LA CASA IMPOSSIBILE Una ricerca empirica sull'esclusione abitativa a Livorno

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Università degli Studi di Firenze Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” Corso di Laurea in Sociologia Tesi di Laurea in Teoria Sociologica LA CASA IMPOSSIBILE Una ricerca empirica sull'esclusione abitativa a Livorno Relatore: Erika Cellini Candidato: Alessio Berti Anno Accademico 2010/2011 1

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Università degli Studi di FirenzeFacoltà di Scienze Politiche

“Cesare Alfieri”Corso di Laurea in Sociologia

Tesi di Laurea in Teoria Sociologica

LA CASA IMPOSSIBILEUna ricerca empirica sull'esclusione abitativa a Livorno

Relatore: Erika Cellini Candidato: Alessio Berti

Anno Accademico 2010/2011

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Indice:

Prefazione....................................................................................Pag. 3

Capitolo 1 – L'esclusione abitativa...........................................Pag. 5

Capitolo 2 – L'emergenza abitativa a Livorno.......................Pag. 21

Capitolo 3 - Le strutture di emergenza abitativa a Livorno..Pag. 35

Conclusioni.................................................................................Pag. 47

Bibliografia.................................................................................Pag. 51

Appendice 1................................................................................Pag. 55

Appendice 2................................................................................Pag. 58

2

A Federica

3

Prefazione

Questo lavoro ha come oggetto le pratiche di gestione dell'emergenza abitativa nella città di

Livorno e si prefigge l'obiettivo di descrivere i percorsi mediante i quali le istituzioni cercano

di dare una risposta a persone che si vengono a trovare in condizioni di estremo disagio

abitativo. Data la complessità del problema, ho studiato l'emergenza abitativa da più punti di

vista: andando ad analizzare i concetti sociologici affini, come il disagio abitativo e

l'esclusione abitativa, leggendo i dati che si possono reperire su quest'ambito a Livorno,

rifacendomi anche al punto di vista storico-giuridico e, infine, andando a osservare alcune

realtà predisposte dal Comune per accogliere le persone che rimangono senza una casa.

Nel capitolo primo è stato necessario fare due ordini di precisazioni riguardanti: il quardo

storico risultante da un secolo di politiche abitative messe in atto in Italia e la cornice

concettuale che la letteratura sociologica ci offre per interpretare il rapporto che intercorre fra

povertà ed esclusione abitativa. In questo capitolo è anche trattata, se pur brevemente, la

condizione abitativa dell'immigrato, poiché l'immigrazione porta una domanda aggiuntiva

dalle caratteristiche peculiari; infatti vedremo come vengono affrontati in Toscana i problemi

relativi all'accoglienza e all'accesso all'abitazione da parte degli immigrati.

Nel capitolo due si affronta il tema centrale del lavoro, ovvero l'emergenza abitativa a

Livorno. La città di Livorno, come vedremo, è un caso molto particolare data la diffusione

dell'Ediliza Residenziale Pubblica che vi si riscontra. Nel primo paragrafo quindi è ripercorsa

brevemente la storia ERP della città al fine di illustrare il contesto territoriale nel quale

nascono le politiche oggetto del presente lavoro e come queste politiche sono state legate

all'Ediliza Residenziale Pubblica. Infatti, la regolamentazione dell'Emergenza Abitativa è data

dall'articolo 14 della Legge Regionale 96/1996 "Disciplina per l'assegnazione, gestione e

determinazione del canone di locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica" e ciò

sottolinea lo stretto rapporto che intercorre fra ERP ed Emergenza Abitativa.

Successivamente si passa a descrivere il funzionamento vero e proprio dell'emergenza

abitativa tramite l'analisi della normativa, degli strumenti e degli attori coinvolti.

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Il terzo capitolo, frutto della ricerca sul campo, scende nello specifico e cerca di descrivere le

pratiche di gestione delle strutture di accoglienza, strumento fondamentale e, come vedremo,

primo step di trattamento dei bisogni abitativi dell'utenza.

Come il prezzo di un prodotto è determinato, secondo la teoria economica, dall'incontro delle

curve di domanda e di offerta, questo lavoro di tesi è frutto dell'incontro fra una domanda e

un'offerta. La domanda si è costruita in questi anni di studio nei quali ho progressivamente

sviluppato il bisogno di "provare" sul campo le categorie analitiche e le metodologie di

indagine di cui leggevo e leggo ancora oggi sui testi di studio. L'offerta si è costituita nella

disponibilità della dottoressa Erika Cellini di prendermi come tesista e di offrirmi la possibilità

di mettere a frutto questi miei intendimenti nell'ambito delle molteplici attività di ricerca del

progetto "Popolare non è un concetto" (PONEC). Focalizzate sull'abitare nell'Edilizia

Residenziale Pubblica a Livorno e portate avanti da numerose ricercatrici e ricercatori, queste

ricerche sono state la base sulla quale si sono formate le mie ipotesi di lavoro e dalle quali ho

attinto preziose informazioni.

A Erika Cellini e a tutto il gruppo di ricerca vanno i miei ringraziamenti, per il supporto

ricevuto in termini di critiche, di consigli e in generale di "introduzione" al campo di un totale

neofita.

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1

L'esclusione abitativa

Introduzione: La casa e l'esperienza domestica sono di inestimabile valore per la vita di

un essere umano. Basta guardare la gerarchia dei bisogni [1954] del celebre psicologo

Abraham Maslow, per capire quanto l'avere una casa in cui vivere sia importante per

qualificare a pieno l'esperienza sociale di tutti gli individui. La casa, infatti, risponde

perfettamente ai bisogni di sicurezza e protezione, è il luogo deputato alla vita della famiglia,

degli affetti, è molto importante per la costruzione della stima presso il gruppo sociale e di

successo a livello individuale.

Nel passaggio fra le società tradizionali e quelle moderne la casa e l'abitare subiscono una

radicale trasformazione. Ciò è la conseguenza del cambiamento che, partendo dai modi di

produzione, si è sviluppato in tutte le dimensioni della vita sociale, compresa quella abitativa.

Infatti come sostiene il celebre sociologo ed urbanista francese Henri Lefebvre: "La città si

trasforma non solo in ragione di grandi processi relativamente continui (come la crescita della

produzione materiale nel corso dei tempi con le sue conseguenze negli scambi, o lo sviluppo

della razionalità) ma in funzione di profonde modificazioni nel modo di produzione, nelle

relazioni "città – campagna", nei rapporti di classe e di proprietà" [Lefebvre 1968, 61].

L'inurbamento di masse di popolazione, conseguente alla diffusione del modo di produzione

industriale, porta ad un radicale cambiamento della casa e delle funzioni alle quali deve

assolvere. Essa perde le sue funzioni produttive che, per la maggior parte della popolazione,

l'avevano sempre caratterizzata e che avevano inciso in maniera determinante sulla sua

struttura fisica, mentre mantiene quelle di consumo, legato alla sussistenza degli abitanti, e

riproduzione. Ciò porta alla costruzione rapida e sregolata di quartieri, spesso prossimi alle

fabbriche, in cui gli "inurbati" vivevano ammassati, in condizioni spesso molto precarie. Già

Friedrich Engels nel suo scritto del 1845 "La situazione della classe operaia in Inghilterra"

metteva in luce le differenze e la segregazione fra i "quartieri buoni" dei borghesi e quelli

"brutti" dove viveva la maggior parte della classe operaia: "Ogni grande città ha uno o più

'brutti quartieri' nei quali s'ammassa la classe lavoratrice. Spesso, a dir vero, la miseria abita in

stradicciule nascoste accanto ai palazzi dei ricchi; ma in generale si dà ad essa un quartiere a

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parte, dove sbandita dagli occhi della gente felice può tirarla innanzi sola, come le è possibile"

[Engels 1845/1973,20]. La seconda metà del XIX secolo ha visto la nascita delle prime forme

di interesse per le condizioni di vita delle classi più povere che sfocerà nella produzione di

inchieste, come quella di Engels, che saranno la base culturale dell'intervento dello stato

[Tosi 1994].

Ideologicamente, interventi in questo campo si articolano intorno a tre dimensioni principali:

quella igienica, quella morale e quella economica [Tosi 1980]. La questione igienica è messa

in primo piano dalla relazione fra malattie epidemiche e condizioni abitative, sulla quale si

iniziava a riflettere, mentre la questione morale, considerata la più grave, muove da una

riflessione sugli effetti negativi che l'abitare in quartieri degradati ha sulla famiglia operaia.

Secondo le classi dirigenti, la casa aveva un ruolo preminente nella prevenzione delle tensioni

sociali che potevano sfociare in vere e proprie lotte di classe e poteva contribuire in maniera

determinante all'elevazione morale della classe operaia. Infine, la questione economica si

incentra sul far corrispondere esigenze diverse: la costruzione di case "a buon mercato", che

potevano essere acquistate dai ceti meno abbienti, con il rifiuto dell'intervento pubblico come

regolazione del mercato immobiliare [Tosi 1980].

1.1 - La questione abitativa e le politiche per la casa: Dopo aver citato le

motivazioni, più o meno ideologiche, dietro questo tipo di interventi, pare utile ricordare

brevemente la loro storia nel nostro paese. Infatti la scarsità quantitativa e la natura qualitativa

del settore dell'edilizia residenziale pubblica in Italia sono sicuramente fra le cause sia

dell'esclusione che della "difficoltà" abitativa che le fasce più deboli della popolazione hanno

avuto e stanno avendo nel nostro paese.

In Italia una data fondamentale è quella del 31 maggio 1903, giorno dell'emanazione della

"legge Luzzatti". Questa legge, che prende il nome dal parlamentare estensore, Luigi Luzzatti,

è la prima a prendere in considerazione la necessità di un intervento riguardo ai bisogni

abitativi delle classi popolari [Gibelli 2000]. Il meccanismo attivato da questa legge era

pressappoco il seguente: si istituivano degli enti chiamati Istituti Autonomi per le Case

Popolari (IACP) che, attraverso prestiti provenienti dal mondo della carità e della beneficenza,

dovevano costruire alloggi, di qualità inferiore alla media, da destinarsi alle fasce più disagiate

della popolazione. L'obiettivo era coinvolgere il maggior numero possibile di soggetti privati

senza scopo di lucro, per limitare al massimo l'intervento del settore pubblico. Infatti ai

comuni venne permessa la costruzione di case popolari solo per locazione a condizione che

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non ci fossero altri istituti o associazioni simili a quelli sopracitati. Ai comuni rimasero,

tuttavia, i compiti amministrativi e deliberativi sulle costruzioni di alloggi popolari, qualunque

fosse il soggetto incaricato della costruzione. Da ciò emerge un orientamento al privato, che

penalizza fortemente l'iniziativa pubblica nel campo dell'edilizia popolare. Non viene, infatti,

posto in evidenza che la casa può essere considerata un "servizio sociale" [Gibelli 2000].

L'iniziativa luzattiana mira a salvaguardare la "pace sociale", minacciata dalle rivendicazioni,

anche violente dei ceti operai, ma travisando volutamente il problema sociale. Tutto veniva

ricondotto alla questione morale: vivendo in condizioni precarie e in ambienti degradati

l'operaio non poteva sperare di elevarsi né moralmente né socialmente dalla sua condizione;

quindi si pensava che mettendo a disposizione alloggi migliori, si sarebbero create condizioni

di vita più sane che avrebbero contribuito a pacificare aree di vivo conflitto sociale [Tosi

1994].

L'importanza della cosiddetta "legge Luzzatti" va al di là della sua novità nel panorama

legislativo italiano in materia di Edilizia Residenziale Pubblica; infatti essa delinea un

principio di gestione dell'edilizia pubblica ben preciso che sarà il fondamento di tutti i

successivi interventi legislativi e sul quale poggeranno tutte le politiche per la casa in Italia.

Rinunciando ad un intervento diretto sull'edilizia popolare, lo Stato lascia il mercato

immobiliare in mano all'iniziativa privata, perdendo un importate strumento di regolazione del

mercato stesso [Gibelli 2000].

L'avvento del regime fascista influenzò in grande misura l'edilizia residenziale pubblica

nella medesima direzione delle riforme che il regime applicò alle altre strutture

amministrative: la gerarchizzazione del potere a livello ministeriale, intervenendo sugli IACP

e rendendoli parte dello Stato.[Gibelli 2000]. La più grande novità, d'importanza fondamentale

per tutti i successivi interventi legislativi e le seguenti politiche E.R.P, fu il Testo Unico

sull'edilizia popolare ed economica del 28 aprile 1938. Il Testo Unico aveva la funzione di

raccolta e coordinamento delle singole leggi emanate fino a quel momento in materia di

edilizia residenziale pubblica e riguardava: la disciplina del rapporto fra enti mutuanti e

mutuatari (chi concedeva prestiti e chi si occupava della costruzione degli alloggi),

disposizioni di esproprio delle aree soggette ad interventi e la definizione più precisa delle

caratteristiche dell'alloggio popolare ed economico. Purtroppo molte delle disposizioni del

T.U non trovarono applicazione, a causa della guerra che di lì a poco sarebbe sopraggiunta

[Acocella 1980].

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Alla fine della guerra le necessità di ricostruzione portano alla nascita del piano INA

CASA. Esso nasce dalla promulgazione della legge n. 43 del 28 febbraio 1949, meglio

conosciuta come legge Fanfani e, con i suoi 350.000 alloggi, rappresenta il più grande

intervento pubblico dal secondo dopoguerra ad oggi. Qualitativamente, però, l'INA CASA non

fu un grande successo dato che, per alcune sue caratteristiche in materia di acquisizione dei

terreni per l'edilizia pubblica, portò alla creazione di quartieri popolari alle estreme periferie,

se non addirittura in aperta campagna. Queste difficoltà di acquisizione furono superate nel

1962 tramite la legge 167. Questa legge nasceva per risolvere il problema dell'eccessiva

lontananza dei quartieri operai nati con l'INA CASA dalle città stesse, fu molto importante

anche per il fatto di portare alla stesura di "piani di esecuzione della legge" che, se ben

sfruttati dai soggetti coinvolti, potevano portare alla creazione di veri e propri piani urbanistici

integrati e coerenti [Acocella 1980].

Nel 1963, all'approvazione della legge n. 60, prende il via il piano GESCAL (gestione case

per lavoratori) che continua l'opera iniziata con l'INA CASA, ereditandone il patrimonio

immobiliare. A cambiare è, invece, il rapporto fra l'Ente (la GESCAL) e gli IACP, che

perdono la loro funzione di soggetti appaltanti, restando come unici titolari periferici di

esecuzione del programma, sotto la sovrintendenza dell'Ente [Domenichelli 1984]. Una delle

maggiori novità introdotte con la legge 60 è il coordinamento normativo per il riassetto delle

"preesistenze urbane": si introduce ,per la prima volta, uno strumento che permette il recupero

di aree urbane da risanare. Questo modello d'intervento si rivelò molto complesso da

realizzare, dal momento che non si aveva molta esperienza di recupero di aree urbane

degradate, e quindi si continuò sulla strada della costruzione di nuova edilizia [Acocella

1980]. Successivamente, la legge n. 865 del 22 ottobre 1971 è stata una tappa fondamentale

della normativa che regola l'intervento sull'edilizia residenziale. Le ragioni dell'importanza

della 865 sono molte e afferenti a svariati ambiti di criticità evidenziati dalla legislazione

precedente. Solo per citarne alcuni troviamo: la creazione di un piano unitario d'intervento con

l'istituzione del CER (Comitato per l'Edilizia Residenziale) presso il Ministero degli Interni,

un'azione più forte sui criteri di esproprio per fini edilizi pubblici e la razionalizzazione dei

criteri di risanamento degli immobili preesistenti. L'innovazione in questo campo è

particolarmente rilevante, dato che uno dei punti di criticità del piano GESCAL è stato

riscontrato proprio quando si tentava il recupero di aree urbane in condizioni degradate

[Acocella 1980].

La legge segnò una vera e propria svolta nelle politiche per la casa anche perché fu il

culmine di un dibattito politico sviluppato in seguito alle tensioni sociali del 1968 e alle 9

rivendicazioni sindacali, che si svilupparono alla fine di un ventennio (anni '50 e '60) nei quali

gli investimenti privati nel settore furono di gran lunga superiori a quelli pubblici

[Domenichelli 1984]. La legge, infine, segna il primo passo del processo di regionalizzazione

delle competenze in campo abitativo, devolvendo alle Regioni le competenze in merito alla

programmazione e alla gestione degli interventi insieme al governo degli Istituti Autonomi

[Pizzimenti 2011].

Altra tappa fondamentale per lo sviluppo della legislazione in merito di edilizia popolare è il

1978, anno di promulgazione della legge n. 457 che, programmando i fondi per l'edilizia

residenziale per dieci anni, assunse il carattere di un vero e proprio piano [Centofanti 1987].

Configurata come una legge di rifinanziamento, la 457 introdusse novità anche in campo

istituzionale e operativo. A livello istituzionale, la legge prevede l'ingresso di rappresentanti

delle regioni nel CER, iniziando così una "democratizzazione del Comitato ed alla

partecipazione effettiva delle regioni ai livelli decisionali dell'amministrazione centrale"

[Acocella 1980, 54]. Sul piano operativo la 457 apporta un'innovazione importante alle

procedure di recupero edilizio estendendo a tutte le preesistenze urbane e non ai soli centri

storici [Acocella 1980].

Nel 1988 con la legge finanziaria furono riconfermati i fondi per il quinquennio 1988-1993 al

termine del quale si intervenne sul piano legislativo in termini di contributo all'affitto e sulle

norme relative al riscatto degli alloggi da parte degli assegnatari. L'effetto di queste politiche

fu l'alienazione di circa 100.000 alloggio [Federcasa 2003] e il sostanziale ritiro dello Stato

dalla costruzione di nuove case [Pizzimenti 2011].

Negli anni '90 si assiste ad un vero e proprio "ritiro" dello Stato dal settore dell'edilizia

residenziale pubblica. Esso è ben evidente se si guarda ai numeri: dagli anni '80 l'offerta di

edilizia residenziale pubblica si riduce del 90%. In venti anni (1984-2004) la produzione di

nuovi alloggi in edilizia sovvenzionata è calata da 34.000 a 1.900 alloggi l'anno. Sempre nello

stesso periodo anche gli altri regimi di sussidio (edilizia agevolata o convenzionata) hanno

visto ridurre il numero di abitazioni realizzate ogni anno, da 56.000 a 11.000 [Milano 2010].

I successivi interventi legislativi rilevanti riguardano il processo di regionalizzazione delle

competenze iniziato nel 1971. Nel 1998, con la riforma Bassanini della pubblica

amministrazione, si giunse alla completa devoluzione del potere decisionale e amministrativo

sull'ERP (Edilizia Residenziale Pubblica), sancita definitivamente con la legge costituzionale

3 del 2001 [Pizzimenti 2011].

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1.2 – Regionalizzazione: La devoluzione alle autorità regionali delle competenze ha

avuto vari effetti: ha diversificato le forme di gestione del patrimonio immobiliare e le

politiche, pur mantenendo degli elementi di sistematicità come la trasformazione dell'IACP in

ATER (Azienda Territoriale Edilizia Residenziale). Questo modello è stato seguito (almeno

inizialmente) da quasi tutte le regioni italiane, salvo poi, in alcuni casi, venire modificato nel

tempo. Gli elementi di differenziazione sono lo schema di gestione e il ruolo dei nuovi enti

costituiti al posto dell'IACP. Per quanto riguarda lo schema di gestione si passa da un modello

accentrato come quello della Sardegna, Umbria e Valle d'Aosta, che hanno affidato la gestione

ad un unico ente regionale, a modelli decentrati sul territorio che vedono competenze divise

anche con le province ed i comuni. Quasi tutte le Regioni hanno attribuito agli ATER, oltre

alle responsabilità gestionali, anche la proprietà degli immobili; le uniche due regioni che

hanno fatto scelte diverse sonol'Emilia-Romagna e la Toscana, che hanno conferito la

proprietà degli immobili ai comuni [Pizzimenti 2011].

Il caso toscano, per le sue particolarità rispetto al contesto nazionale e per ovvi motivi di

attinenza con il tema del presente lavoro, merita una descrizione più dettagliata.

La Regione Toscana si è dimostrata attenta nei confronti delle nuove responsabilità di gestione

dell'ERP; infatti già con la legge regionale 49 del 1986 trasformò gli IACP in ATER che

successivamente si consorziarono nell'ARER (Azienda Regionale Edilizia Residenziale). La

celerità di adozione di questo provvedimento risulta più evidente se si considera che al 2010

,regioni come Campania, Molise, Sicilia e Puglia, non hanno ancora adottato una normativa in

merito. [Pizzimenti 2011].

Nel 1996 con un'altra legge regionale, la 96, si stabiliscono le modalità per l'assegnazione ed

i requisiti necessari per la partecipazione ai bandi: si stabilisce, per esempio, che punteggio

assegnare ad un certo tipo di richiedenti1. La 96 ,infine, istituisce e disciplina la riserva di

alloggi (e i criteri che ne definiscono l'assegnabilità) da destinarsi all'emergenza abitativa,

oggetto del presente lavoro, che verrà trattato nel prossimo capitolo.

Il 1998 è l'anno di promulgazione della legge regionale 77, che rappresenta l'atto più importate

finora espresso dalla legislazione regionale. La legge mira a creare un meccanismo di governo

integrato su tutti e tre i livelli istituzionali locali: alla Regione spettano le competenze di

indirizzo degli interventi e ai comuni, che entrano in possesso del patrimonio immobiliare, la

1 I requisiti sono specificati all'articolo 5 della legge regionale 96/96, mentre il sistema dei punteggi è definito all'articolo 9.

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realizzazione delle politiche. A livello intermedio la legge stabilisce la nascita dei LODE

(Livelli Ottimali Di Esercizio): essi sono delle "assemblee" di comuni che indicano la società

che deve portare a termine gli interventi. A seguito si assiste alla nascita di un LODE per ogni

provincia toscana (a parte il caso della provincia di Firenze che ospita due LODE2) e all'inizio

del percorso che, senza non poche difficoltà di tipo politico e burocratico [Federcasa 2010]

porterà alla situazione odierna

1.3 – Le politiche rivolte all'affitto: Le politiche rivolte all'affitto sono ottimi

strumenti per intervenire sul disagio abitativo dei poveri. Oggi, in Italia, vive in affitto circa il

20% dei nuclei familiari, una quota che è stabile da alcuni anni [Baldini e Poggio 2009]. Con

l'aumento dei valori immobiliari passare dall'affitto alla proprietà sarà sempre più difficile;

quindi possiamo sostenere che, oggi più di ieri, la condizione di affittuario è strettamente

correlata ad un basso reddito familiare [Baldini e Poggio 2009].

Il primo intervento a favore dell'affitto fu l'introduzione, nel 1978, dell'equo canone3:

l'obiettivo era designare un criterio unico per stabilire il prezzo di affitto di un dato immobile

Questa impostazione, rimase in vigore fino al 1998 quando, con la legge 431, si liberalizzò il

mercato dell'affitto e si introdussero gli attuali strumenti di sostegno: il fondo per l'affitto e la

detrazione IRPEF per affitto [Baldini e Poggio 2009].

Il "fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione" è destinato alle

famiglie povere secondo due parametri: coloro che percepiscono un reddito non superiore a

due volte la pensione minima (circa 11.340 euro annui) e coloro che posseggono i requisiti per

l'accesso all'ERP secondo i criteri della propria Regione [Baldini e Poggio 2009].

Il fondo è costituito per la maggior parte da risorse statali, alle quali si aggiungono anche

trasferimenti dalle regioni e dai comuni i quali sono i soggetti deputati all'attuazione del piano.

La detrazione IRPEF, invece, viene calcolata sul reddito dell'intestatario del contratto d'affitto

e, in caso di imposta uguale a zero, la detrazione è rimborsabile [Baldini e Poggio 2009].

L'utenza tipica del fondo per l'affitto si colloca fra i ceti meno abbienti della popolazione e fra

coloro i quali sono in possesso delle caratteristiche per l'accesso all'ERP ma le cui domande

restano insoddisfatte, mentre il rimborso IRPEF è destinato, differenziato per reddito, a tutti

coloro che vivono in affitto, quindi interessa un'utenza molto vasta.

2 Per ragioni di densità abitativa, la Provicia di Firenze è stata divisa in due diversi LODE, quello di Firenze, che comprende 33 comuni del circondario, e quello dell'Empolese Valdelsa che riunisce gli altri 11 comuni.3 Disciplinato dagli articoli 12 a 25 della legge 392/1978, l'equo canone stabiliva che il canone di locazione degli immobili ad uso abitativo non poteva superare il 3,85% del valore locativo dell'immobile. Tale valore era determinato dal prodotto della superficie per il costo unitario di produzione. [Rezzonico-Lanza 1993, p.83].

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L'impatto di queste politiche è, però, limitato da due problemi: da una parte troviamo la

riduzione delle risorse destinate al fondo per l'affitto: infatti l'ammontare decrescente del

fondo statale nel periodo 1998-2007 ,che è passato da 390 a 206 milioni di euro a cui vanno

aggiunti 140 milioni di trasferimenti regionali e 39 a livello comunale nel 2007. Dall'altra, la

non integrazione di queste politiche data dalla non cumulabilità del fondo per l'affitto con la

detrazione. Se coordinate fra loro e finanziate più generosamente, queste politiche potrebbero

essere molto utili per combattere il disagio abitativo di fasce di popolazione escluse da un

sistema ERP come quello italiano [Baldini e Poggio 2009].

1.4. Povertà ed esclusione abitativa: Per affrontare coerentemente, benché in

maniera parziale, un discorso sulla relazione che intercorre fra la povertà e l'esclusione

abitativa occorre definire più chiaramente i due concetti guardando ai significati e alle

accezioni che essi hanno in sociologia.

L'intensione del concetto di "povertà" è stata articolata in molti modi, in base anche alla

disciplina che ne ha fatto uso: sineddoticamente l'Istat definisce la povertà in relazione ad una

soglia convenzionale che definisce il livello di spesa per i consumi al di sotto del quale una

famiglia viene considerata povera; nel 2010, per una famiglia di due componenti, tale soglia è

pari a 992,46 euro [Istat 2010].

In sociologia con il concetto di povertà si intende la "condizione di deficit di risorse necessaire

per raggiungere e mantenere quel livello di vita che è reputato decente, civile, tollerabile a

lungo senza grandi sacrifici, da un individuo, una famiglia, una comunità locale, un

determinato segmento o strato o classe della popolazione"[Gallino 1993, 514]. Come è

immediatamente visibile confrontando la definizione sociologica con l'esempio tratto dalla

statistica, il concetto si arricchisce di molte altre accezioni che mostrano come la definizione

statistico-economica descriva solo una parte del concetto stesso.

Inoltre sempre secondo Gallino "La povertà è la forma più macroscopica di diseguaglianza"

[1993, 514]. Ciò è immediatamente visibile in campo abitativo poiché le aree di insediamento

della popolazione sono facilmente differenziabili per reddito: i quartieri "bene" di una città

sono quelli in cui il prezzo al metro quadro è più alto, quindi solo persone con un reddito

adeguato possono permettersi di risiedervi. D'altra parte uno degli effetti che si sperava si

verificassero tramite l'edilizia residenziale pubblica era quello di una riduzione della

diseguaglianza sociale: togliendo agli strati più bassi della popolazione l'incombenza

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dell'acquisto della casa o del pagamento di un affitto a costi di mercato spesso esosi mette, di

fatto, più risorse a disposizione di questi ultimi.

La Commissione di indagine sull'esclusione sociale4 (CIES) definisce l'esclusione sociale

come povertà insieme all'emarginazione sociale [CIES 2007] evidenziando lo stretto rapporto

che intercorre fra i due concetti.

Una delle definizioni del concetto di esclusione sociale che rappresenta, a mio parere, la

complessità del fenomeno potrebbe essere la seguente: “social exclusion is a multidimensional

process of progressive social rupture, detatching groups and individuals from social realtions

and institutions and preventing them from full partecipation in the normal, normatively

prescribed activities of the society in which they live” [Silver 2007,15].

Le definizioni attuali di povertà e di esclusione devono la loro attuale conformazione a un

percorso di analisi e ricerca sociale che dura ormai da più di un secolo; quindi, per

comprendere meglio la loro valenza sociologica, è utile ripercorrere seppur brevemente la loro

"storia concettuale", attraverso gli autori che si sono confrontati con tematiche loro associate.

Questi due concetti sono stati messi in stretta relazione fin dalle prime elaborazioni teoriche:

nel saggio "Il Povero", edito nel 1908 all'interno dell'opera "Sociologia", Georg Simmel

delinea il rapporto fra il tipo sociale del povero, l'esclusione sociale e l'assistenza. Secondo

Simmel, che non attribuisce totali responsabilità dell'esistenza della povertà né alle società né

all'individuo, il povero (come il deviante o il malato) è un tipo sociale che si trova in una

condizione particolare: da una parte egli fa parte della società, cioè appartiene genericamente

alla società, poiché è in relazione con il gruppo sociale, dall'altra egli non è inserito

organicamente nel gruppo sociale ed è oggetto di "misure speciali" da parte della società.

Questa situazione è, di fatto, esclusione sociale. L'unico modo in cui la società si rapporta con

il povero è l'assistenza la quale, per l'autore, ha come funzione principale quella di "non far

diventare il povero un nemico attivo, dannoso per la società, per mettere di nuovo a frutto per

essa la sua forza diminuita, per impedire la degenerazione della sua discendenza" [Simmel

1989,394]. In termini odierni la società, tramite l'assistenza, realizza il suo scopo di controllo

sociale. Infine, anche rispetto al povero, Simmel mostra che le iniziative assistenziali non

hanno per loro natura una più estesa progettualità se non l'alleviare temporaneamente le

sofferenze dei poveri in quanto soggetti individuali [Simmel 1908].

Come dicevamo, la povertà non è considerata solo come un deficit di risorse economiche; la

4 Istituita presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali dall'articolo 27 della legge 8 novembre 2000, n. 328.

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riflessione sociologica infatti ha elaborato varie dimensioni del concetto: la considerazione

che sta alla base dell'affermazione precedente è quella che le risorse che l'individuo ha a

disposizione non sono esclusivamente di natura economica. Dobbiamo a Bourdieu la

sistematizzazione di questa considerazione. Infatti per il sociologo francese le risorse a

disposizione di un individuo costituiscono il suo capitale, concetto ripreso dalla tradizione

marxiana ma esteso nel significato. Egli riconosce ben tre forme di capitale primario: quello

economico, quello culturale e quello sociale [Bourdieu 1984]. Differenziando le forme delle

risorse individuali si articola anche il concetto di povertà in povertà culturale e sociale a fianco

della povertà economica. In questo quadro concettuale possiamo definire l'esclusione sociale

come povertà di legami, disaffiliazione dal gruppo sociale [Tosi 1994].

In materia di accesso o esclusione dall'abitazione il capitale senz'altro più importante è quello

economico, sia in termini di reddito individuale (condizione necessaria per l'accesso al

credito) che familiare (acquisizione di una casa tramite passaggi intergenerazionali, comodato

d'uso gratuito), ma anche gli altri due, in condizioni particolari, possono avere un ruolo molto

importante. L'esempio migliore ci viene fornito dalla procedura d'accesso alla casa popolare

che necessita di una corretta presentazione della domanda: conoscere tempi e modi di

presentazione della domanda e sapersi orientare all'interno di un sistema burocratico

complesso sono capacità che in questo caso hanno un ruolo determinante e sono afferenti a

risorse di tipo culturale e sociale. La condizione dell'immigrato, come approfondiremo più

avanti (par. 1.5), è particolare in questo senso: spesso il soggetto non possiede risorse culturali

e legami sociali utili, venendosi così a trovare in una posizione di ulteriore svantaggio.

Un altro autore al quale ci possiamo appoggiare per arricchire di valenze sociologiche concetti

di povertà e di esclusione è Erving Goffman. La povertà può essere infatti considerata un

elemento capace di portare alla stigmatizzazione di alcuni soggetti e dell'ambiente nel quale

essi vivono. Per chiarire meglio quest'ultima affermazione pare utile ricordare questo passo

che definisce chiaramente il concetto di stigma per l'autore: "un individuo che potrebbe

facilmente essere accolto in un ordinario rapporto sociale possiede una caratteristica su cui si

focalizza l'attenzione di coloro che lo conoscono alienandoli da lui, spezzando il suo carattere

positivo che gli altri suoi attributi potevano avere. Ha uno stigma, una diversità non desiderata

rispetto a quanto noi avevamo anticipato" [Goffman 1963,trad. it. 2003, 15]. L'autore

individua anche tre tipi di stigma: quello derivante da deformità fisiche, quello derivante da

alcuni aspetti del carattere considerati negativi (come l'alcolismo, l'uso abituale di

stupefacenti, il comportamento politico radicale, la disoccupazione e l'omosessualità) e quello

derivante dall'etnia, religione e nazionalità [Goffman 1963]. Le condizioni economiche non

15

sembrano princìpi di stigmatizzazione diretta, ma lo sono senz'altro alcune caratteristiche che

compongono la seconda categoria di fattori presa in analisi, come la disoccupazione,

l'alcolismo e il consumo di stupefacenti, in parte riconducibili alla povertà. La

stigmatizzazione colpisce dunque a livello individuale ma anche collettivo; la presenza di

degrado fisico e sociale (dato dalla presenza di criminalità, tossicodipendenza, immigrazione e

così via) possono portare infatti alla stigmatizzazione di quel dato ambiente, con effetti diretti

su coloro che vi abitano.

L'esclusione, se rapportata alla stigmatizzazione, assume così una doppia natura: essa è

conseguenza diretta dell'attribuzione (individuale e collettiva) dello stigma, che pone

l'individuo o la comunità ai margini del gruppo sociale ma è, a sua volta, causa di nuova

stigmatizzazione in quanto definisce totalmente l'identità del soggetto escluso. Povertà ed

esclusione sociale stanno quindi in un rapporto di stretta interdipendenza nella quale è

delineabile la povertà come causa dell'esclusione sociale che pone il soggetto escluso in una

condizione ancora più difficile, andando ad incidere sui suoi legami sociali, rendendo ancora

più ardua la possibilità di una re-integrazione stabile.

Già negli anni '70 l'idea che il problema dell'esclusione abitativa delle classi più disagiate

fosse fondamentalmente risolto fu messo in discussione. Nonostante anni di politiche

pubbliche per la casa e l'abitare sociale, l'intervento dello Stato non ha risolto il problema, anzi

in alcuni casi ha contribuito a perpetuare i meccanismi della sua genesi. La motivazione

profonda di tale inefficacia è quindi da ricercarsi nella qualità delle politiche stesse e nelle

vere e più profonde intenzioni dei loro promotori [Tosi 1994].

Per quanto riguarda le intenzioni che hanno mosso le politiche va ricordato che, in realtà, esse

non sono destinate ai più poveri ma ai "lavoratori". Infatti la divisione della categoria dei

poveri in "meritevoli" e "non meritevoli" [Negri 1990] è il fondamento della divisione delle

politiche in questo campo. Originariamente pensata per garantire la riproduzione della forza

lavoro, l'edilizia popolare ha avuto, all'inizio del '900, gli operai come riferimento; secondo

questa logica, chi non lavora non ha "diritto" ad una casa e viene relegato ad essere soggetto di

politiche assistenziali ed emergenziali. La natura delle politiche per la casa ricalca a pieno

questa impostazione puntando più sul sostegno al mercato e alla proprietà immobiliare, che

sulla costruzione e l'intervento diretti [Tosi 1994]. Il settore ERP ha solo una funzione di

supporto a tali politiche e ciò appare evidente guardando ai numeri: al 2010 il patrimonio ERP

costituisce, in Italia, appena il 4%, a fronte del 36% dell'Olanda, del 22% del Regno Unito e

del 20% della media comunitaria [Milano 2010].

Alla luce di quanto abbiamo detto fin ora, le problematiche abitative dei più poveri risultano

16

mal-trattate e il segno più visibile e importante di tale mal-trattamento è il degrado edilizio e

sociale che è riscontrabile in una parte di quartieri di edilizia residenziale pubblica . Esso è

causa di stigmatizzazione e getta le basi per l'esclusione sociale dei soggetti che vivono in

simili quartieri: si passa così da una condizione di esclusione abitativa a una più complessa e

strutturata di esclusione sociale vera e propria [Tosi 1994].

In Italia il trattamento riservato ai bisogni abitativi dei poveri ha assunto caratteristiche

assistenziali ed emergenzialistiche. L'allestimento di un ricovero o di un dormitorio sono

interventi di questo tipo e hanno tutte le caratteristiche emergenziali tranne una, quella della

temporaneità. Infatti il termine emergenziale non definisce, in questo caso, una situazione

transitoria di urgenza: l'intervento rimante tale nel tempo, non si evolve, non si struttura [Tosi

1994].

In conclusione possiamo dire che, a dispetto della sua destinazione originaria che la voleva

come soluzione abitativa per i ceti operai e dopo anni di politiche orientate alla diffusione

della proprietà della casa, l'edilizia residenziale pubblica rimane lo strumento più valido per

intervenire, in maniera risolutiva, sul disagio abitativo dei poveri.

1.5 - Immigrazione ed esclusione abitativa: Un discorso che vuole prendere in

considerazione gli aspetti attuali dell'esclusione abitativa non può prescindere da un'analisi

delle problematiche relative all'immigrazione. Se guardiamo al processo di integrazione

dell'immigrato possiamo subito vedere quanto sia importante, per una buona riuscita dello

stesso, la dimensione abitativa. Essa è, tuttavia, portatrice di grandi difficoltà: secondo Tosi

[1993] le problematiche sono essenzialmente di due tipi: quelle alloggiative, che hanno come

focus il problema della coabitazione, e quelle derivanti dalla "presenza, da noi come in altri

paesi industrializzati, di consistenti aree di tensione e di disagio abitativo che fanno si che

attorno all'accesso alla casa la possibilità di conflitti sia di immediata evidenza, le cui

rappresentazioni correnti insistono sul carattere competitivo della domanda degli immigrati

nei confronti di quella locale" [Tosi 1993, 14]. Nel primo caso, le implicazioni coabitative che

nascono dall'insediamento di nuovi gruppi sociali su un territorio sono di per sé legate alla

dimensione locale dei rapporti interetnici. Nel secondo caso, la presenza di aree di disagio

abitativo "endemico" è dovuta, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, alle scelte

compiute in campo abitativo a livello statale e, ormai da circa quindici anni, a livello

regionale. Come abbiamo notato anche nel par. 1.2 a seguito di un processo di

regionalizzazione, le competenze in campo abitativo sono state infatti devolute agli Enti

17

locali, i quali sono così diventati i soggetti incaricati per il trattamento delle problematiche

abitative, comprese quelle degli immigrati.

L'immigrazione, in campo abitativo, costituisce una domanda aggiuntiva nelle aree più

complesse e mal-trattate dalle politiche, quelle del disagio estremo e dell'esclusione vera e

propria. Ciò appare chiaro se si guarda ai dati: varie ricerche5 [2000 e 2002] hanno mostrato

che in Italia la percentuale di immigrati fra i senza fissa dimora è superiore al 45%,

percentuale molto alta se confrontata con quella relativa all'incidenza degli immigrati sulla

popolazione totale, il 6,7%. La ricerca [Fio.psd 2002] fornisce dati che fanno emergere

un'ampia diffusione del disagio abitativo fra gli immigrati, in termini di qualità dell'alloggio e

di spazio a disposizione. Infatti, secondo l'Istat [2005] la popolazione immigrata regolarmente

residente vive generalmente in edifici meno recenti e in peggior stato di conservazione rispetto

agli italiani: "il 52,88% abita in immobili costruiti prima dell'accesso del 1962 (contro il

35,3% degli italiani), il 27,6% in edifici mal conservati (contro il 16,5%), il 20% in fabbricati

vecchi ed in cattivo stato di conservazione (percentuale doppia rispetto agli italiani)" [Ponzo

2009, 318]. Anche sullo spazio a disposizione gli immigrati si trovano in una posizione di

svantaggio rispetto agli italiani, dato che la media delle dimensioni degli alloggi degli

stranieri si attesta sui 75 metri quadri, rispetto ai 103 degli italiani, con una percentuale di

sovraffollamento grave6 del 7,5% rispetto allo 0.9% dei nostri connazionali [Ponzo 2009].

Le cause della situazione descritta sono da ricercarsi nell'orientamento generale e nella

traduzione in pratica delle politiche di accoglienza e di accesso all'abitazione che sono state

messe in atto da tutti i livelli della governance. Per quanto riguarda gli orientamenti generali

che hanno guidato e guidano tutt'ora l'intervento sociale in questo particolare campo troviamo,

da una parte, la riduzione di tutte le forme di disagio abitativo dell'immigrato alla categoria di

disagio estremo, dall'altra, le esigenze di controllo territoriale e contenimento dell'allarme

sociale derivante dall'insediamento di comunità di stranieri. Rappresentare il disagio abitativo

dell'immigrato esclusivamente come disagio estremo è la premessa necessaria per renderlo

trattabile con i percorsi classici dell'assistenzialismo escludendo, esattamente come per i

nazionali, la soluzione alloggiativa di lungo periodo. Le pratiche di controllo territoriale hanno

come premessa la costruzione dell'emergenza come unica rappresentazione dell'insediarsi

della popolazione straniera [Tosi 1993].

Dal 2002 per gli immigrati è stata aperta la possibilità di accedere alla graduatoria per

5 Il riferimento è alla Commissione d'indagine sull'esclusione sociale [2000] e ad uno studio a cura della Fio.psd (Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora) [2002].

6 L'Istat considera "sovraffollamento grave" la condizione in cui si occupi in un'abitazione nella quale vivano più di due persone per stanza.

18

l'assegnazione di un alloggio ERP7. E' l'articolo 40 del Testo Unico sull'immigrazione del

2002 (meglio conosciuto come "legge Bossi-Fini") che prevede la possibilità di accesso degli

stranieri all'ERP, ponendo come condizioni l'iscrizione all'anagrafe e il possesso del permesso

di soggiorno con durata minima due anni. Proprio decisioni come questa sono state alla base

della rappresentazione dell'immigrato che "ruba" la casa all'italiano assai utilizzata per

strumentalizzazioni politiche. Una ricerca della Fondazione Michelucci [2008] sulla presenza

degli immigrati nell'edilizia residenziale pubblica a Firenze evidenzia un altro scenario

secondo il quale la possibilità dell'immigrato di essere assegnatario di un alloggio di edilizia

residenziale pubblica va ad incidere esclusivamente in termini quantitativi sulla domanda, non

riportando nessun fattore che può vedere privilegiati gli immigrati sugli italiani.

Il patrimonio ERP nel comune di Firenze ammonta a 7.252 alloggi che costituiscono il 5% del

totale, dato superiore superiore sia alla media toscana (3,6%) che a quella nazionale (4%) e in

questi alloggi vivono circa 19mila persone (il 5% del totale); circa un residente ogni 20 è

assegnatario ERP. La percentuale degli immigrati assegnatari sul totale degli assegnatari è del

9%, leggermente inferiore alla percentuale di quelli residenti sul totale della popolazione

(9.5%), con prevalenza di immigrati provenienti dall'ex Jugoslavia, Marocco e Albania

[Fondazione Michelucci 2008]. L'andamento del numero complessivo delle domande nei

bandi considerati nella ricerca registra un sensibile aumento: dai 3.078 del bando del 1994, si

passa ai 3337 del 1997 fino ad arrivare alle 3436 domande del bando del 2004, mentre la

percentuale di domande da parte di immigrati passa da circa il 19% (bando integrato del

2000) al 30% circa con oltre 1.000 domande presentate nel 2008 : ciò è indice di difficltà

crescenti nell'accesso alla casa da parte della popolazione immigrata [Fondazione Michelucci

2008].

Anche gli elementi di disagio che portano alla presentazione della domanda, sui quali si basa

il sistema dei punteggi8 per la definizione della graduatoria, segnano alcune differenze: i

problemi di reddito sono largamente diffusi fra gli italiani (77% delle domande), ma ancora di

più fra gli stranieri (la percentuale delle domande degli stranieri per motivi di reddito sale al di

sopra del 90%), i quali lamentano anche sovraffollamento e famiglia numerosa

(rispettivamente il 22% e il 25%). Fra le domande degli italiani il 40% è per causa di

anzianità. Se poi guardiamo il dato delle richieste per sfratto che, a causa dell'elevato

punteggio riconosciuto è il vero ordinatore della graduatoria, esso si trova quasi

esclusivamente fra gli italiani, dato che le carriere abitativa più brevi e in molti casi non

7 In Toscana è dal 1996 (legge 96) che gli immigrati hanno diritto di accedere alle graduatorie per l'assegnazione dell'alloggio ERP. Questi criteri sono riportati nell'Appendice 1 del presente lavoro.

8 Anche il sistema dei punteggi, cui si fa riferimento, è disciplinato dalla Legge Regionale n. 96 del 1996.

19

regolari "proteggono" l'immigrato dal rischio di sfratto [Fonazione Michelucci 2008]. Se

infine, considerando che in Italia solo l'8% di chi fa richiesta si vede assegnare un alloggio,

appare chiaro che la stigmatizzazione dell'immigrato "ladro-di-case" e la rappresentazione

mediatica della "guerra fra poveri" non hanno nessun dato a supporto; si configura, semmai,

una deciso aumento di domanda in un'area già storicamente critica.

Alla luce di tutto ciò, come si configurano, ad oggi, le politiche in atto nei campi

dell'accoglienza e dell'accesso alla casa da parte degli immigrati? Nella costruzione di

politiche efficaci, la nuova legislazione assegna un ruolo di grande importanza alle Regioni,

agli enti locali e al terzo settore [Tosi 2000].

L'esperienza toscana inizia nei primi anni '90 quando, all'intensificarsi dei flussi migratori, si

costruiscono i primi centri di accoglienza. Questi centri hanno tutte le caratteristiche

dell'intervento emergenziale come gli spazi collettivi, dormitori e servizi comuni,

caratteristiche che lasciano scarsa autonomia agli ospiti e bassi livelli di privacy. Questo tipo

di intervento, benché fosse efficiente per lo scopo emergenziale che gli era stato assegnato, fin

da subito mostrò svariati punti deboli che portarono anche al fallimento di numerose

esperienze. Sostanzialmente i problemi maggiori che poneva erano essenzialmente due: da

una parte, la separatezza rispetto a percorsi abitativi veri e propri, dall'altra l'inefficacia a

livello di promozione dell'integrazione dei soggetti [Beudò 2009].

Le difficoltà incontrate nella gestione di tali centri hanno portato ad una differenziazione degli

stessi a seconda dei tempi di permanenza e della funzione che le strutture si prefiggono.

Attualmente le strutture attive possono essere così classificate [Beudò 2009]:

- Strutture di pronta accoglienza: strutture collettive o con un minimo di privacy (per nuclei

familiari) disponibili immediatamente, per situazioni di temporanea mancanza d'alloggio o di

completa esclusione.

- Residenza temporanea: strutture per nuclei familiari o per gruppi di singoli con durata del

soggiorno dai 6 ai 18 mesi, con servizi di accompagnamento all'autonomia abitativa.

-Residenze di inserimento: soluzione abitativa in alloggi a canone concordato di lungo periodo

(12-24 mesi) con funzione di consolidamento dell'autonomia abitativa sul mercato di nuclei

familiari o singoli.

La diffusione di queste strutture copre tutto il territorio regionale: la provincia che, per ovvi

motivi di densità abitativa, ne ha di più è quella di Firenze con sei centri nel Comune di

Firenze e altri cinque in Comuni limitrofi; Prato, Siena e Pistoia sono invece le province con il

numero minore di strutture (una a testa); in totale si arriva ad uno stock di circa 400 posti letto

20

disponibili. Le strutture sono per lo più pubbliche (di proprietà del Comune) gestite

direttamente o affidate alla gestione di cooperative o di associazioni ma non mancano anche

esperienze private convenzionate, come quelle della provincia di Lucca. L'assegnazione è, per

lo più, attraverso graduatorie interne al soggetto gestore, i cui bandi sono promossi presso i

potenziali utenti dai servizi sociali e i costi per l'utenza variano dal servizio gratuito (o con un

canone irrisorio) per le strutture di pronta accoglienza, a 130-400 euro per gli alloggi di

inserimento abitativo, vere e proprie case [Beudò 2009].

L'impostazione ora descritta per sommi capi ha la funzione di integrare il migrante nella

società attraverso il sostegno diretto alla sua carriera abitativa ma, in molti casi, attivando altri

servizi molto utili all'individuo nel suo processo integrativo come: corsi di italiano,

promozione presso le imprese per l'inserimento nel mondo del lavoro, assistenza legale

gratuita, servizi di asilo per le madri sole che, in questo modo, possono trovare lavoro più

facilmente. [Beudò 2009]. Questi servizi hanno lo specifico compito di dare all'immigrato

contatti (risorse sociali) e informazioni utili (risorse culturali) al fine di creare una "rete di

supporto" al processi di integrazione.

In conclusione, queste esperienze costituiscono un deciso passo avanti rispetto alle tradizionali

modalità di trattamento dei disagi abitativi degli immigrati. Esse infatti offrono soluzioni che

pongono le basi per il processo di integrazione del migrante nella comunità, superando

l'impostazione emergenzialistica dei vecchi interventi, che limitavano l'intervento alla

soluzione non-abitativa.

21

Capitolo 2

L'emergenza abitativa a Livorno:

Introduzione: Come detto nella prefazione, questo lavoro di tesi si inserisce all'interno di

un più vasto percorso di ricerca sulla condizione abitativa nelle strutture dell'Edilizia

Residenziale Pubblica a Livorno denominato "popolare non è un concetto" (PONEC). La

scelta di studiare questo specifico aspetto dell'esclusione abitativa è avvenuta a seguito della

lettura dei rapporti di ricerca dove ho trovato i primi riferimenti a questa realtà prima di allora

per me sconosciuta. Dai rapporti di ricerca [PONEC 2011A] sono tratte anche le tabelle e i

grafici che sono qui di seguito riportati.

2.1 - Livorno e l'Edilizia Residenziale Pubblica: Per definire meglio il contesto nel

quale si sviluppa l'emergenza abitativa a Livorno è bene chiarire il ruolo che l'edilizia

residenziale pubblica ha avuto e continua ad avere nella città.

Il rapporto fra la città e i suoi quartieri popolari dura da molto tempo; infatti il problema delle

case popolari venne messo in luce sin dagli anni dell'unificazione dai democratici [Bortolotti

1967]. Dobbiamo però attendere il 1906, dopo la promulgazione della cosiddetta “legge

Luzzatti”, per vedere tradotto in pratica in maniera sistematica un piano di edilizia popolare

con la creazione della “Società livornese per le case popolari” [PONEC 2011 B]. L'Ente

prevedeva due diverse forme di finanziamento: il capitale sociale costituito dalle azioni

comprate dai soci al prezzo di 25 lire l'una e il credito, facilmente ottenibile a condizioni

favorevoli da quei soggetti, le Casse di Risparmio per esempio, autorizzati dalla Legge

Luzzatti. Il primo intervento di edilizia pubblica arrivò nel 1911, quando fu terminata la

costruzione di due fabbricati nei pressi della Stazione Centrale, primo nucleo di quello che

diventerà il quartiere Stazione, poco prima della trasformazione della Società stessa

nell'Istituto case popolari livornese. [PONEC 2011 B].

Durante il periodo fascista la costruzione di nuovi edifici si intensificò per stare al passo

dell'espansione demografica della città dovuta all'inurbamento. Proprio in questa fase storica

nacquero i quartieri di Fiorentina e di via Filzi, quest'ultimo meglio conosciuto con il nome di

22

“Shangai”. Sempre in quegli anni l'Istituto divenne provinciale prendendo il nome di “Istituto

Fascista Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Livorno” [PONEC 2011B].

Durante il periodo bellico la città fu gravemente danneggiata dai bombardamenti e la necessità

di costruzione di nuove case divenne sempre più stringente. Nel 1945 l'Istituto si mosse

immediatamente per fronteggiare questa situazione di gravissima emergenza, promuovendo,

assieme al Comune che per mezzo di espropri fornì lotti i lotti edificabili, la costruzione di

interi nuovi quartieri ed il risanamento delle strutture parzialmente danneggiate. I

finanziamenti provenivano dal Comune, dallo Stato, dall'iniziativa privata fino ad arrivare al

piano INA Casa che finanziò gran parte della ricostruzione. In questi anni nacquero vari

quartieri di edilizia residenziale pubblica, fra i quali “Corea” (su un terreno adibito

nell'immediato dopoguerra a rifugio temporaneo costruito dal Genio Civile), “Sorgenti” e “La

Rosa” [PONEC 2011B]. Quest'ultimo è l'esempio di un quartiere popolare ben progettato,

ancora oggi probabilmente qualitativamente migliore dei quartieri costruiti più recentemente.

Dagli anni '60 agli anni '80 si assiste a sostanziali modificazioni nella gestione dell'edilizia

residenziale pubblica; infatti il “1962 fu un anno importante nella storia dell’urbanistica

locale, tanto da essere addirittura considerato lo spartiacque tra una strategia che vedeva

l’Istituto Autonomo per le Case Popolari unico vero protagonista del processo edilizio

pubblico ed una fase di maggiore coinvolgimento nella progettazione e gestione del settore

abitativo da parte di soggetti esterni, come cooperative ed imprese“ [PONEC 2011B,25]. Il

Comune fu uno dei primi in Italia ad adottare il Piano Edilizia Economica e Popolare (PEEP)

scegliendo zone anche distanti dall'area urbana vera e propria al fine di indirizzare uno

sviluppo di tutta l'area attorno alla città. In questa fase furono completati gli interventi presso

La Rosa, Coteto, Stella, Bastia, Corea, Orosi e lottizzate aree collocate in luoghi diversi come

S. Jacopo, Montenero, Antignano e Quercianella. Sul finire degli anni '60 l'Istituto aveva

10.981 alloggi, di cui circa 5.000 di proprietà statale, in gestione [PONEC 2001B].

Durante gli anni '70 l'IACP costruì 713 alloggi a Livorno e circa 200 nella provincia e si

dedicò alla manutenzione del patrimonio esistente che si era accresciuto di circa 2.000 alloggi

ricevuti in gestione e di proprietà comunale [PONEC 2011B].

Negli anni '80 si abbandonarono le acquisizioni nella zona più vicina al centro cittadino e si

assegnarono a cooperative nuove lottizzazioni in zone più distanti che portarono alla

costruzione del quartiere “La Leccia” e “Scopaia”. Questi due interventi risultarono avere

gravi carenze a livello progettuale, sia per la scarsità dei collegamenti con il centro, sia per

l'assenza di servizi: in breve divennero due quartieri-dormitorio [PONEC 2011B].

Nel 1986 si arriva ad un altro importante cambiamento, che porterà l'IACP a divenire ATER

23

(Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale della Provincia di Livorno). Le funzioni

(costruzione, manutenzione e gestione del patrimonio) e la dimensione (provinciale)

rimangono immutate, mentre cambia la natura dell'Ente, da Istituto assistenziale si arriva

all'Azienda che si colloca nel campo del servizio pubblico [PONEC 2011B].

Durante gli anni '90, complice il sostanziale ritiro delle Stato dal settore dell'ERP, l'ATER di

Livorno si concentra sul recupero dei quartieri più degradati. “Il P.R.U. (Piano di Recupero

Urbano) livornese del 1996, nella sua scheda normativa, prevedeva come finalità: la

riqualificazione complessiva del tessuto urbanistico, il miglioramento dell’accessibilità, il

recupero urbano, il risanamento ambientale, l’inserimento di elementi di arredo urbano,

l’adeguamento delle infrastrutture e, più in generale, il miglioramento globale della qualità

della vita per gli abitanti dei quartieri , il tutto tramite un insieme sistematico di opere”

[PONEC 2011B, 36] che ha visto queste azione concentrate soprattutto nei quartieri (popolari

e non) di “Venezia”, “Corea”, “Shangai” e sul percorso delle Mura Lorensi.

Nei primi anni del 2000 si assiste, a Livorno come nelle altre Province toscane, al riassetto

dovuto al totale trasferimento di competenze agli enti locali in materia edilizia residenziale

pubblica, in attuazione della Legge Regionale 77/'98. Infatti “il 1° aprile 2004 l’ATER viene

definitivamente sciolta e sostituita da “Casa Livorno e Provincia s.p.a.”, detta sinteticamente

CASALP, una società a totale capitale pubblico e di proprietà dei Comuni della Provincia di

Livorno, preposta, con specifico contratto di servizio, alla gestione e manutenzione degli

edifici di edilizia sociale pubblica” [PONEC 2011B, 41].

Al 2004 il patrimonio affidato a Casalp era di 8.861 alloggi, pari a circa l'8% del totale

dell'intero stock di abitazioni, dato assolutamente rilevante se rapportato a quello generale

italiano che si attesta al 4% del totale [PONEC 2011A]. Anche a Livorno, però, sono

riscontrabili gli effetti del piano di vendita (o svendita) degli alloggi pubblici che ha

caratterizzato il settore dai primi anni '90. Infatti nel 1991 il patrimonio ERP era pari al 14,8%

del totale, dieci anni dopo, nel 2001, era sceso all'11,5%.

L'effetto più significativo di tale impoverimento dell'offerta è l'irrigidimento delle liste dei

attesa che vedono dilatarsi i tempi relativi all'assegnazione di un alloggio, a fronte di un

andamento costante delle domande. [PONEC 2011A].

24

Tab.1 – Serie storica bandi ERP: domande presentate e domande ammesse

1992 bando

generale

2000 bando

generale

2002 bando

integrativo

2004 bando

generale

2006 bando

integrativo

2008 bando

generale

2010 bando

integrativo

2008/2010 dati

integratidomande presentate 1.619 1.431 910 1.246 881 1.354 902 1.942domande presentate da stranieri 137 289domande ammesse 1.267 850 1.097 722 1.195 827 1.617esclusi 164 60 149 159 159 75 206domande di stranieri ammesse 83 122 228

Fonte: Ponec 2011 “Politiche per l'abitare” P. 34

Nei grafici di seguito riportati sono rappresentate le composizioni, in percentuale, delle

graduatorie definitive per gli anni 2004, 2008 e 2010.

Fig. 1 – Graduatoria definitiva 2004: disagio abitativo

Fonte: Ponec 2011 “Politiche per l'abitare” P. 35.

25

Fig. 2 – Graduatoria definitiva 2008: disagio abitativo

Fonte: Ponec 2011 “Politiche per l'abitare” P. 36

Fig. 3 – Graduatoria definitiva 2010: disagio abitativo

Fonte: Ponec 2011 “Politiche per l'abitare” P. 36

26

2.2 - La riserva di legge: La necessità di una riserva di alloggi a parte nasce dal fatto che le

graduatorie formate dai bandi ERP hanno tempi di scorrimento molto lunghi nei quali le

condizioni di disagio dei richiedenti possono peggiorare, richiedendo così un intervento

d'urgenza. Per flessibilizzare l'offerta e modellarla almeno in parte sui bisogni urgenti

dell'utenza, la Regione Toscana introduce con l'articolo 17 della “Legge Regionale 20

dicembre 1996, n. 96 – Disciplina per l'assegnazione, questione e determinazione del canone

di locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica” la graduatoria per emergenza

abitativa.

Art. 17 - Riserve di alloggi per emergenza abitativa.

1. I comuni possono riservare, previa informazione alla Giunta regionale, un'aliquota non

superiore al 40% degli alloggi da assegnare nel proprio ambito territoriale, a soggetti in

possesso dei requisiti di cui alla presente legge, per far fronte a specifiche e documentate

situazioni di emergenza abitativa, quali:

a) sfratti esecutivi non prorogabili inseriti negli appositi elenchi per l'esecuzione con la forza

pubblica;

b) sgombero di unità abitative di proprietà pubblica o per pubbliche finalità;

c) pubbliche calamità;

d) trasferimento, per motivi di servizio, di appartenenti alle forze dell'ordine o alle forze

armate;

e) profughi;

f) richiesta di alloggio adeguato per il ricongiungimento familiare da parte di cittadini di Stati

non aderenti all'Unione Europea, aventi i requisiti previsti dall'allegata Tabella A.

2. I destinatari della riserva di cui alle lettere a) ed e) del primo comma, oltre ad essere iscritti

nella graduatoria generale permanente, vengono collocati d'ufficio in una graduatoria speciale,

al fine della più agevole individuazione dei beneficiari delle quote di alloggi riservati

3. Gli assegnatari degli alloggi riservati alle categorie di cui alle lettere b) e c) del primo

comma del presente articolo, sono individuati dal Consiglio Comunale mediante un apposito

elenco che verrà trasmesso alla Commissione di cui all'art. 8 per la verifica del possesso dei

requisiti obbligatori prescritti dall'art. 5.

27

4. Gli assegnatari degli alloggi riservati alle categorie di cui alla lettera d) del 1° comma del

presente articolo, sono individuati mediante bando speciale riservato agli appartenenti alle

forze dell'ordine ed alle forze armate trasferiti, da emanare con le procedure di cui alla

presente legge, ed attraverso la formulazione da parte della Commissione di cui all'art. 8, di

un'apposita graduatoria speciale.

5. Gli assegnatari degli alloggi riservati alle categorie di cui alla lettera f) del 1° comma del

presente articolo, sono individuati mediante bando speciale, da emanare con le procedure di

cui alla presente legge, ed attraverso la formulazione, da parte della Commissione di cui

all'art. 8, di un'apposita graduatoria speciale.

6. Nel caso in cui il beneficiario della riserva sia già assegnatario di alloggio di edilizia

residenziale pubblica, deve possedere i requisiti richiesti per la permanenza nell'alloggio.

7. Sono ammesse sistemazioni provvisorie in alloggi pubblici, per un periodo massimo di due

anni, rinnovabili una sola volta, a favore delle categorie di cui alle lettere b), c), d) e) f) che

non abbiano i requisiti obbligatori prescritti dall'art. 5.

8. Fatti salvi i programmi di edilizia extraospedaliera e di residenze sociali previste dal PRS, i

Comuni possono destinare, previa informazione alla Giunta regionale, nell'ambito della

riserva di cui al comma 1, una quota non superiore al 5% di alloggi di edilizia residenziale

pubblica al soddisfacimento dei bisogni abitativi di soggetti fruenti di intervento socio-

terapeutico o assistenziale, se in possesso dei requisiti per l'accesso agli alloggi di erp. Gli

alloggi sono assegnati sulla base di programmi di intervento del Comune (24).

9. Gli alloggi di cui al comma 8 vengono utilizzati per le finalità ivi previste per tutto il

periodo in cui perdurino le esigenze che ne hanno determinato la loro speciale destinazione.

Ogni due anni il Comune effettua le opportune verifiche e ne comunica l'esito alla Giunta

regionale ai fini della conferma, revoca o modifica dell'autorizzazione.

10. Nel caso in cui gli alloggi di cui al comma 8 non siano di proprietà comunale, una

convenzione stipulata dal Comune con l'ente proprietario determina le modalità di

utilizzazione e di manutenzione, la durata e il canone di locazione da corrispondere, calcolato

ai sensi della presente legge.

28

11. Con la legge regionale concernente l'organizzazione e la promozione delle politiche sociali

e il conseguente riordino dei servizi socio - assistenziali sono individuate specifiche

provvidenze in favore di categorie a rischio e di soggetti svantaggiati.

Solo i comuni più grandi, nei quali le situazioni di disagio abitativo si fanno sentire con

maggior forza hanno costituito le riserve di legge, essendo, come da normativa, facoltative.

Possono accedere all'alloggio di riserva di legge coloro i quali sono già in graduatoria ma che,

per motivi di urgente necessita (per esempio uno sfratto non rimandabile), necessitano di una

soluzione abitativa in tempi rapidi.

“La delibera della Giunta Comunale n. 349 del 2011 ha stabilito che possono essere conferiti

al sistema dell’Emergenza Abitativa alloggi di superficie minima fino a 34,99 mq; alloggi

precedentemente conferiti a soggetti rispondenti alle condizioni previste dalla L.R. 96/1996,

art. 17 comma 8 e L.R. 41/2005 art. 52 comma 2 lett. b) e quindi già facenti parte del “parco

alloggi” per l’emergenza abitativa; alloggi non attribuiti alle graduatorie dopo tre mesi dalla

loro disponibilità, perché ripetutamente rifiutati dai soggetti delle graduatorie ordinarie;

alloggi fino al 5% della disponibilità, anche di superficie superiore ai 34,99 mq” [PONEC

2011,55].

29

La diffusione territoriale risultante è la seguente:

Tab. 2 Assegnazioni divise per area geografica. Fonte: Ponec 2011 “Politiche per l'abitare”

Come è facilmente intuibile i criteri di attribuzione dell'alloggio alla riserva di legge hanno

concentrato, di fatto, le assegnazioni nei quartieri costruiti in tempi meno recenti, poiché sono

questi i quartieri dove è più probabile trovare un alloggio con dimensioni inferiori al minimo

di legge.

Le assegnazioni sono gestite, dal 2006, dalla Commissione integrata per l'emergenza abitativa

che è composta da:

- il dirigente del settore in qualità di Presidente (il direttore dell'Ufficio Casa).

- il responsabile dell'Ufficio Programmazione e Servizi per il fabbisogno abitativo

- un esperto di affari legali

- un esperto designato da Casalp

- un esperto designato dall'Azienda Usl 6

- un esperto di problematiche socio-assistenziali designato dall'istituzione

Le assegnazioni sono sottoposte a controlli biennali al fine di verificare la permanenza del

bisogno. Dal 2005 è possibile veder trasformata l'assegnazione provvisoria in definitiva al

sesto anno, dopo un successivo controllo [PONEC 2011A]. Importante notare che, se e

quando l'alloggio ritorna disponibile, esso viene nuovamente conteggiato all'interno della

riserva di legge, quindi torna al patrimonio di emergenza abitativa. Questa possibilità di

30

2006 2007 2008 2009 2010 TotaleStazione 2 2 4 2 2 12Shangai 1 5 7 4 12 29Fiorentina 4 3 4 4 14 29Voltone/Fiorentina 0 2 4 4 3 13Corea 1 1 0 2 0 4Salviano 0 0 1 0 2 3Padula 1 0 1 0 0 2Sorgenti 0 0 1 0 0 1Antignano 0 0 1 0 0 1La Leccia 0 1 0 0 0 1Valle Benedetta 1 0 0 0 0 1Roma 1 0 0 0 0 1Risecchi 0 0 0 0 1 1

trasformazione, come vedremo, ha un notevole impatto sul funzionamento del sistema

dell'emergenza abitativa.

Accanto agli alloggi, il Comune si avvale anche delle strutture di accoglienza che servono a

dare risposta a situazioni di urgente disagio di persone che non hanno fatto domanda per

l'assegnazione di un alloggio pubblico. Anche per quanto riguarda le strutture, la competenza

per l'assegnazione del posto è sempre della Commissione per l'emergenza abitative che valuta

le domande raccolte dallo Sportello Per l'Emergenza Abitativa, la cui attività sarò oggetto del

prossimo paragrafo.

La tabella seguente riporta l'elenco delle strutture di emergenza abitativa attive a Livorno.

31

Tab. 3 – Elenco dei locali adibiti a Centri di accoglienza

Nome e indirizzo Nuclei familiari Posti letto Tipologia strutturaTipologia utenza

prevalente Ente GestoreEmergenza abitativaCentro Plurifamiliare viale G.Carducci, 102 4 nuclei familiari 9 aperta 24 ore su 24 donne con bambini Comune di LivornoCentro Plurifamiliare Cammilli Via P. Pisana, 354 6 nuclei familiari 29 aperta 24 ore su 24 nuclei familiari Comune di LivornoCentro Plurifamiliare Casa FirenzeVia del Littorale, 225 4 nuclei familiari9 10 aperta 24 ore su 24 donne con bambini Comune di Livorno

Centro Plurifamiliare Caritas "Porto della Fraternità" Viale delle Cateratte, 15 5 nuclei familiari 16 aperta 24 ore su 24 nuclei familiari e una

coppia senza figli Caritas

Centro per soli Uomini via Eugenia, 12 12 uomini 12 aperta 24 ore su 24 uomini soli Comune di LivornoCentro Homeless via del Cedro, 3 12 uomini 12 aperta 24 ore su 24 uomini soli Arci solidarietàCentro Adulti gestito dalla Psichiatria via della Giuncaiola, 8 5 aperta 24 ore su 24 Comune di Livorno

Centro Plurifamiliare via della Bassata, 11/136 uomini e 5 nuclei familiari (tra cui 3

donne con bambini)24

uomini soli e nuclei familiari completi o

monogenitorialiComune di Livorno

Centro Plurifamiliare via di Romagnosi, 2 2 nuclei familiari 6 aperta 24 ore su 24 nuclei familiari Comune di LivornoCentro Plurifamiliare via Campania, 37 2 nuclei familiari 6 aperta 24 ore su 24 nuclei familiari Comune di LivornoAccoglienza temporaneaS. E. F. A. (Social Emergency First Aid) via Pellegrini 33/35 10 uomini 10 aperta 12 ore

(solo la notte) uomini soli Arci solidarietà

Casa delle Donne via del Cedro 1 14 donne 14 aperta 24 ore su 24 donne sole Arci solidarietà

Fonte: Ponec 2011 “Politiche per l'abitare” P. 59

9 Al momento della chiusura di questo rapporto al Centro Casa Firenze è alloggiata una sola famiglia. La struttura è in fase di dismissione per vendita della stessa.

2.2- Lo sportello per l'emergenza abitativa: Lo strumento che l'amministrazione

livornese mette in campo sul tema dell'emergenza abitativa è lo “Sportello per l'Emergenza

Abitativa”. Lo sportello è stato gestito direttamente dall'Uffcio Casa del Comune fino al 2000,

mentre oggi è gestito dall'Arci che, proprio nel 2000, ha vinto il bando di gara per

l'esternalizzazione del servizio. Si possono così individuare due fasi della “vita” dello

sportello che si differenziano, oltre che per l'istituzione che lo gestisce, anche per le pratiche

vere e proprie.

Nella fase precedente all'esternalizzazione la gestione era esclusivamente interna all'Ufficio

Casa che raccoglieva le domande e attivava i percorsi di trattazione. La prassi che caratterizza

questo periodo è quella dell'albergazione, ovvero dell'assegnazione di un posto letto in un

albergo in convenzione con il Comune che si faceva carico del canone giornaliero. I limiti di

questo tipo di risposta sono immediatamente evidenti: da parte del Comune i costi

particolarmente elevati superavano i benefici della velocità di risposta, che nel caso di un

inserimento in albergo è praticamente istantanea. Da parte dell'utenza questa soluzione

comportava, a fronte di una immediatezza di risposta, carenze molto gravi sia a causa della

sistemazione che non offriva una possibilità alloggiativa 24 su 24, sia per l'effettivo stato di

abbandono a cui i soggetti andavano incontro dopo essere stati albergati.

Questi estratti dalle interviste10 sono particolarmente significativi in questo senso:

“...l'albergazione era un sistema che sicuramente era una risposta; ma era una risposta mal

organizzata e dispendiosa perché costava moltissimo in rapporto a... il costo unitario era

intuitivamente notevole, e gli effetti non è che erano effetti poi di tutela delle condizioni

familiari... cioè uno doveva, la mattina, uscire da lì... cioè non è che ci stava...l' albergatore

diceva “dormi, poi esci, poi ritorni...” che razza di vita poteva essere...come si poteva

riorganizzare anche una famiglia...cioè ricostruire le condizioni di organizzazione per

potere...ehm...riprendere con le proprie gambe...era una cosa impossibile, cioè alla fine

generava ancora più assistenza, ecco. Ed era molto dispendiosa: i costi erano notevolissimi”.

10 Interviste all'attuale Direttore dell'Ufficio Casa del Comune di Livorno Giovanni De Bonis e alla responsabile ARCI dello Sportello per l'Emergenza Abitativa, Cinzia Simoni, effettuate da Erika Cellini e Barbara Saracino (PONEC).

33

E ancora:

“la situazione che veniva fuori era quella di un abbandono di questi soggetti, sia da parte dei

servizi che da parte di chiunque, perché col fatto che gli s’era trovato un buco dove stare loro

non andavano più a rompere le palle perché comunque c’avevano un tetto sulla testa, per cui

tutto sommato… 8 su 10 era quello che gli interessava per sfangare la giornata… solo che si

creavano delle situazioni di criticità assolute, cioè gente anche giovane che stava lì a dormire

tutto il giorno, che rimanevano lì a lungo, e pagava il Comune.”

Dati i costi e la disfunzionalità dell'albergazione, nel 2000 si arriva all'esternalizzazione della

gestione dello Sportello tramite un bando successivamente vinto da Arci. Si entra nella

“seconda fase” della gestione dell'emergenza abitativa che,a seguito della creazione delle

strutture d'accoglienza, ci porterà alla configurazione attuale. Le difficoltà iniziali erano

costituite dalla “novità” della gestione che complicava i fondamentali rapporti con i servizi

sociali.

"E' stata una cosa che si è costruita con l'esperienza e con il tempo. Quando siamo

partiti...avevamo quasi lo stesso modulo che avevamo ora però non eravamo conosciuti dai

Servizi, ovviamente perché è una cosa nuova...ci siamo dovuti far conoscere...prendere i

contatti con i Servizi distrettuali del territorio, col S.e.r.t., con la psichiatria...quindi è una cosa

che si è costruita piano piano..."11

Il rapporto con i Servizi Sociali si è dimostrato fin da subito estremamente importante per la

gestione complessiva dell'emergenza abitativa dato che, nella fase iniziale, le domande

provenivano quasi esclusivamente da soggetti in forte marginalità sociale, come ex

tossicodipendenti, ex detenuti o malati psichiatrici dimessi dalle strutture di cura, quindi già

conosciuti e assistiti.

Durante le interviste gli operatori hanno sempre posto l'accento sul cambiamento che ha

caratterizzato la domanda negli ultimi due anni, che ha visto crescere le domande provenienti

da aree che non erano considerate a rischio solo pochi anni fa. I componenti di questo nuovo

disagio abitativo sono le famiglie che perdono un reddito, uomini adulti con separazioni alle

11 Dall'intervista effettuata a Cinzia Simoni, responsabile ARCI dello Sportello per l'Emergenza Abitativa.

34

spalle e anziani che, pur percependo la pensione, non possono pagare un affitto. Gli sfratti, ed

in particolare quelli eseguiti per morosità, sono un valido indicatore del disagio abitativo

perché segnano un passaggio di individui e famiglie da una condizione di relativa sicurezza

abitativa ad una di disagio, delimitando così “l'area” del disagio. La condizione di chi si trova

a vivere sotto la minaccia di uno sfratto è di estrema debolezza, in quanto ha un grande

impatto sui progetti futuri degli individui e delle famiglie. Lo sfratto, in fine, è un evento

estremamente traumatico che impone dei cambiamenti radicali a chi lo subisce, che pone

l'individuo davanti ad una necessaria risocializzazione con nuovi modelli abitativi,

comportamentali e sociali nella più ampia accezione [PONEC 2011A]. Nel Comune di

Livorno dal 2000 al 2010 si assiste ad un aumento degli sfratti e nel 2008, per la prima volta,

si superano i 200 casi. “Dal 2007 gli sfratti eseguiti per finita locazione diminuiscono e

aumentano gli sfratti per altre motivazioni, fra le quali rientra la morosità, che secondo

l’Ufficio casa del Comune di Livorno è fra queste la motivazione principale” [PONEC 2011A,

27].

Tab. 2 – Esecuzioni per il rilascio di immobili adibiti ad uso abitativo del Comune di Livorno

Finita

Locazione Altro (1) Finita Locazione Altro (1)

Anno

Eseguiti con Forza

Pubblica

Definiti (dopo la fissazione

della data dell'esecuzione con Forza Pubblica)

TOTALE al

31/05/2011 31 922001 20 38 57 48 1632002 21 39 57 42 1592003 14 36 32 40 1222004 18 21 37 36 1122005 / 37 9 52 982006 16 27 24 24 912007 12 56 37 35 1402008 19 66 39 77 2012009 6 74 49 75 2042010 5 77 25 84 1912011 2 33 4 31 70Totale 144 525 399 575 1643

35

Nota 1: Morosità, morosità sopravvenuta, decreto di trasferimento, occupazione senza titolo ecc.

Fonte: Ponec 2011 Politiche per l'abitare pag. 28.

A questo punto è importante capire quali siano le cause della morosità e come si

distribuiscono, al fine di delineare un profilo del disagio abitativo.

Tab. 3 – Le cause di morosità nella Provincia di Livorno

%Insostenibilità dei canoni di locazione 65Impreviste difficoltà familiari 15Perdita di lavoro 15Malattie inaspettate o invalidità 3Altre cause 2Totale 100

Nota: Ricerca condotta da ASSPI (Associazione sindacale piccoli proprietari immobiliari) su 400 schede di proprietari immobiliari della Provincia di Livorno.Fonte: Ponec 2011 Politiche per l'abitare pag.29.

I motivi “incidentali” che comportano costi particolarmente incisivi arrivano solo al 33%

mentre è assolutamente preminente (65%) la componente strutturale dell'insostenibilità del

canone d'affitto [PONEC 2011A].

Come vedremo nel prossimo capitolo, questa differenziazione dell'utenza ha conseguenze importanti

per la coabitazione nelle strutture di accoglienza.

36

Capitolo 3

Le strutture di emergenza abitativa a Livorno

3.1 – Il disegno della ricerca: Per comprendere meglio il funzionamento delle strutture

di accoglienza ed inserirle correttamente in un discorso analitico sulla gestione dell'emergenza

abitativa a Livorno, ho studiato empiricamente due di esse. Le strutture che ho visitato sono

quella di via Eugenia, nella quale sono alloggiati solo uomini adulti, e la "Casa delle Donne"

di via del Cedro, nella quale sono alloggiate solo donne adulte12. La scelta dei casi è stata fatta,

in accordo con la responsabile Arci dello Sportello per l'emergenza abitativa, in base ad un

criterio di omogeneità: essendo entrambe strutture per singoli individui esse sono, almeno il

linea di principio, comparabili – cosa impossibile da fare fra strutture con ospiti eterogenei,

come ad esempio fra una struttura per individui singoli e una per nuclei familiari. Nonostante

ciò, come vedremo più avanti, le differenze si sono rivelate assai marcate.

La mia indagine si è svolta principalmente tramite due strumenti di rilevazione: l'osservazione

e le interviste.

I soggetti delle interviste sono stati gli operatori Arci che lavorano all'interno delle strutture in

qualità di testimoni privilegiati. In totale ho condotto quattro interviste di cui una al

responsabile Arci per lo Sportello per l'Emergenza Abitativa e tre agli operatori. Il tipo di

intervista che ho scelto è stata quella parzialmente standardizzata [Bruschi 1999]. “Nelle

interviste parzialmente standardizzate è presente una qualche forma di strutturazione dello

schema d'intervista: sono già stabiliti, naturalmente, l'obiettivo e i temi, ma anche un gruppo

di domande stimate utili per l'indagine. Pertanto, l'intervistatore opera in base a una griglia di

di rifermento di domande fisse, a cui ne aggiunge di non programmate che formula secondo le

necessità ravvisate. Aumentando la standardizzazione, stimolo, numero e ordine delle

domande tendono ad essere preordinati, sebbene le domande restino prevalentemente aperte e

l'intervistatore goda sempre di una grande libertà“ [Bruschi 1999, 372].

Le interviste si sono svolte all'interno delle strutture durante l'orario di lavoro. I temi13 intorno

ai quali ho articolato l'intervista sono:

- Funzionamento struttura.12 Vedi tabella 3 paragrafo 2.2.13 La traccia dell'intervista che ho seguito durante il lavoro sul campo è riportata in Appendice 2.

37

- Attività dell'operatore.

- Problemi e criticità.

- Margini di miglioramento del servizio.

Per quanto riguarda l'osservazione, data la brevità della mia permanenza all'interno delle

strutture (circa 3 ore per struttura) ho scelto di seguire una traccia che facilitasse la lettura

dello spazio nel quale mi sono trovato ad operare14 . La modalità è stata la lettura [Cellini

2008] “Nelle ricerche con le letture non c'è un coinvolgimento del ricercatore, ma c'è la sua

presenza sul campo, o comunque in una posizione che gli permette di elaborare e di

interpretare ciò che osserva“ [Cellini 2008, 137]. Dal momento che i casi della mia ricerca

sono state le strutture in quanto "microcosmi", ho cercato di osservare tutto ciò che potesse

testimoniare la natura della vita all'interno della struttura stessa. Un’osservazione partecipante

nelle strutture al fine di comprendere la vita quotidiana degli ospiti avrebbe necessitato una

vera e propria strategia di ricerca etnografica non attuabile per questa tesi.

Quindi gli ambiti di osservazione sono stati:

- Le caratteristiche della struttura.

- L'organizzazione interna dello spazio.

- I posti letto.

3.2 – Strutture e operatori: Il ruolo che hanno le strutture di accoglienza nella gestione

dell'emergenza abitativa è quello di fornire una risposta in tempi rapidi a situazioni di

gravissimo disagio abitativo che necessitano di una trattazione immediata.

Complessivamente a Livorno sorgono 11 strutture per l'emergenza abitativa gestite da più

soggetti quali: il Comune di Livorno (7 strutture), l'Arci (3 strutture) e la Caritas (1 struttura).

Tutte sono strutture aperte 24 su 24 tranne una che è aperta 12 ore la notte con funzione di

dormitorio notturno. Quasi tutte le strutture hanno una tipo di utenza di riferimento: ci sono 6

strutture per nuclei familiari, 3 per soli uomini, una per sole donne e una che ha un'utenza

mista (uomini, nuclei familiari e donne con bambini) (vedi tab. 2 paragrafo 2.2) .

"Ci sono delle strutture autonome e delle strutture gestite, con la presenza di operatori fissi. Le

strutture autonome, però, hanno previsto un servizio di mediazione che svolgiamo sempre

noi."15

14 La traccia dell'osservazione che ho seguito durante il lavoro sul campo è riportata in Appendice 2.15 Estratto dall'intervista al responsabile Arci dello Sportello per l'Emergenza Abitativa.

38

Come chiaramente rappresentato dall'estratto, le strutture di emergenza abitativa si

suddividono in due tipi: quelle gestite, ovvero con una presenza quotidiana dell'operatore che

può andare da 24 ore su 24 sette giorni la settimana, come nel caso della Casa delle Donne, a 6

ore al giorno 6 giorni la settimana, come nella struttura di via Eugenia; quelle cosiddette

autonome, nelle quali non c'è una presenza fissa di operatori, ma delle visite una o più volte la

settimana a seconda delle necessità.

Le strutture sono anche classificabili per il tipo di utenza di riferimento16 ovvero:

-Strutture per soli uomini

-Strutture per sole donne

-Strutture per nuclei familiari

Il ruolo degli operatori, sia nelle strutture gestite sia in quelle autonome, rimane lo stesso,

ovvero:

a) monitoraggio

b) gestione dei conflitti

c) accompagnamento

Il monitoraggio si svolge su due livelli: all'interno della struttura esso consiste nella

sorveglianza di quest'ultima, del rispetto da parte degli ospiti del regolamento interno e dei

bisogni materiali degli ospiti; all'esterno della struttura il monitoraggio si identifica con

l'attività di referenza che l'operatore intrattiene con i Servizi Sociali, che spesso hanno in

carico gli ospiti delle strutture, e con Ufficio Casa, per le problematiche strutturali, come gli

interventi di mantenimento. Il rapporto con i servizi, come avevamo già accennato nel

paragrafo 2.2 , è particolarmente importante dal momento che una gran parte degli assistenti

sociali sono assunti dal Comune con contratti a termine della durata di circa 4-5 mesi. Da

questo dipende una grande discontinuità di trattamento dei soggetti seguiti che obbliga a

"ricominciare da capo" ad ogni cambio di assistente sociale. Proprio per questo gli operatori

che lavorano nelle strutture, in particolare in quelle gestite in maniera continua, assumono un

ruolo assai rilevante.

Dalla prospettiva dell'operatore, questo continuo cambiamento delle loro "interfacce" con i

servizi è vissuto come una difficoltà aggiuntiva al loro lavoro quotidiano e un'esternalità

negativa nei processi di recupero e di integrazione degli ospiti.

La gestione dei conflitti è un altro compito importante dell'operatore. La vita quotidiana

all'interno di una struttura di emergenza abitativa è una vita in comune: la condivisione dello

spazio, l'uso condiviso dei servizi igienici, della cucina e della lavatrice che, in situazioni

16 Vedi tab.1, paragrafo 2.2.

39

abitative convenzionali si danno per scontate, in questo caso assumono una grande rilevanza.

In particolare il problema della cura degli ambienti con le pulizie è, in entrambe le strutture, il

motivo di contrasto più forte. La mediazione dei conflitti assume quindi una grande rilevanza

per il funzionamento della struttura e per la qualità della vita degli ospiti.

L'accompagnamento si riferisce ad una vasta gamma di attività di supporto dell'ospite nei

confronti delle istituzione e dei servizi come ad esempio:

-Presentazione di una domanda per il bando ERP

-Attribuzione di sussidi e social card

-Iscrizioni a uffici di collocamento e ottenimento di borse lavoro17

In particolare, l'aiuto alla corretta presentazione della domanda per il bando ERP è di

fondamentale importanza, poiché, come vedremo, l'attribuzione di un alloggio di edilizia

residenziale pubblica è, a parte rarissimi casi, l'unica via per il passaggio ad una soluzione

abitativa vera e propria.

Occorre sottolineare che questa attività dell'operatore è chiamata accompagnamento proprio

per sottolineare l'aiuto (in termini materiali e non) che queste persone prestano all'iniziativa

che rimane sempre del soggetto interessato, in un progetto di superamento del mero

assistenzialismo, tipico della fase albergativa (vedi par. 2.2), che non induceva gli assistiti ad

iniziare un percorso di recupero di autonomia anche parziale.

Lo strumento tramite il quale l'operatore rimane informato sugli avvenimenti che accadono

quotidianamente all'interno della struttura è il diario che viene compilato al termine di ogni

turno ed è una sorta di registro degli avvenimenti. Nel caso della struttura di via Eugenia,

assistita 6 ore su 24, il diario ha un ruolo ancora più importante dato che spesso i turni dei due

operatori non sono consecutivi e non è quindi possibile un "passaggio di consegne" a voce.

Gli operatori, infine, non hanno una reperibilità 24 su 24, quindi se succede qualcosa fuori

dalle ore di presenza in struttura, gli ospiti devono adoperarsi per risolvere il problema,

qualsiasi esso sia, in maniera autonoma e riportare l'accaduto alla successiva visita

dell'operatore. E' il caso delle strutture cosiddette autonome, dove il monitoraggio avviene una

o due volte la settimana nelle quali si deve cercare di mediare agli eventuali conflitti e

svolgere gli altri compiti.

17 Sono percorsi e interventi a sostegno di cittadini in situazione di grave disagio e di ridotte capacità lavorative, dovute alla condizione di marginalità, mediante l’attivazione di “azioni progettuali” nell’ambito della formazione e dell’orientamento professionale (stages lavorativi presso unità produttive della zona con le quali viene stipulata apposita convenzione).

40

3.3 – Uomini e donne: Le strutture di via Eugenia e la Casa delle Donne di via del

Cedro si trovano a poca distanza l'una da l'altra in zona San Marco, relativamente vicine al

centro storico e al porto e a circa 10 minuti in autobus dalla Stazione Centrale di Livorno, ben

collegate dalle linee di autobus. Nel complesso, la localizzazione centrale delle strutture le

rende ben inserite nel tessuto urbano.

3.3.1 – Via Eugenia: la struttura di via Eugenia è ospitata in un vecchio stabile risalente agli

anni '30, in un grande appartamento composto da una cucina, due bagni, un grande corridoio e

quattro stanze adibite a camere da letto che ospitano tre persone l'una, per un totale di 12

ospiti.

Recentemente l'appartamento ha ricevuto interventi di manutenzione, a carico del Comune,

come la sostituzione della caldaia e imbiancatura delle aree comuni (corridoio e cucina).

Anche le camere dovrebbero essere imbiancate, ma ciò non è stato fatto per difficoltà legate

alla sistemazione degli ospiti che dovrebbero essere spostati altrove. Le altre problematiche

strutturali riguardano principalmente gli elettrodomestici come la cucina, presente grazie

all'impegno di uno degli operatori che ne ha recuperata una dismessa, e la lavatrice che

andrebbe sostituita per i frequenti guasti. Quello che potrebbe sembrare un problema di poco

conto, se contestualizzato, ci appare in tutta la sua complessità: se il normale utilizzo della

lavatrice è causa di conflitti fra gli ospiti e per questo è strettamente regolamentato da turni

prestabiliti, possiamo immaginare, in caso di guasto, che tipo di conseguenze si verifichino

sulle pratiche quotidiane degli ospiti. La misura del problema ci è data anche dal fatto che si

sia sviluppata autonomamente fra gli ospiti una colletta per l'acquisto di una nuova lavatrice.

Gli ospiti hanno a loro disposizione una parte dell'armadio presente nelle camere per gli

effetti personali. Lo spazio nelle camere, di modeste dimensioni, è utilizzato completamente

dagli ospiti che, per avere un po' più di spazio per una minima dispensa alimentare e per gli

effetti personali, hanno aggiunto altri armadietti e complementi d'arredo. Due ospiti hanno un

piccolo frigo di loro proprietà in camera per uso personale e in tutte le camere sono presenti

uno o più televisori.

Il corridoio ospita la lavatrice e, date le sue cospicue dimensioni, viene usato come stenderia,

mentre la cucina ha due frigoriferi e un televisore per gli ospiti. Nel corridoio si trova anche

un armadio chiuso a chiave per gli operatori che lo usano come archivio.

Ogni coppia di camere ha attribuito l'uso di un bagno, che quindi risponde alle esigenze di sei

persone, le quali devono provvedere alla pulizia degli stessi secondo dei turni prestabiliti, in

41

modo che ognuno pulisca il bagno che usa. I turni di pulizia prestabiliti riguardano anche le

altre aree comuni ad eccezione della cucina che deve essere pulita ogni volta che qualcuno ne

fa uso. Proprio la pulizia delle varie aree della struttura è considerata sia dagli ospiti sia dagli

operatori come la più grande fonte di conflitti fra gli utenti. Le ragioni sono da ricercarsi nelle

differenze individuali nel rapportarsi a tali pratiche quotidiane, costruite dagli ospiti nelle

proprie esperienze abitative individuali. Per minimizzare al massimo le possibilità di conflitto

fra pratiche individuali diverse si è quindi reso necessario stabilire turni istituzionalizzati di

pulizie al fine di distribuire fra gli ospiti il più equamente possibile il carico di lavoro. A

dodici impostazioni culturali diverse, si sostituisce un nuovo sistema di norme condivise.

Altre importanti norme che regolano la vita in struttura sono relative alle uscite dalla struttura

stessa che, se l'operatore è presente, vanno comunicate all'operatore stesso. Gli allontanamenti

per prolungati periodi di tempo, nei quali si prevede di non dormire nella struttura, sono

possibili anche se vanno comunicati e giustificati. In caso contrario, se il posto letto rimane

inutilizzato per un lungo periodo di tempo senza comunicazioni, viene a crearsi una

motivazione valida per l'espulsione.

"...laddove si vede che una situazione...una persona ci viene a dormire una tantum...si

comincia ad indagare...evidentemente ha altri posti dove stare...questi sono posti per

emergenza abitativa...hanno diritto chi non ha posto dove stare...[..]...se mi stai fuori sei mesi e

mi scompari, io ti levo il posto...poi non è che mi puoi tornare il settimo mese e dirmi 'ero in

vacanza'...torna poco...noi cerchiamo di starci molto molto attenti...per una questione di

eticità...di fare in modo che le cose possano essere più eque possibile...mi angoscia tenere un

letto vuoto e sapere che qualcuno dorme per strada."

Accanto alle motivazioni di sottoutilizzo, nella casa di via Eugenia come nel resto delle

strutture, le altre motivazioni per la quali si arriva all'espulsione sono quelle relative

all'inosservanza di altre norme di comportamento come quelle relative al divieto di consumo

di alcolici e di sostanze, nonché il divieto di ospitare partners. Tali inosservanze devono però

persistere anche dopo i richiami e i colloqui con gli operatori ed essere giudicate tali da

compromettere la tranquilla convivenza degli ospiti, per trasformarsi in una motivazione di

espulsione. Ciò è sintetizzato molto bene dalla seguente affermazione dell'intervistato:

42

"Se il regolamento fosse fatto rispettare alla lettera, qui dentro non ci sarebbe nessuno..."

Ciò indica che l'applicazione del regolamento è flessibile: l'operatore deve necessariamente

saper mediare fra la rigida impostazione che deriva dalle numerose norme di comportamento e

la vita quotidiana all'interno della struttura.

Un altro dato importante che emerge chiaramente dall'osservazione e che, a mio parere, risulta

utile per comprendere come si svolge la vita in struttura è quello relativo all'uso dello spazio

da parte degli ospiti. Premettendo che, sia nella struttura di via Eugenia che in quella di via del

Cedro, non esistono spazi completamente privati per gli ospiti, in via Eugenia lo spazio viene

usato in maniera differenziale: la vita degli ospiti si svolge per la maggior parte del tempo

nelle camere e gli spazi comuni (cucina e corridoio) sono utilizzati in maniera esclusivamente

funzionale. Il corridoio, data la presenza della lavatrice, funziona da lavanderia e stenderia

mentre in cucina ci si reca quasi esclusivamente per preparare e consumare il cibo che, a parte

quei generi alimentari che necessitano di refrigerazione, viene conservato in angoli-dispensa

ricavati nelle camere. Ciò è ben visibile dall'aspetto sostanzialmente spoglio e disadorno delle

aree comuni, totalmente diverso dalle camere che sono fortemente "personalizzate" dagli

ospiti, sia attraverso la disposizione degli effetti personali, sia tramite l'affissione di fotografie,

poster, calendari e sciarpe di squadre di calcio che caratterizzano lo spazio. Anche la presenza

di televisori, di proprietà degli ospiti, nelle stanze sta a significare che anche l'ascolto della TV

avviene in maniera individuale e condiviso, al massimo, con i propri compagni di stanza,

nonostante la presenza in cucina di un grande televisore.

Rispetto allo spazio, infine, si possono descrivere anche tre livelli di interazione e

condivisione degli ospiti. Con i compagni di stanza (due persone dato che le camere hanno tre

posti letto) si ha una condivisione totale del tempo, dello spazio e delle responsabilità di

pulizia. Con gli altri ospiti si ha una condivisione nell'utilizzo delle aree comuni e delle

relative pulizie mentre. Con coloro i quali ci si trova necessariamente a condividere il bagno,

si ha anche la condivisione dell'utilizzo e delle pulizie di questo ambiente.

3.3.2– Uomini: Le considerazioni che sono più utili da fare sull'utenza sono quelle relative

alla sua composizione e ai tempi di permanenza degli ospiti all'interno della struttura. Per

quanto riguarda la composizione, attualmente nella struttura di via Eugenia vivono dodici

persone di cui:

43

- quattro hanno più di 65 anni

- due lavorano più o meno stabilmente

- uno è un ex-comunitario che ha concluso il percorso riabilitativo.

- due provengono da esperienze di vita su strada ed erano già assistiti al S.E.F.A.18.

Un dato interessante riguarda l'assenza all'interno struttura di ospiti extracomunitari.

La presenza dei quattro ospiti ultrasessantacinquenni è il dato che conferma quanto avevamo

accennato nel capitolo 2 riguardo al cambiamento dell'utenza che passa da casi provenienti da

forte marginalità sociale a casi che, per una diminuzione del reddito dovuta al pensionamento,

non possono accedere ad un alloggio in affitto a prezzi di mercato. Se la perdita di un alloggio

è sempre un evento traumatico che impone drastici cambiamenti nella vita quotidiana di chi lo

subisce, lo è in particolar modo per persone ormai non più giovani. I problemi materiali sono

grossomodo gli stessi che si troverebbe ad affrontare una persona più giovane; le difficoltà

maggiori stanno, a detta degli operatori, nell'accettazione della nuova condizione e nel

necessario cambiamento delle abitudini quotidiane, sulle quali la variabile anagrafica fa

sentire tutto il suo peso.

Riguardo ai tempi di permanenza in struttura è riscontrabile un allungamento delle

permanenze, infatti in questa come in altre strutture di accoglienza di questo tipo si è passati

da una media, nel 2000, di un anno a quella attuale che supera i quattro anni, con casi di

permanenza anche di sette-otto anni nelle situazioni di più difficile inserimento in alloggi

ERP.

Essendo il punteggio attribuito alla propria domanda l'unica variabile in gioco

nell'assegnazione di un alloggio popolare, si esclude un principio di "storicità" delle domande.

Se partiamo dalla considerazione di base che l'alloggio popolare debba andare a chi, di volta

in volta, ne ha più bisogno, questa impostazione si rivela particolarmente efficace, ma l'effetto

perverso è che non si vanno a sanare aree di disagio considerato meno grave anche se protratte

a lungo nel tempo.

In questo difficile contesto le assegnazioni andate ad ospiti della struttura sono state quattro

negli ultimi due anni mentre, a memoria dei gli operatori da me intervistati e al contrario della

struttura di via del Cedro come vedremo poi, nella struttura non c'è mai stato un caso di

autonomizzazione fuori dall'assegnazione di un alloggio popolare.

18 Il S.E.F.A. (Social Emergency First Aid) è un'altra struttura livornese gestita da Arci. Vedi tab.1 par 2.2.

44

3.3.3 – Via del Cedro: La Casa delle Donne di via del Cedro si trova all'interno di una ex-

scuola di proprietà comunale in fase di recupero che ospita anche il centro Homeless 19. La

struttura si compone di due grandi stanze adibite a sala da pranzo e a salotto, cinque camere da

letto che vanno dai due ai quattro posti letto, tre bagni con tre docce e quattro servizi igienici,

la cucina e un locale adibito a lavanderia che ospita due lavatrici. Proprio la cucina è il locale

dove si riscontra l'unica grave carenza della struttura poiché non possiede l'allacciamento al

gas e quindi le ospiti devo cucinare su piastre elettriche, rallentando notevolmente le

procedure di preparazione dei pasti. In una situazione di convivenza di 15 persone è facile

intuire quanto questa situazione possa arrecare disagio e contribuire in maniera significativa

all'insorgere di conflitti.

Le camere da letto hanno due, tre o quattro posti letto, in relazione alle dimensioni della

stanza. In ogni caso si tratta di stanze molto grandi che conferiscono molto spazio alle ospiti.

Anche la dotazione di mobili ad uso personale è più vasta e comprende oltre al letto, anche un

armadio singolo, un comodino, una piccola scrivania e una sedia. Anche in questa struttura si

trovano numerose TV di proprietà delle ospiti all'interno delle camere anche se, come mi ha

prontamente fatto notare una di loro, le camere non sono collegate all'antenna centrale e

quindi gli apparecchi in uso alle ospiti devono avere necessariamente una propria antenna di

ricezione. Il fatto che mi sia stato esposto il problema ci dà la misura di quanto la TV ad uso

personale sia importante all'interno della struttura: essa infatti costituisce una piccola libertà

privata in un microcosmo di totale condivisione.

Nella struttura si trova anche una stanza ad uso esclusivo delle operatrici con bagno, letto,

frigo, scrivania e armadi usati come archivio di documenti e per gli effetti personali. Nella

stanza si trovano anche il telefono fisso di cui la struttura è dotata e il citofono, che consente

alle operatrici di aprire il portone d'ingresso.

Complessivamente la struttura risulta adeguata per dimensioni e organizzazione per ospitare

quindici persone. La buona realizzazione guadagna ulteriore valore dal fatto che si tratta di un

recupero di un edificio comunale inutilizzato: iniziative di questo tipo sono fondamentali per

ampliare il patrimonio di posti letto per emergenza abitativa a costi molto minori rispetto a

quelli che deriverebbero da una nuova costruzione.

19 Vedi Tab. 1 paragrafo 2.2.

45

Per quanto riguarda la gestione della struttura, la presenza 24 ore su 24 delle operatrici

garantisce in tutti e tre gli ambiti (monitoraggio, gestione dei conflitti e accompagnamento) di

lavoro una grande continuità di intervento che contribuisce a creare, per le ospiti, un ambiente

di vita disteso e, per le operatrici stesse, un ambiente di lavoro nel quale è possibile operare,

insieme ai Servizi Sociali, per il recupero e il reinserimento sociale delle ospiti.

Nella gestione quotidiana della struttura non vi sono differenze rispetto al caso di via Eugenia:

anche qui troviamo turnazioni prestabilite sia per la pulizia degli ambienti sia per l'utilizzo

delle lavatrici e i divieti di consumo di alcol, sostanze stupefacenti e dell'ospitare partners.

Inoltre, dato che la struttura vede la presenza dell'operatore 24 ore su 24, esiste un limite

massimo fissato per mezzanotte (in estate mezz'ora dopo) entro il quale si deve

necessariamente rientrare in struttura. Permane, infine, la possibilità di trascorrere del tempo

fuori dalla struttura , previo avviso alle operatrici.

Infine, quanto rilevato in merito all'uso differenziale dello spazio nella struttura di via Eugenia

è riscontrabile anche presso questa struttura: nonostante le ampie aree comuni anche non

adibite a specifiche funzioni, la vita quotidiana delle ospiti si svolge per lo più all'interno delle

camere. Il tratto comune sembra quindi persistere anche in una struttura molto più adeguata

alle funzioni che deve svolgere e quindi non è una peculiarità esclusiva del caso di via

Eugenia.

3.3.4 – Donne: Ad oggi nella struttura vivono quindici persone fra le quali:

- 3 sono straniere.

- 7 lavorano più o meno stabilmente.

- 7 provengono da esperienze di forte marginalità sociale ( 4 di queste lavorano).

- una è in detenzione domiciliare.

Altri dati importanti sono quelli relativi all'assenza di ospiti over 65 e alla presenza di ospiti

molto giovani fra i 20 e i 22 anni.

Le conseguenze di questa diversità spiegano, in parte, anche il numero più alto di ospiti

occupati: la variabile anagrafica ha sull'occupazione un grande peso e concorre con la

variabile di genere a facilitare l'occupazione di soggetti che vivono in condizioni simili. Infatti

le donne sembrano trovare più facilmente lavoro, anche saltuario, anche in base alle

caratteristiche dell'offerta: fare le pulizie per una ditta o in proprio per qualche condominio e

l'assistenza degli anziani sono lavori che il mercato sembra offrire, mentre per mansioni dello

stesso livello accessibili da uomini, come potrebbe essere la manovalanza, sembrano esserci

46

più difficoltà.

Un altro ambito nel quale la variabile anagrafica segna la differenza è quello dei percorsi di

autonomizzazione portati a compimento fuori dall'assegnazione di un alloggio ERP. La

casistica è molto limitata, si parla di cinque o sei casi in dodici anni di attività, ma

estremamente significativa, dal momento che altrove20 nello stesso periodo di tempo non si è

arrivati ad avere nemmeno un caso simile. Le cause di questi esiti oltremodo positivi sono da

ricercarsi essenzialmente:

- nella variabile di genere.

- nella variabile età.

- nella natura progettuale dell'inserimento in struttura.

Come abbiamo visto le variabili di età e di genere condizionano la ricerca di lavoro e quindi di

un reddito, condizione necessaria per giungere ad un reinserimento sociale che possa

perdurare. Per quanto riguarda le motivazione che ho riassunto nella terza condizione, faccio

riferimento alla natura progettuale che ogni inserimento nella struttura di via del Cedro porta

con sé. Per esplicitare la natura progettuale dobbiamo però chiarire che la Casa delle Donne è

stata, fin dalla sua nascita, orientata al recupero e al reinserimento sociale di soggetti che

provenivano da esperienze di forte marginalità sociale che, avendo finito un percorso

all'interno di strutture sanitarie, penitenziarie e assistenziali, si trovavano senza riferimenti

esterni. Le categorie di cui stiamo parlando sono:

- Individui in uscita da comunità di recupero per tossicodipendenti.

-Individui provenienti dalle strutture psichiatriche, al termine di un percorso terapeutico.

- Individui in uscita da strutture penitenziarie.

- Orfani accolti in casa famiglia giunti al termine della maggiore età.

Solo più recentemente l'utenza è passata a casi di esclusione abitativa vera e propria che si va

sommare a questi "storici" tipi di utenza.

Essendo questi tipi di persone già conosciute ai Servizi, tramite la loro intermediazione si

arriva a colloqui preliminari all'ingresso nei quali si definisce inizialmente a grandi linee, poi

più dettagliatamente, nei tempi e nei modi, un percorso di reinserimento sociale. Prima

dell'ingresso, questo percorso viene istituzionalizzato nella firma di un vero e proprio contratto

che lega tramite diritti e doveri l'ospite al suo percorso.

Tutto questo serve a non far cadere questi soggetti nell'assistenzialismo sterile ed a metterli

nelle condizioni, qualora si arrivi ad un'assegnazione di un alloggio ERP, di mantenersi

20 Mi riferisco all'intervista effettuata alla responsabile Arci per lo Sportello per l'Emergenza Abitativa, nella quale è emerso che l'autonomizzazione completa è un fatto più unico che raro.

47

autonomamente. Ciò è reso possibile da un lavoro continuo e qualitativamente elevato che è

garantito dalla presenza 24 su 24 degli operatori che, per usare una metafora di rete, si trovano

ad essere i nodi centrali in una rete che va dal Comune alle ospiti, passando per i Servizi

Sociali e Arci.

48

Conclusioni

Dopo aver esposto il funzionamento delle pratiche di gestione dell'emergenza abitativa a

Livorno, si possono trarre due ordini di conclusioni: quelle relative alle strutture e quelle più

generali, sulla gestione dell'intero comparto dell'emergenza abitativa.

Le strutture: A seguito dell'attività di ricerca svolta sul campo si possono individuare svariate

criticità che queste mostrano. Con criticità intendo tutte quelle situazioni che possono rendere

difficoltosa la convivenza e che influiscono negativamente sul processo di recupero e di

reinserimento sociale degli ospiti. Esse si configurano sia come carenze strutturali sia come

problematiche relazionali fra i vari soggetti coinvolti nella gestione dell'emergenza abitativa

come, il Comune, i Servizi Sociali, l'Arci ecc.

a) via Eugenia: La struttura di vie Eugenia è, fra le due che ho visitato, quella che presenta le

maggiori difficoltà sia per quanto riguarda la struttura che per quanto riguarda le relazioni.

L'appartamento dove è ospitata sarebbe appena sufficiente per ospitare dodici persone se

avesse una stanza adibita a camera in più poiché le camere costituiscono il vero problema

essendo troppo piccole per ospitare tre ospiti con tutti i loro effetti personali. Come abbiamo

visto, la vita di queste persone, quando sono in struttura, si svolge quasi totalmente all'interno

delle camere e, date le dimensioni, in questo caso il disagio dovuto alla convivenza è

amplificato dalla mancanza fisica di spazio. Ovviamente questo è un problema che può essere

risolto solo riducendo il numero dei posti letto ma, nelle condizioni attuali, sarebbe possibile

solo creando altri posti letto in nuove strutture. A livello di interventi di manutenzione, la

struttura necessita solo dell'imbiancatura delle camere, mentre è sulla dotazione interna di

elettrodomestici che si dovrebbe intervenire: una nuova lavatrice e una nuova cucina più

funzionale, sono interventi necessari.

A livello di relazioni e gestione, come confermatomi dall'operatore, si dovrebbe intervenire

aumentando le ore di presenza degli operatori in struttura. Ciò richiederebbe l'assunzione di un

nuovo operatore, ma garantirebbe grandi margini di miglioramento del servizio in quanto il

monitoraggio e la mediazione dei conflitti sono attività "continue", la cui efficacia è

direttamente proporzionale al numero di ore nelle quali queste attività vengono svolte. Per

49

quanto riguarda le relazione con i soggetti istituzionali esterni, le difficoltà sono comuni a

quelle della struttura di via del Cedro che passiamo ora a descrivere.

b) via del Cedro: L'unica carenza strutturale riscontrata presso la Casa delle Donne è, come

detto in precedenza, l'assenza dell'allacciamento al gas per la cucina e, per il resto, la struttura

è perfettamente in grado di far fronte alle esigenze alle quali essa è preposta.

Le difficoltà sono quindi di tipo relazionale con i soggetti esterni in particolare con i Servizi

Sociali. Le cause di queste difficoltà sono da ricercasi nel frequente cambiamento, dovuto alle

scadenze dei contratti, dei soggetti deputati a seguire queste persone nei loro percorsi di

recupero. L'estratto seguente chiarisce bene questo punto:

"...è come ricominciare ogni volta da capo...quando subentrano [gli assistenti sociali] predono

in carico i casi degli di quelli che gli avevano preceduti, ma non conoscendo le persone, le

problematiche e tutto quello che gira attorno alla struttura...beh...si deve ripartire da zero..."

Questa situazione di continua rotazione dei referenti genera instabilità nei rapporti con i

Servizi Sociali, complicando le relazioni fra i istituzioni. La continuità dell'intervento, di fatto,

rimane in carico agli operatori che quotidianamente vivono e lavorano accanto agli ospiti.

Per quanto riguarda la condizione femminile nell'emergenza abitativa, le operatrici della Casa

delle Donne mi hanno fatto notare che non esiste una struttura di accoglienza notturna

femminile che sarebbe, luce della loro esperienza, di estrema utilità.

Possiamo quindi affermare che, al di là di queste criticità, il sistema delle strutture per

l'emergenza abitativa risulta essere uno strumento di gran lunga migliore dell'albergazione,

dato che porta grandi vantaggi per l'utenza, sia in termini di qualità della vita quotidiana, sia in

termini di possibilità di recupero e di reintegrazione abitativa all'interno dell'Edilizia

Residenziale Pubblica. Le soluzioni proposte, d'altro canto, non sono pienamente abitative

date le numerose restrizioni alla libertà individuale che si rendono necessarie per gestire

convivenze di questo tipo, ed è facile comprendere che permanenze anche molto protratte nel

tempo risultino difficilmente sostenibili da parte dell'utenza.

Gestione emergenza abitativa: Prima di arrivare alle conclusioni vere e proprie, pare utile

ricostruire brevemente il percorso di trattazione di questi particolari bisogni.

Il percorso inizia con la presentazione della domanda di ammissione in emergenza abitativa

allo Sportello, il quale passa le domande alla Commissione Integrata che decide sugli

50

inserimenti nelle strutture e negli appartamenti. Le strutture accolgono le domande di chi non

ha presentato la domanda per il bando ERP, mentre gli alloggi vengono assegnati a coloro i

quali sono già in graduatoria ma che, per motivi di urgenza, non possono più attendere

un'assegnazione regolare. La decisione viene presa in base ad una valutazione della gravità

delle situazioni degli utenti al fine di accogliere le domande che provengono dalle situazioni

più critiche. A questo punto si procede all'inserimento e, nel caso dell'inserimento in struttura,

all'avvio della procedura di presentazione della domanda per il bando ERP, per cercare di

arrivare all'assegnazione di un alloggio popolare. Infatti sia gli appartamenti sia le strutture

sono configurati come soluzioni a termine che mirano a risolvere il lato emergenziale delle

varie situazioni di disagio, non ad essere la soluzione definitiva. L'emergenza abitativa ha

come sbocco il patrimonio ERP della città che, come abbiamo visto nel secondo capitolo, è in

costante diminuzione; ciò comporta una ridotta incisività sul problema casa a Livorno. Proprio

a causa di questa ridotta capacità del sistema ERP di far fronte alle richieste che pervengono

in occasione dei bandi, nel 2005 si arriva alla decisione di prevedere l'assegnazione definitiva

dell'alloggio di Emergenza Abitativa se, allo scadere del sesto anno di permanenza, non si è

ancora ricevuta un'assegnazione di un alloggio ERP "regolare". Ciò porta all'impoverimento

anche del patrimonio di alloggi destinati all'emergenza abitativa che si traduce

immediatamente in una dilatazione dei tempi di permanenza all'interno delle strutture.

In conclusione possiamo affermare che l'Edilizia Residenziale Pubblica rimane uno strumento

insostituibile per affrontare qualsivoglia forma di disagio abitativo. La dismissione di cui

questo comparto è stato oggetto negli ultimi 20 anni ha inciso molto a livello quantitativo

andando a ridurre la capacità di far fronte a situazioni di crescente disagio. Se anche nel caso

di Livorno che ha l'8% di edilizia pubblica sul totale degli immobili, il doppio della media

nazionale, esistono difficoltà legate all'aspetto quantitativo, si può ragionevolmente affermare

che altrove, dove l'ERP è meno diffusa, la situazione sia ancora più complessa.

Come ribadito anche dal rapporto sulla condizione abitativa "Abitare in Toscana 2012"

[Regione Toscana 2012] il punto centrale è, ancora una volta, la scarsità di risorse destinate

all'abitare sociale che non consentono di intervenire direttamente con nuove costruzioni, al

fine di implementare il numero di alloggi ERP disponibili. “Dal 1998 […] scompare dal

bilancio dello Stato ogni finanziamento per l'ERP” [PONEC 2011b, 45]: si completa così il

processo di regionalizzazione e si compie il ritiro dello Stato da questo settore con

gravissime conseguenze sull'intero comparto. Con le risorse attualmente destinate a

questo settore, oltre a non poter costruire nuovi alloggi, anche la manutenzione del patrimonio

esistente è estremamente difficoltosa e ciò ha due gravi conseguenze: la riduzione numerica

51

degli alloggi disponibili a causa dell'inagibilità e il peggioramento delle condizioni abitative

degli abitanti.

Per quanto riguarda le strutture di emergenza abitativa, quello che emerge dalle interviste è

ancora una volta l'insufficienza quantitativa delle risorse messe in campo dalle Istituzioni che

si configura come scarsità di posti letto disponibili e impossibilità di assumere nuovi operatori

che andrebbero a garantire una maggior presenza all'interno delle strutture.

Una strada che, a mio parere, vale la pena percorrere è quella dei recuperi di fabbricati già

esistenti che non sono utilizzati andando a garantire minori costi e tempi di realizzazione.

L'esempio del recupero dell'ex edificio scolastico che ospita la Casa delle Donne è un chiaro

esempio delle possibilità che questa pratica possiede nel campo delle politiche di contrasto

all'esclusione abitativa. Le difficoltà in questo tipo di intervento risiedono molto nell'aspetto

burocratico della questione: spesso queste non sono di proprietà del Comune, ma di altri Enti

Pubblici, complicando le procedure burocratiche per arrivare ad un intervento di

riqualificazione.

L'ultimo aspetto sul quale vale la pena soffermarsi è quello della cooperazione. Durante il

percorso di indagine che ho svolto, il concetto di cooperazione è emerso a più riprese in molte

situazione diverse. Quando ci si trova ad affrontare fenomeni di questa portata con gli

strumenti che abbiamo visto in precedenza, il lavorare insieme per un unico obiettivo di tutti i

soggetti interessati (Comune, Servizi Sociali, società di gestione del patrimonio ERP,

operatori e utenti) è una premessa fondamentale. Lavorando con una dinamica di rete, in un

continuo scambio di informazioni utili, si possono gettare le basi di un sistema che, se

adeguatamente sostenuto a livello economico, può portare ad ottimi risultati in questo difficile

campo di intervento sociale.

52

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www.istat.it

www.regione.toscana.it

56

Appendice 1

Requisiti per la partecipazione al bando di concorso per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica.

a) cittadinanza italiana o di uno Stato aderente all’unione europea. Gli stranieri titolari di carta

di soggiorno e gli stranieri regolarmente soggiornanti iscritti nelle liste di collocamento o che

esercitino una regolare attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo hanno diritto di

accedere in condizioni di parità con i cittadini italiani, agli alloggi di edilizia residenziale

pubblica;

b) residenza anagrafica o attività lavorativa nel Comune o nei Comuni cui si riferisce il bando

di concorso, salvo che si tratti di lavoratori destinati a prestare servizio in nuovi insediamenti

produttivi, compresi in tale ambito, o di lavoratori emigrati all’estero, per i quali è ammessa la

partecipazione per un solo ambito territoriale;

c) non titolarità di diritti di proprietà, usufrutto uso e abitazione su alloggio adeguato alle

esigenze del nucleo familiare, nell’ambito territoriale a cui si riferisce il bando di concorso o

nei comuni limitrofi in caso di bando comunale; si intende adeguato l’alloggio la cui

superficie utile abitabile intesa quale la superficie di pavimento misurata al netto dei muri

perimetrali e di quelli interni, delle soglie di passaggio da un vano all’altro, degli sguinci di

porte e finestre sia non inferiore a 30 mq. per 1 persona, non inferiore a 45 mq. per 2 persone,

non inferiore a 55 mq. per 3 persone, non inferiore a 65 mq. per 4 persone, non inferiore a 75

mq. per 5 persone, non inferiore a 95 mq. per 6 persone ed oltre;

d) 1. non titolarità di diritti di proprietà su uno o più alloggi o locali ad uso abitativo sfitti o

concessi a terzi, ubicati in qualsiasi località, il cui valore catastale complessivo sia uguale o

superiore al valore catastale di un alloggio adeguato determinato assumendo come vani

catastali quelli di cui alla tabella di seguito riportata con riferimento al nucleo familiare, e

come tariffa d'estimo quella convenzionale risultante dalla media del valore delle classi della

categoria A3 (di zona periferica o ve prevista) del comune di residenza o, se diverso, del

comune per il quale si concorre. Se nel territorio comunale di riferimento non è presente la

categoria catastale A3, si considera, come tariffa d'estimo, la media del valore delle prime tre

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classi della categoria A2 di zona periferica ove prevista.

d) 2. Nel caso di quote di proprietà il relativo valore è convenzionalmente ridotto di un terzo.

d) 3. Nel caso di diritto di usufrutto su uno o più alloggi o locali ad uso abitativo (o su quote di

essi), sfitti o concessi a terzi, ubicati in qualsiasi località, il valore catastale degli stessi ai fini

della valutazione di cui al comma 1 è convenzionalmente ridotto della metà.

e) assenza di precedenti assegnazioni in proprietà o con patto di futura vendita di alloggio

realizzato con contributi pubblici, in qualunque forma concessi, dallo Stato o da Enti pubblici,

con esclusione dei casi in cui l’alloggio sia stato espropriato, sia inutilizzabile o perito senza

dar luogo a risarcimento del danno ;

f) reddito annuo complessivo del nucleo familiare non superiore a quello massimo stabilito dal

Consiglio regionale. Per il reddito annuo complessivo del nucleo familiare si intende la

somma dei redditi imponibili di tutti i componenti del nucleo stesso, quali risultano dalle

ultime dichiarazioni dei redditi di tutti i componenti medesimi, al netto degli oneri deducibili

ed al lordo della deduzione per assicurare la progressività dell'imposizione di cui all' articolo

11 del d.p.r. 917/1986 da ultimo modificato dal decreto legislativo 12 dicembre 2003, n.344 .

Il reddito stesso è da computarsi con le modalità di cui all’ art. 21 della legge 5 agosto 1978 n.

457 , così come sostituito dall’ art. 2, comma 14, del DL 23 gennaio 1982, n. 9 , determinando

la detrazione per ogni figlio a carico in lire tre milioni; la detrazione è elevata a sei milioni per

ogni figlio disabile a carico; la detrazione è inoltre elevata a sei milioni per ogni figlio a carico

nel caso di famiglia composta da una sola persona oltre i figli. Sono calcolati nella misura del

50% i redditi fiscalm ente imponibili percepiti da soggetti affetti da menomazione, dovuta a

invalidità, sordomutismo e cecità, che comporti una diminuzione permanente della capacità

lavorativa in misura non inferiore ai due terzi (29) Qualora il nucleo familiare abbia un

numero di componenti superiore a due, il reddito complessivo annuo è inoltre ridotto di tre

milioni per ogni altro componente oltre i due; la presente disposizione non si applica ai figli a

carico.

Nel caso di nuclei familiari non ancora formatisi alla data di pubblicazione del bando di

concorso il reddito annuo complessivo è costituito dalla somma dei redditi imponibili, come

sopra calcolati, dei soggetti che andranno a comporre il nucleo stesso.

58

g) non aver ceduto in tutto o in parte, fuori dei casi previsti dalla legge, l’alloggio

eventualmente assegnato in precedenza in locazione semplice, cessione accertata mediante la

conclusione del procedimento di revoca;

h) non occupare un alloggio di Edilizia Residenziale Pubblica senza le autorizzazioni previste

dalle disposizioni in vigore.

59

Appendice 2

Osservazione:

Caratteristiche fisiche della struttura.

a) Dove si trova.

b) Come ci si arriva.

c) Caratteristiche fisiche dello stabile.

Organizzazione interna della struttura.

a) Disposizione degli alloggi.

b) Servizi.

c) Presenza di aree comuni.

Camere.

a) Numero.

b) Arredamento.

Utenti.

a) Numero di presenze all'orario della visita.

b) Caratteristiche fisiche.

c) Interazioni osservabili.

d) Attività quotidiane osservabili.

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Intervista

Il lavoro svolto:

- Qual'è il lavoro che svolgi in struttura?

a) Il quotidiano.

b) Le "relazioni esterne".

- Da quanto tempo lo fai?

- Come è organizzato?

a) Numero degli operatori che lavorano in struttura.

b) Gestione dei turni.

L'utenza:

- Chi vive in struttura?

a) Nazionalità.

b) Casi di marginalità particolarmente gravi.

-La permanenza degli ospiti:

a) Tempi medi di permanenza.

b) Casi di permanenze prolungate.

- Percezione di variazione tipologica nell'utenza (se lavorano da un tempo abbastanza lungo).

Ricerca esplicita di corrispondenza empirica con quanto asserito da Cinzia sulla variazione

(nel giro degli ultimi 2-3 anni della tipologia di ingressi in emergenza abitativa).

-Com'è il rapporto con l'utenza?

a) Il rapporto quotidiano.

b) "Casi particolari" (revoca del posto in emergenza abitativa).

- Le problematiche più frequenti.

a) Problematiche strutturali della residenza.

b) Problematiche relazionali fra gli ospiti.

Ci sono conflitti?

Quali sono i motivi di contrasto più frequenti?

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Margini di miglioramento del servizio:

La struttura:

a) Quantitativi:

-La struttura basta a soddisfare la domanda di posti letto in emergenza abitativa per questa

categoria di richiedenti?

b) Qualitativi:

-La struttura ha bisogno di interventi di manutenzione?

Il servizio:

a) Dalla tua posizione di operatore, ci sono aspetti organizzativi che potrebbero essere

migliorati?

-Rapporti con le istituzioni.

-Rapporti con i servizi sociali.

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