La Camera di Commercio tra sviluppo locale e scenari del nuovo millennio [The Chamber of Commerce...

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INTRODUZIONE 1

GLI INTERVENTI CAMERALI NELLA SECONDA PARTE

DEGLI ANNI '90: ANALISI QUANTITATIVA

3

I flussi finanziari 4

La dinamica patrimoniale ed economica 10

Performance finanziarie 12

Carichi di lavoro, produttività ed efficienza 14

Allegati statistici 20

GLI INTERVENTI CAMERALI NELLA SECONDA PARTE

DEGLI ANNI '90: ANALISI QUALITATIVA

27

La progressione socio-economica dell'area vicentina 27 - La lunga fase che precedette gli anni '80-'90 27

- Lo stato di fatto alla metà degli anni '90 e le nuove tendenze

emerse successivamente

29

- Vincoli e scenari al passaggio del millennio 39

Dalla programmazione per settori a quella per fattori 42 - L'impatto delle trasformazioni economiche sulle politiche locali 42

- Perché programmare i fattori dello sviluppo anziché i settori

della produzione

43

- Caratteri passati, presenti e prospettici dei fattori dello

sviluppo locale

44

Logiche, metodologie e contenuti degli interventi camerali sui

fattori dello sviluppo

48 - Produttività e competitività 49

- Globalizzazione e localismo 51

- Formazione e mercato del lavoro 54

- Gestione finanziaria delle imprese 56

- Commercializzazione e turismo 57

Collaborazioni e sinergie con enti e organizzazioni 59 - Fondazione Giacomo Rumor - Centro Produttività Veneto 59

- Azienda Speciale della Camera di Commercio Vicenza Qualità 61

- Consorzio Vicenza È – Convention & Visitors Bureau 63

- Consorzio Promoveneto 64

- Consorzio Sviluppo Studi Universitari 65

- Fondazione CUOA 67

COERENZA DEGLI INTERVENTI CAMERALI ALLO

SVILUPPO PROVINCIALE

68

Il trade-on tra imprese, territorio e politiche locali nella

Provincia di Vicenza

68

L'attrazione verso l'esterno 70

La diffusione verso l'esterno 71

Il moltiplicatore locale e l'effetto di accelerazione 72

Lo sviluppo dello stock di imprese 74

Il tasso di imprenditorialità 74

Il capitale umano 76

L'elasticità della domanda 77

Osservazioni conclusive 78

1

INTRODUZIONE

Il successo delle aree ad imprenditorialità diffusa viene generalmente attribuito alla

presenza di favorevoli condizioni ambientali, fra cui la cultura, i rapporti sociali, le reti

di fiducia e le istituzioni. Queste sembrano essere messe sotto pressione da un lato dal

venir meno della funzionalità del sistema amministrativo, e dall'altro dalla crescente

internazionalizzazione dei mercati. In questo contesto generale il destino del sistema

economico dipende sempre più dalle caratteristiche del sistema di appartenenza.

È opinione diffusa che i cambiamenti socio-economici che hanno interessato la

Provincia siano avvenuti senza intaccarne l'identità culturale. Tale identità è stata uno

dei fattori che più hanno propiziato lo sviluppo e che più hanno contribuito a ridurre

l'impatto di quelle componenti negative che spesso lo sviluppo porta con sé. La crescita

della ricchezza sposta i limiti del concetto di sviluppo, non più limitabile ai soli

contenuti economici. Questa prospettiva è favorita da un tessuto di relazioni sociali che

agevola il consenso fra i gruppi e le generazioni, da una circolarità tra cultura e scambi

economici, da un tessuto di città piccole e medie accompagnato da un'analoga diffusione

delle attività produttive, da uno spirito di identificazione alle tradizioni locali. Tutti

questi caratteri hanno prodotto uno sviluppo locale caratterizzato da innovazione,

accentuata natalità d'impresa, estremo grado di apertura verso l'esterno.

Il coinvolgimento delle organizzazioni che si occupano del tessuto produttivo locale,

come la CCIAA, diventa condizione indispensabile per rispondere alla domanda

espressa da bisogni coerenti con il sistema di valori tradizionali e con i nuovi bisogni

prodotti dall'evoluzione produttiva; in particolare, la competitività della singola impresa

è sempre più legata all'efficienza del sistema socio-economico a cui appartiene, e

richiede interventi non con l'ottica di leggi e regolamenti che possono "ingoffire"

l'economia, ma attraverso progetti di riqualificazione dei punti di forza locale.

Parlare di sistemi d'impresa significa quindi attribuire un crescente peso alle politiche

produttive che rispettino le specificità degli ambiti locali, e rigettare quegli schemi di

intervento generalizzati che non possono rappresentare le istanze di tutti i contesti

territoriali.

Le azioni devono essere volte a favorire un armonico processo di sviluppo e di

consolidamento del sistema economico-sociale sottoposto alle spinte competitive dei

mercati, ai vincoli amministrativi e alle alternative di localizzazione oltreconfine.

Se una qualche politica di sostegno per la PMI deve essere effettuata, essa deve

venire elaborata tenendo conto delle specificità territoriali e questo può essere

massimamente effettuato dalle amministrazioni locali, cioè soggetti in grado di

individuare le opportunità, i punti di forza e di debolezza, nonché le interrelazioni di un

sistema produttivo il cui destino appare sempre più vincolato a quello del territorio in

cui opera1.

È quindi sempre più importante che le amministrazioni locali diventino soggetti attivi

nel difficile, ma fondamentale, compito di creare un ambiente favorevole al

consolidamento della struttura economica ed al suo rinnovamento. A livello più

generale, è diffusa la consapevolezza che le stesse avranno un ruolo sempre più

1 Può essere fatale pensare che la globalizzazione non abbia bisogno della specificità locale.

2

importante per lo sviluppo economico del proprio territorio, anche per il crescente

decentramento di funzioni che le spinte federaliste comportano.

In questo scenario è evidentemente vincente il desiderio dell'amministrazione

camerale di attivare tutte le risorse disponibili, umane, finanziarie, ambientali ed

istituzionali, al fine di rafforzare il sistema economico locale e favorirne un rilancio alla

luce delle sfide poste dal nuovo millennio. È cresciuto il ruolo che può svolgere

nell'indirizzare, sul piano quantitativo e qualitativo, lo sviluppo economico del

territorio, e quindi si rafforza la necessità di definire, in collaborazione con tutte le parti

coinvolte, gli obiettivi e gli strumenti dello sviluppo.

3

GLI INTERVENTI CAMERALI NELLA

SECONDA PARTE DEGLI ANNI '90: ANALISI

QUANTITATIVA

L'azione pubblica si inserisce in un ambiente, sia economico che normativo, sempre

più complesso e contraddittorio. Più complesso, per la pluralità articolata di attività che

lo costituiscono, per la stratificazione di normative, per il crescere di vincoli,

interdipendenze ed esigenze di coordinamento. Più contraddittorio, per effetto del

combinarsi, spesso disordinato, di domande di intervento pubblico che nascono dai

bisogni di infrastrutturazione del sistema, dai più o meno classici casi di "fallimento del

mercato", da processi di deburocratizzazione e deregolazione.

Possiamo configurare l'azione del decisore pubblico locale come un processo in cui

un'organizzazione formula, sulla base dei fondi che prevede disponibili, il suo bilancio

preventivo, che specifica in modo che le risorse finanziarie saranno allocate

razionalmente tra le diverse funzioni da espletare. Successivamente, l'organizzazione

deve tradurre concretamente il suo bilancio preventivo in incentivi allo sviluppo locale.

È affiorata di recente un'attenzione crescente per la messa a punto di strumenti in

grado di dotare i comportamenti pubblici di una maggiore razionalità economica2. Il

decisore pubblico deve essere aiutato da strumenti di valutazione delle sue politiche, che

siano atti anche a dare informazioni sul loro gradimento da parte dei fruitori, coinvolti o

potenziali, e sulle domande dei cittadini. Una delle più diffuse preoccupazioni è quella

di aggregare e tradurre in termini finanziari le risorse impiegate per produrre un output.

D'altra parte conoscere il costo delle azioni pubbliche può essere di grande utilità per

progettare azioni future, eventualmente allocando in modo diverso le risorse, o cercando

di ottimizzarne l'impiego. I bilanci danno poche informazioni utili al riguardo.

Seguendo queste logiche si possono individuare alcune chiavi di lettura per la

valutazione delle azioni pubbliche che spesso si intersecano e si sovrappongono tra loro:

1. analisi finanziarie di bilancio;

2. misurazioni dei carichi di lavoro, della produttività e dell'efficienza.

L'analisi sarà limitata alla fine degli anni '90, e precisamente al quadriennio 1998-

2001; i periodi precedenti sono da escludere per una scarsa comparabilità

dell'impostazione di bilancio, mentre il 2002 lo è ovviamente perché ancora in corso3.

Come si potrà notare, l'analisi quantitativa sarà più breve e sintetica di quella

qualitativa. Ciò non deriva da una sottovalutazione delle quantità messe in gioco

dall'amministrazione camerale quanto dagli obiettivi del presente studio: poiché si vuole

mettere in luce l'impatto sul territorio degli interventi della CCIAA, al di là del valore

assoluto degli interventi conta soprattutto il loro "effetto leva", cioè la loro capacità di

mettere in moto positive sinergie e di avviare nuove "scintille" di sviluppo.

2 Oltre alle necessarie procedure amministrative si deve poter disporre di un appropriato sistema di

indicatori dell'efficacia delle azioni ma anche della loro efficienza, cioè indicatori dell'impegno

finanziario e del totale delle risorse mobilitate. 3 Mancano così lo Stato Patrimoniale ed il Conto Economico, nonché gli impegni, i pagamenti ed i

residui.

4

I flussi finanziari

Le previsioni

Come si può notare dalle risultanze delle tabelle 1 e 24, in sede di previsione sia il

valore delle entrate che quello delle uscite nell'ultimo quadriennio evidenziano due fatti

ben evidenti: un trend crescente ed una decisa preponderanza dei movimenti correnti. Al

di là di questi fatti, tanto evidenti quanto scontati a priori, dalla successiva tabella 3 si

potrà rilevare come la progressione delle spese sia superiore a quella delle entrate,

soprattutto dal 2000.

variazione percentuale delle entrate e uscite previste

-1,1%

3,2% 3,5%4,8% 4,4%

17,4%

-5,0%

0,0%

5,0%

10,0%

15,0%

20,0%

1998-1999 1999-2000 2000-2001

entrate previste uscite previste

Se si dovesse valutare questo fatto con pura ottica di revisione contabile se ne

potrebbero trarre anche indicazioni non positive, poiché il divario nel trend delle

previsioni, se poi effettivamente confermato, potrebbe mettere in difficoltà la gestione di

cassa.

Ma in questa sede si stanno valutando le logiche di previsione e, soprattutto, in

questa indagine non è allo studio la capacità della CCIAA di essere un operatore

parsimonioso e contabilmente rispettoso delle risorse disponibili, ma piuttosto

l'attitudine ad essere un agente di sviluppo locale. Sotto questo punto di vista, la

previsione di una spesa crescente anche oltre la dinamica delle entrate può segnalare la

volontà di impattare più decisamente il territorio servito; ciò trova conferma nel

parallelo incremento delle spese per progetti di promozione economica5.

Si deve anche notare che il gap previsto tra entrate e uscite è sostanzialmente dovuto

ad una accelerazione del titolo III delle spese, cioè pagamenti di debiti e residui passivi

pregressi, che si accompagna ad un evidente divario nei confronti dello stesso titolo

delle entrate; il differenziale permane, pur se meno evidente, anche qualora si

"corregga" il titolo III delle entrate tenendo presente che non è esattamente simmetrico a

4 Per gli allegati statistici si rinvia alla fine del capitolo.

5 Per dettagli si rinvia alla sezione "Gli interventi impegnati per progetti finalizzati".

5

quello delle spese, non comprendendo i residui attivi pregressi6. Concentrando

l'attenzione sul titolo III delle spese, le previsioni dei residui passivi pregressi fanno

ipotizzare un ente desideroso di non vanificare il suo ruolo di promozione dello

sviluppo locale a causa di interventi impegnati tempestivamente ma erogati

tardivamente. Più in generale, anche se si volesse giudicare l'operato camerale con una

pura ottica da revisore dei conti, la dinamica complessiva del titolo di spesa7 dimostra

un comportamento finanziariamente equilibrato, poiché finalizzato a ridurre la

dipendenza finanziaria di medio-lungo periodo.

Dal punto di vista della composizione delle previsioni (tabella 2), oltre alla già citata

(e ovvia) preponderanza dei movimenti correnti va segnalata la pressoché invariata

composizione delle spese previste8, favorendo un impatto equilibrato sul territorio

9 nel

senso che non vengono alterati bruscamente i pesi relativi dei deflussi di denaro.

composizione percentuale delle uscite previste

0,0%

20,0%

40,0%

60,0%

80,0%

1998 1999 2000 2001

uscite correnti uscite in c/capitaleuscite per rimborso debitii uscite per servizi c/terzi

La composizione delle entrate segna invece alterazioni più evidenti, potendosi notare

una redistribuzione del peso tra entrate correnti ed entrate in conto capitale, a danno di

queste ultime. La considerazione che si può trarre è che l'aumento del peso previsto

delle entrate correnti, anche deflazionato della maggiore costosità dei diritti camerali,

sottende la previsione di maggiori "contatti" diretti tra cittadini e imprese, da un lato, e

organi camerali, dall'altro lato.

6 Sulla base di tale adeguamento, nel 2001 per ogni € previsto in entrata ne corrisponderebbero 3,7

previsti in uscita. 7 Considerando così anche le uscite per rimborso di debiti.

8 Con l'unica eccezione delle uscite in conto capitale del 1999.

9 Per la "effettività" di questa ipotesi si devono valutare le spese impegnate.

6

Gli accertamenti e gli impegni

Pur ribadendo che la CCIAA, se interpretata come ente di sviluppo locale, non può

essere "additata" quando non si auto-limita a rigoroso gestore di risorse, anche le

preoccupazioni di tipo contabile per la prevista dinamica delle spese rientrano

immediatamente non appena si vanno a considerare le entrate accertate e le uscite

effettivamente impegnate (tabelle 4, 5 e 6). Il gap previsto viene a posteriori

controvertito da un'eccedenza delle entrate. L'aspetto interessante, direttamente

connesso al ruolo propositivo (e non contabile) della CCIAA, è che questo equilibrio

non viene raggiunto solo mediante il non impegno di spese previste, ma anche attraverso

un sovra-accertamento di entrate non previste: ciò vale sia per le entrate correnti che per

quelle in conto capitale.

Quest'ultimo aspetto è, tra l'altro, l'indiretta conferma di un comportamento

finanziariamente equilibrato. Il fatto che le entrate previste si siano rivelate inferiori a

quelle successivamente accertate dimostra il rispetto di una logica di natura privatistica

ma fondamentale: il principio della prudenza, uno dei criteri che il nostro codice civile

impone come basilare.

Dalla tabella 4 emerge che, a livello di movimenti accertati-impegnati, le spese

correnti sono più che coperte dalle entrate correnti, con un surplus sempre presente nel

quadriennio e che sale da circa 1,8 milioni di € fino a oltre 2,9 milioni di €.

contrapposizione tra accertamenti e impegni correntivalori in €

0

5000000

10000000

15000000

20000000

25000000

1998 1999 2000 2001

entrate correnti accertate uscite correnti impegnate

Se ad esempio si prende a riferimento il 2001, l'eccedenza10

trova riscontro nel sovra-

impegno del titolo III delle spese (0,9 milioni di €) e nell'avanzo complessivo delle

entrate sulle uscite (1,1 milioni di €). Da tutti questi differenziali emerge una dato che

conferma la volontà camerale, prima evidenziata, di ridimensionare al massimo gli

effetti negativi di spese erogate tardivamente11

: infatti il sovra-impegno del titolo III è

totalmente determinato dallo smaltimento di debiti e residui passivi pregressi.

10

Che si accresce per i minori impegni nei titoli II e IV delle spese. 11

O perlomeno il desiderio di non mancare ad impegni presi con i terzi.

7

Dal punto di vista della composizione degli interventi accertati-impegnati (tabella 5),

fatta eccezione per il già citato titolo III delle spese, la ripartizione degli importi

complessivi appare più stabile di quanto riscontrabile a preventivo.

Dal punto di vista dinamico (tabella 6), per tutto il quadriennio considerato le entrate

accertate procedono ad un ritmo più sostenuto di quanto non dimostrino le spese

impegnate. Ciò però non autorizza assolutamente a ritenere che la CCIAA sia un agente

di sviluppo che dal punto di vista dinamico "tira i remi in barca", poiché vi sono segnali

che fanno apparire l'esatto contrario:

mentre nel biennio 1998-1999 il tasso di crescita delle spese impegnate non è

nemmeno 1/3 di quello delle entrate accertate, tra il 2000 ed il 2001 la proporzione

sale a 3/4;

ma ciò che più conta è il differenziale dinamico tra entrate e spese correnti, cioè gli

interventi più rilevanti per il territorio in base a volume e velocità-immediatezza

d'impatto12

: dopo un rincorsa che riduce il gap delle spese correnti tra il 1998 ed il

2000, nel biennio 2000-2001 si realizza il sorpasso, tanto più concreto poiché si

verifica sugli impegni piuttosto che sulle previsioni.

variazione percentuale delle entrate e uscite correnti

1,7%

10,9%

6,2%

-0,3%

6,7%7,2%

-2,0%

0,0%

2,0%

4,0%

6,0%

8,0%

10,0%

12,0%

1998-1999 1999-2000 2000-2001

entrate correnti uscite correnti

Gli interventi impegnati per progetti finalizzati

L'estrapolazione dai rendiconti finanziari delle spese per progetti di promozione

economica (tabelle 7, 8 e 9) dimostra inequivocabilmente il ruolo della CCIAA quale

agente di sviluppo locale. Se si stesse discutendo di un'impresa privata questi aspetti

12

Tra le spese in conto capitale, infatti, prevalgono partecipazioni e conferimenti in soggetti terzi

attraverso i quali la CCIAA certamente esplica un ruolo positivo sul territorio, ma anche più "mediato" di

quanto non avvenga con le spese correnti.

8

sarebbero indicati come core business aziendale; il paragone non è eccessivo poiché

trattasi di una spesa finalizzata e non "a pioggia", pensata e organizzata per temi che,

come si vedrà successivamente nell'analisi qualitativa, sono quelli più rilevanti per lo

sviluppo locale inserito in un contesto globale (che, continuando nel parallelo con

l'impresa privata, rappresenterebbe la mission aziendale). I temi in oggetto possono

essere così sintetizzati:

A. interventi di incentivazione alla produttività;

B. interventi per l'internazionalizzazione;

C. intervento per il sostegno del mercato interno, con particolare riferimento al settore

terziario (commercializzazione e turismo);

D. interventi per il miglioramento della gestione finanziaria;

E. interventi per la formazione ed il mercato del lavoro;

F. interventi di regolamentazione del mercato e per la tutela del consumatore;

G. interventi per studi e osservatori economici;

H. quote associative presso soggetti terzi;

I. interventi per lo sviluppo del sistema camerale.

Come si può notare, e come sarà più chiaro nella successiva analisi qualitativa13

, i

progetti finalizzati sono tutti orientati ad un unico macro-obiettivo: la competitività a

tutti i livelli del sistema locale d'impresa. Ciò vale anche per due rami progettuali che

solo apparentemente sembrano svincolati da questo contesto, ma che in realtà lo sono

pur se per via indiretta, cioè le spese per quote associative presso soggetti terzi e quelle

per lo sviluppo del sistema camerale.

La dimensione degli interventi passa dai 6,9 milioni di € del 1998 agli 8,4 milioni di

€ del 2001, con un incremento complessivo del 21,5%, contro il 14,3% delle spese

complessivamente impegnate ed il 14,1% delle sole correnti.

variazione percentuale delle spese di promozione economica

6,3%

5,5%

8,4%

-0,3%

6,7%

7,2%

-1,0%

0,0%

1,0%

2,0%

3,0%

4,0%

5,0%

6,0%

7,0%

8,0%

9,0%

1998-1999 1999-2000 2000-2001

spese per progetti di promozione economica spese correnti

13

Cui si rinvia (capitolo "Gli interventi camerali nella seconda parte degli anni '90: analisi qualitativa").

9

Ciò inevitabilmente sottende un crescente peso di questa tipologia di spesa nel

quadriennio.

La composizione degli interventi spese per progetti (tabella 8) mette in luce il

predominio dei progetti per l'internazionalizzazione (19% del totale progetti nel 2001),

seguito molto da vicino dalle misure per la promozione del mercato interno,

commercializzazione e turismo (quota del 18,8%). Ciò autorizza alcune riflessioni:

la preminenza degli interventi destinati all'internazionalizzazione è in linea con il

contesto locale di provincia veneta ad evidentissima propensione per i rapporti

oltreconfine;

nonostante le nuove spinte all'internazionalizzazione la CCIAA "non perde di vista"

il mercato interno, nella consapevolezza che l'apertura internazionale è biunivoca: le

imprese locali possono trovar spazio in nuovi mercati esteri, ma ciò vale anche per i

nostri mercati nei confronti di imprese straniere.

Sempre con riguardo al peso dei progetti, su un livello lievemente inferiore si

pongono gli interventi per la formazione ed il mercato del lavoro (17,5% nel 2001) e per

la produttività (13,2%), ed è rilevante anche il peso delle uscite per quote associative in

soggetti terzi (15,9%). Quest'ultimo dato deriva sostanzialmente dall'adesione a soggetti

pubblici che operano con scopi analoghi a quelli di una CCIAA, quindi segnala

metodologie di intervento in collaborazione-concertazione con altri operatori locali.

Infine, valutando congiuntamente la composizione e l'evoluzione di questa tipologia

di spesa (tabelle 8 e 9) si scorgono, più o meno evidenti, alcuni riassestamenti dinamici

lungo tutto il quadriennio.

composizione percentuale delle spese di promozione economica

0,0%

5,0%

10,0%

15,0%

20,0%

25,0%

30,0%

1998 1999 2000 2001

produttività internazionalizzazionefinanza aziendale mercato interno, terziarioregole mercato, consumatore formazione, lavorostudi, osservatori quote associativesistema camerale

Ciò è di per sé positivo, poiché dimostra che l'ente non destina somme "a scatola

chiusa" riproponendo tali e quali decisioni di anni precedenti, ma valuta volta per volta i

problemi e le conseguenti esigenze finanziarie; anche perché i budget assegnati ai

singoli progetti hanno come presupposto specifiche richieste economiche di soggetti

10

esterni che propongono le azioni in oggetto14

. Ciò peraltro non è in contraddizione con

quanto prima osservato in fatto di interi titoli di spesa, per i quali non si valuta

negativamente la stabilità delle quote di spesa sul totale complessivo. I due metri di

valutazione, com'è ovvio, sono ben diversi: nel caso dei complessivi titoli di spesa la

stabilità delle quote garantisce il costante equilibrio tra macro-tipologie di intervento15

,

poi però all'interno di ciascun titolo è opportuno che i micro-interventi siano ben

calibrati e ogni volta vagliati e ridiscussi..

La dinamica patrimoniale ed economica

Nel quadriennio considerato la crescita dell'attivo patrimoniale è continua (tabella

10), salendo dai 23 milioni di € del 1998 ai 34,3 milioni del 2001; il più grande

incremento patrimoniale si è verificato tra il 1999 ed il 2000 (+7 milioni di €), poi

abbondantemente consolidato nel 2001 (+2,6 milioni di €).

Questa evoluzione, riscontrabile praticamente in qualsiasi posta dell'attivo, avviene

però a ritmi diversi (tabella 12), privilegiando le attività patrimoniali più facilmente

liquidabili il cui peso complessivo sale dal 32,8% del 1998 al 41,1% del 2001 (tabella

11).

composizione percentuale dell'attivo patrimoniale

32,8% 35% 37,5%41,1%

67,2% 65% 62,5%58,9%

0,0%

10,0%

20,0%

30,0%

40,0%

50,0%

60,0%

70,0%

80,0%

1998 1999 2000 2001

attivo a breve termine attivo a medio-lungo termine

14

Associazioni e organizzazioni di categoria, consorzi, enti di formazione, ecc.. 15

Movimenti correnti, movimenti in conto capitale, movimenti per gestione di prestiti (attivi e passivi),

movimenti per servizi in conto terzi. Per fare un esempio, un pesante disinvestimento nel titolo delle uscite

in conto capitale potrebbe implicare la penalizzazione del ruolo camerale di "partner alla pari" in enti

esterni la cui attività ha ripercussioni su fette di territorio, e/o gruppi di imprese, e/o specifiche attività

socio-economiche (nel 2001 gli impegni del titolo di spesa ora preso ad esempio sono composti per il

74,6% da uscite per partecipazioni e conferimenti; la media quadriennale si è assestata su una quota del

60,4%).

11

Il peso delle partecipazioni e conferimenti, dato rilevante poiché, come già osservato,

approssima gli interventi camerali di tipo indiretto16

, si riduce nel quadriennio [da

47,7% del 1998 a 37% del 2001 (tabella 11)], ma ciò non è pregiudizievole poiché il

valore assoluto di queste voci è crescente [da 11 milioni di € del 1998 a 12,7 milioni nel

2001 (tabella 10)]; il suo ridimensionamento relativo, infatti, è dovuto esclusivamente

da una crescita più che proporzionale delle altre poste dell'attivo patrimoniale. Tra

queste, oltre alle già menzionate attività a breve termine, sono da segnalare le

immobilizzazioni tecniche che passano da 4 milioni di € a 7,2 milioni (tabella 10)

spostando così il proprio peso relativo dal 17,4% al 20,9% (tabella 11).

Dal lato del passivo patrimoniale, i debiti totali rallentano la propria crescita che nel

biennio 1999-2000 è stata rilevante: + 10,6% nel periodo 2000-2001 contro +30,1% del

biennio precedente. Il rallentamento è ancor più evidente nella frazione a breve termine,

quella a priori più foriera di tensioni finanziarie: +0,9% tra il 2000 ed il 2001, contro

+33,7% tra il 1999 ed il 2000 (tabella 12).

Complessivamente la crescita dell'attivo è stata più accentuata di quella dei debiti, e

conseguentemente ne ha beneficiato il netto patrimoniale passato da 17,5 milioni di €

del 1998 a 26 milioni del 2001.

composizione delle fonti patrimonialivalori in €

0

5000000

10000000

15000000

20000000

25000000

30000000

1998 1999 2000 2001

indebitamento patrimonio netto

Il Conto Economico mette in luce un risultato finale in diminuzione fino al 2000, ma

che dal 2001 riprende ad aumentare (tabella 13). Lo stesso vale per la redditività,

misurata alla stregua di una qualsiasi impresa17

. Questa alterna dinamica del risultato

economico trova la sua origine in quella che potrebbe essere definita redditività

operativa18

. Approfondendo l'analisi, si può notare che il rallentamento della redditività

16

Si rinvia a quanto discusso nella parte finale della sezione "Gli interventi impegnati per progetti

finalizzati". 17

Utile rapportato al patrimonio netto. 18

Questi strumenti di analisi sono tipici delle imprese, e per un ente come la CCIAA vanno impiegati con

prudenza. In questa sede la redditività operativa è stata calcolata rapportando all'attivo patrimoniale la

somma algebrica del risultato della gestione corrente, degli ammortamenti, degli accantonamenti (alla

TFR, a fondi rischi e fondi oneri), dalla variazione delle rimanenze.

12

operativa non è imputale a movimenti di tipo monetario (ricavi e costi correnti19

),

quanto a quelli non monetari. Gli ammortamenti e gli accantonamenti, infatti, crescono

costantemente ed a ritmi superiori del differenziale tra ricavi e costi correnti: il rapporto

fra tali costi ed il risultato corrente sale dal 26,9% del 1998 al 48,8% del 2001. Si tratta

di costi per certi versi discrezionali, quindi il risultato economico potrebbe consolidarsi

qualora si allenti la pressione di questi costi sul risultato della gestione corrente.

Performance finanziarie

Vi sono amministrazioni in cui gli uffici incaricati delle preparazione del bilancio

non hanno il tempo per ripensare ogni anno il modo migliore per produrre l'azione di cui

sono responsabili. Questo modo di procedere fa sì che il principale fattore che determina

la dimensione e il contenuto del bilancio dell'anno t è il bilancio dell'anno t-1, che verrà

incrementato a seconda del maggior numero di azioni che si è tenuti, o si sceglie, di

compiere. Altre amministrazioni, invece, come quella camerale vicentina, costruiscono

il bilancio dapprima definendo programmi d'intervento e solo successivamente

aggregando gli stessi per il necessario riscontro delle risorse disponibili.

In ogni caso, nel gestire i fondi di bilancio va posta attenzione nel non indebolire la

struttura finanziaria dell'ente, poiché ciò assicura gli utenti sul fatto che l'operato dello

stesso non vada ad appesantire la collettività sotto forma di superiori costi delle

prestazioni camerali e dei diritti annuali. Se ad esempio si vuole testare il grado di

autonomia finanziaria camerale si possono utilmente considerare due indicatori. Il primo

è il rapporto tra debiti complessivi e totale attivo. Nel triennio considerato questo indice

è estremamente modesto, se paragonato a quello di un'impresa, quindi non vi può essere

alcun timore sul fronte della dipendenza finanziaria, pur se dopo il 2000 l'indice tende

lievemente ad aumentare (passa dal 23,9% del 1998 al 24,2% del 2001):

peso dell'indebitamento sull'attivo patrimoniale

23,9%

23,4%

23,7%

24,3%

22,80%

23,00%

23,20%

23,40%

23,60%

23,80%

24,00%

24,20%

24,40%

1998 1999 2000 2001

19

Il risultato della gestione corrente, infatti, sale da 2,8 milioni di € del 1998 a 3,5 milioni del 2001.

13

Il secondo indicatore è la capacità di finanziarie le uscite correnti con le entrate

correnti, cioè quegli aggregati che se si fosse in ambito aziendale sarebbero definiti

ordinari. A livello di importi impegnati-accertati, il rapporto tra le prime e le seconde

diminuisce nel triennio: il valore riscontrato nel 1998 è pari all'88,8% mentre nel 2001 è

sceso all'84,6%. Una verifica più stringente, a livello cioè di somme impegnate-accertate

e poi effettivamente pagate-riscosse nello stesso anno, porta ad analoghe conclusioni:

74,5% nel 1998 e 70,1% nel 2001:

rapporto tra uscite e entrate correnti

88,8% 87,1%83,8% 84,6%

74,5% 75,1% 73,5%70,1%

0,00%

10,00%

20,00%

30,00%

40,00%

50,00%

60,00%

70,00%

80,00%

90,00%

100,00%

1998 1999 2000 2001

accertamenti e impegni movimenti di cassa

Si può perciò ritenere che, sia a livello di competenza che di cassa, l'amministrazione

camerale non abbia alcuna probabilità di subire il fenomeno dell'overtrading: si

tratterebbe dell'incapacità di dare effettiva esecuzione (a livello corrente) alle spese

programmate20

.

Sarebbe anche possibile effettuare altri test sul tema dell'autonomia finanziaria, ma i

due aspetti appena considerati sono piuttosto significativi:

i debiti finanziano l'attivo patrimoniale per meno di 1/4, e la quota è anche in

diminuzione;

le entrate "ordinarie" eccedono notevolmente le uscite "ordinarie", e c'è la tendenza a

rafforzare questo carattere.

Per quanto riguarda la fragilità-solidità finanziaria, poiché l'incidenza dei debiti

complessivi, come prima evidenziato, non supera il 25%, non vi sono grandi timori sulla

fragilità di medio-lungo periodo. La struttura finanziaria è solidissima anche nel breve

periodo. Il coefficiente di liquidità, dato dal rapporto patrimoniale tra attivo e passivo

correnti, indica una situazione del tutto coperta ed in via di progressivo e costante

miglioramento: il coefficiente in oggetto sale infatti da 3,8 a 5,4:

20

Il test effettuato sui movimenti correnti, cioè quelli che normalmente potrebbero generare l'overtrading,

viene confermato anche a livello complessivo.

14

proporzione tra attivo e passivo a breve termine

3,8

4,44,6

5,4

0

1

2

3

4

5

6

1998 1999 2000 2001

La stessa struttura interna dell'indebitamento pone al riparo da rischi evidenti, poiché

la quota di debiti a breve non è critica ed è anche in diminuzione: scende da 35,8% a

31,6%:

peso dei debiti a breve termine rispetto ai debiti totali

35,80%

33,70%

34,60%

31,60%

29,00%

30,00%

31,00%

32,00%

33,00%

34,00%

35,00%

36,00%

37,00%

1998 1999 2000 2001

Carichi di lavoro, produttività ed efficienza

Carichi di lavoro

L'attività può essere guardata dal punto di vista oggettivo anche misurandone la

produzione di atti o servizi realizzata da parte dell'amministrazione produttiva in esame.

Quando v'è un solo prodotto si ricorre ad indicatori semplici di attività. Si è invece in

presenza di indicatori complessi qualora l'attività dell'area amministrativa in esame si

concretizza in una pluralità di prodotti, imponendo un'opera di omogeneizzazione

15

convenzionale tra i differenti prodotti; è questo il caso di una CCIAA. Qualora si

vogliano evitare i rischi di una operazione di omogeneizzazione, che nel caso di assenza

di un output fisico consisterebbe in una sommatoria di valori monetari, è possibile

valutare le grandezze di utenza che implicano lo svolgimento di attività e l'erogazione di

una prestazione. Questa definizione del carico di lavoro non dà informazioni su come

l'attività è stata effettivamente svolta, ma è utile per confrontare la situazione in esame

con altre: dividendo la grandezza dell'utenza per il numero di personale addetto, avremo

una media di organizzazione che può essere confrontata con un valore assunto come

standard o con una serie temporale di valori, determinando così se in un singolo caso si

è in presenza di un eccesso o di un difetto di carico di lavoro.

Poiché non sono disponibili dati ufficiali sul numero di utenti camerali per intervallo

di tempo, si può utilmente approssimare l'indicatore del carico di lavoro, definendolo

potenziale, ponendo a confronto il personale camerale con, ad esempio, la somma

assoluta di incassi e pagamenti della gestione corrente, che normalmente sono generati

da un rapporto diretto con l'utenza. I dati indicano chiaramente un aumento del carico di

lavoro per persona21

: si passa infatti da 195756 € per dipendente (1998) a 214260 €

(2001):

movimenti correnti per dipendente

valori in €

195.756194.162 195.059

214.260

180.000

185.000

190.000

195.000

200.000

205.000

210.000

215.000

220.000

1998 1999 2000 2001

All'aumento del carico di lavoro si dovrebbe ovviamente verificare la variazione

nella qualità dello stesso. Tale verifica è, come si può facilmente intuire, estremamente

ardua. Si può però stabilire, almeno in prima approssimazione, se l'organizzazione

camerale ha messo il personale nelle condizioni per operare al meglio, parallelamente

all'aumentato carico di lavoro. Tale aspetto è messo in luce dalla realizzazione di alcuni

servizi continuativi, che qualora assegnati a soggetti esterni metterebbero il personale

camerale in condizioni di concentrarsi maggiormente sulle attività di loro competenza

specifica. In questo senso i segnali sono positivi, poiché rapportando i costi di servizi

appaltati a fornitori esterni in via continuativa rispetto ai costi funzionamento si nota

una propensione all'esternazionalizzazione che aumenta dal 4% del 1998 a 5,5% del

21

Si è considerato il personale sia a tempo indeterminato che quello a tempo determinato.

16

200022

. Non è forse un caso che la quota di spese per consulenze esterne sul totale dei

costi di lavoro tenda a decrescere, pur se lievemente, facendo supporre che le minori

collaborazioni esterne siano "rimpiazzate" da personale interno; la quota in questione

scende dal 4,19% (1998) a 3,45% (2001):

peso delle consulenze esterne sui costi totali del fattore lavoro

4,19%

3,63%3,85%

3,45%

0,00%

0,50%

1,00%

1,50%

2,00%

2,50%

3,00%

3,50%

4,00%

4,50%

1998 1999 2000 2001

Produttività

La produttività è una misura che deriva dalla teoria neoclassica della funzione della

produzione, che mette in relazione diverse combinazioni di fattori produttivi con le

quantità di prodotto da esse ottenute23

. Si tratta di un concetto che, quando si applica al

settore pubblico, presenta immediatamente il problema di doversi confrontare con

prodotti che possono essere di qualità diversa, senza che questa sia approssimata da un

cartellino del prezzo24

. Si ripresentano, in sostanza, problematiche di misurazione

analoghe a quelle viste in precedenza per il carico di lavoro25

. Si tratta di problemi di

22

Il dato 2001 non è ancora ufficialmente disponibile. 23

La verifica della produttività impone di controllare il risultato immediato dell'attività, rispetto a obiettivi

specificati a priori, sulla base di criteri di definizione dell'output precisi e standardizzati. Comporta quindi

una immediata attività di controllo e avvia un circuito informativo complesso all'interno

dell'organizzazione, la quale deve seguire il flusso dei fattori impiegati e il loro costo. Dà impulso a

periodiche analisi e confronti delle prestazioni erogate da diverse organizzazioni pubbliche, attraverso

comparazioni intertemporali e interspaziali dei diversi valori di produttività, che danno indicazioni sui

determinanti delle differenze rilevate e possono guidare nel trovare soluzioni. Costituendo un'applicazione

del concetto di costo del lavoro, fa circolare un concetto proprio delle relazioni industriali dalla sfera

privata in quella pubblica, dove costituisce una innovazione che può dare impulso a razionalizzazioni del

sistema retributivo nonché delle relazioni gerarchiche, oltre che di quelle sindacali. 24

Gli economisti sostengono che la qualità si rispecchia nell'ammontare di beni che i consumatori sono

desiderosi di comprare e nel prezzo che sono disposti a pagare per ottenerlo. 25

Le difficoltà concettuali nel definire ciò che si intende per "unità di prodotto pubblico" sono infatti

numerose: difficoltà statistiche di rinvenire una misura affidabile della produzione dei servizi pubblici,

difficoltà di disporre di misure omogenee ed economicamente corrette delle produzioni ottenute (oltre che

17

misurazione che spesso rendono la valutazione di produttività approssimativa e

discutibile.

Eppure questa misurazione degli atti e dei servizi pubblici va fatta, e poiché veicola

molte informazioni importanti, per fini sia conoscitivi che operativi, va usata per

valutare la razionalità economica espressa da un'organizzazione pubblica26

. Nel caso di

una CCIAA, mancando un output fisico non si può far altro che optare per un output

monetario: in tal caso è immediato pensare al confronto i ricavi della gestione corrente

con la dotazione di personale. Si può così notare che nel 1998 ciascun dipendente

genera 124711 € di ricavi correnti mentre nel 2001 si sale, con una progressione

evidente, a 145845 € per dipendente:

ricavi della gestione corrente per dipendente

valori in €

124.711

128.585

144.964 145.845

110.000

115.000

120.000

125.000

130.000

135.000

140.000

145.000

150.000

1998 1999 2000 2001

Per valutare correttamente l'incremento di produttività occorrerebbe però

deflazionare l'indicatore dagli aumenti dei diritti di segreteria avvenuti nel periodo

considerato. In ogni caso, v'è indubbiamente una crescita dei ricavi correnti generati da

ciascun dipendente.

Un ulteriore segnale di produttività, ma sarebbe più opportuno parlare di saturazione

della capacità produttiva, viene dato dalla capacità della CCIAA di spendere

effettivamente le spese impegnate. Il quoziente tra uscite e impegni si mantiene

pressoché costante, scongiurando perlomeno un "rilassamento" nell'impiego della

capacità produttiva: si va dal 70,7% del 1998 al 70,4% del 2001.

dei fattori impiegati), ambiguità nel definire a priori una qualità standard del prodotto mentre sono in ballo

le preferenze dell'utente non facilmente rilevabili a priori. 26

Se l'applicazione del concetto di produttività alle azioni pubbliche diventa di routine, può offrire un

referente omogeneo alla discussione in quanto incentivazione a un utilizzo efficiente delle risorse. A

quanti paventano che un ragionamento sulla spesa pubblica fondato sulla produttività non farebbe che

dare voce ai fautori dei "tagli a oltranza e comunque", va ribadito che qualsiasi seria misurazione di

produttività non è questione di denunciare la "bassa produttività" insita in talune prestazioni ma di come

intervenire qualora una stessa identica prestazione presenti un abbassamento di produttività non spiegabile

con un miglioramento di qualità.

18

Efficienza

La progressiva articolazione e complessità delle funzioni di fatto svolte dagli enti

locali, e la lievitata quota di risorse finanziarie da essi assorbite nello svolgimento del

loro ruolo, richiede strumenti di controllo dell'attività effettivamente svolta.

Si può considerare una misurazione di efficienza l'analisi del modo in cui un certo

ammontare di risorse viene combinato per dare luogo a una produzione finale. Questa

definizione rimanda sia all'idea della minimizzazione dei costi di produzione27

sia

all'idea della massimizzazione del prodotto possibile28

. Ma il concetto di efficienza non

denota semplicemente l'insieme di indici positivi di produttività. Chiamando in causa

una allocazione ottima delle risorse disponibili tra gli usi possibili, tocca da vicino il

problema delle decisioni organizzative e di gestione, cioè processi di scelta in situazioni

di incertezza, in cui la distribuzione delle informazioni tra i soggetti in gioco è

asimmetrica, rendono impervio il raggiungimento dell'efficienza.

Un primo segnale di efficienza è dato dal coefficiente di rigidità gestionale, cioè la

misura in cui la CCIAA riesce ad operare interventi di promozione delle attività

economiche dopo aver soddisfatto i suoi compiti istituzionali e di routine. Il coefficiente

in oggetto si costruisce ponendo a quoziente i costi di funzionamento ordinari, ottenuti

sottraendo dai costi della gestione corrente quelli specificamente dedicati alla

promozione economica, ed i proventi della gestione corrente. Nel far questo vi sono due

varianti: considerando o meno le quote associative ad organismi del sistema camerale29

.

In entrambi i casi, però, vi sono segnali di una minor rigidità gestionale e quindi, anche

se non v'è un secco automatismo, di una maggior efficienza: i coefficienti indicati,

infatti, diminuiscono entrambi: il primo da 53,6% a 48,4% ed il secondo scende

ugualmente da 45% a 40,2%:

peso dei costi ordinari di funzionamento sui ricavi correnti

53,6%50,8% 50,2%

48,4%45,0%

41,9% 42,0% 40,2%

0,0%

10,0%

20,0%

30,0%

40,0%

50,0%

60,0%

1998 1999 2000 2001

con quote associative senza quote associative

27

Efficienza gestionale relativa, cioè la tecnica dell'isoquanto. 28

Efficienza tecnologica o produttiva, ossia combinare in modo "razionale" i fattori produttivi utilizzati in

relazione alla tecnologia disponibile, ottenendo da essi la massima quantità di prodotto possibile. Si tratta

della tecnica dell'isocosto. 29

Nel considerare tali quote tra i costi si deve parallelamente sommare tra i ricavi i trasferimenti del

Fondo Perequativo Unioncamere.

19

Questa superiore possibilità di operare al di là dei compiti istituzionali di base si

riflette in un'accelerazione nell'attuazione dei programmi di promozione delle attività

produttive: le somme impegnate per tali programmi sono quasi 6,9 milioni di € nel

1998, passano a 7,3 milioni nel 1999, superano i 7,7 milioni nel 2000 e balzano in

avanti a a quasi 8,4 milioni di € nel 2001 (tabella 7).

Concentrando l'attenzione sul lato passivo del rendiconto finanziario, poiché è dal

lato della spesa che, com'è ovvio, l'intervento camerale genera effetti positivi sul

territorio e sull'ambiente economico, un secondo segnale di efficienza si può ritrovare

nella velocità di smaltimento delle somme impegnate ma non erogate nello stesso anno.

La rapidità di smaltimento aumenta dal 63,3% del 1998 al 69,8% del 200130

: Come

prima osservato, ciò segnala la volontà di non vanificare gli interventi programmati

mediante impegni di spesa non prontamente erogati.

30

Va segnalato il 1999 con una massimo del 74,6%.

20

TABELLA 1

IL VALORE DEGLI INTERVENTI PREVISTI

(importi in €)

VOCI DI ENTRATA/SPESA 1998 1999 2000 2001

entrate correnti 15.711.135 15.961.100 17.053.665 17.899.673

entrate in c/capitale 2.902.539 2.504.300 1.876.598 1.679.001

entrate per accensioni prestiti 129.114 5.165 5.165 5.165

entrate per servizi c/terzi 1.914.506 1.968.734 2.164.987 2.252.785

totale 20.657.294 20.439.298 21.100.415 21.836.624

uscite correnti 15.701.478 16.775.140 16.989.160 19.597.370

uscite in c/capitale 1.876.701 724.899 1.614.186 2.063.710

uscite per rimborso debiti 3.798.540 4.932.267 4.715.768 6.008.976

uscite per servizi c/terzi 1.914.506 1.968.734 2.164.987 2.252.785

totale 23.291.225 24.401.039 25.484.101 29.922.841

TABELLA 2

LA COMPOSIZIONE DEGLI INTERVENTI PREVISTI

(quote percentuali)

VOCI DI ENTRATA/SPESA 1998 1999 2000 2001

entrate correnti 76,1% 78,1% 80,8% 82,0%

entrate in c/capitale 14,1% 12,3% 8,9% 7,7%

entrate per accensioni prestiti 0,6% 0,03% 0,02% 0,02%

entrate per servizi c/terzi 9,2% 9,6% 10,3% 10,3%

totale 100% 100% 100% 100%

uscite correnti 67,4% 68,7% 66,7% 65,5%

uscite in c/capitale 8,1% 3,0% 6,3% 6,9%

uscite per rimborso debiti 16,3% 20,2% 18,5% 20,1%

uscite per servizi c/terzi 8,2% 8,1% 8,5% 7,5%

totale 100% 100% 100% 100%

21

TABELLA 3

LA DINAMICA DEGLI INTERVENTI PREVISTI

(variazioni percentuali)

VOCI DI ENTRATA/SPESA 1998-1999 1999-2000 2000-2001

entrate correnti 1.6% 6.8% 5.0%

entrate in c/capitale -13.7% -25.1% -10.5%

entrate per accensioni prestiti -96.0% 0.0% 0.0%

entrate per servizi c/terzi 2.8% 10.0% 4.1%

totale -1.1% 3.2% 3.5%

uscite correnti 6.8% 1.3% 15.4%

uscite in c/capitale -61.4% 122.7% 27.8%

uscite per rimborso debiti 29.8% -4.4% 27.4%

uscite per servizi c/terzi 2.8% 10.0% 4.1%

totale 4.8% 4.4% 17.4%

TABELLA 4

IL VALORE DEGLI INTERVENTI ACCERTATI-IMPEGNATI

(importi in €)

VOCI DI ENTRATA/SPESA 1998 1999 2000 2001

entrate correnti 15.901.295 16.176.360 17.945.276 19.050.804

entrate in c/capitale 3.695.507 4.527.519 4.811.622 6.466.454

entrate per accensioni prestiti 3.718 6.559 258 0

entrate per servizi c/terzi 1.928.760 20.90.566 1.576.020 1.803.829

totale 21.529.280 22.801.004 24.333.176 27.321.087

uscite correnti 14.125.923 14.086.930 15.032.356 16.118.362

uscite in c/capitale 1.793.861 549.510 1.570.545 1.368.353

uscite per rimborso debiti 5.071.349 6.577.440 5.822.277 6.906.578

uscite per servizi c/terzi 1.928.760 2.090.566 1.576.020 1.803.829

totale 22.919.893 23.304.446 24.001.198 26.197.122

22

TABELLA 5

LA COMPOSIZIONE DEGLI INTERVENTI ACCERTATI-IMPEGNATI

(quote percentuali)

VOCI DI ENTRATA/SPESA 1998 1999 2000 2001

entrate correnti 73,9% 70,9% 73,7% 69,7%

entrate in c/capitale 17,2% 19,9% 19,8% 23,7%

entrate per accensioni prestiti 0,02% 0,03% 0,001% 0,0%

entrate per servizi c/terzi 9,0% 9,2% 6,5% 6,6%

totale 100% 100% 100% 100%

uscite correnti 61,6% 60,4% 62,6% 61,5%

uscite in c/capitale 7,8% 2,4% 6,5% 5,2%

uscite per rimborso debiti 22,1% 28,2% 24,3% 26,4%

uscite per servizi c/terzi 8,4% 9,0% 6,6% 6,9%

totale 100% 100% 100% 100%

TABELLA 6

LA DINAMICA DEGLI INTERVENTI ACCERTATI-IMPEGNATI

(variazioni percentuali)

VOCI DI ENTRATA/SPESA 1998-1999 1999-2000 2000-2001

entrate correnti 1.7% 10.9% 6.2%

entrate in c/capitale 22.5% 6.3% 34.4%

entrate per accensioni prestiti 76.4% -96.1% -100.0%

entrate per servizi c/terzi 8.4% -24.6% 14.5%

totale 5.9% 6.7% 12.3%

uscite correnti -0.3% 6.7% 7.2%

uscite in c/capitale -69.4% 185.8% -12.9%

uscite per rimborso debiti 29.7% -11.5% 18.6%

uscite per servizi c/terzi 8.4% -24.6% 14.5%

totale 1.7% 3.0% 9.1%

23

TABELLA 7

IL VALORE IMPEGNATO PER INTERVENTI DI PROMOZIONE ECONOMICA

(importi in €)

PROGETTI 1998 1999 2000 2001

incentivazione produttività 1.194.048 918.777 1.008.640 1.108.317

internazionalizzazione 1.049.440 1.511.153 1.411.477 1.592.237

miglioramento finanza imprese 447.768 542.280 485.986 872.296

mercato interno, terziario 1.106.251 1.357.765 1.592.237 1.577.259

reg. mercato, tutela consumatore 0 88.314 109.489 12.911

formazione e lavoro 1.717.219 1.586.039 1.530.262 1.463.639

studi, osservatori economici 182.309 124.983 260.294 373.915

quote associative 1.120.711 1.161.512 1.282.362 1.334.008

sviluppo sistema camerale 69.205 32.537 43.382 35.119

totale 6.886.951 7.323.360 7.724.129 8.369.701

TABELLA 8

LA COMPOSIZIONE DEGLI IMPEGNI PER INTERVENTI DI PROMOZIONE ECONOMICA

(quote percentuali)

PROGETTI 1998 1999 2000 2001

incentivazione produttività 17,3% 12,5% 13,1% 13,2%

internazionalizzazione 15,2% 20,6% 18,3% 19,0%

miglioramento finanza imprese 6,5% 7,4% 6,3% 10,4%

mercato interno, terziario 16,1% 18,5% 20,6% 18,8%

reg. mercato, tutela consumatore 0,0% 1,2% 1,4% 0,2%

formazione e lavoro 24,9% 21,7% 19,8% 17,5%

studi, osservatori economici 2,6% 1,7% 3,4% 4,5%

quote associative 16,3% 15,9% 16,6% 15,9%

sviluppo sistema camerale 1,0% 0,4% 0,6% 0,4%

totale 100% 100% 100% 100%

24

TABELLA 9

LA DINAMICA DEGLI IMPEGNI PER INTERVENTI DI PROMOZIONE ECONOMICA

(variazioni percentuali)

PROGETTI 1998-1999 1999-2000 2000-2001

incentivazione produttività -23,1% 9,8% 9,9%

internazionalizzazione 44,0% -6,6% 12,8%

miglioramento finanza imprese 21,1% -10,4% 79,5%

mercato interno, terziario 22,7% 17,3% -0,9%

reg. mercato, tutela consumatore - 24,0% -88,2%

formazione e lavoro -7,6% -3,5% -4,4%

studi, osservatori economici -31,4% 108,3% 43,7%

quote associative 3,6% 10,4% 4,0%

sviluppo sistema camerale -53,0% 33,3% -19,0%

totale 6,3% 5,5% 8,4%

TABELLA 10

IL VALORE DEI PRINCIPALI AGGREGATI PATRIMONIALI DI BILANCIO

(importi in €)

1998 1999 2000 2001

immobilizzazioni tecniche 4.003.006 4.556.183 7.405.527 7.184.690

partecipazioni e conferimenti 10.995.006 10.871.573 12.127.183 12.703.704

tot. attivo 23.062.744 24.725.736 31.758.639 34.338.599

di cui a breve 7.566.403 8.657.109 11.900.355 14.105.677

debiti totali 5.522.629 5.788.087 7.532.782 8.330.605

di cui a breve 1.978.650 1.951.897 2.609.502 2.633.052

netto patrimoniale 17.540.116 18.937.648 24.225.857 26.007.995

tot. passivo e netto 23.062.744 24.725.736 31.758.639 34.338.599

25

TABELLA 11

LA COMPOSIZIONE DEI PRINCIPALI AGGREGATI PATRIMONIALI DI BILANCIO

(quote percentuali)

1998 1999 2000 2001

immobilizzazioni tecniche 17,4% 18,4% 23,3% 20,9%

partecipazioni e conferimenti 47,7% 44,0% 38,2% 37,0%

tot. attivo 100% 100% 100% 100%

di cui a breve 32,8% 35,0% 37,5% 41,1%

debiti totali 23,9% 23,4% 23,7% 24,3%

di cui a breve 8,6% 7,9% 8,2% 7,7%

netto patrimoniale 76,1% 76,6% 76,3% 75,7%

tot. passivo e netto 100% 100% 100% 100%

TABELLA 12

LA DINAMICA DEI PRINCIPALI AGGREGATI PATRIMONIALI DI BILANCIO

(variazioni percentuali)

1998-1999 1999-2000 2000-2001

immobilizzazioni tecniche 13,8% 62,5% -3,0%

partecipazioni e conferimenti -1,1% 11,5% 4,8%

tot. attivo 7,2% 28,4% 8,1%

di cui a breve 14,4% 37,5% 18,5%

debiti totali 4,8% 30,1% 10,6%

di cui a breve -1,4% 33,7% 0,9%

netto patrimoniale 8,0% 27,9% 7,4%

tot. passivo e netto 7,2% 28,4% 8,1%

26

TABELLA 13

I PRINCIPALI VALORI ECONOMICI DI BILANCIO

(milioni di € e percentuali)

1998 1999 2000 2001

risultato economico 1.652.336 1.442.321 1.209.165 1.434.994

ricavi correnti 15.464.208 15.944.527 17.975.585 18.959.931

costi correnti 12.636.524 13.341.217 14.319.394 15.434.999

variazione del magazzino -4.512 12.725 17.659 9.101

ammortamenti 406.206 461.230 608.079 577.289

accantonamenti 354.851 549.811 857.342 1.143.112

risultato operativo 2.062.116 1.604.995 2.208.428 1.813.632

reddività finale 9,4% 7,6% 5,0% 5,5%

redditività operativa 8,9% 6,5% 7,0% 5,3%

27

GLI INTERVENTI CAMERALI NELLA

SECONDA PARTE DEGLI ANNI '90: ANALISI

QUALITATIVA

La progressione socio-economica dell'area vicentina

In questa sede si realizzerà un'indagine retrospettiva rispetto al periodo di studio

dell'attività camerale. L'attenzione è infatti volta alle dinamiche socio-economiche che

hanno caratterizzato il territorio provinciale, brevemente nei decenni '50-'60-'70, più

approfonditamente nel periodo compreso tra i primi anni '80 ed i primi anni '90, allo

scopo di delineare sia la genesi del modello di sviluppo locale che lo stato di fatto alla

seconda metà degli anni '90. Ciò consentirà di enucleare gli scenari di lavoro

dell'organizzazione camerale al passaggio del millennio.

La lunga fase che precede gli anni '80-'90

Nel lungo periodo che precedette gli anni '80-'90 il processo di sviluppo provinciale

può essere distinto in due macro-fasi: la prima di sviluppo estensivo, caratterizzato da

un rapido processo di industrializzazione, la seconda contraddistinta da una

trasformazione della base produttiva, dall'imporsi di un vasto processo di

terziarizzazione e dall'estendersi del livello di apertura verso l'esterno.

La prima fase, quella della industrializzazione degli anni 50'-60', si basò su

abbondanti risorse umane disponibili a bassi salari, e si caratterizzò dall'emergere di una

imprenditoria di prima generazione di provenienza operaia, artigiana e contadina, spesso

già precedentemente coinvolta nella emigrazione e rientrata in Provincia con

un'accumulazione di esperienze e di risorse finanziarie, dando così un notevole

contributo allo sviluppo.

Ci fu un proliferare di PMI nei settori tradizionali del manifatturiero, finanziate

essenzialmente da capitale familiare. Il principale vantaggio di cui la Provincia poté

avvalersi furono bassi costi di produzione che permisero di avviare un processo di

crescita delle esportazioni, che divenne successivamente uno dei principali elementi

propulsori dello sviluppo. I rapporti tra industria ed agricoltura si mantennero equilibrati

contribuendo a favorire un clima idoneo che si rivelò molto utile anche negli anni

(successivi) di più intensa trasformazione strutturale.

Questo equilibrio fu anzitutto di tipo produttivo, dato che l'attività agricola stimolò

attività di trasformazione in alcuni settori manifatturieri. In secondo luogo l'equilibrio si

mantenne perché i protagonisti del passaggio dalla fase agricola a quella industriale

provengono talvolta dal settore agricolo e dividono il loro tempo di lavoro tra attività

agricola e attività industriale. Vi sono casi in cui nella famiglia rurale convergono

redditi provenienti da più fonti (agricola, industriale, terziaria), costituendo la base di

accumulazione capitalistica per nuove iniziative imprenditoriali. La famiglia rurale a

redditi misti funzionò da ammortizzatore delle tensioni.

28

Le istituzioni pubbliche e le amministrazioni locali, alimentate da un consenso

politico caratterizzato da una sostanziale stabilità, hanno provveduto con una politica di

incentivazione a favorire l'insediamento nel loro territorio di nuove iniziative industriali.

La seconda macro-fase dello sviluppo provinciale fu molto più travagliata. La crisi di

sovrapproduzione all'inizio degli anni '70 da un lato riduce il tasso di crescita e dall'altro

aumenta la quota occupazionale del terziario. Continua la contrazione dell'occupazione

del settore agricolo, e i negativi saldi occupazionali dell'industria sono dovuti a tassi di

crescita della produzione inferiori a quelli della produttività. Le attività terziarie

rimasero le uniche in grado di difendere i livelli occupazionali.

Questa seconda (più difficile) fase dello sviluppo fu guidata da una seconda

generazione di imprenditori. Provenivano non solo dalle classi operaie ed artigiane, ma

anche da quella commerciale che univa all'abilità e alla competenza nel settore della

produzione quell'intuito commerciale che divenne essenziale nel momento in cui, oltre

alla capacità di mantenere bassi i costi, risultò fondamentale introdurre innovazioni di

prodotto per puntare sull'acquisizione di nuove quote di una domanda, orientando

l'azione soprattutto verso i mercati esteri.

La risposta che questa imprenditoria seppe dare alla crisi degli anni '70 (caratterizzata

da stagnazione e inflazione insieme), in cui fattori esogeni (come la crisi energetica)

interagivano con rigidità interne preesistenti, fu originale. Come negli anni '50 il

miracolo economico si basò sulla nascita di piccole imprese e sul loro ingrandirsi, così

negli anni '70 l'uscita dalla crisi e dalla rigidità si realizzò col decentramento produttivo,

col frazionamento dei cicli industriali, con la moltiplicazione delle unità produttive

attraverso processi di innovazione tecnologica resi possibili dalla rivoluzione

informatica. Dalla specializzazione organizzativa, tipica della fabbrica degli anni '50 e

'60, si passò ad una forma di taylorismo imprenditoriale in cui si sviluppò la

subfornitura ed un intreccio orizzontale e verticale tra aziende che interessò sia gli

aspetti produttivi in senso stretto, sia quelli di servizio (finanziario, commerciale,

tecnologico).

Negli anni '80 la Provincia ha saputo cogliere le nuove opportunità che i mercati

internazionali offrivano alle strutture produttive più dotate di flessibilità e di capacità di

adattamento. I risultati di questo processo sono ormai noti, sia negli aspetti quantitativi

che qualitativi. Possono essere sintetizzati come segue:

1. Il grado di internazionalizzazione dell'economia vede salire il peso della componente

estera nella formazione del reddito. L'economia che fino agli anni '70 risultava

passiva nei confronti dell'estero e attiva nei confronti del resto dell'Italia31

, con gli

anni '80 diviene esportatrice netta nei confronti dell'estero.

2. Questo diverso flusso di interscambio fu la conseguenza di una specializzazione che

privilegiò la produzione e l'export di beni finali competitivi, penalizzando beni

intermedi32

.

3. La ricerca di nuove combinazioni produttive portò ad un aumento delle importazioni

di semilavorati e ad una crescente integrazione nei mercati internazionali.

31

Era cioè trasformatrice di materie prime e semilavorati provenienti dall'estero che cedeva, dopo una

prima trasformazione, al resto dell'Italia per la trasformazione finale. 32

Semilavorati e beni intermedi a struttura di mercato oligopolistica, in cui si specializzarono i produttori

statunitensi e giapponesi.

29

4. I beni prodotti ed esportati iniziavano, pur se a piccoli passi, ad aumentare il

contenuto di terziario (servizi tecnologici, commerciali e finanziari): fu in quel

periodo che iniziò una crescente dipendenza dal terzo settore che, in una struttura

economica proiettata verso i beni finali e la concorrenzialità, si profilò come settore

chiave dell'espansione futura.

5. Il punto dolente è che questa dipendenza diventa sudditanza per quanto riguarda il

mercato dei capitali e la grande intermediazione bancaria, i cui centri di potere e

decisionali si vennero a trovare spesso al di fuori non solo della Provincia ma anche

del Veneto (e purtroppo in buona parte lo sono tutt'ora).

6. Il sistema delle comunicazioni (in senso lato), il sistema finanziario, l'innovazione

assunsero sempre più il ruolo di (possibili) vincoli alla crescita programmabile,

proponendosi quindi come oggetto di precise politiche ed interventi.

Lo stato di fatto alla metà degli anni '90 e le nuove tendenze emerse

successivamente

L'espansione demografica e del sistema abitativo

In base ai dati dei censimenti ISTAT, nel quindicennio compreso dai primi anni '80 ai

primi anni '90 i residenti nella Provincia di Vicenza fecero registrare un incremento

percentuale di circa il 3%. Si trattò di uno sviluppo demografico molto contenuto se

confrontato con quello relativo ai due decenni precedenti (+10% negli anni '60 e +7%

negli anni '70), ma che poté considerarsi elevato se confrontato con il calo demografico

registrato in molte province italiane e venete. Il rallentamento dell'espansione

demografica verificatosi fino ai primi anni '90 fu imputato alla drastica riduzione della

natalità, fenomeno in linea con le tendenze in atto a livello regionale e nazionale.

Benché il calo del tasso di natalità fosse generalizzato in tutta la Provincia di Vicenza,

esso apparve più accentuato nei comuni di montagna e nel comune capoluogo. Solo il

contemporaneo calo del tasso di mortalità ha consentito il mantenimento di un saldo

naturale positivo.

Si poté registrare una sostanziale disomogeneità territoriale nello sviluppo

demografico. Se mediamente nella Provincia si riscontrò un andamento positivo dei

residenti, il comune capoluogo evidenziò un calo piuttosto forte dei residenti; in

parallelo tutti i comuni della sua prima cintura urbana presentarono un incremento degli

abitanti, come pure in crescita risultarono gli altri comuni della fascia centrale della

Provincia, dell'alto vicentino e di buona parte del basso vicentino. Il calo demografico

interessò, oltre al capoluogo, i centri della montagna, in particolare quelli della parte

occidentale.

L'indice di urbanizzazione del territorio, misurato dal rapporto fra la popolazione

residente nel comune capoluogo e in quelli della sua cintura urbana, era per la Provincia

il più basso del Veneto.

Si può perciò ritenere che la redistribuzione territoriale delle residenze, già di per sé

molto diffuse, contribuirono a rendere più complesso l'operato dei policy-maker locali.

Va infatti notato che tale fenomeno di riorganizzazione territoriale della popolazione fu

affiancata da un analogo fenomeno tra le attività produttive.

30

Il comune capoluogo, infatti, risultò interessato da un processo di riconversione negli

usi e nelle destinazioni dei suoi spazi edificati. Tale processo fu linea con quanto

avvenne nelle maggiori città italiane, ma a Vicenza risultò maggiormente accentuato a

causa dell'espulsione di attività industriali che, dato l'elevato costo-opportunità

raggiunto dalle aree occupate nel centro città, tesero a rilocalizzarsi nei comuni limitrofi

dove le aree per gli insediamenti produttivi erano maggiormente disponibili e con un

impegno di capitale inferiore. Se i trasferimenti di imprese resero disponibili ampi spazi

e contenitori nel comune capoluogo, la maggior parte delle volte questi vennero

riconvertiti in aree per il terziario commerciale e avanzato piuttosto che in edifici

residenziali.

Il modello insediativo residenziale diffuso associato ad una disponibilità di terreni

edificabili, hanno determinato il proliferare di nuove periferie nei comuni della cintura

urbana del capoluogo.

Il settore primario

Pur evidenziando aree e comparti capaci di attivare notevoli flussi di reddito e di

occupazione, l'agricoltura provinciale si inserì in un contesto macroeconomico

caratterizzato da un lento declino del ruolo delle attività agricole nello sviluppo

economico. Tutti i principali indicatori strutturali e funzionali del settore evidenziarono

le preoccupazioni per le sorti di un comparto che era ancora profondamente

interconnesso alle dinamiche socio-economiche del territorio provinciale.

Le superfici coltivate presentarono una contrazione a tutti i livelli, e va rilevato che la

riduzione della superficie agricola utilizzata (-10%) fu percentualmente superiore a

quella della superficie aziendale totale (-7%).

Tra le cause della contrazione della superficie agricola utilizzata, che ebbe luogo con

diversa intensità territoriale33

, si annoverarono la crescente concorrenza sul suolo che si

verificò nei comuni più popolati e industrializzati, ed anche la messa a riposo dei terreni

incentivata dai regolamenti comunitari34

. D'altro canto il numero di aziende diminuì in

misura percentualmente inferiore alle superfici (-3%), implicando così una contrazione

della già ridotta dimensione media aziendale che, aggiungendosi al fenomeno della

polverizzazione e frammentazione fondiaria, non poté che avere riflessi negativi

sull'economicità della gestione.

Vi furono altresì altri fattori che aggravano questi fenomeni, tra i quali non sono da

dimenticare il regime vincolistico nel mercato degli affitti e, soprattutto, la dispersione

degli insediamenti e la domanda di terra per usi non agricoli; quest'ultima, distorcendo i

valori di scambio, conferì rigidità al mercato fondiario.

Tra i primi anni '80 ed i primi anni '90 si ridusse drasticamente anche l'impiego del

fattore lavoro, sia per le giornate lavorate (-30%) sia per il numero di occupati (-23%).

Questo calo occupazionale fu più che altro dovuto al passaggio della forza-lavoro

nell'industria e nei servizi in un quadro generale di razionalizzazione, mirante ad una

maggiore competitività del settore a livello europeo, ma anche all'emergere di nuove

forme imprenditoriali strettamente funzionali allo sviluppo industriale che ha interessato

33

Fu più accentuata nelle zone montane e collinari. 34

Il noto set-aside.

31

la Provincia di Vicenza, quali le famiglie a reddito misto, il part-time agricolo, l'operaio-

contadino.

Come se non bastasse, a tutto ciò si aggiunse una certa contrazione dei redditi

agricoli causata dalla politica agricola comunitaria, che passò dal sostegno dei redditi a

quello dei prezzi, per poi rilassare anche questa misura. Questa politica ebbe dei pregi,

ma anche effetti collaterali indesiderati quando dovette affrontare il problema basilare

delle eccedenze produttive.

Già dai primi anni '60 e fino ai primi anni '80, quando ancora nel mercato

comunitario il problema delle eccedenze non era ancora palese e pressante, vi fu un

massiccio ricorso a tecnologie mirate al massimo incremento della produttività, e

contemporaneamente si assisté ad un progressivo passaggio dell'agricoltura da settore

produttivo a sistema agro-alimentare. In quel periodo, poiché il problema delle

eccedenze non era ancora emerso in tutta la sua evidenza, a livello nazionale e

comunitario si pose maggiore attenzione alle aziende condotte verso obiettivi di

produttività e di reddito, piuttosto che a funzioni quali la difesa del suolo, la tutela delle

risorse idriche o la difesa della ruralità.

Nella seconda metà degli anni '80 si verificano tendenze negative in tema di

produttività del lavoro, se misurata con il reddito lordo per occupato (al costo dei

fattori), che nel vicentino era inferiore alla media regionale. La situazione peggiorò nei

primi anni '90 in cui il reddito lordo per occupato della Provincia scese del 17% mentre

in Regione aumentò del 2%. Applicando la metodologia shift-and-share alle serie

storiche della produzione lorda vendibile della Provincia nel periodo considerato (dai

primi anni '80 ai primi anni '90), si ottiene un quadro generale che conferma le "luci e

ombre" precedentemente evidenziate. La produzione lorda vendibile della Provincia

variò mediamente ad un tasso inferiore a quello regionale, con un divario negativo

dovuto principalmente ai fattori strutturali, che riguardarono cioè il mix produttivo, ed

in misura inferiore a quelli che incidono sulla competitività dei diversi tipi di

produzione.

Le performance declinanti sono da ascrivere proprio a quei comparti che risultavano

più esposti alla concorrenza internazionale e coinvolti dalla politica agricola comune. I

comparti che hanno avuto le peggiori dinamiche sono quello delle coltivazioni erbacee e

ancor più quello delle produzioni zootecniche; il primo sembra essere stato penalizzato

da fattori strutturali, mentre il secondo da fattori competitivi. Per tutti quattro i comparti

(colture erbacee e legnose, prodotti zootecnici, prodotti forestali, prodotti della caccia e

della pesca) il saldo import-export era negativo, e anche questo è almeno in parte da

ascrivere a scelte dei policy-maker europei. Inizialmente la scelta comunitaria di

sostenere i prezzi dei prodotti agricoli si giustificava con il fatto che la UE era

deficitaria in molti comparti agricoli, e un prezzo interno più elevato di quello

internazionale avrebbe stimolato l'offerta interna. Ma il sostegno dei prezzi, nonché‚ il

progresso tecnologico, provocò un eccessivo aumento dell'offerta che, affiancato da una

progressiva contrazione della domanda, dovuta sia ai minori consumi alimentari interni

sia alle difficoltà della domanda esterna, ha dato luogo al problema delle eccedenze.

Com'è noto, i settori che sono stati maggiormente colpiti furono quelli del latte, del

burro, dei cereali, delle carni bovine e suine, con le conseguenti esportazioni sottocosto

e sensibilmente sussidiate, come pure i settori della frutta e degli ortaggi, interessati

dalla distruzione all'origine di prodotti.

32

Le attività industriali

La Provincia di Vicenza si presentava, e lo è tutt'ora, come un'area ricca di iniziative

e contraddistinta da una notevole vitalità. Sono state proprio le caratteristiche industriali

di quest'area, quali:

un'elevatissima intensità imprenditoriale

un elevato grado di apertura al commercio estero

un grande frazionamento dimensionale, al quale corrisponde ad una forte diffusione

territoriale

la natura multipolare degli insediamenti produttivi

ad assegnare alla Provincia un ruolo di primaria importanza nell'ambito delle regioni del

Nord-est del Paese.

Nel periodo qui considerato (dai primi anni '80 ai primi anni '90) il settore industriale

continuò la sua espansione secondo un modello di sviluppo policentrico, che per la

comunità vicentina è stato sinonimo di prosperità fin dall'inizio degli anni '70. Il

contributo dell'industria è stato elevatissimo non solo per l'occupazione ma anche per la

formazione del reddito provinciale. Mentre nella Regione mediamente solo il 4/10 del

valore aggiunto totale dipendeva dalle attività industriali, nel vicentino tale percentuale

raggiunse stabilmente (e in certi momenti superò) i 5/10, sottolineando

inequivocabilmente la profonda vocazione industriale dell'area. Vale la pena di

sottolineare, ad ulteriore conferma di questo, che nel periodo considerato i tassi di

crescita del valore aggiunto industriale furono molto più elevati in Provincia che nella

Regione Veneto. Per completare il quadro, fra le principali caratteristiche della struttura

produttiva vicentina va certamente sottolineato l'elevato grado di apertura verso i paesi

esteri, carattere dominante adesso come allora. È la Provincia veneta che esportava (ed

esporta) di più.

È indubbio che l'industria vicentina dimostrò una buona propensione alle innovazioni

sia di prodotto che di processo. Durante quegli anni, a fronte di rigidità nei costi dei

fattori della produzione, in particolare del fattore lavoro, vi fu un aumento della

competitività dei concorrenti sui mercati nazionali ed internazionali dei prodotti maturi.

Le imprese locali per tutta risposta posero in atto una profonda ristrutturazione e

riqualificazione di molte fasi di lavorazione. Gran parte di questi interventi si

estrinsecarono in innovazioni di processo attuate mediante l'impiego di sempre più

sofisticate tecniche di produzione. L'aumentata produttività del lavoro consentì un

costante aumento del reddito reale, che nel periodo considerato progredì con tassi di

crescita medi annui di circa il 3%. L'incremento di produttività, ottenuto anche con

investimenti labour-saving, fu testimoniata dal prodotto per occupato che nell'industria

aumentò complessivamente del 20%.

È certo però che la dinamica dell'industria durante quegli anni fu caratterizzata da

molteplici disomogeneità, innanzitutto dimensionali. Per avere una misura di questi

fenomeni si noti come a fronte di un aumento del numero degli addetti si sia verificata

una contrazione del numero delle unità locali presenti nel territorio. Ed è chiaro che un

negativo tasso di sviluppo netto delle unità locali (indicatore della mobilità

imprenditoriale) parallelamente alla crescita degli addetti, indica con evidenza

33

l'espulsione dal mercato delle imprese più piccole a vantaggio di quelle di maggiori

dimensioni.

Sono questi segnali che, in linea generale, potevano essere interpretati come effetti

dell'avvio di un processo di consolidamento della struttura produttiva, una situazione

che richiedeva l'implementazione di una serie di iniziative volte ad evitarne

l'irrigidimento. È noto infatti che la maturità del tessuto industriale se da una parte

consente indubbiamente il raggiungimento di performance elevate e costanti, dall'altra

può determinarne un'eccessiva rigidità di fronte alle innovazioni e agli shock di mercato.

Come prima osservato, la generale crescita dimensionale del periodo fu piuttosto

disomogenea. I profili dimensionali di allora dimostrarono l'esistenza un ciclo

imprenditoriale fortemente dinamico per alcuni settori portanti dell'economia vicentina,

quali il tessile, l'abbigliamento, la costruzione di prodotti in metallo e di macchine, la

meccanica di precisione: per questi comparti, infatti, si rilevò un declino del peso delle

unità di maggiori dimensioni (quelle con oltre 100 addetti) e un nucleo crescente di

nuove iniziative imprenditoriali nella classe di dimensione minore (con meno di 10

addetti). I comparti concia e oreficeria mostrarono invece un'evoluzione dimensionale

che privilegiò le classi intermedie e vide invece una riduzione più o meno marcata sia

delle piccolissime dimensioni che delle maggiori; per questi due comparti la contrazione

delle classi estreme fu probabilmente frutto di un ciclo imprenditoriale "chiuso" in

termini di opportunità per i nuovi entranti (i piccolissimi), ma che vide un nucleo

importante di imprese superare la piccola dimensione senza però aver fatto il salto verso

la grande dimensione. Da citare anche l'elettronica industriale e di consumo, che mostrò

un rafforzamento delle unità medio-grandi (con oltre 50 addetti), a danno delle più

piccole, ma in un contesto di forte crescita sia delle unità locali che degli addetti: ciò

significa che il settore rimase aperto alla nuova imprenditorialità ma avviò speditamente

la crescita degli stabilimenti delle imprese già esistenti.

Tra i primi anni '80 ed i primi anni '90, però, le disomogeneità industriali non si

limitarono agli aspetti produttivo-dimensionali, ma furono anche di tipo territoriale e

settoriale. Invero, le differenziazioni territoriali dello sviluppo industriale furono

imputabili anche alle diverse specializzazioni produttive che caratterizzano le varie aree

della Provincia. La presenza di distretti industriali e di aree-sistema implica che le

dinamiche della domanda aggregata si riflettono in modo multiforme sullo sviluppo dei

vari comuni.

Fra le zone a più forte espansione vi fu l'area rappresentata dall'insieme dei comuni

della Val d'Astico e della fascia orientale contigua alla Provincia di Treviso, dove sono

stati molto consistenti sia l'aumento degli addetti che delle unità locali. Si trattò di

un'area dinamica sia sotto il profilo imprenditoriale che sotto il profilo della tenuta delle

imprese esistenti rispetto alle sfide del mercato.

Diversa è stata la situazione dei comuni appartenenti all'area di influenza del

capoluogo e dei comuni situati nella fascia tra Arzignano e Lonigo. Le caratteristiche

dello sviluppo industriale di queste due aree si evidenziò con un consistente aumento del

numero degli addetti e una diminuzione altrettanto consistente delle unità locali. Di

conseguenza, in questo caso lo sviluppo industriale si concretizzò nel consolidamento

delle industrie esistenti e con un'espulsione dal mercato delle attività marginali.

Gli altri gruppi di comuni omogenei sotto il profilo della specializzazione industriale,

si posero su un livello nettamente peggiore rispetto a quelli appena visti. L'area in cui

certamente lo sviluppo industriale fu minore, e dove si poté parlare senza dubbio di

34

progressivo declino del comparto industriale35

, è l'area dell'altopiano di Asiago e più in

generale di tutta la fascia montana della Provincia. Nel complesso dei comuni montani

diminuirono sia gli addetti che le unità locali. Ma la criticità di questa situazione fu

testimoniata dalla progressiva diminuzione di una dimensione media di per sé già

modesta. La situazione che colpì l'area montana della Provincia fu in gran parte

imputabile alle tipologie produttive presenti in tale contesto territoriale. In effetti questi

comuni erano caratterizzati dapprima dalla monocultura dell'edilizia, tra l'altro del tutto

peculiare, successivamente arricchita da tipologie produttive, come il tessile e

l'abbigliamento, di tipo decisamente maturo.

Ad un livello appena meno grave di questo si pose l'insieme dei comuni che

gravitano intorno a Bassano del Grappa. Quest'area vide un notevole deflusso di addetti

dall'industria, e a fronte di questo ridimensionamento non ebbe un corrispondente

declino delle attività imprenditoriali: si trattò infatti di un'area vitale sotto questo

profilo, che pur sottoposta alle tensioni del mercato del lavoro non poteva dirsi un'area

in crisi dal punto di vista industriale.

Ancora diverso fu il tipo di sviluppo industriale che caratterizzò due sub-aree che si

distribuiscono a "macchia di leopardo" nell'ambito della Provincia, ma omogenee da un

punto di vista della specializzazione industriale, e che riguardano la prima gran parte dei

comuni del basso vicentino, il thienese e la Valle dell'Agno, e la seconda un gruppo di

comuni dell'area pedemontana occidentale che fa capo a Schio. Si trattò di aree che

furono caratterizzate da una struttura produttiva matura e che denotarono una

sostanziale tenuta del tessuto industriale, come testimoniò la lieve contrazione nella

consistenza degli addetti.

Nel corso del periodo considerato, le vocazioni che la Provincia di Vicenza ereditò

dalla sua storia precedente si rivelarono vincenti, per lo meno rispetto al tipo di

competizione e di evoluzione manifestatosi fino alla metà degli anni '90. Se però le

caratteristiche di quel modello di industrializzazione hanno costituito i punti di forza del

passato processo di espansione industriale, alla soglia del nuovo millennio potevano

trasformarsi in altrettanti fattori di debolezza, soprattutto nei periodi di crisi e in

presenza di nuovi scenari di trasformazione dell'economia internazionale.

Un primo elemento cruciale riguardava la modificazione in corso nell'ambiente

competitivo internazionale. Il successo conseguito fino ai primi anni '90 non poteva

garantire affatto che le specializzazioni vicentine fossero in grado di evolversi con

altrettanta rapidità, perlomeno con quella necessaria ad adeguarsi alla trasformazione

della concorrenza che cominciava a profilarsi nel bel mezzo della crisi iniziata con

l'uscita dallo SME del 1993. Un secondo punto cruciale riguardava il livello raggiunto

dall'intensità industriale vicentina che, impose una strategia imprenditoriale mirata alla

conversione dalla quantità alla qualità, che dipese dalla dotazione di una idonea rete

terziaria, differenziata e distribuita sul territorio. Un terzo elemento cruciale da non

sottovalutare fu quello della stabilità insediativa, che rese necessario concentrare

interventi su due temi. Il primo, dopo due decenni di crescita diffusa e spontanea,

consisteva nella necessità di razionalizzare il rapporto tra industria e territorio in modo

da redistribuire lo sviluppo in funzione delle costose infrastrutture di servizio da

localizzare sul territorio con la minima dispersione e duplicazione. Il secondo

riguardava invece il rapporto del territorio con l'esterno: in questo caso si trattava di

35

Assoluto e non solo relativo, quindi con presenza di deindustrializzazione.

35

passare dalla logica dei sistemi locali di distretto alla logica delle reti globali, in cui

l'ambiente provinciale sviluppa alcuni punti di eccellenza e conta per il resto sulla

rapidità ed efficienza del collegamento con servizi idonei. In ambedue i casi la logica di

rete (specializzazione di qualità e accesso tramite comunicazioni) si delineò come la

struttura organizzativa del prossimo futuro, cioè l'oggi: una struttura che non nasce da

una pianificazione a priori dello sviluppo territoriale, ma che opera specializzando

l'offerta di servizi territorialmente localizzati e che utilizza al massimo le possibilità di

comunicazione e di trasporto per una divisione del lavoro sempre più estesa e

differenziata.

In estrema sintesi, nel corso degli anni '80 e fino ai primi anni '90 il sistema

industriale vicentino si caratterizzò:

1. Per il passaggio da "piccolo è bello" al "sistemico è bello"; si andò infatti registrando

un rafforzamento, lento ma necessario, delle connessioni (economiche, finanziarie,

produttive, sociali, etc.) interne ai sistemi di piccole e medie imprese e,

parallelamente, dell'apertura degli stessi alle relazioni esterne.

2. Per i sistemi di piccola impresa, e i distretti in maniera particolare,che permisero di

realizzare una situazione intermedia tra il completo ricorso al mercato per lo

sviluppo delle produzioni, e l'accentramento nell'impresa di funzioni di produzione.

Questo passaggio, se da un lato ha portato ad una rivalutazione degli aspetti

territoriali dello sviluppo, ha comportato anche un'evoluzione delle aree-sistema, che

da un insieme di imprese dove "tutti fanno tutto e tanti, forse troppi, fanno impresa"

si sono sviluppate in sistemi all'interno dei quali prevalgono rapporti gerarchici ed

emerge solitamente un numero di medie aziende e di piccole unità produttive,

iperspecializzate in alcune fasi di lavorazione.

3. Per distretti che rappresentarono una risposta molto efficace in termini di efficienza

dei processi, quando la competizione di basava essenzialmente sui costi del lavoro e

più in generale sui costi d'uso del mercato e dei fattori produttivi. Nel distretto,

infatti, i problemi relativi al posizionamento sul mercato finale non si ponevano in

maniera ricorrente per le singole imprese specializzate per fasi, in quanto erano solo

le imprese "terminali" a gestire i rapporti con il contesto esterno e a trasmettere

all'interno del distretto i segnali di modificazione che da esso trasferivano.

4. Per l'inesistenza (o scarsa presenza) di barriere informative interne al distretto

consentivano una veloce circolazione di questi input e quindi rendevano efficienti i

meccanismi di flessibilità produttiva.

Inoltre, quando i segnali di mercato divennero molto più rapidi, e tali da non

consentire al sistema complessivo di riposizionarsi solo sull'aspetto produttivo, molte

imprese distrettuali cominciarono ad avere problemi di "disorientamento". Poiché

l'aumento dell'incertezza impedisce di valutare precisamente gli effetti di decisioni sulle

quali l'impresa singola ha un basso livello di controllo, l'assenza di un centro decisionale

strategico, caratteristica precipua dei distretti, tende a trasformarsi in un forte punto di

debolezza. La globalizzazione dei mercati ha inoltre profondamente cambiato il ruolo

dell'innovazione, che già da allora non si limitava più ai soli aspetti produttivi e

tecnologici, ma si estese all'efficacia complessiva del prodotto: l'innovazione globale

implicò il superamento dell'approccio centrato sulla minimizzazione dei costi, e richiese

una capacità di qualificazione complessiva dell'azienda per metterla in grado di

36

fronteggiare le maggiori turbolenze dell'ambiente esterno, di recepire i segnali posti dal

mercato e di rispondere adeguatamente.

Questa nuova configurazione comportò da un lato il cedimento del tessuto delle

imprese più deboli, che non risultarono più competitive nelle lavorazioni medio-basse

(rispetto a quelle disponibili in altri paesi di nuova industrializzazione) e non riuscivano

ad attingere ai livelli ed ai mercati delle medio-alte, e dall'altro lato l'erosione dei

margini di produttività e la decelerazione della redditività di quelle fasce d'imprese, di

medie dimensioni, che si trovavano già in posizioni più consolidate.

La parcellizzazione per fasi rischiò perciò di essere un punto di debolezza per i

sistemi d'impresa del vicentino che intendevano impostare la loro competizione sulla

sfida innovativa globale, perché la frammentazione delle competenze poteva, e può

tutt'ora, rappresentare un evidente ostacolo alla diffusione delle conoscenze all'intero

sistema, a meno che non si sviluppi un'elevata gerarchizzazione. Poiché‚ le singole PMI

difficilmente erano (e sono) in grado di sviluppare al loro interno attività strategiche,

diventava (diventa) sempre più determinante l'acquisizione di terziario alla produzione.

Le attività di servizio

La crescente integrazione intersettoriale e le sempre maggiori interconnessioni che si

sono via via create nel processo di sviluppo industriale di fatto contribuirono

intensamente alla crescita del terziario. Fra i comparti più dinamici va certamente

segnalato quello dei servizi alle imprese, che rappresentò non solo un autonomo fattore

di sviluppo del reddito e dell'occupazione della Provincia, ma anche un fattore

propulsivo del settore industriale interagendo con questo nella realizzazione di un

sistema economico efficiente.

Nel periodo considerato si mise chiaramente in luce l'elevata dinamicità delle attività

di servizio all'interno della Provincia. È stato questo infatti il settore in cui il valore

aggiunto crebbe maggiormente. Si confermò la rilevanza del processo di

terziarizzazione anche sotto il profilo dell'impatto occupazionale. Ma è considerando la

dinamica delle unità locali che appare evidente il ruolo del terziario nel passaggio dai

primi anni '80 ai primi anni '90.

Si nota che le unità locali del terziario fecero registrare un tasso di espansione molto

più elevato della media generale: escludendo il comparto commerciale, nel quale il

numero delle unità si mantenne praticamente ai livelli dei primi anni '80, le altre attività

terziarie ebbero un'espansione superiore al 50%. Nonostante questo, si può ritenere che

la struttura produttiva della Provincia continuava a restare sottoterziarizzata rispetto agli

standard medi regionali: basti infatti considerare che nella prima parte degli anni '90

furono censite 91 unità di servizio ogni 100 unità industriali nella Provincia di Vicenza,

contro un rapporto di 106 ogni 100 nel Veneto.

La presenza di terziario avanzato è stata cruciale, e lo sarà anche nei prossimi anni, se

si considera il fabbisogno di servizi avanzati espresso dalle imprese di piccola e media

dimensione. L'attività terziaria di consulenza è stata avviata nella Provincia in epoca più

recente in confronto alle altre aree industrializzate, soprattutto della Lombardia. Si può

dire, quindi, che il comparto abbia scontato, rispetto alle aree limitrofe, un certo ritardo

di partenza a fronte di una domanda emergente: i consistenti processi di ristrutturazione

37

produttiva, infatti, evidenziarono la convenienza da parte dell'impresa industriale

all'acquisizione esterna di certi servizi, piuttosto che la produzione interna.

Nonostante queste tendenze, però, l'industria vicentina sembrò mantenere comunque

un approccio ai servizi esterni "difensivo" e non strategico, dal momento che vennero

utilizzati soprattutto i servizi di base, mentre il ricorso ad altri servizi restò spesso

episodico.

Vi fu perciò un'ampia conferma di alcuni fenomeni ed approcci tipici del mondo

industriale verso i servizi esterni. Ad esempio, sia l'esigenza di ricevere un servizio di

qualità che un giudizio di "inadeguatezza" dei consulenti locali aumentarono

parallelamente alla dimensione aziendale, verso la quale, invece si rivelarono

inversamente correlati i problemi dei costi del servizio e della vicinanza del consulente.

Quello che rappresentò un elemento di debolezza è che la maggior parte delle

aziende non fece ricorso a servizi nel campo della consulenza organizzativa e della

pianificazione strategica, in quello della comunicazione, del marketing, della consulenza

finanziaria o della formazione del personale.

Nonostante la domanda di servizi da parte delle aziende fosse molto differenziata,

essa fu caratterizzata nell'esigenza di ricevere assistenza continuativa con la massima

rapidità e disponibilità. Per le aziende manifatturiere tradizionali si rivelarono

particolarmente importanti nella scelta anche le referenze del consulente, l'indice di

gradimento ottenuto presso altri imprenditori e il costo del servizio.

Mediamente le aziende ritenevano di essere abbastanza informate sulle tipologie di

servizi forniti dalle società e dai consulenti vicentini. Nei comparti orafo, tessile, carta e

grafica il livello di informazione migliorò, mentre peggiorò sensibilmente nel comparto

del legno e del mobile.

I servizi di consulenza nella Provincia poterono decollare soprattutto grazie

all'iniziativa e all'impegno individuale di professionisti, lavoratori autonomi e

dipendenti. Nella maggioranza dei casi il nuovo consulente maturò la propria

professionalità all'interno dello stesso comparto, mentre solo in pochi casi prevalse la

formazione ottenuta nel settore industriale.

Altra caratteristica, un punto di debolezza del comparto, fu l'estrema

despecializzazione delle aziende. In effetti, se furono positivi l'ampliamento dei propri

servizi, la ricerca di nuova clientela e il ricorso a collaborazioni ed accordi con altre

unità del comparto, gli imprenditori del terziario sottovalutarono l'opportunità, anche

economica, di acquisire nicchie di specializzazione.

Com'è noto, il grado di apertura verso l'esterno della Provincia risultava

notevolmente diversificato sia nei prodotti che nei mercati raggiunti, ma l'attenzione dei

consulenti venne posta soprattutto alla promozione della presenza commerciale sui

mercati esteri, mentre il supporto ai processi di internazionalizzazione della gestione e

della produzione, processi sempre più importanti per le aziende provinciali, venne

generalmente trascurato.Si poté così riscontrare un basso livello di utilizzazione dei

servizi per l'internazionalizzazione. Le ragioni principali di questo atteggiamento furono

la modesta cultura in tema di servizi diffusa nel tessuto imprenditoriale vicentino e la

poca attitudine dell'imprenditore di valutare il ruolo e l'importanza di tali servizi per la

propria azienda. La domanda appariva molto segmentata, ponendo problemi

estremamente personalizzati che si scontravano con un'offerta standardizzata.

Emerse quindi la necessità di una maggior flessibilità dell'offerta, che avrebbe dovuto

stratificarsi per settori, per dimensioni delle imprese e per strategia di penetrazione dei

38

mercati in modo da tener conto dei molteplici fattori (tecnologici, culturali, di ricerca)

dai quali dipende l'internazionalizzazione. La situazione apparve poi aggravata dal fatto

che spesso i fruitori, se da un lato richiedevano prestazioni caratterizzate da elevata

professionalità, che possono essere fornite solamente da strutture di grandi dimensioni,

dall'altra manifestano il desiderio di partecipazione alla gestione e alla programmazione,

possibile solo nel caso di strutture decentrate e di ridotte dimensioni.

Il comparto turistico

Nel periodo che va dai primi anni '80 ai primi anni '90 appaiono chiaramente i limiti

del settore turistico sul territorio provinciale. Le dinamiche degli arrivi e delle presenze

non hanno mantenuto il passo con quelle regionali. Il turista che si recava nel vicentino

ridusse mediamente i periodi di soggiorno.

Le differenze dinamiche fra Provincia e Regione potrebbero essere state generate da

un peggior rapporto prezzo-qualità rispetto all'ambito regionale, come pure ad una

inferiore differenziazione del prodotto, cioè all'esistenza di un'offerta che non riusciva a

sfruttare tutti i segmenti di una domanda in evoluzione.

Complessivamente considerata, la domanda turistica si rivolgeva in larga misura ai

segmenti più economici dell'offerta, rappresentati dagli alloggi extra-alberghieri e dagli

alberghi a 1 e 2 stelle. Vennero perciò preferite tipologie ricettive il cui valore aggiunto

produceva effetti reddituali indiretti e indotti inferiori a quanto registrabile per le

tipologie ricettive di maggior qualità. Vale la pena di ricordare che gli effetti indiretti

dipendono dalle interdipendenze settoriali che si collegano all'attività turistica, cioè la

produzione degli input intermedi necessari alla produzione di beni e servizi che

soddisfano direttamente la domanda turistica; gli effetti indotti sono dati dall'effetto

moltiplicativo delle spese per consumi di coloro che hanno percepito il valore aggiunto

generato dalla produzione dei beni e dei servizi turistici. Riguardo a tali aspetti, fu

fondamentale il ruolo giocato dagli esercizi extra-alberghieri, non solo per la loro ridotta

incidenza sui livelli occupazionali ma anche in termini di spesa giornaliera del loro

turista tipico.

L'offerta di ricettività vide un netto prevalere delle strutture extra-albeghiere, che

rappresentavano circa il 70% degli esercizi totali. L'evoluzione della ricettività

alberghiera nel periodo denotò una contrazione complessiva nel numero degli esercizi

anche se corrispondentemente vi fu un processo di riqualificazione degli stessi. Ad ogni

modo, da quanto rilevato in tema di arrivi e presenze, tale processo non fu sufficiente ad

accrescere e nemmeno a mantenere la permanenza media del turista.

Tra i problemi più evidenti del settore vi fu la bassa saturazione delle strutture a

livello annuale (che ostacolò la copertura dei costi fissi) e la stagionalità della domanda,

soprattutto per l'area montana.

Gran parte del valore aggiunto turistico si concentrò nelle aree montane, termali e

d'interesse storico, con il conseguente disincentivo all'aumento quantitativo e qualitativo

dell'offerta nelle altre zone della Provincia.

Ovviamente la Provincia non sfuggiva ai problemi presenti in tutto il territorio

regionale. Oltre alla probabile inadeguatezza del rapporto prezzo-qualità, che fece

perdere competitività, v'era un patrimonio alberghiero che, come già detto, appariva

rinnovato ma non ancora in modo sufficiente. Nell'area montana, che vantava la

39

maggior parte dei flussi turistici, si collocavano strutture alberghiere di dimensione

media inferiore a quella riscontrabile in altri ambiti Provinciali, nonché la maggior

quota di strutture extra-alberghiere, notoriamente meno facili da gestire secondo criteri

capitalistici e che danno il minor incentivo ad interventi coordinati per la promozione

sul mercato.

Vincoli e scenari al passaggio del millennio

Lo scenario che si presentava per la Provincia nella seconda parte degli anni '90 è

caratterizzato non solo da grandi ed evidenti opportunità di sviluppo, ma anche

dell'accentuarsi di antichi vincoli e dell'apparire di altri del tutto nuovi. Poiché come in

tutto il resto del Nord-Est prevale la media e piccola dimensione d'impresa, è a questa

realtà che il decisore locale deve dedicare gran parte della propria attenzione.

L'evoluzione in atto nel progresso tecnologico e nell'attività innovativa,

l'accelerazione nei processi di internazionalizzazione dei mercati e della produzione, le

strategie competitive delle imprese nei fatti accentuavano l'importanza degli elementi

tradizionalmente meno favorevoli alle imprese di minore dimensione. Occorre

considerare che l'evoluzione del progresso tecnologico verso sistemi integrati di

automazione, il ripristino di più elevate economie di scala e barriere all'entrata, il

crescente peso del learning-by-doing hanno rappresentato elementi di discriminazione

ulteriore tra le imprese di minori dimensioni: le piccole imprese innovative, che si

collocavano già al di sopra delle conoscenze minime hanno potuto svilupparsi

ulteriormente e crescere di peso e di dimensioni a seconda dello sviluppo economico del

settore merceologico di appartenenza, mentre le altre hanno visto aumentare nel

prossimo futuro il divario tecnologico e produttivo.

A livello settoriale, gli scenari che si sono dipanati di fronte ai decisori pubblici locali

sono stati piuttosto articolati e complessi.

Agricoltura

Si può affermare che se alla metà degli anni '90 esisteva un ambito di attività

economiche interessato da consistenti e diffuse innovazioni questo era proprio l'insieme

delle attività primarie e delle connesse attività di trasformazione commercializzazione36

.

Alla inevitabile evoluzione tecnologica si accompagnavano aspetti inattesi: le elevate

produttività hanno comportato grandi sovrapproduzioni in taluni comparti, talché a

livello nazionale e sovranazionale si rese necessario attuare politiche di contenimento,

in termini di riconversioni produttive o addirittura di cessazione di coltivazione.

La Provincia non è stata estranea alle evoluzioni anzidette. Più precisamente, tra gli

anni '80 e '90 avvengono all'interno del mondo agricolo profonde modificazioni che

vanno ad incidere non soltanto sulla struttura produttiva e sui rapporti tra i mezzi di

produzione, proprio del settore, ma anche sulle relazioni con il resto dell'economia.

36

Si pensi all'apparire delle elevatissime potenzialità produttive che la ricerca genetica mette a

disposizione, o alla manipolazione dei microrganismi utilizzati nei processi di trasformazione.

40

In primo luogo si è assistito ad una massiccia ricerca della massima produttività, in

un mercato comunitario non ancora eccedentario. In secondo luogo l'agricoltura che

passa progressivamente da settore produttivo a sistema agro-alimentare, con evidenti

processi di slittamento di ruoli e di occupazione. Le sub-aree che hanno affrontato con

grandi difficoltà la ristrutturazione dei mezzi produttivi e degli ordinamenti colturali,

poiché parallelamente erano quelle con produttività inferiore, hanno subito fenomeni di

disattivazione aziendale unitamente ad una erosione demografica dei centri rurali minori

e delle classi più attive di giovani. Né conseguì una diversificazione aziendale. Da un

lato è emersa un'agricoltura tecnologica con imprenditori finalizzati al raggiungimento

di obiettivi espliciti quali la produttività e il reddito; dall'altro lato si assisté al declino

delle agricolture che prima sopravvivevano grazie ad un difficile equilibrio tra funzioni

esplicite ed implicite (difesa del suolo, tutela delle risorse idriche, difesa della ruralità,

ecc.). Le politiche di sostegno comunitaria e nazionale posero la loro massima

attenzione al primo tipo di agricoltura.

Nel frattempo comparvero nuove forme di imprenditorialità agricola, come le

famiglie a reddito misto, il part-time agricolo, l'"operaio contadino", da intendersi come

risposte sia ad esigenze di struttura aziendale sia a mutati rapporti tra l'agricoltura e le

altre componenti del sistema economico. L'agricoltura ha trovato trova poi sul suo

cammino non solo il nodo delle eccedenze produttive ma anche quello di una

accresciuta sensibilità alla tutela ambientale.

In questo quadro sarebbe stata inefficiente una politica per il primario limitata ad

azioni settoriali, richiedendosi invece una evoluzione verso una politica fattoriale.

Industria

Il sistema industriale si è evoluto come una struttura che, pur mantenendo la

prevalenza di imprese di dimensioni modeste, e nonostante la sua specificità, è in grado

di competere validamente con la struttura industriale di altre aree internazionali. Il

tessuto industriale ha subito una trasformazione riuscendo, almeno in parte, ad adattarsi

alle nuove esigenze di mercato.

Alla soglia degli anni '90 i vantaggi relativi che avevano permesso il grande decollo

alla fine degli anni '50 erano venuti meno, e le performance successive sono spiegate

dalla capacità di creare nuovi vantaggi differenziali. Mentre i primi furono

essenzialmente vantaggi legati all'ambiente, i secondi sono stati il risultato di una ben

precisa e complessa strategia che si articola:

nella capacità di adottare strumenti di pianificazione a medio-lungo termine, metodi

di valutazione del management e strutture integrate di controllo;

nell'aumento del grado di automazione;

nell'estendere il livello di internazionalizzazione, passando altresì dalla pura e

semplice esportazione ad attività di accordi commerciali tramite alleanze strategiche

e joint venture, alla presenza diretta, ed operando per adeguarsi alle nuove condizioni

determinate dal completamento del mercato interno comunitario;

nella valorizzazione delle professionalità e delle capacità innovative degli

imprenditori, nella promozione in forma associata del commercio estero e

dell'innovazione tecnologica.

41

Le imprese, però, hanno dimostrato una capacità di far fronte alle innovazioni che

riguardano più le strutture materiali che non l'organizzazione, i sistemi direzionali, le

risorse umane. La loro azione è stata più efficace con l'innovazione circoscritta alla

singola impresa, mentre è risultata più difficile l'adozione di innovazioni che

richiedevano reti di più imprese o relazioni strette con l'ambiente esterno. È proprio

nelle innovazioni organizzative che vanno individuati i fattori critici per lo sviluppo.

In sintesi, alla metà degli anni '90 le politiche più idonee per le attività industriali,

dovendo affrontare problematiche trasversali a tutti i comparti, non potevano articolarsi

in manovre settorialmente disgiunte ma erano necessario che impattassero i fattori della

produzione.

Servizi

Come già prima osservato, alla metà degli anni '90 lo scenario vedeva confermati

alcuni antichi fenomeni tipici del mondo industriale verso i servizi esterni, che si poteva

sintetizzare nella perpetuazione di un atteggiamento "difensivo" e poco strategico:

si profilava un buon utilizzo dei soli servizi di base, mentre il ricorso ad altri servizi

sarebbe rimasto episodico;

in particolare non sarebbe "esplosa" la domanda di servizi nel campo della

consulenza organizzativa e della pianificazione strategica, della consulenza

finanziaria;

la piccola e media dimensione aziendale avrebbe continuato a frenare la qualità della

domanda di servizi, e si sarebbe invece privilegiata l'assistenza continuativa e la

rapidità disponibilità.

Si profilavano poi anche dei punti di debolezza interni al settore. Su questo si è già

rilevato come:

molti dei servizi di consulenza nella Provincia decollavano solo per l'impegno

individuale di professionisti;

in casi non rari il consulente non vantava un'esperienza diretta nei comparti che

andava ad assistere;

parecchie aziende di servizio sarebbero continuato ad essere despecializzate,

continuando a rifuggire da precise nicchie di mercato.

Anche in questo settore, perciò, non si può non rilevare l'opportunità di strategie di

intervento sui fattori cui si poggia l'attività.

Turismo

Alla metà degli anni '90 emersero scenari ben definiti per il settore turistico. Si capì

chiaramente che si sarebbe dovuto costruire la competitività dell'industria turistica

42

provinciale ponendo grande attenzione a variabili e fenomeni di tipo economico ma

anche non economico.

Emerse con nitidezza l'opportunità di monitorare fondamentali variabili economiche

come il reddito pro-capite e l'indice dei prezzi al consumo, dai quali dipende fortemente

la domanda della componente italiana. La domanda cominciò a concentrarsi assumendo

caratteri di oligopsonio, quindi allontanando potenzialmente il mercato dalle regole

della perfetta concorrenza. Riguardo alla formazione del reddito, si cominciò a capire

che gli effetti moltiplicativi indiretti e indotti non sarebbero stati così automatici come

nelle aspettative, ma dipendenti dal livello di integrazione fra settore turistico ed

economia locale.

Con altrettanta chiarezza si capì che:

la semplice correzione della logica quantitativa non era sufficiente a catturare nuova

domanda, rendendosi necessari criteri che privilegiassero la qualità dei servizi e la

valorizzazione del patrimonio storico e ambientale;

la domanda cominciava a diversificasi sulla spinta di nuove motivazioni37

.

In sintesi, alla metà degli anni '90 anche gli scenari di questo settore, che le stime

internazionali vedono scalzare addirittura l'industria automobilistica, travalicano

abbondantemente i confini settoriali, richiedendo perciò la stessa filosofia d'intervento

prima evidenziata per le attività primarie e secondarie: aggredire le problematiche a

monte e non valle, abbandonando cioè le logiche settoriali a favore di quelle fattoriali.

Dalla programmazione per settori a quella per fattori

L'impatto delle trasformazioni economiche sulle politiche locali

Al passaggio del millennio è stato chiaro che le linee evolutive non potessero mutare

nel breve termine. Da un lato, v'erano maggiori possibilità di acquisire input

tecnologicamente avanzati, di conseguire le economie di scala e di scopo connesse ad

una più ampia e completa dimensione del mercato attraverso una maggiore

specializzazione, di sfruttare maggiormente le possibilità di stimolo innovativo indotte

da una domanda industriale sofisticata. Dall'altro lato, v'erano i problemi connessi alle

imperfezioni del mercato dei fattori produttivi rispetto alla situazione prevalente in altri

paesi comunitari. Ad esempio, il problema di un maggior costo del capitale sostenuto

negli ultimi anni dalle imprese italiane nei confronti dei loro partner comunitari ed è

stato subito in misura più accentuata dalle imprese di minori dimensioni.

Se l'obiettivo di un policy-maker locale deve essere quello di accrescere la

competitività delle piccole e medie imprese dell'area, si deve porre una forte enfasi sulla

necessità di:

37

Sottovalutarne i fattori non economici avrebbe potuto comportare un'ulteriore perdita di quote di

mercato a favore delle aree concorrenti (Provincia di Belluno, Trentino, e Austria per il turismo montano;

Abano e Montegrotto Terme per quello termale).

43

aiutare il sistema delle imprese a sviluppare nuove tecnologie e ad attuare le

opportune innovazioni di carattere manageriale e organizzativo;

favorire il rafforzamento della capacità di autofinanziamento e della struttura

patrimoniale, la possibilità di ottenere capitale di rischio ed un migliore e più facile

accesso al mercato del credito;

sostenere sforzi volti a realizzare una efficace e stabile presenza sui mercati

internazionali, sia nelle forme organizzative più tradizionali sia in quelle più recenti.

È evidente che i primi enti che hanno dovuto preoccuparsi di tutto questo sono stati i

Ministeri preposti alle attività produttive. Ma non è stato sufficiente. Si è subito

compreso quanto fosse necessario e opportuno valorizzare l'attività di quanti operano

nel campo della fornitura di "servizi reali" alle imprese. In particolare, nel caso della

Provincia è emerso in tutta nitidezza uno sforzo di affinamento e qualificazione della

CCIAA, attualmente ancora in corso, al fine di poter fornire efficacemente servizi alle

imprese.

Inoltre, per realizzare questi obiettivi non era (e non è) sufficiente pensare a

specifiche forme di intervento amministrativo a favore delle PMI, ma occorreva

inquadrare i relativi provvedimenti specifici in una cornice complessiva coerente che

riguardi gli aspetti sia di breve sia di lungo periodo, mirando ad uno sviluppo equilibrato

in tutte le sue realtà territoriali. Va anche notato che una accorta politica locale per le

PMI non si configura come una possibile alterazione delle condizioni concorrenziali, ma

può anzi utilmente operare nel senso di mantenerle.

L'intervento della CCIAA a favore delle PMI è stato sostanzialmente rivolto al

superamento delle crescenti difficoltà che esse hanno incontrano (e incontrano) nel

contesto competitivo nazionale ed internazionale. Queste politiche per le PMI si sono

rivolte a:

1. all'aiuto, alla nascita ed allo sviluppo di nuova imprenditorialità;

2. al sostegno dei processi di diffusione di nuove tecnologie, di reperimento del capitale

immateriale, della formazione e riqualificazione dei profili professionali necessari;

3. al superamento degli svantaggi nel reperimento delle risorse finanziarie necessarie

alla crescita ed alla innovazione;

4. al sostegno dell'internazionalizzazione verso i paesi extra-comunitari e delle strutture

di commercializzazione negli stessi paesi;

5. al sostegno delle innovazioni di carattere organizzativo o manageriale; queste da un

lato sono parte integrante del processo innovativo, mentre dall'altro rappresentano

forse il punto di maggior debolezza delle PMI.

Perché programmare i fattori dello sviluppo anziché i settori della produzione

Le esperienze di programmazione dei decenni passati si sono basate su di un'ottica

settoriale. Sia l'analisi che le politiche privilegiavano un'economia fondata sia sulla

omogeneità merceologica che lungo linee già codificate dalle strutture amministrative e

dalla normativa in campo economico. Una tale impostazione è in contrasto con quella

della teoria economica che ha sempre rivolto la propria attenzione primaria ai fattori

della produzione, alla scelta della loro combinazione ottimale, alle modalità di

44

cambiamento di tale mix, in relazione all'evoluzione dei prezzi relativi dei beni e dei

fattori. Lo sviluppo tecnologico, l'aumentata complessità dei processi produttivi, la

rilevante crescita di funzioni non strettamente produttive hanno contribuito a far

diminuire progressivamente le peculiarità settoriali dell'economia e a far emergere la

superiorità di un approccio che ne privilegiasse, in un'ottica trasversale, gli aspetti

comuni. Tali aspetti trovano la propria espressione proprio nei fattori della produzione,

intesa ormai nel suo senso più ampio ed inclusiva quindi anche di tutte le funzioni non

strettamente produttive.

Per quanto riguarda specificamente la Provincia, la presenza sul territorio di aree ad

alta intensità economica, complesse e dinamiche, dotate di storia ed identità proprie,

hanno richiesto analisi specifiche e scelte operative coerenti. Le relazioni territoriali,

indispensabili alla riproduzione dei contesti socio-economici, hanno creato esigenze che

sfuggono ai classici rapporti gerarchico-funzionali. I nuovi contesti spaziali,

parzialmente svincolati dalla rete amministrativa, hanno proposto un nuovo rapporto

città-hinterland da gestire accuratamente, non più sul piano settoriale ma su quello

fattoriale.

Il principio fondamentale che perciò ha ispirato le azioni per lo sviluppo sostenibile

della Provincia è stato quello che punta ad una valorizzazione dei fattori della

produzione disponibili prima ancora che ad un rafforzamento dei settori, proprio perché

i vincoli interessano risorse "chiave", sia nuove che tradizionali. Una politica orientata

ai fattori della produzione e alle risorse, piuttosto che ai settori, ha l'obiettivo finale di

valorizzare le interrelazioni e le interdipendenze che endogenamente ed esogenamente

verrebbero attivate.

Caratteri passati, presenti e prospettici dei fattori dello sviluppo locale

Da quanto finora osservato, la strategia camerale di intervenire sui fattori della

produzione piuttosto che sui settori appare vincente. È stato necessario, e opportuno,

andare al di là della classica dicotomia tra "lavoro" e "capitale", muovendosi lungo altre

direttrici tra cui vanno certamente segnalate le seguenti:

produttività e competitività;

internazionalizzazione;

credito e finanza;

commercializzazione e turismo;

formazione.

Produttività e competitività

Negli anni '90 le imprese di minore dimensione si sono trovate (e si trovano) a dover

affrontare uno scenario economico caratterizzato da una accresciuta incertezza

tecnologica, da un maggior peso relativo delle innovazioni di prodotto. Per quanto

riguarda le innovazioni di processo lo scenario era dato da uno spostamento della

frontiera innovativa verso le applicazioni di sistema, dove più forte è lo svantaggio

relativo delle imprese di minore dimensione, più carenti sotto l'aspetto della

45

disponibilità delle numerose e necessarie competenze specialistiche, così come della

capacità di formarle al proprio interno o di acquisirle all'esterno. Si ampliava sempre di

più l'area delle innovazioni, non direttamente incorporate in beni materiali. Ne è

conseguita una crescente importanza del capitale immateriale.

Era necessario operare dei distinguo nell'analisi della performance economico-

produttiva all'interno delle PMI. Infatti si poteva osservare che la migliore performance

economica, fino ad allora ad appannaggio delle imprese con un numero modesto di

addetti, tendeva a spostarsi verso le imprese di medie dimensioni.

Le medie imprese, inoltre, mostravano il più elevato processo di mutamento nella

composizione della forza-lavoro, modificando la presenza di dirigenti, impiegati e

quadri. Sembrava, così, emergere un importante elemento di differenziazione rispetto

alle imprese minori: la complessità organizzativa dell'azienda media e la sua

articolazione per aree funzionali. Si trattava di trasformazioni interne, indotte

dall'accelerazione competitiva, che potevano permettere un più veloce adeguamento

all'introduzione delle nuove tecnologie produttive. Con il senno di poi, si può sostenere

che il punto cruciale fosse legato al fatto che mentre l'attività innovativa diventa fattore

sempre più rilevante per la competitività sui mercati, per una PMI le tendenze

scientifico-tecnologiche rendono sempre più problematica (e costosa) la scelta

innovativa.

Quindi fu chiaro che le PMI che non avessero proseguito nello sforzo di innovazione

compiuto in passato, avrebbero rischiato di ripiegarsi in nicchie di mercato sempre più

strette cessando di svolgere la loro funzione propulsiva. Diventava quindi prioritario

puntare all'innovazione più direttamente finalizzata alla competitività.

Internazionalizzazione

L'ampliarsi dell'orizzonte competitivo poneva nuove sfide. Infatti, l'avvio della

globalizzazione dei mercati richiedeva agli agenti economici di strutturare fortemente la

propria presenza sui mercati esteri, passando dalla cura dei semplici aspetti commerciali

alla costruzione di una presenza stabile38

, nonché notevoli capacità di accordo e

integrazione con altre aziende.

Dal punto di vista dell'internazionalizzazione commerciale erano evidenti gli

svantaggi che comporta una piccola dimensione produttiva. Essi non risultano

chiaramente in un'ottica di breve periodo, che anzi fa risaltare alcuni elementi di

vantaggio per le imprese minori, in quanto la presenza poco strutturata di una piccola

impresa sui mercati esteri consente di riallocare i flussi di esportazione con costi

contenuti in presenza di instabilità nei volumi di domanda e nei tassi di cambio. Ma

questo vantaggio di breve periodo era più che superato dagli svantaggi nel medio-lungo

periodo, sotto l'aspetto della presenza stabile ed efficace sui mercati esteri.

A maggior ragione, la piccola dimensione incontrava (ed incontra) rilevanti difficoltà

nel campo dell'internazionalizzazione produttiva, sia effettuata direttamente che tramite

accordi di vario tipo con altre imprese.

38

Che richiedeva forti investimenti.

46

Credito e finanza

Negli anni '90 aumenta il peso dei vantaggi tradizionali della grande dimensione, non

solo in termini di maggior dotazione di capitale umano e di maggior capacità di

penetrazione commerciale stabile a livello globale, ma soprattutto di maggior facilità

nelle provviste delle necessarie risorse finanziarie.

La posizione finanziaria delle piccole e medie imprese, com'è noto, ha provocato (e

provoca) l'erosione dei vantaggi della maggiore efficienza economica. Pur se non è stata

annullata la posizione competitiva delle PMI, si rendevano evidenti alcuni segnali

preoccupanti che mettevano in luce difficoltà di tipo strutturale.

È necessario ricordare come lo stesso processo di ristrutturazione-innovazione abbia

comportato un elevata tensione finanziaria per le PMI, soprattutto per la rarefazione di

strumenti finanziari di carattere anticipativo, predisposti cioè a finanziare i processi

innovativi più rischiosi. Conseguentemente l'applicazione delle nuove tecnologie, non

alle singole macchine ma a sistemi più complessi, ha costituito certamente un elemento

di svantaggio per le imprese minori: infatti, l'adozione di tecnologia su sistemi integrati

di produzione implica un più elevato livello di investimento, spesso difficilmente

compatibile con la loro struttura finanziaria.

In ultima analisi, in un quadro che in prospettiva presentava esigenze di elevati

investimenti, dal rendimento particolarmente incerto e legato alla stabilità della

penetrazione su nuovi mercati esteri, emergeva con forza il problema del reperimento

sia di capitale di rischio che di credito.

Commercializzazione e turismo

Era evidente che una dimensione troppo limitata implicava vari handicap fra cui alte

barriere all'entrata in termini di sistema distributivo su mercati complessi, che si

tramutavano in difficoltà a consolidare lo sviluppo delle vendite. Più in generale, v'era il

problema della stabilità della presenza delle imprese su mercati particolarmente

competitivi per quelle minori, problema che si rivela nella elevata nati-mortalità

imprenditoriale spesso legata alle ridotte dimensioni aziendali.

Tale situazione comportava in prospettiva delle debolezze e deficienze strutturali,

dagli handicap competitivi di gravità crescente a fronte di una concorrenza sempre più

ampia, quali l'impossibilità di sfruttare appieno le economie di scala ed una minor

convenienza all'introduzione di tecnologie avanzate, all'adozione di innovazioni di

processo e/o di prodotto. Si profilarono poi nuovi e inattesi problemi di

commercializzazione: quelli sul mercato interno, dovuti all'apparire di una massiccia

offerta di beni dei settori manifatturieri tradizionali, prodotti nei paesi in via di sviluppo

a costi molto inferiori a quelli locali.

Oltre a queste problematiche comuni a tutto il terziario, il turismo presentava alcune

ulteriori peculiarità, che per loro natura interagiscono con gli altri comparti del terziario.

Infatti, quali che siano le motivazioni del turismo, esso attiva processi di consumo di

beni e servizi prevalentemente prodotti in loco, come ad esempio trasporti, vitto,

alloggio, attività ricreative. Il turismo, negli anni '90 come adesso, si presentava come

fenomeno complesso e trasversale, che nello specifico ambiente vicentino presenta tre

tipologie di attrazione che subivano la forte concorrenza di aree contermini: il turismo

47

montano compresso da quello dell'area dolomitica, quello storico-culturale all'ombra

della vicina Venezia, quello termale in contrapposizione all'analoga risorsa presente sul

territorio padovano.

Formazione

Nel corso degli anni '90 la situazione demografica si presentava piuttosto diversa

rispetto al passato39

. Erano prevedibili numerose conseguenze su vari aspetti della vita

sociale ed economica, in particolare sul mercato del lavoro e sulla domanda di servizi.

Ad esempio, la struttura dei consumi presentava una evoluzione che dipendeva

dall'azione convergente delle seguenti variabili:

la spesa in istruzione aumentava più che proporzionalmente sotto l'impulso di una

domanda che vedeva in essa un valido e necessario investimento40

;

le persone con istruzione elevata tendevano ad aumentare, così come le loro

retribuzioni relative;

in una società soggetta a rapida evoluzione anche la struttura per professioni della

domanda di lavoro cambiava rapidamente, anche se in direzioni non facilmente

prevedibili.

In questa situazione di incertezza, l'unico modo per ridurre il rischio individuale era

(ed è tutt'ora) quello di dotarsi di basi conoscitive sufficientemente ampie che

permettano di acquisire nuove capacità e specializzazioni. Ciò rendeva assolutamente

necessari, e opportuni, interventi sulla qualità del fattore lavoro, mediante la

formazione. Nel farlo occorreva tener ben presente il fatto che la fruizione dei servizi

formativi non era più limitata alla parte iniziale della vita, ma iniziava ad articolarsi su

tutta la sua durata, con le necessarie diversificazioni funzionali e metodologiche41

.

Sintetizzando, gli interventi sui fattore formazione dovevano attivarsi sia in azioni

dirette che indirette miranti a:

elevare il livello culturale della forza lavoro;

assicurare una formazione di base in grado di evolvere lungo le linee richieste dal

mercato e adattarsi con rapidità alla domanda;

dare vita alla formazione e specializzazione manageriale.

39

La popolazione è via via passata da una fase di declino negli anni dell'emigrazione, ad una fase di

notevole espansione negli anni del baby boom, fino alla stasi degli anni di bassa natalità. 40

In una società che si caratterizzava per il progressivo accrescersi della propria complessità, del ruolo

delle informazioni, delle tecnologie avanzate, della ricerca. 41

Alcuni punti fermi di questa evoluzione sono stati i seguenti: un'estensione della frequenza universitaria,

una diffusione di corsi post universitari, la realizzazione di una formazione professionale in grado di

costituire un effettivo tramite tra scuola e mercato del lavoro, l'esistenza di ampi ed articolati programmi

di formazione permanente, la possibilità di fruire di servizi formativi e culturali anche nell'ultima parte

della vita.

48

Logica, metodologia e contenuto degli interventi camerali sui

fattori dello sviluppo

Per la CCIAA è chiaro che i fattori non sono più soltanto quelli tradizionali terra,

lavoro, capitale e che sia nelle analisi che nelle politiche si devono prendere in

considerazione sempre maggiore nuovi fattori la cui importanza sta diventando

preponderante, come ad esempio l'innovazione tecnologica, l'informazione, la

trasparenza dei mercati, la formazione, ecc..

Si è accettata la visione che la base della dinamica produttiva è fortemente

condizionata dall'ambiente in cui si svolge e dai fattori che impiega; la produzione di

beni materiali e immateriali è opera di processi di trasformazione che l'azienda compie

in un determinato ambiente con una data tecnologia.

Nell'operato della CCIAA è prevalso il convincimento che l'azione pubblica deve

essere decisa sulla base di una attenta considerazione delle possibili alternative e di una

valutazione dei loro probabili effetti di breve e di lungo periodo, sia individuali che

sociali.

Ciò ha implicato, la piena adesione ad un'ottica di programmazione per progetti, che

è diventata una normale modalità di attuazione dell'azione camerale. Il progetto è visto

come un processo supportato da opportune strutture tecnico-amministrative che,

avvalendosi anche delle necessarie metodologie statistiche, permette di valutare gli

interventi in fase di scelta, di attivazione e di valutazione della efficacia degli interventi.

La rete di strumenti amministrativi necessari al raggiungimento dell'insieme di

obiettivi viene articolata nel tempo e collegata alla politica di bilancio.

L'individuazione di alcuni grandi obiettivi è espressione del convincimento che fasi

di svolta e di transizione richiedono scelte di fondo, pur garantendo la possibilità di

effettuare lungo la via opportuni aggiustamenti di rotta. È in questa prospettiva che il

concetto di programmazione come processo, e quindi come volontà di spostare

progressivamente in avanti l'orizzonte temporale dell'intervento, ridefinendo nel

contempo l'insieme degli obiettivi e delle politiche, anche sulla base di una puntuale

verifica degli interventi precedenti, prende consistenza e vigore metodologico

nell'impostazione adottata dalla CCIAA.

La concreta gestione amministrativa viene legata in modo molto stretto e prioritario

al sistema del bilancio, nel quale si materializza e si scandisce temporalmente

l'attuazione degli interventi programmati. Viene posta particolare attenzione al fatto che

una impropria definizione delle funzioni e dei rapporti fra progetti può pregiudicare

l'operatività dell'intero processo di programmazione. In particolare, è stato posto

preventivo riparo alla eventualità che i due processi, quello di piano e quello di bilancio,

seguano un "doppio binario". Da una parte vi sono le decisioni effettive ancorate al

sistema dei finanziamenti, dall'altra c'è l'insieme delle indicazioni di piano, capaci di

incidere sui reali processi decisionali degli operatori economici: a livello nazionale

questa è stata (ed è) una discrasia, che invece a livello provinciale sembra essere molto

attenuata rispetto al passato.

Dal punto di vista metodologico, la ferma volontà di procedere, perché chiari sono gli

obiettivi e precisi gli impegni, impongono la necessità di valutare la tipologia della

spesa soprattutto al fine di riacquisire elasticità e precisione negli interventi successivi.

Nell'organizzazione camerale è presente la volontà di verifica continua dell'efficacia e

49

dell'efficienza delle azioni intraprese. Lo si vede, ad esempio, nell'affiancare al bilancio

tradizionale un secondo bilancio redatto per centri di costo.

Produttività e competitività

I temi della produttività e della competitività si intersecano inevitabilmente con quelli

dell'innovazione e della qualità. Queste fondamentali componenti del sistema

economico locale attirano buona parte dell'attenzione della CCIAA, vista la numerosità

dei programmi ad essi dedicati.

L'intersezione tra produttività e competitività, da un lato, e innovazione e qualità,

dall'altro lato, è complessa ma visibile, e quindi non poteva non essere coinvolta nelle

strategie camerali. A titolo di esempio, si considerino i seguenti fenomeni emersi con

tutta evidenza nel territorio provinciale nel corso degli anni '90:

A. La spesa delle aziende in servizi aumenta più che proporzionalmente perché esse

ritengono che questa sia la strada necessaria per mantenere competitività sia sui

mercati interni che, soprattutto, su quelli internazionali. Particolarmente importante è

considerata la spesa in ricerca e sviluppo, che viene vista come normale strumento di

strategia industriale ed è indirizzata, in particolare, all'innovazione di prodotto.

B. In questa prospettiva la produzione industriale è caratterizzata quindi non solo per la

modernità delle modalità produttive, ma anche e soprattutto per la progressiva

introduzione di nuovi campi di attività affianco di quelli tradizionali.

C. L'evoluzione tecnologica procede nella direzione di promuovere tecnologie factor-

saving, sia per quanto riguarda gli sprechi di materiale che l'utilizzo di energia.

D. Viene potenziata e favorita la diffusione dell'informatica come strumento di gestione.

E. Essenziale è la raccolta e la trasmissione delle informazioni. In questo ambito un

ruolo particolarmente rilevante viene svolto dai centri di diffusione dell'innovazione

nel campo delle tecnologie d'avanguardia.

La CCIAA non si è fatta cogliere impreparata, ed ha attivato un fitta rete di progetti

sul tema della produttività e competitività. Si considerino brevemente i più significativi:

A. Finanziamento del Progetto Leader+, un intervento che concretamente è rivolto allo

sviluppo rurale incoraggiando e sostenendo gli operatori delle sub-aree coinvolte42

,

nella progettazione di attività che possono far emergere le potenzialità di territori che

apparentemente sembrano non aver buone prospettive di lungo periodo. Gli interventi

spaziano da progetti che valorizzano il patrimonio naturale-colturale locale, che

puntano alla creazione di nuovi posti di lavoro, che tentano di migliorare le strutture

organizzative delle comunità coinvolte, il tutto seguendo strategie integrate di alto

profilo.

B. Istituzione di un fondo per lo sviluppo della qualità e della certificazione, mediante

concessione di contributi alle aziende impegnate nei sistemi EMAS, ISO9000 e ISO

14000. Le erogazioni, che formalmente seguono le procedure di un normale bando,

42

Altopiano di Asiago, dall'Astico al Brenta, Alto Vicentino, Colli Berici e aree della Pianura Vicentina.

50

sono indirizzate al far acquisire nelle missioni aziendali non solo obiettivi di

produttività-competitività, ma anche di qualità aziendale e ambientale.

C. Interventi per il risparmio energetico, stimolati dalla constatazione che il peso dei

costi energetici è superiore rispetto agli altri paesi UE, il cui scopo ultimo è duplice:

una chiara finalità ambientale che forzatamente deve passare per un superiore

efficienza aziendale. L'azione si articola mediante l'istituzione di due fondi: il primo

orientato a studi e ricerche sulle problematiche del risparmio energetico43

, il secondo

alla realizzazione di attività concrete in tale direzione. Anche in questo caso le

contribuzione vengono erogate tramite bando.

D. Istituzione di un fondo per l'imprenditoria femminile, sulla scia della legge 215 del

1992, che opera con il metodo del bando al fine di incentivare investimenti delle

imprenditrici in fatto di acquisto e/o subentro in attività preesistenti, investimenti in

beni strumentali, attività di formazione.

E. Attività di informatizzazione delle imprese attraverso l'attivazione di due appositi

fondi, anche questi operanti mediante bando. Le iniziative finanziate devono

diffondere presso le imprese le più moderne tecnologie informatiche, con particolare

riferimento all'e-commerce e quindi, prioritariamente, all'impiego dei protocolli

internet. Su questo particolare obiettivo il fine è quello di promuovere la

realizzazione di negozi virtuali, e l'assistenza camerale si estenderà anche alla

contrattualistica internazionale e alle strategie di marketing on line, fino ad arrivare

agli aspetti fiscali, valutari, logistici e di formazione del personale.

F. Interventi per la sicurezza sul lavoro, sotto forma di bando, orientati alla "seconda

parte" di un sistema di sicurezza aziendale44

. Infatti il D.Lgs. 626 del 1994 ha

stimolato le aziende all'adeguamento di strutture ed impianti, per cui ora serve andare

oltre ripensando la sicurezza dal punto di vista organizzativo, attivando cioè un vero

e proprio sistema di gestione della sicurezza.

G. Proseguimento dell'iniziativia Sportello di informazione tecnologica, il cui scopo

primario è quello di sostenere l'operato del Servizio Informazione Brevetti, cui la

CCIAA assegna un'importanza strategica. Il servizio consente non solo di depositare

un brevetto ma anche di monitorare la situazione a livello mondiale, mediante

ricerche specialistiche, analisi di prodotto sotto il punto di vista brevettale, ecc.. Lo

sportello comprende anche il Punto EMAS e l'Agenzia per la Promozione della

Ricerca Europea.

H. Ampliamento delle strutture dedicate alle attività espositivo-fieristiche, mediante

interventi sulle infrastrutture del quartiere fieristico. L'intervento è effettuato in

collaborazione con le amministrazioni Provinciale e Comunale.

I. Istituzione di un fondo per la tutela e la bonifica ambientale, mediante contributi

diretti alle imprese od a loro consorzi, concessi sotto forma di bando, purché siano

state attivate azioni per la riduzione dell'impatto ambientale delle attività aziendali,

nonché avviati processi di certificazione ambientale45

. Viene posta particolare

43

Ottimizzazione dei consumi, riduzione dei costi energetici aziendali, autoproduzione di energia,

diffusione della cultura dell'analisi energetica, ecc.. 44

Va detto che il nostro paese ha recepito le direttive comunitarie mediante norme che in parte

confermano leggi preesistenti ed in parte innovano, impegnando sensibilmente le aziende sia in termini di

contenuti che di costi. 45

Per ciò che concerne le problematiche ambientali, il chiaro intento della CCIAA è quello di indurre le

aziende ad un’analisi globale del loro impatto. I problemi che pone questa strategia non sono irrilevanti,

51

attenzione a interventi specificamente riguardanti la messa in sicurezza di impianti di

trattamento dei reflui e discariche e la realizzazione di strutture migliorative di questi

stessi impianti.

J. Verifica dei fabbisogni infrastrutturali, che consiste in un monitoraggio della

situazione delle infrastrutture urbanistico-produttive, e si estende anche al sostegno di

progetti riguardanti i nodi della viabilità.

Se si deve fare una valutazione di sintesi di tutti questi interventi, che sono i

principali ma non gli unici sui temi discussi, traspare con chiarezza l'intento camerale di

puntare non semplicemente all'incremento della produttività e della competitività fine e

a se stesse, ma attraverso profondi ed incisivi processi di riqualificazione tecnologica ed

ambientale e di implementazione di innovazioni, il tutto finalizzato ad una superiore e

complessiva qualità del sistema economico locale. Più in generale, nella

programmazione camerale di queste aree tematiche emerge la consapevolezza che:

la tecnologia è un nodo cruciale di qualsiasi processo di sviluppo, poiché assume sia

la veste di oggetto dello sviluppo stesso che quella di soggetto;

la sicurezza dell'ambiente di lavoro e l’impatto ambientale delle attività produttive

sono "entrate" prepotentemente nel mondo aziendale per due canali: il primo è

legislativo mentre il secondo è tracciato dai principi di etica economica;

la qualità non è più un aspetto "collaterale" delle attività d'impresa ma ne rappresenta

un fattore determinante per la competitività delle imprese locali46

che, a causa dei

noti impatti della moneta unica, riescono sempre meno a impostare processi di

internazionalizzazione facendo leva sul fattore prezzo, essendo esposte alla

concorrenza di prezzo dei paesi emergenti.

Globalizzazione e localismo

La CCIAA riserva molti dei suoi interventi al tema all'apertura internazionale delle

imprese, consapevole che la globalizzazione implica una riorganizzazione produttiva su

scala mondiale all'interno di nuovi circuiti internazionali di divisione del lavoro. In

pratica, la globalizzazione di oggi conduce all'iperconcorrenza (repentina acquisizione e

perdita di leadership, adozione di strategie che "sacrificano" prodotti abbreviandone il

ciclo di vita, ingresso in alleanze temporanee, ecc.). È pur vero che le PMI della

Provincia sono aziende note per operare nei mercati esteri supportate da un riconosciuto

know-how tecnico e commerciale, ma per vari motivi spesso sono frenate nel loro

successo di lungo periodo rispetto alle concorrenti oltreconfine, soprattutto tedesche e

francesi per alcuni motivi di fondo:

poiché è mai facile coinvolgere PMI in investimenti di environment-impact che valichino i requisiti

minimi richiesti dalle leggi. La CCIAA, però, intende far comprendere che, ad esmpio, il rispetto delle

norme ISO 14000, l’ottenimento dell’eco-label, il superamento delle procedure di eco-audit possono

attribuire all’azienda un specie di "lasciapassare ambientale" che non è fine a se stesso ma che nel medio

periodo offre vantaggi in fatto di immagine e di marketing (e quindi monetizzabili). 46

Gli aspetti connessi alla qualità aziendale sono passati progressivamente dall'essere considerati un

"lusso" (anni '50-'60), un costo (anni '70), uno strumento di vendita (anni '80), uno strumento di profitto

(anni '90), uno strumento di sopravvivenza.

52

rispetto a quanto avviene nei maggiori paesi UE, è molto sensibile la quota di aziende

piccole e piccolissime;

sostegno finanziario non adeguato alla concorrenza europea;

problema del ricambio generazionale della classe imprenditoriale;

perdita di domanda interna conseguente alla politica di rientro dal debito pubblico.

Tenendo presente che:

quanto più sono incerti gli scenari di riferimento e tanto più le PMI tendono a

conseguire profitti di breve periodo, e ciò le induce a svilupparsi in settori

tradizionali e/o a non elevato contenuto tecnologico, ma proprio per questo anche più

soggetti alla concorrenza internazionale di paesi emergenti e/o di nuova

industrializzazione (est europeo e sud-est asiatico)

con l'Euro il successo sull’export sarà strettamente legato all’efficienza interna, cioè,

ceteris paribus, i prezzi devono poter contare sulla competitività dal lato dei costi di

produzione

non poche delle aziende provinciali rischiano accasarsi solo momentaneamente nei

mercati oltreconfine senza porre le basi per una permanenza di lungo periodo.

La CCIAA, sensibile a questo, si è attivata a sostegno delle imprese locali sia con

iniziative di "sistema", sia con iniziative più specifiche e mirate.

Tra le prime vanno ricordate:

A. La partecipazione al programma annuale del Centro Estero delle CCIAA venete,

mediante il versamento dell'1,85% delle entrate camerali. Il programma, com'è noto,

si dipana su tre versanti: la promozione delle imprese locali mediante iniziative

tradizionali47

ma anche innovative48

, la formazione finalizzata alle tecniche ed alle

strategie di internazionalizzazione, la informazione e la consulenza alle imprese che

operano oltreconfine.

B. Il raccordo con le camere italiane all'estero, al fine di costituire una rete

internazionale di assistenza alle imprese sia per operazioni di partenariato che per

investimenti diretti, nel tentativo di qualificare ulteriormente lo standard dei servizi

camerali volti alle problematiche internazionali.

C. La promozione internazionale delle produzioni vicentine di maggior qualità,

avvalendosi in questo del prezioso operato della sua azienda speciale Vicenza

Qualità. Questa azienda agisce ad ampio spettro su tutti i settori produttivi locali, con

una vasta copertura internazionale49

e con una notevole varietà di iniziative:

partecipazione a manifestazioni fieristiche, organizzazione di missioni esplorative,

interventi di comunicazione del più vario tipo50

, valorizzazione di prodotti tipici,

partecipazione a programmi comunitari, incontri con la stampa e con altri operatori

specializzati, e altro ancora.

47

Partecipazione a fiere e mostre internazionali, missioni commerciali all'estero, ecc.. 48

Promozione di collaborazioni transnazionali. 49

Soprattutto Sud America, bacino del Mediterraneo, Europa settentrionale e orientale, sud-est asiatico. 50

E-commerce, fiere virtuali, cd-rom, ecc..

53

D. Attivazione di iniziative di formazione, mediante il Centro di Produttività Veneto,

massivamente indirizzate al commercio estero ed alle problematiche di

internazionalizzazione ad ampio spettro. Si tratta di interventi formativi che si

aggiungono, e non si sovrappongono a quelli del Centro Estero, ed hanno l'obiettivo

finale di diffondere la conoscenza dei mercati esteri e dei meccanismi di

interscambio.

Tra le seconde sono invece da citare:

A. Rinnovo della convenzione con Informest, un centro servizi per la cooperazione

economica internazionale che tramite la sua sede di Vicenza offre consulenza alle

aziende della Provincia orientate ai paesi dell'Europa orientale, con particolare

riferimento a iniziative di commercializzazione, delocalizzazione, partnership.

B. Prosecuzione dello Sportello Area Balcanica, in convenzione con l'Amministrazione

Provinciale. L'iniziativa favorisce l'interscambio tra i rispettivi sistemi

imprenditoriali51

.

C. Attivazione di un fondo a sostegno delle iniziative di internazionalizzazione proposte

direttamente dalle imprese vicentine. Si tratta di una dotazione che si affianca a

quella che la stessa CCIAA mette a disposizione di Vicenza Qualità per analoghe

iniziative.

D. Partecipazione a Fondazione Venezia 2000, iniziativa rivolta alle classi dirigenti non

solo vicentine ma di tutto il Nord Est, e finalizzata creare nuclei di interessi che

convergano verso politiche comuni alle regioni che costituiscono il quadrante

europeo sud-orientale.

E. Erogazioni di contributi per la partecipazione a manifestazioni internazionali, purché

comprese in un apposito elenco stilato dal Centro Estero e da Vicenza Qualità.

Da tutti questi programmi si desume uno stile operativo ad accrescere la capacità di

penetrazione e la competitività delle aziende provinciali nei mercati esteri, per

consentire loro di mantenere nel lungo periodo, se non accrescere, l’attuale grado di

sviluppo e internazionalizzazione.

Va da sé, però, che il processo di allargamento ad est dell'UE, unito al più vasto

fenomeno della globalizzazione, non solo rende più contendibili i mercati esteri alle

imprese locali, ma anche quelli locali alle imprese estere. In particolare, la pratica del

dumping sociale ed ambientale cui ricorrono massicciamente i paesi in via di sviluppo

consente alle loro aziende di produrre a costi inarrivabili per le aziende vicentine, dando

luogo così ad una sfrenata concorrenza di prezzo proprio sulle produzioni più diffuse in

Provincia, cioè le manifatture a tecnologia matura. Ciò ha indotto la CCIAA a

sviluppare interventi per i mercati interni, paralleli a quelli prima discussi sui temi della

globalizzazione.

La politica camerale su questo versante è imperniata su un'iniziativa generale, ad

ampio spettro, cui si aggiunge un intervento più specifico. L'intervento generale si

esplica attraverso Made in Vicenza, che consta di un fondo per finanziare

manifestazioni destinate al mercato interno, finalizzate ad accrescere il grado di

conoscenza delle produzioni locali. L'intervento specifico, invece, concentra l'attenzione

51

Quello vicentino e quelli croati, sloveni, serbi, macedoni, bosniaci, albanesi, romeni e bulgari.

54

sui prodotti agro-alimentari, al fine di favorirne la commercializzazione sui mercati

nazionali. Il fatto che la CCIAA attivi un intervento di questo tipo non implica un

"ritorno al passato", cioè a politiche settoriali: infatti, l'agro-alimentare non è

identificabile con uno specifico settore, essendo per sua natura trasversale a più settori

(intesi nel senso tradizionale del termine).

Formazione e mercato del lavoro

La CCIAA è consapevole del dato di fatto che la formazione di base e quella

professionale rappresentano una delle pre-condizioni dello sviluppo economico. La

possibilità di introdurre innovazioni (e la velocità della loro diffusione) dipende

strettamente dalla disponibilità di forza-lavoro adeguatamente preparata ed "elastica", in

grado di trasferire rapidamente le proprie competenze da un'attività all'altra. Non è

necessario dilungarsi su questi concetti52

, che incontrano il favore di tutti gli operatori

socio-economici, ma invece è opportuno sottolineare che la complessità dell'intervento

in questo campo aumenta per l'interagire tra variabili demografiche e del mercato del

lavoro:

il livello dei consumi non dipende dal numero dei consumatori, ma dal loro reddito;

pertanto in una economia in espansione il calo demografico non è necessariamente

fonte di depressione economica;

il concetto di carico per lavoratore (residenti per occupato) ha senso non in quanto

rapporto demografico ma come misura dell'oggettiva capacità di mantenere altre

persone, e ciò è da correlare soprattutto alla possibilità di guadagno dei lavoratori;

l'innalzamento della durata della vita media si è accompagnato ad uno spostamento in

avanti dell'anzianità fisiologica; ciò ha significato dover ripensare la struttura del

tempo di vita per quanto riguarda l'attività lavorativa e il tempo di non lavoro;

la variazione dei posti di lavoro dipende direttamente dalla variazione della

produzione; così non è però per l'occupazione, dato che determinate politiche del

tempo di formazione e riqualificazione possono far variare l'occupazione a parità del

numero dei posti53

;

una linea evolutiva della domanda di lavoro è stata quella richiedere una

preparazione di base sempre più elevata, più compatibile con strutture produttive

complesse e con un settore terziario in evoluzione.

In una realtà così sviluppata e dinamica come quella vicentina gli ultimi due temi

sembrano essere quelli principali. Con particolare riferimento all'ultimo, va notato che le

azioni relative al fattore formazione che possono concorrere ad abbassare i costi di

52

Le caratteristiche della forza-lavoro richieste dalle aziende cambiano con una velocità che dipende

strettamente dall'intensità di fenomeni tradizionali, quali il decentramento produttivo e la segmentazione

del mercato del lavoro (in un mercato primario, secondario e marginale), e di fenomeni nuovi, come la

corsa alla tecnologia, all’informatizzazione aziendale e alla globalizzazione dei mercati. Questi sono i

fenomeni che complessivamente implicano il rinnovamento dei livelli di professionalità richiesti dalle

aziende, e delle conseguenti qualifiche necessarie, e che stimolano l'emergere di caratteri formativi legati

alla capacità di organizzazione e di controllo di situazioni impreviste e complesse. 53

Si rammenti che il vicentino è tutt'altro che un sistema chiuso.

55

produzione sono quelle che permettono alle aziende di disporre di operai, di impiegati,

di dirigenti con una preparazione adeguata.

La CCIAA non ha per nulla trascurato queste tendenze, intervenendo diffusamente

nel settore formativo direttamente mediante il Centro di Produttività Veneto, ed anche

Vicenza Qualità, ed indirettamente con il sostegno all'attività formativa del CUOA, del

Centro Estero e delle sedi universitarie recentemente dislocate nell'area.

Sono stati progettati interventi formativi che utilizzano le imprese e il loro know how

con la diretta partecipazione degli operatori economici a iniziative che consentano di

avviare processi di aggiornamento e di riqualificazione direttamente rispondenti alle più

avanzate esigenze del mercato del lavoro. In questa ottica hanno trovato (e troveranno)

ampio spazio corsi di specializzazione di tipo manageriale ed imprenditoriale,

indispensabili per rendere disponibile al sistema delle imprese quelle capacità

organizzative, di indirizzo e di innovazione che risultano l'arma vincente nel prossimo

futuro.

Al pari dei temi della globalizzazione-localismo e della produttività-competitività, gli

interventi camerali su questo fattore dello sviluppo locale hanno avuto molto spazio. I

prevalenti sono i seguenti:

A. Iniziative per l'Università a Vicenza, che si strutturano in un contributo per il

mantenimento delle sedi universitarie, assieme all'Amministrazione Provinciale ed

alla Cariverona, al fine di sostenere l'attività accademica nell'area vicentina, nella

piena consapevolezza della sua strategicità per l'area.

B. Sostegno alla Fondazione CUOA che, com'è noto, interviene da lunga data nella

formazione post-diploma e post-laurea soprattutto sui temi dell'organizzazione

aziendale. Per la natura stessa dei corsi attivati, la CCIAA si attende ricadute positive

per i ruoli di dirigente e di quadro.

C. Interventi mediante il Centro di Produttività Veneto (Fondazione Giacomo Rumor),

ente specificamente preposto alla formazione di vario livello e su numerosi temi, e

che realizza non solo corsi di tipo tradizionale ma anche incontri seminariali. Tramite

il CPV la CCIAA interviene anche nel Progetto Campus (per il rilascio di diplomi

universitari in ingegneria elettronica e meccanica).

D. Interventi mediante l'Istituto Veneto per il Lavoro, ente che cura particolarmente la

formazione del mondo artigiano, soprattutto mediante l'attivazione di laboratori di

idee e progetti.

E. Iniziative per gli imprenditori, finanziate da un apposito fondo costituito per

mantenere ed accrescere la professionalità di chi fa impresa, sia in campo tecnico che

economico.

F. Interventi per la dotazione tecnologica delle scuole di formazione, mediante un fondo

che si propone di contribuire all'acquisto di attrezzature didattiche e di laboratorio.

Le politiche formative attivate non concorrono solo a ridurre i costi di produzione

delle aziende rendendole così più competitive, ma facilitano anche l'adozione di quelle

tecnologie avanzate che richiedono una forza lavoro particolarmente qualificata. Se poi

si va a vagliare i singoli interventi, si potrà notare che si tratta di una serie di misure

dalle quali la CCIAA persegue l'obiettivo di incentivare la pratica formativa basata

sull'alternanza tra momenti di apprendimento teorico e momenti di apprendimento in

azienda, o perlomeno di attivare un processo formativo più direttamente e spiccatamente

56

orientato all’ingresso nel mondo del lavoro, senza però ricadere nel tradizionale errore

della semplice trasmissione di conoscenze ultra-specialistiche limitate a specifici settori

di attività o funzioni aziendali. Le difficoltà dell'intervento formativo non sono poche, e

la CCIAA le ha sperimentate direttamente, poiché opera su un territorio dove sono

presenti ben tre sistemi formativi finalizzati alle attività produttive: quello statale (che si

basa sugli Istituti tecnici e Professionali), quello regionale (gestito dai CSF), quello

privato. Pregi e difetti di questi tre sistemi sono ben noti a tutti, e non è questa la sede

opportuna per discuterli. Vale sono la pena di ribadire la volontà camerale di inserirsi

nei punti di scollamento tra le tradizionali strutture formative e le dinamiche esigenze

produttive delle aziende, tenuto conto anche dei cambiamenti socio-culturali.

In ultima analisi dato il contesto generale, le linee d’intervento della CCIAA si

contraddistinguono per questi aspetti:

l’aver puntato su qualifiche formative innovative, ancorché standardizzate;

l’aver investito nell'integrazione formazione-lavoro;

l’aver esteso la formazione a nuovi livelli;

l’aver introdotto politiche di formazione per imprenditori.

Gestione finanziaria delle imprese

Le problematiche finanziarie diventano più stringenti anche per l’evoluzione delle

fonti di finanziamento delle PMI. Se la prima lunga fase di sviluppo conclusasi verso

negli anni '70 è caratterizzata da un'accumulazione di capitale prevalentemente nella

forma di risparmio familiare e di autofinanziamento, la seconda fase iniziata negli anni

'80 vede la predominanza del capitale finanziario intermediato dalle banche. Il rischio

che si profila al cambio del millennio è l'apertura di una terza fase che non sarebbe così

florida se le esposizioni delle PMI verso i finanziatori esterni non sono più contenute.

È noto che la CCIAA non ha specifiche competenze in materia di politica di

finanziamento alle attività produttive. Essa può comunque operare per facilitare il

raccordo fra gli interventi destinati a sostenere i processi di trasformazione del sistema

delle imprese e le necessità finanziarie che questo processo comporta. A questo fine

l'azione camerale è tesa a individuare gli strumenti necessari per affrontare le nuove

esigenze finanziarie sempre più legate, ad esempio, alla necessità di investimenti

tecnologici, caratterizzati da un costo elevato e da una durata minore, e di investimenti

immateriali, come la formazione del personale e la razionalizzazione organizzativa e

commerciale. L'azione camerale è volta anche ad individuare e sostenere i canali di

collegamento più efficaci fra le imprese ed i fornitori di servizi finanziari.

Ben conscia che il tallone d'Achille delle PMI locali, ma anche di tutto il Nord Est, è

quello della fragilità finanziaria, problema che emerge soprattutto nel sostegno di

medio-lungo periodo delle strategie di globalizzazione, ha da tempo aperto lo Sportello

Finanza e Credito attivandolo sull'ampio spettro delle problematiche della finanza

aziendale, ma con particolare specializzazione nell'informativa sulle opportunità di

finanziamento agevolato.

La CCIAA ha dedicato (sta dedicando) ampia attenzione al problema finanziario di

fondo delle PMI, cioè quello che sta alla base della loro fragilità finanziaria: il basso

livello di capitalizzazione. In quest'ottica ha sottoscritto una convenzione con Borsa

57

Italiana spa54

al fine di diffondere sul territorio la cultura del mercato dei capitali,

mediante analisi su temi specifici connessi alla quotazione.

Ma l'intervento camerale non si limita a questo; si devono infatti segnalare:

A. L'iniziativa Imprese e Finanziamenti sostiene gli interventi di assistenza e consulenza

di strutture parafinanziarie e dai Confidi.

B. Con la partecipazione al Centro Ricerca Finanza e Fiscalità, la CCIAA intende porsi

come ente sensibilizzatore di particolari tematiche finanziario-fiscali.

C. L'iniziativa Impresa e Società, di concerto con Cariverona, punta a incentivare

programmi di trasformazione societaria verso lo status di società di capitali, come

pure iniziative di ricapitalizzazione.

Anche in questo caso gli interventi camerali presentano un unico filo conduttore,

facilmente individuabile nel recupero di posizione finanziarie più consone alla

concorrenza nazionale ma soprattutto internazionale, nella consapevolezza della

"diffidenza" che sia il mercato del credito che quello dei capitali ancora nutrono nei

confronti delle PMI, nonostante le performances.

Ma non si tratta solo di questo, poiché la visione camerale è a più ampio spettro:

infatti gli interventi a sostegno della finanza d'impresa tengono in debita considerazione

delle opportunità aperte dall'avvio della moneta unica. Nel nuovo scenario, fatto di

stabilità dei prezzi e di costo del denaro decrescente, riemergono condizioni favorevoli

per assumere rischi di lungo periodo. Se il sistema economico dell'area fosse pervaso da

imprese con strutture finanziarie insostenibili rischierebbe di non cogliere appieno

queste nuove prospettive di sviluppo: l'elevato livello di investimenti richiesti dai nuovi

scenari sarebbero fortemente vincolati se nel tessuto produttivo prevalessero imprese

sottocapitalizzate con ridotte capacità di autofinanziamento e già indebitate, il tutto

aggravato dalla già menzionata difficoltà ad attingere a finanziamenti esterni.

Commercializzazione e turismo

Per quanto riguarda le attività commerciali in senso stretto, ovvero tutta la rete

distributiva, dobbiamo rilevare che le principali problematiche non sono direttamente

"aggredibili" dagli interventi della CCIAA. Si sta facendo riferimento ad aspetti critici

delle attività commerciali, come, ad esempio, la dimensione economica minima dei

punti di vendita55

; non si devono poi dimenticare gli effetti del diffondersi di nuove

forme distributive (ipermercati e grandi centri commerciali, come pure gli effetti del

Decreto Bersani che ha avviato una sorta di politica di deregulation56

. Esiste però una

54

La società che gestisce la Borsa di Milano. 55

In taluni comuni il dimensionamento degli esercizi appare scarsamente dipendente dalla loro redditività,

che molto probabilmente incide sulla scelta di localizzazione. La dimensione media degli esercizi sembra

invece legata alla difficoltà/facilità a reperire (o a trasformare) spazi ad uso commerciale, nonché dalla

loro superiore/inferiore costosità rispetto a quanto avviene nelle aree periferiche e comunque più esterne

al centro comunale. 56

Il Decreto Legislativo 31 marzo 1998 n. 114 manda in pensione la Legge 426 dopo quasi 28 anni dalla

sua entrata in vigore. Il Decreto innova l’atteggiamento del settore pubblico nei confronti della

distribuzione; infatti per la prima volta il commercio non è più visto in un’ottica di regolazione e

autorizzazione ma come un settore dove vige la libertà d’impresa. Naturalmente i delicati problemi del

58

seconda serie di temi sui quali, anche solo indirettamente, le strategie camerali possono

avere qualche effetto. Si tratta delle problematiche indotte dalla caratteristiche della

domanda:

caratteri di maturità riscontrabili in ambito provinciale;

evoluzione del potere di acquisto pro-capite, che induce al consumo di beni superiori

non sempre prodotti localmente;

effetti di attrazione di province contermini che provocano flussi incrociati di

domanda.

Per quanto attiene al turismo, nel contesto veneto è dominato dalla presenza di due

grandi poli di attrazione, le Dolomiti e Venezia, che concentrano buon parte del valore

aggiunto prodotto in Regione; inoltre, soprattutto nelle zone montane e pedemontane,

non sembra esente dal problema strutture ricettive non alberghiere, che notoriamente

generano minori effetti reddituali indotti ed indiretti. Il turismo vicentino non sfugge poi

alle caratteristiche comuni a tutto il territorio nazionale, cioè ai due annosi problemi

della non elevata saturazione delle strutture e della stagionalità, che creano difficoltà

nella copertura dei costi fissi e non stabilizzano l’occupazione.

Fatta eccezione per quei temi per cui non v'è molto spazio agli interventi camerali,

non si può dire che la CCIAA sia rimasta inattiva nei confronti delle attività

commerciali e turistiche. Gli interventi si sono concentrati su problematiche di mercato,

tentando di promuovere i consumi in loco:

A. L'iniziativa Consorzio di promozione turistica Promoveneto, agisce nel settore delle

formazione turistica, come anche per la diffusione dei due marchi: quello volontario

degli alberghi e quello volontario della ristorazione. Altre azioni sono piuttosto

specialistiche, come quelle che riguardano le terme, le città d'arte minori, turismo

gastronomico e congressuale, ecc..

B. Il Consorzio di promozione turistica Vicenza È, in sinergia con altri enti e

organizzazioni57

, segue un programma incentrato su progetti interdisciplinari al fine

di incentivare l'offerta ricettiva. In ragione dei picchi negativi di domanda che si

possono verificare per ragioni totalmente al di fuori degli operatori locali, il

Consorzio prevede anche la partecipazione a manifestazioni fieristiche e workshop,

educational tours per agenti e promoters. Le informazioni sugli interventi vengono

diffuse con cd-rom e portali internet.

C. Il fondo per interventi di riqualificazione e riammodernamento di strutture turistiche

e commerciali, opera con il metodo del bando ed è rivolto a finanziare progetti di

miglioramento strutturale ma anche programmi innovativi di gestione.

D. Il fondo per la commercializzazione, il turismo e la cultura finanzia numerose

manifestazioni, soprattutto connesse alla ricettività alberghiera ed alle attività

commerciali connesse al turismo.

settore non hanno portato ad una totale liberalizzazione, ma il cambiamento culturale appare ugualmente

di notevole importanza. 57

Centro di Produttività Veneto, ISNART, Unione Regionale delle CCIAA, Consorzio Promoveneto,

Vicenza Qualità.

59

La CCIAA interviene anche sul versante degli interessi dei consumatori. Le azioni

prevalenti in tale direzione sono:

A. Il cliente soddisfatto è un'iniziativa che, in collaborazione con le associazioni dei

consumatori, punta ad aumentare la professionalità degli operatori del terziario nella

direzione della trasparenza di mercato.

B. Le iniziative per la diffusione delle procedure di conciliazione ed arbitrato constano

di corsi di formazione per arbitri e conciliatori, analisi di clausole contrattuali,

gestione dell'osservatori dei consumatori, il tutto con lo scopo finale di promuovere

la tutela dei diritti dei consumatori.

Collaborazioni e sinergie con enti e organizzazioni

Fondazione Giacomo Rumor - Centro Produttività Veneto

La Fondazione G. Rumour-Centro Produttività Veneto (d'ora in avanti CPV)

rappresenta nello sviluppo economico vicentino e regionale un’esperienza del tutto

particolare, un braccio operativo della CCIAA per la formazione rivolta sia ai diversi

comparti produttivi sia ai giovani. Si attiva nel 1952, come Centro Produttività Veneto,

in piena fase post-bellica di ricostruzione e di recupero della capacità produttiva; nei

successivi cinquanta anni rivolge la sua attività a favore della produttività intervenendo

per il miglioramento della professionalità e per l'aggiornamento continuo. Il suo

principale obiettivo è promuovere l’accrescimento della produttività mediante la

diffusione delle tecniche più aggiornate di organizzazione del lavoro e della produzione,

sfruttando la sua vicinanza alle problematiche aziendali soprattutto grazie all’attività dei

Gruppi di Studio che promuovono lo scambio di esperienze e conoscenze tra

imprenditori, manager e tecnici che vivono direttamente le realtà aziendali. La presenza

degli uomini d’impresa all’interno del CPV consente la costante creazione di un circolo

virtuoso fra esigenze aziendali e risposte informative e formative.

Alcuni dati possono far comprendere l’impatto sul territorio e sul tessuto economico

dell’azione del CPV. Se, ad esempio, nel 1980 il numero delle iniziative annue si era

attestato attorno alle 70/80 con una massa di partecipanti pari a 2557, nel 1985 il

numero delle iniziative diventa di 104 con 2929 partecipanti. Nell’arco del quinquennio

successivo le iniziative triplicano: nel 1990 sono 301 con 9212 partecipanti, nel 1995

raggiungono le 404 con 11500 partecipanti (con circa 1500 giornate di formazione

erogata). È un trend in continuo sviluppo: nel 2000 le iniziative realizzate sono 464, con

2490 giornate di formazione realizzata e 11368 partecipanti (una media di

partecipazione di 24,5 persone per iniziativa).

Lo sviluppo dell’attività non è solo di tipo quantitativo, ma anche qualitativo: una

delle caratteristiche del CPV è sempre stata quella di promuovere azioni formative ed

informative sulle necessità evidenti ed emergenti del tessuto produttivo. L’attenzione ai

temi innovativi è costante nel tempo, attitudine che trova consacrazione alla metà degli

anni '90 quando l'UE affida al CPV le prime iniziative sperimentali sul Regolamento

60

EMAS per la certificazione ambientale58

. Inoltre una costante caratteristica dell’attività

del CPV è quella di stabilire forti rapporti di collaborazione con analoghe strutture del

sistema camerale sia a livello nazionale che a livello regionale, e di agire in sintonia con

la realtà del mondo associativo rappresentativo delle imprese.

Vanno menzionate le sperimentazioni realizzate dal CPV sulla formazione a

distanza, utilizzando moderne tecnologie ed una vasta gamma di supporti (cd rom,

videoconferenze, ecc.); ciò ha reso possibile la realizzazione di veri e propri prototipi

formativi.

Da sottolineare vi è poi l’iniziativa del CPV, su preciso mandato della CCIAA, in

tema di brevetti e marchi, che ha portato alla costituzione di un PAT LIB riconosciuto

dal Ministero del Lavoro e dall’Ufficio Europeo dei Brevetti. Questo punto informativo

e di consulenza ha consentito di sviluppare sul territorio la sensibilità in tema di

brevetti, marchi e problematiche della proprietà intellettuale in genere, e rappresenta un

servizio utile sia in fase di analisi preliminari sulla brevettabilità sia di informazione

sullo stato delle tecnologie. I dati di questa iniziativa ne testimoniano il successo; ad

esempio, nel 2000 si sono registrati 531 contatti con aziende, 906 informazioni erogate

su brevetti e marchi, 719 documenti di deposito, 255 ore di ricerche specialistiche.

È nel decennio appena trascorso che il CPV si trasforma nella Fondazione Giacomo

Rumor (1994), ed inizia ad articolare i suoi interventi su varie iniziative: corsi di

formazione, Gruppi di Studio, Sportello Tecnologico, Servizio Nuova Impresa, attività

internazionali e progetti comunitari.

Per quanto riguarda la formazione, il Centro organizza sia corsi brevi sia corsi di

lunga durata. Tre sono le aree del CPV che si occupano di formazione: l'area dei corsi

interaziendali59

, l'area dei corsi a progetto60

, l'area dei corsi finanziati dal Fondo Sociale

Europeo o da altri fondi comunitari.

I Gruppi di Studio rappresentano una degli aspetti più significativi dell’attività del

CPV e si propongono di promuovere lo scambio di informazioni e conoscenze tra

imprenditori, manager e tecnici attraverso l’organizzazione di conferenze, incontri e

visite di studio. Gli uomini d’azienda determinano l’indirizzo e i programmi dei Gruppi,

attraverso l’elezione di un Consiglio Direttivo, che a sua volta esprime un Presidente. I

Gruppi di Studio che attualmente operano sono: Direzione Generale, Commerciale e

Marketing, Organizzazione della Produzione, Amministrazione Aziendale,

Automazione ed Informatica, Tecnologie Fusorie, Tecnologie Meccaniche, Lavorazione

della Lamiera, Ambiente e Sicurezza, Pubblica Amministrazione e Agricoltura.

Nell’attività dei Gruppi di Studio emerge la vocazione del Centro Produttività ad una

formazione sempre a contatto con le effettive esigenze produttive e in grado di

rispondere ai bisogni informativi e formativi delle aziende in tempo reale.

Lo Sportello Tecnologico fornisce un supporto alle aziende sui temi dei brevetti,

della qualità e della certificazione, sulla normativa tecnica e sull’innovazione in

58

Proprio grazie a questa esperienza, il CPV sviluppa programmi successivi in tema di Sistemi Integrati di

gestione (Qualità Ambiente e Sicurezza) in collaborazione con il Centro Studi Qualità ed Ambiente

dell’Università di Padova. 59

Suddivisa per funzioni aziendali: area acquisti e materiali; area ambiente, sicurezza, tecnologia; area

amministrazione e finanza; area amministrazione e gestione del personale; area commerciale e marketing;

area informatica; area management; area organizzazione e produzione; area formazione delle risorse

umane; area qualità; pubblica amministrazione. 60

Affidati al CPV da aziende private o da enti pubblici.

61

generale. In particolare il Servizio Informativo Brevetti offre all’impresa testi completi

dei depositi europei, ricerche per le aziende sui brevetti, invio periodico (con

abbonamento) dei depositi che vengono pubblicati su di un determinato settore,

informazioni specifiche sui temi della qualità, dell’ambiente, del sistema integrato di

gestione.

L’obiettivo del Servizio Nuova Impresa è quello di offrire supporto agli aspiranti

imprenditori vicentini fornendo gratuitamente tutte le conoscenze necessarie alla fase di

start up imprenditoriale, dove la carenza di informazioni sulle procedure, sui

finanziamenti nonché sul mercato di riferimento spesso può disincentivare la decisione

di avvio o causare possibili errori di impostazione. Il servizio si articola su più livelli:

informazione, orientamento, assistenza personalizzata. Il servizio informativo è stato

affiancato da iniziative formative specifiche, talora dedicate all’imprenditorialità

femminile e giovanile. Il numero di persone che hanno usufruito nel tempo del servizio

è pari a 1778, di cui il 47,41% rappresentato da donne ed il 52,59% da uomini. Il

servizio è accompagnato da una costante elaborazione dei dati che consente di

conoscere statisticamente sia le caratteristiche di chi fruisce del servizio, sia i settori

delle nuove attività, sia le richieste specifiche degli aspiranti imprenditori. Gli indici di

soddisfazione dell'utenza risultano davvero notevoli.

In relazione alle attività internazionali ed ai progetti comunitari, il CPV è membro

dell’Associazione Europea Centri Nazionali di Produttività (EANPC) e del CIOS

(World Council of Management)/CECIOS (European Council of Management). Dal

1984 è attivo un accordo di collaborazione con il Centro Nazionale di Produttività

Tedesco (RKW). Il Centro Produttività Veneto è poi partner di numerosi progetti di

cooperazione internazionale finanziati dalla Commissione Europea e dal Governo

Italiano. L’attenzione del CPV nei confronti dell’utilizzo dei Fondi Comunitari, a partire

dal FSE, risulta notevole, così come la capacità di ottenere risorse dai destinatari finali

delle iniziative.

Azienda Speciale della Camera di Commercio Vicenza Qualità

L'Azienda Speciale della CCIAA è stata istituita con lo scopo di promuovere Vicenza

e i suoi prodotti industriali, artigianali ed agricoli, perseguendo finalità di interesse

pubblico (cioè senza scopo di lucro), inquadrandosi nell’ambito dei fini di promozione

economica perseguiti dalla Camera di Commercio. Operante dal 1989, nel corso degli

anni ha ampliato il proprio raggio d'azione ed attualmente è impegnata a promuovere la

conoscenza, diffusione e commercializzazione delle produzioni vicentine mediante

l'organizzazione di ogni tipo di manifestazione da attuarsi sul territorio nazionale e

all'estero.

Per quanto riguarda l'interscambio con l'estero, Vicenza Qualità promuove e coordina

ogni anno la partecipazione delle aziende vicentine alle manifestazioni fieristiche di

livello internazionale programmate dalla Camera di Commercio. Organizza e coordina

missioni esplorative ed economiche oltreconfine, ed accoglie delegazioni straniere

organizzando visite aziendali e incontri d’affari; in quest’ottica Vicenza Qualità

predispone incontri con rappresentanti, rivenditori, dettaglianti, grossisti e altri operatori

economici sulla base di un'attenta selezione di progetti di cooperazione commerciale ed

industriale. Inoltre sensibilizza i corrispondenti della stampa estera per la migliore

62

conoscenza della realtà economica provinciale sui mercati esteri, e predispone una serie

di strumenti (stampati, telematici e videofilmati) che comunicano e pubblicizzano la

produzione vicentina; in particolare, nella più grande rete telematica Internet sono state

inserite informazioni riguardanti oltre 4.000 aziende vicentine che esportano in tutto il

mondo61

.

Sempre allo scopo di diffondere le produzioni vicentine all'estero, Vicenza Qualità

organizza giornate di studio su determinati mercati, i cosiddetti seminari-Paese, cui di

norma vengono fatti seguire incontri d’affari con operatori del Paese di riferimento.

Inoltre organizza periodi formativi per giovani laureati, soprattutto provenienti dai Paesi

dell’Est, al fine di far conoscere loro la realtà economica vicentina. A completamento di

tali attività vengono realizzate delle Guide Paese, utili strumenti contenenti

informazioni di carattere legislativo e commerciale.

Vicenza Qualità coordina progetti denominati Accordi di Collaborazione che,

attraverso dei punti di assistenza all’estero, selezionano controparti commerciali; gli

incontri fra buyer e/o trading company e le aziende vicentine hanno l'obiettivo di

finalizzare accordi commerciali, di trasferimento tecnologico, di trasferimento di know

how, di produzione in senso lato. Allo scopo si utilizzano programmi comunitari,

partecipando ai partenariati promossi dall’Unione Europea.

In collaborazione con altre quattro Aziende Speciali (Milano, Modena, Firenze e

Roma) è stata attivata l'iniziativa Desk nel Mondo, che fa fronte alle richieste

provenienti dagli operatori italiani interessati a introdursi in mercati che offrono

opportunità. Il progetto si avvale degli strumenti finanziari italiani e comunitari

finalizzati alla cooperazione internazionale. I servizi offerti dai desk sono informazioni

legali e fiscali ricerche di mercato, missioni di buyer in Italia, workshop, missioni

imprenditoriali e partecipazione a fiere, ricerca di partner per cooperazioni industriali.

Vicenza Qualità interviene anche sul fronte interno, soprattutto mediante sinergie

promozionali tra produzioni locali e turismo, considerato lo stretto legame che unisce il

territorio ai prodotti che ne derivano. Di particolare rilievo sono gli interventi connessi

alla produzione agroalimentare, presentata alle più importanti manifestazioni fieristiche

del settore che tra l'altro riscontrano le visite sempre più numerose di operatori

internazionali. Per favorire la conoscenza dei prodotti alimentari vicentini vengono

anche realizzate campagne pubblicitarie e di sensibilizzazione che coinvolgono la

ristorazione locale. Le stesse aziende produttrici tradizionalmente aprono i battenti in

alcune giornate denominate "Cantine Aperte", "Distillerie Aperte" e "Caseifici Aperti";

in queste occasioni è possibile visitare le strutture produttive, oltre che degustare

prodotti apprezzati sia dalla cucina locale che dagli chef più rinomati.

Negli ultimi cinque anni l’attività dell’Azienda Speciale ha subito un drastico

mutamento sia per quel che riguarda l’orizzonte spaziale in cui opera sia per quanto

riguarda l’investimento finanziario destinato alla promozione. Nell’ultimo lustro si

osserva come la natura delle iniziative non sia mutata, mentre invece è cambiato il peso

finanziario degli interventi. Diventano progressivamente più importanti gli incontri

d’affari con operatori stranieri, eventi che facilitano l’incontro della domanda estera e

dell’offerta vicentina. Anche gli accordi di collaborazione aumentano il loro peso, frutto

61

Il numero di imprese beriche inserite nel catalogo degli esportatori della Provincia di Vicenza,

denominato Made in Vicenza, viene monitorato ogni due anni.

63

di una politica di alleanze e di coinvolgimenti in reti, con l’obiettivo di essere presenti

ovunque mantenendo in ogni caso autonomia operativa e capacità propositiva.

Le cifre di bilancio degli ultimi cinque anni sono eloquenti. L’investimento

promozionale è cresciuto in maniera sostanziale: 807.222 € nel 1997 e 2.026.060 € nel

2001. Al contempo i costi di personale sono rimasti pressoché invariati: 151.838 € nel

1997 e 190.573 € nel 2001. L’investimento camerale nell'Azienda Speciale è cresciuto

progressivamente in questi anni passando da 604.771 € del 1997 a 1.325.745 € del 2001.

I ricavi da soggetti terzi sono passati da 202.451 € del 1997 a 701.865 € del 2001, con

una punta di 880.559 € nel 2000; la quota di questi ricavi su quelli totali passa dal

25,1% del 1997 al 34,6% del 2001, con un massimo nel 2000 del 45,5%. Quindi un

bilancio in evidente espansione, sintomo di un corretto percorso di servizio a piccole e

medie imprese immerse in una economia provinciale trainante.

Consorzio Vicenza È – Convention & Visitors Bureau

Partendo dal presupposto che il fenomeno turistico è complesso e trasversale, che

coinvolge il territorio, la comunità e le istituzioni, già nella seconda parte degli anni '80

si è resa evidente la necessità di un’azione di coordinamento e di governo che, a diversi

livelli, potesse finalmente creare il sistema del turismo vicentino. La Camera di

Commercio di Vicenza ha così promosso, d’intesa con gli operatori pubblici e privati

del settore, la costituzione di un organismo che potesse agire per conto di tutti gli attori

su direttive e con risorse comuni. Progettato alla fine degli anni '80, il Consorzio è stato

formalizzato nel 1991, raccogliendo l’adesione degli operatori privati e pubblici

competenti in materia turistica quali, fra gli altri, l’Amministrazione provinciale, il

Comune capoluogo, le associazioni di categoria, l’Ente Fiera. Il Consorzio rappresenta

tutt'ora un punto d’incontro progettuale tra risorse pubbliche e imprenditoriali, preso a

modello di partnership pubblico-privato in numerose realtà italiane.

Fin dall'inizio l’attività è stata avviata sulle direttive del Piano di Marketing

Turistico, probabilmente il primo documento tecnico-operativo della Provincia che,

dopo un’attenta analisi dello scenario generale riguardante l’accessibilità dell’area, il

sistema economico, le principali risorse turistiche, gli atteggiamenti della popolazione,

l’analisi della stagionalità e la composizione dei flussi turistici, ha delineato la strategia

e i progetti di sviluppo.

Il primo e più importante di questi progetti, denominato Progetto Bandiera, ha portato

alla trasformazione del Consorzio in Convention & Visitors Bureau, denominazione

internazionale che indica l’organismo deputato alla gestione del sistema turistico o, cioè

di tutta la filiera rappresentata dalla promozione, dalla commercializzazione,

dall’accoglienza turistica. Il carattere sinergico tra pubblico e privato ha consentito la

concretizzazione anche di altre attività e programmi quali:

Vicenza cuore del Veneto;

Vicenza e le ville di Palladio nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco;

Valorizzazione dei prodotti tipici e dell’enogastronomia;

L’Architettura del Congresso;

La montagna vicentina.

64

Si tratta di programmi rivolti all’intero territorio provinciale, sviluppati sulla base di

numerose e complesse iniziative promozionali e commerciali che comprendono gli

educational tour per operatori, i familiarisation trip per giornalisti, la partecipazione a

fiere, borse e workshop in Italia e all’estero, la presentazione della destinazione turistica

in occasione di eventi o di manifestazioni di tipo economico e culturale, oltre ad

allestimenti di vetrine promozionali presso le delegazioni Enit nel mondo.

Con l’avvento e la diffusione dei nuovi strumenti informatici, l’attività del Consorzio

si è sviluppata anche attraverso la ben nota rete globale del World Wide Web.

Consorzio Promoveneto

Nonostante il comparto turistico non fosse, in generale, percepito come fonte

significativa di occupazione e prosperità, le potenzialità di sviluppo specificatamente

turistico del vicentino erano decisamente sottostimate e sottoutilizzate in

contrapposizione ad un sviluppo industriale, commerciale e artigianale che, da tempo,

colloca la Provincia di Vicenza ai vertici nazionali, ora presa a modello anche a livello

internazionale.

Dato questo scenario e non potendo ovviamente intervenire sullo sviluppo territoriale

e geografico del territorio, la Camera di Commercio ha valutato positivamente

l’opportunità di investire nel comparto turistico con strumenti operativi di

programmazione dello sviluppo turistico, soprattutto nel tentativo di modificare

l'immagine dell'area, quasi esclusivamente industriale e commerciale.

In sostanza, al di là di interventi tipici del Consorzio Vicenza È, si sono rivelate

necessarie ulteriori azioni di specifico approfondimento sul versante promozionale

dell'attività turistica. Il significato della partecipazione camerale al Consorzio

Promoveneto risiede prima di tutto in questo.

Come già prima rilevato, il Consorzio Promoveneto cura la diffusione di marchi di

qualità turistica (marchi volontari che investono i comparti della ricettività alberghiera e

della ristorazione). Il Consorzio ha ricevuto in gestione questi marchi non solo dalla

CIAA vicentina, ma anche da quella padovana, veronese e bellunese, nonché da

Unioncamere del Veneto. L'iniziativa è in continua espansione, come si può evincere, ad esempio, dai dati dell'ultimo triennio del marchio volontario sulla ricettività

alberghiera62:

alberghi partecipanti alberghi che hanno

ottenuto il marchio

1999 381 154

2000 420 206

2001 29063

222

62

Dati desunti dalle relazioni al bilancio e dalle relazioni sull'attività del Consorzio. 63

Il dato dei partecipanti è inferiore poiché, rispetto al periodo precedente, è venuta a mancare l'area

padovana. In ogni caso, il numero di alberghi che hanno ottenuto il marchio è comunque aumentato.

65

Sono da menzionare anche azioni ancor più specialistiche a riguardo di turismo

termale, turismo storico-culturale per città d'arte minori, turismo gastronomico e

congressuale.

Tra le fiere internazionali che hanno visto la partecipazione del consorzio

Promoveneto sono certamente da citare la BIT di Milano e la WTM di Londra.

Importanti sono anche l'assistenza a giornalisti e tour operator, e le guide "T.C.I. Guida

all’enogastronomia del Veneto" (redatta in inglese) e "T.C.I. Guida all’artigianato

artistico". Inoltre sono stati pubblicati manuali pratici per fidelizzare i clienti in albergo

("Marketing per il Mercato Giapponese" e "Marketing per il Turismo Organizzato").

Il Consorzio opera anche al di là della promozione turistica, curando infatti la

formazione turistica.

Infine va rilevato, aspetto questo per nulla da sottovalutare, il buon livello di

concertazione di tutti gli interventi, visto che il Consorzio opera anche sulla base di

momenti di discussione con dirigenti regionali e rappresentati camerali del settore.

Consorzio Sviluppo Studi Universitari

Il Consorzio per lo Sviluppo degli Studi Universitari è l’espressione della volontà di

istituire a Vicenza dei percorsi formativi di livello accademico collegati e rapportati al

territorio. I primi protagonisti di questa volontà, in qualità di fondatori del Consorzio, vi

sono la CCIAA di Vicenza, l’Amministrazione Provinciale di Vicenza, il Comune di

Vicenza64

.

Gli indirizzi e le decisioni di oltre 10 anni di attività del Consorzio sono sovrintesi da

un ben determinato modus operandi che punta molto sulla collaborazione con altri

soggetti operanti localmente65

. L’impegno per lo sviluppo universitario è indirizzato

verso l’eccellenza delle iniziative, che alla propria base ha la garanzia di due prestigiosi

Atenei quali quello di Padova e quello di Verona. Ma l'aspetto forse più importante

riguarda i corsi attivati a Vicenza, che non creano dotti disoccupati poiché ad oggi le

statistiche dicono che il 95% dei laureati si occupa entro due mesi dal conseguimento

del titolo. L'impostazione adottata ha evitato che Vicenza fosse etichettata come

"corsificio", fatto comune in altri contesti italiani: per Vicenza si può parlare invece di

vera e propria sede universitaria6667

.

64

A questi si affianca da sempre con un importante e valido contributo la Fondazione Cassa di Risparmio

di Verona, Vicenza, Belluno, Ancona. Gli altri soci sono i Comuni di Arzignano, Lonigo, Montecchio

Maggiore, Schio e Thiene. 65

Sono da ricordare l’accordo e l’intesa con le rappresentanze sociali ed economiche (le sociali

direttamente in assemblea con i Soci del Consorzio e le economiche con un continuo raffronto e confronto

con le associazioni di categoria), e anche con l’Associazione Amici dell’Università che supporta alcune

attività del Consorzio. 66

Questo risultato lo si deve all’attenzione data alla presenza continua dei docenti non solo per la

didattica frontale; si sono infatti creati gli uffici, le sale per le riunioni e per i workshop, i laboratori e si è

dato sostegno alle attività congressuali ed ai meeting di aggiornamento e ricerca. L’istituzione e la vitalità

del Dipartimento di Tecnica e Gestione di sistemi industriali ne sono la concreta riprova. 67

In relazione all’organizzazione logistica, le attività nel 1990 sono partite nella sede di Monte Berico che

presto, con il completamento dell’attivazione delle annualità del corso di Laurea in Ingegneria Gestionale

e l’attivazione dei corsi di Diploma Universitario, è risultata insufficiente; così dopo il temporaneo

utilizzo, durato qualche anno, di alcune strutture della Parrocchia dei Carmini in Corso Fogazzaro e

l’abbandono della sede di Monte Berico nel 1999, l’Università si è dislocata su più sedi [complesso San

66

Per quanto riguarda la didattica nell’anno accademico 1990/91 è stato attivato, in

convenzione con l’Università di Padova (Facoltà di Ingegneria), il corso di Laurea in

Ingegneria Gestionale al quale qualche anno più tardi si sono aggiunti i corsi di Diploma

Universitario in Ingegneria Elettronica, in Ingegneria Meccanica, in Ingegneria

Biomedica ed Ingegneria Chimica (indirizzo conciario). Nel 1999 nasce la

collaborazione con l’Università di Verona (Facoltà di Economia) che porta

all’istituzione in Vicenza del corso di Diploma Universitario in Commercio Estero68

.

Oggi, dopo l’attuazione della riforma universitaria del "3+2", a Vicenza sono attivi vari

percorsi formativi: il Corso di Laurea in Ingegneria Gestionale, il Corso di Laurea

Specialistica in Ingegneria Gestionale, il Corso di Laurea in Ingegneria Elettronica, il

Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica, il Corso di Laurea in Economia del

Commercio Internazionale. Nel 1990 gli iscritti al I° anno di Ingegneria Gestionale

erano 256, oggi gli iscritti ai corsi universitari a Vicenza sono 2322. I dati dei laureati e

diplomati sono i seguenti69

:

Laureati in Ingegneria Gestionale 993

Diplomati in Ingegneria Biomedica 69

Diplomati in Ingegneria Chimica 17

Diplomati in Ingegneria Elettronica 368

Diplomati in Ingegneria Meccanica 342

Totale 1789

Con riferimento alla ricerca, nel maggio 1998 l’Istituto di Ingegneria Gestionale si

trasforma in Dipartimento di Tecnica e Gestione dei Sistemi Industriali70

.

In tutto ciò è stato ed è fondamentale il supporto del Consorzio, cui vanno ad

aggiungersi funzioni di monitoraggio dell’economia locale, di collegamento con il

mondo della cultura e con ogni iniziativa pubblica o privata nella quale l’Università

stessa possa portare il proprio contributo. È infatti il Consorzio, come da Statuto, il

promotore e il sostenitore dell’istruzione universitaria a Vicenza. Esso è chiamato a

fungere così da coordinatore e collettore delle esigenze, delle domande, degli obbiettivi,

delle risorse e delle programmazioni.

Nicola (Stradella S. Nicola, 3), complesso Barche (Contrà Piarda, 9), palazzina San Pietro (Piazza San

Pietro, 3 e 4), cinema Odeon e sala Lampertico (Corso Palladio, 176), ex cinema Arlecchino (Contrà

Mure Porta Nova, 9)]. 68

Da ricordare anche le undici edizioni del Corso di perfezionamento in "Metodologie e tecniche di

recupero e restauro edilizio", in collaborazione con l’Università di Padova, l’ultima delle quali nell’anno

1998/99. 69

Aggiornati al 30/04/2002. 70

Ad esso afferiscono stabilmente 21 docenti e 9 unità fra tecnici amministrativi e tecnici di laboratorio. Il

Dipartimento è stato costituito sulla base di un progetto che prevedeva e prevede di dare sostegno alle

attività didattiche della sede, di costituire un centro ricerca su un numero limitato di aree coerenti con lo

sviluppo didattico e scientifico dei corsi, di rendere visibile sul territorio una scelta culturale legata

all’ingegneria industriale e gestionale coniugando ove possibile localismo ed internazionalismo. Le aree di

ricerca iniziali erano organizzazione e gestione delle imprese, sistemi informativi aziendali, progettazione

dei processi produttivi e logistici, materiali e progettazione meccanica, progettazione e gestione energetica

e termotecnica; si sono poi espanse comprendendo automatica, robotica e sistemi elettrici. Il

Dipartimento, grazie alla disponibilità nei nuovi laboratori di attrezzature di prestigio ed innovative, ha

tenuto ed anche organizzato corsi specialistici a livello nazionale.

67

La CCIAA, infine, non si limita al ruolo di socio fondatore del Consorzio, con tutto

quello che ne consegue, ma supporta la presenza universitaria a Vicenza anche

attraverso il Centro Produttività Veneto, al fine di ottimizzare gli stage e di creare, con il

Progetto Campus Azione Impresa, un vero e proprio ambiente di comunicazione fra

aziende ed Università.

Fondazione CUOA

La Fondazione CUOA è uno dei più attivi centri di elaborazione e diffusione della

cultura manageriale e imprenditoriale nel settore privato e pubblico. Sorta nel 1957

come scuola di formazione post-universitaria, è divenuta fondazione nel 1997 anche con

il contributo della CCIAA. Attualmente è una scuola di management sostenuta da

imprese ed associazioni di categoria, istituti di credito, enti pubblici, dalle Università di

Padova, Trento, Trieste, Udine, Venezia, Verona, e dall’Istituto Universitario di

Architettura di Venezia; opera con organizzazioni internazionali, Università estere e

business school. Il peculiare modello della scuola consente di coniugare l’esperienza e le

competenze accademiche con il pragmatismo tipico della cultura imprenditoriale, poiché

la Fondazione si avvale di docenti universitari, manager d'impresa, professionisti e

consulenti71

, assicurando l’elaborazione di progetti di elevato livello qualitativo e rigore

scientifico e di rilevante carattere applicativo72

.

La CCIAA in qualità di socio sostiene ogni attività della Fondazione, ma vi sono

recenti collaborazioni che vanno segnalate: il Centro di Ricerca sulla Finanza e Fiscalità

Internazionale ed il progetto Equal.

La prima collaborazione, attivata nel dicembre del 2001 con una partnership

articolata73

, ha per scopo la promozione dello studio, anche a carattere interdisciplinare,

della fiscalità e della finanza di impresa con particolare riguardo ai profili

dell'integrazione europea e della comparazione internazionale.

La seconda collaborazione vede la partecipazione anche del Centro Produttività

Veneto. La partnership riguarda il progetto Equal "New economy e turismo: nuove

competenze per le donne in rete", il cui obiettivo è quello di migliorare la qualità della

vita personale e professionale delle donne che operano nel settore turistico e culturale

del Veneto orientale, attraverso il miglioramento dei servizi di assistenza alla famiglia

offerti dal territorio e l'incremento delle competenze delle donne, in particolare quelle

collegate all'utilizzo delle nuove tecnologie nell'ambito dell'e-business. Il progetto

prevede attività di ricerca, di assistenza individuale in azienda, di formazione (d'aula e

on line), anche attraverso l'utilizzo di innovative metodologie competency-based e di

net-learning.

71

Particolarmente significativo è il contributo di docenti provenienti da prestigiose business school e

Università straniere [tra cui il MIT di Boston e la Kutztown University di Filadelfia (Pennsylvania)]. 72

Ha conseguito nel 1998 la certificazione UNI EN ISO 9001 per la progettazione ed erogazione di

servizi di formazione relativi allo sviluppo di figure manageriali nel settore pubblico e privato. I Master

per la formazione di giovani laureati sono accreditati dall’ASFOR, l’Associazione Italiana delle Scuole di

Management. 73

Oltre alla Fondazione CUOA ed alla CCIAA di Vicenza partecipano anche la Palladio Finanziaria spa,

l'Unione Regionale delle Camere di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura del Veneto, la CCIAA

di Padova e la Federazione Regionale degli Industriali del Veneto.

68

COERENZA DELLE INIZIATIVE CAMERALI

ALLO SVILUPPO PROVINCIALE

Il trade-on tra territorio, imprese e politiche locali nella

Provincia di Vicenza

È necessario porre attenzione alle complesse e articolate trasformazioni ancora in atto

nel territorio provinciale. La capacità del sistema produttivo locale di promuovere in

modo autonomo "progetti di sviluppo" a media e lunga scadenza, basati sulla

valorizzazione di risorse diffuse, costituisce la premessa per la costruzione di un assetto

territoriale equilibrato ed integrato, attento all'evoluzione dell'intera catena dello

sviluppo, dal momento dell'utilizzo al momento della valorizzazione delle risorse.

Le peculiarità locali, culturali ed ambientali del vicentino costituiscono uno

straordinario fattore di competitività e di differenziazione. L'esistenza stessa delle aree-

sistema ha confermato che le specificità, più che delle anomalie rispetto a modelli

normativi astratti, costituiscono le varianti di una realtà sfaccettata e multiforme, legata

a stili di vita ed a valori propri.

La Provincia e tutto il Nord Est devono indubbiamente il successo che le collocano ai

vertici dell'economica europea alla tipologia dell'assetto insediativo ed alla gamma di

risorse ambientali, economiche ed extra-economiche di cui è ricco il loro territorio. Ma

il merito di questo decollo va attribuito soprattutto al dinamismo del suo sistema locale.

D'altra parte l'organizzazione spaziale ed economica, la capacità di offerta di beni e

servizi specializzati, l'apertura verso i mercati internazionali, ecc., hanno comportato

rilevanti conseguenze di carattere territoriale.

L'esperienza vicentina autorizza le seguenti generalizzazioni:

1. Il rapporto impresa e territorio nei contesti caratterizzati dalla piccola industria

diffusa, come quello vicentino, è basato essenzialmente sull'interazione e sulla

reciprocità. A differenza dell'impresa taylorista, infatti, che può autonomamente

definire le condizioni della propria efficienza, rimanendo sostanzialmente

indifferente al territorio, l'impresa diffusa basa la sua efficienza stabilendo solidi

rapporti di interscambio con il contesto socio-economico in cui opera. Il sistema

produttivo diffuso, in altri termini, non può prescindere dalla "qualità" del proprio

contesto territoriale.

2. I sistemi di piccola impresa diffusa non si limitano ad utilizzare le risorse del

territorio di appartenenza, ma creano esternalità nuove che restituiscono al territorio

valore aggiunto misurabile in termini di reddito, di occupazione e di offerta di beni

e/o servizi: il tutto conferisce il carattere di centralità attraverso cui può avvenire la

riproduzione del contesto socio-economico.

3. La piccola impresa è perciò in grado di stimolare processi di modernizzazione

dell'apparato locale mediante scelte che si ripercuotono inevitabilmente sulla

competitività, potenzialmente modificando il modello di sviluppo mettendo in crisi

gli equilibri spaziali.

69

Da ciò la necessità di una CCIAA estremamente attenta ai fenomeni economico-

produttivi. E infatti, con la valorizzazione delle risorse locali la CCIAA si è posta

l'obiettivo di accompagnare le realtà più dinamiche nel loro percorso evolutivo,

aiutandole a superare i rischi dei nuovi scenari ed a puntare su azioni di riqualificazione.

La CCIAA si è imposta una logica ed una metodologia d'intervento finalizzata ad

evitare i costi della frammentazione e della dissipazione delle risorse locali, e questa

logica ha richiesto almeno due profondi mutamenti di prospettiva:

si sono messe al centro non tanto le esigenze legislative o quelle di finanza pubblica,

quanto le effettive necessità delle imprese;

si tenta, fin dove è possibile, di realizzare una profonda convergenza fra

programmazione pubblica e domanda privata, cercando di mediare, con gli strumenti

disponibili, tra l'assunzione dei rischi e il soddisfacimento dei bisogni delle aziende.

Il carattere fondamentale della programmazione camerale è stato come affiancare le

imprese nel processo strategico di cambiamento che le vede protagoniste, tenendo

presente che, probabilmente, si riesce a mantenere intatta la propria capacità competitiva

nella misura in cui si è presenti stabilmente nei mercati di destinazione finale della

domanda.

Non va dimenticato che si è passati da un periodo di forte propensione

all'esportazione contrastata da un corrispondente minore orientamento agli investimenti,

ad uno in cui questa propensione (sempre elevata) è invece sostenuta dal ritorno agli

investimenti; infatti, l'uscita dalla crisi del 1993 e l'avvio dell'Euro, che ha portato (pur

se in varia misura) un minor costo del denaro ed un raffreddamento delle dinamiche

inflative, hanno stimolato una significativa crescita dei progetti di investimento delle

PMI. A fronte di questa evoluzione, si è reso necessario disporre di una

"strumentazione" specifica e correttamente ritagliata sulla dimensione d'impresa. È

realmente importante capire gli elementi di differenziazione che derivano dalla

dimensione di impresa, distinguendo fra grande, media, piccola e micro, ed in

particolare cogliere le necessità dell'impresa di minori dimensioni quale perno più

significativo per la capacità del sistema locale di penetrare nuovi mercati.

Per il comparto delle piccole e medie imprese il problema fondamentale è stato

quello di riuscire ad identificare quali sono i modelli di "accompagnamento" più adatti

al loro sviluppo, cercando di non penalizzarle attraverso un approccio troppo

amministrativo o burocratico. Si è così migliorata la capacità di sostegno alle PMI: il

tipo di approccio è stato quello di catalizzare, di mettere insieme quanto più è possibile,

gli interessi delle associazioni di categoria e di chi in sostanza dialoga costantemente sul

territorio con le imprese, nella consapevolezza che l'obiettivo primario della politica di

sviluppo locale debba essere quello di individuare investimenti che siano capaci a loro

volta di stimolare altri investimenti, mettendo in moto un processo di accumulazione

regolare e costante dovuto a meccanismi interni al sistema.

70

L'attrazione verso l'esterno

Il dibattito su questo punto trova origine in un fondamentale effetto delle politiche

locali: il maggior pregio della politica dei fattori è quello di rendere l'area più

contendibile ad operatori esterni. Infatti, grazie alla sua trasversalità, questa strategia ha

una capacità di attirare imprese esterne all'area superiore alla politica per settori.

Si deve immediatamente sgombrare il campo da dubbi sul fatto che imprenditori

esterni all'area "comprimano" l'iniziativa di quelli locali, visto il livello del tasso di

attivazione di nuove imprese. Sotto il profilo empirico si possono trovare tanti esempi

quanti se ne desiderano di paesi, regioni, distretti, e su periodi più o meno lunghi, in cui

il ruolo propulsivo è svolto da imprese esterne in sinergia con quelle locali.

Se qualche turbolenza va cercata, questa potrebbe interessare la struttura

occupazionale. A tal riguardo una generalizzazione potrebbero formularsi in tre semplici

osservazioni:

a breve termine, il contributo relativo delle imprese esterne all'area dipende

semplicemente dallo stock di occupati preesistente ed è inversamente correlato a

questo; più ricca di tessuto industriale è un'area, tanto minore è l'impatto una tantum

dell'occupazione diretta nelle imprese esterne;

a medio termine, il ruolo occupazionale delle imprese esterne si manifesta con

maggiore evidenza nel tasso di variazione dell'occupazione piuttosto che sul suo

stock; l'effetto dipende dai divari nei tassi di crescita fra imprese endogene ed

esterne, e questi divari a loro volta dipendono dalle condizioni dei bacini di domanda

e di offerta cui le imprese appartengono.

nel lungo periodo, a parità di condizioni di domanda, un ruolo determinante è giocato

dalle tecnologie: se nelle imprese esterne la crescita è capital-intensive vi può essere

un effetto di sostituzione del fattore lavoro a favore di imprese locali, se queste sono

prevalentemente labour-intensive74

(o anche semplicemente caratterizzate da minore

sostituibilità di lavoro con capitale75

).

Quindi, se la critica più importante agli insediamenti di imprese esterne all'area è

quella che il saldo netto fra occupazione creata e occupazione distrutta può essere

negativo, l'oggetto della contesa si limiterebbe al lungo periodo. Se anche ciò avesse

qualche probabilità di verificarsi76

, il policy-maker locale avrebbe tutto il tempo per

intervenire con strategie proattive.

Il dibattito più controverso, invece, ruota attorno a tre stati intermedi di un sistema

locale che ne sanciscono l'efficienza:

competitività rispetto ai mercati esterni;

capacità di accrescere la propensione ad investire;

74

Si omette la discussione dello scenario opposto, cioè quello di imprese esterne a minore intensità di

capitale di quelle locali, visto l'elevato costo del lavoro che le disincentiverebbe in modo piuttosto

drastico. 75

La "sindrome di Baumol" riferita ai rapporti fra industria e terziario si applica altrettanto bene a un

sistema industriale locale caratterizzato da due settori strutturalmente diversi sotto il profilo degli

incrementi di produttività ottenibili tramite il progresso tecnico. 76

Su questo infatti non vi sono certezze né automatismi.

71

capacità di migliorare l'organizzazione anche al di fuori dei settori strettamente

produttivi.

La prima considerazione che ne deriva riguarda gli effetti di propulsione-attrazione

degli investimenti effettuati in un'area: questi effetti possono aver luogo soltanto se nella

stessa esiste una struttura industriale in grado di recepirli o se esistono imprese capaci di

soddisfare la domanda che nasce da quegli investimenti. Ed è evidente che questi

requisiti sussistono abbondantemente nel territorio provinciale.

La seconda considerazione è invece più stringente: se l'unità di produzione esterna

offre prodotti sul mercato locale in concorrenza con le imprese indigene, queste ultime

potrebbero subire uno shock competitivo, e per varie ragioni potrebbero trovarsi in

difficoltà per adeguare le dimensioni dell'impresa alla scala efficiente o per compiere un

salto tecnologico:

scarsità di capitali;

mancanza del necessario know-how;

avversione al rischio del cambiamento strutturale.

Si deve però osservare che gli interventi sui fattori dello sviluppo se da un lato

possono attirare imprese esterne generando le diseconomie ora menzionate77

, dall'altro

lato sono finalizzati proprio a rimuovere le condizioni che provocano tali difficoltà. Si

pensi a quanto precedentemente osservato riguardo agli interventi sulla finanza e sulla

competitività aziendale.

La diffusione verso l'esterno

Se il sistema locale è aperto verso l'esterno, allora si profila un'importante alternativa

al fare impresa nel territorio di origine: fare impresa in aree esterne. Infatti uno dei

problemi attuali dei distretti e delle aree-sistema è quello del passaggio da una

dimensione locale ad una globale. Su questo fenomeno, noto come delocalizzazione,

occorre subito chiarire che non può essere frenato da alcuna politica locale poiché viene

generato da una divisione del lavoro su scala globale e dalla partecipazione a sistemi di

integrazione che consentono di cooperare allo sviluppo internazionale delle conoscenze.

Il sistema locale sarebbe più fragile solo con il deflusso delle capacità strategiche e di

pianificazione, cioè quelle dove normalmente si concentra il valore aggiunto. Il nodo

della questione sembra essere questo: la distinzione tra core competences, che sarebbe

auspicabile mantenere nella localizzazione originaria, e conoscenze e servizi che invece

possono essere distribuiti nella rete globale.

È pur vero che l'internazionalizzazione delle aree-sistema estende la dimensione

geografica delle relazioni e attenua gli effetti spaziali, ma è altrettanto vero che i

vantaggi della rete globale non necessariamente vanno a sostituire quelli della contiguità

territoriale tipica del territorio di origine. Già dalla metà degli anni 90 ci si è resi conto

che la dimensione globale e quella locale possono coabitare poiché esiste, per certi versi,

un certo grado di complementarietà:

77

Ma anche su questo non vi sono automatismi.

72

l'attività su scala globale si concentra su processi estesi di divisione del lavoro e su

conoscenze codificabili e per questo trasferibili;

l'attività su scala locale s'impernia invece su conoscenze contestuali non codificabili e

quindi non trasferibili, utilizzabili perciò solo in loco.

È quindi probabile che la dimensione internazionale non sopprima quella locale, ma

più realisticamente trasformi i sistemi locali in nodi della rete globale. Ma a quali

condizioni la dimensione locale può mettersi in luce come valido nodo di una rete

globale ? La risposta è evidente e rimanda ancora alla qualità dei fattori locali, e quindi

alle politiche che li riqualificano e li riproducono.

Infatti, nel processo di trasformazione dei distretti tradizionali verso una

configurazione più internazionale è fondamentale saper riprodurre i fattori di successo e

limitare quelli di debolezza. Tra i primi vanno prioritariamente ricercati:

disponibilità elevata di risorse umane e organizzative specifiche

domanda intermedia sensibile al binomio tecnologia-qualità

forte capacità di competizione

In questo non si può non riconoscere l'utilità degli interventi camerali sulla

formazione, sul livello qualitativo del mercato interno, sulla produttività e sulla

competitività.

Il moltiplicatore locale e l'effetto di accelerazione

Gli effetti moltiplicativi locali di un investimento offrono un motivo in più alla

politica per fattori. Questi effetti possono propagarsi all'economia locale essenzialmente

attraverso due canali: gli acquisti di beni dalle imprese e gli acquisti di fattori di

produzione locali, in particolare il lavoro.

Inoltre buona parte delle considerazioni che si possono applicare all'usuale concetto

macroeconomico di moltiplicatore per una economia aperta sono del resto valide per il

moltiplicatore locale. Ad esempio il valore del moltiplicatore può essere aumentato da

diminuizioni nella propensione media al consumo: quando questa diminuisce, a parità di

reddito spendibile aumenta parallelamente la propensione al risparmio. Su ciò la politica

dei fattori può avere effetti positivi:

è una politica finalizzata all'aumento del reddito pro-capite78

, via un effetto quantità

(il maggior impiego dei fattori stimola l'output), un effetto prezzo (a parità di

impiego di fattori aumenta il valore aggiunto se questi sono più qualificati), nonché

78

Si è ancora ben lontani dal poter dimostrare quantitativamente il nesso di causalità tra le politiche locali

e la dinamica del reddito pro-capite, ma è un dato di fatto che nella seconda parte tra il 1990 ed il 2000 il

reddito lordo (al costo dei fattori) pro-capite della Provincia passa da 1,16 volte a 1,27 volte quello

nazionale.

73

un effetto domanda (fattori più qualificati aumentano il loro costo opportunità), ed è

noto che la propensione al consumo decresce con l'aumentare del reddito79

;

il passaggio tra risparmio e investimento non è scontato, nel senso che nella realtà dei

fatti non si tratta di un'equazione contabile: la politica dei fattori punta però ad

aumentare la propensione ad investire, soprattutto mediante gli interventi sulla

produttività, sulla competitività, sui vincoli finanziari delle imprese80

;

in ogni caso l'aumento del reddito pro-capite indotto da questa strategia porta con sé

l'impatto della maggior domanda di consumi in valore assoluto; questa infatti

decresce solo in media.

Per avanzare ipotesi sulla velocità con cui gli investimenti generino altri investimenti

si rende necessaria una misura dell'acceleratore locale, tema più difficile da indagare di

quello del moltiplicatore locale per le difficoltà nella raccolta e nella interpretazione dei

dati microeconomici delle imprese minori. In ogni caso resta vero che:

1. gli investimenti che possono generare altri investimenti sono quelli per i quali si ha

un'elevata interazione fra moltiplicatore ed acceleratore;

2. l'ordine di grandezza dell'acceleratore aumenta con la velocità di accelerazione81

, ed

anche su questa ha effetto la politica dei fattori.

Per quanto riguarda il secondo punto si pensi, ad esempio, a quanto segue:

la stabilità del miglioramento dei fattori dello sviluppo locale, e quindi anche la

persistenza in questa politica, ha l'effetto di rendere più stabili e duraturi anche gli

incrementi del valore aggiunto locale;

da ciò consegue la maggior "fiducia" degli imprenditori;

quindi, in ultima analisi, da ciò deriva l'incremento della velocità con cui gli

investimenti reagiscono agli incrementi del valore aggiunto82

.

79

Ad esempio, in Provincia tra il 1991 ed il 1997 la propensione media al risparmio pro-capite è passata

dal 23,8% al 25,5% in presenza di un reddito disponibile pro-capite che al 1997 era 1,33 volte quello

del 1991 (per il momento non sono disponibili dati successivi a livello pro-capite). 80

Come noto, Keynes sosteneva che è la liquidità, e non il risparmio, a finanziare gli investimenti. 81

Indicando con I gli investimenti, con Y il valore aggiunto, con l'incremento tra due periodi

consecutivi, con v la velocità di accelerazione degli investimenti, un modello molto stilizzato del

fenomeno dell'accelerazione può essere il seguente: I = v Y. 82

Cioè quello che tecnicamente è il coefficiente di accelerazione. Con riferimento al modello della nota

precedente, posto che 21 e siano rispettivamente la variazione più recente e quella precedente, si

può supporre che v = f( Y1 - Y2 ) tale che 0 / xf .

74

Lo sviluppo dello stock di imprese

Se la politica per fattori rende più contenibile un'area, allora vi possono essere effetti

sulla nati-mortalità d'impresa. Questa politica, infatti, contribuisce a ridurre le barriere

all'entrata e abbatte i costi di accesso ai mercati. I due meccanismi convergono

nell'incrementare il saldo netto fra attivazioni e cessazioni di imprese, induce un

aumento dello stock di imprese in una determinata area.

È questa un'ipotesi accreditabile ?

L'abbassamento del tasso di mortalità è facilmente inquadrabile in uno schema

interpretativo per il quale molte microimprese restano per qualche tempo in un'area di

pre-natalità o di "apprendistato", e solo alcune passano la soglia dimensionale che

caratterizza la nascita vera e propria di un'autonoma unità produttiva. In questo quadro,

l'abbassamento delle barriere all'entrata e dei costi di accesso al mercato contribuisce a

ridurre sia il periodo di "apprendistato" sia la probabilità di insuccesso.

L'aumento del tasso di natalità è invece più difficile da spiegare: se cresce la

domanda di beni di consumo, ad esempio (ma non solo), per l'aumento della massa

salariale indotta dalla maggior qualità del fattore lavoro, perché la quota di domanda

soddisfacibile localmente non dovrebbe essere semplicemente catturata dalle imprese

già esistenti ? Se ciò avvenisse non si dovrebbe verificare il fenomeno della creazione di

imprese, quanto la crescita di quelle esistenti. Affinché invece si abbiano effetti sulla

natalità l'offerta preesistente dovrebbe essere scarsamente elastica, ad esempio perché

opera con tecnologie mature. Sarebbe proprio questo il caso delle PMI di tutto il Nord

Est, note soprattutto per la loro elasticità in fasi di crisi piuttosto che in quelle di

espansione. È altresì vero che la riqualificazione dei fattori favorisce l'elasticità "bi-

direzionale" dell'offerta, cioè non solo per le fasi di contrazione della domanda ma

anche per quelle di espansione, ottenendo perciò un effetto disincentivante sulla natalità.

Quindi l'effetto netto sulla attivazione di nuove imprese può essere controverso.

In ogni caso, però, sarebbe paradossale ritenere che la politica dei fattori peggiori la

natalità d'impresa, che nel vicentino è di per sé elevata, endogena e (soprattutto)

autoalimentantesi, quindi se si concorda sugli effetti riduttivi della mortalità allora non

possono che essere positivi quelli sul tasso di sviluppo netto83

.

Il tasso di imprenditorialità

In ultima analisi, qual è l'impatto sullo sviluppo locale di interventi di

riqualificazione e riproduzione dei fattori organizzativi-imprenditoriali ? La tesi in

discussione è che esista una associazione positiva fra sviluppo endogeno e la dotazione

di tali fattori, approssimando il grado di sviluppo con lo stock di imprenditori piuttosto

che con quello di imprese. Su questo si devono formulare alcune premesse:

1. la dotazione di imprenditori in una determinata area può essere considerata, per un

intervallo di tempo sufficientemente lungo, come un "fondo" di servizi allo sviluppo;

83

Che com'è noto è il differenziale tra natalità e mortalità.

75

un imprenditore per operare ha bisogno di una rete di conoscenze e relazioni

personali, che divengono più sfumate al di fuori dell'ambiente in cui vive;

2. in un sistema locale è possibile costruire una curva di offerta dei fattori organizzativi-

imprenditoriali in funzione del guadagno atteso; il guadagno effettivo può

comprendere una rendita, che sarà determinata dalle condizioni in cui si è

autoimpiegato l'imprenditore marginale, cioè quello meno abile;

3. gli imprenditori possono attivare unità indipendenti oppure possono impiegarsi come

manager in altre imprese; la trasformazione degli imprenditori in manager è

reversibile, nel senso che possono rientrare nel sistema locale tornando a svolgere la

funzione imprenditoriale;

4. a parità di guadagno atteso imprenditoriale e manageriale, quest'ultimo sarà preferito

per l'ipotesi di avversione al rischio e per i costi "riconversione".

Sulla base di queste ipotesi, la "domanda" di imprenditori può essere legata, in modo

piuttosto stilizzato, al profitto atteso per unità di fattore organizzativo-imprenditoriale,

che è il vero obiettivo della politica dei fattori. L'insediamento di nuove imprese può

determinare traslazioni verso l'alto della "domanda" di imprenditori, poiché esse creano

nuove opportunità di investimento redditizio. In pratica vi può essere un moltiplicatore

dell'attivazione di imprese, e in teoria anche un demoltiplicatore (traslazioni verso il

basso della "domanda" di imprenditori) se prevalgono gli effetti di disturbo e di

spiazzamento.

Nel quadro delle ipotesi formulate, che come si nota sono semplificazioni di un

meccanismo molto più complesso, ma funzionali alla discussione, non è difficile

identificare il ruolo del policy-maker locale nei confronti dello stock di imprese locali e

della sua crescita a lungo termine. Questo ruolo è fondamentale poiché genera impulsi

che possono determinare saldi netti positivi, negativi o trascurabili a seconda delle

circostanze.

Il decisore locale deve tener conto, e si può ritenere che nel caso della Provincia lo

sia stato, che l'offerta dei servizi imprenditoriali locali si rivolge a due "mercati" distinti

ma collegati: da un lato vi è la domanda di fattori organizzativi-imprenditoriali nel

mercato dei manager, dall'altro esiste la domanda derivante dalle opportunità

economiche offerte dal sistema locale. Mentre la prima è una normale domanda di

lavoro specializzato, la seconda lega l'attivazione di una impresa addizionale alla

speranza di profitto. Se ogni soggetto portatore di fattori organizzativi-imprenditoriali

fosse in grado di prevedere perfettamente i suoi guadagni come imprenditore, potrebbe

paragonarli alla retribuzione offerta dalla grande impresa e sceglierebbe semplicemente

lo status che gli assicura il maggior reddito: lo spiazzamento dell'imprenditoria

endogena sarà tanto maggiore quanto più v'è avversione al rischio, per cui fra guadagno

di impresa medio atteso e stipendio certo manageriale si preferirebbe quest'ultimo. Dato

che in un sistema locale le aspettative di guadagno dall'attività imprenditoriale sono più

o meno elevate in relazione al grado di sviluppo già conseguito dal sistema stesso, il

ruolo fondamentale del policy-maker locale, attento allo sviluppo del tessuto

imprenditoriale, è attivare politiche dei fattori finalizzati a ridurre gli spazi di incertezza

e massimizzare i profitti attesi. Ma proprio in questa direzione si muovono gli interventi

camerali nell'area vicentina.

A questo meccanismo va contrapposto un effetto a più lungo termine. Alcune delle

unità dei fattori organizzativi-imprenditoriali inizialmente assorbiti da imprese di media

76

e grande dimensione, dopo un periodo di riqualificazione e di nuovo apprendimento

trascorso in queste imprese, possono trovare un conveniente impiego in una nuova

impresa. Questo flusso e riflusso non è un gioco a somma zero, poiché i manager che

tornano all'attività indipendente sono portatori di un addestramento aggiuntivo ottenuto

all'interno della grande-media impresa. Questo addestramento in condizioni favorevoli

può fortemente accrescere l'abilità imprenditoriale e dar vita a imprese che sono il

risultato dell'interazione fra conoscenze della grande-media impresa e fattori

imprenditoriali tipici della piccola impresa84

.

Il capitale umano

Si può contribuire allo sviluppo locale non solo attraverso la quantità di occupazione

ma anche attraverso il miglioramento della qualità delle forze di lavoro. Questo è

indubbiamente un aspetto frequentemente citato fra gli argomenti a favore delle

politiche dei fattori, e tra l'altro è difficilmente confutabile.

Le evoluzioni in atto nel mondo della produzione, ed in particolare la rapidità dello

sviluppo tecnologico, richiedono una forza lavoro a più alto contenuto di istruzione

perché ciò costituisce condizione necessaria alle innovazioni. Inoltre il prolungamento

della vita e il probabile aumento del tempo libero anche negli anni di partecipazione al

mercato del lavoro, nonché le modifiche sociali che tendono a spostare il modello dei

consumi verso beni e servizi più nobili, portano a prevedere una maggior domanda di

istruzione che deve essere intesa come strumento culturale capace di mettere i cittadini

in condizioni di meglio usufruire del proprio tempo e del proprio reddito. La CCIAA,

mediante il Centro di Produttività Veneto, ente specificamente preposto alla formazione,

ma anche attraverso la sua azienda speciale Vicenza Qualità ed il contributo alle

iniziative formative del CUOA e delle sedi universitarie localizzate sul territorio

provinciale, ha dimostrato di cogliere pienamente la portata di questi fenomeni. Gli

interventi formativi, infatti, non sono stati pensati come una funzione di tipo socio-

assistenziale, ma come collegamento tra scuola e mondo del lavoro. Questa esigenza ha

comportato un articolato sistema di formazione, capace di realizzare obiettivi di

formazione ricorrente, di comprendere correttamente le esigenze del mercato e di

assicurare, nel contempo, che rappresentino una risposta pronta, adeguata e differenziata

per i vari tipi di utenza.

Peraltro, il miglioramento delle capacità individuali non è rappresentabile

esclusivamente dal tempo di addestramento formale: occorre anche considerare

l'addestramento che si esplica nello svolgimento stesso delle mansioni affidate al

dipendente e la qualità intrinseca di questo addestramento (formazione on-the-job).

Questa è un'area di valutazione molto difficile. Il criterio dovrebbe essere

l'accresciuta capacità del dipendente di essere occupato a condizioni più vantaggiose

rispetto a quelle di ingresso nel mondo delle imprese, fino ad arrivare alla capacità di

trasformarsi da dipendente a imprenditore.

Non può essere un freno alla politica dei fattori la nota tesi che l'impresa limiterebbe

l'addestramento dei propri dipendenti per il rischio che le imprese rivali possano

appropriarsi senza costi dell'investimento formativo sostenuto, attraverso la mobilità dei

84

Ovviamente non c'è nulla di automatico nei processi di assorbimento e restituzione descritti.

77

lavoratori. Infatti, distinguendo fra valore presente netto dell'investimento formativo in

relazione a un impiego specifico del lavoratore, e "valore opzionale" dello stesso, cioè il

valore derivante dalla possibilità di nuovi tipi di attività per la maggiore versatilità di un

lavoratore più istruito, si osserva che vi è asimmetria informativa fra l'impresa che

finanzia la formazione e quella rivale. L'incertezza di quest'ultima sulle reali capacità

conseguite dal lavoratore qualificato limita la mobilità85

e ciò consente agli investimenti

in formazione di non bloccarsi. Ciò vale a soprattutto quando riguardano mansioni

specifiche il cui "valore opzionale" è molto incerto, ed è noto il carattere di estrema

specializzazione presente in ambiti distrettuali e/o aree-sistema, realtà molto diffuse

nella Provincia.

La politica dei fattori, inoltre, può contribuire a diminuire (certamente non eliminare)

il fenomeno dello spiazzamento occupazionale che si verifica preferibilmente in aree,

come quella vicentina, a forte espansione e ad elevato reddito pro-capite. Si tratta della

strategia attendista nella ricerca dell'occupazione da parte del non occupato crucialmente

influenzata dalla probabilità di assunzione futura a condizioni migliori di quanto non

consenta lo scenario occupazionale corrente; in altri termini, potrebbe essere

vantaggioso rinunziare alla differenza presente fra minor salario corrente e sussidio di

disoccupazione (più frequentemente "sussidio" della famiglia di appartenenza) per

aumentare le probabilità di maggior salario futuro86

. L'effetto della politica dei fattori

può essere duplice, in entrambi i casi positivo:

nella misura in cui si inducono aumenti della produttività e della competitività delle

imprese, queste possono essere in grado di offrire condizioni contrattuali (non solo

salariali) sensibilmente maggiori di quelle precedenti;

nella misura in cui si riqualificano gli "attendisti", questi possono optare per impieghi

più appetibili presso imprese medio-grandi anche esterne all'area di appartenenza.

L'elasticità della domanda

Un critica possibile alla politica per fattori è la seguente: se è vero che eleva la

qualità del territorio e la sua appetibilità per nuove occasioni di investimento, sono

possibili, pur se senza automatismi e comunque non frequenti, effetti distorsivi generati

dal suo principale obiettivo, cioè la crescita del reddito pro-capite. Si fa riferimento alla

possibilità di strozzature nell'offerta (supponendola poco elastica nelle fasi di

espansione) di beni e servizi domandati localmente in quantità e qualità maggiore

rispetto alla situazione precedente, con conseguenti effetti di spiazzamento dell'offerta

locale meno efficiente.

Su questo sono opportune alcune riflessioni.

In primo luogo, di per sé l'esistenza di dispersioni non implicano forzatamente un

valore negativo del moltiplicatore locale. D'altra parte, già da lungo tempo si è

riconosciuta l'esistenza dei cosiddetti effetti di diffusione dello sviluppo verso l'esterno

85

Su questa incidono ben altri fattori. 86

Questo meccanismo può essere molto potente ed è osservabile, ad esempio, nel comportamento di molti

giovani diplomati o laureati in cerca di prima occupazione, situazione nella quale il sussidio di

disoccupazione è sostituito dalle famiglie che si sobbarcano il costo del tempo di ricerca di un lavoro.

78

dell'area originaria, che si generano indipendentemente dalla politica per settori o per

fattori87

.

In secondo luogo, affinché si abbiano impatti negativi sulla produzione locale deve

esservi un aumento strutturale nella propensione marginale all'importazione. Questo

effetto perverso potrebbe verificarsi quando l'aumento del reddito pro-capite modifica

non solo le quantità consumate ma anche la composizione dei consumi, spostandoli

verso beni che non sono prodotti localmente e per i quali l'offerta locale è rigida. Nella

misura in cui il maggior consumo pro-capite di questi beni sostituisce beni inferiori

prodotti localmente, la propensione all'importazione aumenta e virtualmente potrebbe

farlo così tanto da rendere il moltiplicatore negativo.

A quest'ultima tesi è molto facile rispondere rimandando all'analisi sia del saldo

import-export della Provincia, sia della sua sensibilità alle variazioni del valore aggiunto

pro-capite. Ma in ogni caso va detto che sarebbe estremamente difficile assegnare le

"responsabilità" di questo scenario agli effetti delle politiche dei fattori locali, senza

prima considerare più semplicemente la concorrenza diretta fra imprese interne ed

esterne all'area.

Non si deve poi dimenticare che uno specifico fattore cui si dedicano le politiche

camerali è proprio quello della promozione del mercato interno, soprattutto quello

caratterizzato da maggiore qualità88

.

Osservazioni conclusive

Le dinamiche socio-economiche che hanno interessato la Provincia nel quindicennio

che va dai primi anni '80 alla metà degli anni '90 sottolineano con forza le

trasformazioni che hanno "predisposto" quest'area al passaggio del millennio. Si è

trattato di una lunga fase sia di consolidamento che di evoluzione, che ha coinvolto non

solo tutti i settori dell'economia, ma anche il sistema ambientale e territoriale nel suo

complesso, e che ha indotto i decisori pubblici locali a mirate politiche d'intervento sul

territorio, specifiche negli obiettivi perseguiti e coordinate nelle modalità di

realizzazione.

Sul piano strettamente sociale, oltre alle variazioni demografiche nei ritmi di natalità-

mortalità e di immigrazione, non si può non sottolineare il processo di riorganizzazione

del modello insediativo, che è rimasto di tipologia diffusa ma "riscritto" in relazione

all'espulsione dai centri cittadini di alcune attività industriali che hanno lasciato spazio

da un lato a ristrutturazioni urbanistiche per scopi residenziali, dall'altro lato allo

sviluppo del terziario. Ancora più importanti appaiono poi i fenomeni di ristrutturazione

che hanno interessato i macro settori dell'economia. L'agricoltura ha subito in pieno la

crisi nazionale della zootecnia, nonché la più generale esposizione alla concorrenza

internazionale sancita dagli accordi GATT89

, cui la politica agricola comunitaria si è

adeguata rilassando sempre più le politiche di sostegno dei prezzi e dei redditi agricoli.

Ancor più decisive sono apparse le turbolenze che hanno coinvolto le attività industriali

e di servizio, che si sono rivelate territorialmente disomogenee a causa delle molte aree-

87

Si rinvia al paragrafo "La diffusione verso l'esterno". 88

È questo, infatti, uno dei principali obiettivi di Vicenza Qualità. 89

Ora WTO.

79

sistema estremamente specializzate presenti in Provincia, e che in ultima analisi hanno

indotto le seguenti trasformazioni:

ridefinizione delle dimensioni medie aziendali, con tutto quanto ne consegue in

termini di strategie di sviluppo;

avvio del processo di deindustrializzazione a favore di quello di terziarizzazione.

Tutte queste dinamiche si sono pienamente rivelate alla metà degli anni '90, anche a

causa della profonda crisi che ha interessato il Paese dopo l'uscita dallo SME del 1993.

Il loro effetto finale è stato quello di imporre ai policy-maker locali un approccio ancor

più responsabile nella programmazione. È infatti apparsa sempre più evidente l'inutilità

del mito della crescita economica fine a se stessa, misurata in termini di produzione di

beni e servizi, un mito che, nell'ambito degli obiettivi della programmazione economica

locale, può essere sostituito da nuovi obiettivi, come ad esempio il valore aggiunto pro-

capite. Accettare questa impostazione ha significato coordinare tutti gli interventi in

modo che venga massimizzato lo sviluppo socio-economico corrente e sia nel contempo

salvaguardato quello futuro. Si è preso atto che le azioni in campo economico, e

soprattutto in campo territoriale, determinano effetti di lungo periodo in molti casi

irreversibili.

La sostenibilità dello sviluppo va infatti intesa non solo come mera compatibilità fra

attività produttive e ambiente, che rappresenta certamente un punto importante quando

quest'ultimo è inteso in senso abbastanza ampio, ma anche come capacità del sistema

socio-produttivo di sopportare nel lungo periodo le trasformazioni di tipo demografico e

le sfide economiche. Ciò ha significato agire nel territorio secondo una logica integrata

che ha mirato a rafforzare il legame di appartenenza della cittadinanza, sulla base di uno

spirito di miglioramento intergenerazionale del benessere.

La valorizzazione del potenziale di sviluppo endogeno ha sempre rappresentato un

obiettivo primario della programmazione economica camerale, ma l'incedere delle

trasformazioni anzidette ha accentuato decisamente questo carattere. La valorizzazione

del potenziale di sviluppo endogeno, che si esplica nel costruire il futuro a partire dalle

dotazioni esistenti di risorse umane, finanziarie, infrastrutturali e ambientali, ha

rafforzato il ruolo camerale di guida della programmazione economica territoriale nel

momento in cui fattori tradizionali e potenzialità innovative hanno iniziato ad integrarsi,

richiedendo così nuove capacità strategiche e progettuali. È quindi evidente il valore

aggiunto della strategia camerale, intrisa di politiche di intervento che tengono conto

delle specificità territoriali in un'ottica di crescente valorizzazione di tutte le risorse

presenti nella Provincia.

Volendo riassumere, ci si può chiedere se le evidenze raccolte giustificano l'idea che

la CCIAA possa essere un agente di sviluppo locale.

In primo luogo vanno eliminate le illusioni su circuiti virtuosi automatici, sulla

trasposizione su scala locale di semplici modelli macroeconomici che in definitiva fanno

dipendere i tassi di crescita soprattutto dalla dimensioni degli investimenti. Quando si

discute di periodo "lungo" e si considerano "piccole" aree è chiaro che conta non solo la

quantità di investimento ma soprattutto la sua qualità: da ciò il passo dalla politica dei

settori a quella dei fattori è piuttosto breve.

In secondo luogo, c'è un altro equivoco da dissipare a riguardo della grande

propensione all'imprenditorialità in un'area come quella vicentina. Quando si guardano i

80

tassi di natalità, anche depurando i dati dalla microimprenditorialità del tutto marginale,

è palese la sensazione di una grande effervescenza. Non sembra affatto che scarseggino

soggetti desiderosi di mettersi in proprio. Ma una unità di fattore organizzativo-

imprenditoriale è una risorsa "specializzata" che per essere attivata richiede una apposita

(e non casuale) combinazione tra la predisposizione personale a prendere decisioni in

condizioni di incertezza e la predisposizione alla vita imprenditoriale90

. Come si può

notare, trattasi di doti connaturate o meno nei soggetti, sulle quali è piuttosto difficile

intervenire dall'esterno. La qualità dell'una e dell'altra caratteristica, però, vengono forse

più alla luce nell'evitare la morte di un'impresa che nel farla nascere o dal dichiararsi

imprenditore. In un'area come la Provincia di Vicenza il problema non è tanto quindi

quello di favorire la creazione di qualche impresa in più, quanto quello di creare

condizioni migliori per quelle che già esistono.

In terzo luogo, chi vuole assistere le imprese nella gestione dei cambiamenti non può

basarsi su interventi occasionali e/o settoriali, ma coordinati e attivati con gradualità.

L’importanza di ciò è stata recepita dalla CCIAA: il tratto comune dei suoi interventi è

l’attivazione di una rete di iniziative che aiutino le imprese ad apprendere i nuovi spunti

innovativi micro e macro-ambientali e di progettare i conseguenti cambiamenti. Sembra

proprio questa la sintesi del carattere trasversale degli interventi camerali.

Da tutto ciò consegue che gli interventi sui fattori dello sviluppo locale possono

giocare un ruolo veramente importante. La politica per fattori è strategica poiché

consente il rispetto delle pari opportunità da assegnare alle varie sub-aree che

compongono il sistema provinciale, comprese quelle ritenute marginali. In una

programmazione per fattori le pari opportunità costituiscono l'equivalente di una politica

di riequilibrio in una programmazione per settori, però con la profonda innovazione che

gli interventi sono a monte dei processi produttivi e non a valle, a tutto vantaggio della

qualità dei fattori. La complessiva strategia camerale non solo migliora la qualità dei

fattori produttivi tradizionali, ma favorisce anche l'introduzione di fattori produttivi

nuovi o di nuove modalità nel loro utilizzo. Più in generale, la filosofia della politica per

fattori perseguita dalla CCIAA evita la riduttiva distinzione tra settori forti e settori

marginali, e si fonda sull’integrazione di relazioni e di funzioni tra le aziende.

Gli interventi camerali denotano la consapevolezza che la mancata valorizzazione

delle risorse in qualsiasi punto del sistema comporta una perdita di efficienza

complessiva e non solo uno squilibrio aggredibile a posteriori. Ciò spiazza la scelta tra

l'alternativa "efficientistica", che porta a concentrare risorse nei settori forti, e

l'alternativa "solidaristica", caratterizzata da massicci interventi nei settori marginali. La

razionalizzazione dello sviluppo del sistema locale è infatti un processo unitario che

passa attraverso la valorizzazione di tutti i punti nodali del sistema stesso.

90

Nella quale non esiste l'orario di lavoro, ed il tempo non è scandito dagli orologi ma dai tempi delle

consegne ai clienti.