886

a cura di Paolo Belardi, Massimo Mariani

Il FormichiereIl FormichiereIl Formichiere

Premesse

7

Come tutti abbiamo avuto modo di constatare, la scelta delle tecniche costruttive e dei materiali utilizzati nel recente passato, ma spesso ancor oggi, per costruire unità produttive in campo agricolo o zootecnico si è basata quasi esclusivamente, da un lato, su criteri di elevata funzionalità e, dall’altro, nell’obiettivo del massimo risparmio sui costi. Si è venuta così a creare una “cultura del cemento” per questa tipologia di manu-fatti, che risultano così indifferenti alle caratteristiche dell’ambiente in cui sono collocati e totalmente anonimi e neutri rispetto alle tradizioni costruttive del territorio che li ospita.Con piacere scopriamo, allora, sfogliando il volume che abbiamo il gra-dito compito di presentare, che Guglielmo Calderini (già oltre un secolo fa), nel tenere le sue lezioni di Architettura Rurale alla Regia Università di Pisa, raccomandava sì il rispetto di “convenienza ed economia” nella realizzazione dei fabbricati rurali, ma invitava, allo stesso tempo, a pre-stare la debita attenzione alla “natura dei materiali disponibili” nel luogo e a ricorrere al loro impiego. In questo modo, egli sosteneva, gli edifici avrebbero avuto i requisiti per “non mostrarsi spiacevoli alla vista”, con-sentendo a chi li aveva progettati di “andar sicuro di mescolare l’utile al piacevole”. Un’interpretazione di questo particolare ambito progettuale nettamente in anticipo sui tempi, anche riecheggiando in parte i detta-mi dell’architettura “razionale”, che si prefiggeva di dare in primo luogo una risposta appropriata a determinate esigenze funzionali.I principi esposti da Calderini nel Compendio assumono, poi, ulteriore rilevanza quando vengano inquadrati nella moderna concezione multi-dimensionale del territorio rurale quale risorsa per l’economia del pa-ese. Infatti accanto alle tradizionali attività produttive dell’agricoltura e della zootecnia, lo spazio rurale unisce oggi una serie di istanze che vanno dalla protezione dei sistemi ambientali fino alla manutenzione del paesaggio, passando per la conservazione delle diversità biologiche e per la promozione delle iniziative turistico-insediative, con risvolti socio-culturali oltre che economici. è di tutta evidenza, in un simile

8

contesto, l’impatto rivestito dai fabbricati rurali e la necessità, pertanto, come sosteneva Calderini stesso, che non si mostrino “spiacevoli alla vista” incidendo negativamente sul paesaggio circostante ma, anzi, con-tribuiscano a esaltarne le caratteristiche e le tipicità attraverso un uso equilibrato del territorio.Fedele alla propria vocazione localistica finalizzata alla promozione e allo sviluppo degli ambiti territoriali in cui opera fin da quando si chia-mava ancora Cassa Rurale ed Artigiana, la Banca si compiace di aver contribuito alla realizzazione di quest’opera per le affinità che vi ha ri-conosciuto con i propri compiti istituzionali.

Antonio MarinelliPresidente della Banca di Mantignana e di

Perugia Credito Cooperativo Umbro

9

Premettere alcune considerazioni sulla pubblicazione del compendio La Costruzione Pratica e l ’Architettura Rurale delle lezioni tenute da Gu-glielmo Calderini presso la Regia Università di Pisa significa esporre la necessità di valorizzare un patrimonio di conoscenze tecniche risalente alla fine del diciannovesimo secolo. In tal senso studiare la figura del maestro perugino nel, e oltre, il Compendio significa anche interpretare il ruolo dell’ingegnere nell’epoca storica di grandi innovazioni tecnolo-giche compresa tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento.L’architettura rurale è un tema che inerisce il patrimonio storico, cul-turale e paesaggistico del nostro paese in maniera molto vasta e diffusa. è questo uno dei principali motivi che rendono l’argomento trattato d’interesse attuale: l’ambito rurale e gli elementi che lo costituiscono sono oggetto di grande attenzione, in termini di conservazione e valo-rizzazione, sia negli strumenti legislativi relativi al governo del territo-rio di tutte le regioni italiane sia nei casi di pianificazione paesaggistica già avviati. Inoltre sono molte le iniziative comunitarie che incentivano anche economicamente il settore agricolo in tale contesto, volte allo stesso tempo alla riqualificazione di quegli edifici che rappresentano al meglio il patrimonio architettonico tradizionale di pregio. Laddo-ve l’architettura rurale nasce da una cultura povera caratterizzata da una matrice di derivazione agropastorale che si è lentamente evoluta nel corso dei secoli per massimizzare i rendimenti delle coltivazioni e degli allevamenti. In tal senso le soluzioni tecniche adottate sono state sempre funzionali a consentire l’utilizzo il più possibile efficace delle ri-sorse naturali. Inoltre le profonde innovazioni tecnologiche che si sono avute a partire dalla rivoluzione industriale nelle tecniche costruttive e nell’agricoltura hanno gradualmente modificato l’architettura rurale stessa, introducendo nelle campagne opere progettate con criteri fun-zionali maggiormente all’avanguardia, realizzate utilizzando materiali e impianti spesso ispirati a modelli costruttivi e produttivi propri degli edifici industriali. In tale ambito il Compendio di Calderini si riferisce

10

a tipologie di beni oggigiorno diffusamente interessati a interventi di tutela, conservazione e valorizzazione, perciò rappresenta un eccellente repertorio di conoscenze tecniche. Infatti l’attività accademica di Cal-derini è svolta in parallelo a un’intensa pratica professionale, e dalla lettura attenta si evidenzia palesemente la sintesi tra “teoria e pratica” nell’esporre soluzioni progettuali e tecniche costruttive proprie del tema trattato. Per questo motivo il volume si prefigge un obiettivo didattico ancora valido e attuale per i professionisti di oggi: la conoscenza dei suoi contenuti rappresenta un utile riferimento per la progettazione e l’esecuzione di interventi edilizi di recupero, ma anche di nuova costru-zione, in ambito rurale.Inoltre Calderini rappresenta una figura poliedrica per formazione ed esperienze professionali, portatrice dei valori artistici, scientifici e tecnici acquisiti attraverso la formazione presso l’Accademia di Belle Arti di Perugia e presso la Scuola di Applicazione per gli Ingegneri di Roma. In questo senso rappresenta una figura di ingegnere-architet-to di concezione attuale, che supera i limiti professionali attribuiti, ad esempio, da Eugène Viollet-le-Duc nel 1861 alla figura di architetto. Non c’è dubbio che nel corso dell’Ottocento la figura dell’ingegnere fosse in grado di rispondere in maniera positiva alle sempre più pres-santi richieste di una società in continua evoluzione, grazie alla sua pro-fonda e aggiornata preparazione in campo tecnico-costruttivo. Infatti bisogna tener conto del fatto che tali richieste nel campo specifico della progettazione riguardavano in primo luogo la realizzazione di edifici che fossero funzionali, semplici e, naturalmente, economici: è naturale, quindi, che il campo operativo dell’architetto cominciasse ad apparire sempre più marginale. In coerenza con tale concezione, Calderini stesso ribadisce nel Compendio “Ai nostri giorni però sono gl’ingegneri piutto-stochè gli architetti propriamente detti, che hanno le occasioni di ese-guire delle grandi imprese di costruzioni: e difatti noi veggiamo che gli architetti nel corso della loro vita non hanno da fabbricare che delle case particolari, mentrechè gl’ingegneri oltre gli stessi edifici, di cui possono benissimo essere incaricati, si trovano spesse fiate incaricati dei progetti di ospedali, di prigioni, di caserme, di arsenali, di magazzini, di ponti, di porti, di fori e di una infinità di edifici della maggiore importanza”. In tal senso Calderini nelle sue opere e nella sua attività didattica, ed

11

in particolare nel Compendio, ha dimostrato il grande valore degli in-segnamenti ricevuti in ambito accademico coniugati con i fondamenti scientifici propri delle scienze matematiche e ingegneristiche. Perciò, oltre all’attualità delle nozioni tecniche che il Compendio fornisce, si può ritenere che la pubblicazione di questo volume rappresenti un con-tributo importante per illustrare i tratti significativi della figura del ma-estro perugino, dandoci la consapevolezza che l’operato dell’ingegnere è tanto più proficuo e incisivo quanto più il suo bagaglio culturale, e non solo tecnico, risulta ampio.

Roberto Baliani, Gianluca SpoletiniPresidente e vicepresidente dell’Ordine degli

Ingegneri della Provincia di Perugia

13

Il paesaggio umbro si è sempre caratterizzato per il suo aspetto rude e dolce allo stesso tempo: terra di rocche, di castelli (che nella campagna costituivano baluardi difensivi oltre che avamposti per le bonifiche e le coltivazioni) e di abbazie fortificate (che gestivano grandi proprietà ter-riere). Ma anche di caratteristici insediamenti di case coloniche e annessi sparsi sui poderi, dove si stabiliva la famiglia mezzadrile di solito molto numerosa. Un piccolo mondo autosufficiente, ospitato in dimore (ornate di loggiati, arcate e torri colombaie) generalmente sistemate su porzioni collinari in cui si alternavano le colture arbustive, le foraggere e i cereali, con evidenti effetti sulla morfologia e sulla policromia del paesaggio.L’architettura rurale nei secoli non ha altro che assecondato le esigenze della vita quotidiana (in particolare delle attività lavorative) di coloro che abitavano i nostri territori, e essa rispecchiava fedelmente la loro essenza più profonda. Il successivo miglioramento delle condizioni so-cio-economiche ha portato allo sviluppo degli insediamenti rurali, con tutti i benefici, ma anche le difficoltà, connesse a questo fenomeno. In tal senso le trasformazioni che il paesaggio ha registrato negli ultimi cinquant’anni hanno avuto effetti rilevanti sia sotto il profilo morfologi-co che della percezione visiva dello stesso.In particolare l’architettura rurale ha avuto un’importanza fondamen-tale nella formazione e nell’evoluzione culturale dei modi di vivere e di abitare contemporanei, e oggigiorno una maggiore attenzione alla sua valorizzazione può consentire la riaffermazione di quei valori umani e materiali che possono contribuire in modo decisivo al miglioramento della qualità della vita quotidiana. Inoltre la riscoperta dei principi che la regolavano permette la riappropriazione di consuetudini e l’utilizzo di risorse ormai pressoché dimenticate, che hanno il valore aggiunto di ri-spondere pienamente ai criteri propri della cosiddetta bioarchitettura. In tal senso le tecniche costruttive e gli stili abitativi e produttivi orientati a un limitato consumo di energia possono contribuire in modo decisivo a uno sviluppo sostenibile. Laddove nella morfologia del paesaggio rurale

14

l’uomo è riuscito a coniugare le esigenze della natura con quelle proprie connesse all’uso del territorio e al sostentamento.Al fine di salvaguardare e valorizzare le specificità connesse a tale con-testo devono essere potenziati e incentivati gli strumenti di tutela e sviluppo, in particolare promuovendo una pianificazione del territorio rurale attenta a tutelarne le peculiarità architettoniche e le tecniche co-struttive; così come, allo stesso tempo, le aziende coinvolte dovranno determinare una rivalorizzazione dell’attività agricola.A nostro avviso ormai l’Umbria ha fatto la sua scelta, eleggendo proprio il paesaggio (con la sua inconfondibile armonia fra tradizione e contem-poraneità, anche produttiva) come elemento che la caratterizza nel pa-norama delle regioni italiane: l’Europa, con la futura programmazione 2014-2020, ci auguriamo faccia la sua parte favorendo tale orientamen-to. In questo senso occorre programmare interventi incisivi che tenga-no conto al contempo della tutela della tradizione e delle urgenze della contemporaneità: oggi siamo chiamati a cercare una mediazione a questo “conflitto”, nell’ottica di perseguire progresso culturale e migliori condi-zioni di vita nel prossimo futuro. Perciò siamo obbligati a compiere una riflessione sul nostro paesaggio perché diventi sempre più significativo, ovvero più attrattivo e più produttivo. A tal fine il legislatore deve pre-vedere misure specifiche per riqualificare gli ambiti rurali tradizionali, ma soprattutto occorre buonsenso nel perseguire l’obiettivo di mettere al centro regole chiare e qualità progettuale.Questo volume permette di riappropriarsi di uno strumento prezioso che ha l’obiettivo di diffondere la conoscenza di alcune delle principali tipo-logie edilizie rurali tradizionali, caratterizzate da specificità costruttive, funzionali e figurative proprie. Una pubblicazione utile a tutti gli esti-matori e, in particolar modo, ai legislatori locali, ma che è importante in primo luogo per rilanciare la conoscenza diffusa dell’ambiente rurale. Dato che la società contemporanea si fonda anche su quella “cultura vis-suta” dai nostri padri proprio negli stessi edifici che ancora oggi rappre-sentano l’espressione concreta della realtà rurale dell’ultimo secolo, e che caratterizzano la bellissima campagna della nostra Umbria.

Stefano VillariniPresidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi e

Forestali della Provincia di Perugia

15

Quale è il vero ambiente per le scuole dell’architetto?Questa è la domanda che si pone Guglielmo Calderini ed il tema è an-cora aperto, dato che i vari punti di vista non ancora convergono in un unico pensiero. Ma questo è normale.Alcuni pensano che le università e i politecnici siano il luogo comune di formazione degli architetti e ingegneri perché le qualità scientifiche de-vono predominare su quelle artistiche: “La corona d’alloro deve posarsi sul capo dell’architetto entro quel santuario che fu caro alla scienza”.Ma gli artisti, gli accademici delle belle arti, anche stranieri, sostengono che l’architettura è soprattutto “arte” che compendia varie arti , quindi la formazione di un architetto deve avvenire in un ambiente esclusiva-mente artistico. Così la pensava anche il Semper supremo architetto te-desco: “l’architetto deve essere un artista e si può formare solo in mezzo alle statue, quadri, disegni”. Insomma in un conclave di artisti.La storia “magistra vitae” ci insegna che l’ars edificatoria era “un arte acuta ed industre, il risultato di quel genio singolare che avvolgeva il pensiero e la mente dei grandi artisti”.Buonarroti artefice della cupola di S. Pietro non conosceva certo le formule di statica di cui si avvalgono ampiamente gli architetti di oggi, i quali peraltro, con il loro sapere tecnico, non avrebbero mai avuto il coraggio di porre in essere una cupola come quella del Buonarroti, con una grande perdita per l’arte perché, in questo caso, un’opera eccelsa come la cupola di S. Pietro oggi non avrebbe storia. Che peccato sa-rebbe!!“Dunque scienza sì, ma limitata, perché gli architetti più che ricercare eleganti formule matematiche da applicare, devono affidarsi ed ispirarsi a quegli esempi di architettura del passato che sono cementati dalla fe-lice verità dell’esperienza”.Voglio concludere ribadendo la mia totale aderenza al pensiero del Cal-derini quindi all’assoluto primato dell’espressione artistica del segno pri-migenio tracciato sul foglio bianco, dal quale prende il via ogni progetto

16

d’architettura; inizio di un lungo viaggio di esplorazione mentale più che di mera indagine scientifica.Da quel segno primitivo, ma fortemente impresso, emergono le emozio-ni vere che materializzano i pensieri ed i sogni di un artista.L’architettura di oggi, dunque, è ancora arte? Secondo me, assoluta-mente sì.Caso mai si potrebbe disquisire su “se sia ancora la più alta”.Ogni riflessione sul tema deve però iniziare non incappando nel banale errore di confonderla con l’edilizia che è solo una sua lontanissima pa-rente.L’architettura è la traduzione di un sogno ed i sogni devono essere por-tati sempre più in là. Per questo motivo, oggi come non mai, abbiamo bisogno della scienza, che ne consente la materializzazione. Quindi an-che la scienza, per la sua importante funzione complementare, diventa ed è parte del sogno.

Alberto ChiariottiPresidente del Collegio dei Geometri e Geometri Laureati

Provincia di Perugia

Indice

PremesseAntonio Marinelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7Roberto Baliani, Gianluca Spoletini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9Stefano Villarini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13Alberto Chiariotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

PrefazioneProgettare la casa rurale per costruire il Paese. Quasi una premessaCarlo Pongetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

I - Saggi sull’autore del CompendioTra impegno didattico e pratica professionale.La figura, le opere e l’insegnamento di Guglielmo CalderiniPaolo Belardi, Valeria Menchetelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39L’attività didattica di Guglielmo Calderini a PisaMarco Giorgio Bevilacqua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55

II - Saggi sul testo del CompendioIntroduzione allo studio dell’Architettura RuraleMassimo Mariani, Luca Martini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65Maniera di studiare l’architettura. Generi di disegni propri all’architetturaSimone Bori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71Dei materiali e del loro impiego nella costruzioneLuca Cesaretti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75Impiego dei materiali nella costruzione degli edificiMarco Breccolotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85Architettura RuraleFabio Bianconi, Marco Filippucci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91L’Abitazione dell’uomoMauro Baglioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97Abitazioni degli animali DomesticiPiero Borghi, Marco Vizzari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103Le case coloniche italiane per la piccola coltura.Fattorie rustiche per una grande coltivazionePaolo Anderlini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109

III - Appendice al CompendioLa raccolta di lezioni: storia di un libro particolareMaria Alessandra Panzanelli Fratoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117Indice delle opere citatea cura di Luca Martini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139

IV - CompendioLa Costruzione Pratica e l’Architettura RuraleCompendio delle lezioni date nella R. Università di Pisadal Prof. Guglielmo Calderini Anno Accademico 1885-86 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153

PrefazionePrefazione

23

Progettare la casa rurale per costruire il Paese.Quasi una premessa

Carlo Pongetti

Un’utile riproposizioneTrarre da uno scaffale un vecchio libro e addentrarsi nella sua lettu-ra desta sempre sentimenti diversi: di curiosità, d’immedesimazione in un’epoca lontana, di confronto con lo stato delle conoscenze di allora e fors’anche di compiacimento per gli avanzamenti intervenuti. Una serie molteplice e contrastata di istanze, scientifiche ed emotive, investe lo studioso o il semplice lettore e lo accompagna, magari alla ricerca di una forbita citazione, lungo il percorso scandito da pagine redatte in un tempo passato.Diverso è proporre la ristampa di una dispensa universitaria a quasi 130 anni dalla sua redazione, come avviene nel caso presente, poiché alla base di una tale scelta non possono che individuarsi solide ragioni cul-turali e pertinenti motivazioni d’attualità del tema, oltre alla avvertita necessità di contribuire a una più completa valutazione del contributo offerto dal mondo accademico, nei decenni immediatamente successivi all’unità d’Italia, alla risoluzione delle più urgenti problematiche dello stato e della società civile.Entro questa cornice si colloca il compendio delle lezioni dedicate a La Costruzione Pratica e l ’Architettura Rurale impartite dal professor Gu-glielmo Calderini nei suoi primi anni di docenza presso l’Università di Pisa, specificatamente quando assunse l’insegnamento di Architettu-ra Civile e Idraulica nell’anno accademico 1885-1886. Si tratta di un corpus che, avendo per oggetto l’edilizia rurale, costituisce una tessera particolarmente brillante nel mosaico allora in via di definizione su tale tematica.Una raccolta tanto organica quanto significativa di un precoce e lun-gimirante interesse di studio nel campo dell’architettura, interesse di

24

cui può darci ragione la biografia stessa dell’autore (Perugia 1837-Roma 1916). La sua esperienza di vita e professionale è infatti tutta compre-sa in quel fecondo periodo di riorientamento del rapporto tra architet-to e società, già avviato in Europa nei primi decenni dell’Ottocento e che giunge a maturazione agli inizi del Novecento. Inedite necessità socio-economiche, congiunte a quelle d’ordine tecnico in rapido muta-mento, obbligano a ripensare le soluzioni formali della res aedificatoria la quale, pur nella continuità delle esperienze pregresse, deve rispondere alle nuove aspirazioni della società.Un processo di rinnovamento che nel 1881, appena pochi anni prima delle lezioni pisane dettate da Calderini, sospinge William Morris, l’e-clettico fautore del movimento delle Arts and Craft, a ricondurre all’ar-chitettura la “considerazione di tutto l’ambiente fisico che circonda la vita umana […] l’insieme delle modifiche e delle alterazioni introdotte sulla superficie terrestre, in vista delle necessità umane»1. Una riflessione coniugata a uno sperimentalismo nel designer e nella prassi architetto-nica che avvicina Morris al socialismo, ideologia non a caso condivisa dallo stesso Calderini.

La casa rurale: un catalizzatore di interessi scientificiIn parallelo si registra il primo esordio delle indagini sistematiche sul mondo contadino, principiate in età napoleonica sulla scia dell’inizia-tiva promossa dall’Académie Celtique di Parigi nel 1805 per conosce-re abitudini, credenze, condizioni abitative e abbigliamento delle ple-bi rurali. Le stesse si estendono al territorio italiano nel periodo del Regno Italico, quando vengono affidate alla Direzione generale per la Istruzione del Ministero dell’Interno che, nel 1811, inizia i rilevamen-ti coordinati dal direttore generale dell’Istruzione, il conte Giovanni Scopoli.L’attenzione per le dimore coloniche è citata espressamente nella terza e ultima circolare diramata da Scopoli il 20 maggio 1811 ai professori di Disegno nei licei e nelle accademie di belle arti dei vari dipartimenti. Vi si legge: “Bramerei che V. S. mi dasse la pianta, la facciata e lo spaccato di una casa da contadino, quale sarebbe da lei reputata la migliore sotto i rapporti di salubrità, di agricoltura dipartimentale e di comodità. […] Resterà finalmente da calcolarsi la spesa di tal casa secondo le leggi della

25

maggior economia, proporzionata alla solidità del fabbricato e sorta, a confronto di ciò che ora si spende per la stessa casa”2.La strada intrapresa e perseguita in quel breve torno d’anni conosce una svolta con la Restaurazione ma non viene completamente abbandonata neppure nello Stato Pontificio, dove le investigazioni assumono piutto-sto un carattere demografico ed economico-sociale3, per poi giungere a un più maturo sviluppo con le grandi inchieste postunitarie legate ai nomi di Stefano Jacini e Agostino Bertani, fino a esprimersi nei saggi di sintesi pubblicati per il giubileo dell’unificazione nazionale e nell’inda-gine sulle case rurali condotta dall’Istat e apparsa nel 19344.Occorre dunque preliminarmente evidenziare i meriti di Calderini nell’aver operato una scelta coraggiosa e pionieristica: quella di dedica-re un corso monografico alla casa rurale, ossia a una tipologia edilizia affatto considerata per gli aspetti formali e per di più connotativa dello spazio suburbano, al quale gli stessi organi preposti all’ornato pubblico da sempre avevano poco o nulla guardato, eccezione fatta per la realiz-zazione d’eleganti ville patrizie o aristocratici casini di caccia.Il valore peculiare di una tale scelta deriva dalla concordanza con il momento storico postunitario che vede le istituzioni impegnate nel raf-forzare lo spirito d’identità nazionale e nel porre in rilievo gli elementi esplicativi di una comune appartenenza. Un simile intento, sul fronte della civiltà materiale, trova nei caratteri della ruralità plurimi fattori, sia di coesione, sia di specificazione locale. Calderini dunque si rivela interprete sensibile di quell’esigenza e in linea con una azione corale condotta su diversi fronti.è infatti nell’ultimo quarto dell’Ottocento che una folta schiera di studiosi si cimenta nella riproposizione dei valori connaturati al pe-riodo del libero comune medievale, valori propri di una società fiera e determinata nella difesa della autonomia raggiunta. A ciò concorro-no la ricerca e la valorizzazione delle fonti archivistico-diplomatiche, dell’etnografia e delle tradizioni popolari proprie di quegli anni. La considerazione per gli aspetti della ruralità si profila quindi perfetta-mente organica al programma e l’interesse per l’abitazione contadina diviene il collettore di una pluralità di questioni legate all’interpre-tazione del rapporto città-campagna, alla organizzazione produttiva, ai problemi posti dalla crescita demografica, alle condizioni di vita

26

di larghi strati della popolazione e, in una, ai motivi di consenso o di protesta sociale.La dimora rurale sembra costituire non solo un condensato d’inveterate tecniche di costruzione ma anche l’espressione di strutture agrarie e pratiche agronomiche antichissime, di predilezioni colturali attestate dalla destinazione dei locali o dalla presenza di annessi. Né si può di-menticare che tutto questo interviene in età liberale, quando sul fronte demaniale lo stato tende invece a rafforzare il centralismo, a erodere gli usi civici e a rimuovere diritti comunitari ritenuti anacronistiche eredi-tà del passato5. Oggetto complesso e diversificato a seconda delle aree geografiche d’appartenenza, la casa colonica “sta a un crocevia dove si incontrano le influenze più diverse: ambiente fisico, tradizioni architet-toniche, struttura sociale, storia economica, politica e religiosa e im-ponderabili elementi psicologici”6. Pertanto le iniziative promosse per una sua coerente progettazione ambiscono, nel concreto, a conciliare le specificità tipologiche sviluppatesi a livello regionale con le istanze di progresso e ammodernamento del paese.

Un corso accademico per il progresso civile del PaeseIn questa direzione molto ci dicono le lezioni di Calderini, trascrit-te con la perfetta calligrafia di allora e litografate, soprattutto per il modo in cui vengono organizzati i contenuti e per il taglio espositivo adottato. Per un professionista dell’architettura, qual egli è, la sensi-bilità sociale e culturale dimostrata nella scelta dell’argomento trova nel rigore dell’impostazione didascalica un’affidabile guida per filtrare le considerazioni che potremmo forse dire di ordine sovrastrutturale (in primis la celebrazione dei valori tradizionali), al fine di contenerle tutte e risolverle con una moderna valutazione funzionale dell’edificio rurale. La sede dunque è pensata e progettata quale fulcro di una nuova economia agraria di cui, in quel particolare momento, si avverte dram-maticamente l’urgenza.Gli anni ottanta dell’Ottocento sono infatti segnati da una profonda crisi agricola, causata dall’immissione sui mercati del vecchio conti-nente d’ingenti quantità di cereali provenienti dal nord America. L’ef-fetto prodotto è il drastico crollo del prezzo del grano che tra il 1880 e il 1893 precipita da 35.87 lire a 18.45 lire al quintale7. Nella gravità di

27

quel frangente la risposta italiana fa leva sullo strumento più immedia-to, ossia il protezionismo doganale, a fronte di più articolate soluzioni comunque elaborate nell’ambito del dibattito politico anche sulla base delle risultanze dell’inchiesta Jacini.Da più parti si evidenzia che i mezzi per fronteggiare la ristruttura-zione economica in corso debbono tener conto delle carenze insite ai sistemi produttivi agricoli delle diverse regioni del nuovo stato italia-no. Quei difetti che l’inchiesta Jacini indica risiedere nell’arretratezza delle forme giuridiche che regolano le strutture agrarie esistenti, nella diffidenza dei proprietari terrieri verso le innovazioni, nella scarsissima integrazione dell’agricoltura con le attività di trasformazione dei pro-dotti. Dunque un’imperiosa necessità di transitare da una prevalente coltivazione estensiva e soprattutto granaria a una coltivazione intensiva e specializzata8.Tra i primi nodi da sciogliere, per intraprendere un così impegnativo percorso d’ammodernamento, si pone quello delle condizioni di vita e di lavoro degli addetti all’agricoltura. A offrire un sostanziale tributo in questa direzione giungono le proposte professionali per una edilizia rurale idonea alle sue funzioni e garante di condizioni igieniche sicure per la famiglia colonica, per le scolte e l’allevamento di bassa corte, per la conservazione dei prodotti.Lungo la linea di razionalizzazione della dimora contadina, varata nella seconda metà del diciottesimo secolo dalle accademie agrarie e da alcuni illuminati proprietari terrieri, si inseriscono i contributi del secondo Ot-tocento. Quello di Guglielmo Calderini si colloca in posizione mediana, cronologicamente, rispetto ai saggi di Antonio Cantalupi9 e di Vittorio Niccoli10, contributi che nell’insieme scandiscono il dibattito tematico animatosi, nel corso della grande depressione agricola, tra professionisti diversi che muovono dall’ingegneria, dall’architettura, dall’agronomia e altri campi disciplinari11.Senza dubbio l’ultimo quarto dell’Ottocento rappresenta per la conce-zione della casa rurale un periodo di svolta che si sviluppa congiunta-mente alla presa di coscienza dei valori culturali in essa sedimentati. L’abitazione tradizionale è riconosciuta come un palinsesto scaturito da relazioni combinate tra l’ambiente fisico e le esigenze economiche che, nel corso della storia, ha assunto specifiche tipologie areali (abitazioni

28

di montagna, alta o bassa collina, pianura, zone di bonifica ecc.). Al contempo essa viene individuata quale riferimento basilare della proget-tazione, tesa a interpretarla come vero fulcro su cui far leva per innescare un ponderato progresso verso una più consapevole agricoltura.Per Calderini equivale a colmare un vuoto, a contrastare il protrarsi dell’improvvisazione e dello spontaneismo, a restituire il giusto vigore a moduli congrui nella prassi costruttiva rurale. La più autentica eredità del passato, che si era costituita dalla ricolonizzazione agricola tardo trecentesca al sedicesimo secolo e aveva prodotto una differenziata gam-ma tipologica subregionale (col rimodellamento delle vetuste strutture fortificate nelle forme proprie della casa a corte chiusa, della casa-torre, di quella a pianta ortogonale con o senza torre centrale, oppure con torre palombaia ecc.)12, viene a differenziarsi ulteriormente nei secoli successivi, sotto la spinta della crescita demografica e del conseguente moltiplicarsi dell’insediamento sparso nelle campagne.Le direttive dei proprietari e le necessità dei coloni imprimono alle sedi rurali addizioni e rimaneggiamenti in virtù di esigenze produttive o familiari. Del perpetuarsi di una tale situazione fino all’Ottocento ci informa un corrispondente di Filippo Re in una memoria redatta per gli Annali dell’Agricoltura del Regno d’Italia in cui scrive che le case sono progettate “dai contadini o dai proprietari che ne sanno meno”, mentre un architetto con la stessa quantità di muratura sarebbe capace di rica-vare il doppio delle comodità13.Una constatazione che trova concreto riscontro nello stato di precarietà del patrimonio edilizio rurale rilevato dall’inchiesta Jacini in cui, a pro-posito dell’Umbria, si riferisce che le case coloniche “sono in generale troppo anguste, non aerate, mancanti di comodi e mal ridotte per la cattiva manutenzione, con stalle ristrette, basse e non di raro col piano inferiore al piano della strada o della campagna”14. Né la situazione è diversa nelle regioni contermini: nel circondario di Camerino “le case di campagna sieno esse coloniche, sieno appigionate, sono generalmente in uno stato deplorevole”; altresì “in alcune plaghe dell’Ascolano e dell’Ur-binate, si veggono case fabbricate di pietrame, e così mal costruite che la prima impressione che si prova in entrarvi è quella che da un momento all’altro il tetto debba cascarvi sul capo, il pavimento sfondarvisi sotto i piedi”15.

29

Pari valutazioni sono tra i motivi citati da Calderini nell’accingersi ad affrontare direttamente le applicazioni di architettura rurale, in aper-tura della seconda parte del suo corso: “Se i buoni architetti sono rari, l’architetto rurale non esiste ed è grande fatalità. Non basta soltanto di sapere maneggiare le seste e di progettare una costruzione rurale che niente lasci a desiderare sotto i riguardi dell’arte; ma bisogna che chi concepisce il progetto conosca i bisogni del podere ed il variato succe-dersi delle faccende agrarie […]. L’arte dell’architetto e la scienza dell’a-gronomo congiunte costituiscono dunque l’architettura rurale e quando queste due industrie del pensiero saranno compagne indivisibili, allora soltanto, cesseranno le costruzioni di essere affidate ed abbandonate, ai proprietari, agli agenti, ai muratori di campagna, i quali non possono fare altro che imprimere in questi edifici, il marchio dell’imperizia del progetto e della esecuzione, con grave danno del progresso dell’agricol-tura e del paese”16.

Tra teoria e prassiLe carenze dell’edilizia rurale derivano anche dalla scarsa propensione all’investimento economico da parte dei proprietari, come pure dalla crescita della popolazione. L’incremento demografico che nel corso del diciannovesimo secolo produce un surplus di manodopera agricola, ali-menta le file del bracciantato e dei casanolanti, e favorisce la frammen-tazione fondiaria. Sempre dall’inchiesta Jacini si ricava il numero di 36.188 poderi in cui è suddivisa la superficie agricola totale dell’Um-bria17. Pur considerando che tale dato, definito sulla base di un calcolo intuitivo, è probabilmente sovrastimato18, appare chiara la polverizza-zione terriera in atto e la “fame” di terra che spinge a coltivare anche le aree meno vocate, i versanti meno adatti.Non sorprende dunque il fatto che, a metà Ottocento, tutta l’Italia cen-trale connotata dalla mezzadria presenti i valori più bassi di terreno in-colto rispetto al contesto nazionale: la Toscana figura con 82.299 ettari di incolto, l’Umbria con 4.476 e le Marche registrano appena 1.091 ettari19.Una profonda dinamica territoriale è in atto e in un certo senso la dif-fusione insediativa gioca, nel tempo, a vantaggio delle timide attività industriali dalle quali, nel corso dell’Ottocento, procedono i primi sin-tomi di una polarizzazione urbana che tuttavia non sbilanciano ancora

30

il carico demico tra aree rurali e urbane. Per tutto il diciannovesimo secolo in Umbria, come anche in Toscana e nelle Marche, sono le cam-pagne a registrare una progressiva saturazione demografica20. Il pri-mato dell’insediamento sparso si mantiene nelle aree mezzadrili fino agli anni cinquanta del Novecento quando “l’Umbria è, con le Marche e l’Emilia, una delle regioni italiane con più numerosa popolazione sparsa, circa il 56%”21.Perdurano pure le condizioni d’inadeguatezza abitativa dei contadini. Un’efficace sintesi del rapporto città-campagna viene offerta dall’in-dagine sulla casa rurale condotta negli anni 1933-1934 che censisce 3.645.817 sedi, di cui il 4.4% (160.975) in una condizione di fatiscenza tale da consigliarne la demolizione.Tra le abitazioni ritenute abitabili il 14.4% (523.186) necessita di pro-fonde riparazioni; il 27.6% richiede piccole riparazioni mentre il 53.6% è giudicato fruibile senza bisogno d’interventi. I valori percentuali più alti di case da demolire si riscontrano nelle province di Sassari (20%) e di Matera (16.4%).In Toscana, Umbria e Marche la stima degli abbattimenti oscilla dal valore minimo di 0.6% della provincia di Pesaro-Urbino a quello massi-mo del 3% della provincia di Macerata. Va comunque notato che anche l’ascolano e la Maremma grossetana ricevono giudizi di demolizione superiori al 2%, mentre per le province di Perugia e di Terni l’incidenza delle case da abbattere, rispetto al patrimonio rurale esistente è, nell’or-dine, dell’1.9% e dell’1.4%. Tuttavia, se il raffronto viene operato sul to-tale delle case rurali da demolire in Italia, si scende a valori percentuali inferiori all’1%, eccettuate le aree della Garfagnana e della Lunigiana22. Nell’insieme lo stato dell’edilizia rurale è quello che risulta dal seguente prospetto:

Fonte: istat 1934, pp.19-20, 23.

Toscana

Umbria

Marche

Italia

214.031

58.972

112.520

3.645.817

4.811

1.020

2.205

160.975

26.842

9.420

15.254

523.186

65.868

18.098

34.002

1.007.714

116.510

30.434

61.059

1.953.942

Case rurali abitabili

Regione/Stato Totale case rurali Case da demolire con grandi riparazioni

con piccole riparazioni

senza riparazioni

31

Le linee ispiratrici di Guglielmo CalderiniSi è già detto del rigore che informa il corso impartito da Calderini e la dispensa che ne scaturisce. A ulteriore suffragio interviene l’approccio speculativo basato su un assunto fondante: quello che insiste sulla com-plessità della struttura agraria, entro cui la casa colonica svolge un ruolo di prim’ordine. Di qui il deciso procedere verso una progettualità della sede connessa alla tipizzazione dell’azienda agraria. Dunque “Abitazioni per le piccole colture”, per la “coltura mezzana”, per la “grande coltura”, “Case dei giornalieri o dei piccoli coltivatori”23, funzionali in rapporto alle dimensioni della proprietà e in virtù della loro integrazione con le strutture accessorie: dalle tettoie alle stalle, dai granai ai forni e alle cantine ecc. Gli annessi ottengono infatti pari attenzione, a significare ancora una volta l’ampiezza di veduta della progettazione messa in atto e il sincero proposito del progettista di svolgere un servizio per l’innalza-mento complessivo di un settore, quello primario, a vantaggio del paese.Le sedi rurali risultano concepite come un microcosmo produttivo sor-retto dal misurato rapporto tra forma e funzione, tra il bello e l’utile. La ricerca di efficienza valorizza e non mortifica i pregi estetico-archi-tettonici perché la sostanza è di per sé forma, quindi grazia. Pertanto “solo potrà dirsi bello un edificio, quando avrà una disposizione la più conveniente ed economica”24.Solidità, salubrità, comodo ed economia divengono le parole d’ordine dell’architetto che procede sulla base di un attento vaglio dei materia-li edili da impiegare e delle proporzioni dimensionali da sviluppare. è questo un impegnativo banco di prova per Calderini che, nel men-tre emenda le carenze derivanti dall’empirismo imperante nel passato, opera anche qualche significativo recupero dell’esperienza tradizionale. Le maggiori inadeguatezze vengono individuate (in accordo a quanto stigmatizza l’inchiesta Agraria) nelle esigue dimensioni delle luci del-le abitazioni, nella deprecabile adiacenza tra i vani d’uso domestico e le stalle, nella insana abitudine d’addossare le concimaie ai muri della casa. Tuttavia la frequentazione di Calderini dell’Umbria e della To-scana lo induce a soffermarsi attentamente sulla tecnica edificatoria che utilizza l’argilla cruda, molto diffusa in tutto il bacino del Mediterra-neo “che i francesi chiamano pisè […] La pratica di costruire muri con mattoni crudi è antichissima ed ancora molto generale massime nelle

32

costruzioni agricole ed in genere dove vi è scarsezza di pietre naturali buone da fabbricare”25.Invero nella diffusione delle “case di terra” si riverbera il crescente pau-perismo che tra Settecento e Ottocento investe le plebi rurali. Il co-stante aumento della popolazione, a fronte della debole capacità d’as-sorbimento di manodopera insita al sistema mezzadrile, incrementa il numero dei braccianti e dei giornalieri che, a differenza del mezzadro, non dispongono di un’abitazione su un fondo, quindi debbono sostenere l’onere di un nolo o affitto (casanolanti), o debbono adattarsi a vivere in misere case di terra. Un’icastica quanto realistica esplicitazione del fenomeno ci dice che “l’abitazione del giornaliero è talvolta in uno stato così miserando che nulla è ciò che si è detto intorno alle abitazioni più povere della classe colonica. Generalmente il bracciante abita in case costruite con impasto di paglia e terra ad un sol piano, non per se stesse malsane, ma spesso per imperfetta costruzione e perché di poca dura-ta ridotte al punto da non esser più nemmeno valida difesa contro il vento e la pioggia. Visitando quegli aggruppamenti di case abitate dai braccianti che si vanno formando nelle campagne, e s’ingrossano ogni giorno più, mentre si prova un senso di pietà per la condizione presente di questa classe sventurata, non si può a meno di essere seriamente pre-occupati dell’avvenire”26.Architettura rurale, quella in argilla cruda, fragile e deperibile al punto da sospettarsi, negli anni quaranta del secolo scorso, che in Toscana non fosse rappresentata o non fosse esistita. Di qui la particolare premura di Renato Biasutti nel segnalare un primo e significativo rinvenimento in comune di Cortona, utile a confermare che in Toscana, al pari delle re-gioni confinanti, “le costruzioni in argilla cruda battuta erano un tempo alquanto usate, purché esistesse sul luogo materiale adatto e concorres-sero certi motivi economici”27.Un’ultima considerazione sul magistero di Calderini in tema di archi-tettura rurale non può che tornare ad appuntarsi sui caratteri di fondo della dispensa. Quel che desta compiacimento è l’anelito a una visione globale con cui approcciare la dimora contadina, dunque la considere-vole capacità di sintesi nel raccordare i riferimenti culturali alle impli-cazioni economico-sociali e agli aspetti tecnici, pur nella ovvia diversità d’estensione delle parti relative ai vari ordini di contenuto.

33

Un’ambizione ardua, cui si ispirano, nel volgere di qualche decennio, le ricerche sistematiche sulle case rurali condotte in ambito accademico soprattutto dai geografi, coordinati da Biasutti, e da studiosi di ar-chitettura, sulla base dell’impostazione data da Giuseppe Pogatschnig Pagano28. Due esperienze feconde e sostanzialmente diverse: la prima incline a leggere nelle sedi la risposta etnoculturale connessa al loro ruolo economico e al rapporto con l’ambiente; la seconda a privilegiare l’analisi delle forme, dei moduli e delle tecniche di costruzione. Poche sono state le occasioni d’incontro suscettibili d’imprimere alle indagini ancor più ampio respiro, specie in una prospettiva d’evoluzione terri-toriale29.Il superamento della mezzadria e il più generale rifiuto dell’occupazione agricola, sopraggiunti nel secondo dopoguerra, hanno indotto usi nuovi e talora impropri del patrimonio abitativo sparso nelle campagne. La pianificazione pubblica, a vari livelli, ha utilizzato gli strumenti vin-colistici e quelli promozionali, a iniziare dalla elaborazione dei piani paesistici, per salvaguardare i valori del contesto rurale, sempre più se-gnato dai tratti di una destrutturazione che appiattisce gli ordinamenti colturali e diffonde un’edilizia livellatrice, spesso banale per impianto e astrusa per impiego di materiali30. “Casa fatta e campagna disfatta è un male ma campagna fatta e casa disfatta è una disgrazia” scrive Calderini a chiusura delle sue lezioni31. Un monito assiomatico e che insiste su una questione di ieri quanto mai attuale: quella dell’interazione tra l’e-dificio e l’ambiente circostante. Una problematica assunta oggi in modo particolare dalla bioarchitettura e proprio col ripensare la casa rurale tradizionale32, al fine di un equilibrato utilizzo delle risorse naturali e di una sicura sostenibilità.

Note

1 Benevolo 1971, pp. 5-6.

2 Bronzini 1992, pp. 263-264. Molte delle risultanze scaturite dall’indagine trovarono ospitalità negli Annali dell ’Agricoltura del Regno d’Italia diretti da Filippo Re, su cui Butera 1981.

3 Bonelli 1967, pp. 14-18.

34

4 Caracciolo 1973; Atti della Giunta 1881-1886, con particolare riferimento alle parti relative a Toscana, Umbria, Marche, comprese in Atti della Giunta 1881; Atti della Giunta 1884; Valenti 1911 e Istat 1934.

5 Per i territori dell’ex Stato Pontifico sono un chiaro esempio le disposizioni emanate nel 1888 (legge n. 5489 del 24 giugno) e nel 1894 (legge n. 397 del 4 agosto).

6 Desplanques 1955, p. 80.

7 Palombarini 1979, p. 1337.

8 Caracciolo 1973, pp. 93-94.

9 Cantalupi 1876.

10 Niccoli 1891.

11 Per ulteriori considerazioni sulla convergenza multidisciplinare che tra fine Ottocento e primo Novecento si incentra sulle sedi rurali si rimanda a Gambi 1964 e Gambi 1970.

12 Gambi 1964 e Gambi 1985. La significatività delle torri colombaie nell’insediamento sparso dell’Umbria è posto in evidenza da: Chiuini 1986, pp. 41-56; Melelli 2010a. Sulla dinamica sto-rica che conduce alla ricolonizzazione agricola si rinvia alla raccolta di scritti di Sergio Anselmi, Anselmi 2000.

13 Valeriani 1812, pp. 132-134.

14 Atti della Giunta 1884, p. 210.

15 Ivi, pp. 1127 e 590.

16 Compendio, pp. 398-399 (pp. 552-553).

17 Atti della Giunta 1884, p. 303.

18 Caracciolo 1973, pp. 150-151.

19 Valenti 1911, p. 13, dove viene riportato un prospetto delle varie colture traendolo dalla secon-da edizione (1864) dell’Annuario statistico Italiano di Cesare Correnti e Pietro Maestri.

20 Bonelli 1967, p. 43. Anche nel caso della Toscana l’incremento demografico dei 25 comuni costieri avviene nel corso del Novecento, quando nell’insieme passano da una percentuale del 10% della popolazione totale nel 1861 all’11.2% nel 1901, al 20.33% nel 1951 e al 23.29% nel 1981. Borto-lotti 1986, p. 785.

21 Desplanques 1955, p. 47.

22 Istat 1934, pp. 12-13; 19-20 e 24-25.

23 Compendio, p. 408 (p. 562).

24 Compendio, p. 15 (p. 169).

25 Compendio, pp. 50 e 52 (pp. 204 e 206).

26 Atti della Giunta 1884, pp. 602-603.

27 Fondi, Biasutti 1952, pp. 39-40.

28 Biasutti 1926; Pagano, Daniel 1936.

29 Per una valutazione di queste esperienze di ricerca si veda Gambi 1985, p. 360.

30 Melelli 1999, p. 156.

31 Compendio, p. 534 (p. 688).

32 Gaddoni 2009, p. 220-221.

I

Saggi sull’autore del Compendio

39

Tra impegno didattico e pratica professionale.La figura, le opere e l’insegnamento di Guglielmo Calderini

Paolo Belardi, Valeria Menchetelli

Guglielmo Calderini1 nasce a Perugia il 3 marzo 1837 da Francesco, av-vocato, e da Antonia Poggini. Ancora giovanissimo, intraprende nel 1849 gli studi di architettura presso l’Accademia di Belle Arti della città natale, frequentando i corsi di Architettura, Prospettiva e Ornato come allievo di Giovanni Santini2 prima e di Vincenzo Baldini3 poi. A partire dal 1855 fre-quenta la Scuola di Applicazione per gli Ingegneri di Roma, conseguendo nel 1857 la laurea in Matematica e Scienze Applicate all’Ingegneria e, nel 1860, la laurea in Architettura. In questo periodo ha occasione di svolgere “una sorta di tirocinio”4 presso lo studio dell’architetto napoletano Antonio Cipolla, la cui attività professionale s’incrocia a più riprese con la crescita postunitaria del capoluogo umbro5. Alcune fonti6 ipotizzano che tra il 1860 e il 1861 Calderini si trovi a Torino, sia come allievo dei corsi universitari tenuti da Carlo Promis sia per una breve fase della sua attività professionale. Ma in realtà Calderini non risulta essersi mai immatricolato né in qualità di studente né di uditore7 presso la facoltà di Scienze Fisiche e Matematiche, cui facevano capo gli studi di architettura8. Ciò che è ampiamente docu-mentato9, invece, è che Calderini collabora assiduamente negli anni 1862-1863 con Giuseppe Polani (egli sì, allievo indiscusso di Promis) all’elabo-razione del progetto per il nuovo carcere giudiziario di Perugia, occasione in cui ha modo di entrare in contatto, seppure indirettamente, con gli inse-gnamenti del maestro eclettico. E tanto la figura di Promis quanto quelle di Santini, Baldini e Cipolla orientano sensibilmente la sua solida e versatile formazione di progettista. Nei primi mesi del 1861 Calderini è ammesso come “ingegnere allievo gratuito” all’interno del Genio Civile di Perugia e qui ricopre la carica di funzionario per nove anni, fino al momento in cui, per scongiurare il trasferimento presso una diversa sede regionale, rassegna volontariamente le proprie dimissioni (22 gennaio 1870). A seguito della

40

rinuncia all’impiego, riceve da parte del ministero dei Lavori pubblici la no-mina di “ingegnere onorario in contemplazione degli ottimi servizi presta-ti”10, che gli varrà nel 1891 (e fino al 1896) l’incarico di direttore dell’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti di Roma, L’Aquila e Chieti. Nell’ambito di questo ruolo promuoverà nel tempo restauri di monumenti tra i più importanti della capitale, quali i chiostri di San Giovanni in Late-rano e di San Paolo fuori le mura (1888-1889); completerà poi con Giuseppe Sacconi il progetto di Virginio Vespignani per il quadriportico antistante la basilica di San Paolo (1890-1910), edificio di cui è peraltro direttore dei lavori di ricostruzione successivi all’incendio del 1823; infine, sempre all’in-terno della basilica si occuperà della sistemazione della cappella del Coro e degli stalli lignei (1897-1898).La carica pubblica ricoperta da Calderini tende a escluderlo dai circuiti della committenza privata11 (eccettuati alcuni casi del tutto particolari, concentrati prevalentemente all’inizio e al termine della sua carriera), spingendolo verso un’intensa attività concorsuale, che lo vedrà impegnato fino a pochi anni dalla morte. Subito dopo la laurea, dimostrando una spiccata capacità d’interpretare tempestivamente il rinnovato assetto po-litico e amministrativo del neo costituito stato italiano, elabora e presenta alcuni progetti pubblici per la sua città (l’ipotesi di riutilizzo dello stilo-bate della loggia alessiana dell’ex forte paolino negli anni 1860-1862 non-ché la proposta di restauro dell’arco etrusco nel 1862); a partire dal 1861 intraprende la realizzazione12 dell’edificio dei bagni pubblici a Perugia. è soltanto il 1862 quando partecipa per la prima volta a un concorso di architettura, ideando un progetto per la facciata di Santa Maria del Fiore a Firenze; la proposta elaborata nel 1866, per la seconda fase del concorso, è elogiata da Gottfried Semper “per la chiarezza strutturale e l’equili-brio delle proporzioni”13, tanto da ottenere il prestigioso conferimento della “grande medaglia dell’Arte”14. Parallelamente inizia ad affermarsi a Perugia con la realizzazione, riferibile alla seconda metà degli anni ses-santa dell’Ottocento, del padiglione funerario dell’Ipogeo dei Volumni15, situato in un terreno divenuto di proprietà della famiglia Calderini dopo la demaniazione dei beni ecclesiastici: l’opera, di gusto colto e raffinato, subirà nel tempo radicali trasformazioni tese a minimizzarne la presenza figurativa. Oltre ad alcuni interventi di carattere minore, Calderini realiz-za dal 1870 il primo imponente condominio perugino, il palazzo sociale

41

dei Canapé in piazza Vittorio Emanuele, dando voce alla propria incli-nazione politica di matrice socialista e avviando quello che si rivelerà un proficuo e continuo rapporto di collaborazione con il laboratorio artistico Angeletti-Biscarini, espressione eccellente della realtà artigianale loca-le16. Del 1873 è poi l’imponente palazzo Bianchi, emblema delle crescenti aspirazioni sociali del facoltoso avvocato perugino, che esibisce evidenti richiami al poco distante palazzo signorile Gallenga-Stuart. Nell’ambito di questo primo periodo perugino Calderini è coinvolto anche nel restauro del teatro del Verzaro, edificio simbolo della nuova vita socio-culturale borghese, la cui notorietà gli garantisce altre importanti commesse quali la realizzazione del teatro Torti di Bevagna (1878) e i progetti per i teatri di Nocera Umbra e di Carrara. Rappresenta per contro un fallimento l’e-dificazione a Perugia, dietro finanziamento privato, del nuovo Politeama, mai completato a causa di rilevanti problemi strutturali e infine, dopo alterne ipotesi di trasformazione in caserma per i Carabinieri, demolito per fare spazio alle palazzine Biscarini (1893-1894)17. Questo insuccesso decreta per Calderini l’inizio di una intensa stagione di concorsi d’archi-tettura: nel 1877 quello per la facoltà di Scienze e la facoltà Umanistica dell’Università di Leida; nel 1878 quello per il teatro di Odessa; nel 1879 quello per il palazzo temporaneo delle Esposizioni di Belle Arti per la mostra di Torino, che vince e realizza; nel 1880 quello per la facciata della cattedrale di Savona, ancora una volta con esito favorevole e successiva realizzazione del progetto. A questi concorsi si aggiungono una molti-tudine di partecipazioni a competizioni per monumenti commemorati-vi, tutte espletate nell’arco di pochi anni. Anche se l’unica realizzazione che ne scaturisce è quella del monumento a Garibaldi a Città di Castello (1887): una magra consolazione rispetto all’impegno profuso da Calderi-ni in occasione del concorso per il monumento a Vittorio Emanuele II a Roma (riconosciuto all’unanimità come la “maggiore struttura simbolica della capitale”18), laddove non ottiene alcun premio. Nondimeno la vitto-ria conseguita nel concorso per la cattedrale di Savona induce Calderini a cimentarsi con alcuni progetti di chiese in Umbria, a partire da un’ipotesi di completamento delle facciate del duomo di Perugia, che elabora nel 1880. Di questa serie fanno parte i restauri (tutti portati a compimento e tutti contrassegnati da una forte licenziosità stilistica) della collegiata di Nocera Umbra (1879), di San Giovanni Profiamma a Foligno (1880) e di

42

Ritratto dell ’ ingegnere architetto Guglielmo Calderini, accademico di merito, fotografia, 1900 ca. (Pe-rugia, Archivio Storico dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”, Album fotografici degli ac-cademici di merito e d’onore, album 1-3)

43

San Costanzo a Perugia (1890)19. Sempre in Umbria, infine, Calderini ri-costruisce le terme di Fontecchio (1888), praticando uno stile neoclassico di maniera.Ma non è tutto. Nel tracciare il percorso intellettuale e professionale del maestro perugino, infatti, non è possibile trascurare l’appassionato impe-gno didattico e pubblicistico che, condotto parallelamente agli altri ambiti della sua attività, permea e orienta ogni sua azione progettuale. Già negli anni 1861 e 1862 Calderini presta la propria assistenza presso l’Accademia di Belle Arti di Perugia coadiuvando Giovanni Santini che, in accordo con il consiglio accademico, si avvale della sua opera “tanto nelle scuole quanto nella direzione dei concorsi”20. Ma è solo dal 1868 che egli insegna ufficial-mente Teoria e Pratica dell’Architettura e Storia dell’Architettura nell’an-tica istituzione perugina, applicando una “impostazione che può essere considerata rivoluzionaria nel contesto dell’insegnamento accademico”21 e affinando un metodo didattico che, nell’arco dei dodici anni della sua permanenza, determina “un quasi definitivo ammodernamento della scuo-la”22. Forte del successo conseguito nel concorso del 1880 per la cattedrale di Savona, presenta per tre edizioni consecutive saggi critici in occasione del prestigioso premio istituito presso l’Accademia di San Luca23 in onore di Luigi Poletti, risultando nel 1882 vincitore dell’ambito riconoscimento con una dissertazione24 incentrata sui limiti congeniti e sulle innovazioni necessarie nell’insegnamento dell’architettura nelle accademie italiane. Nel 1881 Calderini è nominato professore straordinario di Disegno di Ornato e di Disegno di Architettura presso la facoltà di Scienze Fisiche, Matema-tiche e Naturali della Regia Università degli Studi di Pisa25; le sue propo-ste innovative, in cui non perde occasione di sottolineare l’inadeguatezza dell’architetto di preparazione accademica, susciteranno reazioni di sdegno nei suoi colleghi tradizionalisti perugini, tanto da sancire l’origine di un lungo contenzioso che si concluderà polemicamente nel 1885, al contempo anno di pubblicazione del caustico scritto I pregi e i guai dell ’Accademia di Belle Arti in Perugia e anno in cui Calderini viene incaricato di ricoprire la cattedra di Architettura Civile e Idraulica presso la Scuola Superiore di Agraria di Pisa26.Soprattutto, però, il 1885 è l’anno in cui la carriera di Calderini vive una svolta decisiva: il 23 aprile viene bandito il secondo concorso per il nuovo palazzo di Giustizia di Roma, dopo una prima competizione priva di esiti

44

positivi. Calderini vi partecipa con un progetto che interpreta magistral-mente le esigenze simboliche e rappresentative del nuovo edificio, tanto da risultare incluso nella rosa dei sette finalisti. Ma anche questo secondo concorso si conclude in maniera affrettata e il 25 maggio 1887 ne viene bandito un terzo, in occasione del quale egli rielabora completamente la proposta iniziale; il progetto, selezionato come finalista assieme a quello di Ernesto Basile, sarà ulteriormente perfezionato accentuandone il ca-rattere retorico prima di essere proclamato vincitore. Il 14 marzo 1889, esattamente un anno dopo la nomina ufficiale di Calderini, viene posata la prima pietra di quella che sarà la vera e propria impresa della sua vita artistica. Appare perciò comprensibile come egli, che nel 1889 si è ormai trasferito a Roma e fino al 1897 è anche direttore dei lavori di realizza-zione del palazzo di Giustizia, si trovi costretto a trascurare gli altri fronti della propria attività, in primo luogo quello didattico: dovendo sistema-ticamente ricorrere alla disponibilità di altri colleghi per la copertura di buona parte dei propri compiti, desidera concludere rapidamente l’attività di insegnamento a Pisa. Al contempo, però, è sua ferma intenzione ricon-giungere nel contesto romano le diverse anime della propria opera, tanto che da subito, seppure ricoprendo un ruolo tutt’altro che stabile, insegna Architettura Tecnica presso la Scuola di Applicazione per gli Ingegneri dell’Università della Sapienza. La non ufficialità di questa sistemazione è con ogni probabilità la ragione per cui Calderini decide di non rinunciare alla cattedra pisana, mantenendola, almeno dal punto di vista formale, fino al 1901. Dopodiché insegna con continuità nella capitale per oltre vent’anni, fino a quando la sua carriera di docente, coronata dall’inse-gnamento nel Regio Istituto Superiore delle Belle Arti, si conclude nel 1912 con il collocamento in pensione. Lo spirito dell’attività didattica di Calderini a Roma, nonché i suoi convincimenti sull’insegnamento dell’ar-chitettura, sono espressi con grande chiarezza dalle dispense universitarie pubblicate negli anni 1891-1892 e 1898-1899, che forniscono tra l’altro un utile termine di paragone con il Compendio pisano dell’anno accademico 1885-1886: la prima in particolare, oltre a rendere palese la strutturazione dei contenuti del corso di Architettura Tecnica26, offre una panoramica chiara e completa sul pensiero e sulle posizioni culturali del maestro pe-rugino, di matrice anticlassicista ed eminentemente positivista27.

45

Guglielmo Calderini, Progetto di un Monumento a muro per solenne memoria dei valorosi caduti nella giornata del 14 settembre 1850, e per ricordare le vittime cadute nel 20 giugno 1859, da collocarsi sotto un’arcata del nuovo portico del campo santo di Perugia, s.d. (Perugia, Collezione privata Marco Dean)

46

Guglielmo Calderini, Uno dei due fianchi esterni del teatro, 1878, progetto di concorso per il Teatro di Odessa (Perugia, Archivio dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”, Fondo Calderini, inv. 39)

Guglielmo Calderini, Facciata esterna della chiesa di San Costanzo in Perugia secondo il progetto di riduzione, 1882 (Perugia, Archivio dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”, Fondo Calde-rini, inv. 48)

47

Guglielmo Calderini, Prospetto laterale, 1880, progetto di completamento della decorazione esterna della chiesa di San Lorenzo a Perugia (Perugia, Archivio dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”, Fondo Calderini, inv. 46)

Guglielmo Calderini, Roma, Esposizione Etnografica, Salone per le feste, 1909-1910, sezione, inchio-stro nero su carta da lucido, 71x100.4 cm (Perugia, Archivio dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”, Fondo Calderini, inv. 225)

48

Questi sono anche gli anni che seguono il citato incarico del ministero della Pubblica Istruzione per la direzione dell’Ufficio regionale per la con-servazione dei monumenti di Roma, L’Aquila e Chieti: per Calderini è il momento della massima riconoscibilità pubblica, che lo cala ancor più “nel ruolo di architetto ufficiale di Stato”28, che per l’intero l’arco della propria esistenza aveva desiderato ardentemente di ricoprire. Aveva infatti presentato già nel 1878, in occasione di un concorso dedicato, il primo di una lunga serie di progetti per la sede del Parlamento nazionale, premiato due anni dopo assieme a quelli elaborati da Paolo Comotto ed Ernesto Ba-sile. Ma né questa prima ipotesi né le successive, perfezionate a partire da quella, articolatissima, presentata subito prima che sia indetto il concorso del 1897 (quarta delle competizioni incentrate sul tema in oggetto), hanno alcun seguito. Tuttavia, Calderini non si rassegna e, di propria iniziativa, continua a elaborare una serie di proposte, perfino durante la realizzazione dei lavori, ormai affidati a Basile: l’unico, ma assai prestigioso in quanto

Guglielmo Calderini, Palazzo di Giustizia, piano esecutivo: facciata posteriore, 1887-1888 (Perugia, Archivio dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”, Fondo Calderini, inv. 117)

Guglielmo Calderini, Palazzo di Giustizia, piano esecutivo: facciata posteriore, 1887-1888 (Perugia, Archivio dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”, Fondo Calderini, inv. 116)

49

assegnato a un solo architetto italiano, riconoscimento che ne trae è la me-daglia d’oro all’Esposizione Universale di Parigi del 1900.Le vicende del progetto e della realizzazione del palazzo di Giustizia non rappresentano soltanto la principale cifra professionale di oltre trent’anni di attività, ma sono anche fonte di profonde amarezze, che a lungo andare finiscono per minare Calderini nel fisico e nell’animo. A causa di ingenti problemi strutturali legati ai cedimenti fondali del terreno alluvionale, i tempi di realizzazione e le relative spese aumentano vertiginosamente, con conseguenti aspre critiche da parte dell’opinione pubblica che cul-minano nel 1908 con la revoca della direzione artistica e, in seguito, con l’avvio di un’azione giudiziaria. L’immagine di grande maestro ne esce decisamente indebolita e Calderini, che in più occasioni si trova a re-digere articolati documenti in sua discolpa a sostegno dell’autorevolezza della propria caratura professionale29, tenta di risollevarsi tornando a ri-piegare sull’attività concorsuale. In questo periodo partecipa a importanti competizioni nazionali e internazionali, cimentandosi con le tipologie più disparate: il Museo di Antichità Egizie al Cairo (1895), il Parlamento di Buenos Aires (1895), la facciata della chiesa fiorentina di San Lorenzo (1900), il palazzo della Pace a L’Aia (1906), la sede della Biblioteca Na-zionale Centrale di Firenze (1906), la facciata della stazione di Milano (1912) e il palazzo comunale di Messina (1908), che peraltro rappresenta l’unica occasione in cui risulta vincitore. Nel frattempo, a Perugia, riesce nell’intento ambizioso di realizzare il “più imponente edificio privato co-struito […] nella città”30, il palazzo Cesaroni (1898-1900)31, che contrap-pone “una personale declinazione del linguaggio romano o del cinquecento imitatore”32 allo stile lombardo del palazzo del Governo realizzato pochi anni prima sul versante opposto della piazza su disegno di Alessandro Arienti e manifesta apertamente il proprio pensiero politico nei confron-ti dell’assetto sociale consolidatosi dopo l’unità nazionale. Non a caso, infatti, egli orienta le proprie riflessioni progettuali verso la soluzione di questioni di pubblica utilità: ancora per Perugia, elabora progetti per un mercato coperto, un manicomio e, soprattutto, partecipa nel 1909 al con-corso per il nuovo ospedale nell’area di Monteluce33. Infine, si fa interpre-te dell’identità della propria regione attraverso il progetto del padiglione umbro in occasione dell’Esposizione nazionale di Roma del 191134; stesso anno in cui nella capitale viene inaugurato finalmente, alla presenza del

50

Perugia, tomba di Guglielmo Calderini all’interno del cimitero monumentale

51

re Vittorio Emanuele III nonché del ministro perugino Cesare Fani, il Palazzo di Giustizia.Negli ultimi anni di vita, trascorsi nel clima nazionalista della Roma gio-littiana, Calderini si dedica a progetti magniloquenti, che spaziano dall’i-potesi di sistemazione di piazza Colonna alla realizzazione di imponenti condomini residenziali fino alla proposta di riorganizzazione del Campi-doglio. Ma la morte, sopraggiunta improvvisamente il 12 febbraio 1916, gli impedisce di suggellare la propria carriera con un’impresa altisonante. E, nonostante la sua lontananza fisica, produce un profondo sconcerto nella città natale: tanto che la salma, dopo essere stata tumulata nel cimi-tero romano del Verano, viene riesumata e traslata nel cimitero monumen-tale di Perugia.

Note

1 Per un profilo biografico e per notizie dettagliate sulle opere e i progetti di Guglielmo Calderini cfr. Raffo Pani 1973; Muratore, Boco 1989, pp. 65-66; Calderini 1991, pp. 239-241; Boco, Kirk, Muratore 1995, pp. 159-160; Kirk 1995; Greco 2011. Cfr. anche Calderini 1909. Per un elenco degli scritti di e su Guglielmo Calderini cfr. Muratore, Boco 1989, pp. 65-66; Calderini 1991, pp. 245-251 e 253-255; Boco, Kirk, Muratore 1995, pp. 161-166 e 167-169.

2 Giovanni Santini è titolare della cattedra di Architettura dal 1833 al 1868 e della cattedra di Prospettiva dal 1834 al 1850. Per un profilo biografico di Giovanni Santini cfr. Muratore, Boco 1989, p. 64; Belardi, Martini 2013.

3 Vincenzo Baldini è titolare della cattedra di Prospettiva dal 1851 al 1881. Per un profilo biografico di Vincenzo Baldini cfr. Muratore, Boco 1989, p. 65.

4 Miano 1996, p. 46.

5 Alla mano di Antonio Cipolla è tradizionalmente attribuita la stazione ferroviaria insediata nell’area di Fontivegge, interpretata come nodo strategico della futura espansione urbana; cfr. Belardi, Menchetelli 2011, p. 42. L’architetto napoletano è inoltre consultato dal Consiglio Comunale di Perugia nel 1864, in occasione del secondo concorso per la sistemazione dell’area su cui sorgeva l’ex fortezza paolina, al fine di dirimere le controversie sorte durante la valutazione; cfr. Terzetti 1994, pp. 29-30.

6 Kirk 1995, p. 43 (n. 5); Miano 1996, p. 46.

7 Il nome di Calderini risulta in particolare assente sia dai registri di iscrizione della facoltà di Teologia, Scienze Fisiche e Matematiche, Filosofia e Lettere (cfr. Archivio Storico dell’Univer-sità di Torino, Teologia, Carriere degli studenti 1817-1873, Rassegne e registri delle iscrizioni 1852-1873, Carriere 2/5, 1860-61 Iscrizioni T.S.L., 1860; ivi, Carriere 2/6, 1861-62 Iscrizioni T.S.L., 1861) sia dagli elenchi degli Esami di architetto, ingegnere civile e idraulico, misuratore, agrimensore e maestro de’ conti della facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali (Archivio Storico dell’Università di Torino, X.D. Facolta’ di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, n. 19, 15.07.1856-17.07.1858, vol. 17; ivi, n. 20, 19.07.1858-30.07.1860, vol. 18; ivi, n. 21, 31.07.1860-20.12.1861, vol. 19;

52

ivi, n. 22, 03.06.1862-15.12.1863, vol. 12). Per questa nota e la successiva si ringrazia Carla Zito per la collaborazione fornita.

8 Nella Regia Università degli Studi di Torino, a seguito di alcune riforme nel triennio 1846-1848, vennero create due facoltà separate, di Belle Lettere e Filosofia e di Scienze Fisiche e Matemati-che. La facoltà di Scienze fu organizzata in quattro corsi di laurea quadriennali: di Matematica e Ingegneria Idraulica (il primo nucleo del futuro Politecnico), di Architettura Civile e, per l’inse-gnamento nelle scuole secondarie, di Fisica e Geometria, e di Storia Naturale. Già dal 1843, Carlo Promis risulta professore di Architettura Civile.

9 La recentissima acquisizione scientifica deriva da accurate indagini documentarie dedicate all’edificio dell’ex carcere maschile di Perugia e svolte da un’équipe interdisciplinare interna al Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università degli Studi di Perugia nell’ambito del progetto di ricerca Kultur-Fabrik-Perugia. Nello specifico, è emerso come Calderini affianchi Polani in tutto il corso della stesura del progetto, tanto da conoscerne, a detta del torinese, “tutti i dettagli”. Cfr. Archivio di Stato di Perugia, Genio Civile, Serie VI, b. 42, fasc. 2a.

10 Raffo Pani 1973.

11 Muratore, Boco 1989, p. 65.

12 Su finanziamento della Cassa di Risparmio, di cui Calderini è socio (Kirk 1995, p. 23); l’edificio sarà completato nel 1870.

13 Kirk 1995, p. 23.

14 Calderini 1909.

15 Belardi, Bori, Graziotti 2011.

16 Zappia 1996.

17 Le palazzine, che derivano il nome dal progettista Nazareno Biscarini, completano verso valle la sistemazione dell’area della caserma dei Carabinieri, edificata su progetto di Giulio De Angelis, cfr. Zullo 2005. Sulla figura di Nazareno Biscarini cfr. Menchetelli 2013.

18 Kirk 1995, p. 27.

19 L’edificio è stato rilevato da Maddalena Gustinelli nell’ambito della tesi di laurea triennale in Ingegneria Civile, cfr. Gustinelli 2005-2006.

20 Così è comprovato da una lettera in cui Calderini chiede al presidente dell’Accademia (all’epo-ca il marchese Alessandro Antinori), il pagamento del compenso pattuito relativamente all’opera prestata nell’anno 1861; Calderini farà una richiesta analoga per l’anno 1862, come risulta da una sua lettera inviata da Forlì il 4 giugno 1863 al medesimo destinatario. Cfr. Archivio Storico dell’Ac-cademia di Belle Arti di Perugia, Carteggio amministrativo 1790-1970, b. 32, fasc. 65, tit. 9, art. 5, Pratiche varie del personale, 1855-1868; 1860-1861. Calderini Guglielmo. Supplenza provvisoria al Prof. Santini e gratificazione accordata al medesimo, Lettera di Guglielmo Calderini al Presidente dell ’Accade-mia di Belle Arti di Perugia, 20 settembre 1861.

21 Kirk 1995, p. 23.

22 Miano 1996, p. 47.

23 Calderini sarà dal 1901 membro effettivo dell’autorevole istituzione accademica.

24 Il saggio, titolato Sull ’ insegnamento dell ’architettura nelle Regie Università italiane di prim’ordi-ne. Proposte dell ’ ing. architetto Guglielmo Calderini professore di architettura teorica e pratica nell ’Ac-cademia di Belle Arti di Perugia attualmente nominato insegnante di architettura e ornato nella Regia Università di Pisa, anticipa in maniera a dir poco pionieristica l’istituzione di corsi universitari dedicati all’insegnamento dell’architettura, che saranno effettivamente istituiti come facoltà di Architettura negli anni trenta del Novecento. Non a caso, uno dei massimi fautori di tale innova-zione sarà Gustavo Giovannoni, allievo scelto di Calderini.

53

25 Cfr. in questo stesso volume il saggio di Marco Giorgio Bevilacqua, pp. 55-61.

26 “Nell’ambiente della scuola ingegneristica l’architetto si concentrò sui compiti essenziali dell’architettura contemporanea, estendendo la sua indagine ai moderni tipi costruttivi […] pub-blicò inoltre un rapporto informativo sulla tipologia edilizia degli edifici di abitazione, per la quale egli è considerato il primo negli studi tipologici in Italia”, Kirk 1995, p. 28. In proposito cfr. Cal-derini 1885.

27 Il compendio è articolato in quattro parti: una parte preliminare al corso, in cui sono sinte-tizzate le regole di base per la composizione degli elementi architettonici; una prima parte (La Composizione degli edifizii), in cui sono presentate in rassegna numerose tipologie di edifici, che si-gnificativamente includono temi nodali del nuovo assetto sociale quali le case operaie; una seconda parte (La costruzione), in cui sono trattati natura e impiego dei materiali da costruzione; una terza parte (La decorazione), in cui è proposta una carrellata storica sugli stili architettonici, che colpisce per la disinvoltura con cui l’autore esprime giudizi (talvolta anche piuttosto sbrigativi) su alcune fasi dell’evoluzione del pensiero architettonico. Cfr. Miano 1996, pp. 55-61.

28 Greco 2011, pp. 57-58.

29 Kirk 1995, p. 30.

30 Calderini 1908a, Calderini 1908b, Calderini 1909a, Calderini 1909b.

31 Kirk 1995, p. 38.

32 Mancini 2011 e, in particolare, Greco 2011.

33 Greco 2011, p. 75.

34 Al concorso, nel cui ambito vengono presentati dodici progetti, Calderini partecipa con una proposta (contrassegnata dal motto “Bixio”) tesa alla conservazione delle preesistenze storiche, che in fase di valutazione è scartata a favore del progetto presentato dai genovesi Riccardo Haupt e Domingo Tablò. Cfr. Belardi, Menchetelli 2011, in particolare la nota 48.

35 Il primo progetto di Calderini, teso a sintetizzare in un unico edificio le variegate espressioni stilistiche dell’architettura regionale, desunte dai suoi principali monumenti, è scartato in favore di una riproposizione in miniatura del palazzo dei Priori. Cfr. Racheli 1980, p. 249; Benucci 1986-1987.

55

L’attività didattica di Guglielmo Calderini a Pisa

Marco Giorgio Bevilacqua

Gli anni pisani di Guglielmo Calderini rappresentano una tappa signi-ficativa nella sua carriera accademica. Già docente di Teoria e Pratica dell’Architettura e Storia dell’Architettura presso l’Accademia di Peru-gia, lo troviamo dal 1881 alla Regia Università degli Studi di Pisa; qui ricopre il ruolo di professore straordinario di Disegno di Ornato e di Ar-chitettura presso la facoltà di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. A Pisa risiede stabilmente in una casa sul lungarno Mediceo1.Gli insegnamenti di Disegno d’Ornato e di Disegno di Architettura, di cui Calderini è titolare a Pisa, figurano rispettivamente al primo e al secondo anno nell’ordinamento degli studi e degli esami consiglia-ti dalla facoltà per poter essere ammessi alla Scuola di Applicazione per gli Ingegneri dopo aver ottenuto la licenza in Scienze Matematiche e Fisiche. Il corso di studi, infatti, prevede un primo biennio dove lo studente ogni anno deve essere iscritto almeno a tre dei corsi obbliga-tori, che definiscono sostanzialmente una preparazione generale nel-le materie scientifiche di base. Superati quindi gli esami di Algebra, Geometria Analitica, Geometria Proiettiva, Chimica, Calcolo Infini-tesimale, Geometria Descrittiva e Fisica, lo studente può conseguire il primo diploma di licenza in Scienze Matematiche e Fisiche. Per la successiva ammissione alla Scuola di Applicazione per gli Ingegneri, la facoltà richiede di seguire, quali corsi liberi, oltre alle materie proprie della licenza, la Mineralogia, la Geologia e le materie di Calderini, Di-segno di Ornato, al primo anno, e Disegno di Architettura al secondo anno. Il Disegno di Ornato del primo anno figura anche tra le materie consigliate per chi intende conseguire, presso la stessa facoltà, la laurea in Scienze Naturali volendosi poi dedicare alla Botanica, alla Zoologia o all’Anatomia e Fisiologia Comparate2.

56

Nell’anno accademico 1885-1886, Calderini è incaricato anche della cattedra di Architettura Civile e Idraulica presso la Scuola Superiore di Agraria. Qui è responsabile dell’insegnamento di Architettura e Idrau-lica Rurale, che figura tra le materie obbligatorie che la Scuola suggerisce di seguire al secondo o al terzo anno per il conseguimento della licenza in Scienze Agrarie. A questo incarico va quindi riferita la redazione del compendio La Costruzione Pratica e l ’Architettura Rurale3.La permanenza di Calderini a Pisa continua fino all’anno accademi-co 1888-1889. Questo lungo periodo lo vede fortemente impegnato sia nell’attività accademica presso l’ateneo pisano sia in quella professio-nale. Come noto, in questi stessi anni Calderini lavora al progetto per il nuovo palazzo di Giustizia di Roma che, come vedremo, lo porterà stabilmente nella capitale per soprintenderne i lavori e dove, tra l’altro, sarà incaricato di lì a poco della direzione dei lavori del quadriportico della basilica di San Paolo fuori le mura.Se certamente gli impegni a Roma spiegano la fine del rapporto di Cal-derini con l’ateneo pisano, alcuni documenti conservati nell’archivio del-la Scuola Normale Superiore di Pisa descrivono un rapporto già in par-te compromesso da alcuni anni4. I documenti consistono in tre lettere, scritte da Guglielmo Calderini dal giugno 1886 al gennaio 1887 all’illu-stre matematico Enrico Betti, professore all’Università di Pisa, Senatore del Regno, in quegli anni direttore della Scuola Normale Superiore5. Le lettere di Calderini hanno tutte come scopo quello di favorire la sua conferma a professore ordinario, che otterrà il 19 giugno 18876.Nella prima lettera, datata 29 giugno 1886, Calderini chiede al pro-fessor Betti di appoggiare la sua promozione ad ordinario, essendo di-sponibili due posti presso la facoltà di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. Calderini, che ha già presentato istanza alla facoltà per la sua promozione, in attesa di una risoluzione, confida nell’intervento di Betti “perché (come è giusto e naturale) la Facoltà ascolta sempre con venerazione la di Lei parola a proposito”. In questa fase, non sembrano esserci problemi per la sua promozione: “Il Ministero non ha difficoltà alcuna di concedere che io venga promosso, come non ebbe difficol-tà di promuovere (pochi mesi fa) il Capocci dell’Università di Napoli ed il Damiani dell’Università di Palermo ch’erano, come me professori straordinari di Ornato ed Architettura”; e a seguire: “Oggi mi pare che

57

non ci sia il danno di alcuno dei miei Colleghi se si concede uno dei due posti a me, ed io mi raccomando alla di Lei generosità. […] perché se vi può essere speranza per me, questa speranza non può fondarsi in altro che nel favore dei Professori più autorevoli”.La situazione sembra complicarsi di lì a pochi giorni. In data 3 luglio, Calderini scrive una seconda missiva a Betti, dove allega la lettera in-viata il giorno prima alla facoltà dopo aver presentato istanza al Rettore per la sua promozione. “Dopo la visita che io mi permisi di farle avendo sentito le di Lei parole che mi disse, cioè che Lei mi avrebbe veduto con piacere prof. Ordinario, non nella Facoltà, ma nella scuola di Applica-zione per gli Ingegneri […] a me è brillato un raggio di speranza ed ho concepito una idea, che, vorrei sperare, non sarà da Lei rigettata”. L’idea a cui fa riferimento Calderini riguarda una richiesta da lui avanzata che permetterebbe il suo avanzamento di carriera. Calderini propone che gli venga affidato l’insegnamento di Architettura al primo anno della Scuola di Applicazione per gli Ingegneri, basata sul fatto che “in tutte le scuole del Regno (eccettuata soltanto quella di Padova) vi è appunto la scuola di architettura obbligatoria […] nel primo anno di applica-zione suddetto”. La proposta di attivare l’insegnamento di Architet-tura era stata già avanzata da Calderini tre anni prima alla facoltà che, dopo aver nominato una commissione composta dai professori Padova, Finzi e Nardi-Dei, quest’ultimo titolare della cattedra di Disegno di Geometria Descrittiva e Proiettiva, aveva espresso parere sfavorevole. Nell’adunanza in cui si diede lettura della relazione della commissio-ne, Calderini aveva contestato la decisione: sentite le sue ragioni, pur riconoscendole giuste, l’adunanza aveva sospeso ogni deliberazione in merito, “dichiarando di tornare sopra l’argomento con più maturità di giudizio”. La soluzione che Calderini propone alla facoltà permettereb-be la sua nomina ad ordinario, lasciando liberi non solo i due posti as-segnati dal ministero, ma anche la cattedra di Disegno d’Ornato e di Architettura da lui occupata in facoltà come straordinario, “sulla quale la Facoltà, dopo, potrebbe proporre la nomina di un semplice incaricato senza permettere che si rinnovi il concorso di straordinario”.La terza lettera a Betti, scritta da Calderini il 20 gennaio 1887, eviden-zia come i rapporti sia con la facoltà che con Betti stesso siano ormai compromessi. Non avendo avuto seguito la sua istanza di promozione,

58

Calderini scrive di non aver mai cessato di insistere presso il ministero perché provvedesse a far valere i suoi diritti acquisiti. Il ministero aveva risposto positivamente invitando la facoltà a nominare la commissione per la promozione ad ordinario; questo aveva ingenerato una reazione non favorevole tra i membri della facoltà stessa, tra i quali Betti. Nella lettera, Calderini cerca di ricucire i rapporti con Betti, giustificandosi per il suo ricorso al ministero con la necessità di procurarsi una posizione solida, alla luce della sua età, Calderini ha ormai cinquanta anni, e delle sue tristi condizioni di famiglia. “Vengo dunque io a supplicarla di non prendere in mala parte la premura che io ho dovuto esercitare per giun-gere al mio scopo; perché, se io avessi saputo prima quali fossero state le di Lei idee per questo proposito, io non mi sarei trattenuto nel mio posto in Pisa, ma avrei cercato altrove il mio collocamento”; e conclude scrivendo: “Mi sia dunque clemente della sua grazia e […] non guardi di mala voglia che io sia nominato ordinario […]; perché io non mancherò, dopo ottenuto questo grado, di cogliere la prima occasione che mi pre-senterà per andare altrove, lasciando così il mio posto disponibile”.E cosi accade. Un anno dopo la sua promozione a ordinario, Calderi-ni viene “comandato” alla Scuola di Applicazione per gli Ingegneri di Roma. Il trasferimento, ufficialmente motivato dalla necessità di risie-dere nella capitale per condurre la direzione dei lavori al palazzo di Giu-stizia, inizia dall’anno accademico 1888-1889, anche se il suo rapporto con l’ateneo pisano continua formalmente fino al 19017.Un fitto carteggio conservato nell’archivio dell’Università di Pisa eviden-zia come la permanenza di Calderini a Roma abbia provocato ulteriori dissapori. Il carteggio, infatti, riguarda una serie di missive scambiate tra il ministero della Pubblica Istruzione, il Rettore dell’Università di Pisa e il Preside della Facoltà di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali di Pisa tra il 1897 e il 1900, tutte incentrate sul problema “Calderini”8. Dalla lettura del carteggio, si evince come la sua destinazione alla Scuola di Applicazione per gli Ingegneri di Roma non sia definitiva, ma ven-ga rinnovata annualmente. Ogni anno la facoltà richiede il ritorno di Calderini ai suoi obblighi universitari a Pisa e prontamente il ministero risponde prorogando i termini del suo rientro. La situazione si protrae in modo invariato e non senza problemi fino al 1901. Nel frattempo, gli insegnamenti di Disegno di Ornato e di Architettura sono affidati

59

in supplenza prima al professore Ernesto Caine9, dall’anno accademico 1891-1892 fino al 1895-1896, e successivamente al professor Enrico Ri-stori, ai quali si rinnova l’incarico di anno in anno10.Tra i documenti in archivio si trova anche una lettera inviata da Calde-rini al Rettore dell’Università, il professor Beniamino Sadun, in data 8 novembre 1898; la lettera è scritta su carta intestata della direzione dei lavori del palazzo di Giustizia in Roma11. In riferimento alle insistenti richieste della facoltà di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali che preme per il suo ritorno a Pisa, Calderini risponde di aver fatto del suo meglio sia presso il ministero che presso la direzione della Scuola di Ap-plicazione di Roma, dove è incaricato di due insegnamenti12, affinché il suo trasferimento a Roma diventi definitivo e, di conseguenza, sia lascia-to libero il posto da ordinario da lui occupato presso l’Università di Pisa. Non avendo ancora avuto successo, Calderini chiede al Rettore che siano prorogati i termini del suo ritorno per un altro anno, durante il quale si impegna a definire stabilmente la sua posizione o con il suo trasferi-mento a Roma, o con il suo rientro a Pisa o facendo valere i suoi diritti alla pensione, soluzione da lui ritenuta più probabile, “cadendo appunto all’ottobre 1899 il venticinquesimo anno del mio impiego governativo”. La questione si risolverà solo due anni dopo; negli annuari della Regia Università di Pisa, infatti, Calderini risulta titolare della cattedra di Di-segno d’Ornato e di Architettura fino all’anno accademico 1900-1901.In conclusione, alla luce di quanto scritto, si evince come il rappor-to tra Guglielmo Calderini e l’Università di Pisa sia stato da un lato estremamente significativo, dall’altro contraddittorio e a volte conflit-tuale. Quando arriva a Pisa, Calderini ha già ottenuto importanti ri-conoscimenti nel campo dell’architettura, e negli anni pisani Calderini raggiunge l’apice della sua carriera accademica, anche se con qualche difficoltà. Sempre negli stessi anni vede la piena affermazione della sua attività professionale, sia con l’affidamento di progetti estremamente importanti, come quelli per il palazzo di Giustizia e il completamento del quadriportico di San Paolo fuori le mura a Roma, sia con incarichi amministrativi di prestigio, come la direzione dell’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti di Roma, l’Aquila e Chieti dal 1891. I suoi interessi professionali lo portano quindi a Roma, rendendo gra-dualmente la sua permanenza a Pisa sempre più insostenibile.

60

Note

1 Cfr. Annuario 1881-1882, pp. 14, 121. Sulla biografia di Guglielmo Calderini cfr. anche in questo stesso volume il saggio di Paolo Belardi e Valeria Menchetelli, pp. 39-53.

2 Il piano di studi, come descritto nell’annuario della Regia Università degli Studi di Pisa dell’an-no accademico 1881-1882 (cfr. Annuario 1881-1882, p. 60), anno in cui Calderini inizia la sua attività accademica pisana, subisce nel tempo alcune modifiche, lasciando tuttavia invariata la propedeuti-cità delle materie di Disegno d’Ornato e d’Architettura all’ammissione alla Scuola di Applicazione per gli Ingegneri.

3 Cfr. Annuario 1885-1886, pp. 78, 80.

4 Cfr. Centro Biblioteca e Archivi della Scuola Normale Superiore, Archivio Enrico Betti, Carteg-gio: lettere personali, mittente Guglielmo Calderini, 29 giugno 1886, 3 luglio 1886, 20 gennaio 1887.

5 Dal 1857 professore di Algebra Superiore all’Università di Pisa, nel 1859 Enrico Betti ottie-ne la cattedra di Analisi Superiore per poi passare all’insegnamento della Fisica Matematica che mantiene fino al termine della sua carriera. Direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa dal 1865, Betti ha fornito importanti contributi alla teoria delle equazioni algebriche e alla topologia; si è dedicato anche alla fisica matematica per molti anni, in particolare alle teorie del potenziale e dell’elasticità.

6 Cfr. Annuario 1887-1888, p. 48 e Annuario 1898-1899, p. 84.

7 Cfr. Annuario 1888-1889, p. 57 e Annuario 1900-1901, p. 80.

8 Cfr. Archivio Generale di Ateneo dell’Università di Pisa, Fascicolo Calderini.

9 Cfr. Annuario 1891-1892, pp. 77, 159, 160; Annuario 1892-1893, p. 72; Annuario 1893-1894, p. 54; Annuario 1894-1895, p. 84 e Annuario 1895-1896, p. 73.

10 Cfr. Annuario 1896-1897, p. 198; Annuario 1897-1898, p. 188; Annuario 1898-1899, p. 73; Annuario 1899-1900, p. 67 e Annuario 1900-1901, p. 81.

11 Cfr. Archivio Generale di Ateneo dell’Università di Pisa, Fascicolo Calderini, Lettera del professor Calderini al Rettore della Regia Università degli Studi di Pisa, 8 novembre 1898.

12 Alla Scuola di Applicazione degli Ingegneri in Roma Calderini copre prima la cattedra di Architettura Tecnica e poi quella di Architettura Generale (cfr. Milani 1917).

Appendice documentariaDettaglio del contenuto del fascicolo Calderini dell’Archivio Generale di Ateneo dell’università di Pisa

Archivio Generale di Ateneo dell’Università di Pisa, Fascicolo Calderini,

Lettera del Rettore Beniamino Sadun al Ministro dell ’Istruzione Pubblica, 17 dicembre 1897, prot. 4918 pos. 9, oggetto: Cattedra di Disegno d’Ornato e d’Architettura;

Lettera del Rettore Beniamino Sadun al Ministro dell ’Istruzione Pubblica, 23 dicembre 1897, prot. 5012 pos. 9, oggetto: Professore Guglielmo Calderini. La cattedra di Disegno dell’Ornato;

Lettera del Ministro Nicolò Gallo al Rettore della Regia Università degli Studi di Pisa, 4 gennaio 1898, prot. 20868 pos. 11, oggetto: Cattedra di Disegno e Architettura, Guglielmo Calderini;

Lettera del Rettore Beniamino Sadun al Preside della Facoltà di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali della Regia Università degli Studi di Pisa, 5 gennaio 1898, prot. 39 pos. 9, oggetto: Cattedra di Dise-gno e Architettura, prof. Guglielmo Calderini;

61

Lettera del Rettore Beniamino Sadun al Ministro dell ’Istruzione Pubblica, 14 gennaio 1898, prot. 165 pos.9, oggetto: professor Guglielmo Calderini. Insegnamento di Disegno dell’Ornato e di Archi-tettura;

Lettera del Ministro Nicolò Gallo al Rettore della Regia Università degli Studi di Pisa, 29 gennaio 1898, prot. 1362 pos. 23, oggetto: professor Guglielmo Calderini;

Lettera del Rettore Beniamino Sadun al Preside della Facoltà di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali di Pisa, 31 gennaio 1898, prot. 323 pos. 9, oggetto: professor Guglielmo Calderini;

Lettera del Rettore Beniamino Sadun al Ministro dell ’Istruzione Pubblica, 25 febbraio 1898, prot. 831 pos. 9, oggetto: professor Guglielmo Calderini. Insegnamento di Disegno dell’Ornato e di Archi-tettura;

Lettera del Rettore Beniamino Sadun al Ministro dell ’Istruzione Pubblica, 03 novembre 1898, prot. 3459 pos. 9, oggetto: professor Guglielmo Calderini. Insegnamento di Disegno dell’Ornato e di Architettura;

Lettera del professor Calderini al Rettore della Regia Università degli Studi di Pisa, 08 novembre 1898;

Lettera del Rettore Beniamino Sadun al Preside della Facoltà di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali di Pisa, 09 novembre 1898, prot. 3603 pos. 9, oggetto: professor Guglielmo Calderini. Insegnamen-to di Disegno dell’Ornato e di Architettura;

Lettera del Rettore Beniamino Sadun al Ministro dell ’Istruzione Pubblica, 12 novembre 1898, prot. 3760 pos. 9, oggetto: professor Guglielmo Calderini. Insegnamento di Disegno dell’Ornato e di Architettura. Incarico per l’anno scolastico 1898-99 al prof. Enrico Ristori;

Lettera del Ministro al Rettore della Regia Università degli Studi di Pisa, 28 novembre 1898, oggetto: Insegnamento di Disegno dell’Ornato e di Architettura;

Lettera del Rettore Beniamino Sadun al Preside della Facoltà di Scienze e al professor Ristori, 29 novem-bre 1898, prot. 4679 pos.9, oggetto: Insegnamento di Disegno dell’Ornato e di Architettura;

Lettera del Rettore David Supino al Ministro dell ’Istruzione Pubblica, 23 ottobre 1899, prot. 3214 pos.9, oggetto: professor Guglielmo Calderini. Insegnamento di Disegno dell’Ornato e di Architettura;

Lettera del Rettore David Supino al Preside della Facoltà, 08 novembre 1899, prot. 3922 pos. 9, oggetto: professor Guglielmo Calderini. Insegnamento di Disegno dell’Ornato e di Architettura;

Lettera del Rettore David Supino al Ministro dell ’Istruzione Pubblica, 12 novembre 1899, prot. 4085 pos.9, oggetto: professor Guglielmo Calderini. Insegnamento di Disegno dell’Ornato e di Archi-tettura;

Lettera del Ministro al Rettore della Regia Università degli Studi di Pisa, 14 dicembre 1899, prot. 20166 pos. 29, oggetto: Insegnamento di Disegno dell’Ornato e di Architettura;

Lettera del Rettore David Supino al Preside della Facoltà di Scienze, 16 dicembre 1899, prot. 5320 pos. 9, oggetto: Insegnamento di Disegno dell’Ornato e di Architettura;

Lettera del Rettore David Supino al professor Enrico Ristori, 21 dicembre 1899, prot. 5425 pos. 9, og-getto: Insegnamento di Disegno dell’Ornato e di Architettura;

Lettera del professor Enrico Ristori al Rettore della Regia Università degli Studi di Pisa, 23 dicembre 1899;

Lettera del Rettore David Supino al Ministro dell ’Istruzione Pubblica, 30 maggio 1900, prot. 1771 pos. 9, oggetto: Insegnamento di Disegno dell’Ornato e di Architettura.

II

Saggi sul testo del Compendio

65

Introduzione allo studio dell’Architettura Rurale

Massimo Mariani, Luca Martini

Per tutto l’arco della sua vita Guglielmo Calderini svolge la carriera ac-cademica affiancandola a un’intensa attività professionale1; per questo motivo l’introduzione a La Costruzione Pratica e l ’Architettura Rurale ac-quista interesse in modo particolare se letta tenendo conto di queste due anime dell’ingegnere perugino. L’anno accademico in cui il Compendio è scritto, quello tra il 1885 e il 1886, è il primo che vede impegnato Cal-derini come professore alla Scuola Superiore di Agraria dell’Università di Pisa, mentre dal 1881 insegna anche Disegno di Ornato e Disegno di Architettura presso la facoltà di Scienze Fisiche, Matematiche e Natu-rali: corsi propedeutici all’iscrizione alla Scuola di Applicazione per gli Ingegneri dello stesso ateneo2. Ciò può far supporre che il testo possa essere stato redatto come una sorta di canovaccio delle lezioni trasmesso agli studenti al fine di favorirne l’apprendimento3. Appare evidente che l’argomento del Compendio si avvicina maggiormente alle discipline che Calderini affronta alla Scuola Superiore di Agraria, quando nell’intro-duzione alla seconda parte del testo4 dichiara indispensabile la “scienza” degli agronomi tra le competenze necessarie per affrontare l’architettura rurale, e al contempo però si rivolge anche ai futuri ingegneri, quando li chiama in causa nel descrivere le caratteristiche disciplinari dell’ar-chitettura5. In ogni caso, dalla lettura dell’“Introduzione allo studio dell’Architettura Rurale” si evidenzia che egli educa gli allievi nell’ottica di formare professionisti qualificati, attingendo a quella cultura tecnica che proprio nell’Ottocento trova un periodo di eccezionale sviluppo6. Nel corso del XIX secolo infatti viene redatta una serie di trattati teorici frutto dell’intensa attività di ricerca e in corpore vili nel campo dei mate-riali, delle tecniche costruttive, del dimensionamento delle membrature ecc. a opera di figure che si muovono tra accademia e professione quali

66

Jean Baptiste Rondelet, Louis Marie Henry Navier e Alberto Castiglia-no: un grande numero di innovazioni contraddistingue infatti tutte le scienze applicate di quel periodo7. In tal senso è evidente un debito di Calderini verso la cultura del momento, ad esempio nelle tavole a cor-redo, in cui vengono presentate alcune soluzioni non usuali in ambito italiano, segno di una tendenza a volgere lo sguardo anche oltre i confini nazionali8. Per questo motivo il testo appare, più che un vero e proprio trattato teorico, un manuale di formazione in cui l’ingegnere perugino insegna l’etica insieme alle competenze professionali in un corso di base, in cui intende dare corpo pratico alle conoscenze degli studenti nell’am-bito del costruire rurale9, laddove non è possibile confrontare la sua fi-gura di progettista e direttore dei lavori della costruzione, ad esempio, del palazzo di Giustizia di Roma con tali contenuti, che possono appa-rire decisamente elementari rispetto a una pratica professionale avanzata come quella che caratterizza l’autore10.Egli esordisce definendo “L’Architettura” come “l’arte di comporre e di eseguire tutti gli edifici pubblici e particolari”, e mettendo in evi-denza che la quantità di risorse economiche necessarie a questo scopo è la “più grande […] di tutte le altri arti”11; al contempo sostiene che la costruzione di edifici, dalle più elementari abitazioni di campagna alle più grandiose opere pubbliche, ha caratterizzato da sempre ogni civil-tà umana, e proprio in questo senso l’architettura è l’arte più diffusa. D’altronde poiché spetta all’ingegnere il compito di progettare non solo “case particolari”12, che caratterizzano l’attività dell’architetto, ma ogni tipo di edificio, è certo che lo studente debba conoscere i principi che regolano la progettazione architettonica.Fin dalle prime pagine appare chiaro il ruolo determinante che Calde-rini dà alla figura di tecnico che intende formare, soprattutto delinean-done una responsabilità ben precisa verso la società, poiché questi dovrà perseguire l’“utilità pubblica e privata” nonché “la conservazione, il be-nessere degli individui, delle famiglie e della società”13. Di pari passo con una salda etica professionale, Calderini esalta “l’amore del ben’es-sere e l’avversione per ogni specie di disagi”14 quali riferimenti che de-vono guidare il progettista, per cui questi deve garantire che ogni sua realizzazione soddisfi, in modo adeguato, le funzioni a cui è destinata, che sia costruita secondo lo stato dell’arte utilizzando la minor quantità

67

possibile di risorse e garantisca un’adeguata economia di gestione. In questo senso l’edificio dovrà rispettare i principi di “convenienza” ed “economia”15: il primo viene soddisfatto da un manufatto “solido”, “sa-lubre” e “comodo”, il secondo ricercando la simmetria, la regolarità e la semplicità esecutiva16. Appare interessante inoltre sottolineare che nel descrivere le caratteristiche di un edificio “solido” l’ingegnere perugino pone particolare attenzione all’esigenza da ristorare che esista “tra tutte le parti, tanto orizzontalmente che verticalmente il collegamento il più intimo”17, secondo un principio ben noto dell’ingegneria sismica. Un edificio per essere “salubre” deve invece essere “esposto a mezzogiorno nei paesi freddi ed a tramontana nei paesi caldi”18, ribadendo che la sostenibilità in architettura può essere perseguita non soltanto grazie a tecnologie high-tech, ma prima di tutto tenendo conto dei fondamen-ti della composizione, quale in questo caso la ricerca di una corretta esposizione solare. Di seguito Calderini chiarisce in modo definitivo che intende trascurare la “decorazione”, che è propria dell’“architettu-ra artistica” che non sarà trattata in questo testo, per approfondire al contrario “la ragione e il modo di costruire, imposto dalla natura dei materiali disponibili, a dalle diverse condizioni di comodità e di con-venienza che importa di soddisfare”19, poiché, in una visione che sem-bra anticipare le ragioni della nascita del razionalismo, una volta che “questi scopi saranno raggiunti con i mezzi di sopra enunciati, i nostri edifici avranno anche i requisiti necessari per non mostrarsi spiacevoli alla vista; e potremo andare sicuri di mescolare l’utile al piacevole”20. In tal senso Calderini riecheggia Rondelet, quando nel dettagliare le acquisizioni dell’arte del costruire nella storia afferma che, alla fine del XVIII secolo, “finalmente si venne in generale a conoscere che lo scopo essenziale era prima di tutto di costruire edificj solidi impiegandovi una giusta quantità di scelti materiali messi in opera con arte ed econo-mia”21. Sintetizzando all’estremo i concetti espressi, l’autore arriva poi a compendiare l’attività del progettista che dovrà agire “con una somma data per fare l’edificio il più conveniente possibile come nelle fabbriche particolari” altrimenti “data la convenienza di un edificio” bisognerà costruire l’edificio “colla minore spesa possibile come nelle fabbriche pubbliche”22, eleggendo i vincoli funzionali ed economici a veri e propri criteri compositivi.

68

L’introduzione si conclude con un ulteriore richiamo ai principi etici del progettista d’architettura, laddove l’autore rimarca l’inammissibilità di compiere errori nella pratica professionale che possano pregiudicare il buon esito dell’opera, in quanto “tutti coloro che devono innalzare delle fabbriche anche le più umili” sono “depositari e dispensatori di una buo-na parte della fortuna dei privati e delle nazioni”23.A più di un secolo di distanza dalla sua redazione, ciò che appare più coinvolgente durante la lettura di questo testo minimo è la possibilità di approfondire le dinamiche che caratterizzano una fase storica così determinante per la formazione di tutto il sapere tecnico scientifico, e in particolare delle scienze ingegneristiche, che ancora oggi si fondano sugli stessi principi. La spontaneità che queste pagine vergate a mano libera tradiscono, insieme al loro carattere di compendio per un corso universitario, stabiliscono un’affinità intellettuale che a volte non nasce neppure dall’analisi delle opere più conosciute progettate e dirette dal progettista perugino. Con queste dispense è dunque possibile assistere, come seduti in aula, a una lezione di Guglielmo Calderini.

Note

1 In proposito cfr. in questo stesso volume il saggio di Paolo Belardi e Valeria Menchetelli, pp. 39-53.

2 In proposito cfr. in questo stesso volume il saggio di Marco Giorgio Bevilacqua, pp. 55-61.

3 Ipotizzare che questo materiale non sia stato realizzato al fine di una pubblicazione potrebbe anche rendere ragione della minore qualità grafica delle tavole che accompagnano il testo rispetto a quella dei trattati e manuali ottocenteschi più noti, quali, ad esempio, quello di Jean-Baptiste Rondelet, o in ambito italiano, di Giovanni Curioni (cfr. Rondelet 1831-1835 e Curioni 1864-1872).

4 “L’arte dell’architetto e la scienza dell’agronomo congiunte costituiscono dunque l’architettura rurale”, cfr. Compendio, p. 399 (p. 553). In proposito cfr. anche in questo stesso volume il saggio di Fabio Bianconi e Marco Filippucci, pp. 91-96.

5 “Ai nostri giorni però sono gli ingegneri […] che hanno le occasioni di eseguire delle grandi imprese di costruzioni”, cfr. Compendio, p. 3 (p. 159). Tanto più che in quegli anni è in pieno svol-gimento il dibattito sul ruolo nella società delle figure professionali, in proposito cfr. ad esempio Greco 1991, pp. 33-34.

6 Cfr. Zorgno 1998. Ad esempio nel 1877 Giuseppe Colombo redige la prima edizione del Ma-nuale dell ’Ingegnere civile e industriale. In particolare, proprio Calderini, nel 1889 è protagonista di una svolta nella sua vita professionale, quando vince il concorso indetto per l’ideazione del palazzo di Giustizia a Roma.

69

7 Cfr. ad esempio Cavalieri San-Bertolo 1826-1827, Valadier 1828-1839, Rondelet 1831-1835, Galli 1840, Granata 1851, Curioni 1864-1872 e Lenti [1884-1891].

8 In proposito cfr. ad esempio Compendio, tt. 31, f. 103 (p. 725); 42, f. 140 (p. 736); 43, ff. 142, 143 (p. 737); 46, f. 151 (p. 740), 51, f. 169 (p. 745).

9 D’altro canto Giuseppe Valadier ribadisce che l’architettura pratica “insegna a sistemare le invenzioni della teorica, perché sieno eseguibili utilmente in effetto” (cfr. Valadier 1828, p. 13).

10 Ad esempio, a causa del carattere non specialistico del corso, nella trattazione viene tralasciato completamente il dimensionamento delle strutture nel cui campo, a partire dalla fine del Sette-cento, sono stati fatti notevoli progressi che erano ben noti a Calderini, in quanto lui stesso scrive “l’architetto […] non può vivere solamente di ispirazione e di gusto ma deve vivere anche di rigore e di calcoli”. Cfr. in proposito Barucci 1996, p. 7 e Miano 1996, pp. 50-51.

11 Cfr. Compendio, p. 1 (p. 157).

12 Calderini per “case particolari” intende riferirsi alle abitazioni private. Cfr. Compendio, p. 3 (p. 159).

13 Cfr. ivi, p. 5 (p. 161).

14 Cfr. ivi, p. 6 (p. 162).

15 Cfr. ibidem. Calderini richiama gli stessi principi nella parte La Composizione degli edifizii del compendio delle lezioni di Architettura Tecnica che tiene presso la Scuola di Applicazione per gli Ingegneri di Roma nell’anno accademico 1891-1892. Cfr. in proposito Miano 1996, p. 56.

16 Cfr. Compendio, pp. 9-11 (p. 163-165).

17 Cfr. ivi, p. 9 (p. 163).

18 Cfr. ivi, p. 10 (p. 164).

19 Cfr. ivi, p. 12 (p. 166).

20 Cfr. ivi, pp. 12-13 (p. 166-167).

21 Cfr. Rondelet 1831, p. IX. I principi esposti da Calderini riprendono anche quelli divulgati da Jean-Nicolas-Louis Durand, che presenta l’“architettura come scienza in cui la vera decorazione debba derivare dalla disposizione più conveniente ed economica degli elementi costruttivi” (in proposito cfr. Buccaro 2006, p. 215).

22 Cfr. Compendio, p. 15 (p. 169). Calderini per “convenienza” intende riferirsi all’utilitas vitru-viana.

23 Cfr. ivi, p. 17 (p. 171).

71

Maniera di studiare l’architettura. Generi di disegni propri all’architettura

Simone Bori

In questo capitolo del Compendio, concentrato in appena nove pagine, Guglielmo Calderini affronta due temi fondativi: in primo luogo, di-chiara la propria posizione sul corretto approccio allo studio dell’ar-chitettura; in secondo luogo, descrive attraverso quale documentazione grafica essa debba essere rappresentata per poter essere costruita. E lo fa separando i due argomenti in altrettanti paragrafi nettamente distinti. Il testo è orientato alla formazione degli allievi della Scuola Superiore di Agraria, cui si rivolge1: è lo stesso Calderini ad affermarlo indiretta-mente quando, nel primo paragrafo, per giustificare l’attenzione rivolta all’architettura rurale, dichiara che va lasciato “al campo dell’ingegnere ed architetto civile d’intrattenersi nel tema dei pubblici edifici”2. Anche per questo motivo, oltre che per le finalità didattiche del Compendio, il tono assunto è semplice, diretto e apparentemente poco aulico; così come evidenziato anche dal carattere delle tematiche che Calderini trat-ta nello scritto, incentrato su temi prevalentemente pratici.Nel primo paragrafo, dedicato alla “maniera di studiare l’architettura”, Calderini si sofferma sull’inefficacia di uno studio costituito dall’analisi di tutte le possibili casistiche tipologiche, in quanto “supponendo che fosse possibile farlo, sarebbe certamente di una lunghezza infinita [e] ri-escirebbe sempre incompleto”3. Tale circostanza viene inoltre enfatizza-ta anche in relazione alle molteplici specificità del genius loci (“dei costu-mi, degli usi, del clima, delle località, dei materiali”4) di cui si deve tener conto nel progettare l’opera, e, tema cui l’autore è molto attento, alle risorse economiche (“facoltà pecuniarie”5) con cui realizzarla. Traspare da queste parole la convinzione antiaccademica di Calderini (peraltro più volte rimarcata nei suoi numerosi scritti)6 che, seppure formatosi an-ch’esso in ambito accademico e, successivamente, essendo stato docente,

72

ne contesta il metodo e i programmi didattici, che ritiene inadeguati perché incapaci di integrare gli aspetti eminentemente estetico-compo-sitivi con nozioni di carattere materico-costruttivo. Il paragrafo prose-gue con un preciso proposito didattico, nel cui ambito l’allievo è esor-tato, prima di affrontare gli aspetti formali e tipologici, a conoscere i singoli elementi che, aggregati, costituiranno l’insieme, attraverso uno studio che proceda “dal semplice al composto, dal noto all’ignoto”7. Per Calderini questi elementi sono “niente altro che i sostegni, i muri, le diverse aperture […] i fondamenti i soffitti, le volte i tetti e le terrazze”8. Mediante questo approccio schiettamente eclettico, Calderini propone di raggiungere la perfezione stilistica dell’opera finale avendo effettuato una ricombinazione di parti, a loro volta perfette nelle proprie singolari-tà. Confermando la volontà di scardinare la rigidezza dei modelli acca-demici e di proporre, attraverso la scomposizione e la manipolazione di singoli elementi, una nuova architettura. Il paragrafo si conclude con un illuminante parallelo tra architettura e discorso parlato, in cui le parti architettoniche sono assimilate alle parole, a conferma dell’importanza di una conoscenza profonda, figurativa e costruttiva, degli elementi che servono alla composizione dell’architettura, definita come l’“arte di Vi-truvio”9, proprio come la conoscenza di un alfabeto serve a costruire le parole e a esprimersi correttamente in una lingua.Il medesimo filo conduttore introduce il tema della seconda sezione, il disegno d’architettura, cui Calderini attribuisce il ruolo di vero e proprio linguaggio universale, eleggendolo ad atto comunicativo esemplare de-putato alla trascrizione dell’idea progettuale. Il disegno, estensione della mente del progettista, è capace di affiancarsi alla parola (o di sostituirsi a essa) al fine di comunicare un’idea ancora non espressa. E siccome l’architettura, in particolare quella rurale, deve essere “essenzialmente semplice”10, allo stesso tempo il disegno che la rappresenta “deve essere scevro di ogni difficoltà pretenzione e lusso”11; solo in questo modo il disegno “contribuirà alla celerità, alla facilità dello studio ed allo svi-luppo delle idee”12. Dopo questa breve introduzione, la trattazione del disegno si fa prettamente tecnica e operativa. Vengono, infatti, enume-rati gli elaborati grafici da produrre “Per dare un’idea completa d’un edificio”13, essenzialmente riconducibili alle forme istituzionali del dise-gno d’architettura, cioè pianta, sezione e prospetto (“elevazione”14), che

73

vengono descritte prima dal punto di vista geometrico (secondo la teoria mongiana) e successivamente da quello pratico ed esecutivo15. All’allie-vo viene raccomandato di produrre tutti i disegni necessari “in un sol foglio”16 al fine di economizzare i tempi di realizzazione e, dal punto di vista percettivo, dare un’impressione globale utile alla ricomposizione delle proiezioni ortogonali in cui è stato scomposto graficamente l’edi-ficio progettato. A supporto di questa spiegazione è inserito all’interno del testo, che all’occorrenza si riduce dalla pagina intera a metà pagina scritta su una colonna, un disegno esplicativo17, su cui sono riportate le lettere utili per la realizzazione, che vengono richiamate nella descri-zione geometrica. Su tale disegno sono rappresentate pianta, prospetto e sezione di un probabile annesso agricolo a base e fronte quadrati, con copertura a padiglione appoggiata su una cornice di gronda piuttosto articolata, a cui si accede tramite una scala che lo rialza leggermente dal suolo su cui è fondato. Oltre agli aspetti geometrici, l’unica osservazione sui codici rappresentativi (convenzioni e simboli grafici) del disegno, nella sua accezione di disegno edile, viene espressa esclusivamente in ri-ferimento alla campitura delle murature sezionate che “si tratteggeran-no o tinteggeranno”18. Il paragrafo si conclude con l’affermazione, tanto didattica quanto categorica, che “Il disegno geometrico è quello proprio dell’architettura”19, e poi, ricorrendo ancora al parallelismo col quale era stata aperta questa parte, viene ribadito, con perentoria concretezza pratica, che il disegno geometrico consente una chiara rappresentazione dei progetti d’architettura “in modo che sieno intesi da chi deve tradurli in esecuzione”20.

Note

1 In proposito cfr. in questo stesso volume il saggio di Marco Giorgio Bevilacqua, pp. 55-61.

2 Compendio, p. 18 (p. 172).

3 Ibidem.

4 Ibidem.

5 Ibidem.

6 A tale proposito cfr. Miano 1996.

74

7 Compendio, p. 21 (p. 175).

8 Ibidem.

9 Ibidem.

10 Ivi, p. 22 (p. 176).

11 Ibidem.

12 Ibidem.

13 Ivi, p. 23 (p. 177).

14 Ibidem.

15 Seppure in un testo così breve, Calderini lascia trasparire il proprio convincimento che rinnega il disegno neoclassico e attribuisce al disegno d’architettura un’identità tecnica piuttosto che ar-tistica, seguendo cioè le teorie di Jean Baptiste Rondelet (1743-1829), espresse nel Trattato teorico e pratico dell ’arte di edificare pubblicato per la prima volta tra il 1802 e il 1817 (cfr. Rondelet 1831-1835), secondo cui il disegno di progetto è il miglior modo per risolvere i problemi costruttivi, o quelle di Eugène Viollet-le-Duc (1814-1879) secondo cui il disegno è il tramite tra teoria e pratica quando si parli di architettura, o ancora quelle di John Ruskin (1819-1900), descritte nel trattato Elementi del disegno e della pittura del 1857 (cfr. Ruskin 1898), che del disegno apprezza il solo lato tecnico e concreto rispetto a quello artistico e teorico.

16 Compendio, p. 23 (p. 177).

17 Ivi, p. 24 (p. 178).

18 Ivi, p. 25 (p. 179).

19 Ivi, p. 26 (p. 180).

20 Ibidem.

75

Dei materiali e del loro impiego nella costruzione

Luca Cesaretti

Nel capitolo relativo ai materiali, Guglielmo Calderini imposta la trat-tazione mettendo da subito in evidenza una specifica attenzione a tutti quelli che “cadono nel dominio del costruttore e, più limitatamente, del costruttore rurale”, distinguendoli in tre classi, rispettivamente de-nominate “di quelli che durissimi, di un lavoro lungo e penoso, sono anche costosissimi; di quelli più teneri, di un lavoro più facile che perciò sono a miglior mercato; di quelli che non servono ad altro che a legare insieme gli altri materiali”1.Nella descrizione dei materiali ritenuti più idonei per la costruzione di edifici campestri, oltre all’aspetto economico, Calderini sottolinea come sia fondamentale la capacità di valutarne le qualità in rappor-to agli aspetti costruttivi dell’architettura rurale, affermando proprio che “la conoscenza dei materiali è intimamente legata alle costruzioni, perché se certe costruzioni non domandano che determinati materiali, viceversa altri materiali non possono essere usati che in talune specie di costruzioni”. L’architetto rurale, inoltre, non potrà in alcun modo sottovalutarne la durabilità, ma dovrà necessariamente “sapere ciò che diventeranno i materiali col tempo”2.

Pietre naturaliNell’ambito delle pietre naturali, Calderini sintetizza al meglio il lega-me che esiste tra architettura rurale, economia dell’opera e sostenibilità delle costruzioni. Non a caso le pietre naturali vengono descritte come “i materiali più usati nella costruzione dei muri”3 e per questo motivo “a preferenza dovrebbero impiegarsi ogni qualvolta se ne riscontrano di buona qualità nei luoghi dove devesi fabbricare”4. Di seguito le classi-fica e le descrive operando una netta distinzione tra l’architetto rurale

76

ed il mineralista5, affidando al primo il compito di conoscere le ca-ratteristiche meccaniche delle pietre, la durabilità, la lavorabilità ed i cromatismi, e riservando al secondo la conoscenza delle caratteristiche chimiche del materiale.

Pietre ArtificialiLe pietre artificiali vengono prese in considerazione come materiale al-ternativo a quelle naturali, infatti secondo Calderini “nelle contrade ove mancano le pietre naturali e dove esse non sono buone si adoperano in costruzioni le pietre artificiali, tra cui merita il primo posto il mattone, che è formato di argilla e di creta”6. Oltre ai mattoni pieni tradizionali, si fa riferimento ai “mattoni vuoti”7 apprezzati per le loro caratteristiche statiche, ma ritenuti troppo costosi rispetto ai mattoni comuni nono-stante “offrano una economia dal 15 al 30 per cento sulla materia prima e dal 20 al 30 per cento sulla cottura, 10 per cento sui trasporti”8. Tra le pietre artificiali vengono descritti i “mattoni porosi”9, del tutto simili agli attuali laterizi porizzati (ottenuti mescolando con l’argilla materiali come la polvere di carbone, la segatura, la concia, la scorza di abete pol-verizzata, la torba, la canapa o il limo), le “tegole”, sia piane che curve e le “stoviglie”10, tubi di terracotta per condotti idraulici e fognari. In ultima analisi, Calderini affronta le murature in terra cruda, includendo tra le pietre artificiali i “mattoni crudi e muri formacei in terra di get-to”11, mutuati dalla tradizione costruttiva francese, così come descritti nel Trattato teorico e pratico dell’arte di edificare12 di Jean Baptiste Ron-delet, e ritenuti estremamente utili per l’architetto rurale che dovrebbe utilizzarli per la costruzione di edifici campestri in ragione “di un modo di edificare eminentemente economico ed incombustibile”13.

VetroUn ruolo piuttosto di nicchia viene riservato al vetro, definito come “uno degli elementi della costruzione che può prendere posto tra le pietre ar-tificiali”14. Lo spazio dedicato a questo materiale è piuttosto esiguo e si limita ad una raccomandazione pratica, relativa alla valutazione delle sue qualità meccaniche e di trasparenza alla luce, ed una classificazione. Il vetro viene distinto in semplice, se lo spessore della lastra non supera i due millimetri, e doppio, quando lo spessore è pari a quattro o più

77

millimetri. Dal punto di vista progettuale Calderini ricorda che “le sue dimensioni di superficie variano entro misure determinate, ragione per cui fa duopo procurarsi la tabella del negoziante al fine di scegliere le grandezze convenienti, perché l’ordinare vetri di determinata luce costa di più e bisogna attenderli molto tempo”15. Oggigiorno il vetro rappre-senta, senza ombra di dubbio, un materiale su cui la diffusione nel pro-cesso edilizio ha consentito uno sviluppo tecnologico-costruttivo estre-mamente marcato, sia per gli aspetti connessi alla produzione che per quelli relativi alle possibili applicazioni. Basti pensare alle innovazione introdotte da Alastair Pilkington, che a partire dai primi anni Cinquan-ta del Novecento condusse i primi esperimenti legati al procedimento float glass16, destinato a diventare il metodo di fabbricazione industriale del vetro più diffuso per la produzione di lastre piane per l’edilizia17.

Calce“La calce è il risultato della calcinazione delle pietre calcari, di quelle che contengono una più grande porzione di carbonato di calce. Al con-tatto dell’acqua ed anche dell’aria umida, le calci vive si trasformano in calci spente, ed è sotto questa forma che e col miscuglio colla sabbia che esse costituiscono le malte che servono a unire i materiali degli edifi-ci”18. In queste poche righe che aprono il paragrafo dedicato alla calce, Calderini riesce a sintetizzare al meglio l’origine e la funzione costrutti-va di uno dei leganti più importanti della storia dei materiali da costru-zione. Successivamente segue una chiara classificazione delle diverse malte, ancora oggi attuale, fondata proprio sulla purezza del carbonato di calcio o, se si preferisce, “sulla quantità più o meno considerevole di sostanze straniere”19 contenute nei calcari utilizzati per ottenere il pro-dotto finale. Così vengono descritte le calci aeree, distinte in grasse e magre e le calci idrauliche, utili per costruzioni a contatto con acqua o umidità (a loro volta suddivise in ordinarie, mediocremente idrauliche ed eminentemente idrauliche). Le calci grasse utilizzano un calcare con un contenuto di carbonato di calcio non inferiore al 95% ed una resa al grassello20 non inferiore a 2.5 m3/t, le calci magre presentano una mino-re contenuto di carbonato di calcio ed una resa al grassello compresa tra 1.5 e 2.5 m3/t. Per la definizione delle calci idrauliche lo stesso Calde-rini indica una classificazione articolata in base alla minore o maggiore

78

presenza di argilla nel calcare: il “22 per cento di silice ed allumina con 75 di carbonato di calcio” per la calce eminentemente idraulica (“fa presa sott’acqua il secondo o il quarto giorno, divenendo durissima ed affatto insolubile”), “almeno il 14 per cento di silicato d’allumina con 85 di carbonato di calcio” per la calce idraulica ordinaria (“fa presa dopo 1 od 8 giorni”), “da 8 a 12 per cento di silice ed allumina con una debole quantità di sali di magnesio” per la calce mediocremente idraulica (“non indurisce che dopo 15 giorni d’immersione”)21.

GessoNella descrizione del gesso Calderini descrive il processo di produzio-ne e le caratteristiche del materiale, nonché i vantaggi e gli svantaggi che si ottengono dal suo utilizzo nell’ambito delle costruzioni civili. Nel processo di cottura della pietra da gesso si raccomanda di prestare attenzione al gradiente di temperatura, moderato in una prima fase iniziale, “per disseccarne l’umidità che contiene”, per poi aumentarlo “gradualmente finché non si raggiunga il grado di cottura conveniente, ciò che esige 24 ore circa”22. Tra gli aspetti positivi vengono descritti la rapida presa e la forte adesione che vengono esercitati su pietre e su legnami; di contro vengono ben evidenziati sia la pericolosità del-la variazione di volume (in aumento durante la fase di indurimento), contrariamente a quanto avviene per la calce, e l’incompatibilità con il ferro (il quale si ossida rapidamente se posto a contatto con il gesso senza alcuna precauzione). Risulta particolarmente efficace l’indicazio-ne pratica che viene suggerita da Calderini nell’utilizzo del gesso per intonaci: “il gesso può essere utilmente mescolato con la calce e nelle seguenti proporzioni: per esempio per fare gli intonachi un po’ rustici si prendono tre parti di malta di calce e si mescolano con una parte di malta di gesso, ossia gesso impastato. Questa soluzione neutralizza col gonfiamento del gesso la diminuzione di volume della calce e impedi-sce che si formino delle screpolature o spacchi che spesso avvengono negli intonachi a calce sola disseccandosi”23.

CementiTra i cementi che vengono passati in rassegna vengono descritti “la poz-zolana, il tufo vulcanico, il cemento di tegole, la pasta di fontaniere, il

79

cemento inglese di Parker, il cemento di Portland, il cemento di Gre-noble”24. La funzione che Calderini attribuisce ai cementi è quella di materiale legante da utilizzare sotto forma di malta, con o senza sabbia, semplicemente “aggiungendovi dell’acqua per circa la metà del suo volu-me”25. Non a caso il primo cemento citato è la pozzolana, descritta piut-tosto compiutamente, e indicato per realizzare eccellenti calci idrauli-che, mentre non si fa alcun cenno all’impiego dei cementi per comporre calcestruzzi. Il cemento Portland, uno dei cementi ancora oggi tra i più importanti che nel volgere di pochi anni rivoluzionerà l’architettura e il mondo delle costruzioni, viene così descritto: “il cemento di Portland, che viene dall’Inghilterra, dove fu composto nel 1824 da Joseph Aspdin, ha il colore della pietra ed è inalterabile all’aria, al gelo e al calore”26.

MasticiNel paragrafo dedicato ai mastici Calderini fornisce utili informazioni pratiche sia sull’utilizzo che sulla composizione di tutti “quei composti che servono a cementare od a listare commessure di tubi, ad ottura-re buchi a ricongiungere oggetti spezzati ecc. ecc.”27. Tra i mastici più utilizzati per sanare i principali difetti della pietra viene menzionato un composto ottenuto dalla fusione di una parte di cera e due parti di colofonia28, aggiungendo una quantità non ben precisata di pietra pesta.A dimostrazione dell’esperienza di Calderini nell’utilizzo delle pietre naturali giova citare una curiosa indicazione che mette in guardia il progettista da possibili frodi da parte degli scalpellini nelle forniture di pietre: “L’architetto, mentre può giovarsi di questo mastice per casi leciti od anche necessari, deve dal pari essere bene accorto nel riconoscerlo all’atto del ricevimento delle pietre da impiegare, perché gli scalpellini non mancano di provarsi a far passare per sane le pietre medicate”29.

SabbiaLa sabbia viene distinta in “fluviatile”30, marina e fossile (o di cava). Dopo aver descritto l’origine della sabbia di fiume, prodotta dall’azio-ne meccanica del trasporto fluviale, Calderini descrive le caratteristiche negative della sabbia marina, raccomandandone l’utilizzo solo dopo un attenta lavatura “per purgarla delle parti saline di cui è impregnata”31, operazione molto delicata che dovrebbe sconsigliarne l’utilizzo. Infine,

80

sinteticamente, viene descritta la sabbia fossile, o di cava, esaltandone le migliori caratteristiche fino al punto di affermare che “quando quel-le fossili sono nette riescono ottime e preferibili alle fluviali, le quali si adoperano più facilmente perché per lo più sono anch’esse di buona qualità e date a prezzi non molto elevati”32.Fu Vitruvio il primo autore conosciuto a scrivere pagine sulla sabbia come materiale da costruzione, seguito da molti altri autori, quali, tra gli altri, Leon Battista Alberti, Palladio, Vincenzo Scamozzi e Ron-delet. Tutti concordano sulle ottime qualità delle sabbie di cava, con-siderate migliori di quelle di fiume ad eccezione che per gli intonaci; su questa corrente di pensiero si schiera lo stesso Calderini, che chiude il paragrafo descrivendo, tanto sinteticamente quanto efficacemente, le principali qualità che servono a riconoscere le sabbie migliori da utiliz-zare in cantiere: “Devesi poi ritener buona generalmente la rena che è aspra al tatto; che maneggiata e stretta in pugno, stride e non s’attacca alla mano; che gettata in un pannolino e scossa da questo, non ci lascia nessuna macchia; che messa nell’acqua non si sparpaglia, ma precipita in una posatura; che agitata nell’acqua, non la intorbida; che esposta per parecchio tempo all’aria, non produce erbe”33.

Della malta“Si chiama in genere malta una composizione destinata ad unire forte-mente le pietre o a fare corpo con esse, e che adoperata molle indurisce in seguito. La malta è formata di calce e di sabbia […] mescolate per mezzo dell’acqua”34. Con questo incipit Calderini introduce il paragra-fo sulla malta definendola come un materiale da costruzione composto prevalentemente da calce e sabbia, in cui l’acqua occupa un ruolo mar-ginale e necessario soltanto al mescolamento dei principali componenti. Sembra voler mettere da subito in guardia i suoi allievi rispetto ad un eccessivo uso di acqua, proprio perché minore è la sua quantità presente nell’impasto e migliori saranno le proprietà meccaniche.In relazione alla possibilità di realizzare murature “abitualmente a con-tatto con dell’acqua o dell’umido o esposte all’aria asciutta”35 l’autore fa riferimento a due tipologie differenti di malta: quella idraulica (com-posta principalmente da calce idraulica e sabbia oppure da calce aerea con sabbia e pozzolana), e quella ordinaria (composta semplicemente da

81

calce aerea e sabbia). “Se trattasi di costruzioni nell’umidità si compone la malta di una parte di calce eminentemente idraulica e di circa una parte e mezzo di sabbia piuttosto fine, ovvero 7 di calce e 10 di sabbia. Se la calce è mediamente idraulica 3 parti di calce e 5 di sabbia. Se la calce è grassa una parte di calce e due di pozzolana. Trattandosi poi di costruzioni all’aria e di malte ordinarie, se la calce è grassa una parte di calce spenta e tre di sabbia silicea bel lavata di parti terrose. Se la calce è magra, a segno che nell’estinzione non consumi che una volta il suo peso d’acqua per divenire una pasta di egual consistenza della calce grassa che ne consuma due volte e mezzo il suo peso, le proporzioni sono una parte di calce e una e mezza di sabbia”36.Per piccoli edifici Calderini suggerisce di preparare la malta a mano, mentre per quelli di grandi dimensioni fa riferimento a sistemi di pre-parazione e mescolamento che si avvalgono dell’ausilio di macchine, in grado di dare eccellenti risultati sia sul piano tecnico che economico. Ad esempio riporta che con un macinatoio meccanico dal costo com-preso tra 450 e 500 lire è possibile mescolare circa 25 metri cubi di malta al giorno.

Smalti, Calcestruzzi ed AsfaltiSmalti e calcestruzzi vengono appena accennati definendoli “merci di fabbrica”37, facendo un rapido cenno alla loro composizione qualitativa, ma senza dare specifiche indicazioni pratiche del loro utilizzo. Mentre lo smalto si ottiene mescolando del sabbione e della ghiaia alla calce ancora viva, e non ha proprietà idrauliche, il calcestruzzo si compone mescolando la malta idraulica con ghiaia, mattone pesto e pezzi di sas-so, ed è in grado di far presa ed indurire in acqua.Particolare enfasi viene riservata all’asfalto, un materiale che viene de-finito da Calderini “di un’utilità ed uso immenso nelle moderne co-struzioni che può utilmente adoperarsi anche nelle costruzioni rurali”38. Puro, o mescolato con sabbia, può essere utilizzato per lastricati, interni o esterni, come impermeabilizzante per terrazzi o coperture di edifi-ci, o come primer per impermeabilizzare la testa di murature fondali al fine di impedire il manifestarsi di fenomeni di umidità per risalita capillare. In questo caso sono molto interessanti gli aspetti pratici su cui Calderini mette in guardia il costruttore da alcune possibili frodi

82

che tendono a spacciare per asfalto naturale un miscuglio di pece nera e polvere calcarea. Quest’ultimo può essere facilmente riconosciuto in cantiere perché si accende repentinamente se avvicinato a una fiamma viva, mentre l’asfalto prima fonde, e solo successivamente prende fuoco. Calderini non esclude l’utilizzo di un simile miscuglio, che può essere tollerato in caso di “strettezze economiche”39 e soltanto per pavimenti da realizzare all’interno di edifici, o comunque efficacemente riparati dalle intemperie.

Del LegnameTra i materiali presentati nel Compendio, Calderini classifica il legno come uno dei più importanti, sottolineando che la conoscenza delle sue caratteristiche è di massima importanza per consentire una scelta con-sapevole, da cui dipendono qualità e durabilità dell’opera da realizzare. In questo senso introduce una classificazione delle diverse specie di le-gnami: “classe 1a duro e forte; classe 2a resinoso; classe 3a dolce e leggero; classe 4a di grana fine e suscettibile di pulimento”40. Il legname della prima classe è quello di rovere, faggio, castagno, olmo, frassino comune ed acacia. Alla seconda classe appartengono il larice, l’abete ed il pino. La terza classe è costituita dal pioppo (bianco, nero e piramidale), l’on-tano ed il carpino. La quarta classe comprende il sorbo, il pero, il melo, il cerraiolo, il noce, il ciliegio e la robinia: tutte essenze tenere ed usate in architettura “per macchine, per ruote, per denti d’ingranaggio, per carri ed attrezzi rurali”41.

MetalliNell’ultimo paragrafo del capitolo dedicato ai materiali Calderini fa una rapido excursus sulle proprietà dei principali metalli utilizzati nell’am-bito delle costruzioni, tra cui il ferro, lo zinco, lo stagno, il piombo, il rame, l’ottone ed il bronzo.Il ferro a sua volta viene classificato in ghisa di prima fusione, ghisa di seconda fusione e ferro battuto (dolce e forte), in funzione del contenuto di carbonio. Sebbene la classificazione proposta risulti in linea con l’at-tuale impostazione scientifica, complessivamente risulta poco rigorosa, e le proprietà di resistenza e duttilità non sembrano essere ben correlate al contenuto di carbonio.

83

Note

1 Cfr. Compendio, p. 27 (p. 181).

2 Ibidem.

3 Cfr. Compendio, p. 29 (p. 183).

4 Cfr. ivi, p. 30 (p. 184).

5 Studioso di mineralogia, settore delle scienze naturali che si occupa dei minerali sul piano mor-fologico e fisico-chimico.

6 Cfr. ivi, p. 41 (p. 195).

7 Usando il termine “vuoti” Calderini si riferisce ai mattoni forati. Cfr. ivi, p. 45 (p. 199).

8 Cfr. ivi, p. 46 (p. 200).

9 Cfr. ivi, p. 49 (p. 203).

10 Cfr. ivi, p. 50 (p. 204).

11 Muri realizzati con terra cruda per strati sovrapposti, gettati e compattati entro delle cassefor-me applicate direttamente sulla porzione di muro già realizzata.

12 Cfr. Rondelet 1831, pp. 103-117.

13 Cfr. Compendio, p. 61 (p. 215).

14 Cfr. ivi, p. 62 (p. 216).

15 Cfr. ivi, p. 63 (p. 217).

16 Processo produttivo da cui deriva il vetro float, che consiste nel far galleggiare il vetro fuso in un bagno di stagno anch’esso in stato di fusione, così da consentire al vetro, attraverso il galleg-giamento, di disporsi secondo una superficie planare perfettamente liscia su entrambi i lati. Pri-ma dell’invenzione di Pilkington il vetro veniva prodotto attraverso un procedimento per colata, estrusione o laminazione, da cui si ottenevano lastre con superfici non perfettamente parallele, che dovevano necessariamente trattarsi con lucidature meccaniche, dando luogo ad aberrazioni ottiche e a elevati costi di produzione.

17 La tecnologia attuale consente di trattare la singola lastra di vetro chiaro float per mezzo di tec-niche differenti, così da poter ottenere ottime caratteristiche termoisolanti, acustiche, autopulenti, tagliafuoco e di sicurezza.

18 Cfr. Compendio, p. 63 (p. 217).

19 Trattasi di silicati d’allumina, carbonati e solfati di magnesio, ossidi di ferro e di manganese, cfr. ivi, p. 65 (p. 219).

20 Si definisce resa al grassello di una calce il rapporto fra il volume del grassello, nel momento in cui per evaporazione di una parte dell’acqua in eccesso inizia a fessurarsi in superficie, e il peso della calce viva che l’ha generato.

21 Cfr. ivi, p. 67 (p. 221).

22 Cfr. ivi, p. 75 (p. 229).

23 Cfr. ivi, p. 76 (p. 230).

24 Cfr. ivi, pp. 76-79 (pp. 230-233).

25 Cfr. ivi, p. 81 (p. 235).

26 Cfr. ivi, p. 79 (p. 233).

84

27 Cfr. ivi, p. 82 (p. 236).

28 è il residuo solido della distillazione delle resine di varie conifere.

29 Cfr. ivi, p. 83 (p. 237).

30 Di fiume, cfr. ivi, p. 87 (p. 241).

31 Cfr. ivi, pp. 87-88 (pp. 241-242).

32 Cfr. ivi, p. 88 (p. 242).

33 Cfr. ivi, p. 89 (p. 243).

34 Cfr. ivi, pp. 89-90 (pp. 243-244).

35 Cfr. ivi, p. 90 (p. 244).

36 Cfr. ivi, p. 93 (p. 247).

37 Cfr. ivi, p. 101 (p. 255).

38 Cfr. ivi, p. 102 (p. 256).

39 Cfr. ivi, p. 104 (p. 258).

40 Cfr. ivi, pp. 106-113 (pp. 260-267).

41 Cfr. ivi, p. 113 (p. 267).

85

Impiego dei materiali nella costruzione degli edifici

Marco Breccolotti

Al tema dell’“Impiego dei materiali nella costruzione degli edifici” Gu-glielmo Calderini dedica ampio spazio all’interno del compendio su La Costruzione Pratica e l ’Architettura Rurale redatto presso la Regia Univer-sità degli Studi di Pisa nell’anno accademico 1885-1886. Il contenuto di tale capitolo va, infatti, oltre a quello che si potrebbe immaginare dalla lettura del suo titolo, tanto che lo stesso Calderini lo definisce “piccolo trattato della costruzione pratica”1.Gli argomenti descritti spaziano dalle fondazioni alle coperture degli edifici, dai ponti di servizio ai mezzi per il consolidamento dei terreni, affrontando, quindi, contemporaneamente dei temi appartenenti alle discipline dell’Architettura Tecnica e dell’Organizzazione del Cantiere: una consuetudine che accomuna questo scritto con altre pubblicazioni tecniche dell’epoca2.L’ordine di trattazione segue, in buona parte, la successione temporale di realizzazione dell’edificio.Il primo argomento analizzato sono le “Fondazioni”3. Sono illustrate svariate tipologie di fondazioni, da quelle superficiali a quelle profonde, fino ad arrivare a quelle realizzate sott’acqua e a quelle con archi rovesci. Tra le altre indicazioni Calderini suggerisce, generalmente, la realizza-zione di pozzi nelle vicinanze o dentro l’area da edificare, sia per avere acqua in prossimità del cantiere sia per ottenere una conoscenza degli strati di terreno, necessità oggi superate grazie alla disponibilità di altre tecnologie e altri mezzi di indagine più all’avanguardia.Successivamente viene trattato il tema dei “tracciamenti”4. In particolare viene riconosciuta l’importanza di questi soprattutto per i gravissimi inconvenienti che verrebbero a crearsi nella condotta e nella esecuzione dei lavori a causa di errori in tale fase. Perciò Calderini suggerisce “di

86

tenere sempre preparato […] un disegno particolareggiato con le linee sussidiarie delle operazioni geodetiche mediante le quali si pensa di fare l’operazione”5. Per il posizionamento dei muri in elevazione viene im-piegato uno stecconato disposto perimetralmente ed esternamente all’e-dificio su cui vengono segnati gli allineamenti interni ed esterni delle pareti e le mezzerie delle aperture, quali porte e finestre. All’interno dello spazio dedicato ai tracciamenti si parla anche delle operazioni di scavo (“Sterri”)6.Il terzo paragrafo è dedicato alle “Differenti specie di Muri di eleva-zione”7. Qui la casistica trattata è ampissima. Si parte dalla muratura di pietra concia per poi passare alla muratura di sassi o pietrame, a secco o con malta, ai muri di cotto e di rovinacci, intendendo con tale ter-mine i mattoni frantumati e i rottami, per concludere con le murature miste. In questo paragrafo sono da segnalare le indicazioni puntuali sullo spessore dei ricorsi di malta, che dovrebbe essere sempre compreso tra 6 e 12 millimetri, e sull’utilizzo di grappe metalliche per collegare due pietre di paramento opposte (“cortecce frontali delle muraglie”)8. Vengono inoltre fortemente consigliate la bagnatura dei mattoni prima della loro messa in opera e la realizzazione dei ricorsi di malta laterali. All’interno di tale paragrafo vengono inoltre descritti i “Ponti di Ser-vizio”9, richiamando già all’epoca la responsabilità di fronte alla legge dei costruttori per incidenti causati dal crollo di tali ponti, e i “Muri di rivestimento o di sostegno”10 e le “Volte”11, il cui dimensionamento veniva effettuato mediante regole empiriche desunte dall’esperienza ed assunte come assiomi.Si passa poi a trattare la “Costruzione ed armatura dei tetti”12, dedican-do anche ampio spazio ai “Soffitti”13 (solai), alle “Scale”14, ai “Camini”15 ed ai “forni”16. In questo paragrafo sono da segnalare alcuni accorgimen-ti costruttivi non comuni alle costruzioni dell’epoca, come l’inserimento di tiranti in ferro nei solai con volticine per evitare che i travetti si al-lontanino, il collegamento tra due travi di ferro appoggiate sullo stesso muro per evitarne lo sfilamento o la progettazione di dettaglio delle scale piuttosto che la semplice assegnazione di un vano a tale destinazione. Interessante è anche l’accorgimento messo in atto dai produttori di travi metalliche che imprimevano una freccia di fabbricazione pari a 0.02 vol-te la lunghezza della trave per evitare che le travi possedessero sotto i soli

87

carichi permanenti una inflessione verso il basso. C’è, tuttavia, anche da segnalare che alcune indicazioni progettuali, come l’inserimento delle canne fumarie in corrispondenza dell’incrocio tra murature portanti per ottimizzare la distribuzione funzionale degli spazi, si sono dimostrate sbagliate, soprattutto per quanto riguarda le costruzioni edificate in zone sismiche. è data, infine, particolare importanza alle coperture ignifu-ghe, realizzate mediante applicazioni di particolari intonaci (realizzati anche impiegando sangue di bove) e alle strutture lignee.Nel Compendio Calderini sottolinea più volte la differenza tra architet-tura ordinaria e architettura rurale. Mentre nella prima debbono sempre essere presenti le tre virtù vitruviane firmitas, utilitas e venustas nell’ar-chitettura rurale sono solo le prime due, o per meglio dire la durabilità dell’opera e la sua funzionalità, ad essere necessarie, meglio ancora se accompagnate dalla economicità della costruzione17. è, infatti, all’aspet-to economico delle diverse tipologie costruttive che viene fatto frequente riferimento. Ad esempio, già all’epoca Calderini riconosceva l’economi-cità degli sterri generali rispetto agli scavi entro fosse, che risultavano spesso strette ed affondate, oppure analizzava l’economicità di manti di copertura in paglia, leggeri e di facile approvvigionamento, ma che ne-cessitavano di particolari lavorazioni o manutenzioni per assicurarne una durata fino a 75 anni. Vengono anche fornite informazioni sulla mano-dopera necessaria per la realizzazione delle varie opere. Ad esempio, per la battitura dei pali per mezzo di una berta è stata stimata la necessità anche di venti manovali da impiegare contemporaneamente.Inoltre Calderini non fornisce formule matematiche necessarie, ad esem-pio, per il dimensionamento di volte a crociera o a botte o per il progetto di elementi strutturali quali impalcati in legno e acciaio. Viene citata solo una delle cosiddette formule del Poncelet18 per il dimensionamento dei muri di sostegno e vengono suggerite alcune regole empiriche per il dimensionamento delle travi in legno (l’altezza deve corrispondere a un diciottesimo della lunghezza e la larghezza a due terzi dell’altezza). Per tali aspetti suggerisce, invece, la consultazione dei manuali, come potevano essere all’epoca quello di Joseph Claudel del 186719 o il Car-net de l’Ingénieur del 186920, provenienti entrambi dall’ambiente culturale francese, nazione anche allora all’avanguardia nelle ricerche in campo ingegneristico-architettonico (basti pensare alle prestigiose École Royale

88

des Ponts et Chaussées e École Royale du Génie de Mézières fondate, ri-spettivamente, nel 1747 e 1748). Alle citazioni di autori d’oltralpe Calde-rini ricorre, infatti, in diverse occasioni, ricordando, ad esempio, l’“autore francese M. Legavrian”21 nel paragrafo sulle coperture ignifughe.La minuzia di dettagli e di particolari con cui sono descritti ogni meto-do o elemento impiegati nella costruzione, unitamente a disegni chiari ed efficaci a corredo del testo o raccolti in appendice sotto forma di tavole, fa, infine, ritenere che Calderini abbia eseguito personalmente, o perlomeno assistito all’esecuzione, di ogni lavorazione da lui descritta: esperienza probabilmente maturata durante la sua iniziale occupazione di ingegnere presso il Genio Civile di Perugia22.La lettura di tale “piccolo trattato” consente inoltre di annotare anche altre aspetti di carattere non strettamente tecnico. è, ad esempio, evi-dente la differenza tra le condizioni di sicurezza dei lavoratori e delle costruzioni dell’epoca e quelle richieste dalle odierne normative. Oggi non sarebbe, infatti, ammissibile, come invece suggerito da Calderini, realizzare fronti di scavo verticali di altezza pari a 4 o 5 metri in terreni argillosi senza opere di sostegno, anche se solo nel breve termine. Op-pure si possono notare le prime conseguenze del processo di industria-lizzazione anche nell’architettura rurale, visibili nella sostituzione della paglia nei manti di copertura degli edifici rurali con stuoie a cartoccio (fatte a macchina e legate con filo di ferro galvanizzato, possono essere messe in opera, a differenza della paglia, da qualsiasi operaio comune), o nella timida comparsa delle strutture in acciaio (su cui all’epoca non vi era ancora piena fiducia), che finiranno, invece, per essere scelte come sistema costruttivo preferenziale per le costruzioni rurali di più recente realizzazione.

Note

1 Cfr. Compendio, p. 377 (p. 531).

2 Cfr. ad esempio Curioni 1865 e Curioni 1870.

3 Cfr. Compendio, p. 127 (p. 281).

4 Cfr. ivi, p. 179 (p. 333).

89

5 Cfr. ivi, p. 180 (p. 334).

6 Cfr. ivi, p. 186 (p. 340).

7 Cfr. ivi, p. 201 (p. 355).

8 Cfr. ivi, p. 209 (p. 363).

9 Cfr. ivi, p. 225 (p. 379).

10 Cfr. ivi, p. 232 (p. 386).

11 Cfr. ivi, p. 248 (p. 402).

12 Cfr. ivi, p. 278 (p. 432).

13 Cfr. ivi, p. 351 (p. 505).

14 Cfr. ivi, p. 361 (p. 515).

15 Cfr. ivi, p. 377 (p. 531).

16 Cfr. ivi, p. 389 (p. 543).

17 In proposito cfr. in questo stesso volume i saggi di Paolo Belardi e Valeria Menchetelli, pp. 39-53, Massimo Mariani e Luca Martini, pp. 65-69 e Fabio Bianconi e Marco Filippucci, pp. 91-96.

18 Cfr. Compendio, p. 233 (p. 387).

19 Cfr. Claudel 1867.

20 Cfr. Carnet de l ’Ingénieur 1869.

21 Cfr. Compendio, p. 325 (p. 479).

22 In proposito cfr. in questo stesso volume il saggio di Paolo Belardi e Valeria Menchetelli, pp. 39-53.

91

Architettura Rurale

Fabio Bianconi, Marco Filippucci

La seconda parte del Compendio di Guglielmo Calderini tratta nel det-taglio il tema dell’architettura rurale attraverso una disamina del reper-torio tipologico degli elementi architettonici propri del mondo agreste, nella forma di un manuale didattico che però cela fra le righe il valore culturale di una proposta che si vuole dimostrare essere ben più ampia. Colpisce innanzitutto il chiaro stacco in due sezioni, seppur il docente abbia dedicato le prime pagine delle sue lezioni proprio a introdurre il medesimo tema della “architettura rurale”1. è facile ipotizzare come la ricercata separazione sia perseguita al fine di mettere in risalto il ca-rattere fortemente pragmatico di tale argomento, che non è certo fra i canoni dell’Accademia: anzi è un tema che Calderini definisce come “il più negletto”2, anteponendo tuttavia alla definizione il termine “finora”, con cui riconosce la peculiare sfida culturale ivi intrinseca.L’estetica romantica che continua ad aleggiare per tutto l’Ottocento contribuisce a rinnovare l’interesse sul paesaggio delle campagne italia-ne, e se John Ruskin nel 1837 esaltava “la semplicità” dell’architettura rurale italiana3, è perché già da anni gli occhi stranieri avevano risco-perto nei Grand Tour4 la ricchezza euristica di quei luoghi trasformati dal lavoro dell’uomo, intreccio fra storia e società5.Inoltre l’autonomia didattica della sezione analizzata appare connessa agli avvicendamenti di cattedre del professore perugino6: Guglielmo Calderini riversa in un tema così applicativo la cultura enciclopedica figlia dei lumi francesi7 propria della sua formazione8, che è ancora la vera dominatrice del dibattito architettonico dell’Ottocento9. La vo-lontà classificatrice struttura il ragionamento tipologico10 posto a fon-damento del processo progettuale-costruttivo11, che presenta macchine edilizie mai meramente funzionali, bensì reinterpretate attraverso le

92

categorie estetiche della sua raffinata cultura. Le tre pagine introdut-tive che qui si vuole presentare ne sono la più chiara dimostrazione, e in esse si può scorgere l’implicito ed erudito riferimento al secondo libro del De Architectura di Vitruvio12 nell’associazione fra l’architettura rurale e gli archetipi delle “costruzioni primitive”, entrambi ascrivibi-li a risposta alle “necessità” pratiche, a strumenti che hanno segna-to la nascita dell’azione di “trasformazione” e “modernità” dell’uomo sul territorio13. Già la trattatistica rinascimentale era stata affascinata da quest’immagine, come mostrano da un lato le razionali e lumino-se rappresentazioni del trattato del Filarete (1460 circa)14 o dall’altro lato le recondite e nere figure dell’interpretazione vitruviana di Cesare Cesariano (1521)15, ma l’ideale dell’architettura alla sua origine è poi ripreso dalla cultura francese che, passando per l’opera di Jean Martin (1547)16, trova un centrale momento di riflessione nella raffigurazione di Charles Eisen posta nel celebre frontespizio del Saggio sull ’Architettu-ra di Marc-Antoine Laugier (1755)17. La capanna rudimentale diviene espressione del processo di mimesi e adattamento, sintesi schematica18 della triade vitruviana e del canone inteso come proporzioni e rapporti, archetipo architettonico proprio della natività19 con il quale si palesa l’inconscia necessità di ritrovare l’origine e il fondamento dell’azione progettuale. La capanna può essere intesa come la matrice dell’archi-tettura rurale (elemento primo della ricerca filologica sull’abitazione di Eugène Viollet-le-Duc20 che affascina totalmente Calderini), struttura costruita legando piuttosto che accumulando21. L’implicito paralleli-smo svela così una similarità di intenzioni, e se in Laugier la figura alle-gorica dell’Architettura che indica la capanna si poggia sui ruderi della Storia, parimenti in Calderini il ritorno alle fondamenta dell’antico è la via di salvezza per l’arte italiana22.Lo studio dell’architettura rurale diviene così un ulteriore strumento per la ricerca delle origini che è la premessa della sua poetica, da contestua-lizzarsi in quel 1885 così importante e intenso nel percorso del progettista perugino23. Nel paesaggio costruito agreste si ritrovano anche i quattro elementi costitutivi dell’architettura teorizzati da Gottfried Semper24, a cui possono essere ricondotti gli assi strutturanti e le composizioni ne-cessariamente schematiche che accompagnano il testo scritto.è forse proprio il disegno, seppur veloce ed essenziale quindi ben lon-

93

tano dai capolavori rappresentativi propri di Calderini25, il protagonista di questa seconda parte, con gli schizzi concentrati quasi a sintesi del pensiero trascritto negli appunti, assimilazione del principio enunciato nel Prospectus di Denis Diderot per cui “dare un’occhiata alla rappresen-tazione di un oggetto dice di più che non una pagina scritta”26.Le rappresentazioni architettoniche proposte, seppur filologicamente correlate ai disegni catastali e alle rappresentazioni legislative più che architettoniche dei cabrei, si rifanno ai modelli tipologici dell’abitazio-ne isolata urbana che viene trasferita nella sua semplicità nel contesto rurale27, connotata da elementi funzionali frutto della riproposizione di immagini memorative di architetture proprie dell’immaginario urba-no, segnate dai valori della simmetria, del ritmo e degli allineamenti, che fanno parte del ricercato lessico calderiniano e che inevitabilmente si trasferiscono anche in tali esercizi progettuali.Il professore perugino afferma con chiarezza che “l’architetto rurale non esiste” ma “l’arte dell’architetto e la scienza dell’agronomo con-giunte, costituiscono dunque l’architettura rurale”28. Tale tema svela così due facce contrapposte della cultura progettuale ottocentesca, ca-paci anche di svelare la complessa figura dell’autore stesso, icona della cultura postunitaria. Se da un lato la razionalizzazione tipologica na-sce tecnicamente a servizio della cultura aristocratica29 e del sistema mezzadrile30, che è ancora dominante in conformità allo stile umbro31 correlato alle grandi ville32 già in auge da quel Rinascimento tanto amato dalle ricerche filologiche romantiche33, d’altro lato nello stesso tema si riflette un altrettanto forte interesse sociale, altra peculiarità tipicamente moderna34. Dopo un ventennio dall’unità d’Italia, periodo contraddistinto da un grande ammodernamento, il tema dell’architet-tura rurale sintetizza le contraddizioni di una nazione nascente, con un ritorno alla campagna contestuale ad una crescita demografica35 che non si riflette in un accrescimento produttivo36 e determina la crisi37 del modello economico vigente.Non tragga pertanto in inganno la praticità dello sviluppo di questa seconda parte, perché, seppur implicitamente, nella proposta didattica di Guglielmo Calderini si sintetizzano i temi principali dell’architet-tura, dell’estetica, della società, dell’economia e della politica che ca-ratterizzano il suo tempo. In particolare l’intuizione della sistematicità

94

olistica del paesaggio secondo l’allora costituendo statuto moderno38, il cui studio, come evidenzia l’autore stesso a conclusione di questa pre-messa, è volto ad evitare un “grave danno del progetto dell’architettura e del paese”39.

Note

1 Compendio, p. 1 (p. 157). Cfr. in questo stesso volume il saggio di Massimo Mariani e Luca Mar-tini, pp. 65-69.

2 Ivi, p. 397.

3 Ruskin 1909.

4 De Seta 1992; De Seta 1999 e de Seta 2001.

5 In ciò si può trovare un punto di congiunzione con l’opera di Giovanni Battista Piranesi che evidentemente Calderini stima, autore che coniuga nelle sue incisioni storia, architettura e natura, basandosi su quella stessa integrazione fra ambiente e artificio che definisce i cliché romantici che esaltano il valore degli edificati rurali. Seppur il tema della relazione fra artificio e natura si estende su quasi tutte le opere di Piranesi ad esaltazione del frammento e della rovina, per mettere in evi-denza l’attenzione alla spazio rurale può essere utile sottolineare come l’autore veneziano si occupi dell’incisione di una lastra delle Vedute delle ville e d’altri luoghi della Toscana, volume pubblicato da Giuseppe Allegrini nel 1744 (cfr. Vedute 1744), traduzione sul rame delle vedute di Giuseppe Zocchi (cfr. Ficacci 2006, p. 19).

6 Cfr. in questo stesso volume i saggi di Paolo Belardi e Valeria Menchetelli, pp. 39-53 e di Marco Giorgio Bevilacqua, pp. 55-61.

7 Basta a riguardo analizzare il Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, un’opera in 35 volumi, di cui 11 di tavole, pubblicata a Parigi tra il 1751 e il 1772 (cfr. ad esem-pio Diderot, d’Alembert 1751-1765 e Casini 2003). Diretta da Denis Diderot, l’immensa pubbli-cazione interessa tutti i campi, con particolare riguardo alla tecnica, dove le voci furono scritte da letterati, specialisti, medici e ingegneri, tra cui Jean-Baptiste d’Alembert, Voltaire, Montesquieu, Jean-Jacques Rousseau ed Étienne Bonnot de Condillac.

8 è opportuno evidenziare come il carattere intellettuale dell’opera sia impregnato dalla volontà di cancellare l’ancien régime per creare una nuova cultura non priva di elementi derivanti dall’am-biente massonico, a cui Calderini aderisce con vigore sin da giovane età (cfr. Bistoni, Monacchia 1975, pp. 124-125, 130, 162, 186, 205, 283-284, 294, 411).

9 Per comprendere l’importanza di tale riferimento culturale, si può ricordare che quasi coeva al volume è la prima costruzione della statua della Libertà (1883-1886) e della torre Eiffel (1887-89), monumenti che vantano la firma dello stesso autore e la medesima matrice culturale francese.

10 Il sapere illuministico è “un linguaggio logico con cui è possibile pensare senza sapere, una forma quindi di pensiero cieco intesa come la possibilità di condurre calcoli, pervenendo a risultati esatti, su simboli di cui non si riconosce necessariamente il significato, o del cui significato non si riesce ad avere un’idea chiara e distinta”. Cfr. Ippoliti 2007, p. 88.

11 Bini 2010.

12 Può essere opportuno evidenziare che l’anno precedente l’Accademia di San Luca aveva bandito

95

il ricorrente e noto concorso in onore di Luigi Poletti dedicato ad uno scritto sull’arte, vinto senza riserva da Calderini con una dissertazione proprio titolata Vitruvio. Cfr. Catini 1996.

13 Compendio, p. 397 (p. 551).

14 Filarete [1465], c. 5 r.

15 Cesariano 1521, p. XXXII.

16 Martin 1547.

17 Laugier 1755, p. II.

18 Ugo 1991, p. 169.

19 Purini 1992, pp. 79-85.

20 Viollet-le-Duc 1978.

21 Ugo 1990, pp. 239-252.

22 Nella dissertazione Vitruvio, imputando la crisi dell’arte al mero predominio dell’ingegneria e dell’erudizionismo accademico, Calderini invitava ad una ricerca delle origini come insegnamento e ispirazione per il presente e mai come imitazione, con due chiari riferimenti individuati nella grandiosità romana e nella sapienza rinascimentale, in particolare nel valore dei trattati (cfr. Ca-tini 1996, p. 71).

23 Cfr. in questo stesso volume il saggio di Paolo Belardi e Valeria Menchetelli, pp. 39-53.

24 Quitzsch, Semper 1991.

25 Catalogo 1995.

26 Il Prospectus del 1750 di Diderot è stato ristampato con commento in italiano (cfr. Diderot 2011, pp. 25, 50 e Diderot, d’Alembert 1751, p. 4).

27 L’architettura rurale è in primo luogo “il prodotto delle città”, tanto che “gli architetti hanno potuto dare ai primi edifici delle aziende mezzadrili uno stile di palazzi cittadini” e viceversa “la mezzadria ha diffuso in città le occupazioni agricole”, cfr. Desplanques 2006, p. 333.

28 Compendio, pp. 398 e 399 (pp. 552 e 553).

29 Ciò è palesato dai dati che mostrano la “saldezza” della distribuzione della proprietà, che nel 1842 conta 275 grandi proprietà superiori a 300-350 ettari su 60.771 (0.46%) che però detengo il 22.7% del patrimonio agrario, dati che nel 1881 quasi si confermano con 341 grandi proprietà (superiori a 250 ettari), pari allo 0,52% del totale, che gestiscono il 23.31% dell’estimo agricolo (cfr. Nenci 1989), ricordando anche che i 45.000 ettari di beni fondiari incamerati alla chiesa sono acquistati da chi ha già terra e capitali, quindi in primis dall’antica nobiltà perugina (cfr. Covino 1995, p. 37).

30 Si deve infatti sottolineare che la mezzadria in Umbria “ha un’importanza grande pressappoco come nel Mezzogiorno, anche se non si può parlare di latifondi perché le terre sono sistemate, ap-poderate, arborate, e vi regna la coltura intensiva”. Cfr. Desplanques 2006, p. 309.

31 Se si prendono ad esempio i disegni di Cipriano Piccolpasso, si potranno notare come l’immagine della città nella sua compattezza si alterna ad un territorio contestuale disegnato e dominato da resi-denze che nel disegno diventano anche più importanti dell’aggregato urbano (cfr. Piccolpasso 1579).

32 Melelli 2010, p. 161.

33 Calderini 1875.

34 Tale tema caratterizza in realtà tutta la ricerca estetica di Calderini: “la sua modernità si mani-festa soprattutto per l’interesse per alcuni dei nuovi campi di pertinenza […] schierandosi a favore dell’uso di nuovi materiali e delle nuove esigenze sociali […] nuove tipologie richieste dalla città moderna” (cfr. Barucci 1996, p. 7).

96

35 La popolazione dell’Umbria che nel 1835 è di 365.000 abitanti, nel 1881 sale a 497.000, e, nello stesso lasso temporale, l’area a coltura (seminativi semplici e arborati) passa da 298.712 ettari (37.3% della superficie agraria e forestale) a 332.137 (41.5%), con la produzione per ettaro che si incrementa solo di poco (da 8.45 a 8.60 quintali per ettaro), a dimostrazione di un forte squilibrio fra la crescita demografica delle campagne e la trasformazione del territorio (cfr. Bellini 1987). Bisogna poi te-nere conto dei dati mostrati da Desplanques da cui risulta chiaramente una fuga dalle città, perché nel 1769 il 50,4% della popolazione risiede a Perugia, mentre nel 1861 la quota scende al 34,1% (cfr. Desplanques 2006, p. 1026).

36 Ai dati inerenti la crescita demografica e la fuga delle città, bisogna infatti poi aggiungere che nell’ultimo quarto di secolo dell’Ottocento si assiste ad un crollo dei prezzi agrari per la concorren-za dei grani, che insieme alla continua crescita della popolazione, non può che mandare in crisi il sistema creando tensioni sociali. Cfr. Covino 1995, p. 42.

37 Il problema della crisi economica si diffonde proprio in quegli anni, diventando motivo di con-testazione nella costruzione del palazzo di Giustizia. Cfr. Marconi 2002.

38 von Humboldt 1844.

39 Compendio, p. 399 (p. 553).

97

L’Abitazione dell’uomo

Mauro Baglioni

è difficile comprendere un testo senza calarsi nel contesto storico in cui lo stesso è stato elaborato, ma quando ci si approccia a un elaborato scientifico la sua reinterpretazione diventa ancora più complessa, spe-cialmente se a tentarla è un “collega” che analizza il testo in questione a quasi centotrenta anni di distanza. In questo senso occorre colloca-re storicamente il capitolo “L’Abitazione dell’uomo” del Compendio di Guglielmo Calderini. Nel 1885 è ormai compiuto il Regno d’Italia e il sovrano è da sette anni Umberto I (che regna dal 1878 al 1900)1. La crisi economica che affligge l’Europa contribuisce a far crescere la miseria dei braccianti, alimentando i primi scioperi agricoli. In più il protezionismo adottato dai governi di quel periodo si traduce nell’in-tervento dello stato al fine di incrementare i dazi doganali, per limi-tare le importazioni e favorire il commercio interno. Lo scopo di ciò è il rafforzamento delle realtà industriali nazionali: grazie agli incen-tivi statali in Italia nascono ad esempio la Società degli Alti Forni e Fonderie di Terni nel 1884 e la Società Italiana Ernesto Breda per Costruzioni Meccaniche a Milano nel 1899. Contemporaneamente si cerca di migliorare le difficili condizioni di vita della popolazione: con la cosiddetta legge Coppino del 1877 viene ribadita l’istruzione obbligatoria e con la riforma della legge elettorale del 1882 il diritto di voto viene esteso a chi abbia frequentato i primi due anni di scuola o paghi almeno 20 lire di tasse annue. Si avviano anche una serie di inchieste, anche parlamentari, sulle condizioni di vita dei contadini nella penisola, tra le quali la più famosa è la cosiddetta inchiesta Jacini (1877-1885)2. Tali iniziative rivelano una grande miseria e pessime condizioni igieniche: l’infanzia è spesso vittima della difterite mentre gli adulti soffrono di pellagra per malnutrizione. In questo quadro si

98

pongono le dispense di Guglielmo Calderini, e in particolare la sezio-ne in questione.Le conoscenze attuali potrebbero portare ad affrontare superficialmen-te tale testo, ma dall’analisi attenta appare chiaro un fatto: Calderini è un vero e proprio ingegnere professionista. L’acume scientifico e la pragmaticità con cui affronta le specifiche tematiche dell’abitare sono illuminanti e ci fanno chiaramente capire quali sono le problematiche in gioco, e di conseguenza come affrontarle e come risolverle. Tutto ciò con una chiarezza di esposizione ammirevole. Passaggi come “La tramontana e di ponente sono posizioni assai cattive”3 oppure “sarebbe poi desiderabile che ciascuna abitazione avesse una latrina”4, o il richia-mo nella presentazione dei tipi edilizi a una progettazione che ammetta modificazioni “senza uscire da quella massima che la pratica ha dettato come migliore”5, citano alcuni principi leonardeschi sull’efficacia della ricerca empirica. In questo senso appare interessante cercare di capire se e quanto, da ingegneri contemporanei, abbiamo migliorato l’approccio alla progettazione. Nello specifico potremo affermare che, per l’atten-zione verso la salubrità dell’abitazione che descrive ampiamente nelle sue componenti dovute a una corretta posizione ed esposizione, oggi Calderini potrebbe essere definito un cosiddetto bio-architetto: un pro-fessionista particolarmente attento alle problematiche inerenti all’eco-logia e alla sostenibilità. Allo stesso modo l’introduzione all’utilizzo di alcuni materiali innovativi come il cemento Portland lo potrebbe iden-tificare come un ingegnere high-tech.In particolare, Calderini è allo stesso tempo ingegnere e architetto. Di certo è uno scienziato dell’abitare che, partendo dall’osservazione del-la realtà, dalla corretta impostazione del problema e dalla chiara in-dividuazione delle condizioni al contorno, propone soluzioni semplici, anche eleganti, rispettose di tutti i “dati di input”, siano essi di natura medica, estetica, economica, energetica o strutturale. Non si pone il problema se sia giusto o sbagliato o politicamente scorretto sostenere che “non bisogna spendere inutilmente il denaro in opere di abbelli-mento che sono totalmente inutili”6 oppure che “ai celibi, o vedovi senza prole, od anche con un sol figlio, […] basta un solo ambiente”7 in quan-to ciò è legittimato dallo stato di estrema indigenza della popolazione rurale. In tale contesto, Calderini delinea molto pragmaticamente un

99

tipo di abitazione semplice ma decorosa, destinata a strati sociali ca-ratterizzati da un livello di qualità della vita spaventosamente basso in confronto agli standard attuali. In tal senso l’insistenza sul tema della salubrità fa capire quanto ciò sia importante per l’epoca, come appare evidente analizzando un passaggio tratto dall’inchiesta Jacini riguardo il territorio perugino:“In nessuna casa esistono cessi. Le stalle fanno corpo colla casa, e co-municano con questa per mezzo di una botola e di una porta interna. Nelle case di un piano solo, naturalmente, la stalla è attigua e pure comunicante. Sono separate a S. Gemini e ad Attigliano in costruzioni recenti. I concimi si depositano presso la stalla, o nelle adiacenze dell’a-bitazione. è sudicio l’interno delle case, che hanno spesse volte l’aspetto di luridi tuguri. Anche la nettezza pubblica, se ne togliamo Bettona che fa certamente eccezione, è dovunque in pessimo stato. Sono rari i paesi che abbiano vere fogne: a Deruta, Fratta Todina, Magione, Marsciano, Massa Martana, Montecastello di Vibio, Todi, Tuoro e qualche altro nel circondario di Perugia; a Gualdo Tadino, Città della Pieve, Piegaro, Montefalco, Montopoli in Sabina; negli altri esistono scoli per le sole acque piovane, o sono privi anche di questi”8.Si comprende perché la soluzione ai problemi igienico-sanitari sia così pressante, e quanto siano adeguati per l’epoca i suggerimenti proposti in ambito accademico.Ma (a mio avviso) appare ancora più importante sottolineare l’approccio generale, l’attenzione da parte di Guglielmo Calderini alla “pratica” del costruire, declinata nel comprendere come costruire e con quali stru-menti. In tal senso il legame forte con la natura e l’armonia con i suoi ritmi sono i veri punti fermi per una corretta progettazione proposti dal progettista umbro, che ci ricorda che l’ingegnere-architetto è per prima cosa un solutore di problemi complessi attraverso una profonda cono-scenza delle tecniche costruttive e del processo edilizio. Perciò la forma-zione di un professionista deve essere strettamente legata all’osservazione della realtà, al fine di far propria la capacità di tradurre in dati operativi tutti i fenomeni che definiscono un approccio progettuale.Un’importante testimonianza dell’attenzione di Calderini alle acquisi-zioni scientifiche coeve è il riferimento alla necessità di inserire i servizi igienici nelle residenze rurali e la frequenza con cui mette in relazione

100

i problemi legati al ristagno d’acqua alla salubrità dell’abitazione: “La mancanza di questa comodità origina spesso delle malattie, e spesse fiate anche la morte perché ben sovente le mosche carbonchiose possono pizzicare gli uomini che vanno al campo aperto”9. Appare interessante a questo proposito anche il capitolo relativo alle adiacenze dell’abitazio-ne, in cui si sottolinea come “Bisogna sfuggire nelle vicinanze imme-diate dell’abitazione, le paludi; i depositi d’immondizie”10: riferimento evidente allo sforzo di evitare la diffusione di malattie infettive. Oggi tutto ciò può sembrare ordinario, ma se ci si sofferma a pensare che il Compendio si colloca soltanto a pochi anni dalla fondazione della mo-derna microbiologia tutto acquista un’altra luce. Infatti proprio in quegli anni Luis Pasteur si dedica allo studio del carbonchio (una malattia del bestiame ai tempi spesso fatale anche per l’uomo), e soltanto nel 1929 Alexander Fleming scopre la penicillina.Inoltre la sezione del testo che approfondisce l’aspetto della distribu-zione degli ambienti rivela un’attenzione e una conoscenza della vita quotidiana dei braccianti agricoli e delle loro necessità che colpisce il lettore. Calderini giunge a definire gli elementi d’arredo da adottare, tenendo conto delle categorie sociali e delle mansioni specifiche nel ciclo produttivo proprio di un contesto rurale. Le differenti analisi ef-fettuate per i “giornalieri” o i “piccoli coltivatori”11, con l’individua-zione delle funzioni delle singole stanze, l’indicazione delle specifiche funzioni dei locali e gli accorgimenti tecnici necessari per il loro uso appropriato sono veramente attente e precise. Appare esemplare in tal senso il passaggio riguardante la posizione del forno in una tipologia abitativa, dove viene riportato un ottimo esempio di risparmio energe-tico: “La posizione del forno dietro al focolare è felicissima. Ordinaria-mente nelle campagne si cuoce il pane una volta per bastare più giorni. Quando il forno è bene riscaldato, si ritira la brace la quale casca sul focolaio del camino e può servire così per la cottura degli alimenti con bella economia e comodità”12.In conclusione l’analisi approfondita del testo di Calderini rimanda di nuovo a Leonardo da Vinci: “Quelli che s’innamoran di pratica sanza scienzia son come ‘l nocchier ch’entra in navilio sanza timone o busso-la, che mai ha certezza dove si vada”13. Lo studio di questo capitolo del Compendio del progettista umbro appare significativo in quanto lascia

101

emergere con decisione quanto sia importante per la scienza del costru-ire abitazioni basarsi su riferimenti teorici efficaci, al fine di ordinare la complessità degli aspetti di cui tale scienza deve tenere necessaria-mente conto.

Note

1 In proposito cfr. ad esempio Montanelli 1977.

2 Cfr. Inchiesta 1978-1988.

3 Compendio, p. 402 (p. 556).

4 Ivi, p. 407 (p. 561).

5 Ivi, p. 414 (p. 568).

6 Ivi, p. 404 (p. 558).

7 Ivi, pp. 408-409 (pp. 562-563).

8 Panizza 1890, p. 116.

9 Compendio, p. 408 (p. 562).

10 Ivi, p. 403 (p. 557).

11 Ivi, p. 408 (p. 562).

12 Ivi, p. 411 (p. 565).

13 Leonardo da Vinci 1993, p. 26.

103

Abitazioni degli animali Domestici

Piero Borghi, Marco Vizzari

Fin dai tempi più antichi l’architettura rurale e la costruzione dei rico-veri per gli animali domestici sono oggetto di studio da parte di molti autori celebri. Già Marco Porcio Catone, nel Liber de agri cultura1 (160 a.C.), si interessa di questi argomenti indicando numerosi particolari sulle caratteristiche costruttive dei ricoveri stessi. Marco Terenzio Var-rone, nei tre libri del De re rustica2 (37 a.C.), tratta, nel primo, della coltivazione della terra e dell’agricoltura in generale (De agricoltura), nel secondo, della pastorizia e dell’allevamento del bestiame (De re pecuaria) e, nel terzo, degli animali da cortile e da villa (De villaticis pastionibus). L’agronomo romano Rutilio Tauro Emiliano Palladio, all’interno del suo Opus agriculturae 3 (470-480), approfondisce i principi costruttivi dei ricoveri, dedicando alle stalle per gli equini e per i bovini il primo dei quattordici libri in cui è suddivisa l’opera. Anche l’agronomo Pietro de Crescenzi, nel Ruralium commodorum4 (1305), descrive le tecniche co-struttive delle abitazioni rurali, prediligendo, però, le tipologie signorili e trattando solo marginalmente gli edifici annessi. Nella seconda metà del 1800, periodo in cui si colloca il Compendio di Guglielmo Calderini, le costruzioni rurali sono oggetto di importanti testi di studiosi quali Cosimo Ridolfi5, Andrea Scala6 e Antonio Cantalupi7.Nella parte dedicata alle “Abitazioni degli animali Domestici”, Calde-rini fornisce indicazioni generali e soluzioni specifiche che sono state in molti casi utilizzate e sviluppate anche nel secolo successivo da chi ha operato nel settore agro-zootecnico. In tal senso egli tratta in modo sintetico e chiaro le caratteristiche degli edifici delle aziende agrarie e, in particolare, di quelle aziende con allevamento di animali e con pro-duzioni agricole ad esse collegate. In successione illustra, anche tenen-do conto dell’importanza economica e funzionale che, nell’Ottocento,

104

assumono le scuderie, le stalle (bovini), gli ovili (ovini), i porcili, le co-nigliere, i pollai, i locali e gli spazi per gli animali da cortile (gallinac-ci, anatre, oche, cigni, fagiani, pavoni, pernici e quaglie, colombi), gli arniari e gli alveari, le bigattiere (bachi da seta), i granai, le ghiacciaie (per la conservazione del ghiaccio o dei prodotti), le cascine (per la rac-colta, conservazione e successiva lavorazione del latte), le cisterne (per la raccolta dell’acqua piovana), le concimaie (per la raccolta del letame) nonché le logge, le capanne, le tettoie e le rimesse, che sono consi-derate “costruzioni […] indispensabili in un tenimento agricolo, dove deve esservi posto per tutto, e tutto a suo posto adatto”8. Il capitolo, analizzato congiuntamente ad altre opere, consente, altresì, un’analisi storica di alcune delle trasformazioni che l’agricoltura del nostro paese ha subito in riferimento all’allevamento degli animali. Emerge, infatti, l’importanza costante che hanno mantenuto gli allevamenti di alcune specie (ad esempio bovini e ovini), la trasformazione di alcuni sistemi di allevamento (ad esempio quelli relativi ai cavalli, ai suini e ai polli) e la scomparsa pressoché completa di particolari categorie di animali dalle aziende zootecniche italiane (ad esempio cigni, fagiani, pavoni, per-nici e quaglie) o la loro scomparsa assoluta (ad esempio bachi da seta). L’approccio generale denota che gli edifici sono concepiti per l’inseri-mento in aziende, seppur di dimensioni ridotte, volte all’autonomia in termini di manodopera necessaria per le diverse attività agricole svolte, a una distribuzione temporale della stessa uniforme nell’arco dell’an-no e all’autosufficienza dal punto di vista della produzione alimentare. Dall’analisi del testo appare chiara, peraltro, una evidente concezione dell’autore secondo cui i livelli di funzionalità e di efficienza produttiva dell’attività agro-zootecnica sono strettamente connessi alla dotazione complessiva, in termini di edifici, dell’azienda.Calderini adotta un interessante metodo razionale nella disamina delle varie tipologie di edifici, delineate in modo sistematico per ognuna delle categorie di animali considerati. Infatti la descrizione delle varie parti componenti ciascun edificio, del singolo elemento costruttivo e dell’at-trezzatura proposta per un utilizzo particolare avviene con notevole ac-curatezza, anche ricorrendo a disegni ricchi di particolari, “siccome i tipi valgono assai meglio di qualsiasi descrizione per darne idea chiara, così nell’atlante, si riportano i vari tipi delle forme più adatte ed usate”9.

105

Dalla lettura approfondita del testo e dall’analisi delle tavole sorgono spunti interessanti sulla disposizione planimetrica degli elementi areali all’interno degli edifici descritti e, in particolare, degli stalli (gli spazi occupati dagli animali) e dell’area adoperata dai “bifolchi”10 addetti alle operazioni di stalla (in tal senso si fa riferimento alla corsia utilizzata per la distribuzione degli alimenti ed in particolare del foraggio). In tale ambito è di estremo interesse la descrizione inerente alla diversa organizzazione delle scuderie, nella quale vengono elencate ben set-te tipologie differenti: a disposizione longitudinale semplice e doppia (quest’ultima proposta a sua volta in due tipologie), a disposizione tra-sversale semplice e doppia (anche quest’ultima proposta a sua volta in due tipologie) e, infine, a disposizione con “andato per la governa”11. Quest’ultimo elemento, che costituisce la corsia per la distribuzione dell’alimento (o corsia di foraggiamento), risulta di notevole impor-tanza anche al giorno d’oggi, ed è altresì riportato nella stalla a pianta circolare12. In effetti si tratta di un ottimo esempio di razionalità ed efficienza in riferimento allo svolgimento dei lavori di stalla, in parti-colare nell’ambito di un’operazione che all’epoca è svolta manualmen-te. In tale tipologia di ricovero il foraggiamento avviene da un’unica e ridotta area centrale (di forma circolare e con accesso dall’esterno), che consente spostamenti minimi da parte degli addetti, riducendo lo spazio percorso e quindi i tempi complessivi di lavoro. Così facendo si ha il duplice vantaggio di poter svolgere la governa con maggior facilità e sicurezza, grazie alla possibilità di evitare il contatto diretto con l’a-nimale, operando, rispetto ad esso, da una posizione frontale. Ulteriore elemento di interesse, utile al miglioramento delle condizioni di lavoro dell’operatore e di quelle igieniche dell’animale, è costituito dalla pre-senza della cunetta circolare che, nella suddetta proposta, raccoglie le deiezioni prodotte dagli animali e, grazie a un’opportuna lieve penden-za, permette di allontanare le stesse. Da notare anche che tale cunetta è posizionata in adiacenza alla parete esterna dell’edificio.In particolare dall’analisi del Compendio si evidenziano la pianta e la vi-sta “di una Fattoria per una grande cultura”13: si tratta di una soluzione progettuale in cui sono raggruppati tutti gli edifici analizzati singolar-mente in precedenza. Tali edifici sono da considerare emblematici per aziende agricole di medio e grande “tenimento”14, che funzionalmente,

106

economicamente e socialmente sono poi rimaste attive, con tale con-figurazione, nel territorio rurale italiano per più di un secolo, e quindi fino agli anni settanta e ottanta del Novecento.Da un esame complessivo del testo emerge la notevole attenzione che Calderini ha dedicato all’approfondimento delle soluzioni progettua-li proposte. Un esempio è rappresentato dalle attrezzature interne da impiegare nella realizzazione delle abitazioni degli animali domestici. Le caratteristiche e la disposizione di elementi quali “Greppie”15 (man-giatoie) e “Separazioni”16 (o battifianchi, elementi divisori degli stalli singoli o per gruppi di animali) determinano la funzionalità di un edi-ficio per l’allevamento. In tal senso l’autore li descrive con estrema cura, individuando soluzioni specifiche per ciascun caso considerato. Si rile-va anche un’attenzione specifica per i particolari dell’involucro esterno dell’edificio, sia per quanto riguarda, ad esempio, la realizzazione delle pareti, che per gli elementi costruttivi quali archi, architravi, piatta-bande, davanzali e anche porte e finestre17. Dall’analisi di queste ultime emerge come l’autore metta in pratica un trasferimento in ambito agri-colo e rurale di tratti caratteristici degli edifici urbani18.Riflessioni in merito all’attualità delle proposte di Calderini nascono anche dall’attenzione posta nei confronti dell’igiene e del benesse-re animale. Ciò si deduce in particolare dalle considerazioni esposte nell’introduzione, in cui l’autore scrive che “I locali […] devono riunire delle condizioni igieniche, analoghe a quelle reclamate dall’abitazione dell’uomo” in quanto gli animali “amano l’aria, e la luce, e l’umidità è loro assai dannosa ed è sovente loro causa di gravi malattie”19. Tali espressioni trovano poi specifica applicazione nelle soluzioni progettuali in cui vengono trattati esplicitamente argomenti quali l’esposizione, la ventilazione, la temperatura e le dimensioni degli edifici, nonché aspetti quali i pavimenti e le relative pendenze, i soffitti ecc. La definizione accurata di tali parametri permette di identificare le soluzioni più op-portune in funzione del sito occupato e del tipo di allevamento.Ulteriori elementi di attualità si rilevano evidenziando che le soluzioni progettuali proposte tengono conto di un opportuno inserimento dal punto di vista paesaggistico: la loro diffusione ha contribuito a costi-tuire quel patrimonio edilizio che ancora oggi costituisce un segno ca-ratteristico del paesaggio rurale italiano20. In particolare, un ulteriore

107

elemento d’interesse dell’opera (per quanto riguarda la tutela, il recu-pero e il riuso del costruito) è la possibilità di trarne informazioni utili all’individuazione di tecniche costruttive e tipologie edilizie emblema-tiche nell’ambito dell’edificato rurale storico21.L’analisi del testo denota anche un’attenzione costante nei confronti del-la tutela ambientale. Elementi in tal senso si individuano, ad esempio, nei passaggi dedicati a manufatti quali le ghiacciaie, le cisterne per la raccolta delle acque piovane e le “Concimaie”22 per il deposito del leta-me. In particolare, a proposito di queste ultime si elencano gli aspetti positivi e negativi collegati alla realizzazione della loro copertura, fa-cendo esplicito riferimento ai pareri discordanti espressi in merito da alcuni allevatori dell’epoca.In conclusione, dalla lettura della parte del Compendio relativa alle “Abi-tazioni degli animali Domestici” emerge chiaramente come Calderini si distingua per un approccio metodologico volto all’individuazione di soluzioni progettuali dedicate, di cui ancora oggi è possibile riconoscere la validità.

Note

1 Catone 2001.

2 Varrone 1974.

3 Palladio 2006.

4 Alfonsi 1933.

5 Ridolfi 1862.

6 Scala 1864.

7 Cantalupi 1876.

8 Compendio, p. 507 (p. 661).

9 Ibidem.

10 Ivi, t. 18, f. 53 (p. 712); p. 445 (p. 599).

11 Ivi, p. 433 (p. 587).

12 Ivi, t. 18, f. 54 (p. 712) e t. 19 (p. 713).

13 Ivi, t. 54 (p. 748) e t. 55 (p. 749).

14 Ivi, p. 429 (p. 583).

108

15 Ivi, pp. 439 (p. 593); 458 (p. 612); tt. 15 (p. 709); 16 (p. 710) e 24-26 (pp. 718-720).

16 Ivi, pp. 441 (p. 595); 458 (p. 612); tt. 11-12 (pp. 705-706).

17 Ivi, pp. 448-449 (pp. 602-603).

18 In proposito cfr. in questo stesso volume il saggio di Fabio Bianconi e Marco Filippucci, pp. 91-96.

19 Compendio, p. 422 (p. 576).

20 In proposito cfr. in questo stesso volume il saggio di Fabio Bianconi e Marco Filippucci, pp. 91-96.

21 Ciò appare d’interesse anche nell’ottica della valutazione di sostenibilità economica dei progetti di recupero dell’edificato rurale.

22 Compendio, p. 520 (p. 674).

109

Le case coloniche italiane per la piccola coltura.Fattorie rustiche per una grande coltivazione

Paolo Anderlini

Il territorio della penisola non è tra i più adatti a un’agricoltura redditi-zia, dal momento che la superficie complessiva coltivabile di pianura, a quote inferiori ai 200 metri di altitudine, rappresenta appena il 22% del totale, a fronte del 43% di collina (tra i 200 e gli 800 metri) e del 35% di montagna.Il perché di questa notazione emerge con chiarezza dall’analisi degli ul-timi capitoli del Compendio di Guglielmo Calderini. Infatti, egli affronta con maggiore evidenza il tema della tipizzazione elementare dell’abita-zione rurale nelle regioni a lui più note, la Toscana, l’Emilia, l’Umbria e le Marche: ambiti in cui vi era all’epoca un gran numero di piccoli appoderamenti, coltivati da uno o due nuclei familiari. Sino alla prima metà del secolo scorso, nell’Italia centrale l’impresa agricola prevalente è quella di tipo associativo a colonìa o a mezzadria1. In tali imprese, il ruo-lo dell’imprenditore viene condiviso tra il proprietario del terreno e un colono, o mezzadro. Gli appezzamenti di terreno sono, di solito, molto piccoli, tanto che la maggior parte delle aziende agricole hanno un’esten-sione al di sotto dei cinque ettari: tale forma economico-imprenditoriale si è perpetuata sino alla seconda metà del secolo scorso2.L’opera di Calderini s’inserisce nel contesto culturale toscano, dove nei decenni precedenti sono state redatte diverse opere sulle abitazioni ru-rali quali, ad esempio, quelle di Ferdinando Morozzi e Luigi Ridolfi3. In tal senso, il percorso di ricerca e divulgazione tracciato dalla metà del Settecento dall’Accademia dei Georgofili di Firenze ha dato vita a una tradizione consolidata nell’ambito della formazione sui metodi di costruzione degli edifici rurali.In particolare, Calderini riesce nel tentativo di fornire una sintesi effica-ce tra un trattato di architettura e uno di agronomia: egli avverte come

110

l’architettura rurale, sviluppatasi per rispondere a bisogni contingenti, abbia ancora necessità di un corpus di principi ordinatori. In un paese appena unificato, in cui la maggior parte della produzione e della forza lavoro sono dedicate all’agricoltura e in cui si parlano molteplici dialetti accompagnati da differenti usi e costumi diversificati sia per il clima che per il contesto naturale, nasce l’amara considerazione del professore umbro: “L’architetto non interviene quasi mai nelle costruzioni rurali, o se v’interviene qualche rara volta, l’opera sua non è confortata dalle qualità necessarie allo scopo”4.Egli, ancora una volta in anticipo sui tempi, sgombra con brillante in-tuizione il campo dall’ambiguità che la questione dell’edilizia rurale sia un patrimonio di sapere in capo ai committenti o ai “muratori di campagna”, e riporta in primo piano con notevole spirito critico il ruolo determinante della fase progettuale insieme a quella realizzativa, attra-verso un’attenta osservazione critica del (mal)costruito: in modo tale da attribuire all’architetto (o all’ingegnere) il ruolo di protagonista, con il fattivo ausilio dell’agronomo o, in generale, di colui che conosce gli aspetti di cui tener conto per una corretta ideazione e realizzazione. Proprio la mancanza di questa invocata multidisciplinarietà, oggi in-vero più diffusa, è stata nel nostro paese (e non solo) un freno allo sviluppo, arrecando danno sia al patrimonio edilizio sia, in senso lato, al paesaggio5.Inoltre Calderini non tratta di interventi di restauro, ma si rivolge esclusivamente alle future generazioni di professionisti che sarebbero stati impegnati nella realizzazione di nuove costruzioni rurali. In tal senso si avverte nei suoi consigli agli studenti un certo paternalismo, ma sempre al fine di trasmettere al futuro professionista le principali nozio-ni per una corretta progettazione, tanto che egli conclude il Compendio chiosando: “l’agiatezza nelle abitazioni è cosa interessantissima. […] Il buon secco e comodo alloggio, influisce a migliorare l’offerta dell’annua corrisposta d’affitto che deve fare l’affittaiolo; è la salute e proprietà dei lavoratori, e quindi di conseguenza è l’interesse dei proprietari e dell’af-fittaioli”6. Ma il suo paternalismo non è sfoggio di superiorità intellet-tuale o indifferenza alle condizioni di vita in ambito rurale. Egli pro-cede con metodo nella enunciazione di ciò che serve per realizzare una casa rurale, dal momento che “in molte provincie della nostra Italia,

111

vigono dei patti colonici, tali da esigere che la casa, oltre all’abitazione dell’uomo e famiglia abbia ancora riunite quelle del bestiame, ed altre per magazzini dei prodotti agricoli necessari alla vita rustica, in modo da comprendere in un solo fabbricato con piccole adiacenze tutto il ne-cessario per il coltivatore di un podere. Il sistema tanto generalizzato della mezzadria esige una disposizione di questo genere pel fabbricato colonico, e siccome nelle varie parti d’Italia variate pur sono le disposi-zioni suddette, così è necessario prendere in rassegna alcuni dei tipi più usati ed apprezzati nelle principali provincie agricole”7.Più avanti, sempre con stile secco e asciutto, dopo alcuni cenni sulle dimensioni medie del nucleo familiare in ambito rurale (che “consiste di molte persone e si calcola che da circa 15 a 25 ettari di terreno oc-corrano 15 o 20 persone di ogni età e dei due sessi, nella quale vi sono da 4 ad 8 uomini da lavoro”) e sulla quantità di manodopera impiega-ta (che “corrisponde ad una persona per ettaro”8), Calderini passa alla puntuale descrizione della distribuzione di un insediamento colonico autosufficiente.Infine, al pari della planimetria del “Resedio Pisano”9, rivestono parti-colare importanza le piante delle case coloniche rappresentate nelle fi-gure successive10. Esse riflettono precise scelte dell’autore, che predilige soluzioni simmetriche e rigorosamente disciplinate nel costante control-lo del progetto. Soluzioni peraltro applicabili, in generale, a costruzioni di pianura, ma da adottare con diverso approccio concettuale e realiz-zativo nel caso di acclività collinari o pedemontane, senza dubbio più diffuse nel nostro territorio.Del resto, tutta l’architettura costruita (e non) di Calderini rispetta in generale detti criteri, dall’edificio dei bagni pubblici a Perugia, oggi re-sidenza privata, alla ristrutturazione della chiesa di San Costanzo sem-pre a Perugia, fino a giungere al palazzo di Giustizia di Roma11.In conclusione, ciò che appare più significativo nel Compendio del do-cente e progettista umbro è il ruolo determinante attribuito alla respon-sabilità, anche sociale, del progettista, che deve affrontare ogni incarico tenendo ben presenti i principi fondamentali che qualificano la propria attività professionale: in particolare, è quanto mai attuale l’esortazione al lavoro d’équipe dei diversi soggetti coinvolti nel processo edilizio. Quest’ultimo auspicio rappresenta una preziosa eredità, da tenere nella

112

dovuta considerazione anche alla luce dell’orientamento ormai conso-lidato verso l’approfondimento continuo (tecnico e culturale) in chiave innovativa, proprio della contemporaneità.

Note

1 “Tipo di contratto agrario in base al quale si attuava l’esercizio dell’agricoltura su un podere: con la pattuizione mezzadrile, un soggetto (concedente), titolare del diritto di godere di un fondo rustico, si associava con un altro soggetto (mezzadro), in proprio e quale capo di una famiglia colonica, per la coltivazione del fondo e l’esercizio delle attività connesse, al fine di dividerne a metà i prodotti e gli utili. In particolare, il concedente conferiva il godimento del podere, mentre il mezzadro prestava il lavoro proprio e della famiglia colonica, con l’obbligo di risiedere stabilmente nel podere. Il contratto durava generalmente un anno ed era rinnovabile. Rispetto alla colonìa, da cui discende, la m. classica, cioè non corretta da distorcenti patti particolari e oneri aggiuntivi, ha costituito la forma più perfezionata di impegno globale della famiglia contadina, con ruoli definiti per i singoli componenti, dai bambini agli anziani.In un’economia agricola caratterizzata in Italia dalla cascina dell’irriguo al Nord e dal feudo-lati-fondo al Sud, la m. è accertata fin dal Basso Medioevo nella zona tosco-umbro-marchigiano-ro-magnola, pur non mancando attestazioni toscane della sua presenza nei sec. 8°-10°. Podere, famiglia colonica, casa rurale e proprietà costituivano un tutto inscindibile, con obblighi, diritti e doveri per le parti contraenti secondo il principio della metà, via via squilibratosi a vantaggio del concedente fino a dare luogo, nelle aree sovraffollate e a bassa produttività, a forme appena mascherate di lavoro subordinato; al contrario, nelle terre migliori la m. costituiva anche per i mezzadri una buona siste-mazione di vita e di reddito. Quanto agli esiti sociali della m., dove è stata più intensamente prati-cata, ha consentito il corretto uso del territorio coperto da poderi, la stabilità demografica, un buon rapporto città-campagna e l’assenza di conflittualità allarmante, almeno fino al 19° sec., quando la popolazione si è trovata in eccedenza rispetto alla superficie agraria utilizzabile” (Mezzadria 2012).

2 Guida 1966.

3 Morozzi 1770 e Ridolfi 1854.

4 Compendio, p. 398 (p. 552). In proposito cfr. anche in questo stesso volume il saggio di Fabio Bianconi e Marco Filippucci, pp. 91-96.

5 In proposito cfr. ibidem.

6 Compendio, p. 534 (p. 688). Il testo di Calderini richiama alcune parti del Corso di agricoltura di Marco Lastri: “Le case de’ contadini, sono generalmente parlando mal sane, perché nella maggior parte sono in cattiva situazione, poco elevate, con poche e piccole finestre rozze nelle pareti ec. In molti luoghi le stanze terrene, che vengon abitate il più, in tutte le stagioni dell’anno, sono ancora le meo sane, perché pochissimo ariose, mancanti di ventilazione, ed eccessivamente umide. […] Le stanze per esser sane debbono godere dell’aria libera, e della tanto necessaria ventilazione; di più debbono essere impianellate di terra cotta, o mattoni, e non a smalto, né a lastrico. è similmente necessario per la conservazione della salute, che tutta la fabbrica sia ben pulita, imbiancata, e muni-ta di buone imposte per le finestre, e di stabili ripari. […] I portici posti davanti alle case, se non son alti e rilevati molto, tolgono la luce e la ventilazione alle stanze, e però son sempre dannosi. Meglio è la loggia, o terrazzo al piano di sopra alle stanze terrene, il quale abbia inferiormente bastante spazio da riporvi la messe provvisionalmente in tempo di pioggia. Bisogna procurare che i contadi-ni abbiano acqua da bere limpida, leggera, e scevra di particelle terrestri ec. Quindi è che bisogna vuotare i pozzi annualmente, e ripulirli nel loro fondo, tenendovi una quantità d’agliaiotti di fiume, o altra qualità di pietra. I pozzi che sono nelle pianure e luoghi più bassi e paludosi, sono la maggior

113

parte poco profondi, e rozzamente murati, due grandi difetti per aver acqua buona” (lastri 1801, pp. 121-124). Il carattere essenziale di questa enunciazione di regole elementari, peraltro comune a tutti i trattati coevi, fa comprendere l’avanzato stato di degrado delle abitazioni rurali dell’epoca e quanto il tema trattato da Calderini possa risultare significativo per l’attività professionale dei futuri progettisti. In tal senso basta pensare anche alle ingenti opere di bonifica e di sistemazione agraria che vengono intraprese per facilitare il miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti delle aree interessate. Ad esempio, proprio con questo spirito viene promulgata la legge 269 del 1882, “Norme per la bonificazione delle paludi e dei terreni paludosi” (la cosiddetta legge Baccarini, dall’ingegnere e deputato Alfredo Baccarini che ne è il promotore).

7 Compendio, p. 526 (p. 680).

8 Ivi, p. 527 (p. 681).

9 Ivi, t. 51, f. 150 (p. 745).

10 Ivi, tt. 52-54 (pp. 746-748).

11 In proposito cfr. in questo stesso volume il saggio di Paolo Belardi e Valeria Menchetelli, pp. 39-53.

III

Appendice al Compendio

117

La raccolte di lezioni: storia di un libro particolare

Maria Alessandra Panzanelli Fratoni

PremessaPur avendo le sembianze di un manoscritto, il Compendio delle lezio-ni date nella R. Università di Pisa dal Prof. Guglielmo Calderini presto svela la sua natura di testo scritto sì a mano, in origine, ma riprodotto con l’ausilio di un mezzo meccanico. Abituati ad associare il libro a stampa con pagine riempite di lettere regolari, tutte identiche fra loro, e soprattutto distinte l’una dall’altra, la prima impressione che si ha nell’esaminare un volume come questo è che ci si trovi di fronte alla riproduzione fototipica, effettuata tempo dopo, di un originale mano-scritto, un facsimile.La produzione di un facsimile viene però normalmente dedicata a testi di grande pregio e rarità, di cui si intende riprodurre appunto ogni det-taglio, in modo da renderlo utile a uno studio anche condotto a distan-za. Nella riproduzione facsimilare l’unico elemento che ci si concede di perdere è il supporto, la materialità dell’oggetto; per il resto il testo, o il disegno, o l’opera d’arte, sono resi in tutto identici all’originale. Una rac-colta di lezioni universitarie non rientra in questa casistica; può rientrar-vi oggi, a oltre un secolo dalla loro produzione, quando sì è diventata un oggetto unico e attraente. Ma all’epoca in cui furono prodotte, le lezioni di Calderini, come quelle di ogni altro docente universitario, erano an-cora soltanto il testo di riferimento per la preparazione dell’esame, tanto poco definitivo da non meritare l’impegno di una stampa vera e propria. La vera urgenza stava nel renderne facilmente accessibile agli studenti una versione scritta, corretta e fedele a quella orale. Dispense univer-sitarie, questo il termine con cui tutti noi siamo abituati a intendere la trascrizione delle lezioni, non una vera pubblicazione, ma un testo creato per essere diffuso nel gruppo, più o meno allargato, degli allievi.

118

All’epoca in cui Calderini scriveva, e già da qualche decennio, era stata messa a punto una tecnica che aveva profondamente innovato la produ-zione del libro, non solo rendendo la stampa più economica e veloce, ma anche permettendo di riprodurre facilmente ciò che non avesse l’aspetto del carattere tipografico, come il disegno, tecnico o artistico, ma anche partiture musicali, nonché ogni testo scritto a mano, in grafie proprie del manoscritto, come il corsivo (l’italica) con cui sono vergate le di-spense di Calderini. Questa tecnica è la litografia.

La tecnica di stampaFrutto dell’inventiva e delle capacità imprenditoriali di Aloys Senefel-der (Praga, 1771 - Monaco di Baviera, 1834), la litografia appare come la prima grande rivoluzione nella storia della stampa, dopo l’invenzione di Johann Gutenberg. Messa a punto sul finire del XVIII secolo (la data di nascita di questa tecnica oscilla tra il 1796 e il 1799, quando fu rilasciato il primo brevetto) la novità maggiore apportata dalla litogra-fia consiste nel fatto che essa sfrutta le proprietà chimiche dei materiali utilizzati, in luogo della meccanica propria di ogni altra tecnica in uso fino ad allora1.Fino a quel momento, infatti, la stampa implicava l’uso di un mezzo a rilievo, o incassato, sul quale, o nel quale, l’inchiostro trovava il suo alloggio e di lì veniva trasferito alla carta. Nella litografia, invece, al di là della matrice utilizzata e che dà il nome alla tecnica (scrittura per mezzo di una pietra, dal greco lithòs, pietra e graphè, scrittura), la novità consiste nel fatto che l’inchiostro vi si distribuisce nei punti desiderati per assimilazione con una sostanza similmente grassa, con la quale il segno è tracciato direttamente sulla superficie2. Ciò consente di saltare una serie di passaggi, velocizzando ed economizzando la ripro-duzione degli originali, caratteristiche che risultano particolarmente apprezzabili per testi non facilmente riproducibili con i caratteri tradi-zionali; vantaggio ne trasse la stampa delle partiture musicali mentre la facilità di riprodurre disegni incentivò grandemente l’illustrazione libraria. La litografia così trovò presto applicazione in due direzioni diverse, quasi opposte: la produzione artistica da una parte e, dall’altra, quella di testi che necessitavano di essere distribuiti in più copie ma per i quali lo sforzo della stampa sembrava eccessivo. Come sottolineava il

119

suo inventore, uno dei successi della nuova tecnica era legato alla pos-sibilità di riprodurre facilmente, grazie anche all’introduzione di una carta speciale (transfer paper, una sorta di carta carbone) dalla quale il segno passava poi sulla matrice. La pratica, così detta del trasporto, fu utilizzata per produrre in serie originali creati con altre tecniche: incisioni, testi a stampa, ma anche, appunto, testi manoscritti come lettere, dispacci, documenti3. A questo particolare uso della litografia fu dato il nome di autografia, termine che, con questa nuova accezione, comparve prima in francese (e in inglese si mantiene, inalterato, auto-graphie), una pratica che in qualche modo si standardizzò, implicando l’uso di una scrittura corsiva4, come quella che vediamo nelle dispense di Calderini.La produzione di testi di studio mediante autografia, con l’impianto di laboratori interni alle scuole (legata altresì a esigenze di riservatezza) è attestata già negli anni venti dell’Ottocento. Di grande rilievo la stampa di manuali realizzata presso la scuola militare di Metz, dove più di cin-quanta testi vennero stampati tra 1834 e 1841, sfruttando la possibilità di riprodurre, insieme con lo scritto, anche formule, disegni, tavole, tutto prodotto “in casa” nei due formati standard in-folio e in-quarto5.

La raccolta delle lezioni di CalderiniIl volume che raccoglie le lezioni date a Pisa da Guglielmo Calderini è un testo di studio simile a quelli di cui s’è letto finora, ma prodotto con minore ufficialità, come emerge dall’analisi del manufatto e da un con-fronto con altri simili. Partendo dall’analisi della scrittura: il testo è re-datto da una mano attenta, che usa una corsiva calligrafica, tipica, come abbiamo detto, di questa produzione libraria. A essa lo scrivente alterna una grafia leggermente diversa, meno inclinata, e con lettere che tendono a distinguersi, per segnalare le partizioni del testo, incipit di capitoli e paragrafi, mentre il titolo del primo frontespizio e i passaggi dalla prima alla seconda parte sono indicati dall’uso di lettere capitali. Si apprezza così l’intento di allestire una pagina ordinata, ma essa è costruita senza rigore eccessivo, con variazioni nel modulo della scrittura, righe che si fanno più fitte, o viceversa si espandono, nell’approssimarsi della nuova pagina, come se il calcolo degli spazi non fosse stato perfettamente pre-ordinato; insomma una precisione relativa.

120

Il volume si presenta organizzato (e fu probabilmente anche distribu-ito) nelle unità tipiche del testo universitario, le dispense. Dispensa è chiamato qui esplicitamente ciascuno dei quaterni di cui è costituito il libro, nella segnatura dei fascicoli per il resto composta da un titolo breve dell’opera. è questa segnatura che consente di stabilire il formato del volume, in-quarto, non sempre facile se il libro è prodotto con carta industriale, priva quindi di quegli elementi (filigrana e filoni) che aiu-tano a capire quante volte il foglio è stato piegato6. L’indicazione della dispensa, comparsa la prima volta sulla terza carta (“Disp.a 1a”), riappa-re a pagina 9 (“Arch. Rurale Dis. 2a”), poi a pagina 17 (“Arch. Rurale Disp. 3a”) e così via, ogni otto pagine, ovvero ogni quattro carte. Un sistema semplice e regolare che coincide perfettamente con l’esigen-za di fornire agli studenti il testo di riferimento via via che le lezio-ni venivano svolte: ogni dispensa consisteva infatti in un unico foglio di stampa che, una volta piegato, recava sulla prima carta, in basso, l’indicazione del titolo del corso e la numerazione della dispensa, così da agevolarne la raccolta, senza confondere questo testo con quello di altri corsi. Anche le tavole sono suddivise in fascicoli di quattro carte, che però non recano segnatura né riferimenti alle dispense; forse erano fornite tutte insieme, già cucite, ma a parte, come nel caso in esame (a oggi l’unico noto), per consentire una lettura comparata di testo e immagini. La facilità di consultazione del volume è garantita altresì dalle dimensioni: un in-quarto di 210x150 millimetri, che ben concilia leggibilità e maneggevolezza.Notiamo ora alcuni particolari. Stabilito il formato, fissato quindi il nu-mero delle carte di ogni dispensa, quattro, la numerazione delle pagine sarebbe venuta di conseguenza, otto per ogni dispensa, e la seconda cor-rettamente inizia con pagina 9. La prima però termina a pagina 6, dando l’impressione che l’ultima carta, con le pagine 7-8, sia andata perduta. In realtà il fascicolo è integro, ma chi ne ha curato la paginazione, evitando di segnare la prima carta (e ciò giustamente, ché si tratta della carta del frontespizio) ha commesso l’errore di escluderla dal computo.Sembra in sostanza che chi ha approntato queste dispense l’abbia fatto imitando il lavoro di un professionista, senza tuttavia possederne tutte le competenze; un ultimo elemento si aggiunge a conferma dell’ipotesi che questa sia l’opera di qualcuno che non ha per mestiere di costruire

121

libri, ma che si trova a farlo, e cerca perciò di attenersi il più possibile a un modello di riferimento. Accade qui, così come in molti volumi, che, chiuso il corpo del libro, alcune carte vengano aggiunte in principio per un paratesto iniziale: una prefazione, una dedica, o anche semplicemente il frontespizio vero e pro-prio che integri ad esempio le poche informazioni dell’occhietto. Qui le carte inserite sono due e servono ad aggiungere un primo frontespizio, il quale, però, non si differenzia dal secondo che per la forma diversa delle lettere, per il resto ripetendo quanto scritto due carte più avanti: titolo dell’opera, autore e anno. Si badi, anno di creazione dell’opera (“lezioni date nell’anno accademico 1885-86”) non di una loro eventuale pubbli-cazione. Da nessuna parte, infatti, questa notizia compare, né quella relativa alla sua produzione materiale: in nessuno dei due frontespizi, né in altre parti del volume (non in calce a esso né sul verso del frontespizio né sulla carta che segue il primo, pure lasciata in bianco) si dice chi ha materialmente realizzato il volume, chi lo ha stampato, dove e quando. In due parole, mancano del tutto le note tipografiche, confermando così l’impressione che ci si trovi di fronte a un prodotto a diffusione interna, non necessitante delle formalità tipiche della pubblicazione.Una produzione informale, dove né la redazione del testo, né la succes-siva riproduzione mediante litografia, dovevano essere enunciati: im-portante era solo dire con chiarezza che testo fosse quello, le lezioni di quale docente, date in quale anno.

Le dispense romaneInteressante si fa allora il confronto con un’altra raccolta di lezioni del-lo stesso Calderini, date a Roma, qualche anno dopo (1891-1892), alla Scuola di Applicazione per gli Ingegneri dell’Università della Sapienza.

Colophon che chiude la terza ed ultima parte del corso di Architettura Tecnica tenuto a Roma da Calderini nell’anno accademico 1891-1892 (Biblioteca Centrale della Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Fondo Piacentini, D 309)

122

Raccolte anche queste in dispense, vi si trova conferma della tecnica di stampa, qui esplicitamente dichiarata in calce alle tre parti di cui si compone la raccolta. Tre volte, in questo volume, si dice chi è stato a produrlo: “L. Laudi”, litografo, che aveva il laboratorio al numero civico 98 di via in Arcione e che operava per l’Università.Chiaramente questa nota da sola non dice nulla circa la tecnica con cui furono prodotte le dispense pisane, sulla quale tuttavia pochi dubbi sussistono, dopo aver messo a confronto i due testi, e avendo il supporto della letteratura, di cui s’è già ampiamente trattato. In verità l’esame delle lezioni romane di Calderini offre una serie ulteriore di spunti che attengono tanto la produzione di questi testi quanto, nel caso in specie, i contenuti di essi. Vi troviamo attestata indirettamente una produzione universitaria organizzata e seriale, sulla quale non sembra vi sia molta letteratura, e che emerge così, effetto secondario di una ricerca biblio-grafica. Vi troviamo poi anche riferimenti puntuali di contenuto tra un testo e l’altro, che sono più strettamente connessi con l’opera di Calde-rini, e che si forniranno qui, nel modo più chiaro possibile, in modo che siano informazioni utili a chi sa collocarle nel loro giusto contesto7.Al momento in cui è stata effettuata la ricerca e ora che ne scrivo (agosto 2013) nell’opac SBN8 questa raccolta di lezioni compare descritta da due schede9, una delle quali chiaramente basata su un volume privo di molte notizie; in essa infatti si legge un titolo breve, il nome dell’autore è integrato e l’anno di pubblicazione è ipotetico10. L’altra rinvia invece a un libro più ricco di informazioni, e colpisce già per il titolo, poiché è formulato in modo del tutto identico alla raccolta delle dispense pisane: Primo corso di architettura tecnica. Compendio delle lezioni date nella Regia scuola di applicazione per gli ingegneri di Roma dal prof. Guglielmo Calde-rini. Anno accademico 1891-92.In questo volume però si trovano anche notizie circa la sua pubblica-zione (Roma 1892) che si aggiungono ai dati relativi alla stampa, iden-tici per i due libri, e infatti presenti in entrambe le schede. Leggendo le quali questo è tutto quanto si riesce a capire; impossibile stabilire il rapporto tra i due testi e ciò soprattutto a causa di una descrizione fisica che è fornita in dettaglio solo per il volume privo di frontespizio. Non solo per questo, comunque, prendere visione di questa seconda raccolta di lezioni è apparso essenziale ai fini della ricerca. Pochissime copie se

123

Pagina d’incipit del corso di Architettura Tecnica tenuto a Roma da Calderini nell’anno accade-mico 1891-1892 (Biblioteca Centrale della Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Fondo Piacentini, D 309)

124

Frontespizio approntato a stampa per le dispense del medesimo corso (Biblioteca Centrale della Facoltà di Ingegneria “G. Boaga” dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Vet2 C 52)

125

ne conoscono, tre in tutto, di cui unica è quella del libro che si presenta corredato dal maggior numero di notizie. Per fortuna sia questa copia che un’altra sono nella stessa città, a Roma, conservate dalla Sapien-za, l’Università per la quale erano state prodotte, nelle biblioteche delle facoltà di Ingegneria e Architettura. Quasi a rispettare il manuale del libro perfetto, anche il terzo esemplare, che pure ha cambiato città (è a Bologna) si trova nella biblioteca in cui ci aspetteremmo di trovarlo, quella della facoltà di Ingegneria dell’Alma Mater.Ovviamente, dovendo scegliere, si è data la precedenza alle copie “ro-mane”, iniziando con un esemplare dalla provenienza interessante, il “Piac D 309” della biblioteca della facoltà di Architettura, ovvero un pezzo del fondo lasciato dall’architetto Marcello Piacentini11. Suo l’uni-co nome che si legge in apertura del volume, nell’ex-libris stampigliato sul recto del primo foglio di guardia, per il resto non trovandosi qui alcu-na indicazione dell’autore. Privo di frontespizio, il libro si apre diretta-mente sulla prima carta della prima dispensa, che reca solo indicazioni molto generiche relative a quella parte del testo: “Parte preliminare al corso”. Per capire invece di che corso si tratti dobbiamo agire come lo studente dell’epoca o il legatore al quale le dispense fossero state date a rilegare, e cioè guardare alla segnatura del fascicolo, che, in modo del tutto simile alle dispense pisane, è costituita da una parte di titolo che qui recita “Architettura tecnica”, e che si trova poi all’inizio di ogni se-zione successiva12.Le analogie con la raccolta delle lezioni pisane sono numerose, a partire dalla organizzazione del libro in dispense e dall’impressione immediata offerta dalle pagine, anche queste colmate da un’elegante scrittura ripro-dotta; identica anche l’organizzazione delle partizioni del testo: assente ogni indicazione esplicita di capitolo o paragrafo, le parti sono segnalate da un titolo redatto con una grafia diversa, meno corsiva, e spostata al centro della pagina quando deve segnalare le partizioni maggiori. Qui però si vede bene la mano di un professionista: la scrittura e l’imposta-zione della pagina sono più regolari, con interlinea e margini più ampi, la pagina nel complesso più ariosa e leggibile che nelle dispense pisa-ne. Ogni passaggio tra le sezioni è infine enfatizzato dall’introduzione di elementi decorativi, filetti e finalini che imitano quelli tipografici e iniziali ornate a penna, che ricordano quelle filigranate di secoli prima,

126

Due pagine della sezione dedicata alle case rurali, dove compaiono disegni identici a quelli stam-pati nelle dispense pisane (Biblioteca Centrale della Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Fondo Piacentini, D 309, pp. 105 e 116)

127

128

se non fosse per uno stile decorativo che chiaramente denuncia la Belle Époque.L’impressione generale è che si cerchi di realizzare un libro a tutti gli effetti, una pubblicazione, non un’imitazione; e la scelta del formato mi sembra dettata da questa esigenza. Le dimensioni più grandi infatti (si tratta di un in-folio di circa 320x220 millimetri) consentono di distribu-ire meglio il testo, diluito qui in tre parti per complessive 154 dispense e 616 pagine, a fronte delle 67 dispense e 540 pagine delle lezioni date a Pisa. Vi si possono così ricomprendere le figure, che non vengono tenute a parte, neanche quando sono a piena pagina. A proposito delle illustrazioni, senza poterci addentrare qui in una loro descrizione, va però segnalata sia la loro quantità che la varietà e la qualità, esplicantesi tanto nel disegno tecnico quanto in rappresentazioni dal vero, e che è apprezzabile anche da chi non ha particolari competenze.Dalla scelta del formato il libro guadagna insomma in leggibilità ed estetica, non però in maneggevolezza; e questo è un dato interessante. Concentrato in pagine fitte di testo, con le tavole tenute a parte proba-bilmente proprio per poterle consultare meglio, il volume delle lezioni pisane denuncia chiaramente la sua funzione, senza pretesa di presen-tarsi come una pubblicazione. Intende essere utile allo scopo, facile da consultare, e da trasportare; da ultimo, ma decisamente non meno im-portante, realizzato con una carta di buona qualità che oggi si manipola ancora senza bisogno di accortezze eccessive.Le dispense romane non vantano le stesse qualità: più belle, scritte e stampate meglio, sono però senz’altro meno comode da trasportare e da sfogliare (il volume non si tiene agevolmente aperto sul palmo di una mano). Infine esse furono realizzate con una carta decisamente meno resistente, di grammatura inferiore, probabilmente più acida (non so dire se anche sottoposta a trattamenti che ne agevolassero l’impressione in una produzione seriale più spinta), una carta che oggi minaccia di lacerarsi a ogni manipolazione. Evidentemente la durata nel tempo non era tra i fini perseguiti dal suo produttore, il quale a mio avviso mirava soprattutto a creare un prodotto che a tutti gli effetti apparisse un libro, non la mera riproduzione di una raccolta di lezioni manoscritta.Allo stesso scopo, credo, per questo volume fu approntato un frontespi-zio a stampa, realizzato cioè con tipi impressi, anche se non saprei dire

129

con quale tecnica esattamente. Lo si vede oggi nel solo esemplare con-servato alla biblioteca della facoltà di Ingegneria di Roma, ed è difficile dire, a questo stadio della ricerca, se esso costituisse un supplemento alla raccolta di dispense, disponibile solo per chi avesse voluto, o se fu messo a punto per una seconda emissione delle stesse lezioni. Il tema in verità è interessante ma richiede uno studio a parte, che allarghi l’in-dagine, iniziando con un esame ancora più dettagliato di tutti e tre gli esemplari. Si tratta di una ricerca che merita senz’altro ma che è esor-bitante rispetto all’oggetto di questo intervento, preparare il quale, in effetti, ha aperto più di uno spunto per indagini ulteriori; ci torneremo nelle conclusioni. Qui ci premeva fornire un’illustrazione di questa seconda raccolta di di-spense soprattutto per rilevarne le analogie con quelle che sono l’oggetto principe del nostro interesse, ovvero le lezioni sull’Architettura Rurale. Ci siamo concentrati finora sui dati concernenti il libro, anche perché è l’oggetto principale di questo contributo; ma un esame bibliografico analitico si fa proprio allo scopo di scovare elementi relativi alla trasmis-sione di un testo, alla sua evoluzione nel corso di redazioni ed edizioni diverse. Si studia il contenitore per vedere meglio il contenuto. E qui del contenuto non s’è detto ancora granché, ma invece merita. Le lezioni date a Roma erano relative al corso di Architettura Tecnica, il primo corso, dice esplicitamente il frontespizio, tenuto nell’anno accademico 1891-1892, come già si sapeva dalla biografia dell’architetto. Il volume, si diceva, è diviso in tre parti, corrispondenti a tre serie di dispense, che servivano a trattare: “1. La Composizione degli edifizii”, “2. La costru-zione” e “3. La decorazione”, il tutto preceduto da una parte preliminare, dedicata alla illustrazione di alcuni concetti generali.Nel fornire una disamina delle diverse tipologie di edificio Calderini giunge al punto in cui può riprendere il tema che era stato l’oggetto del suo corso a Pisa, le costruzioni rurali, che qui, in queste dispense romane, si ritrova trattato in due capitoli all’interno della prima parte: “Le case rustiche” e “Le stalle” (pagine 102-124). Probabilmente altro-ve, nel testo, si possono trovare ulteriori corrispondenze tra le questioni presentate a Pisa e le lezioni date a Roma. Qui certamente sono le più evidenti, soprattutto per quanto riguarda le illustrazioni. Lasciando agli esperti, come i curatori di questo volume, il compito di entrare nei

130

contenuti, valutarne l’evoluzione, formulare quindi giudizi di merito, mi limito qui a fornire alcune evidenze, allestendo una tavola di col-lazione che segnala le corrispondenze esistenti tra le illustrazioni che compaiono nelle tavole della prima raccolta e nel testo della seconda. Da rilevare che l’identità dei disegni non significa identità delle matri-ci; in alcuni casi, come nella riproduzione della fattoria, che nelle tavo-le pisane è l’immagine più ricca, le differenze sono più evidenti. Senza spingerci oltre in quest’analisi, rileviamo tuttavia che ciò significa che i disegni vennero ripresi e copiati, non semplicemente riutilizzando

tavola 1, figure 1-4

t. 7, ff. 20-21

t. 8, ff. 22-23

t. 51, f. 170 “Resedio Pisano”

t. 52, ff. 171-172 “La casa colonica Pisana”

t. 53, f. 173 “Le case coloniche Lombarde”

t. 54, f. 174

t. 55, f. 175“Vista generale di una fattoria per una

grande cultura [sic]”

t. 17, f. 50 “Stalli di separazione in ferro”

t. 17, f. 51

assente

assente

assente

Le case rustiche (pp. 102-116)

ff. 61-65 (p. 105)

ff. 66-67 (p. 107)

ff. 68-69 (p. 108)

f. 70 (p. 110) sezione “Resedio Pisano”

ff. 71-72 (p. 111) sezione “Le case coloniche di Pisa”

f. 73 (p. 114) “Le case coloniche Lombarde” nota: l’immagine è speculare

f. 74 (p. 115)

f. 75 (p. 116) “La vista generale della Fattoria” paragrafo: “Fattorie rustiche per una grande coltura”

Le stalle (pp. 116-124)

f. 76 (p. 119) paragrafo: “Separazioni”

f. 77 (p. 122)

f. 78 “prospetto della stalla”

f. 79

f. 80

LA COSTRUZIONE PRATICA E L’ARCHITETTURA RURALE

Tavole

PRIMO CORSO DI ARCHITETTURA TECNICA

La Composizione degli edifizii

131

vecchi materiali. Un dato che può essere letto in vari modi, che qui si dà così, rinviando un giudizio argomentato che può emergere da un’in-dagine sistematica.

ConclusioniQuesto il risultato di una comparazione limitata al riuso delle imma-gini; che stimola però un’analisi comparata e puntuale dei due ma-nuali, dalla quale emergerebbero molte informazioni sul modo con cui Calderini rielaborò il testo delle lezioni per il nuovo corso a Roma. Molto resta da scoprire sulla produzione delle dispense pisane; dalle osservazioni raccolte nel corso di questa ricerca, possiamo formulare solo un’ipotesi molto sfumata: comparate coi volumi che vediamo poi prodotti a Roma, le dispense di Pisa sembrano arrangiate in economia, ricorrendo probabilmente ai mezzi di un laboratorio litografico, ma, come già s’è detto, senza alcuna pretesa di creare una pubblicazione. Ci si chiede allora: chi organizzò la produzione delle dispense? Lo stesso Calderini, gli studenti, l’Università? Tutte domande che aspettano an-cora di ottenere una risposta. Ben più ricche informazioni sono emerse, quasi del tutto casualmente, a proposito della stampa delle dispense presso la Scuola di Applicazio-ne per gli Ingegneri di Roma. S’è scoperta l’esistenza di un litografo che operava ufficialmente per l’Università, s’è scoperto altresì che non sembrano esistere su questa figura o su questo fenomeno studi parti-colari13. Che però non sembra di secondaria importanza. Nel tentati-vo di scoprire qualcosa di più sul litografo e sulla sua attività presso l’Università ho effettuato una ricerca semplice nel catalogo SBN con i termini “Laudi”, in qualità di editore, e “Roma” come luogo di stampa; si recuperano così 68 record bibliografici, relativi a testi stampati tra il 1873 e il 1902, dove Laudi compare quasi sempre come litografo, con una produzione costituita in buona parte da dispense universitarie di ogni disciplina, dalla geometria pratica alla clinica chirurgica alla procedura penale. Un fenomeno di stampa litografica in serie, in cui si inserì anche il Guglielmo Calderini professore di Architettura Tecnica presso la Scuola di Applicazione per gli Ingegneri.Concludo così, osservando come questa breve ricerca, aperta per forni-re una descrizione e ricostruire il contesto di produzione di una raccolta

132

di dispense, ha qui solo la parvenza di una chiusura. Essa in realtà si apre verso almeno altre due piste di ricerca, la storia del libro per un verso e la storia dell’università per l’altro, nell’età che fu quella dell’Ita-lia liberale e della costruzione dello stato unitario14; temi dunque non di secondario interesse che si spera saranno presto oggetto di studi più approfonditi.

Sentiti ringraziamenti ad Attilio Bartoli Langeli, nel caso specifico per l’analisi della scrittura, l’ascolto paziente delle ipotesi formulate sulla costruzione di questo libro, la guida nel riformularne i risultati e nel reperire conferme. Più in generale a lui va la mia gratitudine per gli insegnamenti generosamente impartiti da sempre e un entusiasmo contagioso per la ricerca, al quale attingo spesso, non da sola. Quanto al trovare conferme circa la produzione di questo genere di libro, esse sono giunte dalla viva voce di Donato Gallo, che ha generosamente fornito una quantità di notizie e argomentazioni che confortano le ipotesi qui formulate. Colgo poi qui l’occasione per ringraziare, per la prima volta pubblicamente, Francesco Dell’Orso, cui devo tanta parte della mia crescita pro-fessionale: il suo ascolto, le sue sagaci osservazioni su quanto mi capita di scrivere mi sono sempre di conforto e di aiuto, in un modo che è davvero difficile ripagare.Un grazie inoltre a: Mattia Vallania, Manuela Corbosiero e Franco Petullà, funzionari delle bi-blioteche della facoltà di Architettura e di Ingegneria de “La Sapienza” di Roma, che con grande professionalità e cordialità mi hanno agevolato nella consultazione dei volumi, e ne hanno fornito alcune riproduzioni; alle direttrici dei due istituti, Laura Armiero e Laura Barattucci, per aver con-cesso l’autorizzazione a pubblicarle. Un ringraziamento infine a Manuel Vaquero Piñeiro, per aver consentito la lettura in anteprima di un saggio che tratta anche di una officina litografica (Giommi, Vaquero, in corso di stampa) e a Sonia Merli, cui devo l’opportunità di contribuire a questo volu-me e una incoraggiante rilettura del mio testo.

Note

1 “[...] lithography was the first essentially new method of printing to have been developed since the fifteenth century ± the first alternative, that is, to the well tried methods of printing from type and wood blocks on the one hand and copper plates on the other”, così a p. 3, Twyman 2000, tra i testi che ho reperito sulla produzione litografica il più esaustivo e soddisfacente, che ben chiarisce gli sviluppi della tecnica in relazione a quelli sociali, economici e culturali (fonte unica citata in Andrews 2010). Ha l’unico difetto di considerare poco la produzione italiana, concentrandosi maggiormente su quella inglese, francese e tedesca, ma questo sembra anche il riflesso di una sostanziale carenza di studi che, per l’area italiana, sembrano concentrati su un solo aspetto della produzione litografica, quello della stampa d’arte (Ozzola 1923, ma anche i saggi raccolti in Por-zio 1982) oppure sui primi decenni nei quali la tecnica si diffuse (Calabi 1958). Lo stesso Michael Twyman significativamente rileva: “Until the last few decades, almost all published work on the history of lithography (apart from primary publications) has been concerned with artist’s prints and a few other kinds of pictorial work, such as posters” (Twyman 2000, p. 4).

133

2 “Arte, industria, metodo di stampa che dir si voglia, litografia chiamasi quel tracciato fatto per mezzo di sostanza grassa sulla superficie d’una pietra calcare. Questo tracciato vi s’interna in ragio-ne dell’affinità ch’essa possiede coll’inchiostro grasso; mantenendovisi col procedere della tiratura a seconda della qualità della pietra stessa, del metodo con cui venne eseguito, e delle proprietà inerenti all’acidulazione del lavoro”, così Camillo Doyen (già autore del più importante trattato in italiano sulla litografia, Trattato di litografia: storico, teorico pratico ed economico, Torino, Casanova, 1877) alla voce Litografia in Enciclopedia delle arti e industrie 1885.

3 “Initially lithography was used mainly by artists because the freedom of drawing directly on the stone allowed them scope for expression. Lithography also proved very versatile and a medium that could easily imitate other processes, such as wood engraving and copper engraving. The development of a special transfer paper allowed images and text, or images printed by letterpress or copper engraving, to be transferred to the surface of the stone for printing lithographically” Andrews 2010, p. 889.

4 “The other area of text production in which lithography gained a strong foothold involved the use of transfer paper and came to be known in France as autographie, that is, writing on transfer paper, usually in a cursive hand” (Twyman 2000, p. 160). Spiega Doyen che ± ricordiamo ± scrive proprio negli anni in cui Calderini espone le sue lezioni: “L’Autografia è il metodo più semplice, più facile e più economico di riproduzione che si conosca in litografia. Nei casi di massima urgenza, ogni qualvolta lo scarso numero della tiratura non franca la spesa di ricorrere al tipografo, e sempre in generale quando si tiene a conservare il carattere iniziale d’una scrittura, l’applicazione dell’auto-grafia diventa indispensabile. è con l’autografia che per lo più s’ottengono i fac simile. L’autografia può definirsi la moltiplicazione per mezzo della stampa su pietra d’un lavoro eseguito sulla carta. Naturalmente questa carta dev’essere preparata, come apposito dev’essere l’inchiostro. [...] è noto che le traccie [sic] di grasso deposte sulla pietra sono quelle che attirano a tempo debito l’inchiostro di stampa. Perché la saponificazione calcarea si produca, non è mestieri che il disegno o la scrittura siano fatti direttamente sulla pietra stessa. I medesimi segni fatti sulla carta, e applicati mediante un’adeguata pressione esercitata sul foglio aderente alla pietra, possono produrre i medesimi effetti che se vi fossero stati tracciati direttamente. Su questo fatto è basata l’autografia. L’abilità personale del praticante, sia disegnatore che stampatore; la lunga pratica; la bontà delle materie prime: ecco i requisiti voluti per ottenere le buone autografie. Chi possiede una bella calligrafia, chi disegna con garbo e disinvoltura, non avranno difficoltà di riescire in questa specialità, che Senefelder ac-carezzava come la parte più pratica della sua vastissima scoperta. Le note Mittheilungen del defunto Partemann, la massima parte dei facsimile, degli schizzi originali per pubblicazioni illustrate; no-tevol parte dei lavori, commerciali, intere partiture di musica, devono all’autografia il segreto della loro esistenza, e spiegano la rapidità fenomenale con cui seguono di pari passo gli avvenimenti dell’epoca che devono illustrare.” Doyen 1885, p. 30.

5 “Most of the lithographed items that have survived from the military presses at Chatham, Metz and West Point are instructional manuals, the most impressive of which were those produced by the École d’Application de l’Artillerie et du Génie at Metz in the 1830s and 1840s. […] About fifty such units have been traced […] Many of these units took advantage of the graphic flexibility of the process and included tables, equations, and illustrative material, all of which would have been produced by staff in-house. They were issued in standard formats, folio and quarto” (Twyman 2000, p. 169-170).

6 “In early books printed on a small press, the evidence of chainlines and watermarks in hand-ma-de paper always reveals the precise format as applied to the number of leaves printed from a full sheet of paper. This evidence is usually unobtainable in modern books” (Bowers 1994, p. 429; approfondimenti sul libro prodotto nell’età della industrializzazione si sono cercati e trovati in Gaskell 1972).

7 Mi riferisco in particolare a una descrizione analitica delle due raccolte che agevoli uno stu-dio comparato dei contenuti dei due corsi, le lezioni date a Roma essendo già note agli studiosi. Una loro lettura commentata costituisce buona parte del contributo su Calderini docente esposto al convegno del 1995 da Giuseppe Miano, secondo cui “Per comprendere caratteri e contenuti

134

dell’insegnamento di Calderini dal 1891/92 al suo collocamento in pensione nel 1912, appaiono particolarmente illuminanti i cicli di dispense a uso degli allievi che frequentarono i suoi corsi alla scuola per gli ingegneri di Roma” (Miano 1996, p. 55). Parimenti Maria Beatrice Bettazzi offre un’analisi di alcune affermazioni lasciate da Calderini in quelle lezioni nelle quali l’autrice trova elementi utili a valutare l’influenza esercitata dall’architetto perugino negli anni della docenza esercitata alla Scuola per Ingegneri (Bettazzi 2010).

8 Ovvero il catalogo ad accesso libero (OPAC, On-line Public Access Catalogue) del Servizio bibliotecario nazionale, che rappresenta il catalogo italiano più ricco, essendo quello cui partecipa la gran parte delle biblioteche pubbliche esistenti sul territorio nazionale (opac.sbn.it).

9 Sono rispettivamente le schede IT\ICCU\UBO\3792849 e IT\ICCU\RMS\0132161, i codici identificativi che si possono utilizzare per recuperare le relative descrizioni nel catalogo (selezio-nando dal menu dei filtri di ricerca l’identificativo appunto). Naturalmente queste sono le descri-zioni presenti oggi, agosto 2013: essendo il catalogo elettronico un’opera in mutazione costante, e avendo io condiviso le informazioni reperite nel corso di questa ricerca con i bibliotecari che hanno in custodia alcuni degli esemplari descritti, è possibile che le suddette schede vengano modificate nel tempo in cui questo scritto sarà pubblicato. Da segnalare invece una discrepanza con quanto riferito da Miano (Miano 1996), che data con certezza un secondo ciclo di dispense come dato nell’anno accademico 1898-1899 e pubblicato nel 1898, senza però specificare la sua fonte, né fornire elementi identificativi degli esemplari presi in visione. Sono invece più circospette e prudenti le notizie fornite da Maria Beatrice Bettazzi che propone di identificare la copia del compendio delle lezioni conservata alla biblioteca di Ingegneria di Bologna (non datate e anonime) con quelle roma-ne (cfr. Bettazzi 2010, p. 170, n. 41) in linea con quanto risulta oggi dai cataloghi.

10 Architettura tecnica / [lezioni del prof. Guglielmo Calderini]. ± Roma : L. Laudi litografo [dopo il 1880].

11 Una descrizione del fondo è disponibile nel sito della biblioteca (w3.uniroma1.it/bibarc/fondi/files/piacentini.html).

12 Meno evidente l’incipit della prima sezione che, preceduta da una parte introduttiva, comincia senza enfasi a pagina 33, mentre la seconda e la terza sono presentate quasi come volumi a sé stanti.

13 Nessun “L. Laudi” compare in un recente repertorio degli editori italiani dell’Ottocento che però non può essere per questo tacciato di lacune giacché questo “repertorio rivolge l’attenzione esclusivamente all’editoria libraria. Non considera pertanto i semplici tipografi” (Gigli Marchet-ti et al. 2004, I, p. 7); si aggiunge poi: “L’impossibilità di distinguere con sicurezza la mera attività tipografica da quella certamente editoriale ha imposto la necessità di considerare conven-zionalmente ‘editori’ tutti coloro che, sulla base dei repertori correnti, sono comparsi almeno una volta sul frontespizio di un libro come responsabili dell’edizione, indipendentemente da ogni altra considerazione” (ibidem). Interessante allora notare come, in questo stesso repertorio, compaia la Regia Università di Roma, con una attività editoriale che viene attestata per gli anni 1873-1886 e con la nota: “Pubblicò solo occasionalmente scritti legati all’Ateneo romano” (ivi, II, p. 1108). Se ne deduce che per quell’intervallo di anni si trovano saltuariamente pubblicazioni che recano esplicita sul frontespizio l’indicazione dell’Università di Roma come editore. Ora a me sembra che, nel caso delle lezioni di Calderini, un ruolo editoriale svolto dall’ateneo sia implicitamente dichiarato, da una parte, nella sottoscrizione del litografo, che si dice appunto litografo della Regia Università, dall’altra nel sottotitolo dell’opera dove si dice che essa consiste in lezioni date presso quella stessa Università. Si può discutere, come io stessa ho fatto qui, della qualità di questa produzione, se cioè, non assurgendo tali dispense al livello di una vera e propria pubblicazione, possa chi le produce considerarsi editore. E dunque il ruolo ristretto con cui l’Università di Roma compare nel suddetto repertorio non si mette in discussione. D’altro canto, se un approfondimento della ricerca qui appe-na iniziata dovesse dimostrare che in tutte le raccolte di lezioni prodotte da Laudi egli vi compare formalmente come il litografo dell’Università e che questa appare costantemente sul frontespizio come l’istituzione nella quale le lezioni sono state date e per la quale vengono stampate, allora si

135

aprirebbe qui uno spaccato sulla produzione libraria per l’università che presenta caratteri di omo-geneità, serialità e anche ufficialità tali che diventa possibile riconoscerle un ruolo non secondario. Lo statuto di semi-pubblicazione, e forse anche la fragilità delle raccolte di dispense, ha probabil-mente contribuito a renderne difficile uno studio approfondito, come un fenomeno interessante al pari del sistema della pecia, sul quale la letteratura abbonda da almeno cento anni. Frutto però anche della catalogazione elettronica degli ultimi decenni, e della conseguente condivisione dei dati, adesso è più facile avere contezza dell’ampiezza del fenomeno, recuperare informazioni, quali appunto una produzione secondaria come quella del litografo Laudi, che riesce a sfuggire ai censi-menti, nonostante il lungo periodo di attività.

14 Se l’assenza di Laudi del repertorio degli editori sopra citato non stupisce, essa si comprende meno in Chiosso 2003, che non solo censisce anche i tipografi ma è concentrato sulla produzione scolastica. Particolarmente interessante quanto scrive lo stesso Giorgio Chiosso nel contributo da lui pubblicato in Brizzi, Tavoni 2009, atti di un convegno interamente dedicato alla produzione del libro universitario e con apertura cronologica amplissima. Trattando precisamente stampatori ed editori per l’università e la scuola, ricerca finalizzata al repertorio sopracitato (Chiosso 2003) e a un secondo volume dedicato agli editori del primo Novecento, Chiosso fornisce un chiarimento per noi assai significativo: “Una seconda precisazione riguarda la nozione piuttosto ampia di stampatori ed editori per l’università, talvolta anche non facilmente distinguibile, per un verso, con le iniziative proprie dell’editoria di alta cultura e, per un altro, con quelle (in genere di modeste dimensio-ni) dedite alla semplice riproduzione di testi a uso immediatamente didattico come le dispense” (Chiosso 2009, p. 646). Gli studiosi del libro, o anche quelli dell’università, non hanno pertanto prestato ancora particolare attenzione a questo tipo di produzione libraria, tanto che in quegli atti di convegno il fenomeno non è ulteriormente considerato, concentrandosi il resto dei contributi soprattutto sui contenuti dell’insegnamento, o sulle lezione tradotte poi in manuali veri e propri. Tra questi mi sembra di grande interesse il contributo di Ornella Selvafolta, che tratta dell’inse-gnamento dell’Architettura Pratica al Politecnico di Milano, insegnata da Archimede Sacchi fino al 1886, anno della sua prematura scomparsa (Selvafolta 2009). Dunque un precedente diretto e immediato per Calderini che proprio in quell’anno chiudeva le dispense che qui si presentano. Quanto alla necessità di intraprendere uno studio di quella particolare produzione libraria che fu la stampa delle lezioni, lo dice indirettamente, ma chiaramente, Maria Beatrice Bettazzi nel già citato saggio dedicato alla didattica nelle scuole per ingegneri, dove nota come “[...] le dispense, conser-vateci grazie a litografie non ancora oggetto di uno studio sistematico e il cui ritrovamento è spesso frutto di fortunose quanto insperate ricerche su cataloghi non ancora informatizzati o registri non più in uso” (Bettazzi 2010, p. 164) e, possiamo aggiungere noi, recuperate grazie anche a fortunate occasioni presentatesi sul mercato antiquario e all’intelligenza di colti acquirenti.

Schede bibliograficheNota La descrizione è effettuata seguendo i criteri dettati da Fredson Bowers, nella revisione fornita da Philip Gaskell (Bowers 1994, Gaskell 1972); essa è strutturata su più livelli, con un nucleo cen-trale costituito dalla trascrizione quasi facsimilare di frontespizio e altre eventuali declaratorie, e dalla formula collazionale (formato, segnatura dei fascicoli, numero delle carte e loro paginazione): La scheda è aperta da una riga che identifica opera ed edizione mentre una lunga nota di contenuto rende merito delle partizioni interne dei testi. Non si pretende qui alcuna completezza, soprattutto relativamente alla seconda raccolta di dispense, la cui descrizione è basata sull’esemplare datato, il più completo. Si rinuncia per ora a fornire una diagnosi precisa del rapporto fra questo esemplare e gli altri due, privi di frontespizio, pur ritenendo si possano considerare varianti della medesima edi-zione (esemplari lacunosi o frutto di una seconda emissione). Non ci si è dilungati nella descrizione

136

delle particolarità di stampa, giacché esse costituiscono il grosso di questo contribuito. Si è invece ritenuto utile fornire un elenco degli argomenti trattati, per sopperire alla mancanza di un indice sommario, che non c’è in nessuno dei due testi, e consentire così una prima lettura comparata dei due trattati. Ciò anche in considerazione del fatto che la raccolta delle lezioni date a Pisa non era fino a oggi conosciuta, mentre erano note le dispense romane, e relativi contenuti passati almeno parzialmente in esame (Miano 1996, Bettazzi 2010). Tale elenco riproduce le partizioni inter-ne del testo, fermandosi alle sezioni che lo scrivente indica usando una grafia meno inclinata, di modulo maggiore, e centrando il testo, come fossero capitoli; i titoli di eventuali suddivisioni sono pure segnalati graficamente, ma sono allineati a sinistra sulla stessa riga di testo. Da notare che, nelle dispense pisane, tale ordinamento non viene perfettamente rispettato, e si trovano titoli di sottosezioni per indicare però un argomento tutto diverso (così le parti dedicate alle scale, camini e forni, alle pagine 361, 377, 389, che sembrano sezioni del capitolo sulle coperture); in questi casi si è preferito inserirli nell’elenco, come fossero capitoli, piuttosto che escluderli.

I. Gugliemo Calderini, La Costruzione Pratica e l ’Architettura Rurale [Pisa: s.n., 1886]

LA COSTRUZIONE PRATICA | e | L’ARCHITETTURA RURALE | Compendio delle lezio-ni date nella | R. Università di Pisa | dal | Prof. Guglielmo Calderini | Anno Accademico | 1885-86

[legate separatamente] TAVOLE

4°: π2 Disp.1-674, [1-7]4; 270, 28 carte; p. [4] 1-6 (= [2] 1-8) 9-535 [1], tavv. 1-55 [1]

NotaPrima carta non numerata; errore nella paginazione del primo fascicolo; p. 460 e 461 inizialmente segnate 458 e 459, poi corrette; 154 figure numerate nel testo (le ultime a p. 394) che si aggiungono alle 175 figure presenti nelle tavole

Interno[c. Disp.11r, secondo frontespizio] La costruzione pratica | e | L’Architettura Rurale | Compendio delle lezioni date dal | Prof. Guglielmo Calderini nella | R.a Università di Pisa | Anno Accademico 1885-86

p. 1: Introduzione allo studio dell’Architettura Rurale; p. 17: Maniera di studiare l’architettura. Generi di disegni propri all’architettura; p. 26: Dei materiali e del loro impiego nella costruzione; p. 41: Pietre Artificiali; p. 117: Metalli; p. 127: Impiego dei materiali nella costruzione degli edifici. Delle fondazioni; p. 150: Fondazioni sott’acqua a paratoie o ture; p. 157: Fondazioni con pilastri ed archi; p. 159: Fondazioni con archi rovesci; p. 161: Fondazioni per palafitte in legname; p. 179: Dei tracciamenti; p. 201: Differenti specie di muri di elevazione; p. 225: Ponti di servizio; p. 278: Costruzione ed armatura dei tetti; p. 351: Soffitti; p. 361: Delle Scale; p. 377: Dei Camini; p. 389: Dei forni; p. 396: Fine della prima Parte; p. 397: Parte Seconda | Architettura Rurale; p. 399: L’Abitazione dell’uomo; p. 422: Abitazioni degli animali domestici; p. 507: Logge, capanne, tettoie, e rimesse di oggetti e utensili agricoli; p. 512: Delle ghiacciaie; p. 515: Delle cascine; p. 517: Delle cisterne; p. 520: Delle concimaie; p. 525: Le case coloniche italiane per la piccola coltura; p. 533: Fattorie rustiche per una grande coltivazione

p. 535: Fine delle lezioni del 1° corso Costruzione pratica ed Architettura Rurale

[Disp. 674v] Fine

EsemplareUnico noto, proprietà privata (senza collocazione); 208x155 millimetri, legatura semplice in carto-ne rivestito di carta, dorso rinforzato in stoffa sul quale è applicato un tassello con titolo dell’opera

137

manoscritto, in gran parte distrutto. Sul frontespizio è ancora visibile un timbro a inchiostro blu, in gran parte eraso, che rinvia a un precedente possessore, potenzialmente l’ex-libris di un privato, del cui nome è leggibile l’iniziale “A.” Buone le condizioni di conservazione, con perdite di supporto limitate alla coperta, in corrispondenza del perimetro dei piatti.

II. Guglielmo Calderini, Primo corso di architettura tecnica. Roma: [R. Università], 1892 (L. Lau-di litografo)

PRIMO CORSO | DI | ARCHITETTURA TECNICA || COMPENDIO DELLE LEZIO-NI | DATE NELLA REGIA SCUOLA DI APPLICAZIONE PER GLI INGEGNERI | DI | ROMA | DAL | PROF. GUGLIELMO CALDERINI || Anno Accademico 1891-92 || ROMA | MDCCCXCII

[3Disp. 222v, colophon] L. LAUDI Litografo della R. Università di Roma | Via in Arcione 98

2°: π2 Disp.1-522, 2Disp.1-802, 3Disp.1-222; 310 carte, pp. [4] 1-208, 1-318 [2], 1-87 [1]

Interno[vol. 1] p. 1, PARTE PRELIMINARE AL CORSO [...] Cenno delle proporzioni dei principali elementi architettonici; p. 2: Gli ordini architettonici; p. 4: Proporzioni; p. 10: Degli intercolonni architravati; p. 11: Degli intercolonni ad arcate; p. 15: Delle arcate senz’ordine; p. 16: Dei frontoni o frontispizi; p. 18: Delle porte e delle finestre; p. 23: Sovrapposizione degli ordini; p. 26: Delle Nicchie; p. 29: Cornici esterne che dividono i piani degli edifizi e Cornicioni di coronamento; p. 33: FINE DELLA PARTE PRELIMINARE AL CORSO ARCHITETTURA TECNICA; p. 36: PARTE PRIMA: La Composizione degli edifizii; p. 38: Corpi di Fabbrica; p. 40: Confi-gurazione delle stanze e dimensioni; p. 40: Muri maestri; p. 41: Sovrapposizione dei muri maestri; p. 41: Distribuzione dei muri maestri; p. 42: Muri maestri sorreggenti il tetto; p. 42: Forme dei tetti; p. 44: Utilità dei muri trasversali; p. 53: Il Concetto dell’insieme nella piante degli edifizi di abitazione; p. 60: Condizioni fondamentali per la distribuzione degli edifizî d’abitazione; p. 70: Case operaie; p. 88: Particolarità di costruzione; p. 102: Le case rustiche; p. 116: Stalle; p. 124: Le case civili; p. 125: Le case di affitto; p. 132: Le case signorili; p. 135: Le ville; p. 137: I Palazzi; p. 145: Edifici pubblici; p. 148: L’Ospedale; p. 164: Il Carcere; p. 175: Il Teatro; p. 197: La Chiesa; p. 203: Il mercato coperto; p. 205: La Stazione ferroviaria; p. 208: FINE DELLA PRIMA PARTE DEL CORSO. Lit. L. LAUDI ± Via in Arcione 98, ROMA

[vol. 2] p. 1 ARCHITETTURA TECNICA PARTE SECONDA: La costruzione […] Dei ma-teriali e del loro impiego nella costruzione; p. 10: Pietre artificiali; p. 16: Stoviglia; p. 17: Calce; p. 23: Gesso; p. 25: Cementi; p. 29: Mastici; p. 32: Sabbia; p. 33: Della malta; p. 37: Smalti, calci-struzzi ed asfalti; p. 40: Del legname; p. 45: Avvertenze per la scelta del legname; p. 49: Metalli; p. 53: Colori; p. 55: Impiego dei materiali nella costruzione degli edificii; Delle fondazioni; p. 82: La platea generale; p. 92: Le platee generali presso gli antichi; p. 100: Spessore della platea; p. 102: Norme generali da osservarsi nelle fondazioni; p. 103: Degli sterri; p.111: Delle riseghe; p. 114: Differenti specie di Muri di elevazione; p. 131: Muri degli antichi; p. 142: Muratura in pietra da taglio; p. 148: Pietre da taglio di rivestimento; p. 151: Posizione in opera della pietra da taglio; p. 157: Muri di calcestruzzo; p. 158: Ponti di servizio; p. 169: Muri di rivestimento o di sostegno; p. 172: Contrafforti; p. 175: Muri vuoti; p. 178: Dei vani; p. 181: Delle vôlte; p. 194: Vôlte composte; p. 198: Disposizione dei cunei o giunti nella costruzione degli archi; p. 208: Materiale per la co-struzione delle vôlte; p. 210: Massime generali per la costruzione delle volte; p. 216: Costruzione pratica delle vôlte; p. 237: Volterrane; p. 241: Armatura delle volte; p. 253: Tetti; p. 304: Copertura dei tetti; p. 319: FINE DELLA 2a PARTE per il 1° CORSO; p. 320: L. LAUDI Litografo della R.a Università di Roma 98. Via in Arcione: 98. ROMA

[vol. 3] p. 1: ARCHITETTURA TECNICA PARTE TERZA La decorazione […] Brevissimo

138

riassunto storico dell’architettura; p. 7: Architettura egiziana; p. 10: Architettura greca; p. 13: Architettura etrusca; p. 14: Architettura romana; p. 20: Architettura bisantina; p. 23: Architettura ogivale; p. 28: Architettura del rinascimento; p. 30: L’architettura del cinquecento; p. 33: L’archi-tettura seicentistica; p. 35: L’architettura del settecento; p. 36: L’architettura dei secoli decimottavo e decimonono; p. 40: Stili architettonici; p. 41: Stile egiziano; p. 53: Le caratteristiche dello stile egiziano; p. 61: Lo stile greco; p. 66: Le caratteristiche dello stile

EsemplariBiblioteca Centrale della Facoltà di Ingegneria “G. Boaga” dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, VET2 C 52: 310x220 millimetri, legatura semplice, coperta di cartone rivestito; elegante ex-libris applicato sul verso della prima guardia, costituito da una decorazione perimetrale a motivi geometrico-floreali, che incornicia uno spazio tondo centrale in cui sono motto e sigla del possessore: “NON | NECESSE VIVERE | NECESSE VOLARE | EX LIBRIS | ECA”. Condizioni di conservazione messe a rischio dal supporto fragilissimo, e dalla perdita di parte della legatura, con conseguente distacco di alcuni fogli, tutti comunque conservati.

Biblioteca Centrale della Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Roma “La Sapien-za”, Fondo Piacentini, D 309 (variante, priva del fascicolo iniziale contente il frontespizio): 320x210 millimetri, coperta semplice di cartone rivestito; nota di provenienza: timbro dell’architetto Mar-cello Piacentini impresso sul recto della prima guardia. Discrete le condizioni di conservazione, ma il volume è molto fragile, a causa del supporto, e ogni manipolazione lo mette a rischio; integro tuttavia, senza lacune o fratture.

139

Indice delle opere citatea cura di Luca Martini

Fonti archivisticheArchivio Generale di Ateneo dell’Università di Pisa, Fascicolo Calderini.

Archivio di Stato di Perugia, Genio Civile.

Archivio Storico dell’Accademia di Belle Arti di Perugia, Carteggio amministrativo 1790-1970, b. 32, fasc. 65, tit. 9, art. 5, Pratiche varie del personale, 1855-1868.

Archivio Storico dell’Università di Torino, Teologia, Carriere degli studenti 1817-1873, Rassegne e registri delle iscrizioni 1852-1873.

Archivio Storico dell’Università di Torino, X.D. Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali.

Biblioteca Centrale della Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Roma “La Sapien-za”, Fondo Piacentini.

Biblioteca Centrale della Facoltà di Ingegneria “G. Boaga” dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.

Centro Biblioteca e Archivi della Scuola Normale Superiore, Archivio Enrico Betti, Carteggio: let-tere personali.

Fonti editeCesariano 1521C. Cesariano, Di Lucio Vitruvio Pollione de architectura libri dece traducti de latino in vulgare affigurati commentati et con mirando ordine insigniti…, Como, Gottardo di Ponte, 1521.

Martin 1547J. Martin, Architecture ou Art de bien bastir de Marc Vitruue Pollion Autheur, París, Iacques Gazeau, 1547.

Vedute 1744Vedute delle ville e d’altri luoghi della Toscana, Firenze, Giuseppe Allegrini, 1744.

Diderot, d’Alembert 1751D. Diderot, J.B. d’Alembert, Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et de métiers…, París, Le Breton, 1751, vol. 1.

Diderot, d’Alembert 1751-1765D. Diderot, J.B. d’Alembert, Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et de métiers…, París, Briasson, David l’ainé, Le Breton, Durand, 1751-1765, 17 voll.

Laugier 1755M.A. Laugier, Essai sur l ’architecture, Paris, Duchesne, 1755.

140

Morozzi 1770F. Morozzi, Delle case de’ contadini. Trattato architettonico di Ferdinando Morozzi nobile colligiano, Firenze, Cambiagi, 1770.

Lastri 1801M. Lastri, Corso di agricoltura di un accademico georgofilo autore della Biblioteca georgica, Firenze, Stamperia del Giglio, 1801, vol. 1.

Valeriani 1812O. Valeriani, Memorie relative all ’agricoltura del Dipartimento del Tronto, in Filippo Re (a cura di), Annali dell ’Agricoltura del Regno d’Italia, Milano, tipografia di Giovanni Silvestri, 1812, vol. XIII, pp. 97-138.

Cavalieri San-Bertolo 1826-1827N. Cavalieri San-Bertolo, Istituzioni di architettura statica e idraulica, Bologna, tipografia Cardinali e Frulli, 1826-1827, 3 voll.

Valadier 1828G. Valadier, L’architettura pratica dettata nella scuola e cattedra nell ’ insigne Accademia di San Luca, Roma, Società Tipografica, 1828, vol. 1.

Valadier 1828-1839G. Valadier, L’architettura pratica dettata nella scuola e cattedra nell ’ insigne Accademia di San Luca, Roma, Società Tipografica, 1828-1839, 5 voll.

Rondelet 1831J.B. Rondelet, Trattato teorico e pratico dell ’arte di edificare, Mantova, coi tipi di Luigi Caranenti, 1831, vol. 1.

Rondelet 1831-1835J.B. Rondelet, Trattato teorico e pratico dell ’arte di edificare, Mantova, coi tipi di Luigi Caranenti, 1831-1835, 5 voll.

Galli 1840F. Galli, Saggio d’architettura rurale sviluppato in vari progetti con alcuni cenni per regolare le costruzioni e con una raccolta d’elementi utile a redigere le perizie di previsione, Pisa, tipografia Nistri, 1840.

von Humboldt 1844A. von Humboldt, Il cosmo. Saggio di una descrizione fisica del mondo, Napoli, Del Vaglio, 1844.

Granata 1851L. Granata, Della architettura rurale: trattato elementare, Napoli, Francesco Rossi Romano, 1851.

Ridolfi 1854L. Ridolfi, Sulla costruzione delle case coloniche, Firenze, Tipografia Galileiana, 1854.

Ridolfi 1862C. Ridolfi, Lezioni orali di agraria, Firenze, Cellini, 1862, 2 voll.

Scala 1864A. Scala, Compendio delle costruzioni rurali più usitate, Udine, Trombetti-Murero, 1864.

Curioni 1864-1872G. Curioni, L’arte di fabbricare, ossia corso completo di istituzioni teorico-pratiche per gl ’ ingegneri, per gli architetti, pei periti in costruzione e pei periti misuratori, Torino, Augusto Federico Negro, 1864-1872, 7 voll.

Curioni 1865G. Curioni, L’arte di fabbricare, ossia corso completo di istituzioni teorico-pratiche per gl ’ ingegneri, per gli architetti, pei periti in costruzione e pei periti misuratori, Torino, Augusto Federico Negro, 1865, vol. II, Lavori generali di architettura civile, stradale ed idraulica e analisi dei loro prezzi.

141

Claudel 1867J. Claudel, Formules, tables et renseignements usuels. Aide-memoire des ingenieurs, des architectes…, Paris, Dunod, 1867.

Carnet de l ’Ingenieur 1869Carnet de l ’Ingenieur. Recueil de tables, de formules et de renseignements usuels et pratiques sur les sciences appliquees a l ’ industrie, Paris, Lacroix, 1869.

Curioni 1870G. Curioni, L’arte di fabbricare, ossia corso completo di istituzioni teorico-pratiche per gl ’ ingegneri, per gli architetti, pei periti in costruzione e pei periti misuratori, Torino, Augusto Federico Negro, 1870, vol. VI, Costruzioni civili, stradali e idrauliche.

Calderini 1875G. Calderini, Michelangelo Buonarroti e l ’architettura moderna. Pensieri del prof. architetto Gugliemo ing. Calderini, Perugia, Tipografia G. Boncompagni, 1875.

Cantalupi 1876A. Cantalupi, Le costruzioni rurali. Trattato di architettura pratica, Milano, Galli e Omodei, 1876.

Atti della Giunta 1881Atti della Giunta per la Inchiesta Agraria e sulle condizioni della classe agricola, Roma, Forzani e C., 1881, vol. II, Relazione del commissario, marchese Luigi Tanari, senatore del Regno, sulla sesta Circoscri-zione (provincie di Forlì, Ravenna, Ferrara, Modena, Reggio-Emilia e Parma), I.

Annuario 1881-1882“Annuario scolastico della Regia Università degli Studi di Pisa”, 1881-1882.

Atti della Giunta 1881-1886Atti della Giunta per la Inchiesta Agraria e sulle condizioni della classe agricola, Roma, Forzani e C., 1881-1886, 15 voll.

Atti della Giunta 1884Atti della Giunta per la Inchiesta Agraria e sulle condizioni della classe agricola, Roma, Forzani e C., 1884, vol. XI, Relazione del commissario marchese Francesco Nobili-Vitelleschi, senatore del Regno, sulla quinta Circoscrizione (provincie di Roma, Grosseto, Perugia, Ascoli-Piceno, Ancona, Macerata e Pesaro), II, Provincie di Perugia, Ascoli-Piceno, Ancona, Macerata e Pesaro.

Lenti [1884-1891]A. Lenti, Corso pratico di costruzioni. Guida per eseguire, dirigere, sorvegliare e valutare i lavori di architettura civile, rurale, stradale, idraulica conforme ai programmi degli studi tecnici, Alessandria, Tipografia e litografia Giuseppe Chiari, [1884-1891], 4 voll.

Calderini 1885G. Calderini, Concetto, forma e costruzione più idonea delle case per gli operai da erigersi nelle città ita-liane, Perugia, Boncompagni, 1885.

Doyen 1885C. Doyen, Litografia, in R. Pareto, G. Sacheri (a cura di), Enciclopedia delle arti e industrie, Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1885, vol. 5, pp. 5-44.

Annuario 1885-1886“Annuario - Regia Università di Pisa”, 1885-1886.

Annuario 1886-1887“Annuario - Regia Università di Pisa”, 1886-1887.

Annuario 1887-1888“Annuario - Regia Università di Pisa”, 1887-1888.

142

Annuario 1888-1889“Annuario - Regia Università di Pisa”, 1888-1889.

Panizza 1890M. Panizza, Risultati dell ’ inchiesta istituita da Agostino Bertani sulle condizioni sanitarie dei lavoratori della terra in Italia, Roma, Stabilimento Tipografico Italiano, 1890.

Niccoli 1891V. Niccoli, Economia dei fabbricati rurali, Milano, Hoepli, 1891.

Annuario 1891-1892“Annuario - Regia Università di Pisa”, 1891-1892.

Calderini 1892G. Calderini, Primo corso di architettura tecnica. Compendio delle lezioni date nella Regia scuola di applicazione per gli ingegneri di Roma dal prof. Guglielmo Calderini. Anno accademico 1891-92, Roma, L. Laudi, 1892.

Annuario 1892-1893“Annuario - Regia Università di Pisa”, 1892-1893.

Annuario 1893-1894“Annuario - Regia Università di Pisa”, 1893-1894.

Annuario 1894-1895“Annuario - Regia Università di Pisa”, 1894-1895.

Annuario 1895-1896“Annuario - Regia Università di Pisa”, 1895-1896.

Annuario 1896-1897“Annuario - Regia Università di Pisa”, 1896-1897.

Annuario 1897-1898“Annuario - Regia Università di Pisa”, 1897-1898.

Ruskin 1898J. Ruskin, Elementi del disegno e della pittura, Torino, Bocca, 1898.

Annuario 1898-1899“Annuario - Regia Università di Pisa”, 1898-1899.

Annuario 1899-1900“Annuario - Regia Università di Pisa”, 1899-1900.

Annuario 1900-1901“Annuario - Regia Università di Pisa”, 1900-1901.

Calderini 1908aG. Calderini, La improvvisa soppressione della direzione artistica dei lavori del palazzo di giustizia presentata al giudizio della Camera e del Senato, Roma, Casa editrice italiana, 1908.

Calderini 1908bG. Calderini, Documenti allegati alla relazione sulla improvvisa soppressione della direzione artistica dei lavori del palazzo di giustizia presentata al giudizio della Camera e del Senato, Roma, Casa editrice italiana, 1908.

Calderini 1909aG. Calderini, Elenco di parecchi lavori eseguiti dal prof. Guglielmo Calderini, Roma, Casa editrice italiana, 1909, riedito in G. Calderini, Scritti di architettura, Roma, Edizioni Clear, 1991 (a cura di C. Barucci e A. Greco), pp. 227-237.

143

Calderini 1909bG. Calderini, Guglielmo Calderini direttore dei lavori del Palazzo di giustizia in Roma agli illustri magistrati che dovranno giudicarlo, Roma, Casa editrice italiana, 1909.

Ruskin 1909J. Ruskin, La poesia dell ’architettura, Milano, Solmi, 1909.

Valenti 1911G. Valenti, L’Italia agricola dal 1861 al 1911, in R. Accademia dei Lincei (a cura di), Cinquanta anni di storia italiana [1860-1910], Milano, Hoepli, 1911, vol. II, pp. 1-147.

Milani 1917G.B. Milani, Prefazione, in G. Calderini, Le opere architettoniche di Guglielmo Calderini, Milano, Bestetti e Tumminelli, 1917, s.p.

Ozzola 1923L. Ozzola, La litografia italiana dal 1805 al 1870, Roma, Alfieri & Lacroix, 1923.

Biasutti 1926R. Biasutti, Per lo studio dell ’abitazione rurale in Italia, in “Rivista Geografica Italiana”, 1, 1926, pp. 1-24.

Alfonsi 1933P.T. Alfonsi (a cura di), Pier De’ Crescenzi, 1233-1321. Studi e documenti, Bologna, Cappelli, 1933.

Istat 1934Istat, Indagine sulle case rurali in Italia, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, Libreria, 1934.

Pagano, Daniel 1936G. Pagano, G. Daniel, Architettura rurale italiana, Milano, Hoepli, 1936.

Fondi, Biasutti 1952M. Fondi, La casa rurale nella Lunigiana. Provincia di Massa e Carrara, R. Biasutti, La casa rurale nella Toscana. Note supplementari, Firenze, Centro di studi per la geografia etnologica, 1952.

Desplanques 1955H. Desplanques, La casa rurale nell ’Umbria centrale, in F. Bonasera, H. Desplanques, M. Fondi, A. Poeta (a cura di), La casa rurale nell ’Umbria, Firenze, Olschki, 1955, pp. 39-140.

Calabi 1958A. Calabi, Saggio sulla litografia. La prima produzione italiana in rapporto a quella degli altri paesi sino al 1840, Milano, Tipografia U. Allegretti, 1958.

Gambi 1964L. Gambi, Per una storia della abitazione rurale in Italia, in “Rivista Storica Italiana”, 2, 1964, pp. 427-454.

Guida 1966Guida breve all ’agricoltura italiana, Roma, Istituto di tecnica e propaganda agraria, 1966.

Bonelli 1967F. Bonelli, Evoluzione demografica ed ambiente economico nelle Marche e nell ’Umbria dell ’Ottocento, Torino, ILTE, 1967.

Gambi 1970L. Gambi, Renato Biasutti e la ricerca sopra le dimore rurali in Italia, in G. Barbieri e L. Gambi (a cura di), La casa rurale in Italia, Firenze, Olschki, 1970, pp. 3-12.

Benevolo 1971L. Benevolo, Storia dell ’architettura moderna, Bari, Laterza, 1971.

144

Gaskell 1972P. Gaskell, A new introduction to bibliography, Oxford, Clarendon press, 1972.

Caracciolo 1973A. Caracciolo, L’inchiesta agraria Jacini, Torino, Einaudi, 1973.

Raffo Pani 1973S. Raffo Pani, Guglielmo Calderini, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della En-ciclopedia Italiana, 1973, vol. 16, sub vocem.

Varrone 1974M.T. Varrone, Opere, Torino, UTET, 1974 (a cura di A. Traglia).

Bistoni, Monacchia 1975U. Bistoni, P. Monacchia, Due secoli di massoneria a Perugia e in Umbria. 1775-1975, Perugia, Vo-lumnia, 1975.

Montanelli 1977I. Montanelli, Storia d’Italia, Milano, Biblioteca universale Rizzoli, 1977, vol. 33, La sinistra al potere (1876-1900).

Viollet-le-Duc 1978E. Viollet-le-Duc, Histoire d’une maison, Bruxelles, Mardaga, 1978.

Inchiesta 1978-1988Inchiesta Jacini. Atti della Giunta per la inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, Sala Bolognese, Forni, 1978-1988, 15 voll.

Palombarini 1979A. Palombarini, Nella grande depressione agricola, 1873-1895, in S. Anselmi (a cura di), Nelle Marche centrali. Territorio, economia, società tra Medioevo e Novecento: l ’area esino-misena, Jesi, Cassa di Ri-sparmio di Jesi, 1979, vol. II, pp. 1337-1361.

Racheli 1980A.M. Racheli, Le sistemazioni urbanistiche di Roma per l ’Esposizione Internazionale del 1911, in Gianna Piantoni (a cura di), Roma 1911, Roma, De Luca Editore, 1980 (catalogo della mostra, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 4 giugno - 15 luglio 1980), pp. 229-264.

Butera 1981M.M. Butera, Le campagne italiane nell ’età napoleonica. La prima inchiesta agraria dell ’Italia moder-na, Milano, Angeli, 1981.

Porzio 1982D. Porzio (a cura di), La litografia: duecento anni di storia, arte, tecnica, Milano, Arnoldo Mondadori, 1982.

Gambi 1985L. Gambi, Cosa può insegnare una rilettura della casa marchigiana, in S. Anselmi (a cura di), Insedia-menti rurali, case coloniche, economia del podere nella storia dell ’agricoltura marchigiana, Jesi, Cassa di Risparmio di Jesi, 1985, pp. 360-362.

Bortolotti 1986L. Bortolotti, L’evoluzione del territorio, in Storia d’Italia. Le regioni dall ’unità a oggi, Torino, Einau-di, 1986, vol. 14, G. Mori (a cura di), La Toscana, pp. 771-820.

Chiuini 1986G. Chiuini, Umbria, Roma-Bari, Laterza, 1986.

Benucci 1986-1987F. Benucci, Il padiglione umbro-sabino all ’Esposizione di Roma nel 1911, in “Artinumbria”, 10, inver-no 1986-1987, pp. 18-19.

145

Bellini 1987L. Bellini, La mezzadria in Umbria dall ’Unità alla fine del secolo XIX. Condizione di vita dei contadini, loro redditi e consumi, in Luigi Bellini, Scritti scelti, Foligno, Editoriale Umbra, 1987 (a cura di L. Tittarelli), pp. 15-29.

Cauti 1989A. Cauti, L’insegnamento dell ’architettura all ’Accademia di Perugia, in G. Muratore, F. Boco (a cura di), Scuola e architettura. L’evoluzione del disegno architettonico dal 1790 al 1940 nelle Raccolte dell ’Ac-cademia di Belle Arti di Perugia, Perugia, Benucci Editore, 1989, pp. 45-48.

Muratore, Boco 1989G. Muratore, F. Boco (a cura di), Scuola e architettura. L’evoluzione del disegno architettonico dal 1790 al 1940 nelle Raccolte dell ’Accademia di Belle Arti di Perugia, Perugia, Benucci Editore, 1989.

Nenci 1989G. Nenci, Proprietari e contadini nell ’Umbria mezzadrile, in R. Covino, G. Gallo (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall ’Unità a oggi. L’Umbria, Torino, Einaudi, 1989, pp. 189-257.

Ugo 1990V. Ugo, Accumulare/legare, in A. Ambrosi, E. Degano, C.A. Zaccaria (a cura di), Architettura in pietra a secco, Fasano, Schena, 1990 (atti del I seminario internazionale, Noci-Alberobello, 27-30 settembre 1987), pp. 239-252.

Calderini 1991G. Calderini, Scritti di architettura, Roma, Edizioni Clear, 1991 (a cura di C. Barucci e A. Greco).

Greco 1991A. Greco, Nozioni di stile e lezioni di architettura, in G. Calderini, Scritti di architettura, Roma, Edizioni Clear, 1991 (a cura di C. Barucci e A. Greco), pp. 31-42.

Quitzsch, Semper 1991H. Quitzsch, La visione estetica di Semper, G. Semper, I quattro elementi dell ’architettura, Milano, Jaca Book, 1991.

Ugo 1991V. Ugo, I luoghi di Dedalo. Elementi teorici dell ’architettura, Bari, Dedalo, 1991.

Bronzini 1992G.B. Bronzini, L’etnografia del Regno Italico e del Regno di Napoli nell ’inchiesta napoleonica e muratiana, in A. Cestaro, A. Lerra (a cura di), Il Mezzogiorno e la Basilicata fra l ’età giacobina e il decennio francese, Venosa, Osanna, 1992 (atti del Convegno, Maratea, 8-10 giugno 1990), vol. I, pp. 263-279.

De Seta 1992C. De Seta, L’Italia del Grand Tour. Da Montaigne a Goethe, Napoli, Electa, 1992.

Purini 1992F. Purini, Dal Progetto. Scritti teorici di Franco Purini 1966-1991, Roma, Kappa, 1992 (a cura di F. Moschini e G. Neri).

Leonardo da Vinci 1993Leonardo da Vinci, Aforismi, novelle e profezie, Roma, TEN, 1993.

Bowers 1994F. Bowers, Principles of bibliographical description, Winchester, New Castle (Delaware), St Paul’s Bibliographies, Oak Knoll Press, 1994.

Terzetti 1994M. Terzetti, Il Palazzo Nuovo: dal 1860 al 1875, in M. Terzetti (a cura di), La fabbrica di mezzo. Storia della costruzione del Palazzo provinciale di Perugia, Perugia, Provincia di Perugia, 1994, pp. 17-55.

146

Boco 1995F. Boco, Il Fondo Calderini all ’Accademia di Belle Arti di Perugia, in F. Boco, T. Kirk, G. Muratore (a cura di), Guglielmo Calderini dai disegni dell ’Accademia di Belle Arti di Perugia. Un architetto nell ’Italia in costruzione, Perugia, Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”, Guerra Edizioni, 1995 (catalo-go della mostra, Roma, 22 settembre - 22 ottobre 1995), pp. 49-59.

Boco, Kirk, Muratore 1995F. Boco, T. Kirk, G. Muratore (a cura di), Guglielmo Calderini dai disegni dell ’Accademia di Belle Arti di Perugia. Un architetto nell ’Italia in costruzione, Perugia, Accademia di Belle Arti “Pietro Vannuc-ci”, Guerra Edizioni, 1995 (catalogo della mostra, Roma, 22 settembre - 22 ottobre 1995).

Catalogo 1995Catalogo in F. Boco, T. Kirk, G. Muratore (a cura di), Guglielmo Calderini dai disegni dell ’Accademia di Belle Arti di Perugia. Un architetto nell ’Italia in costruzione, Perugia, Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”, Guerra Edizioni, 1995 (catalogo della mostra, Roma, 22 settembre - 22 ottobre 1995), pp. 61-147.

Kirk 1995T. Kirk, Biografia di un architetto del nuovo Stato italiano, in F. Boco, T. Kirk, G. Muratore (a cura di), Guglielmo Calderini dai disegni dell ’Accademia di Belle Arti di Perugia. Un architetto nell ’Italia in costruzione, Perugia, Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”, Guerra Edizioni, 1995 (catalogo della mostra, Roma, 22 settembre - 22 ottobre 1995), pp. 23-47.

Muratore 1995G. Muratore, Guglielmo Calderini. Un architetto per l ’Italia in costruzione, in F. Boco, T. Kirk, G. Muratore (a cura di), Guglielmo Calderini dai disegni dell ’Accademia di Belle Arti di Perugia. Un architetto nell ’Italia in costruzione, Perugia, Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”, Guerra Edizioni, 1995 (catalogo della mostra, Roma, 22 settembre-22 ottobre 1995), pp. 15-22.

Covino 1995R. Covino, L’invenzione di una regione. L’Umbria dall ’Ottocento a oggi, Ponte San Giovanni, Peru-gia, Quattroemme, 1995.

Barucci 1996C. Barucci, Gli scritti di Guglielmo Calderini, in F. Boco (a cura di), Guglielmo Calderini. La co-struzione di un’architettura nel progetto di una Capitale, Perugia, Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”, Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”, Guerra Edizioni, 1996 (atti del convegno, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 23 settembre 1995), pp. 5-8.

Boco 1996F. Boco (a cura di), Guglielmo Calderini. La costruzione di un’architettura nel progetto di una Capitale, Perugia, Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”, Guerra Edizioni, 1996 (atti del convegno, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 23 settembre 1995).

Catini 1996R. Catini, Guglielmo Calderini architetto e scrittore d’arte: i concorsi Poletti, in F. Boco (a cura di), Guglielmo Calderini. La costruzione di un’architettura nel progetto di una Capitale, Perugia, Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”, Guerra Edizioni, 1996 (atti del convegno, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 23 settembre 1995), pp. 67-73.

Miano 1996G. Miano, Guglielmo Calderini docente dal 1868 al 1912, in F. Boco (a cura di), Guglielmo Calderi-ni. La costruzione di un’architettura nel progetto di una Capitale, Perugia, Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”, Guerra Edizioni, 1996 (atti del convegno, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 23 settembre 1995), pp. 41-66.

Zappia 1996C. Zappia, Gli artisti di Calderini: arte e architettura in età umbertina, in F. Boco (a cura di), Guglielmo Calderini. La costruzione di un’architettura nel progetto di una Capitale, Perugia, Accademia di Belle

147

Arti “Pietro Vannucci”, Guerra Edizioni, 1996 (atti del convegno, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 23 settembre 1995), pp. 75-82.

Zorgno 1998A.M. Zorgno, Tecnologie costruttive e cultura del progetto in Europa e in Italia nell ’Ottocento, in P. Ventrice (a cura di), Tecnica e tecnologia nell ’architettura dell ’Ottocento, Padova, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 1998, pp. 15-53.

De Seta 1999C. De Seta, Vedutisti e viaggiatori in Italia tra Settecento e Ottocento, Torino, Bollati Boringhieri, 1999.

Melelli 1999A. Melelli, Le campagne umbre dagli anni sessanta ai nostri giorni, in M. Stefanetti (a cura di), Le campagne umbre nelle immagini di Henri Desplanques, Perugia, Benucci, 1999, pp. 131-168.

Anselmi 2000S. Anselmi, Chi ha letame non avrà mai fame. Studi di storia dell ’agricoltura (1975-1999), Ancona, Proposte e ricerche, 2000, 2 voll.

Twyman 2000M. Twyman, Breaking the mould: the first hundred years of lithography, London, The British Library, 2000.

Catone 2001M.P. Catone, Opere, Torino, UTET, 2001 (a cura di P. Cugusi, M.T. Sblendorio Cugusi).

De Seta 2001C. De Seta (a cura di), Grand Tour. Viaggi narrati e dipinti, Napoli, Electa Napoli, 2001.

Marconi 2002P. Marconi, Il “Palazzaccio”: storia e architettura, in Il palazzo di Giustizia di Roma, Roma, Gangemi, 2002, pp. 25-40.

Casini 2003Paolo Casini (a cura di), Enciclopedia, o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri ordinato da Diderot e D’Alembert, Roma, GLF editori Laterza, 2003.

Chiosso 2003G. Chiosso (a cura di), Teseo. Tipografi e editori scolastico-educativi dell ’Ottocento, Milano, Biblio-grafica, 2003.

Gigli Marchetti et al. 2004A. Gigli Marchetti, M. Infelise, L. Mascilli Migliorini, M.I. Palazzolo, G. Turi (a cura di), Editori italiani dell ’Ottocento. Repertorio, Milano, FrancoAngeli, 2004, 2 voll.

Zullo 2005E. Zullo, Giulio De Angelis architetto. Progetto e tutela dei monumenti nell ’Italia umbertina, Roma, Gangemi, 2005.

Gustinelli 2005-2006M. Gustinelli, Rilievo architettonico della chiesa di San Costanzo a Perugia e ipotesi di proporzionamen-to della facciata, Perugia, Università degli Studi di Perugia, a.a. 2005-2006 (Facoltà di Ingegneria, tesi di laurea triennale in Ingegneria Civile, relatore prof. ing. P. Belardi, correlatore ing. V. Men-chetelli).

Buccaro 2006A. Buccaro, Nascita e tradizione dell ’Architettura per gli Ingegneri nella Scuola napoletana di Ponti e Strade, in A. Buccaro, G. Fabricatore, L.M. Papa (a cura di), Storia dell ’Ingegneria, Napoli, Cuzzo-lin Editore, 2006 (atti del 1° convegno nazionale, Napoli, 8-9 marzo 2006), pp. 213-222.

148

Desplanques 2006H. Desplanques, Campagne umbre. Contributo allo studio dei paesaggi rurali dell ’Italia centrale, Peru-gia, Quattroemme, 2006 (a cura di A. Melelli).

Ficacci 2006L. Ficacci, Giovanni Battista Piranesi, Koln, Tashen, 2006.

Palladio 2006R.T.E. Palladio, Opus agriculturae, Salerno, Cues, 2006 (a cura di E. Di Lorenzo, B. Pellegrino, S. Lanzaro).

Ippoliti 2007E. Ippoliti, Il disegno e il pensiero cieco. Nuovi apparati per la rappresentazione della storia, in M.L. Neri, Le fondazioni benedettine nelle Marche. Materiali per un atlante storico-geografico dei sistemi in-sediativi territoriali, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2007, p. 77-104.

Chiosso 2009G. Chiosso, Stampatori ed editori per l ’Università e la scuola tra Otto e primo Novecento, in G.P. Brizzi, M.G. Tavoni (a cura di), Dalla pecia all ’e-book. Libri per l ’Università: stampa, editoria, circolazione e lettura, Bologna, CLUEB, 2009 (atti del Convegno internazionale di studi, Bologna, 21-25 otto-bre 2008), pp. 645-653.

Brizzi, Tavoni 2009G.P. Brizzi, M.G. Tavoni (a cura di), Dalla pecia all ’e-book. Libri per l ’Università: stampa, editoria, circolazione e lettura, Bologna, CLUEB, 2009 (atti del Convegno internazionale di studi, Bologna, 21-25 ottobre 2008).

Gaddoni 2009S. Gaddoni, Dalla casa rurale tradizionale alla bioarchitettura. I saperi ritrovati, in C. Cencini, L. Federzoni, B. Menegatti (a cura di), Una vita per la geografia. Scritti in ricordo di Piero Dagradi, Bologna, Pàtron, 2009, pp. 219-232.

Selvafolta 2009O. Selvafolta, Testi, manuali, disegni per l ’ insegnamento dell ’Architettura pratica al Politecnico di Milano nella seconda metà dell ’Ottocento: il ruolo di Archimede Sacchi, in G.P. Brizzi, M.G. Tavoni (a cura di), Dalla pecia all ’e-book. Libri per l ’Università: stampa, editoria, circolazione e lettura, Bologna, CLUEB, 2009 (atti del Convegno internazionale di studi, Bologna, 21-25 ottobre 2008), pp. 513-528.

Bini 2010M. Bini, Architettura rurale disegnata: forma e dimensione degli elementi costitutivi per la costruzione di una cronotipologia toscana, in EGA 2010. XIII° International Congress of Architectural Graphic Expres-sion. New graphic means, new architecture. Research, drawing and knowledge, Valencia, Editorial de la Universitat Politècnica de València, 2010, (atti del convegno internazionale di studi, Valencia, 27-29 Maggio 2010), pp. 101-108.

Andrews 2010M. Andrews, Lithography, in M.F. Suarez, H.R. Woudhuysen (a cura di), The Oxford companion to the book, Oxford, Oxford University Press, 2010, vol. 2, pp. 888-889.

Bettazzi 2010M.B. Bettazzi, Architettura e didattica nelle scuole per ingegneri, in M.B. Bettazzi, P. Lipparini (a cura di), Attilio Muggia. Una storia per gli ingegneri, Bologna, Editrice Compositori, 2010, pp. 161-179.

Canali 2010F. Canali, Perugia: Guglielmo Calderini, ‘ dimenticare Roma per riscoprire Firenze’, in F. Quinterio, F. Canali, Percorsi d’architettura in Umbria, Perugia, Edicit, 2010, pp. 508-511.

Melelli 2010A. Melelli, Ville e grandi residenze di campagna, in A. Melelli, F. Fatichenti, M. Sargolini, Architettura e paesaggio rurale in Umbria. Tradizione e contemporaneità, Perugia, Quattroemme, 2010, pp. 159-186.

149

Melelli 2010aA. Melelli, Casa torre colombaia, in A. Melelli, F. Fatichenti, M. Sargolini, Architettura e paesaggio rurale in Umbria. Tradizione e contemporaneità, Perugia, Quattroemme, 2010, pp. 187-214.

Belardi, Bori, Graziotti 2011P. Belardi, S. Bori, S. Graziotti, Rilevare per rivelare. Cronistoria di un’indagine investigativa sulla paternità della “teca muraria”, in L. Cenciaioli (a cura di), L’Ipogeo dei Volumni. 170 anni dalla scoper-ta, Perugia, EFFE Fabrizio Fabbri Editore, 2011 (atti del convegno di studi, Perugia, 10-11 giugno 2010), pp. 261-269.

Belardi, Menchetelli 2011P. Belardi, V. Menchetelli, L’architettura della Perugia postunitaria 1861-1911. Dalla città aristocra-tica alla città borghese, in F.F. Mancini (a cura di), Il Palazzo Cesaroni di Perugia, Perugia, Quattro-emme, 2011, pp. 35-52.

Diderot 2011D. Diderot, Prospectus dell ’Encyclopédie o Dizionario Ragionato delle Scienze, delle Arti e dei Mestieri, Bari, Modugno, Arti Grafiche Favia, 2011.

Greco 2011A. Greco, Guglielmo Calderini e l ’architettura del palazzo, in F.F. Mancini (a cura di), Il Palazzo Cesaroni di Perugia, Perugia, Quattroemme, 2011, pp. 53-82.

Mancini 2011F.F. Mancini (a cura di), Il Palazzo Cesaroni di Perugia, Perugia, Quattroemme, 2011.

Mezzadria 2012Mezzadria, in Economia e finanza, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2012, vol. 2, sub vocem.

Belardi, Martini 2013P. Belardi, L. Martini, Giovanni Santini (1802-1868), in P. Belardi, S. Bori (a cura di), 1861-1939 L’architettura della Perugia postunitaria, Perugia, EFFE Fabrizio Fabbri Editore, 2013, pp. 124-139.

Menchetelli 2013V. Menchetelli, Nazareno Biscarini (1835-1907), in P. Belardi, S. Bori (a cura di), 1861-1939 L’ar-chitettura della Perugia postunitaria, Perugia, EFFE Fabrizio Fabbri Editore, 2013, pp. 170-183.

Giommi, Vaquero, in corso di stampaF. Giommi, M. Vaquero Piñeiro, Nobiltà e collezionismo in Umbria alla fine del XIX secolo: la famiglia Cilleni Nepis, in “Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria”, CX, 2013, in corso di stampa.

Fonti manoscritteFilarete [1465]Filarete, Trattato di architettura, Firenze, [1465], Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ms. II,I, 140.

Piccolpasso 1579C. Piccolpasso, Il primo libro delle piante et ritratti delle città e terre dell ’Umbria sottoposte al governo di Perugia co suoi discorsi apresso et relationi a luogo per luogo hora rimesse insieme da Cipriano Piccolpasso della terra di Durante, Perugia, 1579, Biblioteca Augusta di Perugia, ms. 3064.

IV

Compendio

La Costruzione Pratica e l’Architettura RuraleCompendio delle lezioni date nella R. Università di Pisa dal

Prof. Guglielmo Calderini Anno Accademico 1885-1886

153

155

157

158

159

160

161

162

163

164

165

166

167

168

169

170

171

172

173

174

175

176

177

178

179

180

181

182

183

184

185

186

187

188

189

190

191

192

193

194

195

196

197

198

199

200

201

202

203

204

205

206

207

208

209

210

211

212

213

214

215

216

217

218

219

220

221

222

223

224

225

226

227

228

229

230

231

232

233

234

235

236

237

238

239

240

241

242

243

244

245

246

247

248

249

250

251

252

253

254

255

256

257

258

259

260

261

262

263

264

265

266

267

268

269

270

271

272

273

274

275

276

277

278

279

280

281

282

283

284

285

286

287

288

289

290

291

292

293

294

295

296

297

298

299

300

301

302

303

304

305

306

307

308

309

310

311

312

313

314

315

316

317

318

319

320

321

322

323

324

325

326

327

328

329

330

331

332

333

334

335

336

337

338

339

340

341

342

343

344

345

346

347

348

349

350

351

352

353

354

355

356

357

358

359

360

361

362

363

364

365

366

367

368

369

370

371

372

373

374

375

376

377

378

379

380

381

382

383

384

385

386

387

388

389

390

391

392

393

394

395

396

397

398

399

400

401

402

403

404

405

406

407

408

409

410

411

412

413

414

415

416

417

418

419

420

421

422

423

424

425

426

427

428

429

430

431

432

433

434

435

436

437

438

439

440

441

442

443

444

445

446

447

448

449

450

451

452

453

454

455

456

457

458

459

460

461

462

463

464

465

466

467

468

469

470

471

472

473

474

475

476

477

478

479

480

481

482

483

484

485

486

487

488

489

490

491

492

493

494

495

496

497

498

499

500

501

502

503

504

505

506

507

508

509

510

511

512

513

514

515

516

517

518

519

520

521

522

523

524

525

526

527

528

529

530

531

532

533

534

535

536

537

538

539

540

541

542

543

544

545

546

547

548

549

550

551

552

553

554

555

556

557

558

559

560

561

562

563

564

565

566

567

568

569

570

571

572

573

574

575

576

577

578

579

580

581

582

583

584

585

586

587

588

589

590

591

592

593

594

595

596

597

598

599

600

601

602

603

604

605

606

607

608

609

610

611

612

613

614

615

616

617

618

619

620

621

622

623

624

625

626

627

628

629

630

631

632

633

634

635

636

637

638

639

640

641

642

643

644

645

646

647

648

649

650

651

652

653

654

655

656

657

658

659

660

661

662

663

664

665

666

667

668

669

670

671

672

673

674

675

676

677

678

679

680

681

682

683

684

685

686

687

688

689

695

696

697

698

699

700

701

702

703

704

705

706

707

708

709

710

711

712

713

714

715

716

717

718

719

720

721

722

723

724

725

726

727

728

729

730

731

732

733

734

735

736

737

738

739

740

741

742

743

744

745

746

747

748

749

Finito di stampare nel mese di novembre 2013presso la CMF di Foligno (PG)