Rasori, la "Biblioteca", il Conciliatore" (o dell'integrazione impossibile")

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RASORI, LA “BIBLIOTECA”E “IL CONCILIATORE” (O DELL’INTEGRAZIONE IMPOSSIBILE) di Duccio Tongiorgi 1. La traduzione di queste lettere è un lavoro a me caro quanto niuno mai dei pochi usciti dalla mia penna sì pei pregi di che elle mi parvero doviziose, e sì perché venutemi alle mani in una tetra solitudine, ed in una più tetra aspettativa di minaccevole avvenire. Perciò posi amore assai a recarle nella lingua del bel paese, ed elle mi compensarono con usura, avendo sovente «Fatto ’l mio tristo tempo più soave». 1 Allestita durante gli ultimi mesi di carcere, la traduzione delle Lettere sulla mimica di Johann Jakob Engel si apre con la dedica a Luigi Porro Lambertenghi. L’opera uscì con ogni probabilità nel settembre del 1818, quasi contestualmente al “Conciliatore”, la nuova impresa che aveva av- vicinato Rasori alla cerchia di casa Porro: proprio negli stessi giorni, in- fatti, egli annunciava agli amici, con fierezza e qualche apprensione, l’uscita di entrambi. 2 È ben probabile, quindi, che il suo omaggio non fosse solo 1 GIOVANNI RASORI, Al Signor Conte Luigi Porro Lambertenghi, in JOHANN JAKOB EN- GEL, Lettere intorno alla mimica, versione dal tedesco, aggiuntovi i capitoli sei Sull’arte rappresentativa di Luigi Riccoboni, Milano, presso Giovanni Pirotta, 1818, vol. I, p. III (la seconda edizione apparve per i tipi milanesi di Battelli e Fanfani nel 1820). 2 Ad esempio, il 12 agosto 1818 scriveva a Giacomo Tommasini: «Ho sotto il tor- chio una traduzione dal tedesco “Idee sulla mimica di Engel”; è un’opera classica nel suo genere: ridurre la mimica a scienza, mediante l’analisi dei fatti: ecco lo scopo. Io ti man- derò, spero l’ordinario venturo, alcuni manifesti, onde procurarmi delle associazioni; l’opera è in due volumi e verrà al costo di circa 18 lire di Milano, da che vi sono circa

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RASORI, LA “BIBLIOTECA”E “IL CONCILIATORE”(O DELL’INTEGRAZIONE IMPOSSIBILE)

di Duccio Tongiorgi

1. La traduzione di queste lettere è un lavoro a me caro quanto niuno mai deipochi usciti dalla mia penna sì pei pregi di che elle mi parvero doviziose, esì perché venutemi alle mani in una tetra solitudine, ed in una più tetraaspettativa di minaccevole avvenire. Perciò posi amore assai a recarle nellalingua del bel paese, ed elle mi compensarono con usura, avendo sovente

«Fatto ’l mio tristo tempo più soave».1

Allestita durante gli ultimi mesi di carcere, la traduzione delle Letteresulla mimica di Johann Jakob Engel si apre con la dedica a Luigi PorroLambertenghi. L’opera uscì con ogni probabilità nel settembre del 1818,quasi contestualmente al “Conciliatore”, la nuova impresa che aveva av-vicinato Rasori alla cerchia di casa Porro: proprio negli stessi giorni, in-fatti, egli annunciava agli amici, con fierezza e qualche apprensione, l’uscitadi entrambi.2 È ben probabile, quindi, che il suo omaggio non fosse solo

1 GIOVANNI RASORI, Al Signor Conte Luigi Porro Lambertenghi, in JOHANN JAKOB EN-GEL, Lettere intorno alla mimica, versione dal tedesco, aggiuntovi i capitoli sei Sull’arterappresentativa di Luigi Riccoboni, Milano, presso Giovanni Pirotta, 1818, vol. I, p. III(la seconda edizione apparve per i tipi milanesi di Battelli e Fanfani nel 1820).

2 Ad esempio, il 12 agosto 1818 scriveva a Giacomo Tommasini: «Ho sotto il tor-chio una traduzione dal tedesco “Idee sulla mimica di Engel”; è un’opera classica nel suogenere: ridurre la mimica a scienza, mediante l’analisi dei fatti: ecco lo scopo. Io ti man-derò, spero l’ordinario venturo, alcuni manifesti, onde procurarmi delle associazioni;l’opera è in due volumi e verrà al costo di circa 18 lire di Milano, da che vi sono circa

un gesto di amicizia e di ringraziamento per la solidarietà ricevuta du-rante momenti difficili. Per chi da sempre rifuggiva gli atti di genufles-sione e gli ossequi di rito, la dedica di un libro significava soprattuttoun’implicita dichiarazione (o l’auspicio) di convergenze ideali.3 Il vecchioanimatore della Società Filodrammatica milanese (filiazione diretta delTeatro Patriottico) aveva infatti ben diritto di immaginare che il trattatosulla retorica del gesto di un lessinghiano di ferro come Engel – precet-tore ascoltato dei fratelli Humboldt, responsabile per lungo tempo delteatro nazionale di Berlino e collaboratore delle schilleriane “Horen” –avrebbe almeno incuriosito un ambiente che aveva fatto dell’apertura allanuova Europa una parola d’ordine ormai divenuta addirittura polemica.4

La stessa consacrazione della teatralità del gesto, che nelle pagine di Ra-sori si incardina nell’esaltazione del mito vivente di Salvatore Viganò edel suo coreodramma, avrebbe potuto trovare – ragionevolmente – am-pio consenso tra chi cercava smentite all’ortodossia del canone classici-sta.5 Engel, invece, era stato appena bistrattato in malo modo da Schle-gel, che lo accusava «d’aver esausto il suo suggetto trattando dell’espres-sione delle passioni» ignorando i «caratteri», e di non aver marcato la«differenza fondamentale fra la tragedia e la commedia». Ora, è vero che

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quaranta rami di figure. Vedi di procurarmi associazioni quanto puoi a Parma e a Bo-logna. Amerei pure che contribuissi a diffondere il Conciliatore, il quale spera che siguadagnerà l’opinione pubblica, malgrado le difficoltà e gli ostacoli. Persone di riguardofavoriscono questa impresa»: cfr. I carteggi rasoriani della Biblioteca Palatina, a c. di An-gelo Ciavarella, Parma, Silva, 1967, p. 61. Il corpus di questa edizione è esemplato inmassima parte sugli apografi allestiti da Giuseppe Del Chiappa, per un’edizione otto-centesca che poi non andò in stampa. Il testo curato da Ciavarella è tuttavia molto scor-retto, per i diffusi errori di trascrizione (numerose le date sbagliate) e per la presenza dialcune censure operate dallo stesso Del Chiappa durante la fase di copiatura. È dunquesempre opportuna la verifica direttamente sugli autografi, che ho rintracciato presso laBiblioteca Statale e Governativa di Lucca (d’ora in poi BSGL), nel notevole fondo epi-stolare appartenuto a Giuseppe Del Chiappa, ora, grazie al competente interessamentodi Marco Paoli, direttore della Biblioteca, in fase di accurata schedatura.

3 Tant’è che Rasori, in un primo momento, aveva pensato di indirizzare la dedicaal compagno di prigionia Antonio Gasparinetti, il quale aveva promesso di risponderecon un’«epistola in sciolti» (Rasori a Giovanni Fossati, 25 gennaio 1817, ne I carteggirasoriani, p. 249).

4 Su alcuni aspetti della fortuna italiana delle Lettere (in particolare sull’influenza diquest’opera per il Salfi del trattato Della declamazione) cfr. LUCIANO BOTTONI, Il teatro,il pantomimo e la rivoluzione, Firenze, Olschki, 1990, passim.

5 Ibid., p. 68.

i colpi ben assestati di Schlegel avevano in realtà un obiettivo polemicoben più ambizioso e impegnativo («l’opera […] sulla Mimica, o sia l’artedella pantomima, mostra a che termine conduce la teorica di Lessing»).6

Ma il giudizio pesava comunque su Engel; e gli uomini del “Concilia-tore” finirono, anche per questo, col mostrarsi davvero freddini nei con-fronti di questa traduzione,7 sicché al medesimo Rasori toccò la sorte cu-riosa di stendere per il “foglio azzurro” la recensione di se stesso.8 Fu cer-tamente un’occasione di incontro mancata: non la sola, per la verità, nellabreve stagione della sua collaborazione con il cenacolo di casa Porro.

L’iscrizione di Giovanni Rasori alla compagine del “Conciliatore” èstata tradizionalmente evocata con le parole rivolte da Silvio Pellico adUgo Foscolo, ormai definitivamente lontano:

Quando Rasori uscì di prigione senza pane e senza appoggio, Porro ac-consentì ch’io lo introducessi in casa sua; lo assisté, e gli fissò un piccolo sti-pendio onde scrivesse nel Conciliatore.9

Vista in questi termini, un’aggregazione un po’ casuale, favorita dalriconoscimento di meriti trascorsi, acquisiti in particolare nei mesi dram-matici successivi alla caduta dell’impero. Rasori sarebbe stato dunque as-sociato al resto della brigata tardivamente, e più per soccorrevole rispetto– o forse solidarietà – che per convergenza reale di intenti. L’esiguità nu-merica dei suoi articoli apparsi sul “Conciliatore”, dieci in tutto, diversiper temi e tipologie, varrebbe poi come un’ulteriore prova a carico, testi-moniando un impegno estemporaneo e la sostanziale estraneità di Rasorial progetto culturale dell’opera.

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6 AUGUST WILHELM SCHLEGEL, Corso di letteratatura drammatica, con note di Gio-vanni Gherardini, Milano, Giusti, 1817, pp. 303-04 (cfr. l’edizione a c. di Mario Puppo,Genova, Il Melangolo, 1977, p. 479). Delle commedie di Engel, anch’esse stroncate ir-revocabilmente da Schlegel, il lettore italiano poteva conoscere almeno Il figlio ricono-scente, nella traduzione di Elisabetta Caminer Turra per il “Teatro moderno applaudito”(Venezia, 1801).

7 Cfr. la lettera di Silvio Pellico al fratello Luigi datata 28 novembre 1818 in SIL-VIO PELLICO, Lettere milanesi (1815-’21), a c. di Mario Scotti, Torino, Loescher, 1963(supplemento n. 28 al GSLI), p. 155.

8 A Vittore Branca questa autorecensione parve soprattutto una prova ulteriore dellanota “presunzione” del personaggio: cfr. G. RASORI, Lettere intorno alla Mimica, in Con-ciliatore, I, pp. 253-60 (per l’osservazione di Branca, cfr. p. 253).

9 Da Milano, 17 ottobre 1818 (cfr. PELLICO, Lettere milanesi, p. 350).

Del resto, nei saggi critici che finora hanno indagato le vicende dellarivista, il suo nome è tra quelli che con più facilità vengono trascurati.Eppure Rasori fu un intellettuale di riconosciuta statura europea, capace,non soltanto in ambito medico, di innescare dibattiti accesi e di antici-pare sensibilità letterarie e filosofiche. Anche quando si unì al gruppo del“Conciliatore” prese il nuovo compito molto sul serio, tanto che lo stessoBorsieri lo accusò con qualche fastidio di «arrogarsi insensibilmente unpo’ di dittatura».10 Di certo Rasori volle essere, senza troppo riuscirvi,“una” delle anime della rivista, cercando di farvi approdare i temi del di-battito culturale cari a lui e – avrebbe detto Pellico in un’altra lettera diquei giorni assai citata – al suo «crocchio».11 Qualcosa di analogo avevaprovato a fare, tra il marzo 1817 e lo stesso mese dell’anno successivo,proprio dall’altra parte della barricata, cioè sulle colonne della “Biblio-teca italiana”. Anche in questo caso, per Giovanni Rasori, i margini diautonomia si erano rivelati stretti.

2. Senza un soldo e decisamente provato, dopo trentanove mesi di re-clusione, il 9 marzo 1818 Rasori era uscito finalmente dal castello di Mi-lano. Coinvolto nella congiura militare “indipendentista” del novembre1814, assieme all’avvocato Gian Bernardo Soveri Latuada, allievo di Ro-magnosi, al generale Teodoro Lechi, e – fra gli altri – agli amici di sem-pre (suoi e di Foscolo) Brunetti e Gasparinetti, Rasori aveva ammesso du-rante di processo anche di essere l’estensore di un proclama «agli italiani»,fervente invito alla rivolta antiaustriaca indirizzato in particolare allaGuardia Nazionale.12 Gli era toccato un carcere duro, almeno nei primi

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10 Cfr. infra, n. 51.11 «Confalonieri e Porro come nobili erano senza contatto con certi ultra liberali.

Si sono avvicinati e ogni disarmonia è sparita. Romagnosi teneva ad un crocchio di genteche guardava in cagnesco il crocchio di Rasori. Si sono avvicinati e ogni disarmonia èsparita. Berchet, Decristoforis, Ermes Visconti, Torti formavano un’altra brigata cheguardava in cagnesco Borsieri e me. Ci siamo conosciuti, giustificati, e stimati. Ci ap-ponevano orgoglio, pedanteria, etc. apponevano a Breme malignità, invidia, religioni-smo. Ci siamo ritrovati quasi tutti della stessa natura e della stessa credenza» (Silvio Pel-lico al fratello Luigi, settembre 1818, in PELLICO, Lettere milanesi, p. 149).

12 Per tutte queste vicende resta naturalmente imprescindibile DOMENICO SPADONI,Milano e la congiura militare nel 1814 per l’indipendenza italiana, Modena, Società tipogra-fica modenese, 1936-1937, voll. 3: nel vol. II, pp. 277-79 si leggono gli Abbozzi di pro-clama stesi da Rasori. Per le notizie biografiche su Rasori ancora utile, anche per la cospi-cua appendice documentaria, CARLO FRATI, Ricordi di prigionia. Memorie autobiografiche e

tempi passati a Mantova. Poi le maglie del controllo si erano allentate efinalmente aveva potuto riprendere a studiare, a scrivere, a tradurre.

Tra gli amici che lo andarono a visitare Silvio Pellico era tra i più as-sidui.13 E nella primavera del 1817 a contattarlo fu Giuseppe Acerbi, chegli propose di scrivere per la “Biblioteca italiana”, coperto, almeno for-malmente, dall’anonimato.14

Le date sono indicative. Per far fronte alla caduta d’immagine provo-cata dalla rottura con la primigenia direzione del giornale – Monti, furi-bondo, in testa – Acerbi si prodigava in quei mesi per rafforzare la cer-chia delle collaborazioni. Nel pieno della crisi – compromesso definiti-vamente il progetto costitutivo della “Biblioteca” che intendeva proporsicome la voce della intelligenza lombarda, sia pure sotto tutela – coinvol-gere Rasori, scienziato di vaglia e amico di tanti letterati più o meno difronda, da Foscolo, allo stesso Monti, a Gioia, fino all’allievo predilettoGiovanni Gherardini, poteva costituire un segnale di controtendenza econtribuire a rendere all’impresa una patente di credibilità. Sicché Acerbi,che certo era abile, non si fece sfuggire l’occasione.

Ma Rasori, nonostante la sua difficile condizione, aveva sul giornali-smo idee precise, fortificate dall’esperienza accumulata dirigendo il no-tevole “Giornale degli amici della libertà e dell’uguaglianza”15 e, più tardi,

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frammenti poetici di Giovanni Rasori, “Biblioteca di storia italiana recente (1800-1870)”, vol.IX, Torino, Bocca, 1921, pp. 1-132. Per un quadro generale cfr. adesso GIORGIO COSMA-CINI, Il medico giacobino. La vita e i tempi di Giovanni Rasori, Roma-Bari, Laterza, 2002.

13 Cfr. ad esempio la lettera di Pellico a Ugo Foscolo datata 8 gennaio 1816 in PEL-LICO, Lettere milanesi, p. 337; e quella di Rasori a Giovanni Fossati dell’8 febbraio 1817ne I carteggi rasoriani, p. 251.

14 Ma presto la notizia della collaborazione di Rasori alla “Biblioteca” dovette cir-colare. Egli stesso ne era consapevole: «Le vociferazioni ch’io abbia parte nella Biblio-teca, sono principalmente uscite dalla Stamperia: lo so a non dubitarne» (in BibliotecaTeresiana, Mantova, Carte Acerbi, ms. 1008 – d’ora in poi BTM – lettera datata 14 giu-gno 1817). Sulla collaborazione di Rasori alla “Biblioteca” resta utile il vecchio inter-vento di ALESSANDRO LUZIO (che pubblica anche stralci di lettere e documenti), Il Ra-sori collabora dal carcere alla Biblioteca italiana, apparso nel più ampio studio dello stessoLuzio, La “Biblioteca italiana” e il governo austriaco (Documenti), in “Rivista storica del Ri-sorgimento”, I (1895), pp. 650-711.

15 Apparso a Milano tra il 23 maggio 1796 e il 2 giugno 1797, fu diretto (anche)da Rasori fino all’ottobre del 1796: cfr. VITTORIO CRISCUOLO, Il “Giornale degli Amicidella Libertà e dell’Uguaglianza”, in Giacobini e pubblica opinione nel Ducato di Piacenza,Atti del Convegno di studi (Piacenza 27-28 settembre 1996), a c. di Carlo Capra, Pia-cenza, Tip.Le.Co., 1998, pp. 101-40.

gli “Annali di Scienze e Lettere”, di cui era stato l’anima, con Ugo Fo-scolo al fianco.16

Acerbi sapeva bene, quindi, che a Rasori non si poteva lasciare libertàdi manovra. Accortamente gli chiese di curare la prima parte dell’Ap-pendice, il mero spoglio, cioè, delle riviste straniere. Il Direttore, s’in-tende, sceglieva preventivamente i fogli da recensire, soprattutto tede-schi: «giornali magri assai»,17 come presto comprese lo stesso Rasori. Ilquale cercò infatti prontamente di rilanciare, pensando che il suo ruolopotesse avere maggior peso; offrì la sua piena disponibilità redazionale,ben al di là di quanto gli era stato proposto, nella speranza di contrattarealmeno alcune condizioni:

Io coopererò ben volentieri alla sua Biblioteca e mi farò un pregio di cre-scerle tutta quella utilità e quel brio che si ricerca in così fatte opere; ed ilmestiere non è nuovo per me, ed il pubblico mi ha favorito. Io non amo peròdi limitarmi a dare qualche articolo eventualmente; ma vorrei che noi c’in-tendessimo in un progetto stabile; sì ch’io potessi consacrarmivi, con un pro-vento stabile, incaricandomi della parte scientifica sì estera che nazionale, eanche di traduzioni dal tedesco o dall’inglese fuori dalla parte scientifica.18

Il segno della risposta di Acerbi, perduta la missiva originale, sta tuttonelle parole di sdegno con cui spesso, dal carcere, Rasori si lamentava fie-ramente delle censure subite dai suoi pezzi:

non mi state a far correzioni o mutilazioni, come avete fatto sinora in pressoche tutte le cose mie, che mi adonta per verità il solo dovermene lagnare.19

3. Non è questo il luogo per analizzare in specifico gli interventi ra-soriani sulla “Biblioteca italiana”. È utile invece capire, al di là dei limitiche la censura impose, il senso della sua presenza su quella rivista. Sono i

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16 Sugli “Annali”, davvero interessante impresa che meriterebbe un ampio studiospecifico, cfr. ora il saggio di Carlo Annoni in questo volume.

17 Rasori ad Acerbi, 8 marzo 1817 (in BTM).18 Ibidem.19 Rasori ad Acerbi, s.d. (ma ottobre-novembre 1817, in BTM). Già il 15 aprile

1817 Rasori aveva protestato: «S’io avessi imaginato ch’Ella o altri s’erigesse giudiced’un mio manoscritto, mi sarei guardato dallo esporlo al giudizio, non ammettendo ioaltro giudice de’ miei lavori scientifici che il pubblico» (BTM).

temi che Rasori via via suggerì ad Acerbi ad interessarci, proprio in fun-zione di quello che sarà, di lì a poco, il suo contributo al “Conciliatore”.

«La Biblioteca italiana», Rasori si lamentava con i colleghi, «nellaparte medica mi fa le parti d’oppositore».20 Poco o nulla scrisse al ri-guardo, e quel poco fu molto martoriato.21 Sul “Conciliatore” quattro deisuoi dieci articoli saranno invece genericamente di argomento medico, fi-nalizzati innanzitutto a difendere se stesso e l’amico Tommasini nell’am-bito delle polemiche che la teoria del controstimolo stava suscitando inItalia. Il più impegnativo di questi interventi – incentrato sull’analisidella mortalità comparativa delle sale ospedaliere milanesi e condotto conuna rigorosa applicazione di parametri statistici – copre addirittura unintero numero della rivista.22 Si tratta di pagine ricche di riflessi teorici,ben colti subito dai lettori più acuti,23 in cui si rivela pienamente il tra-duttore e il fine interprete della Zoonomia di Erasmo Darwin.24 Un’opera– quest’ultima – che è utile qui rammentare poiché influenzò, proprio at-traverso la mediazione di Rasori, anche il pensiero di personalità esternealle discipline mediche: Melchiorre Gioia, per esempio, già responsabiledell’Ufficio di Statistica del Ministero degli Interni del Regno d’Italia,letterato allora al colmo della fama, sui rapporti del quale con Rasori ecol “Conciliatore” dovrò tornare più avanti.25

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20 Ad Apollonio Maggi, 17 dicembre 1817: si legge ne I carteggi rasoriani, p. 201.21 Anche sotto questo profilo è istruttiva la lettura del carteggio con Acerbi. In que-

sti mesi gli interventi di argomento medico apparsi sulla “Biblioteca” sono quasi tuttisiglati E.A., vale a dire Enrico Acerbi. A parte il caso assai contrastato della recensionead un’opera di Vincenzo Racchetti (apparsa anonima in “Biblioteca italiana”, maggio1817, pp. 304-17 e giugno 1817, pp. 427-43), a Rasori era di fatto impedito di occu-parsi di medicina. Non fu accontentato neanche nel maggio 1817, quando chiese acco-ratamente di poter presentare una recente prolusione di Giacomo Tommasini (Dellanuova dottrina medica italiana, Bologna, Tipografia de Franceschi alla Colomba, 1817).La rivista presentò tardivamente l’opera (“Biblioteca italiana”, luglio 1818, pp. 254-68)per mezzo di un prudente dialogo fittizio tra un «Compilatore incognito», il Tomma-sini medesimo e Giovan Battista Spallanzani, autore di quelle Lettere medico critiche cheRasori recensirà assai criticamente sul n. 5 del “Conciliatore”.

22 18 marzo 1819, n. 57, in Conciliatore, II, pp. 325-36.23 L’interesse che l’intervento rasoriano suscitò anche in ambiti distinti da quello

medico è ben testimoniato dall’attenta lettura di ADEODATO RESSI, Dell’economia dellaspecie umana, Pavia, Bizzoni, 1817-1820, 4 voll., nel vol. III, pp. 174-78.

24 ERASMO DARWIN, Zoonomia, ovvero leggi della vita organica. Traduzione dall’in-glese con aggiunte di Giovanni Rasori, Milano, Pirotta e Maspero, 1803-1805, voll. 6.

25 Utili intuizioni, suscettibili di ulteriori approfondimenti, in FRANCESCA SOFIA,

Rispetto alla “Biblioteca”, sul “foglio azzurro” Rasori ebbe dunquemolto più agio per recensire opere mediche e difendersi dalle accuse deidetrattori, anche se nulla di originalmente suo apparve sulla rivista. Nonè mancanza da attribuire soltanto alla veste volutamente non specialisticaassunta dal “Conciliatore”. Credo piuttosto che la redazione fosse scarsa-mente interessata ad avviare un dibattito sulle profonde implicazioni fi-losofiche della rasoriana concezione organica della vita e della materia;implicazioni che invece avevano allora trovato riflesso, a partire dal co-mune richiamo alla lezione browniana, nella Naturphilosophie di Schelling,nonché – per restare in ambito “romantico” europeo – negli espliciti ri-ferimenti biologici della linguistica di Friedrich Schlegel.26

Del resto Rasori, in questo perfettamente organico alla tradizione dellarecente scuola medica pavese, aveva osteggiato da sempre la cultura de-gli “specialismi”, e in particolare ogni manifestazione di empiria scienti-fica.27 Il suo pensiero si rivolge invece alla totalità dell’uomo, al di là econtro i curricula accademici e la compartimentazione rigida delle scienze.Il motto dello “Spectator”, «the whole man must move together», cheera stato reinterpretato da Goethe, da Lichtenberg e da tanta cultura delclassicismo tedesco,28 potrebbe bene servire da exergo anche per un suoprofilo biografico. Già nelle notevoli pagine introduttive all’edizione ita-liana della Zoonomia Rasori aveva orientato la sua densa presentazione inmodo che emergesse il valore epistemologico generale del sistema darwi-niano, un paradigma di ampia (e provocatoriamente esibita) valenza gno-seologica. Non a caso il suo avvertimento a chi legge affrontava in limineproprio il tema della perdita di “unità” dell’uomo moderno, costretto dal

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Una scienza per l’amministrazione. Statistica e pubblici apparati tra età rivoluzionaria e Re-staurazione (Quaderni di Clio, 6), Roma, Carucci, 1988, vol. I, pp. 341-42.

26 Ricco di spunti importanti in questa direzione FRANCESCO MOISO, Interpretazioniitaliane della patologia e visioni della filosofia della natura tedesca, in Passioni della mente edella storia, a c. di Filippo Maria Ferro, Milano, Vita e Pensiero, 1989, pp. 95-155.

27 Un dettato, il suo, che ancora una volta travalica l’ambito medico, condizionandofavorevolmente il pensiero di altri amici (letterati), fra i quali, ad esempio, il Monti dellelezioni pavesi (cfr. VINCENZO MONTI, Lezioni di eloquenza e prolusioni accademiche, intro-duzione e commento di Duccio Tongiorgi, testi e note critiche di Luca Frassineti, Bo-logna, Clueb, 2002, p. 285).

28 Vedi le fini osservazioni al proposito di CESARE CASES, “The whole man”. Ritrattodi Lichtenberg attraverso il suo incontro con Volta, in Momenti di cultura tedesca, Cremona, Li-breria del Convegno, 1973, pp. 33-59 (devo la segnalazione di questo saggio all’amicoWilliam Spaggiari, che naturalmente ringrazio).

progresso (cioè – come esplicitamente dichiarato – dalla divisione del la-voro, anche nell’ambito dell’attività intellettuale) a frantumare le cono-scenze negli orizzonti degli specialismi.29 Nella dialettica tra l’uomo “in-tero” e il nuovo intellettuale dimidiato ancora una volta Rasori si colle-gava idealmente ad un dibattito fondante la cultura europea degli ultimidecenni, in un tracciato che collega l’Essay on the History of Civil Society diFerguson all’Educazione estetica o agli Dei della Grecia di Schiller. Un di-battito che l’Italia osserva abbastanza da lontano, poco suggestivo (o forsepoco noto) anche per gli uomini del “Conciliatore”. Certo è che la reda-zione della rivista, come più avanti sarà chiarito, non volle saperne di ospi-tare la traduzione di Rasori de Die Götter Griechenlands. Mentre fin dalProgramma, tramite la voce di Borsieri, essa si interrogò intelligentementeanche sui riflessi sociologici della divisione del lavoro, ma nell’ottica quasiesclusiva di intercettare il nuovo pubblico borghese:

L’Italia e la Lombardia in particolare è un paese agricolo e commerciale.Le proprietà sono molto divise fra i cittadini, e la ricchezza circola equabil-mente per dir così in tutte le vene dello Stato. Reso accorto da questa veritàdi fatto il CONCILIATORE ha detto a sé stesso: io parlerò dei buoni metodi diagricoltura, delle invenzioni di nuove macchine, della divisione del lavoro,dell’arte insomma di moltiplicare le ricchezze.30

4. Sulla “Biblioteca”, come anche sul “Conciliatore”, Rasori si occupapoi di letteratura odeporica. Genere (o sottogenere) alla moda, tipico dellasensiblerie inquieta a cavallo dei secoli, ben disposta verso la rappresenta-zione delle manifestazioni estreme della natura e della civiltà. La prosa“di viaggio”, del resto, come sanno bene – tra i conciliatoristi – soprat-tutto Pecchio e Pellico, è anche un’occasione ghiotta per indicare un temae poi parlare d’altro, sottraendosi, grazie al velo dell’allegoria e della me-tafora, alla rigidità della censura. L’interesse sempre dimostrato da Rasoriper il genere mette in mostra piuttosto evidenti implicazioni filosofico-sociali, a partire dall’intreccio indissolubile fra descrivibilità della naturae analisi economico-antropologica. Nell’agosto del 1817, ad esempio, egli

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29 Cfr. DUCCIO TONGIORGI, L’eloquenza in cattedra. La cultura letteraria nell’Univer-sità di Pavia dalle riforme teresiane alla Repubblica Italiana (1769-1805), Bologna, Cisal-pino, 1997, pp. 118-20.

30 Conciliatore, I, p. 6.

recensisce sul giornale di Acerbi i Travels in Brasil di Henry Koster, ap-parsi a Londra nel 1816. Lo colpiscono – e non a caso il lungo articolostavolta incontra ostacoli dalla censura31 – in particolare le pagine dedi-cate alle condizioni di vita degli abitanti, al lavoro degli schiavi neri, op-pressi (anche) dai monaci benedettini:

a tale è giunto, colpa l’ignoranza e l’interesse, lo stravolgimento delle mas-sime fondamentali di quella religione che riconosce pure in tutti gli uominialtrettanti fratelli.32

È di Rasori anche la recensione anonima alle Harmonies de la nature diBernardin de Saint-Pierre, apparse postume a Parigi nel 1817.33 Brevinote da cui emerge la simpatia per una lettura roussoviana della descri-zione naturale, ricca di evidenti (e notorie) declinazioni deistico-masso-niche, che paiono anch’esse affascinarlo: «sarebbe per avventura uno ac-crescere la somma dei piaceri e ampliare la felicità dell’uomo lo iniziarloa tutti i misteri degli elementi delicatissimi, donde sorgono i piaceri stessie scaturisce la felicità».34 Che Jacques Bernardin de Saint-Pierre, inter-prete di punta della sensibilità del tournant des lumières, sia stato un au-tore importante nella formazione di Giuseppe Montani, il letterato chefa da tramite tra “Il Conciliatore” e l’“Antologia” è forse utile ricordarequi, sia pure en passant.

Fra quanto apparve sul “Conciliatore” andranno invece citati almenoi Cenni sullo stato presente delle Isole Shetland, della Scozia e dell’Inghilterra,elegante traduzione da Jean-Baptiste Biot: un lungo “pezzo” incentratosulla potenza e libertà della natura selvaggia, che Schiller non avrebbeesitato ad associare alla categoria del sublime orroroso. Le povere isole,battute dalla violenza degli elementi, sono insieme anche i luoghi an-cora non contaminati dalla civiltà deteriore, dove mai si è sentito par-lare di «coscrizioni di soldati, né leva forzata di marinai», e dove «si ri-cevono le novelle d’Europa non altrimenti che come fosse la storia delsecolo passato»:

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31 «Il contrattempo che ha fatto sospendere il Koster è veramente curioso. Cos’hache fare l’accaduta rivoluzione di Pemambuco e d’altre provincie del Brasile coi nostriestratti?» (Rasori ad Acerbi, Milano 14 giugno 1817, in BTM).

32 “Biblioteca italiana”, agosto 1817, p. 302.33 Per l’attribuzione cfr. la lettera ad Acerbi datata Milano, 14 giugno 1817 (BTM).34 “Biblioteca italiana”, giugno 1817, pp. 488-90.

Solo che ci avesse alberi e sole sarebbe dolcissimo soggiorno; ma, se ciavesse alberi e sole sì ci avrebbe affluenza d’uomini, e sì n’andrebbe lungi lapace.35

5. Resta tuttavia l’impressione che i dissensi più forti, sia sulla “Bi-blioteca” che sul “Conciliatore”, Rasori li abbia sollevati quando provòad occuparsi direttamente di letteratura. La disputa classico-romanticanon doveva appassionarlo più di tanto, e questa forse era una colpa. Delresto, per quanto la questione delle traduzioni fosse solo una copertache nascondeva ben altro dissenso, almeno da questo punto di vistaegli, classicista mai pentito e niente affatto dogmatico, aveva comun-que le carte in regola più di altri suoi colleghi, recentemente folgoratisulla via della modernizzazione. Leggeva da anni in lingua originale laletteratura francese, inglese ed in particolar modo tedesca, e soprat-tutto da anni traduceva, dimostrando un’attenzione spiccata verso certariforma “sentimentale” del gusto, che pure si muoveva saldamente nelsolco della tradizione classicista e del richiamo alla storia. Sua, ad esem-pio, la traduzione anonima dell’Agatocle (1808) di Karoline Pichler, ap-parsa nel 1813 in volume – dopo alcune anticipazioni sugli “Annali”– con una bella e sintomatica citazione schilleriana nel frontespizio:«Das Leben ist nichts das erste der Güter. La vita non è il primo deibeni».36

Anche lo sguardo dei suoi allievi pavesi era sempre stato rivolto allenovità europee. Nel 1805, su sua sollecitazione, Giovanni Gherardiniaveva pubblicato la versione degli Amori delle piante del solito Darwin.Appena due anni prima era uscita quella del saggio di Madame de Staël,Della letteratura considerata nei suoi rapporti con le istituzioni sociali (Milano,Pirotta e Maspero, 1803), anonima, ma – come ho cercato altrove di di-mostrare – da assegnare allo stesso Gherardini.37 Nella premessa agliAmori, interamente dedicata a discutere problemi di teoria della tradu-zione, l’autore aveva allora reso omaggio al suo «celebre maestro e caro

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35 29 novembre 1818, n. 26 (Conciliatore, I, pp. 414-15).36 CAROLINA PICHLER, Agatocle ossia Lettere scritte di Roma e di Grecia al principio del

secolo IV, trasportate dalla Lingua tedesca nell’Italiana, Milano, Maspero e Buocher suc-cessori dei Galeazzi, 1813, 4 voll.

37 Cfr. ora il capitolo Tra Rasori e Madame de Staël: appunti sul giovane Gherardini, inD. TONGIORGI, Nelle grinfie della storia, Pisa, ETS, 2003, pp. 117-36.

amico, il Professor Rasori».38 Proprio nel 1818 egli aveva poi dato allestampe la seconda edizione riveduta del poemetto,39 mentre l’anno prima,come è noto, era uscito, sempre per sua cura e debitamente annotato, ilCorso di letteratura drammatica di Schlegel.

Dal carcere Rasori sostenne con tutte le sue forze queste imprese diGherardini. Già nel giugno 1817 aveva preparato per la “Biblioteca” unpezzo sull’opera e il pensiero dello stesso Schlegel, rifiutato però da Acerbiin termini piuttosto perentori: un articolo di cui, purtroppo, ho rintrac-ciato manoscritto solo l’abbozzo della parte iniziale.40 Senz’altro sua è an-che la recensione al Corso che apparve invece sul fascicolo di settembre.Naturalmente Rasori approvava la puntuale opera di commento propo-sta da Gherardini, dal quale anzi avrebbe voluto maggior coraggio nelprender posizione. Ammetteva tranquillamente che «lo spirito roman-tico è quello che informar debbe le produzioni de’ nostri tempi», ma poirifiutava decisamente ogni estremismo ed ogni ostracismo tematico. Traclassicismo e romanticismo vagheggiava piuttosto un «terzo genere, ilpiù perfetto a cui possa aspirare la poesia»,41 destinato, come spesso suc-cede alle terze vie, quasi fatalmente all’insuccesso. Il futuro collaboratoredel “Conciliatore” non si lasciava tuttavia scappare l’occasione di una stoc-cata proprio contro uno degli astri nascenti di casa Porro. Sismondi – sen-tenziava Rasori – dovrà ormai almeno accettare di esser definito «setta-

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38 E. DARWIN, Gli amori delle piante. Poema con note filosofiche, traduzione dall’ori-ginale inglese di Giovanni Gherardini, Milano, Pirotta e Maspero, 1805, p. XI.

39 Stampata a Milano, per i tipi di Paolo Emilio Giusti. Ne mandava una copiaanche all’amico Francesco Cherubini: «ti mando gli Amori delle Piante; conservali permia memoria; è questa la cosa men cattiva ch’io m’abbia fatto» (datata 16 giugno1819, vedila in Biblioteca Nazionale Braidense di Milano, d’ora in poi BNB, AC.XII, 31).

40 L’abbozzo si conserva adesso alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, nel FondoGiulio Porro Lambertenghi (Sussidio G 136) ed è pubblicato non senza errori (poichéesemplato sui soliti apografi parmigiani) in FRATI, Ricordi di prigionia, p. 92. Rasori cercòdi affrettare la pubblicazione dell’articolo scrivendo direttamente ad Acerbi: «L’articoloSchlegel, che deve piacere, vorrebb’essere inserito nel Giugno, massimamente per la notache vi ho posta relativa alla promessa analisi dell’opera di cui è stata pubblicata la tra-duzione» (ricevuta il 14 giugno 1817, in BTM). Più avanti, in una lettera non datatama probabilmente dell’ottobre 1817, Rasori scriveva indispettito al Direttore: «Ri-mandatemi la biografia di Schlegel, che se non ha l’onore d’esser ammessa sul vostroGiornale, avrà almeno riposo nelle mie carte» (ibid.).

41 “Biblioteca italiana”, settembre 1817, p. 411.

tore romantico», per quanto «la scuola romantica, combattuta da tutte leparti, vada di giorno in giorno scapitando di credito».42

6. Rasori scrisse ad Acerbi anche il 15 febbraio 1818. La tensione eraormai palpabile: prossimo ad uscire dal carcere senza impiego e con la mi-naccia dell’espulsione dal territorio austriaco sapeva di avere bisogno diun appoggio da parte dell’influente direttore della “Biblioteca italiana”.Gli chiese un colloquio e insieme volle rinegoziare il suo ruolo di colla-boratore della rivista:

Compiendo fra pochi giorni la mia detenzione io divisava d’abbracciarvie concertarmi un po’ meglio con voi e farvi sentire ciò che a me parrebbeconvenirsi per rialzare un’opera che mi sembra decadere, e che dovrebbe fi-nalmente potersi sostener bene anche colle sole proprie forze. Ma mi s’in-tima di ritornare in patria; ed io voglio bensì, (e questo lo scrivo a voi nelsecreto dell’amicizia) fare il possibile di rimanere. […] Voi dovete rendereun servizio a me, ed io ne renderò a voi. La letteratura tedesca mi ha occu-pato assai da qualche tempo, e le muse non essendomi mai state avverse,quand’ho bruciato loro qualche grano d’incenso, ho tradotto, e con felicità,secondo almeno il giudizio di qualche amico emunctae naris poemetti ed al-tre cose di vario genere, principalmente di Wieland e di Schiller, e sono sulcontinuare. E questo a me pare che sarà tra gli altri uno degli articoli chenon dispiacerà alla vostra Biblioteca.43

Previsione sbagliata, come tante volte gli capitò nella sua vita. Néqueste traduzioni, né altro di suo apparve dopo di allora sulla rivista diAcerbi. L’ultima lettera di Rasori al Direttore era piena di risentimentoed annunciava una rottura che ormai appariva irrevocabile:

Il vostro silenzio è la risposta più parlante che poteste fare alla mia let-tera. Vi ringrazio, ché se non altro mi porgete occasione di formare una opi-nione giusta de’ fatti vostri.44

Qualche amico emunctae naris, se crediamo alle parole appena citate,aveva tuttavia mostrato di apprezzare le traduzioni di Rasori e soprattutto

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42 Ibid., p. 407.43 Milano, 15 febbraio 1818 (BTM).44 La lettera è del marzo 1818 (BTM).

di aver colto il valore del suo progetto. Alcune coincidenze colpiscono. Il14 febbraio (appena un giorno prima Rasori annunciava ad Acerbi di averein cantiere diverse traduzioni da Wieland e Schiller), il solito GiovanniGherardini aveva infatti scritto a Francesco Cherubini:

Mi vien detto45 che nelle poesie di Schiller è un’Ode che ha per oggettodi mostrare i vantaggi che ritraeva la poesia degli antichi dalla Mitolo-gia, e i danni che soffre la poesia moderna dal volersi privare di così riccafonte di bellezze e di meraviglioso. Se tu conosci quest’ode e hai ozio difarmene un poco di traduzione, mi obbligherai moltissimo: io ne avrei bi-sogno per un lavoro scolastico impostomi dal Governo e del quale ti par-lerò a voce.46

È probabile che Cherubini, grazie al suggerimento di Gherardini, ab-bia allestito almeno un abbozzo di traduzione di quella sorta di manife-sto del classicismo tedesco che furono Gli dei della Grecia di Schiller.47 Lostesso Gherardini ne parlò come di impresa quasi terminata nei suoi Ele-menti di poesia (1820), contrastatissimi dalla censura.48 Non è questo illuogo per rievocare i percorsi della fortuna di Schiller tra classicismo e ro-manticismo, tema peraltro affrontato in questa stessa sede da Camerino eda Carpi. Mi interessa sottolineare piuttosto come Rasori, per quanto rin-chiuso in carcere, non fosse un isolato in preda all’ispirazione poetica, chesi trastullava, avendo poco altro da fare, con i poeti tedeschi. La centra-lità di alcuni nodi estetici, posti dagli autori e dalle opere indicate, erainvece còlta e dibattuta negli stessi mesi in una cerchia amicale, eviden-temente abbastanza coesa. Sicché non pare del tutto estemporaneo, né cosìbalzano come lo giudicò invece Pellico scrivendo a di Breme, il suggeri-mento che venne da Vincenzo Monti, lui même, all’amico Rasori, ormai atutti gli effetti redattore del “foglio azzurro”:

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45 Il corsivo è mio.46 BNB, AC. XII. 31. 47 Sull’importanza di queste traduzioni, ad oggi, peraltro, introvabili, insistono giu-

stamente ERICA SCHWEIZER, Il Sermone sulla Mitologia di Vincenzo Monti, in Bufere emolli aurette. Polemiche letterarie dallo Stilnovo alla “Voce”, a c. di Maria Grazia Pensa, Mi-lano, Guerini, 1996, p. 180; e LUCA DANZI, Lingua nazionale Lessicografia Milanese. Man-zoni e Cherubini, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2001, pp. 14-16.

48 Cfr. TONGIORGI, Tra Rasori e Madame de Staël, p. 118.

[Rasori] lesse pure Gli Dei della Grecia, che Monti aveva cacciato in capoa Rasori di stampar per il primo numero, ma io diedi il mio voto contrario,e fui seguito dagli altri. Siccome però il conte Porro ha un certo rispetto pelparere di Monti e per le decisioni di Rasori, egli mi pareva incerto sul suovoto, e determinò che per ora non si dovesse fuorché leggere, senza puntopensare a ciò che si stamperà prima o dopo.

Scioltasi l’adunanza, parlai al conte Porro degli Dei della Grecia, osser-vandogli che bellissima era quell’ode, ma ci trarrebbe addosso tutto lo sfa-vore degli animi religiosi, professandovisi un disprezzo assurdo sul dogmadella unità di Dio, empietà assai più imperdonabile d’ogni altra perché of-fendeva non i soli cattolici, ma tutte le credenze cristiane. Siffatta ragione loconvinse… e il giorno dopo, appena vide Rasori, non mancò di dirgli ch’eglirigettava gli Dei della Grecia, perché a noi non conveniva di darci per atei.49

Sulla questione – la lettera è chiara – Rasori non trovò alcuna spondanella redazione. Sul secondo numero apparve invece la sua traduzione, sem-pre da Schiller, della meno problematica – ma pur sempre notevole – Di-gnità delle donne: e si tratta in assoluto degli unici versi pubblicati inte-gralmente e in modo autonomo sulla rivista nel corso dei suoi quattordicimesi di vita. “Il Conciliatore”, ebbe poi a chiarire in via definitiva De Cri-stoforis, «non ama d’inserire poesie. […] In Italia si ha molto più bisognod’incoraggiare e di guidare le menti alle severe meditazioni, che non di di-lettare gli orecchi coll’armonia di versi, i quali, d’ordinario mancanti di fi-losofia, somigliano a nobili ed ornati vestimenti appesi agli uncini dellebotteghe dei rigattieri».50 Forse non si riferiva a Gli Dei della Grecia.

Il parere di Borsieri, come sappiamo, era comunque già lapidarionell’agosto del 1818:

Rasori legge molti, anzi troppi versi. A quel che vedo non ha fatto cheun solo primo e breve articolo sopra Volta. Mi è parso, ed è parso anche aBerchet, ch’egli si arroghi insensibilmente un po’ di dittatura.51

Francamente non credo che Rasori sia stato troppo impressionato dalpericolo, prospettato da Pellico agli altri estensori, di provocare lo «sfa-

Rasori, la “Biblioteca” e “Il Conciliatore” 249

49 Silvio Pellico a Ludovico di Breme, datata 18 agosto 1818, in PELLICO, Lettere mi-lanesi, p. 414.

50 Lettera sulla poesia medievale, Conciliatore, II, p. 211.51 A Ludovico di Breme, datata 17 agosto 1818 (cfr. LUDOVICO DI BREME, Lettere,

a c. di Piero Camporesi, Torino, Einaudi, 1966, pp. 646-47).

vore degli animi religiosi». Ma anche sotto questo profilo, per quanto ilventaglio delle posizioni all’interno del “Conciliatore” fosse ampio, Ra-sori fu certamente isolato. Del resto, la taccia di materialista mai pen-tito la portò con sé per tutta la vita, forse con compiacimento. Al pro-posito, già una decina d’anni prima era stato violentemente attaccato dalvecchio Francesco Soave, recensore severissimo della Zoonomia.52 Tra il1815 e il 1816 era poi uscita la ristampa postuma delle Istituzioni di lo-gica metafisica ed etica del padre somasco (Milano, Baret), una pubblica-zione salutata con enfasi dallo stesso Pietro Borsieri, che nelle Avventureletterarie la propose addirittura come modello istruttivo.53 L’anno dopo,nella Prefazione del traduttore agli Elementi d’ideologia di Destutt de Tracy,Giuseppe Compagnoni aveva ripreso le argomentazioni di Soave per mar-care le differenze tra l’opera dell’idéologue francese e quella di Darwin,«ardito rovesciatore d’ogni idea di spiritualismo».54 Rasori, ovviamente,non poteva condividere il giudizio di Borsieri, né quello di Compagnoni.Proprio sul “Conciliatore” rilanciò seccamente la polemica, con un affondopreciso contro gli Elementi di Destutt, ma soprattutto con un irridentegiudizio sulle Istituzioni di Soave. A quel misero «aborto intellettuale»egli contrapponeva pour cause gli Elementi di filosofia di Melchiorre Gioia,55

letterato allora certamente più in sintonia (anche amicale) con il “croc-chio” rasoriano (Gherardini in testa) di quanto non fosse con gli altri con-ciliatoristi, nonostante proprio su di lui (oltre che su Monti) Porro e glialtri avessero puntato nel concepire inizialmente una redazione larga (edillustre) della rivista.56 Poco toccato dal problema dell’immortalità

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52 FRANCESCO SOAVE, Esame de’ principi metafisici della Zoonomia d’Erasmo Darwin, in“Memorie dell’Istituto Nazionale Italiano”, Classi di scienze morali, Bologna, 1809,tomo I, parte I.

53 PIETRO BORSIERI, Avventure letterarie di un giorno o consigli di un galantuomo a variscrittori, a c. di William Spaggiari, Modena, Mucchi, 1986, p. 30.

54 Elementi d’ideologia del conte Destutt di Tracy, […] con prefazione e note del Cav.Compagnoni, Milano, Stella (poi Sonzogno), 1817-1819 (per la citazione: vol. I, p.XXIV). E cfr. anche “Biblioteca italiana”, maggio 1818, p. 254.

55 Elementi di filosofia ad uso delle scuole esposti da Melchiorre Gioia (31 dicembre 1818,n. 35), in Conciliatore, I, pp. 540-41.

56 I documenti che testimoniano la volontà di coinvolgere Gioia nella redazione delgiornale (tra il maggio e il giugno 1818) furono pubblicati e discussi da BERNARDO SAN-VISENTI, L’atto di nascita del “Conciliatore”, in “Archivio Storico Lombardo”, LIV (1927),pp. 400-23.

dell’anima, ed anche indisponibile (come Monti, come Rasori) ad asso-ciarsi alla latente condanna in blocco degli anni giacobino-napoleonici,Gioia si trovò poi, notoriamente, in rotta di collisione con Pecchio quandodifese – contro Sismondi «seguace della seducente bandiera di Smith»57

– l’introduzione di vincoli protezionistici a difesa delle economie nazio-nali più deboli.58

7. Sono episodi su cui è opportuno riflettere, soprattutto quando sianalizza la politica delle alleanze che il cenacolo di Porro cercò di tesserenella fase costitutiva della rivista, affastellando peraltro vistosi insuccessi.Il caso più frequente di travisamento critico è legato alla defezione di Vin-cenzo Monti, interpretata troppo spesso come l’ennesima prova del suopresunto versipellismo. Un tradimento «da vigliacco», di cui Pellico scrissein termini durissimi a Foscolo, non ignaro, certo, di compiacere con quelleparole l’amico lontano e di invogliarlo alla collaborazione.59

Comprensibilmente, invece, Monti fu indisponibile ad assumereun impegno diretto in un’impresa che rilanciava i termini della dia-lettica classico-romantica: un confronto che molti allora ritenevano

Rasori, la “Biblioteca” e “Il Conciliatore” 251

57 GIUSEPPE PECCHIO, Sulle manifatture nazionali e tariffe daziarie. Discorso popolare diMelchiorre Gioia (29 agosto 1819, n. 104), Conciliatore, III, p. 249. Al proposito, moltopiù favorevole il giudizio di Pecchio su Gioia nella precedente recensione ai Nouveauxprincipes d’économie politique […] par J.C.L. Simonde de Sismondi (17 giugno 1819, n. 83),Conciliatore, II, pp. 730-31.

58 Alcune considerazioni in MARCO MERIGGI, Melchiorre Gioia tra Stato e società ci-vile dall’età napoleonica alla Restaurazione, in Melchiorre Gioia 1767-1829. Politica, Società,Economia, Atti del Convegno di Studi (Piacenza 5-7 aprile 1990), in “Bollettino StoricoPiacentino”, LXXXV (1990), 1-2, pp. 144-45. Aggiungo che un altro dei conciliato-risti “marginali”, proprio su questo punto, pareva aderire interamente alle posizioni diGioia: cfr. RESSI, Dell’economia della specie umana, vol. III, in particolare pp. 27-79.

59 Nelle lettere di Pellico a Foscolo, invece, il nome di Rasori appare sempre a bellaposta in evidenza rispetto agli altri estensori del giornale (cfr. ad esempio le lettere da-tate 9 settembre e 17 ottobre 1818 in PELLICO, Lettere milanesi, pp. 347 e 349). D’altrocanto, nell’esprimersi dubbioso circa il successo dell’iniziativa, Foscolo ancora una voltatirava in ballo il suo vecchio amico: «Come concilierete voi il Conciliatore e l’ingegnoe l’animo vostro, parlo di te e del D.r Rasori, con la Censura»; e più avanti: «Ad ognimodo da che tu, Silvio mio, e Rasori, e Sismondi ci avete parte, farò che di tanto in tantoabbiate alcuni miei articoletti» (a Silvio Pellico, da East-Mousley, 30 settembre 1818),in UGO FOSCOLO, Epistolario, vol. VII (7 settembre 1816 – fine del 1818), a c. di MarioScotti, Firenze, Le Monnier, 1970, pp. 393 e 395.

fuorviante.60 Tuttavia egli non rinunciò a mostrare interesse, ed ancheuna certa simpatia per la rivista, almeno durante tutta la sua vicenda fon-dativa, trovandosi concorde con Rasori, ad esempio, nell’attribuire un va-lore programmatico alla pubblicazione de Gli Dei della Grecia sul primonumero. Proposta che, come si è visto, fu però drasticamente respinta.

Sarà un caso, ma nel luglio, presentando al Perticari, del tutto bene-volmente, il programma del “Conciliatore”, Monti indicò come estensori,fra i primi, proprio i nomi di Gioia e Rasori:61 entrambi, peraltro (e i do-cumenti lo confermano), estranei non solo alla stesura ma anche alla di-scussione di quel manifesto.62

I segnali di solidarietà e di stima reciproca tra Rasori e Monti si mol-tiplicano poi nei mesi successivi, mentre si approfondisce il solco tra ilpoeta di Alfonsine e molti degli uomini del “Conciliatore”. Servirà al-meno ricordare un episodio che meriterebbe più attenzione. Nel 1819esce a Pavia la traduzione, siglata V.M., di alcuni esametri che DionigiStrocchi aveva indirizzato a Giacomo Tommasini: più tardi lo stesso Stroc-chi attribuì questa fatica a Vincenzo Monti. Ora, questa operetta pavese,con la versione originale e il testo a fronte, recava in limine un’ulteriorededica, rivolta proprio a Giovanni Rasori, maestro di Tommasini, e amicomolto prossimo del traduttore oscurato.63

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60 «L’epizoozia romantica col manifesto del “Conciliatore” torna a montare, e si fagrande apparecchio di derisioni e di beffe per rintuzzarla. Ma credo realmente che i com-pilatori staranno fermi nel proposito di non dar ansa alle prese: e faranno assai bene.Quanto a me, Tros Rutulusve fuat, mi starò zitto, e seguirò il consiglio di Dedalo: Interutrumque vola» (a Giulio Perticari, Milano, 15 luglio 1818, in V. MONTI, Epistolario, rac-colto ordinato e annotato da Alfonso Bertoldi, Firenze, Le Monnier, 1928-31, 6 voll.,nel vol. V [1818-1823], 1930, p. 90). Assai prossimo a questo il noto giudizio di Fo-scolo («an idle inquiry»), che non poco infastidì Ludovico di Breme; e quello di Ghe-rardini: «le dispute sul Romanticismo e Classicismo continuano per tormento de’ let-tori e per disonore dell’Italia» (a Francesco Cherubini, Milano, 9 febbraio 1819, in BNB,AC. XII. 31).

61 A Giulio Perticari, Milano, 12 luglio 1818, in MONTI, Epistolario, vol. V, p. 86.62 Sull’estraneità di Gioia cfr. SANVISENTI, L’atto di nascita del “Conciliatore”, p. 406.

Per Rasori vedi la lettera del 12 agosto indirizzata a Giacomo Tommasini: «Sono statorichiesto d’esser uno dei Compilatori del Conciliatore, di cui avrai per avventura letto ilmanifesto, al quale per altro non ho avuto parte, da che era già pubblicato prima che mene fosse parlato» (I carteggi rasoriani, pp. 60-61).

63 Esametri del cavaliere Dionigi Strocchi al celebre Giacomo Tommasini, Prof. di Clinicamedica nell’Università di Bologna, tradotti da V.M., Pavia, nella tipografia di Pietro Biz-

D’altro canto, e proprio sul “Conciliatore”, lo stesso Rasori si era sbi-lanciato in una sintetica ma decisa riabilitazione poetica il cui senso, al-lora, sarà sfuggito ai più, ma non certo a Monti. Sugli “Annali”, come ènoto, prima Pietro Borsieri, poi l’altro futuro conciliatorista Luigi Pel-lico, con la regia di Foscolo, avevano stroncato impietosamente le operedi Cesare Arici, in particolare il poemetto didascalico Il corallo. Monti,protettore dello stesso Arici, con più di una ragione l’aveva preso comeun affronto diretto alla sua persona.64 Ora, ad appianare il debito e a ri-badire una salda offerta di amicizia, alcuni versi di questa opera, scelti concura tra quelli violentemente criticati da Pellico, vennero finalmente ri-cordati da Rasori sul “Conciliatore” come exempla elegantiarum, degni in-fatti di «uno spirito gentile che non ha guari cantò sì dolcemente».65

8. Insomma, almeno per quel che concerne la vicenda di Rasori, la«rerum concordia discors» sbandierata dal “foglio azzurro” appartiene piùalle aspirazioni che alla realtà concreta. Intendiamoci: i rapporti tra Ra-sori e molti estensori della rivista rimasero sempre ottimi, rafforzati in-nanzitutto dalla comune aspirazione verso un affrancamento nazionale.Ancora molti anni dopo quell’esperienza, Rasori parlava di Porro comedi «uno più cari tra gli amici miei».66 Il buio della documentazione cadeperò al riguardo proprio negli ultimi mesi di vita del “Conciliatore”,quando Rasori fu accusato dalla polizia di molestie alla figlia: un’accusa,per quel che ho potuto capire, poco circostanziata, che ottenne però il ri-

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zoni successore di Bolzani, 1819. Gli esametri di Strocchi erano già apparsi a Bologna,presso Nobile, nel medesimo 1819. L’operetta pavese è adesso ripubblicata in DIONIGI

STROCCHI, Poesie greche e latine volgarizzate, testo e note a c. di Umberto Colla, Torino,Res, 1995, pp. 272-82. La traduzione montiana ha invece riscosso di recente l’interessedi FRANCESCA FAVARO, Su Monti traduttore: versioni giovanili e misconosciute, in “La Rasse-gna della Letteratura Italiana”, CVII (gennaio-giugno 2003), 1, pp. 56-62. Posto che leprove di autenticità dell’attribuzione paiono resistenti, mi limito a constatare con per-plessità l’ostentata patina aulica esibita dalla dedica a Rasori («Sapendo qualmente usateretribuire di gentilezza ed amicizia le dimostranze d’animo conoscente, oserei guaren-tire cortese accoglimento» ecc.), certo in problematica controtendenza rispetto ai det-tami di un Monti ormai appieno in clima di Proposta.

64 La vicenda è ben ricostruita in U. FOSCOLO, Opere, a c. di Franco Gavazzeni, Mi-lano-Napoli, Ricciardi, 1974-81, 2 voll., nel vol. II, pp. 1333-36.

65 Account, ec., ossia Notizia d’un viaggio di scoperta alla costa occidentale di Corea […]del capitano Basilio Hall (31 gennaio 1819, n. 44, in Conciliatore, II, p. 139).

66 A Prospero Pirondi, Milano, 21 luglio 1835, in I carteggi rasoriani, p. 175.

sultato di allontanarlo dalla rivista, come si direbbe oggi, per ovvie ra-gioni di opportunità.67

Forse sapeva di toccare una ferita aperta lo stesso Giovanni Paganini,quando fece delle divisioni in seno al “Conciliatore” il tema portante deI romanticisti, melodramma un po’ “grosso”, ma talora pungente e azzec-cato, apparso anonimo nel 1819. Paganini, del resto, doveva essere cono-scitore esperto degli ambienti di cui abbiamo parlato. Studente giacobinoal liceo Ghislieri di Pavia negli anni caldi del rettorato rasoriano,68 egliera stato ad inizio di secolo animatore – assieme tra gli altri a Compa-gnoni, Gherardini, Torti, e al giovane Carlo Porta – di un’effimera ma in-teressante Accademia Letteraria Milanese.69 A dargli impiego stabile aveva

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67 Le pagine meno generiche al riguardo sono ancora quelle di SPADONI, Milano ela congiura militare nel 1814 , vol. III, pp. 201-03. Si cfr. anche la lettera di Silvio Pel-lico a Ferdinando Rossi di Vandormo, in data 20 agosto 1819 (cfr. PELLICO, Lettere mi-lanesi, pp. 385-86). Già da anni Rasori era al centro di polemiche che riguardavano lasua condotta morale e quella dei suoi familiari. Sposato in seconde nozze con AnnettaVadori, un legame che fu interrotto – secondo la vulgata – addirittura poche ore dopoil matrimonio, Rasori viveva, insieme alla figlia Sabina, con certa Madame Negroni (os-sia Sofia Nassan), e con la figlia di lei, Carlotta. Già nel 1815 erano circolate voci cheattribuivano allo stesso Rasori responsabilità dirette nella gravidanza di quest’ultima.Un episodio che Silvio Pellico aveva riferito al fratello con parole che meritano atten-zione: «In quanto alla Carlotta m’è venuto qualche volta il sospetto che sia stata sedottanon da R[asori], ma da qualche giovane amante, e che R[asori] avendola fatta partoriresegretamente sia stato creduto il reo» (PELLICO, Lettere milanesi, p. 5). Anche Sabina Ra-sori, che fin da bambina aveva respirato un clima – chiamiamolo così – di estrema li-bertà morale, era stata protagonista di vicende sentimentali che certamente infastidi-vano le autorità e creavano qualche ansia anche al padre: «Sarei felice più che non sono,se non avessi una figlia mezza pazza e mezza scellerata che dopo d’avermi date angustiesenza fine, va or aggirandosi per la Lombardia e per gli Stati Veneti or con l’uno or conl’altro facendo l’avventuriera» (Ad Antonio Pantoli, 21 aprile [1818], in BSGL, fondoDel Chiappa: questo passo della lettera è censurato ne I carteggi rasoriani, p. 140, dovepure andrà notato l’errore nella attribuzione della data).

68 Ancora il 29 aprile 1813, scrivendo a Francesco Cherubini, Giovanni Gherardinilo raccomandava descrivendolo come «già mio camerata di collegio, e mio amico» (cfr.BNB, AC. XII. 31). Ricordo che negli anni trascorsi al collegio Ghislieri di Pavia Ghe-rardini si era fatto notare per il suo ruolo di leader giacobino particolarmente radicale.

69 Si veda quanto si dice al proposito in M. MERIGGI, Milano borghese. Circoli ed éli-tes nell’Ottocento, Venezia, Marsilio, 1992, pp. 30-32; TONGIORGI, Tra Rasori e M.me deStaël, pp. 126-27; e adesso in CHRISTIAN DEL VENTO, Un allievo della rivoluzione. Ugo Fo-scolo dal “noviziato letterario” al “nuovo classicismo” (1795-1806), Bologna, Clueb, 2003,pp. 125-27.

pensato poi lo stesso amico Gherardini, che lo aveva chiamato al “Gior-nale italiano” con il compito di traduttore dall’inglese.

Paganini, dunque, conosceva bene i protagonisti del dibattito clas-sico-romantico messi in ridicolo nei Romanticisti. Fu impietoso anche conil suo vecchio maestro Rasori, le cui fattezze bene si riconoscono in Li-gria, detto il Beccagnocchi, dottore allampanato alla ricerca disperata diun’integrazione improbabile. Solo una volta, di fronte al cadavere di DonnaTremola (cioè di Madame de Staël), morta, s’intende, di morbo roman-tico, Rasori-Ligria insorge contro le confuse teorie dei suoi nuovi com-pagni. Sull’aria del Non più andrai farfallone amoroso delle mozartiane Nozzedi Figaro, perfida allusione al noto egocentrismo rasoriano, Ligria infinesbotta, con parole che a me – giunto al termine di questa breve inchiesta– paiono andare ben oltre la lettera voluta da Paganini:

Ignoranti, se aveste vedutoDe’ miei libri anche il sol frontispizio,Non dareste sì sciocco giudizioContro quel che ho stampato di già.70

Rasori, la “Biblioteca” e “Il Conciliatore” 255

70 I romanticisti. Melodramma semi-eroico-tragicomico degli astronomi X.Y.Z., Milano,dalla stamperia Tamburini in cont. S. Raffaele, s.a., atto I, p. 23.