La corona infangata: sovranità e marginalità del poeta in Heine e Baudelaire

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TRA DENUNCIA E UTOPIA

a cura di

no cog

Impegno, critica e polemicanella letteratura tedesca moderna

a cura di

M. Bonifazio, N. Centorbi, A. Schininà

STUDI IN ONORE DI GIUSEPPE DOLEI

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© Copyright 2010Editoriale Artemide s.r.l.

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CopertinaLucio Barbazza

IN COPERTINA:Acquerello di Angelo Rosa

Finito di stampare nel mese di maggio 2010da Digital Print Service, Via Torricelli, 9 - Segrate (MI)

ISBN 978-88-7575-105-0

È vietata la riproduzione – anche parziale e con qualsiasi mezzo effettuata, compresala copia fotostatica – senza la preventiva autorizzazione scritta della Casa Editrice

La concezione dell’opera, la stesura dell’introduzione e il lavoro di curatelasono stati condivisi unitariamente dai curatori in tutte le loro fasi.

Questo volume viene pubblicato con il contributo del Dipartimento di Filologia Moderna dell’Università degli Studi di Catania.

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7 Introduzione

17 MARCO RISPOLI

La corona infangata. Sovranità e marginalità del poeta in Heine e Baudelaire

35 LUCA CRESCENZI

Note sulla questione filosofica della forma letteraria in Friedrich Nietzsche

47 ELISABETH GALVAN

Mito e presente. La rappresentazione della storia nei romanzi di Marie Luise Kaschnitz Liebe beginnt e Elissa

61 NADIA CENTORBI

“Come un caduto cherubo”: Annemarie Schwarzenbach in esiliovolontario

79 DARIA SANTINI

Umanesimo e stile mitico nella leggenda Der begrabene Leuchterdi Stefan Zweig

95 CONCETTA SIPIONE

Tra Medioevo e (Post)Moderno: la leggenda di Gregorio in Der Erwählte di Thomas Mann

119 LUCIA PERRONE CAPANO

Scrivere sulle macerie. La realtà del dopoguerra in Ferdinand, der Mann mit dem freundlichen Herzen (1950) di Irmgard Keun

135 FRANCESCA TUCCI

Brecht, Stanislavskij e la politica culturale della DDR

INDICE

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155 EMILIA FIANDRA

Il processo alla bomba. Kipphardt e Oppenheimer a confronto

171 VALENTINA DI ROSA

Teatro di guerra. Berlino o l’agonia dell’Europa secondoIngeborg Bachmann

197 KARIN SPILLER

La letteratura come indicatore del grado di libertà.Considerazioni su Günter Kunert e il suo rapporto con la RDT

211 MASSIMO BONIFAZIO

La poesia contro il potere: Volker Braun, L’Africa più interna

225 BEATRICE TALAMO

Una doppia riabilitazione necessaria: Medea e Christa Wolf

241 PAOLA GHERI

Per una poetica del quotidiano in Christa Wolf.Appunti su Donnerstag, 27. September 2001

251 ALESSANDRA SCHININÀ

Recupero della memoria storica e denuncia del presente. La scrittura di Elfriede Jelinek

267 Bibliografia di Giuseppe Dolei

271 Omaggio a Giuseppe Dolei

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Cosa legittima lo scrittore moderno a interagire, in modospesso conflittuale, con il potere, e a esercitare così un suo au-tonomo potere? Quale principio gli conferisce l’autorità e la for-za necessarie? Dio? Oppure il popolo? La verità? La bellezza? Co-s’altro ancora? La questione può essere risolta in molti modi, ilche significa che è destinata a rimanere fondamentalmente irri-solta.

La mancanza di certezze al riguardo ha con ogni probabilitàcontribuito a rendere tanto più necessario e urgente ribadire l’au-torità dello scrittore: per determinare la sua posizione nel mon-do diventa allora frequente, nelle riflessioni estetiche dell’Otto-cento e del primo Novecento, il paragone con il sovrano, a sug-gerire così l’esistenza di una relazione di analogia e, al contem-po, di concorrenza tra il potere materiale e quello spirituale.Per trovare tracce di questo fenomeno non è necessario pensareall’immagine di Goethe come Dichterfürst o all’idea di un Dich-ter als Führer diffusa nel George-Kreis, o ancora a quella me-tafora dello scrittore come principe che, annunciata già in TonioKröger, viene poi sviluppata da Thomas Mann nel suo secondoromanzo, Altezza reale. L’analogia tra scrittore e sovrano si può ritrovare anche in autori che, nei confronti delle autorità tradizionali, avevano uno sguardo assai critico, come HeinrichHeine:

Solchen Dichter von der GnadeGottes nennen wir Genie:Unverantwortlicher KönigDes Gedankenreiches ist er.

Nur dem Gotte steht er Rede,Nicht dem Volke – In der Kunst,

LA CORONA INFANGATA.SOVRANITÀ E MARGINALITÀ DEL POETA

IN HEINE E BAUDELAIRE

Marco Rispoli

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Wie im Leben kann das VolkTödten uns, doch niemals richten1.

Chi è poeta per divinagrazia, quegli è solo il Genio:è il Sovrano irresponsabiledel reame del pensiero.

Solo a Dio risponde, e nulladeve al volgo, che nell’arte,come in vita, calpestareci potrà, non giudicare2.

In questi versi, dedicati a Jehuda ben Halevy e pubblicati nel Ro-manzero (1851), trova pieno compimento il proposito di svincolare ilpoeta da ogni mandato terreno, riattingendo per la legittimazione delsuo ruolo a quella grazia divina su cui tradizionalmente si fondava ilpotere del sovrano. Nell’opera di Heine un simile orientamento si ma-nifesta però già in precedenza, in modo particolarmente problematiconel corso del suo confronto polemico con Ludwig Börne.

Posto cronologicamente a mezza via in una carriera letteraria co-minciata nei primi anni Venti e terminata nel 1856, il Memoriale cheHeine dedica nel 1840 al rivale costituisce, ben al di là dell’occasio-ne polemica che ne determinò la genesi3, non solo uno dei testi piùalti dello scrittore, come ben aveva visto Thomas Mann4, ma ancheuna delle più importanti riflessioni da lui condotte circa la propria

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1 HEINRICH HEINE, Historisch-kritisch Gesamtausgabe der Werke, hrsg. von Manfred Wind-fuhr et al., Hamburg 1973-1997, Bd. 3/1, p. 135. Le opere di Heine sono citate da questa edi-zione (la cosiddetta edizione critica di Düsseldorf); il rimando viene in seguito indicato subitodopo la citazione, tra parentesi, con la sigla DHA seguita dal numero del volume e della pa-gina. Le lettere di Heine vengono invece riprese dall’altra grande edizione critica, la cosiddet-ta Säkularausgabe, e in questo caso il rimando sarà in nota.

2 HEINRICH HEINE, Romanzero, con versione italiana, guida e note di Giorgio Calabresi, Ba-ri 1953, p. 419.

3 Ludwig Börne. Eine Denkschrift (Ludwig Börne. Un memoriale) è l’opera con cui Heinereplica agli attacchi rivoltigli da Börne nei Briefe aus Paris (Lettere da Parigi) e in una recen-sione apparsa nel 1835 sul “Réformateur”. Tra i numerosi studi dedicati allo scontro polemicotra i due scrittori resta fondamentale PAOLO CHIARINI, Heine contra Börne ovvero Critica del-l’impazienza rivoluzionaria, in ID., Alle origini dell’intellettuale moderno. Saggio su Heine, Ro-ma 1987, pp. 45-95.

4 «Quel che amo di più nella sua opera è, di gran lunga, il libro su Börne. Come scrittoree come psicologo del mondo non fu mai alla stessa altezza, non fui mai così avanti come inquel libro» (THOMAS MANN, Gesammelte Werke in dreizehn Bänden, Frankfurt am Main 1974,Bd. X, p. 839).

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Heinrich Heine

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condizione intellettuale. In questo senso, il libro non è significativosoltanto se si resta nell’ambito dell’opera di Heine: anche alla lucedella particolare posizione da lui occupata nella storia letteraria – do-ve appare di volta in volta come un discendente dal romanticismo eun precursore del decadentismo, un erede dell’illuminismo e un an-ticipatore di Nietzsche – si può avanzare la ragionevole ipotesi se-condo cui nel confronto di Heine con il rivale e con la Parigi del tem-po emerga un nodo centrale nella riflessione che la poesia modernaha dedicato a sé stessa.

La vicenda di Börne poneva d’altronde in rilievo alcuni aspettiproblematici nella condizione dello scrittore rimasto orfano di qual-siasi certezza metafisica: il suo tentativo di farsi portavoce di interes-si generali, l’ostilità mostrata nei suoi confronti dalle autorità, l’esilio,il culto e la «beatificazione»5 di cui fu oggetto subito dopo la morte:tutto ciò spingeva a interrogarsi su quale fosse il ruolo dello scritto-re alla fine del «periodo artistico», su quali dovessero essere i rapporticon il proprio pubblico, con il potere, e su quale potesse essere lasua legittimazione. Se questo aspetto centrale del libro di Heine nonè apparso subito evidente, ciò è dovuto con ogni probabilità nonsoltanto al contesto polemico in cui il testo si colloca, che ne condi-zionò pesantemente la ricezione6, ma anche e soprattutto al caratte-re ambivalente che al suo interno possiedono le riflessioni sulla poe-sia e sul ruolo del poeta, ciò che fa dell’opera in questione un casoesemplare di quella «estetica del contrasto» che caratterizza l’interaproduzione letteraria dell’autore7. Costruito sul contrasto tra l’orgo-gliosa coscienza della propria autonomia e autorità intellettuale daun lato e la pessimistica consapevolezza della propria marginalità so-ciale dall’altro, il testo di Heine esibiva senza illusioni la malcerta

5 Così Heine stesso, nel 1837, commenta il culto che si andava sviluppando nel pubblicotedesco all’indomani della morte del rivale: «Börne sembra venire beatificato dai tedeschi» (HEINRICH HEINE, Werke, Briefwechsel, Lebenszeugnisse, Säkularausgabe hrsg. von der StiftungWeimarer Klassik und dem Centre National de la Recherche Scientifique in Paris, Berlin/Paris1970 ff., Bd. 21, p. 221). Sul culto di cui fu oggetto Börne vedi WULF WÜLFING, »In weiten Bahnenzieht der leuchtende Genius«. Zur Rhetorik der Dichterverehrung im 19. Jahrhundert am Beispielvon Ludwig Börne und Berthold Auerbach, in Verehrung, Kult, Distanz. Vom Umgang mit demDichter im 19. Jahrhundert, hrsg. von Wolfgang Braungart, Tübingen 2004, pp. 203-218.

6 Riguardo alla ricezione del libro su Börne vedi PETER UWE HOHENDAHL, Talent oder Cha-rakter: Die Börne-Heine-Fehde und ihre Nachgeschichte, in “Modern Language Notes”, 95(1980), pp. 607-626; JOHANNES WEBER, Libertin und Charakter. Heinrich Heine und Ludwig Bör-ne im Werturteil deutscher Literaturgeschichtsschreibung 1840-1918, Heidelberg 1984.

7 Al proposito cfr. GERHARD HÖHN, »Sauerkraut mit Ambrosia«. Heines Kontrastästhetik, in“Heine-Jahrbuch”, 48 (2009), pp. 1-27.

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condizione dello scrittore moderno. Perché, nel prendere le distan-ze da chi, come Börne, intendeva il proprio ruolo come quello di untribuno del popolo, Heine faceva certo propri alcuni motivi caratte-ristici nel culto ottocentesco del genio poetico e della sua sovranità8;e tuttavia non mancava poi di mostrare come questa presunta rega-lità del poeta non potesse venire esercitata o esibita nella modernametropoli, come anzi essa dovesse capovolgersi nella condizione diun reietto. Il suo testo diventava in questo modo inservibile perchiunque avesse voluto saldamente riaffermare l’autorità di un poe-ta inteso di volta in volta come sovrano, giudice, profeta (una tenta-zione che non appare infrequente negli scrittori delle generazionisuccessive, da Gabriele D’Annunzio a Stefan George, fino a KarlKraus). Il testo di Heine costituisce piuttosto la premessa per lo svi-luppo di una assai problematica consapevolezza del proprio ruolo,per l’addensarsi di sentimenti contrastanti, come orgoglio, vergognae incertezza riguardo al proprio mandato.

Davanti al contrasto che caratterizza il testo non avrebbe dunquesenso chiedersi se in esso finiscano per dominare gli inni in onore diuna genialità poetica celebrata come «una sorta di regalità» (DHA 11,129) o se invece prevalgano i toni elegiaci per un mondo che non ri-conosce più alcuna autorità al poeta, vedendovi al massimo un «tra-sognato cortigiano di oziosi ideali» (DHA 11, 120), perché l’una cosaè correlata all’altra. Anziché voler risolvere in chiave ottimistica opessimistica un’ambivalenza che è intrinseca al testo, è più opportu-no osservare come operi Heine per rappresentare autorità e margi-nalità del poeta e come dall’una si passi all’altra.

La riflessione sul ruolo dello scrittore e sui suoi rapporti con il po-tere si snoda lungo tutto il testo, ed è d’altronde il pensiero domi-nante in tutti gli scritti che compongono la querelle, tanto che l’inte-ra vicenda è apparsa riconducibile alla faticosa nascita di quel «cam-po letterario» autonomo che, secondo Pierre Bourdieu, segna unatappa fondamentale nella storia della letteratura moderna9. Tuttavia

8 Per alcuni esempi del culto del poeta nell’Ottocento tedesco, si vedano gli studi riunitiin BRAUNGART, Verehrung, Kult, Distanz, cit.

9 Sulla nascita di questo spazio ideale vedi PIERRE BOURDIEU, Les règles de l’art. Genèse etstructure du champ littéraire, Paris 1992 (trad. it. di Anna Boschetti ed Emanuele Bottaro, Leregole dell’arte. Genesi e struttura del campo letterario, Milano 2005). Per un’interpretazionedello scontro basata sulle teorie di Bourdieu vedi MARKUS JOCH, Bruderkämpfe. Zum Streit umden intellektuellen Habitus in den Fällen Heinrich Heine, Heinrich Mann und Hans MagnusEnzensberger, Heidelberg 2000, pp. 25-144.

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è il quinto e ultimo libro della Denkschrift a compendiare il con-fronto che si è sviluppato fino a quel momento. Questa ultima partesi apre con un brano ripreso da De l’Allemagne, in cui Heine riflettesull’isolamento degli intellettuali tedeschi animati da sentimenti rivo-luzionari. Nella loro solitudine, relegati nei più «remoti angoli dellaGermania» (DHA 11, 113), gli scrittori della generazione precedenteerano sottoposti alle più bieche angherie da parte di aristocrazia eclero. Essi possedevano però la facoltà di superare il proprio isola-mento e di liberarsi idealmente dei gioghi del potere materiale, invirtù di una «istintiva simpatia» che li portava a reagire in modo con-gruo ai grandi avvenimenti storici: simili a «quelle grandi conchiglie»(DHA 11, 113) al cui interno risuonano ancora le onde del mare, gliscrittori tedeschi, pur non avendo precise informazioni sugli eventi,erano secondo Heine in grado di sentire l’importanza di quel che an-dava succedendo, dandone conto nei propri scritti.

Il contrasto, dapprincipio appena accennato, tra i condiziona-menti esercitati dalle autorità e una sensibilità intellettuale imper-meabile a qualsiasi prepotenza viene quindi ripreso da Heine, là do-ve egli si volge agli scrittori della propria generazione. La loro sortenon è dissimile da quella dei predecessori: l’esilio, la prigionia, la mi-seria, la follia e la morte sono i più frequenti approdi dell’esperienzaintellettuale nelle terre tedesche. Anche in questo caso, però, Heinecontrappone alla segregazione degli intellettuali e ai soprusi del po-tere materiale una facoltà dell’animo che permetterebbe di superarele distanze e la miseria tedesca: si tratta di «quella mirabile ricettività,quella involontaria empatia, quella malattia dell’animo che si trovanei poeti e che non sappiamo definire con un nome preciso» (DHA11, 116). L’isolamento e la sventura vengono dunque nuovamentecontrapposti a una sensibilità che è in grado di superare i vincoliesercitati dalle autorità e dalla natura, ponendo lo scrittore al di so-pra di ogni condizionamento. Solo che, in questo secondo passag-gio, una simile facoltà non appare più come una caratteristica gene-rica degli scrittori, ma è riservata ai «poeti». Il tema iniziale viene dun-que a essere variato in modo tale da anticipare la riflessione che sisviluppa poco oltre, là dove Heine distingue tra «carattere» e «poeta»:riprendendo le critiche che qualche anno prima gli erano state rivol-te da Börne, Heine per molti versi riconosce come in effetti sia pos-sibile distinguere tra scrittori di «carattere», che appaiono coerenti ecomprensibili alla massa, e poeti che allo sguardo del grande pub-blico appaiono affetti da «incoerenza» e «mancanza di carattere»

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(DHA 11, 120). Solo che la gerarchia proposta da Börne e dai suoiseguaci viene capovolta: ciò che appare come «carattere» è in realtàper Heine «una visione dell’esistenza più superficiale e più angusta»,mentre quel che alla folla appare come arbitrio e incoerenza è inrealtà segno della maggiore libertà di alcuni «spiriti elevati» (DHA 11,120). Nel momento in cui ribalta i termini della questione e rigetta iltentativo di trovare legittimazione alla propria attività letteraria fa-cendosi tetragono araldo delle masse, Heine non solo prende le di-stanze da Börne e dal suo ideale di uno scrittore «che si sacrifica peruna causa universale»10, ma corregge anche la propria concezione diun’attività letteraria in cui la poesia fosse soltanto una «bella cosa se-condaria»11 davanti alla necessità dell’impegno politico. Non che Hei-ne si fosse severamente attenuto, negli anni precedenti, al propositodi sacrificare il talento poetico in nome dell’engagement; il confron-to con Börne gli fornisce tuttavia un impulso decisivo per aggiorna-re la propria poetica12. Questo spostamento si traduce nella rivendi-cazione del carattere autonomo della poesia – «l’arte è lo scopo del-l’arte» scrive Heine in una lettera a Gutzkow del 183813 – e, soprat-tutto, nell’affermazione della sovranità del poeta. Ciò trovava espres-sione già qualche anno prima, nella Scuola romantica, nell’insistitoparallelo che Heine tracciava tra il panorama letterario tedesco e unamonarchia, là dove Goethe era ovviamente il re, «simile a quel LuigiXI che opprimeva l’alta aristocrazia e innalzava il tiers état» (DHA8/1, 150). Il paragone viene poi ripreso nel 1838, nell’Introduzioneal “Don Quixote”, là dove Heine individua nell’ostilità dei repubbli-cani verso qualsiasi forma di sovranità una conferma della affinità trail poeta e il re: «Gli allori di un grande poeta erano tanto invisi ai no-stri repubblicani quanto lo era la porpora di un grande re» (DHA 10,255). Ma è appunto nel libro su Börne che il tema viene a svolgereuna funzione centrale. Già nel primo libro, nella iniziale caratterizza-zione del rivale, il paragone riecheggia, sebbene in negativo, dal mo-mento che Börne non possiede agli occhi di Heine «quella recondi-ta maestà che si ritrova nel volto di un re o di un genio che mantie-ne l’incognito in mezzo alla folla» (DHA 11, 11-12). Nel quinto libro

10 LUDWIG BÖRNE, Sämtliche Schriften, hrsg. von Inge und Peter Rippmann, Düsseldorf1964-1968, Bd. 5, p. 120.

11 HEINE, Werke, Briefwechsel, Lebenszeugnisse, cit., Bd. 20, p. 62.12 Su questo cambiamento, che per alcuni versi sembra assecondare le accuse di Börne,

vedi JOCH, Bruderkämpfe, cit., pp. 128 ss.13 HEINE, Werke, Briefwechsel, Lebenszeugnisse, cit., Bd. 21, p. 292.

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14 La citazione di Heine («Der Dichter soll mit dem König gehen») è, a conferma del carat-tere ormai proverbiale che avevano assunto queste parole, imprecisa. Nel dramma di Schillersi legge: «Sie stellen herrschend sich den Herrschern gleich, / Aus leichten Wünschen bauensie sich Throne, / Und nicht im Raume liegt ihr harmlos Reich, / Drum soll der Sänger mit demKönig gehen, / Sie beide wohnen auf der Menschheit Höhen!» («Nel regnare si pongono ugua-li ai regnanti, / Con lievi desideri costruiscono troni, / e il loro puro regno non è nello spazio,/ perciò il cantore deve andare con il re, / entrambi dimorano sulle vette dell’umanità»). Cfr.FRIEDRICH SCHILLER, Sämtliche Werke, hrsg. von Peter André Alt, München 2004, Bd. 2, p. 704.

15 EMANUEL GEIBEL, Werke, hrsg. von Wolfgang Stammler, Leipzig/Wien 1918, Bd. 1, p. 32.16 JOSEPH VON EICHENDORFF, Werke, hrsg. von Ansgar Hillach, München 1970 ss., Bd. 1, pp. 76-77.

l’analogia viene ribadita a più riprese: «giacché la bellezza e il geniosono una sorta di regalità» (DHA 11, 129), scrive qui Heine, e pocooltre aggiunge che «nessun grande poeta può affermarsi senza la fe-de nell’autorità» (DHA 11, 130), riprendendo quel verso della Pulzel-la d’Orleans di Schiller che, ormai quasi come anonimo geflügeltesWort, volteggiava nella cultura del tempo: «Il poeta deve andare conil re» (DHA 11, 130)14.

Heine non sarebbe però quel grandissimo indagatore della mo-dernità che è stato, se si fosse limitato a riproporre con ingenua su-perbia questa analogia, magari in modo simile a quanto andavanofacendo, proprio in quel volgere di anni, alcuni poeti tedeschi: peresempio Emanuel Geibel, che in König Dichter (Poeta re, 1837) scri-veva «Der Dichter steht mit dem Zauberstab / Auf wolkigem Berges-throne […] // Und alles fügt sich ihm sogleich, / Will ihn als Königgrüßen»15 («Il poeta con la bacchetta magica / siede tra nubi sul tro-no dei monti […] // E ogni cosa gli si piega / e vuole salutarlo comesovrano»); oppure Joseph von Eichendorff, che in Wandernder Di-chter (Poeta viandante, 1840) celebrava il poeta e il suo potere, chenessun travestimento avrebbe potuto occultare: «Kein Dichter reistinkognito, / Der lust’ge Frühling merkt es gleich, / Wer König ist inseinem Reich»16 («Non vi è poeta che passi in incognito, / la gaia pri-mavera subito avverte / chi è il sovrano nel suo regno»). La regalitàdel poeta appare in Heine fin da principio minacciata. Come già av-veniva nell’Introduzione al “Don Quixote”, così anche nel Memoria-le dedicato a Börne la sovranità del poeta si manifesta proprio quan-do è destinata a svanire. Essa appare cioè nell’ambito di una pro-gnosi assai infausta riguardo alle sorti della poesia nella modernità:

Für die Schönheit und das Genie wird sich kein Platz finden in dem Ge-meinwesen unserer neuen Puritaner, und beide werden fletrirt und unter-drückt werden, noch weit betrübsamer als unter dem älteren Regimente.Denn Schönheit und Genie sind ja auch eine Art Königthum, und sie pas-

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sen nicht in eine Gesellschaft, wo jeder, im Mißgefühl der eigenen Mittel-mäßigkeit, alle höhere Begabniß herabzuwürdigen sucht, bis aufs banale Ni-veau.Die Könige gehen fort, und mit ihnen gehen die letzten Dichter. »Der Dich-ter soll mit dem König gehen«, diese Worte dürften jetzt einer ganz anderenDeutung anheimfallen. Ohne Autoritätsglauben kann auch kein großerDichter emporkommen. (DHA 11, 129-130)

Per la bellezza e il genio non ci sarà posto nella comunità dei nostri nuovipuritani, entrambi saranno scherniti e oppressi, peggio ancora che sotto ilprecedente regime. Giacché la bellezza e il genio sono una sorta di regalitàche mal si adatta a una società in cui ciascuno, insofferente della propria me-diocrità, cerca di abbassare al livello comune tutte le doti più alte.I re se ne vanno, e con loro se ne vanno gli ultimi poeti. «Il poeta deve an-dare col re»: queste parole potrebbero assumere un significato tutto diverso.Nessun grande poeta può affermarsi senza la fede nell’autorità17.

Dal passo qui citato è facile evidenziare come la celebrazione delpoeta di genio e della sua sovranità possegga tutti i sintomi di un fe-nomeno compensatorio, quasi a essere un tentativo per fronteggiarele critiche di «aristocratismo»18 e i timori per il futuro della propriapoesia. Ma per comprendere quanto profonda fosse in Heine la con-sapevolezza della propria marginalità, per osservare dunque la por-tata del contrasto tra la regalità e l’emarginazione del poeta nella mo-dernità ottocentesca, è opportuno fare riferimento a un passo prece-dente, in cui viene narrato un sogno.

Spesso, nell’opera di Heine, i sogni costituiscono il mezzo percreare un contrasto con la realtà diurna, mettendone in rilievo le am-bivalenze (si pensi qui al ruolo svolto dagli intermezzi onirici nelViaggio nello Harz). Anche in questo caso il brano assolve una sif-fatta funzione, creando uno stridente contrasto con la celebrazionedel carattere “ellenico” e della genialità poetica che si trova altrimentinel libro:

Gewöhnlich, in meinen Träumen, sitze ich auf einem Eckstein der Rue-Laf-fitte, an einem feuchten Herbstabend, wenn der Mond auf das schmutzigeBoulevardpflaster herabstralt mit langen Streiflichtern, so daß der Koth ver-goldet scheint, wo nicht gar mit blitzenden Diamanten übersät... Die vorü-bergehenden Menschen sind ebenfalls nur glänzender Koth: Stockjobbers,

17 HEINE, Ludwig Börne, cit., p. 201.18 Nella sua recensione a De l’Allemagne Börne aveva accusato Heine di un atteggiamen-

to incoerente che lo avrebbe portato a tradire la causa rivoluzionaria e a indulgere a un «mé-chant aristocratisme» (Cfr. BÖRNE, Sämtliche Schriften, cit., Bd. 2, p. 902).

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Spieler, wohlfeile Skribenten, Falschmünzer des Gedankens, noch wohlfei-lere Dirnen, die freylich nur mit dem Leibe zu lügen brauchen, satte Faul-bäuche, die im Café-de-Paris gefüttert worden und jetzt nach der Academie-de-Müsique hinstürzen, nach der Kathedrale des Lasters, wo Fanny Elßlertanzt und lächelt... Dazwischen rasseln auch die Karossen und springen dieLakayen, die bunt wie Tulpen und gemein wie ihre gnädige Herrschaft...Und wenn ich nicht irre, in einer jener frechen goldnen Kutschen sitzt derehemalige Zigarrenhändler Aguado, und seine stampfenden Rosse besprit-zen von oben bis unten meine rosarothen Trikotkleider... Ja, zu meiner ei-genen Verwunderung, bin ich ganz in rosarothen Trikot gekleidet, in ein so-genanntes fleischfarbiges Gewand, da die vorgerückte Jahrzeit und auch dasClima keine völlige Nacktheit erlaubt wie in Griechenland, bey den Ther-mopylen, wo der König Leonidas mit seinen dreyhundert Spartanern, amVorabend der Schlacht, ganz nackt tanzte, ganz nackt, das Haupt mit Blu-men bekränzt... Eben wie Leonidas auf dem Gemälde von David bin ichkostumirt, wenn ich in meinen Träumen auf dem Eckstein sitze, an der Rue-Laffitte, wo der verdammte Kutscher von Aguado mir meine Trikothosenbespritzt... Der Lump, er bespritzt mir sogar den Blumenkranz, den schönenBlumenkranz den ich auf meinem Haupte trage, der aber, unter uns gesagt,schon ziemlich trocken und nicht mehr duftet... Ach! es waren frische freu-dige Blumen, als ich mich einst damit schmückte, in der Meinung denanderen Morgen ginge es zur Schlacht, zum heiligen Todessieg für dasVaterland – – – Das ist nun lange her, mürrisch und müßig sitze ich an derRue-Laffitte und harre des Kampfes, und unterdessen welken die Blumenauf meinem Haupte, und auch meine Haare färben sich weiß, und meinHerz erkrankt mir in der Brust... Heiliger Gott! was wird einem die Zeit solange bey solchem thatlosen Harren, und am Ende stirbt mir noch derMuth... Ich sehe wie die Leute vorbeygehen, mich mitleidig anschaun undeinander zuflüstern: der arme Narr! (DHA 11, 116-117)

Di solito, nei miei sogni, me ne sto seduto su un paracarro all’angolo dallarue Laffitte, in una umida sera d’autunno, quando la luna illumina con lun-ghi fasci di luce lo sporco selciato dei boulevards, così che il fango sembravestirsi d’oro, quando non appare addirittura disseminato di lucidi diaman-ti… Anche le persone che passano non sono altro che fango lucente: spe-culatori di borsa, giocatori, pennivendoli a buon mercato, falsari del pensie-ro, prostitute ancora più a buon mercato (che, certo, hanno bisogno di men-tire solo con il corpo), ghiottoni satolli che si sono rimpinzati al Café de Pa-ris e adesso si precipitano all’Académie de Musique, la cattedrale del vizio,dove Fanny Elssler danza e sorride… In mezzo a questa folla passano stre-pitando carrozze e balzano lacché, variopinti come tulipani e volgari comele loro graziose signore… E se non sbaglio, in uno di quei pretenziosi attac-chi dorati siede l’ex commerciante di sigari Aguado, e i suoi scalpitanti ca-valli imbrattano da capo a piedi i miei abiti di maglia rosa… Sì, con miogrande stupore sono tutto vestito di maglia rosa, con un cosiddetto abito co-lor carne, giacché la stagione avanzata e il clima non permettono una nuditàcompleta come in Grecia alle Termopili, dove il re Leonida, alla vigilia dellabattaglia, danzò completamente nudo e il capo incoronato di fiori… Quan-

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do nei miei sogni siedo sul paracarro all’angolo della rue Lafitte, dove il ma-ledetto cocchiere di Aguado imbratta i miei pantaloni di maglia, sono trave-stito proprio come Leonida nel quadro di David… quel briccone mi imbrat-ta persino la corona di fiori, la bella corona di fiori che porto sul capo, mache – detto fra noi – è già abbastanza appassita e non profuma più… Ahimè!Erano fiori freschi e gioiosi quando me ne ornai un giorno, pensando che ilgiorno successivo ci sarebbe stata battaglia, la santa e vittoriosa morte per lapatria… È trascorso molto tempo da allora, adesso son seduto all’angolo del-la rue Laffitte e attendo lo scontro, mentre – frattanto – i fiori si inaridisconosul mio capo e il cuore mi si ammala in petto… Santo Dio! Come diventa in-terminabile il tempo in questa attesa inoperosa, e alla fine sparisce anche ilcoraggio… Io vedo la gente passare, guardarmi con compassione e mor-morarsi l’un l’altra: «Povero matto!»19.

La narrazione di questo sogno si staglia in modo affatto peculiareall’interno del confronto polemico tra Heine e Börne20. Il brano con-sente diversi piani di lettura: il riferimento alla «rue Laffitte», dove ri-sedette Börne negli ultimi anni di vita, così come l’evocazione di«pennivendoli a buon mercato, falsari del pensiero» rimanda senzadubbio al contesto polemico e all’ostilità di Heine verso il giornali-smo scandalistico che di frequente prendeva di mira la sua persona;e la scelta di parodiare il culto della virtù e del valore dell’anticaSparta, diffuso tra i repubblicani fin dai tempi della Rivoluzione fran-cese, va letta come un’ulteriore allusione polemica agli avversari diquegli anni. A ritrovarsi in quelle spoglie è però la proiezione oniri-ca di Heine, e non l’avversario: la situazione grottesca tratteggiatacon queste immagini, la vana attesa del protagonista nel suo ridico-lo costume da greco antico consentono dunque di leggere il branocome una implicita critica alla posizione occupata dallo stesso Heine

19 HEINE, Ludwig Börne, cit., pp. 185-186.20 Accanto ai commenti delle edizioni critiche, che si limitano per lo più a fornire indica-

zioni sull’ambientazione del sogno, si veda soprattutto l’appassionato commento del branocontenuto nel libro di KLAUS BRIEGLEB, Opfer Heine? Versuche über Schriftzüge der Revolution,Frankfurt a. M. 1986, pp. 281-292. Si vedano inoltre JAKOB HESSING, Der Traum und der Tod:Heinrich Heines Poetik des Scheiterns, Göttingen 2005, pp. 125-127 (dove il sogno viene lettoall’insegna di un sentimento di rassegnazione che avvicinerebbe Heine a Börne); MARCO RI-SPOLI, Parole in guerra. Heinrich Heine e la polemica, Macerata 2008, pp. 243-244; e soprattut-to JÜRGEN BRUMMACK, Zweifaches Exil: Über die Schwierigkeiten der Deutschen mit ihrem Heine,in Humanität in einer pluralistischen Welt? themengeschichtliche und formanalytische Studienzur deutschsprachigen Literatur: Festschrift für Martin Bollacher, hrsg. von Christian Kluweund Jost Schneider, Würzburg 2000, pp. 73-90, in particolare pp. 86-87, là dove Brummack,confermandosi uno dei più attenti interpreti dell’opera di Heine, rileva come attraverso la scur-rile ambientazione del sogno si crei uno stridente contrasto con l’orgogliosa affermazione del-la propria autorità poetica.

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in questo scontro, come una parodia di quell’ideale “ellenico” cheegli altrimenti, in questo libro, contrappone al moralismo “nazareno”di Börne: si ha insomma a che fare con la palinodia di quel militan-te sensualismo con cui Heine per molti versi provò a coniugare le ra-gioni della rivoluzione con le esigenze della bellezza e della gioia, ela scelta di un re guerriero intento a danzare (un dettaglio, questo,che non trova corrispondenza nel quadro di David cui Heine riman-da) sembra voler fornire rappresentazione proprio di questa sintesi edel suo carattere anacronistico, del suo fallimento. Il rimando allapittura di David e alla rappresentazione artistica dell’antichità grecadiviene poi interpretabile come una riflessione sull’inadeguatezzaestetica dei modelli classici di fronte alla moderna società. La pecu-liare ambientazione parigina invita inoltre a leggere qui una criticaalla società del juste milieu, quale Heine è altrimenti solito praticarenelle sue corrispondenze dalla capitale francese: la strada in cui èambientato il sogno, che ospitava le dimore di Rothschild e dellostesso Laffitte, e il riferimento al banchiere Aguado rimandano aun’aristocrazia del denaro che, con il suo mecenatismo, limita la pre-sunta autonomia dell’arte.

Il carattere straordinario di questo brano rifulge tuttavia proprionella compresenza di questi disparati elementi, nel fitto intreccio del-le diverse letture possibili: Heine tratteggia un’immagine della mo-dernità parigina in cui si addensano spunti di critica politica, sociale,estetica. E al centro del quadro, in mezzo a un’umanità resa deformedalle logiche del mercato, sta il poeta, osservatore che a sua volta èosservato e compatito dalla folla dei passanti. Ancora non è privodelle insegne della sua regalità, ma la ghirlanda, ormai appassita, ap-pare un residuo del passato, indifendibile dal traffico della metropo-li. Il motivo della corona di fiori, del suo deteriorarsi o addirittura delsuo smarrimento, si ritrova ancora, in Heine, con la lirica Waldein-samkeit (Solitudine della selva), nella rammemorazione della perdu-ta poesia del romanticismo:

Ich hab’ in meinen JugendtagenWohl auf dem Haupt einen Kranz getragen; Die Blumen glänzten wunderbar, Ein Zauber in dem Kranze war.

Der schöne Kranz gefiel wohl allen, Doch der ihn trug hat manchem mißfallen; Ich floh den gelben Menschenneid, Ich floh in die grüne Waldeinsamkeit. (DHA 3/1, 79)

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Negli anni più giovani de la mia vitaportavo una bella ghirlanda fioritain capo, di splendidi fiori sgargianti, in cui si celavano magici incanti.

La bella ghirlanda piaceva ad ognuno,ma chi la portava spiaceva a più d’uno.Il giallo livore dell’uomo fuggivo,nel verde del bosco solingo sparivo21.

In questa tarda lirica tratta dal Romanzero Heine intona un’elegiasullo smarrimento della ghirlanda, insegna regale di poesia e giovi-nezza, senza tuttavia spiegare come ciò sia avvenuto: «Der Kranz istmir vom Haupt genommen, / Ich weiß es nicht, wie es gekommen»(DHA 3/1, 83) («La bella ghirlanda di fiori mi venne / strappata, néseppi giammai come avvenne»22). Nel sogno narrato in Ludwig Bör-ne è invece possibile osservare con precisione il momento in cui lacorona, ormai già vizza, viene a essere infangata e il poeta, che nonpuò più fuggire nella solitudine della selva, è costretto a dividere ilmarciapiede fangoso della moderna metropoli con un’umanità pron-ta a vendersi a buon mercato. La insegna della regalità della poesiadiventa in un simile contesto elemento di una mascherata risibile edisperata.

«Non mandate nessun poeta a Londra!» (DHA 7/1, 214). Così ave-va scritto Heine negli englische Fragmente, e sembrerebbe possibileaffermare lo stesso a proposito di Parigi, quasi che la poesia debbastare alla larga dalle metropoli e dalla modernità. Proprio il soggior-no a Parigi permette tuttavia a Heine di aggiornare la tradizionale im-magine del poeta che regna sovrano sulla natura, di proiettare – nel-l’immagine di una anacronistica regalità che agli occhi degli altri ap-pare come follia – un ritratto impietoso del poeta moderno. Glischizzi di fango che ne imbrattano il costume e la corona sono quiun oltraggio tanto maggiore, quanto più esso appare accidentale einvolontario: il fango non è più la metafora di quella stampa che in-sudicia il nome del grande poeta con scandalose rivelazioni sulla«sua vita privata», ma della folla e dell’indifferenza con cui la grandecittà guarda al poeta.

21 HEINE, Romanzero, cit., p. 277.22 Ivi, p. 285.

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Il quadro disegnato da Heine è allora preludio al mondo diBaudelaire23. Anche Baudelaire aveva dapprincipio rappresentatola maestà del poeta, celebrando nella poesia Benediction la sua«mistica corona»24. Ciò che sembrerebbe rendere il poeta simile aun «re dell’azzurro», a un «principe delle nubi»25 – come Baudelai-re scrive nell’Albatros – è tuttavia proprio ciò che lo costringe a unruolo marginale sulla terra, esponendolo a molteplici traumi nellamoderna metropoli. Alla luce del contrasto delineato fin dalle pri-me poesie programmatiche, non stupisce che nei testi più tardi diBaudelaire la coscienza del proprio ruolo e la sua rappresentazio-ne vengano a trasformarsi. Le violente esperienze nella grandecittà impongono al poeta il bisogno di spogliarsi di quelle insegneche ne caratterizzavano la maestà, in modo da mantenere l’inco-gnito e mimetizzarsi nel mezzo di un’umanità marginale. Questoprocesso trova rappresentazione nel poema in prosa Perted’auréole (Perdita d’aureola, 1865), contenuto nello Spleen de Pa-ris, dove il poeta racconta:

Mon cher, vous connaissez ma terreur des chevaux et des voitures. Tout àl’heure, comme je traversais le boulevard, en grande hâte, et que je sautillaisdans la boue, à travers ce chaos mouvant où la mort arrive au galop de tousles côtés à la fois, mon auréole, dans un mouvement brusque, a glissé de matête dans la fange du macadam. Je n’ai pas eu le courage de la ramasser. J’aijugé moins désagréable de perdre mes insignes que de me faire rompre lesos. Et puis, me suis-je dit, à quelque chose malheur est bon. Je puis mainte-nant me promener incognito, faire des actions basses, et me livrer à la cra-pule, comme les simples mortels. Et me voici, tout semblable à vous, com-me vous voyez!26

23 Sulle affinità e le differenze tra i due poeti esiste una buona letteratura critica, al cui in-terno spiccano BRIEGLEB, Opfer Heine?, cit., in particolare pp. 149-151, e DOLF OEHLER, Pariser Bil-der 1 (1830-1848): Antibourgeoise Ästhetik bei Baudelaire, Daumier und Heine, Frankfurt a. M.1979. Tra gli studi più brevi, votati all’analisi di singoli motivi o singoli testi, e per lo più concor-di nell’osservare come le affinità presenti nella prosa e in generale nelle posizioni di estetica tro-vino conferma solo parziale nella lirica dei due autori, vedi PAUL PETERS, Die Modernen vor denletzten Dingen: Heines Bimini, Baudelaires Voyage, in «Dichter Unbekannt». Heine lesen heute. Internationales Heine-Symposium, Bonn, Mai 1997, hrsg. von Dolf Oehler und Karin Hempel-Soos, Bonn 1998, pp. 125-152; DOLF OEHLER, Heine, Baudelaire, Nietzsche: Zur Poetik der Unbotmäßigkeit, ivi, pp. 153-175; GERT SAUTERMEISTER, Heine und Baudelaire – eine vergleichen-de Lektüre, in Nachmärz. Der Ursprung der ästhetischen Moderne in einer nachrevolutionärenKonstellation, hrsg. von Thomas Koebner und Sigrid Weigel, Opladen 1996, pp. 43-78.

24 CHARLES BAUDELAIRE, Œuvres complètes, a cura di Claude Pichois, Paris 1975, vol. I, p. 9.25 Ibid.26 Ivi, p. 352.

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Mio caro, voi conoscete il terrore che ho dei cavalli e delle carrozze. Pocofa, mentre attraversavo di gran premura il boulevard, e saltellavo nella mel-ma, in mezzo a questo caos frenetico dove la morte accorre al galoppo datutte le parti in un sol tempo, la mia aureola, a un movimento brusco, mi èscivolata di testa nella fanghiglia del macadam. Non ho avuto il coraggio diraccoglierla. Ho giudicato meno orribile perdere le mie insegne che farmispezzare le ossa. E poi, mi sono detto, non tutto il male viene per nuocere.Ora posso andarmene in giro in incognito, compiere le azioni più vili, as-servirmi alla crapula come i semplici mortali. E come vedete, eccomi qua, intutto eguale a voi27.

Riprendendo le osservazioni di Walter Benjamin28, la critica haampiamente rilevato il valore emblematico che possiede l’aneddoto,tanto da vedervi una «scena primaria della modernità»29. Meno evi-dente è apparso il fatto che il sogno di Heine costituisce un’antici-pazione di questo celebre testo. Eppure, nonostante alcune differen-ze (la corona di fiori è qui un’aureola, che non viene inzaccheratadallo schizzo di una carrozza, ma cade nel fango), la situazione èanaloga: le insegne della regalità poetica vengono a essere infanga-te in una banale scena di vita cittadina, quasi che non possano resi-stere al traffico della metropoli. La differenza più significativa consi-ste nella diversa reazione del poeta. Il rassegnato sdegno provato dalprotagonista del sogno heiniano si trasforma, nel testo di Baudelai-re, nella serena disinvoltura con cui il poeta risponde alla preoccu-pazione dell’interlocutore:

– Vous devriez au moins faire afficher cette auréole, ou la faire réclamer parle commissaire.– Ma foi! non. Je me trouve bien ici. Vous seul, vous m’avez reconnu.D’ailleurs la dignité m’ennuie. Ensuite je pense avec joie que quelque mau-vais poëte la ramassera et s’en coiffera impudemment. Faire un heureux,quelle jouissance! et surtout un heureux qui me fera rire! Pensez à X, ou Z!Hein! comme ce sera drôle!

27 CHARLES BAUDELAIRE, Opere, a cura di Giovanni Raboni e Giuseppe Montesano, Milano1996, pp. 461-462.

28 Cfr. WALTER BENJAMIN, Gesammelte Schriften, hrsg. von Rolf Tiedemann und HermannSchweppenhauser, Frankfurt a. M. 1974, Bd. I.2, pp. 650-653.

29 Così MARSHALL BERMAN, All That Is Solid Melts Into Air: The Experience of Modernity, NewYork 1982, p. 159 (tr. it. di Valeria Lalli, Esperienze della modernità, Bologna 1985). Sul signi-ficato del testo nell’opera di Baudelaire cfr. l’importante saggio di IRVING WOHLFAHRT, Perted’Auréole: The Emergence of the Dandy, in “Modern Language Notes”, 85 (1970), pp. 529-571.Per un’indagine del brano nel contesto della modernità letteraria vedi inoltre FAUSTO CURI,Perdita d’aureola, Torino 1977, e LUCA SOMIGLI, Legitimizing the Artist: Manifesto Writing andEuropean Modernism 1885-1915, Toronto 2003, in particolare pp. 7-14.

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«Dovreste almeno mettere un annuncio, per questa aureola, farla cercare dalcommissario…»«Parola mia, no! Qui sto bene. Voi, voi solo mi avete riconosciuto. E poi la dignità mi annoia! E immagino con gioia che qualche poeta spregevole la raccatterà, e impudente se ne acconcerà la testa. Farlo felice, che gioia! E soprattutto un felice che mi farà ridere! Pensate a X…, o a Z…! Ah! Comesarà comico!»30

Cosa è successo, affinché il protagonista possa assistere con so-vrana noncuranza o perfino con sollievo allo smarrimento delle pro-prie insegne? Il processo che conduce a questa sorta di abdicazionenon è immediato, come dimostra il fatto che il celebre poema in pro-sa tragga origine da un appunto, in cui il poeta ancora reagiva consgomento alla perdita dell’aureola: «Ebbi per fortuna il tempo di rac-cattarla; ma l’idea infelice si insinuò un istante dopo nel mio spirito,che si trattasse di un presagio di sventura»31. Solo nella rinuncia piùo meno volontaria a pretendere di vedere apertamente riconosciutoil proprio ruolo d’eccezione, accettando di confondersi tra la folla deidimenticati, il poeta può tuttavia ancora sperare di conferire un sen-so alla propria attività: al di fuori di questo non può che esservi la su-perbia «impudente» di qualche «cattivo poeta».

Nel passaggio dal testo di Heine all’appunto nel diario di Baude-laire e infine alla stesura del poema in prosa diventa così possibileseguire l’affinarsi della strategia con cui il poeta moderno cerca difronteggiare l’incertezza riguardo al proprio ruolo. Al trauma dellacorona infangata, dell’aureola smarrita, il poeta è portato progressi-vamente a rispondere con la maschera dell’incognito, quasi che sol-tanto nascondendo la sua regalità questa possa essere preservata.Nel gusto per il travestimento, nella capacità di dissimulare, vi è dun-que un estremo tentativo di mantenere un senso per il proprio man-dato. Anche per questo motivo il motivo della sovranità, a partirenella prima metà del Novecento, diviene assai meno frequente nellefigurazioni del poeta. L’esperienza onirica narrata da Heine, descri-vendo con impietosa precisione il momento in cui la regale figura di-veniva maschera grottesca, suggeriva ai poeti futuri la necessità dimascherare ciò che della propria regalità ancora restava. La tenden-za alla dissimulazione diviene perciò tratto comune dei più grandiscrittori novecenteschi, come osserva Adorno:

30 BAUDELAIRE, Œuvres, cit., p. 352.31 Ivi, p. 659.

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Scham über die Selbstsetzung des Künstlers, des Genies, als das er sich dra-piert, nötigt den Künstler, der eines Rests von Draperie nie ganz ledig wird,so gut es geht sich zu verstecken. Weil der Genius zur Maske geworden ist,muß der Genius sich maskieren. Er darf um nichts in der Welt als solcherauftrumpfen und tun, als wäre er, der Meister, jenes metaphysischen Sinnesmächtig, der in der Substanz der Zeit nicht gegenwärtig ist. Deshalb hat Mar-cel Proust, gegen den Thomas Mann eher sich sträubte, den Operettendan-dy mit Zylinder und Spazierstock gespielt und Kafka den mittleren Versi-cherungsangestellten, dem nichts so wichtig ist wie das Wohlwollen des Vor-gesetzten. Dieser Impuls lebte auch in Thomas Mann: als einer zum Unauf-fälligen32.

Il pudore per l’autoposizione dell’artista, del genio di cui si veste, costringel’artista, che non si libera mai completamente di un residuo di drappeggio,a nascondersi nella maschera che meglio gli riesce. Poiché è diventato unamaschera, il genio deve mascherarsi. Per niente al mondo deve mostrarsi ta-le e fare come se egli, il maestro, fosse padrone di quel senso metafisico chenon è presente nella sostanza del tempo. Perciò Marcel Proust, cui ThomasMann piuttosto recalcitrava, ha recitato il dandy da operetta con cilindro ebastone da passeggio e Kafka il piccolo impiegato delle assicurazioni, per ilquale niente è così importante quanto la benevolenza del capufficio. Ques-to impulso vive anche in Thomas Mann: quale impulso a non farsi notare33.

32 THEODOR W. ADORNO, Gesammelte Schriften, hrsg. von Rolf Tiedemann, Frankfurt a. M.1974, Bd. 11, p. 337.

33 ID., Note per la letteratura 1961-1968, tr. it. di Enrico De Angelis, Torino 1979, p. 17.

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