iL VIZIO DI INCOMPETENZA FRA FORMA E SOSTANZA

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L’incompetenza fra forma e sostanza Sergio Moro

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L’incompetenza fra forma e sostanza Sergio Moro

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA

PUBBLICAZIONI DELLA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA

3 MONOGRAFIE XXIII

L’INCOMPETENZA TRA FORMA E SOSTANZA

SERGIO MORO

CEDAM 2008

Ai miei genitori

INDICE

PREMESSA 1.1 Obiettivi della ricerca ............................................................. p. 1 1.2 Presupposti della ricerca ........................................................ » 2

CAPITOLO PRIMO

L'ART. 21 OCTIES SECONDO COMMA PRIMO ALINEA DEL-LA L. N. 241/1990: PROBLEMATICHE DI CARATTERE GENERALE

1.1 I provvedimenti rientranti nell’ambito di applicazione

dell’art. 21 octies secondo comma della l. n. 241/1990 non sono né irregolari né sanati in applicazione della re-gola del raggiungimento dello scopo. .................................. » 19

1.2 Segue: ma sono illegittimi, eppure non annullabili. I rap-porti tra illegittimità ed invalidità nella concezione giuri-dica logico-formale ed in quella reale-oggettiva................. » 34

2 La «non annullabilità» dei provvedimenti illegittimi: dubbi di compatibilità con il principio costituzionale del-la «immancabilità e insostituibilità» della tutela giurisdi-zionale....................................................................................... » 51

3. Critiche alla configurazione dell’interesse legittimo come «interesse strumentale alla legittimità dell’esercizio del potere amministrativo» e superamento delle perplessità di legittimità costituzionale dell’art. 21 octies secondo comma...................................................................................... 60

4 L’art. 21 octies secondo comma della l. n. 241/1990 come paradigma di un nuovo modello di amministrazione ....... » 70

INDICE VIII

CAPITOLO SECONDO

LA DEQUOTAZIONE DEL VIZIO DI INCOMPETENZA NELL’AMBITO DELL’ART. 21 OCTIES SECONDO COMMA DELLA

L. N. 241/1990

1. Il vizio di incompetenza rientra nell’ambito di applica-zione dell'art. 21 octies secondo comma primo capoverso della l. n. 15/2005: ragioni di ordine letterale e teleologi-co............................................................................................... » 81

2.1 La «non annullabilità» del provvedimento affetto dal vi-zio di incompetenza è compatibile con il «dovere di ri-messione dell'affare all'autorità competente» .................... » 94

2.2 Segue: purché l’incompetenza abbia natura infrasoggetti-va .............................................................................................. » 100

CAPITOLO TERZO

L’EFFICACIA NON INVALIDANTE DELLA VIOLAZIONE DELLE NORME SULLA COMPETENZA:

NECESSITÁ DI UNA ACTIO FINIUM REGUNDORUM

1 La lettura logico-formale del vizio di incompetenza ela-borata dalla dottrina della prima metà del secolo scorso.. » 111

2. La dimensione soggettiva della pubblica amministrazio-ne, con particolare riferimento al riparto di competenza, non è neutra ed indifferente rispetto alla cura dell’interesse pubblico, ma e-sercita un ruolo di prefigu-razione e di indirizzo dell’azione amministrativa............... » 122

3. La struttura e la natura dell’organo competente incide sia sulle modalità di ponderazione degli interessi pubblici «evidenziati» dalla legge sia sulla scelta dei criteri e del correlato procedimento applicativo da utilizzare nelle valutazioni di natura non discrezionale riservate alla pubblica amministrazione. L'ipotesi paradigmatica degli organi collegiali........................................................................ » 126

INDICE IX

4 Il vizio di incompetenza non è causa di annullabilità e-sclusivamente nelle ipotesi di provvedimenti integral-mente vincolati. La conclusione cui si è pervenuti non è inficiata né dalle disposizioni normative che riservano a «decreti di natura non regolamentare l’individuazione degli uffici di livello dirigenziale e la definizione dei rela-tivi compiti» né da quelle che attribuiscono agli organi gestionali il potere di «assumere le determinazioni per l’organizzazione degli uffici [...] con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro................................................... » 137

CAPITOLO QUARTO

L’ANNULLABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO ADOTTATO IN VIOLAZIONE DELLE NORME SULLA COMPETENZA E I

CANONI COSTITUZIONALI DI IMPARZIALITÀ E DI BUON AN-DAMENTO

1.1 L’imparzialità è garantita non solo dai principi e dalle

regole concernenti l’amministrazione oggettiva, ma an-che dalle norme inerenti l’amministrazione soggettiva ed, in particolare, da quelle che disciplinano il riparto di competenza fra gli organi. Tale assunto non si applica ai provvedimenti integralmente vincolati................................ » 145

1.2 La figura paradigmatica della ripartizione della compe-tenza fra organi di governo e dirigenti. ............................... » 155

2 L’annullabilità del provvedimento viziato da incompe-tenza appare diretta a garantire che il potere venga eser-citato dall’or-gano ritenuto dalla legge adeguato ed ido-neo a ponderare i molteplici interessi confliggenti e, quindi, che «la trasformazione del potere in atto» sia conforme al principio di buon andamento. Tale assunto non si applica ai provvedimenti integralmente vincolati .. » 176

INDICE X

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE » 187 BIBLIOGRAFIA …………………………………………» 191

PREMESSA

SOMMARIO: 1. Obiettivi della ricerca. – 2. I presupposti della ricerca

1. OBIETTIVI DELLA RICERCA. «Poco conta lo scrivere il parlando a in principio o in fine

dell’atto di citazione. La cosa essenziale è il non ometterlo. Ma siccome spesso l’atto di citazione è consegnato all’usciere, sia dalla parte sia dal suo patrocinatore, scritto di pugno dell’uno o dell’altro; siccome vi si scrivono le parole parlando a, lasciando appresso un pò di spazio in bianco da riempirsi da questo uffi-ziale ministeriale, così egli deve stare attento a scrivere in linea retta in seguito delle dette parole e non mai in ogni altro luogo dell’atto, il cognome, o la qualità della persona cui consegna la copia; diversamente l’atto di citazione dovrebbe esser dichiarato inefficace, come avvenne in una causa (decisa dalla Corte di Brusselle il 26 Giugno 1803) il cui il nome della persona che a-veva ricevuto l’atto erasi scritto nel corpo di esso due linee più sopra del luogo dove stava scritto il parlando a» (1).

Il problema del rapporto tra forma e sostanza appare essere una costante del fenomeno giuridico moderno (2) ed è, nell’am-bito del diritto amministrativo, un tema particolarmente discus-so soprattutto dopo l’entrata in vigore della legge 15/2005 che, codificando in parte alcune elaborazioni giurisprudenziali, e-sclude espressamente la «annullabilità del provvedimento adot-tato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli at-

(1) G. MOSCA, Commentario su le leggi di procedura, vol. III, Napoli, 1840, p. 96 ri-

chiamato da S. SATTA, Il formalismo nel processo, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1958, p. 1141.

(2) S. SATTA, Il formalismo nel processo, cit., p. 1142: «il formalismo è una compo-nente dello spirito umano e come tale deve essere attentamente studiato nelle sue cause, nella sua estensione, nei suoi rimedi, e prima ancora nella sua consistenza».

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ti» in presenza di due circostanze: la natura vincolata del prov-vedimento e la «non alternatività» in concreto del suo contenuto dispositivo.

In questo quadro può essere inserito il presente lavoro arti-colato in due parti. Nella prima saranno esaminate alcune signi-ficative problematiche di carattere generale relative all’art. 21 oc-ties secondo comma primo alinea della l. n. 241/1990. In parti-colare, sarà ricercata la natura e la funzione di questa disposi-zione che suscita alcuni dubbi di legittimità costituzionale, riapre la vexata quæstio dei rapporti fra illegittimità ed invalidità ed è pa-radigmatica espressione di un nuovo modello di amministrazio-ne.

Nella seconda parte, le risultanze acquisite saranno discusse con riferimento all’incompetenza al fine di individuare se ed in quali limiti tale vizio sia riconducibile alla predetta previsione normativa ed abbia, quindi, natura formale e quando, invece, continui ad essere saldo presidio di quell’organizzazione ammi-nistrativa che la Costituzione considera necessario presupposto dell’esigenza di imparzialità e buon andamento.

Il problema – a quanto consta – non sembra sia stato og-getto di organico esame né dalla dottrina né dalla giurispruden-za che hanno invece dedicato particolare attenzione alle con-seguenze derivanti dalla inosservanza delle norme sul procedi-mento o sulla forma.

2. I PRESUPPOSTI DELLA RICERCA. Prima di avviare l’indagine, tuttavia, appare imprescindibile

esplicitare i (quattro) presupposti della ricerca. Preliminarmente, è necessario chiarire il significato attribui-

to nel presente studio all’aggettivo formale. Invero, come autorevolmente osservato, il termine forma

presenta due significati. In particolare, tale sostantivo, da un la-to designa il complesso dei caratteri comuni ad una determinata

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categoria che ne rendono possibile la distinzione rispetto ad un altra con caratteri differenti: «è qualcosa che costituisce la carat-teristica essenziale di un concetto o di un oggetto» (c.d. forma in senso ontologico) (3); dall’altro, si contrappone alla nozione di sostanza ed indica quelli elementi che non rilevano ai fini della determinazione del contenuto di una fattispecie: è «qualcosa che prescinde dal contenuto» (c.d. forma in senso gnoseologico) (4).

Utilizzando quest’ultima accezione con precipuo riferimento al diritto amministrativo (5), si è pervenuti ad asserire che il ter-mine forma fa riferimento, da una parte, alle modalità di ester-nazione del provvedimento amministrativo (c.d. forma in senso stretto) (6); dall’altra, è predicabile a quelle disposizioni normati-

(3) Così G. TARELLO, Diritto, enunciati, usi, Bologna, 1974, p. 19 che rileva co-me l’accezione c.d. ontologica del termine forma è «diffusa in usi speciali o tecnici»; S. CIVITARESE MATTEUCCI, La forma presa sul serio, Torino, 2006, p. 19-30 spec. p. 20-21: la forma in senso ontologico è «l’insieme delle caratteristiche che costitui-scono la sostanza in questione come unità identica a quella di altre sostanze dello stesso tipo e distinguibile da altre sostanze di tipo differente».

(4) In termini, G. TARELLO, Diritto, enunciati, usi, cit., p. 19 per il quale l’accezione gnoseologica di forma «è diffusa nell’uso comune»; S. CIVITARESE MATTEUCCI, La forma presa sul serio, Torino, 2006, cit., p. 21 che evidenzia come la forma in senso gnoseologico «è ciò che rende possibile attraverso processi di astra-zione e generalizzazione di conoscere il mondo fenomenico». Riguardo il significa-to del termine forma vedi amplius A. E. CAMMARATA, Formalismo giuridico, voce in Enc. Dir., vol. XVII, Milano, 1968, p. 1013 ss. con ampi riferimenti bibliografici.

(5) Nell’ambito del diritto civile, come già sottolineato da Baldo degli Ubaldi, il cui pensiero è richiamato da A. FALZEA, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto di diritto, parte I, Milano, 1992, p. 80, «sostanza è il consenso, la volontà comune dei contraenti; forma invece sono le parole, dunque, la dichiarazione attraverso cui la volontà dei contraenti si manifesta all’esterno».

(6) Cfr. M. S. GIANNINI, Atto amministrativo, voce in Enc. Dir., vol. IV, Milano, 1950, p. 177-178: «La forma è considerata da tutta la dottrina un elemento del provvedimento amministrativo»; A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, p. 651: «Un atto amministrativo non potrebbe esistere ove una mani-festazione esteriore mancasse», B. CAVALLO, Provvedimenti e atti amministrativi, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da G. SANTANIELLO, vol. III, Padova, 1993, p. 57: «La forma investe tutti gli elementi su cui si articola il provvedimento, rias-sumendoli in una unità che li trascende: l’amministrazione agente, l’oggetto nella sua connotazione temporale e spaziale, i motivi, il contenuto trovano nella forma

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ve che «nulla dicono circa la disciplina degli interessi e, dunque, sul contenuto degli atti» (7).

Ciò chiarito, si può procedere ad esaminare gli altri tre pre-supposti della ricerca che sono strettamente connessi l’uno con l’altro.

In primo luogo, si deve accertare se sia configurabile o me-no la categoria dei provvedimenti amministrativi vincolati.

La verifica non potrà che essere condotta da un lato, pren-dendo in considerazione il dato normativo; dall’altro, avvalen-dosi dei risultati acquisiti in sede di teoria generale, pur nella consapevolezza che le opzioni assunte condizioneranno in mo-do determinante le prospettive e le risultanze del prosieguo del-l’indagine.

non un semplice contenitore. Queste “membra” del provvedimento rimarrebbero “sparse” se non fossero manifestate all’esterno mediante una sola esternazione, che è la forma del provvedimento, riassuntiva di tutti gli elementi»; più recentemente R. VILLATA e M. RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, in Il Sistema di diritto ammini-strativo italiano, diretto da F. G. SCOCA, F. A. ROVERSI MONACO, G. MORBIDELLI Torino, 2006, p. 230-231: «non è immaginabile una statuizione che non abbia una veste esteriore. In caso contrario, infatti, la statuizione non risulterebbe neppure percepibile. Di conseguenza, l’esternazione è indefettibile per l’esistenza del prov-vedimento amministrativo: il precetto deve essere congegnato in un quid che lo renda idoneo a produrre effetti».

(7) In termini, A. ROMANO, Interesse legittimo e ordinamento amministrativo, in Atti del Convegno Celebrativo del CL anniversario delle istituzioni del Consiglio di Stato, Milano, 1983, p. 191-192; E. FOLLIERI, Risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi, Chieti, 1984, p. 71: le norme sostanziali «riguardano il contenuto dell’esercizio del potere; stabiliscono le regole che vanno seguite nella disciplina degli interessi»; V. CERULLI IRELLI, Considerazioni in tema di sanatoria dei vizi formali, in Vizi formali, proce-dimento, processo, a cura di V. PARISIO, Milano, 2004, passim, e spec. p. 127: «L’illegitti-mità del provvedimento ha carattere meramente formale, e cioè il vizio è irrilevante [nell’ipotesi in cui] non sia causa della mancata soddisfazione della pretesa del sog-getto (di per sé infondata) e, quindi, non ha alterato nella sostanza la qualità della decisione amministrativa che secundum ius ha lasciato insoddisfatte le aspettative del soggetto»; F. LUCIANI, Il vizio formale nella teoria dell’invalidità amministrativa, Torino, 2003, p. 341: «il “vizio formale” può individuarsi proprio in quella violazione di norme [...] inidonea [...] ad alterare la qualità della decisione amministrativa».

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Riguardo il diritto positivo, si osserva che l’art. 21 octies se-condo comma della l. n. 241/1990 richiama espressamente la nozione di attività vincolata e sembra, quindi, legittimarne l’uti-lizzo come «categoria concettuale» (8).

In relazione, invece, ai profili dogmatici si sottolinea che molteplici scuole di pensiero, pur attraverso differenti percorsi argomentativi, hanno proiettato le problematiche della discre-zionalità su quelle dell’interpretazione e sono pervenute ad e-scludere, in via di principio, la fondatezza teorica del concetto in esame (9). In questa sede non appare neppure possibile tentare un esame approfondito di queste elaborazioni, essendo invece sufficiente richiamare quella «più celebre e radicale»: la scuola della dottrina pura del diritto (10).

(8) Così G. SALA, Procedimento e processo nella nuova legge 241, in La giustizia ammi-nistrativa in trasformazione. Giornate in ricordo di Sebastiano Cassarino, a cura di D. COR-LETTO, G. SALA, G. SCIULLO, Padova, 2006, p.121.

(9) In questo senso G. SALA, Procedimento e processo nella nuova legge 241, in La giu-stizia amministrativa in trasformazione», cit., p. 121 nota 109 il quale ricorda quelle rico-struzioni che, «proiettando le problematiche della discrezionalità su quelle dell’in-terpretazione, tendevano ad escludere in via di principio la configurabilità concet-tuale di una attività amministrativa vincolata».

(10) Si accoglie la scelta metodologica di G. AZZARITI, Dalla discrezionalità al po-tere, Padova, 1989, p. 337: «La tesi del carattere creativo dell’interpretazione è stata sostenuta da scuole di pensiero tra loro molto diverse [...] come quella di Vienna, quella analitica, i realisti sia scandinavi che americani. Tutte pongono, per motivi e scopi diversi, l’accento sul fatto che l’attività interpretativa è “creatrice di diritto”. Non potendo certamente prenderle tutte in considerazione, sembra opportuno e sufficiente, ai fini che qui ci si propone, ricordare i termini in cui viene posta la que-stione dalla più celebre tra le diverse tendenze, che sembra anche la più radicale fi-nendo per identificare attività interpretativa ed attività discrezionale». Riguardo il carattere creativo dell’attività interpretativa vedi, senza pretesa di completezza, G. TARELLO, L’interpretazione della legge, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. CICU e F. MESSINEO, continuato da L. MENGONI, Milano, 1980, p. 1-85 spec. 63-64: «L’interprete rileva, o decide, o propone il significato da attribuire a un do-cumento, costituito da uno o più enunciati, di cui il significato non è affatto preco-stituito all’attività dell’interprete, ma ne è anzi il risultato; prima dell’attività dell’in-terprete, del documento oggetto dell’interpretazione si sa solo che esprime una o più norme, non quale questa norma sia o quali queste norme siano»; R. GUASTINI, Dalle fonti alle norme, Torino, 1990, p. 86: «le parole hanno solo il significato che vie-

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La predetta teoria muove da un presupposto che potrebbe essere così sintetizzato: «la norma di grado superiore regola l’atto con cui viene prodotta la norma di grado inferiore», ma «questa determinazione non è mai completa» perché «la norma di grado superiore non può vincolare in tutti i sensi l’atto per mezzo della quale viene eseguita» (11). Tale norma, infatti, «co-stituisce soltanto uno schema entro il quale si trovano molteplici

ne loro attribuito da chi le usa e/o da chi le interpreta»; ID., L’interpretazione dei docu-menti normativi, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. CICU e F. MES-SINEO, L. MENGONI, continuato da P. SCHLESINGER, Milano, 2004, spec. p. 1-137 e p. 259-266: «Ogni disposizione – specie se considerata non isolatamente, ma nel contesto dell’insieme delle disposizioni che costituiscono l’ordinamento giuridico – ha significato equivoco ed indeterminato. [...] Talora, gli organi dell’applicazione attribuiscono ad una disposizione un significato che non ricade nella “cornice” dei significati possibili, usando poi questo significato – questa norma inespressa – per giustificare una decisione. Tale operazione [...] costituisce piuttosto “creazione” [...] di una norma inespressa»; L. BENVENUTI, La discrezionalità amministrativa, Padova, 1986, p. 213 ss. spec. p. 251: «respinta ogni diversità per così dire “qualitativa” nel-la comprensione, la stessa figura della discrezionalità finisce per divenire un modo di essere non separabile sostanzialmente dalle rimanenti operazioni interpretative, ma solo differenziabile da esse per la diversa “misura” in cui si verificherebbe la concretizzazione del dettato normativo»; p. 319: «nell’ottica del campo disciplinare del diritto amministrativo, vogliamo suggerire di abbandonare la distinzione fra zo-na vincolata e zona discrezionale al fine di evitare ogni tentazione verso una sorta di formalismo interpretativo» nonché V. NICOSIA, Potere ed eccesso di potere nell’attività amministrativa «non discrezionale», Napoli, 1991, p. 80 ss. il quale, muovendo dall’o-pinabilità propria di ogni «azione umana» dubita che l’attività vincolata «consista in un che di davvero giuridicamente apprezzabile». Riguardo alle teorie di Tarello e Guastini e, più in generale, sulla nozione giusrealista dell’interpretazione cfr. M. BARBERIS, Separazione dei poteri e teoria giusrealista dell’interpretazione, in Separazione dei poteri e funzione giurisdizionale, Annuario dell’associazione italiana dei costituzionalisti, Pado-va, 2004, p. 9 ss.; relativamente all’elaborazione del Benvenuti e del Nicosia vedi le osservazioni critiche rispettivamente di G. AZZARITI, Dalla discrezionalità al potere, cit., p. 329 nota 166 e di L. FERRARA, Diritti soggettivi ad accertamento amministrativo, Padova, 1996, p. 6-11.

(11) H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, trad. it. a cura di G. TRE-VES, Torino, 1952, p. 118-120 il quale distingue fra «l’indeterminatezza intenzionale e non intenzionale del grado inferiore».

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possibilità di esecuzione ed ogni atto che si mantiene entro que-sto schema è [ad essa] conforme» (12).

Detto altrimenti, l’interpretazione delle disposizioni norma-tive conduce «a varie decisioni che hanno tutte il medesimo va-lore in quanto corrispondono alla norma da applicarsi anche se una soltanto tra esse, nell’atto della sentenza, diventa diritto po-sitivo» (13). Donde, essa non è soltanto un mero «atto intelletti-vo di chiarificazione e comprensione» (14), ma è anche esercizio di «una funzione volitiva [...] guidata dalla pura discrezionalità» (15) per cui «i tribunali e le autorità amministrative creano il dirit-to» (16). In questa ottica, la discrezionalità non ha più alcun au-

(12) Così H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, cit., p. 120. Sul punto

cfr. R. GUASTINI, L’interpretazione dei documenti normativi, cit., p. 55: «Le tesi di Kelsen in materia di interpretazione possono essere così riformulate e sintetizzate: 1. Ogni testo normativo offre agli interpreti non già una sola possibilità di interpretazione, ma una “cornice” di molteplici interpretazioni diverse, egualmente possibili o am-missibili [...]».

(13) H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, cit., p. 121: «Dal punto di vista del diritto positivo, non vi è invece un criterio in base al quale nello schema della norma che deve essere applicata, una delle possibilità date possa essere prefe-rita all’altra».

(14) H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, cit., p. 123: «la determina-zione della norma individuale nel procedimento esecutivo della legge è una funzio-ne della volontà in quanto con questa viene riempito lo schema della norma genera-le».

(15) A. MERKL, Zum Interpretationsproblem, in Grϋnhutsche Zeitschrift fϋr das Privat-recht und öffentliche Recht der Gegenwart, Wien, 1916, p. 535-556, trad. it. a cura di C. GERACI, Sul problema dell’interpretazione, in Il duplice volto del diritto. Il sistema Kelseniano ed altri saggi, Milano, 1987, p. 266.

(16) H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, cit., p. 124. È pur vero che la scuola di Vienna riconosce l’esistenza di una differenza fra l’attività creativa del giudice o dell’autorità amministrativa e quella del legislatore. Si tratta, tuttavia, di una differenza non qualitativa, ma quantitativa: «il vincolo del legislatore è molto più debole di quello del giudice per il fatto che il primo, nella creazione del diritto, è relativamente molto più libero del secondo. Ma anche il giudice è creatore del dirit-to ed egli pure è relativamente libero in questa funzione».

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tonomia concettuale essendo identificabile con l’attività inter-pretativa (17).

Orbene, i risultati cui giunge la scuola di Vienna non posso-no essere accolti per le ragioni già evidenziate dal Giannini nella prima metà del secondo scorso e che appaiono ancor’oggi attua-li. Il maestro, cui si deve «il merito di aver sottratto la discrezio-nalità dalle manifestazioni dell’attività interpretativa» (18) eviden-zia l’ontologica differenza fra le due figure in questione.

La discrezionalità è un’attività intellettiva e volitiva: la p.a. determina il valore comparativo degli interessi coinvolti nella fattispecie concreta e, quindi, adotta il provvedimento ritenuto più opportuno per la cura dell’interesse pubblico (19).

(17) Così G. AZZARITI, Dalla discrezionalità al potere, cit., p. 338-341: «la conclu-sione [cui perviene Kelsen] farebbe perdere qualunque significato giuridicamente rilevante al concetto di discrezionalità, non più utilizzabile per individuare una par-ticolare categoria di atti, ma da fare rientrare ed identificare con l’attività interpreta-tiva che accompagnerebbe l’esercizio di applicazione di qualunque norma sovraor-dinata. [...] L’impostazione Kelseniana, caratterizzando tutta l’attività amministrati-va (e giurisdizionale) come creativa di nuovo diritto fa venir meno la possibilità di distinguere fra attività vincolata e discrezionale».

(18) In termini, F. G. SCOCA, La discrezionalità nel pensiero di Giannini e nella dottri-na successiva, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2000, p. 1046 e p. 1048: «la dottrina, nella sua larghissima maggioranza, ha accolto con favore la tesi del Giannini [...] separando definitivamente il concetto di attività discrezionale da quello di attività interpretati-va».

(19) M. S. GIANNINI, Il potere discrezionale, Milano, 1939, ora in M. S. GIANNINI, Scritti, vol. I, Milano, 2000, p. 79-80: «L’attività intellettiva interviene nella discre-zionalità in pari posizione a quella volitiva: la ponderazione degli interessi dà luogo ad un’attività intellettiva in quanto si tratta di comprendere e stabilire come l’interesse essenziale sia atteggiato dal gioco degli interessi secondari. La fissazione dei valori dei diversi interessi termina in un’attività volitiva, in quanto l’autorità si pone come regola la scala dei valori da se stessa fissati, e su questa determina l’atto amministrativo in concreto nei singoli punti per i quali la legge attribuisce potere discrezionale». Come nota S. CASSESE, Scritti di M. S. Giannini, I, Milano, 2000, p. XII, il Giannini, da un lato, supera la nozione dell’interesse pubblico come interesse generale e rileva che nella fattispecie concreta è presente, oltre all’interesse c.d. pri-mario, una pluralità di interessi (pubblici e privati); dall’altro, critica la concezione dell’amministrazione come meccanica esecutrice della legge e pone in evidenza in evidenza che l’attività amministrativa discrezionale è caratterizzata dal potere di

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L’interpretazione, invece, è «un’operazione logica passibile di disciplina giuridica» (20) o, più precisamente, «risulta essere regolata dal diritto positivo nel senso che questo le pone dei li-miti formali per il resto essa è tecnica» (21). L’interprete, dunque, impiega «un sistema di criteri e di elementi che egli deve usare nella ricerca, e che essendo scientificamente definibili, danno una garanzia dell’oggettività di essa». L’attività interpretativa, quindi, «non tollera di essere commisurata al criterio del-l’opportunità: non esiste interpretazione più o meno adatta, ma una sola interpretazione esatta». Invero, come sarà successiva-mente chiarito dal Betti, «l’apprezzamento interpretativo è vin-colato [in quanto] la decisione del caso è, sempre, in teoria, uni-vocamente predeterminata. Unica è la soluzione esatta, cioè le-gittima, in quanto conforme alla valutazione legislativa delle ca-tegorie degli interessi in gioco» (22).

scegliere, fra più soluzioni, quella ritenuta più opportuna per la cura dell’interesse pubblico. Riguardo l’elaborazione del Giannini, cfr. F. G. SCOCA, La discrezionalità nel pensiero del Giannini, cit,. 1045 ss. e, per una puntuale ricostruzione dell’acceso dibattito fra Mortati e Giannini, G. AZZARITI, Discrezionalità, merito e regole non giuridi-che nel pensiero di Costanti Mortati, in Pol. Dir., 1989, p. 347 ss.

(20) M. S. GIANNINI, L’interpretazione dell’atto amministrativo e la teoria giuridica dell’interpretazione, Milano, 1939, ora in M. S. GIANNINI, Scritti, vol. I, Milano, 2000, p. 12 e p. 34.

(21) M. S. GIANNINI, L’interpretazione dell’atto amministrativo e la teoria giuridica dell’interpretazione, Milano, 1939, ora in M. S. GIANNINI, Scritti, cit., p. 61.

(22) E. BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, ed. 1971, p. 157-162 spec. p. 159 da cui è tratta è la frase riportata nel testo nonché p. 108-118 spec. 111-112 che, criticando la teoria dell’interpretazione elaborata dalla scuola di Vienna, afferma: «la ricognizione “storica” del contenuto della legge è astrattamente legata all’ulteriore compito di una integrazione che, ricollegandosi alla nomogenesi, assume rispetto ad essa carattere complementare, esplicativo di valutazioni già im-plicite. [...] I due ordini di problemi, che interessano, l’uno, la ricognizione storica, l’altro, l’elaborazione normativa sarebbero se mai (si dice) da ritenere solo gno-seologicamente, cioè astrattamente, distinti, appartenendo la seconda operazione al così detto “pensiero emozionale”. Ma qui non bisogna dimenticare che l’elemento «emozionale» o, più precisamente, valutativo ed assiologico è immanente alla nor-ma stessa da interpretare. [...] L’apprezzamento interpretativo rimane pur sempre

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La perentorietà di queste affermazioni è stata messa in dub-bio con diverse ragioni il cui approfondimento non può essere qui neppure tentato (23). Tuttavia, sembra comunque possibile sostenere che il prodotto dell’attività interpretativa non è mai una scelta tra soluzioni diverse tutte egualmente ammesse dal-l’ordinamento: la norma valida è una sola (24).

In questo quadro, appare possibile distinguere fra l’attività amministrativa discrezionale e quella vincolata (25): la prima è sindacabile nei limiti in cui siano violati gli ordinari standard di giudizio secondo logica e ragionevolezza che dovrebbero pre-

vincolato e subordinato alla linea di coerenza logica, che si dimostra immanente all’ordine giuridico considerato nella sua organica totalità».

(23) C. MARZUOLI, Potere amministrativo e valutazioni tecniche, Milano, 1985, p. 156 ss.; E. CASETTA, Riflessioni in tema di discrezionalità amministrativa, in Dir. Econ., 1998, p. 505: «La possibilità che esista un significato oggettivo preesistente che l’inter-prete è chiamato a svelare pare dunque risolversi in una costruzione artificiosa non corrispondente alla realtà»; più recentemente, R. VILLATA e M. RAMAJOLI, Il provve-dimento amministrativo, cit., p. 57: «il ritenere che sempre esista nel caso del-l’interpretazione un significato oggettivo preesistente, che l’interprete è chiamato a svelare, è costruzione artificiosa, non corrispondente alla realtà». Inoltre, l’elabo-razione del Giannini è inquadrabile nell’ambito della teoria c.d. cognitivista (o for-malista) dell’interpretazione; teoria che è stata – secondo l’autorevole opinione del costituzionalista M. DOGLIANI, Interpretazione, voce in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. CASSESE, vol. IV, Milano, 2006, p. 3179 spec. p. 3181 – «dominante dall’avvento del giuspositivismo», ma attualmente «sconfitta dalle teorie scettiche ed eclettiche».

(24) In termini, G. AZZARITI, Dalla discrezionalità al potere, cit., p. 330: «Il mo-mento soggettivo nell’attività interpretativa determina la natura intellettiva dell’ope-razione ermeneutica. [...] L’integrazione è limitata dalla valutazione normativa e-spressa e da interpretare, non può dunque giungere a liberamente volere e quindi a proporre nuove disposizioni normative. In questo senso la soluzione valida è teoricamente una sola (corsivo aggiunto)»; R. VILLATA e M. RAMAJOLI, Il provvedimento amministrati-vo, cit., p. 57: «il fatto che il prodotto dell’attività di interpretazione risulti eventual-mente non univoco impedisce soltanto che la norma interpretata venga considerata in termini di «verità», potendo considerarsi solo in termini di “validità”».

(25) In questo senso E. CASETTA, Riflessioni in tema di discrezionalità amministrati-va, cit., p. 521: «la circostanza che sia possibile distinguere fra discrezionalità e pro-cedimento interpretativo, [...] conferma indirettamente la contrapposizione fra vin-colatezza e discrezionalità».

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siedere al corretto processo decisionale (26); la seconda invece comporta una «traduzione dai termini astratti del disposto della legge a quelli concreti della fattispecie» (27) il cui risultato è inte-gralmente controllato e – ove errato – sostituito dal giudice (28).

(26) E’ la tesi di G. SALA, Potere amministrativo e principi dell’ordinamento, Milano, 1993, p. 157-229; ID., L’eccesso di potere amministrativo dopo la legge 241/1990: un’ipotesi di ridefinizione, in Dir. Proc. Amm., 1993, p. 175 ss. che distingue fra i principi, la cui violazione configura un’ipotesi di violazione di legge, e gli standards, la cui inosser-vanza integra l’eccesso di potere. I primi vengono ricavati dal complesso delle di-sposizioni normative ed hanno carattere precettivo nei confronti della generalità dei cittadini; i secondi invece sono criteri di giudizio o valutazione ritenuti ragionevoli in un determinato momento storico o in un determinato gruppo sociale. In altri termini, integrano «parametri di giudizio dell’attività di attuazione delle norme per garantire la consonanza dei comportamenti ai modelli comunemente accettati» ov-vero rappresentano un «criterio giuridico normale del comportamento sociale». In questa prospettiva, l’eccesso di potere è qualificabile come «il travalicamento nel-l’esercizio di un potere discrezionale dei limiti di accettabilità delle decisioni dell’a-mministrazione alla luce di correnti criteri di valutazione, di standard di verifica di logicità e ragionevolezza, quali limiti connaturali ad ogni manifestazione del potere pubblico». Detto altrimenti, il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezio-nalità amministrativa censura «l’inaccettabilità della decisione amministrativa per violazione non di norme, ma di criteri, comunemente condivisi, di valutazione se-condo logica e ragionevolezza: parametro di verifica sono i modelli correnti di giu-dizio con i quali l’esercizio del potere discrezionale non può confliggere, a pena di parere arbitrario».

(27) L’espressione è tratta da M. S. GIANNINI, L’interpretazione dell’atto ammini-strativo e la teoria giuridica dell’interpretazione, ora in M. S. GIANNINI, Scritti, cit., p. 209.

(28) Vedi G. AZZARITI, Dalla discrezionalità al potere, cit., p. 334: «il controllo sul-la validità-correttezza dell’operazione interpretativa viene effettuata ripercorrendo lo stesso iter ed utilizzando i medesimi strumenti logico-concettuali a disposizione dell’interprete: l’intera attività interpretativa viene rinnovata da un diverso soggetto; se poi il soggetto controllore ha anche un potere di ius dicere in via definitiva, la pri-ma interpretazione viene normalmente sostituita [...] da quella successivamente pre-ferita e che viene ritenuta esprimere la sola corretta volontà del documento inter-pretato»; D. DE PRETIS, Valutazioni amministrative e discrezionalità tecnica, Padova, 1996, p. 375 che, pur attraverso un differente percorso argomentativo, evidenzia egualmente che l’attività vincolata è controllabile dal giudice (chiamato a verificare la corretta applicazione della legge)»; D. U. GALETTA, Violazione di norme sul procedi-mento amministrativo e annullabilità del provvedimento, Milano, 2003, p. 96: «la distinzione fra attività vincolata e attività discrezionale pare doversi individuare [...] nella scelta della norma attributiva del potere di lasciare o meno all’amministrazione uno spazio

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Ma qual è la posizione che «dialoga con il potere» (29) nell’i-potesi in cui quest’ultimo abbia natura vincolata?.

Si tratta, a tutt’evidenza, di un interrogativo la cui trattazione esula dai limiti della presente indagine. Invero, in questo lavoro si accoglie quell’autorevole orientamento dottrinale secondo cui il provvedimento vincolato, analogamente a quello discreziona-le, rappresenta «la condizione necessaria e sufficiente» per la produzione degli effetti giuridici astrattamente previsti dalla di-sposizione attributiva del potere di provvedere (30). Nell’ipotesi di attività vincolata, quindi, la costituzione, modificazione, e-stinzione della situazione soggettiva del privato non trova fon-damento direttamente nella legge, ma sempre nell’esercizio del potere di cui il provvedimento è espressione. In altri termini, la natura vincolata o discrezionale del potere attribuito alla p.a. non sembra incidere «né sulla sua esistenza né sulla sua natura né sugli effetti che esso può generare nell’ordinamento giuridico bensì solo sulle modalità di svolgimento» (31): l’amministrazione autonomo ed insindacabile per operare la scelta più adeguata al caso concreto»; G. FALCON, Lezioni di diritto amministrativo, Padova, 2005, p. 43-45; R. VILLATA e M. RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, cit., p. 74 che, pur riconoscendo come «in realtà, nel caso di attività vincolata la cui cognizione sia devoluta non al giudice or-dinario, bensì al giudice amministrativo, non sempre si verifica un sindacato pieno», sostiene che «l’attività vincolata in quanto mera attuazione della legge, si presta ad un completo riesame della determinazione amministrativa e dovrebbe essere inte-gralmente conoscibile dal giudice amministrativo e valutabile nella sua conformità o meno rispetto alla legge».

(29) L’espressione è di F. G. SCOCA, Contributo sulla figura dell’interesse legittimo, Milano, 1990, p. 35.

(30) Così, M. OCCHIENA, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, 2002, passim ed in specie p. 278 ss. ove pone in luce la distinzione fra il provvedimento amministrativo e l’atto amministrativo avente efficacia meramente dichiarativa. Quest’ultimo costituisce «semplice presupposto per la produzione dell’effetto: la causa di quella vicenda giuridica è però da rintracciarsi direttamente nell’ordinamento».

(31) In termini, M. OCCHIENA, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento ammini-strativo, cit., p. 273-275: «Il potere pare sussistere ogni volta in cui la legge attribui-sce all’amministrazione la possibilità di concorrere a creare, modificare, estinguere situazioni giuridiche, cioè di concorrere a trasformare – in vario modo e vario titolo

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è titolare del «potere di disporre la produzione di effetti giuridici sia nel caso di atti discrezionali sia nel caso di atti vincolati» (32).

– “l’assetto giuridico degli interessi finali”. “Concorrere” nel senso che a volte la legge non riconosce alle amministrazioni la possibilità di scegliere tra alcune moda-lità di esercizio del potere per determinare il contenuto della decisione. In questa ipotesi il legislatore affida agli enti pubblici il compito di confermare, di dare segui-to effettivo alle scelte, di rendere giuridicamente operanti le decisioni, di costituire (far venire in essere) l’effetto consistente nelle modificazioni giuridiche che, prefi-gurate dall’ordinamento, abbisognano di essere concretizzate».

(32) L’efficace espressione è tratta da R. VILLATA e M. RAMAJOLI, Il provvedi-mento amministrativo, cit., p. 68; F. G. SCOCA La teoria del provvedimento dalla sua formu-lazione alla legge sul procedimento, in Le trasformazioni del diritto amministrativo. Scritti degli allievi per gli anni ottanta di M. S. Giannini, a cura di S. AMOROSINO, Milano, 1995, p. 280 ss. spec. 287: «Anche quando manchi qualsiasi discrezionalità, può restare (e positivamente resta) attribuito all’amministrazione il potere costitutivo, senza il cui esercizio l’effetto, benché interamente disciplinato (o raffigurato) dalla legge (o an-che da altro precedente atto amministrativo), non si produce»; E. CASETTA Provve-dimento e atto amministrativo, voce in Dig. Disc. pubbl., vol. XII, Torino, 1997, p. 243 ss. spec. p. 251: «la corretta percezione della distinzione fra caratteri del potere […] e modalità del suo esercizio in vista di interessi pubblici (discrezionale o vincolato) consente di equiparare sotto il profilo della rilevanza sul piano dell’ordinamento generale provvedimenti vincolati e discrezionali e di respingere la tesi secondo cui i primi sarebbero atti meramente ricognitivi e privi di efficacia costitutiva», ID., Rifles-sioni in tema di discrezionalità amministrativa, cit., p. 521-522: «la linea di confine tra i due ambiti [discrezionalità e vincolatezza], non coincide con quella che segna il li-mite tra potere dell’amministrazione e assenza di potere. [...] Il potere è sempre “potere” anche se vincolato, gli effetti giuridici non sono qualitativamente diversi in ragione della natura discrezionale o vincolata del provvedimento»; B. G. MATTA-RELLA, L’imperatività del provvedimento amministrativo, Padova, 2000, p. 432-438 spec. p. 435: «ove si muova dalla considerazione del potere come strumento di pro-duzione di un effetto giuridico, ritenere che esso sia sempre un potere di scelta non appare necessario: la tecnica di produzione dell’effetto basata sulla successione norma-potere-effetto sembra compatibile con la natura obbligatoria dell’esercizio del potere». Contra E. CAPACCIOLI, Disciplina del commercio e problemi del processo ammi-nistrativo, in Studi in memoria di E. Guicciardi, vol. I, Padova, 1975, p. 349 ss. spec. p. 359 ss.; ID., Pagine scelte dal manuale di diritto amministrativo, a cura di F. MERUSI e D. SORACE, Padova, 1995, p. 57-79 spec. p. 75 ss. L’elaborazione del Capaccioli è, come noto, sviluppata da A. ORSI BATTAGLINI, voce Autorizzazione amministrativa, voce in Dig. Disc. Pubbl., vol. II, Torino, 1987, p. 58 ss. spec. p. 70 ss.: Alle autoriz-zazioni vincolate, «preesiste sempre un diritto soggettivo, ma in senso più ampio di quanto ritenuto per le autorizzazioni in genere, perché esse non svolgono neppure

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In questa prospettiva, la posizione soggettiva del cittadino che «dialoga con il potere» vincolato (ma anche discrezionale) appare qualificabile come interesse legittimo: «avanti al potere, che non trova limite al suo modo di esplicarsi nei diritti e nelle libertà altrui ma soltanto nelle norme che lo disciplinano, il dirit-to soggettivo è situazione giuridica muta e nuda» (33).

la funzione di rimozione del limite se non in un senso assai più ristretto e parziale che vedremo»; ID., Attività vincolata e situazioni giuridiche soggettive, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1988, 1 ss. spec. p. 49: «solo l’atto discrezionale è atto di autorità, è ema-nato nell’esercizio di un potere di supremazia, dove tali concetti si identificano con la possibilità conferita dall’ordinamento ad un soggetto di dettare unilateralmente disposizioni vincolanti onde curare l’interesse pubblico di cui è portatore; mentre gli atti vincolati non sono autoritativi perché sono soltanto applicazione di una di-sciplina esterna, e dunque di proprio non impongono nulla»; D. SORACE, «Gli inte-ressi di servizio pubblico» tra obblighi e poteri dell’amministrazione, in Foro It., 1988, V, p. 205 ss.; L. FERRARA, Diritti soggettivi ad accertamento amministrativo, cit., p. 42 ss.; D. DE PRETIS, Valutazioni amministrative e discrezionalità tecnica, cit., p. 375 che nega l’esistenza di «una situazione di potere nell’ipotesi in cui il legislatore abbia previsto un’attività di mera attuazione del contenuto della norma».

(33) F. G. SCOCA, Contributo sulla figura dell’interesse legittimo, cit., p. 7-8; ID., La prospettiva amministrativistica, in Nuove forme di tutela delle situazioni soggettive nelle esperienze processuali. Profili Pubblicistici, Milano, 2004, p. 32-35: «Si può dire, ed anche è stato detto recentemente, che, se manca il potere, il privato è titolare di un diritto sogget-tivo; mentre se all’amministrazione spetta il potere, non è configurabile alcun diritto soggettivo. E’ opportuno rammentare che questa d’altronde era la tesi solarmente ed ineccepibilmente affermata da Vittorio Emanuele Orlando: c’è un contrasto lo-gico insanabile nel ritenere che sia possibile la contemporanea presenza, in due soggetti che relazionano tra di loro, di un potere in testa all’uno e del diritto sogget-tivo in capo all’altro. La presenza del diritto soggettivo esclude il potere; la presenza di un potere esclude il diritto soggettivo. Il problema può semmai riguardare l’i-potesi di potere vincolato. [In questa ipotesi] ci può anche essere un diritto soggettivo, nel senso cioè che il privato può avere diritto ad ottenere o a non perdere il bene della vita, che è oggetto del provvedimento, ma non si può negare ci sia (in ogni caso anche) un interesse legittimo»; ID., Divagazioni su giurisdizione e azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione, in Dir. Proc. Amm., 2008, p. 4: «a fronte del potere il privato è titolare di interessi legittimi, ed è pertanto conseguente che la tu-tela nei confronti del provvedimento autoritativo, che è il punto di arrivo dell’esercizio del potere, coinvolga l’interesse legittimo, anche se il provvedimento abbia ad oggetto un diritto soggettivo»; E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2007, p. 299; M. OCCHIENA, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento ammi-

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Rimane, infine, da approfondire se il binomio «vincolatezza-discrezionalità» sia sufficiente ad inquadrare integralmente l’at-tività provvedimentale della p.a. La soluzione appare negativa. Invero, come autorevolmente dimostrato, esiste un tertium genus costituito dalla c.d. valutazioni non discrezionali. Tali valutazio-ni, pur non essendo riconducibili né nell’(incerto) campo della c.d. discrezionalità tecnica (34) né in quello dell’attività vincolata stricto sensu, non sono neppure espressione di discrezionalità pu-ra. Sono caratterizzate, invece, da un «apporto valutativo origi-

nistrativo, cit., passim, spec. p. 221-346, il quale, riprendendo la teoria e la terminolo-gia di Hohfeld, configura il diritto soggettivo come «situazione giuridica immune dal potere» e perviene ad affermare che la posizione soggettiva del cittadino avanti al potere amministrativo è necessariamente qualificabile come interesse legittimo; D. U. GALETTA, Violazione di norme sul procedimento amministrativo e annullabilità del provvedimento, cit., p. 117: «ove l’amministrazione faccia uso di un potere l’atto ammi-nistrativo, anche se vincolato, avrà sempre la stessa rilevanza rispetto alla vicenda inerente la posizione giuridica soggettiva del destinatario: egli sarà, perciò, comun-que titolare di un interesse legittimo»; G. GRECO, L’accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Milano, 1980, p. 129: «Di fronte all’esercizio o alla possibi-lità di esercizio di un potere certamente esistente – e in quanto tale, e per disciplina attribuitagli dall’ordinamento, idoneo a produrre atti autoritativi ed imperativi – non è possibile rinvenire posizioni di diritto soggettivo (ma sebbene di interesse legittimo) perché [...] diritti soggettivi e potestà sono termini inconciliabili all’in-terno di un medesimo rapporto giuridico». Intermedia, come noto, appare la posi-zione della giurisprudenza che, ormai in via tralaticia, afferma: «di fronte all’attività vincolata si avranno diritti o interessi secondo che la norma sia rivolta a tutelare in via primaria e diretta l’interesse privato o l’interesse pubblico» (cfr., Ad. Plen., 24 Maggio 2007, n. 8, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico n. 5/2007; Ad. Plen. 27 Novembre 2000, n. 17, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico n. 11/2000). Peraltro, come già osservava, G. GUARINO, Atti e poteri amministrativi, in Dizionario di diritto amministrativo, vol. I, Milano, 1983, p. 332 la seconda ipotesi è quella «di più larga applicazione».

(34) Come ricorda, D. DE PRETIS, Valutazioni amministrative e discrezionalità tecni-ca, cit., p. 262-263, «la dottrina italiana [...] sembra porsi in termini di ridotta consa-pevolezza il problema dell’attitudine di tale categoria a coprire esaustivamente il campo di ciò che si pone fra l’attività vincolata e l’attività discrezionale (in senso stretto)».

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nale» (35) da parte della p.a. cui una specifica disposizione legi-slativa ha riservato il potere di compiere un determinato apprez-zamento scegliendo fra più criteri di valutazione che, pur opina-bili, sono egualmente corretti e ragionevoli (36).

Riepilogando, quindi, si può concludere che il presente lavo-ro sottende l’esistenza (autorevolmente affermata) di tre tipolo-gie di provvedimenti: quelli discrezionali, le c.d. valutazioni non discrezionali e quelli integralmente vincolati dalla legge o dalle regole generali predeterminate dalla stessa amministrazione (37).

Le ipotesi riconducibili a questa fattispecie, pur essendo sen-za dubbio poche, non sembrano costituire «un’ipotesi di scuola»

(35) D. DE PRETIS, Valutazioni amministrative e discrezionalità tecnica, cit., p. 237:

«[Le valutazioni non discrezionali] sono caratterizzate da una creatività differenziata e particolare nella quale l’apporto valutativo originale dell’amministrazione consiste in un intervento creativo legittimato da una previsione normativa di affidamento [e tale intervento] è essenzialmente diverso dall’attività di semplice interpretazione».

(36) Ancora D. DE PRETIS, Valutazioni amministrative e discrezionalità tecnica, cit., p. 373 ss, spec. p. 379: «la categoria delle c.d. valutazioni non discrezionali non pare [...] caratterizzata dall’utilizzo di cognizioni del sapere specialistico aventi un ampio margine di opinabilità e soggettività, ma da una chiara, precisa e specifica volontà del legislatore di affidare in via esclusiva alla p.a. il potere di operare una certa valu-tazione che, in mancanza di tale attribuzione normativa, dovrebbe ritenersi assorbi-ta nella semplice attività di attuazione della legge».

(37) In proposito, cfr. M. NIGRO, Trasformazioni dell’amministrazione e tutela giuri-sdizionale differenziata, in Riv. Trim. Dir. Proc., 1980, p. 22-23: «l’amministrazione ope-ra sempre più attraverso disposizioni generali, in particolare attraverso direttive, di cui le pianificazioni sono la forma più significativa e complessa, oltre che più diffu-sa in alcuni settori. [...] Si pensi al nesso piano urbanistico-autorizzazione singola per edificare ovvero al nesso piano di adeguamento e di sviluppo commerciale-sin-gola licenza commerciale, per i quali la posizione del singolo nei confronti dell’au-torizzazione e della licenza è predeterminata anticipatamente e durevolmente degli atti di piano»; P. STELLA RICHTER, L’aspettativa di provvedimento, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1981, p. 41-42: «il fenomeno [dell’attività vincolata] è in crescita, per l’a-dozione diffusa del modello procedimentale del piano, come intermedio tra la fonte normativa generale e l’atto singolo di gestione dell’interesse pubblico, ma è sempre esistito in funzione della possibilità vuoi di direttive vincolanti di un’autorità sopra-ordinata vuoi di autolimitazioni del potere discrezionale attuate con deliberazioni preliminari di carattere generale»; P. M. VIPIANA, L’autolimite della pubblica ammini-strazione, Milano, 1990, p. 331.

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(38). E, comunque, «la rarità di un fenomeno non appare motivo sufficiente per annullarne la relativa concettualizzazione» (39).

(38) L’espressione è tratta da S. CASSESE, Le basi del diritto amministrativo, Roma-

Bari, 2000, p. 443-444. Al riguardo vedi criticamente E. CASETTA, Introduzione, in Il diritto amministrativo degli anni ‘80, Atti del XXX Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, 20-22 Settembre 1984, Milano, 1987, p. 30 che rileva la «tenden-za, sempre più accentuata negli anni più recenti, del legislatore ad occupare spazi [...] istituzionalmente riservati alla pubblica amministrazione, attraverso una norma-tiva invadente e dettagliata che riduce spesso al minimo la discrezionalità ammini-strativa»; A. ORSI BATTAGLINI, Attività vincolata e situazioni soggettive, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1988, p. 7: «la tesi talvolta espressa, secondo la quale l’attività della p.a. non sarebbe mai totalmente vincolata, non ha avuto seguito e [...] per la sua mani-festa infondatezza possiamo senz’altro trascurare»; L. FERRARA, Diritti soggettivi ad accertamento amministrativo, cit., p. 12-14 spec. p. 13: «la rarità di atti vincolati appare smentita dalla legislazione»; R. VILLATA e M. RAMAJOLI, Il provvedimento amministrati-vo, in Il Sistema di diritto amministrativo italiano, diretto da F. G. SCOCA, F. A. ROVERSI MONACO, G. MORBIDELLI, Torino, 2006, p. 65 i quali criticano le tesi che negano l’esistenza in concreto dell’attività vincolata in quanto «estremizzano il rapporto in-tercorrente tra legge ed amministrazione e livella le diverse sfumature in cui si può presentare il dettato normativo». Tipici esempi di provvedimenti vincolati sono: il permesso di costruire (cfr. P. STELLA RICHTER, I titoli abilitativi in edilizia, Torino, p. 41: «il permesso di costruire è un atto dovuto, nel senso che per regola non può essere rifiutata l’approvazione a un progetto redatto in modo del tutto conforme alle previsioni di piano»); la sanzione ripristinatoria ex art. 31 del d.lgs. 380/2001 (vedi, da ultimo, T.A.R. Campania, Sez. II, 10 Giugno 2008, n. 5825, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico n. 6/2008; T.A.R. Lazio, Sez. II ter, 7 Aprile 2008, n. 2904, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico n. 4/2008); il provvedimento di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno ex art. 4 comma 3 del decreto legisla-tivo 286/1998 (Cons. Stato, Sez. VI, 8 Febbraio 2008, n. 415, in LexItalia Rivista internet di diritto pubblico, n. 2/2008).

(39) Testualmente, L. FERRARA, Diritti soggettivi ad accertamento amministrativo, cit., p. 13.

CAPITOLO PRIMO

L’ART. 21 OCTIES SECONDO COMMA PRIMO ALINEA DELLA L. N. 241/1990:

PROBLEMATICHE DI CARATTERE GENERALE

SOMMARIO: 1.1. I provvedimenti rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 21 octies secondo comma primo alinea della l. n. 241/1990 non sono né irregolari né sanati in applicazione della c.d. regola del rag-giungimento dello scopo. – 1.2. Segue: ma sono illegittimi, eppure non annullabili. I rapporti tra illegittimità ed invalidità nella concezione giu-ridica logico-formale ed in quella reale-oggettiva. – 2. La «non annulla-bilità» dei provvedimenti illegittimi: dubbi di compatibilità con il prin-cipio costituzionale della «immancabilità e insostituibilità» della tutela giurisdizionale. – 3. Critiche alla configurazione dell’interesse legittimo come mero «interesse strumentale alla legittimità dell’esercizio del pote-re amministrativo» e superamento delle perplessità di legittimità costi-tuzionale dell’art. 21 octies secondo comma. – 4. L’art. 21 octies secondo comma della l. n. 241/1990 come paradigma di un nuovo modello di amministrazione.

1.1. I PROVVEDIMENTI RIENTRANTI NELL’AMBITO DI APPLICAZIONE DELL’ART. 21 OCTIES SECONDO COMMA PRIMO ALINEA DELLA L. N. 241/1990 NON SONO NÉ IRREGOLARI NÉ SANATI IN APPLICAZIONE DEL-LA C.D. REGOLA DEL RAGGIUNGIMENTO DELLO SCOPO.

L’indagine non può che prendere le mosse cercando di indi-

viduare la natura giuridica dei provvedimenti di cui all’art. 21 oc-ties secondo comma primo alinea della l. n. 241/1990 (1). In par-

(1) Per un quadro di carattere generale delle modifiche e delle integrazioni ap-

portate dalla l. n. 15/2005 alla l. n. 241/1990, vedi L’azione amministrativa. Commento alla l. 7 agosto 1990, n. 241 modificata dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15 e dal d.l. 14 marzo

CAPITOLO PRIMO

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ticolare, si tratta di verificare se siano irregolari oppure origina-riamente invalidi ma sanati in applicazione della c.d regola del raggiungimento dello scopo oppure ancora illegittimi eppure e-gualmente non annullabili(2).

La prima delle tre opzioni qualificatorie suscita notevoli per-plessità.

Tradizionalmente, infatti, la figura dell’irregolarità fa rife-rimento alle difformità dal paradigma normativo lievi (3), inno-cue (4), non incidenti sulla sostanza dell’atto (5), modeste (6), po-co rilevanti (7), minori (8), del tutto marginali (9): è la c.d. «irrego-larità minimale» (10).

2005, n. 35 a cura di V. ITALIA, Milano, 2005; La nuova disciplina dell’attività ammini-strativa dopo la riforma della legge sul procedimento, a cura di G. CLEMENTE DI SAN LUCA, TORINO, 2005; La pubblica amministrazione e la sua azione. Saggi critici sulla legge n. 241/1990 riformata dalle leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, a cura di N. PAOLANTONIO, A. POLICE, A. ZITO, Torino, 2005; I principi generali dell’azione amministrativa, a cura di M. P. CHITI e G. PALMA, Napoli, 2006; Incontri sull’attività amministrativa e il procedi-mento. Itinerari di un percorso formativo, a cura di P. PIRAS, Torino, 2006; La disciplina generale dell’azione amministrativa, a cura di V. CERULLI IRELLI, 2006.

(2) Cfr. R. VILLATA e M. RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, in Sistema di diritto amministrativo italiano, diretto da F. G. SCOCA, F. A. ROVERSI MONACO, G. MORBIDELLI, Torino, 2006, p. 535; F. LUCIANI, L’annullabilità degli atti amministrati-vi, in La disciplina generale dell’azione amministrativa, a cura di V. CERULLI IRELLI, Na-poli, 2006, p. 383-384: «si tratta di stabilire se la “non annullabilità” del provvedi-mento debba essere intesa come [...] un’ipotesi di anomalia non lieve eppure non determinante l’illegittimità dell’atto oppure [...] come un’illegittimità di cui l’or-dinamento [...] ammetta la sanabilità ex post ovvero configuri una disposizione di carattere meramente processuale nella quale la “non annullabilità” dell’atto descri-va più semplicemente la carenza di interesse del ricorrente [...]». Detto altrimenti, richiamando testualmente – S. GIACCHETTI, Il diritto privato della pubblica amministra-zione (sospeso tra realtà, mistificazione e fantasia), in Giur. Amm., 2007, IV, p. 514, – è ne-cessario individuare il «sesso giuridico» dei provvedimenti in questione.

(3) M. S. GIANNINI, Lezioni di diritto amministrativo, Milano, 1950, p. 402. (4) M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1993, II, p. 335. (5) L. GALATERIA e M. STIPO, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 1998, p.

479. (6) B. CAVALLO, Provvedimenti e atti amministrativi, in Trattato di diritto amministrati-

vo, diretto da G. SANTANIELLO, vol. III, Milano, 1993, p. 337. (7) G. VIRGA, Atti e ricorsi. Diritto amministrativo, Milano, 2003, p. 117-118.

L’ART. 21 OCTIES SECONDO COMMA PRIMO ALINEA

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Appare ictu oculi evidente che tali caratteri non sono pre-dicabili alle violazioni (delle norme sul procedimento) rientranti nell’ambito di applicazione della disposizione in esame(11).

Peraltro, la predetta norma non sembrerebbe riconducibile nel quadro dell’irregolarità (12) neppure se si accogliesse una dif-ferente nozione di tale istituto.

(8) F. BASSI, Lezioni di diritto amministrativo, Milano, 2008, p. 111. (9) V. CERULLI IRELLI, Lineamenti del diritto amministrativo, Torino, 2008, p. 463. (10) La locuzione «irregolarità minimale» è utilizzata da G. MORBIDELLI, Invali-

dità ed irregolarità, in Innovazione del diritto amministrativo e riforma dell’amministrazione, Milano, 2002, p. 81 ed è richiamata pure da F. LUCIANI, Il vizio formale nella teoria dell’invalidità amministrativa, cit., p. 292 ss. nonché da V. CERULLI IRELLI, Considera-zioni in tema di sanatoria dei vizi formali, in Vizi formali, procedimento, processo, a cura di V. PARISIO, Milano, 2005, p. 108. Peraltro, i manuali più recenti tendono a non defini-re in via generale l’irregolarità, ma sembrano limitarsi ad individuare le ipotesi di difformità del provvedimento riconducibili a questo istituto. Ad esempio, vedi D. SORACE, Diritto delle amministrazioni pubbliche. Un’introduzione, Bologna, 2007, p. 360-361.

(11) Cfr. M. BREGANZE, Efficacia ed invalidità del provvedimento nelle nuove «norme generali sull’azione amministrativa», in Riv. Amm., 2005, p. 77; S. CIVITARESE MAT-TEUCCI, La forma presa sul serio, Torino, 2006, p. 237: «Fin d’ora può osservarsi co-me questo requisito della speciale tenuità del difetto per la qualificazione di un atto come irregolare appare assai poco utile nell’accostarsi alla disciplina [...] di cui all’art. 21-octies comma 2, ove tale requisito è assente ed anzi [...] si può senz’altro dire che taluni dei difetti che potrebbero rientrare nella portata della disposizione [...] sono tutt’altro che minimali».

(12) Come invece afferma A. ROMANO TASSONE, Vizi formali e vizi procedurali in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico n 2/2005: «Mi sembra possibile sostenere […] la presenza, a dispetto di qualche imprecisione del dettato normativo, di una vera e propria irregolarità, accertabile dal giudice attraverso l’esame e l’interpreta-zione della fattispecie normativa, e riconducibile ad una qualificazione dell’atto im-pugnato»; G. FALCON, Lezioni di diritto amministrativo, Padova, 2005, p. 140-142: «la questione fondamentale è quella del rapporto tra la violazione e il contenuto lesivo del provvedimento. Da questo punto di vista la disposizione in questione individua [….] l’area della possibile irrilevanza della violazione sul piano dell’invalidità dell’at-to». Peraltro, come ricorda – A. CALEGARI, Sulla natura sostanziale o processuale e sull’immediata applicabilità ai giudizi pendenti delle disposizioni normative concernenti l’annullabilità dei provvedimenti amministrativi contenuti nell’art. 21 octies della l. n. 241/90, in GiustAmm Rivista Internet di diritto pubblico, p. 2, – la configurazione dei provvedi-menti di cui all’articolo 21 octies secondo comma come irregolare coincide con

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Si fa riferimento alla teoria elaborata da una recente ed in-novativa dottrina che, cercando di superare la concezione logi-co-formale dell’esperienza giuridica, ha proposto una rilettura del giudizio di validità-invalidità in chiave teleologica e, quindi, assiologica: «il valore della legittimità acquista spessore reale [...] e si piega ad un contemperamento con le esigenze di economia ed efficacia dell’azione pubblica connaturate ad un ordinamen-to [...] che vuole l’autorità protagonista del progetto di emanci-pazione umana tracciato dalla Costituzione» (13).

In questa prospettiva, il criterio discriminante fra l’irregola-rità e l’invalidità è costituito dalla attitudine o meno del provve-dimento a curare l’interesse pubblico (14).

E, applicando il predetto criterio, è qualificabile come irre-golare il provvedimento emanato in violazione di norme inido-

quanto sostenuto dal relatore del disegno di legge, on. Bressa: «scopo precipuo del-la norma in esame è quello di sancire, sul piano del diritto positivo, l’istituto dell’ir-regolarità degli atti amministrativi».

(13) Così A ROMANO TASSONE, Contributo sul tema dell’irregolarità degli atti ammini-strativi, Torino, 1993, p. 97 cui adde D. MARRAMA, Brevi riflessioni sul tema dell’irregolari-tà e dell’invalidità dei provvedimenti amministrativi, in Dir. Proc. Amm., 2005, p. 361: «la dottrina in questione – attraverso la ricostruzione dell’evoluzione del concetto di atto amministrativo e mediante la verifica dei diversi parametri utilizzati nel tempo per valutare la validità di quest’ultimo – ha dimostrato la plausibilità teorica e la convenienza sostanziale di un giudizio di validità impostato più sul binario “con-formità alla legge-effetti prodotti” che su di una semplice verifica della pedissequa corrispondenza tra fattispecie concreta e fattispecie astratta».

(14) In termini, A ROMANO TASSONE, Contributo sul tema dell’irregolarità degli atti amministrativi, cit., p. 59 ss. spec. p. 76: «L’atto amministrativo [è] una misura essen-zialmente volta alla definizione e alla cura di un interesse pubblico concreto. [...] Il provvedimento sarà dunque invalido quando la sua contrarietà alla norma ne com-prometta questa fondamentale attitudine, altrimenti può ritenersi che esso versi in condizione di semplice irregolarità»; ID., Vizi formali e vizi procedurali, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico n. 2/2005, p. 2: «Non tutti i comportamenti prescritti hanno la finalità di indirizzare il processo decisionale dell’amministrazione con-dizionandone la finale composizione di interessi, ma alcuni di tali comportamenti sono estranei al decision-making process, ed hanno di mira esclusivamente altri interes-si, la cui eventuale lesione non può in alcun modo influire sulla corretta determina-zione del contenuto decisionale del provvedimento».

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nee ad «influire sul contenuto dispositivo» della decisione amministra-tiva (15).

Orbene, la verifica di tale idoneità deve avvenire ex ante ed in astratto (16).

Emerge, quindi, una sostanziale differenza con il meccani-smo previsto dall’art. 21 octies secondo comma in forza del qua-le l’accertamento della «non alternatività» del provvedimento adottato deve essere invece compiuto in concreto ed ex post (17).

(15) A ROMANO TASSONE, Contributo sul tema dell’irregolarità degli atti amministrati-vi, cit., p. 85; R. VILLATA e M. RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, in Sistema del diritto amministrativo italiano, cit., p. 538 che, con riferimento all’elaborazione del Romano Tassone, osservano: «il pregiudizio dello specifico interesse pubblico con-creto al quale risulta preordinato il provvedimento comporta l’invalidità, mentre il pregiudizio di altri interessi, invece, l’irregolarità».

(16) A ROMANO TASSONE, Contributo sul tema dell’irregolarità degli atti amministrati-vi, cit., p. 59-63. Il carattere astratto e a priori della valutazione sottesa all’irregolarità è recentemente evidenziato anche da D. U. GALETTA, Violazione di norme sul procedi-mento e annullabilità del provvedimento, Milano, 2003, p. 163; D. MARRAMA, Brevi rifles-sioni sul tema dell’irregolarità e dell’invalidità degli atti amministrativi, cit., passim che evi-denzia come la qualificazione di un atto come irregolare prescinde in maniera asso-luta dal caso concreto e si concentra, invece, sulla disposizione normativa al fine di valutare – in astratto – gli effetti di una sua ipotetica violazione rispetto all’indi-viduazione ed alla cura dell’interesse pubblico concreto, da un lato, e alla ricondu-cibilità dell’azione alla pubblica amministrazione, dall’altro.

(17) Così R. VILLATA e M. RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, cit., p. 539: «A rigor di logica non si dovrebbe parlare di irregolarità con riferimento alle ipote-si prese in considerazione dall’art. 21 octies, comma 2. Mentre l’irregolarità opera ex ante ed in astratto, l’idoneità del provvedimento, pur adottato in violazione di una norma sul procedimento o sulla forma, a conseguire un certo risultato verrà evi-denziata di volta in volta»; M. D’ORSOGNA, Sub art. 21 octies comma 1, in La pubblica amministrazione e la sua azione, cit., p. 606: «La formulazione della disposizione richie-de una valutazione che deve essere fatta in concreto, caso per caso, e non in gene-rale»; F. FRACCHIA e M. OCCHIENA, Teoria dell’invalidità dell’atto amministrativo e art. 21-octies, l. 241/1990: quando il legislatore non può e non deve, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico, 2005, p. 22 ss.; ID., Sub art. 21 octies comma 2, in La pubblica ammini-strazione e la sua azione, cit., p. 616: «Posto che l’art. 21 octies richiede, invece, una ve-rifica in concreto relativamente all’indifferenza del contenuto dispositivo del prov-vedimento rispetto alla violazione procedimentale, sembra doversi escludere che nella specie il mancato annullamento sia ascrivibile alla sussistenza di un vizio di irregolarità»; D. U. GALETTA, Notazioni critiche sul nuovo art. 21 octies, in GiustAmm

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Rimane, infine, da verificare se la novella normativa abbia codificato un terzo tipo di irregolarità: la c.d. «irregolarità per non ragionevolezza dell’invalidità» (18).

A quest’ultima categoria sono riconducibili quei provvedi-menti che, pur viziati, sono ritenuti egualmente idonei – me-diante una valutazione compiuta secondo il paradigma desumi-bile a contrario dall’art. 156 c.p.c. e, quindi, a priori ed in astratto – a «realizzare lo scopo della norma violata» (19). In altri termini, il provvedimento è egualmente valido se è affetto esclusivamen-te da vizi c.d. formali ovvero se è stato adottato in violazione di «norme [...] inidonee, sin dall’origine e senza necessità di succes-

Rivista internet di diritto pubblico, 2005, p. 3; A. ROMANO TASSONE, Prime osservazioni sulla legge di riforma della l. n. 241/1990, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico, 2005, p. 7: «la valutazione della “non alternatività” deve essere compiuta in concre-to e non astratto come invece dovrebbe accadere se tali congegni reagissero sulla qualificazione giuridica del provvedimento in termini di invalidità». Peculiare appare la posizione di L. FERRARA, I riflessi sulla tutela giurisdizionale dei principi dell’azione am-ministrativa dopo la riforma della legge sul procedimento: verso il tramonto del processo di legitti-mità, in I principi generali dell’azione amministrativa, a cura di M. P. CHITI E G. PALMA, Napoli, 2006, p. 51: l’autore, pur «imboccando la strada della irregolarità» perviene ad una conclusione differente. In particolare, sostiene che «non sono irrilevanti i vizi formali e procedimentali ma irrilevante è proprio l’atto in quanto cosa distinta dal comportamento diretto ad adempiere ad un obbligo legale (non diversamente da quanto avviene nei rapporti civili, dove nessuno andrebbe a sindacare la con-formità di un rifiuto di pagamento dei danni da parte di una società assicuratrice alle pur esistenti e spesso complicate norme interne della stessa società); più recen-temente ID., La partecipazione tra «illegittimità» e «illegalità». Considerazioni sulla disciplina dell’annullamento non pronunciabile, in Dir. amm., 2008, p. 103 ss. spec. p. 115: «Se dun-que il provvedimento non è illegittimo (perché non è annullabile; perché l’interesse legittimo è soddisfatto; perché la prestazione principale è stata adempiuta) ma la patologia vi è stata, deve concludersi che questa concerne un oggetto differente: non il provvedimento, ma il procedimento».

(18) Così F. FRACCHIA e M. OCCHIENA, Sub art. 21 octies comma 2, in La pubbli-ca amministrazione e la sua azione, cit., p. 616.

(19) G. MORBIDELLI, Invalidità ed irregolarità, cit., p. 79 ss. spec. p. 87-89: i vizi da cui è affetto il provvedimento «non hanno influito sulla formazione e sulla de-terminazione delle volontà o del giudizio dell’organo amministrativo, e questo non per ragioni soggettive o di vario genere, ma perché la decisione non poteva che es-sere quella».

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sivi fenomeni di sanatoria, ad alterare la qualità della decisione amministrativa» (20).

Pure questa elaborazione non pare costituire un’utile chiave di lettura della disposizione in questione che, come più volte ri-cordato, subordina la non annullabilità a valutazioni (attinenti al contenuto dispositivo del provvedimento) da effettuare non a priori, ma a posteriori.

A fini di completezza, appare opportuno esaminare alcune perplessità suscitate dalla teorica della c.d. irregolarità per non «ragionevolezza dell’invalidità» e dalle sue concrete applicazioni.

Invero, questa innovativa nozione di irregolarità ricompren-de sia le difformità dal paradigma normativo che «non impedi-scono il raggiungimento dello scopo» o che non «ledono gli in-teressi sostanziali» del cittadino sia le ipotesi di inosservanza di prescrizioni il cui corretto adempimento sarebbe stato «inutile» (21).

(20) F. LUCIANI, Il vizio formale nella teoria dell’invalidità amministrativa, cit., p. 300 ss. spec. p. 341 ss.; ID., Il vizio formale nella teoria dell’invalidità amministrativa, cit., p. 313: l’inosservanza della disposizione normativa è solo apparente perché «l’incon-tro-scontro tra l’atto amministrativo e la norma avviene nella struttura esterna di quest’ultima senza coinvolgerne la ratio». È evidente il richiamo da parte dell’autore alle nozioni di sovra-inclusività e sotto-inclusività della regola legislativa: «le fatti-specie concrete alle quali [la norma giuridica] si rivolge non sono sicuramente [...] quelle per le quali l’ordinamento giustifica l’applicazione della regola: di tal che, in certi casi, la regola, per la sua genericità linguistica, contiene più fattispecie di quan-to l’ordinamento consenta (sovra-inclusività)». Al riguardo, vedi le interessanti os-servazioni di F. MIDIRI, L’art. 21 octies della legge sul procedimento amministrativo è una disposizione di carattere sostanziale o processuale?, in Foro Amm. CDS, 2007, p. 261-265.

(21) In termini, G. MORBIDELLI, Invalidità ed irregolarità, cit., p. 82-84; parzial-mente difforme F. LUCIANI, Il vizio formale nella teoria dell’invalidità amministrativa, cit., p. 313 ss. il quale rileva che il vizio formale sussiste nell’ipotesi di «a) imperfezione superflua per il conseguimento aliunde dello scopo della norma violata; b) imperfe-zione superflua per l’inutilità dell’adempimento formale; c) imperfezione superflua per la neutralità della violazione sugli interessi sostanziali coinvolti nell’esercizio del potere amministrativo». Ad esempio, è irregolare per non «ragionevolezza della in-validità» il provvedimento adottato in violazione dell’obbligo della comunicazione di avvio del procedimento qualora sia palese che l’interessato non avrebbe potuto in alcun modo influire sul contenuto del provvedimento.

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Prescindendo dal fatto che le prime due ipotesi potrebbero essere già efficacemente inquadrate utilizzando gli strumenti er-meneutici attualmente disponibili e non vi sarebbe, quindi, ne-cessità di introdurre una nuova figura dommatica (22), si nota che il giudizio riguardo l’utilità o l’inutilità dell’adempimento di-sposto dalla legge non può che avvenire in concreto ed ex post (23).

E la circostanza sembra essere riconosciuta dalla stessa dot-trina in esame che inquadra espressamente nell’ambito della c.d.

(22) Vedi D. MARRAMA, Brevi riflessioni sul tema dell’irregolarità e dell’invalidità dei

provvedimenti amministrativi, cit., p. 384: «In effetti, utilizzando gli strumenti ermeneutici che erano disponibili già prima dell’introduzione della distinzione di cui si discorre, è possibile con-statare che: a) le anomalie che non impediscono il raggiungimento dello scopo do-vrebbero essere più semplicemente valutate come manifestazioni della clausola del raggiungimento dello scopo; b) le anomalie che non producono la lesione di inte-ressi sostanziali dovrebbero essere ripartite – a seconda dei casi – tra l’irregolarità tradizionale e la validità originaria per applicazione del principio della strumentalità delle forme (corsivo aggiunto)». Riguardo la differenza fra regola del raggiungimen-to dello scopo e il principio di strumentalità delle forme, spesso confuse dalla giuri-sprudenza, cfr. A. ROMANO TASSONE, Contributo sul tema dell’irregolarità degli atti am-ministrativi, cit., p. 93-97; F. LUCIANI, Il vizio formale nella teoria dell’invalidità amministra-tiva, cit., p. 265. Per un’applicazione giurisprudenziale della regola del raggiungi-mento dello scopo cfr. Cons. Stato, Sez. V, 15 Ottobre 2003, n. 6305, in Cons. Stato, I, 2003, p. 2231; T.A.R. Puglia, Sez. III, 26 Febbraio 2004, n. 895, in LexItalia Rivi-sta internet di diritto pubblico, n. 2/2004; Cons. Stato, Sez. V, 15 Marzo 2004, n. 1272, in Cons. Stato, I, p. 573 ss.; T.A.R. Campania, 18 Gennaio 2005, n. 173, in LexItalia Rivista internet di diritto pubblico, n. 1/2005; Cons. Stato, Sez. IV, 15 Maggio 2008, n. 2249, in LexItalia Rivista internet di diritto pubblico n. 5/2008. Riguardo invece il prin-cipio di strumentalità delle forme cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22 Maggio 2001, n. 2823, in LexItalia Rivista internet di diritto pubblico, n. 5/2001; Cons. Stato, Sez. IV, 28 Mag-gio 2003, n. 2970, in Cons. Stato, I, 2003, p. 1220 ss.; Cons. Stato, 1 Dicembre 2003, n. 7819, in Cons. Stato, I, 2003, p. 2670 ss.; Cons. Stato, 22 Aprile 2004, n. 2308, in Cons. Stato, I, 2004, p. 857 ss.

(23) Vedi, sul punto, S. CIVITARESE MATTEUCCI, La forma presa sul serio, cit. p. 266: «dire che il giudice può rilevare il vizio formale solo mediante una valutazione ex ante, riferita al momento in cui la concreta violazione si è consumata, senza poter prendere in considerazione il risultato concreto [...] sembra contraddittorio rispetto all’impostazione assunta, poiché implica che la c.d. valutazione assiologica-reale sia compiuta in astratto e non, come sembra connaturato a questo tipo di approccio, in concreto».

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irregolarità per non «ragionevolezza della invalidità» pure le fat-tispecie rientranti nell’ambito della c.d. bassa discrezionalità (24).

In queste fattispecie, l’utilità o meno dell’adempimento nor-mativamente previsto, è necessariamente accertata mediante «un’analisi caso per caso, [diretta] a verificare se la situazione fattuale era tale per cui non poteva che essere adottato quello specifico provvedimento» ovvero, richiamando quanto prece-dentemente osservato, mediante un esame che è inevitabilmente compiuto non a priori ed in astratto ma a posteriori ed in concreto (25).

Donde, le predette ipotesi non sembrano possono essere in-quadrate nell’ambito della c.d. irregolarità per non «ragionevo-lezza della invalidità».

Dopo questa breve digressione, bisogna continuare la ricer-ca al fine di determinare se la novella normativa possa essere ri-condotta nell’ambito della c.d. regola del raggiungimento dello scopo.

Si tratta di un istituto che, pur essendo di derivazione pro-cessuacivilistica, è ormai ritenuto pacificamente applicabile pure al diritto amministrativo (26) ( 27).

(24) G. MORBIDELLI, Invalidità ed irregolarità, cit., p. 93, il quale qualifica come

provvedimenti a bassa discrezionalità « i provvedimenti a carattere discrezionale [...] che all’interno di un particolare procedimento, dopo una determinata fase, assumo-no il carattere di provvedimenti vincolati»; analogamente F. LUCIANI, Il vizio formale nella teoria dell’invalidità amministrativa, cit., p. 338.

(25) G. MORBIDELLI, Invalidità ed irregolarità, cit., p. 93. (26) Cfr. M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., p. 210: «più volte ci è oc-

corso [...] di ricordare la regola del raggiungimento dello scopo. Trattasi di regola la cui fine struttura – non solo in diritto amministrativo ma anche in altre branche del diritto pubblico e privato – è ancor oscura. Vige per le applicazioni che ne fa la giu-risprudenza, la quale invoca or il principio generale di conservazione degli atti giu-ridici, or un’analogia con gli art. 156 ss c.p.c. In proposito, si osserva che la dottrina meno recente era contraria all’applicabilità della c.d. regola del raggiungimento dello scopo perché, come afferma E. CANNADA BARTOLI, L’inapplicabilità degli atti ammi-nistrativi, Milano, 1950, p. 54, «il giudizio di legittimità non riguarda la verifica diret-ta dell’effettiva realizzazione degli interessi tutelati dalle disposizioni normative, ma «la mera rispondenza dell’atto alla norma». Sul punto vedi C. VITTA, La violazione di

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Se questa prospettiva fosse fondata, si potrebbe affermare che i provvedimenti di cui all’art. 21 octies secondo comma sono originariamente invalidi, ma successivamente vengono sanati (28) secondo un meccanismo analogo a quello disciplinato dall’art. 156 c.p.c. (29)..

legge nei procedimenti amministrativi, in Riv. Amm., 1949, p. 303: «I risultati ai quali è giunta la giurisprudenza [applicando l’art. 156 comma 3] sono razionali e altamente commendevoli, ma non appaiono rispondenti alla regola accolta senza eccezioni re-lativa all’invalidità di ogni procedimento dalle norme legislative o regolamentari».

(27) T.A.R. Sardegna, Sez. II, 10 Giugno 2005, n. 1386, in Foro Amm. TAR, 2005, p. 2202: “L’art. 21 octies, l. 7 agosto 1990 n. 241, che ha introdotto un’auto-noma fase processuale diretta specificamente alla verifica dei presupposti che po-trebbero rendere il provvedimento, in origine illegittimo, non più annullabile per-ché sanato, [ha] il fine di conciliare il criterio dell’efficienza amministrativa con quello della garanzia”; T.A.R. Campania, sez. III, 14 marzo 2007, n. 2075, in Corriere del merito, 2007, p. 957: l’articolo 21 octies secondo comma ha introdotto una “sorta di sanatoria permanente dei vizi di natura formale, subordinata però alla previa va-lutazione del giudice”.

(28) A tale orientamento aderiscono, fra gli altri,: A. ROMANO TASSONE, Prime osservazioni sulla legge di riforma della legge n. 241/1990, cit., p. 7: «La nuova disposizio-ne non comporta, a mio avviso, alcuna eccezione alla qualificazione sostanziale del provvedimento non conforme a legge, che è e rimane invalido, ma opera sul piano degli istituti di sanatoria; D. U. GALETTA, Notazioni critiche sul nuovo art. 21-octies della legge n. 241/90, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico, 2005, p. 4; E. PICOZZA, La nuova legge sull’azione e sul procedimento amministrativo. Considerazioni generali. I trincipi di diritto comunitario e nazionale, in Cons. Stato, 2005, II, p. 1433 secondo cui l’art. 21 octies ha introdotto «una fattispecie di sanatoria legale per vizi formali»; M. D’ORSOGNA, Sub art. 21 octies comma 1, cit. p. 605: «Il meccanismo di cui all’art. 21 octies comma 2, opera non sul piano sostanziale della qualificazione del provvedi-mento, ma sul piano della “sanatoria” processuale.

(29) Cfr. A. ROMANO TASSONE, Contributo sul tema dell’irregolarità degli atti ammi-nistrativi, cit., p. 61: «la regola del raggiungimento dello scopo non influisce sulla qualificazione in termini di invalidità dell’atto che anzi a rigor di logica presuppo-ne. Essa opera come fatto preclusivo rispetto al verificarsi delle conseguenze giuri-diche dell’invalidità». Sullo stesso piano sembra porsi la dottrina processualcivilisti-ca G. VERDE, Profili del processo civile, Napoli 2002, p. 308: «Il terzo comma dell’art. 156 funge, a ben considerare, da moltiplicatore delle fattispecie produttive di effet-ti, perché consente di aggiungere alla fattispecie legale tipica quella costituita dall’ac-cadimento fenomenico da cui risulta che lo scopo dell’atto è stato comun-que con-seguito (secondo l’equazione per la quale fattispecie formalmente irregola-re + ac-

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Al riguardo, si evidenzia che le due disposizioni normative sopra richiamate presentano un elemento comune.

Entrambe, infatti, prevedono che l’accertamento dell’ido-neità dell’atto invalido a realizzare lo scopo cui è preordinato avvenga in concreto ed ex post (30).

Tuttavia, non possono essere negate alcune rilevanti diffe-renze.

La disposizione processualcivilistica fa riferimento allo sco-po, oggettivo ed astratto, attribuito dall’ordinamento ad un de-terminato atto (31). Nell’art. 21 octies secondo comma, invece, lo

cadimento che integra il conseguimento dello scopo = fattispecie formalmente per-fetta)». Contra, F. SATTA, Sub art. 157. Commentario al codice di procedura civi-le, Libro primo, Disposizioni generali, Milano, 1960, p. 540: «La nullità se esiste, non può essere sanata, allo stesso modo come il morto non può essere risuscitato, e se viene risu-scitato ciò significa che non era morto. Vero è invece che la nullità non si è deter-minata, cioè l’atto non è mai stato nullo, ed è del tutto illogico dire a posteriori (ciò è quando la nullità è sanata) che l’atto era nullo, come sarebbe illogico dire che il processo si era estinto quando per il mancato rilievo dell’estinzione il processo non si è estinto».

(30) F. AULETTA, Nullità e «inesistenza» degli atti processuali civili, Padova, 1999, p. 141: «l’accertamento di inidoneità o di relativa inidoneità di un atto deve essere condotto ex post, poiché così impone l’art. 156, terzo comma del c.p.c., il quale fa divieto di assoggettare alla disciplina della nullità un atto che, su base prognostica, sarebbe stato valutabile come nullo, mentre la realtà, cronologicamente posteriore, del raggiungimento dello scopo – riscontrabile in concreto e retrospettivamente – impedisce di riservargli il trattamento della nullità; F. ORIANI, Nullità degli atti proces-suali, I) Diritto processuale civile, voce in Enc. Giur., vol. XXI, Roma, 1990, p. 3: «Di-stinguendo una valutazione in astratto, o a priori, e una valutazione in concreto, o a posteriori, si supera l’apparente assurdità di un atto inidoneo al raggiungimento dello scopo che poi si scopre idoneo a raggiungere lo scopo. Solo un accertamento ex post (poiché la verifica ex ante potrebbe non denunciare alcunché) permette di con-cludere con sicurezza per l’idoneità dell’atto».

(31) Vedi E. FAZZALARI, In tema di sanatoria dell’atto processuale per raggiungimento dello scopo, in Giur. Compl. Cass. Civ., 1946, II, p. 169 ss.; E. REDENTI, Atti processali civili, voce in Enc. Dir., vol. IV, Milano, 1959, p. 125: «Quale scopo? Anche in coe-renza a quanto si è già detto a proposito della sedicente libertà ( o …non libertà) delle forme, è logico pensare che la disposizione abbia riguardo allo scopo per cui la legge prescrive quei requisiti (e non già allo scopo individuale occasionale e con-tingente dell’autore nel compiere l’atto)»; S. SATTA, Sub art. 156, in Commentario al

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scopo appare costituito, come anticipato da un’attenta dottrina, dall’idoneità del provvedimento «ad operare una corretta sintesi degli interessi in gioco» (32).

È una nozione che costituisce il corollario della configura-zione del provvedimento amministrativo e, più in generale, del-

codice di procedura civile, cit., p. 538: «il problema è di stabilire cosa si intenda per sco-po dell’atto: ma non vi può essere dubbio che esso non debba essere riferito alla volontà, ma alla funzione dell’atto nel processo»; R. ORIANI, Nullità degli atti proces-suali I) Diritto processuale civile, voce in Enc. Giur., vol. XII, Roma, 1986, p. 3: «lo sco-po non è quello soggettivo e concreto, ma quello oggettivo ed astratto che l’ordina-mento riferisce all’atto»; più recentemente cfr. G. VERDE, Profili del processo civile, p. 310: «Ma che cosa deve intendersi per scopo dell’atto? Di sicuro, non viene in con-siderazione lo scopo che il soggetto si propone, questo risolvendosi in un motivo. Si tratta, invece, dello scopo obiettivo perseguito dall’ordinamento e, quindi, dal complesso delle disposizioni che prendono in considerazione l’atto di cui si discor-re» nonché C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, Tomo II, Padova, 2006, p. 337-338 il quale, con riferimento, all’art. 156 c.p.c. scrive: «Si vuole così evitare all’interprete la tentazione di adagiarsi su un asfissiante formalismo, valorizzando piuttosto il parametro della funzione obiettiva e tipica che la legge attribuisce all’atto di volta in volta considerato – non conta per contro lo scopo oggettivo avuto di mira dal suo autore –: il pro-filo sostanziale-funzionale prevale così su quello formale puro (corsivo aggiunto)».

(32) In termini, A. ROMANO TASSONE, Contributo sul tema dell’irregolarità degli atti amministrativi, cit., p. 74 ss. spec. p. 77: «quest’ultimo vocabolo [scopo] non designa né il fine o la funzione specifica propri di un provvedimento di un certo tipo né la ratio intriseca della disposizione testualmente disattesa, bensì l’elemento teleologico comune all’intero genus dei provvedimenti amministrativi: porsi come corretta sinte-si dei vari interessi in gioco risolvendo adeguatamente il problema da definire e soddisfare l’interesse pubblico concreto». Tale elaborazione è espressamente ri-chiamata dallo stesso A. ROMANO TASSONE, Prime osservazioni sulla legge di riforma della l. n. 241/1990, cit., p. 7-8 con riferimento alla novella normativa: la disposizio-ne dell’art. 21 octies «opera sul piano degli istituti della sanatoria, potenziando e ra-zionalizzando un’ipotesi generale già presente nel nostro ordinamento: la c.d. “re-gola del raggiungimento dello scopo”, cui attribuisce però un significato più ampio di quello tradizionale. Lo scopo di cui in questione non è più quello dell’atto proce-dimentale o della formalità omessi o irregolarmente compiuti, bensì lo scopo gene-rale dell’azione amministrativa complessivamente considerata: pervenire ad una de-cisione provvedimentale intrisecamente legittima»; D. U. GALETTA, Notazioni critiche sul nuovo art. 21-octies della legge n. 241/90, cit., p. 4: «Più che allo scopo dell’atto stricto senso inteso, si fa qui riferimento ad un diverso concetto: all’idea della finalità di in-teresse pubblico che giustifica l’emanazione del provvedimento finale».

L’ART. 21 OCTIES SECONDO COMMA PRIMO ALINEA

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l’attività amministrativa come strumento di soddisfazione e cura degli interessi pubblici concreti (33).

In ogni modo, indipendentemente dal diverso significato at-tribuito alla locuzione «scopo dell’atto», non può essere negato che l’art. 21 octies secondo comma sembra integrare un meccani-smo applicativo diverso da quello dell’art. 156 c.p.c.

Infatti, la sanatoria disciplinata da quest’ultima disposizione si applica nell’ipotesi in cui si verifichi un evento che consenta la realizzazione dello scopo cui l’atto invalido è normativamente preordinato (34). A titolo esemplificativo, la violazione dell’ob-bligo di comunicazione di avvio del procedimento non ha effi-cacia invalidante se il cittadino ha, comunque, potuto interloqui-re con l’amministrazione (35).

La “non annullabilità” di cui alla l. n. 15/2005, invece, non presuppone alcun evento idoneo a sanare la violazione della «norme sulla forma o sul procedimento», ma è conseguente al mero accertamento della «non alternatività» del contenuto di-spositivo del provvedimento impugnato (36) (37).

(33) L’elaborazione di cui nel testo presuppone un approccio teleologico nello studio del fenomeno amministrativo che, come nota G. SALA, Il principio del giusto procedimento, cit., p. 10, è stato del tutto obliterato dalla dottrina amministrativistica meno recente.

(34) R. ORIANI, Nullità degli atti processuali I) Diritto processuale civile, cit., 7; P. LUI-SO, Diritto Processuale civile, Principi generali, vol. I, Milano, 2006, p. 404-405: «La sana-toria per il raggiungimento dello scopo va quindi cercata in un’altra direzione: essa consiste nel verificarsi di un evento materiale (e non di un effetto giuridico), la cui realizzazione quel requisito [...] doveva favorire». Vedi, inoltre, con specifico riferi-mento al diritto amministrativo, C. E. GALLO, Contributo allo studio dell’invalidità degli atti processuali nel giudizio amministrativo, cit., p. 202: «Lo scopo dell’atto [...] è un fatto materiale, cioè un accadimento del mondo fisico, che ha però rilevanza giuridica e conseguenze giuridiche»; F. LUCIANI, Il vizio formale nella teoria dell’invalidità ammini-strativa, cit., p. 265-266.

(35) Cfr. G. MORBIDELLI, Invalidità ed irregolarità, cit., p. 83-84; V. CERULLI I-RELLI, Considerazioni in tema di sanatoria dei vizi formali, cit., p. 113-116 con ampi e re-centi riferimenti giurisprudenziali nonché, con specifico riferimento alla comunica-zione di avvio del procedimento, vedi F. SAITTA, L’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento: profili sostanziali e processuali, in Dir. Amm., 2000, p. 449 ss.

(36) Vedi F. FRACCHIA e M. OCCHIENA, Sub art. 21 octies, comma 2, cit., p. 616:

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«Il risultato del mancato annullamento ex art. 21 octies prescinde altresì da qualsiasi intersezione successiva all’elemento (equivalente a quello originariamente) mancan-te, come invece di solito accade nel modello della convalida, ove una fattispecie imperfetta viene integrata da un requisito equipollente a quello che difetta, determi-nando così il recupero degli effetti»; ID., Teoria dell’invalidità dell’atto amministrativo e art. 21-octies, l. 241/1990: quando il legislatore non può e non deve, cit., p. 27: «la circo-stanza che il giudizio sulla qualificazione dell’atto o di un fatto avvenga in sede pro-cessuale è evenienza affatto normale e non incide sulla qualificazione medesima, che è tale dall’origine». Peraltro, tale circostanza conduce i due autori a conclusioni diverse da quelle cui si aderisce in questa indagine (in proposito vedi infra); L. FER-RARA, I riflessi sulla tutela giurisdizionale dei principi dell’azione amministrativa dopo la rifor-ma della legge sul procedimento: verso il tramonto del processo di legittimità, cit., p. 52 il quale pone in luce che «l’art. 21-octies, co. 2, nel primo [...] alinea, nulla ha a che vedere con il principio di cui all’art. 156, co. 3, c.p.c. dove il raggiungimento dello scopo si verifica non solo in concreto, ma anche ex post»; G. BERGONZINI, Art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 e annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi, in Dir. Amm. 2007, p. 243: «Se si considera che l’art. 21 octies non prescrive alcuna verifica in ordine al con-creto raggiungimento del preciso scopo in vista del quale era prescritto l’adem-pimento procedimentale o formale mancato, o avvenuto in difformità dal paradigma legale, e collega invece la preclusione dell’annullamento alla ben diversa circostanza che il contenuto dispositivo del provvedimento non avesse in concreto alternative, non appare corretto ricondurre le previsioni dell’art. 21-octies all’applicazione del prin-cipio giuridico che si desume dall’art. 156 del codice di rito»; F. SAITTA, Annullamento non pronunciabile o (inopportuna) preclusione all’autonoma deducibilità del vizio?, in GiustAmm Rivista Internet di diritto pubblico n. 5/2008: «non è pertinente rifarsi all’art. 156, com-ma 3, c.p.c.».

(37) Cons. Stato, Sez. VI 17 ottobre 2006, n. 6194 in LexItalia Rivista internet di diritto pubblico n. 10/2006: «La ragione della portata non invalidante del vizio non può essere rinvenuta nella regola del raggiungimento dello scopo, mutuata dalla pre-visione dell’art. 156, comma 3, c.p.c., che stabilisce che “la nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”. Infatti, il principio del raggiungimento dello scopo è da tempo applicato dal GA proprio in tema di viola-zione dell’art. 7 della legge n. 241/90; la giurisprudenza ha ritenuto che tale disposi-zione non può essere applicata meccanicamente e formalisticamente, dovendosi e-scludere il vizio nei casi in cui lo scopo della partecipazione del privato sia stato co-munque raggiunto o vi sia comunque un atto equipollente alla formale comunica-zione. In caso di omessa comunicazione di avvio, lo scopo è raggiunto, non quan-do l’atto non poteva essere diverso, ma quando il privato ha ricevuto un atto equi-pollente, o ha comunque partecipato o ha avuto la possibilità di partecipare al pro-cedimento».

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Al fine di superare questa obiezione, è stato affermato che l’illegittimità (formale o procedimentale) sarebbe sanata dall’e-manazione del provvedimento stesso (38). È senza dubbio una tesi suggestiva che suscita, tuttavia, qualche perplessità.

In particolare, si è ritenuto che l’adozione del provvedimen-to costituisca esternazione della volontà dell’autorità ammini-strativa di sanare le illegittimità del provvedimento adottato.

In proposito, si osserva che «l’amministrazione è priva di ta-le consapevolezza e anzi, qualora si fosse accorta preceden-temente dei vizi, ben avrebbe fatto a sanarli» prima di esercitare concretamente il proprio potere di provvedere (39).

(38) F. FRACCHIA e M. OCCHIENA, Sub art. 21 octies, comma 2, cit., p. 616: «Si

può, dunque, asserire che l’elemento che vale a recuperare l’illegittimità posta in essere dall’amministrazione è il provvedimento, che, al momento della sua emana-zione, sotto quel profilo, non può che “nascere” legittimo, risultando al contempo dotato della valenza di elemento che sana un procedimento illegittimo». Detto al-trimenti, «il provvedimento pare nascere legittimo perché la sua validità prescinde dall’influenza di qualsivoglia elemento esterno rispetto ad esso e, dunque, dall’inter-vento di un fattore che integri la fattispecie imperfetta; la sua legittimità o illegitti-mità viene però colta in un momento successivo, quando si valuta se lo scopo è sta-to raggiunto e, cioè, se il contenuto è identico a quello che avrebbe dovuto essere adottato»; E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 520 il quale, con rife-rimento all’art. 21 octies secondo comma, scrive: «rimane da chiarire perché un atto difforme dal paradigma normativo possa essere considerato valido. Si potrebbe immaginare che esso sia tale perché originariamente idoneo a conseguire lo scopo, secondo il modello ricavabile a contrario dall’art. 156 c. 2 c.p.c.. La non annullabili-tà non sarebbe però legata al raggiungimento dello scopo avuto di mira dalla speci-fica norma violata (ad esempio sulla motivazione); l’atto non annullabile ha piutto-sto raggiunto lo scopo inteso nel senso assai più ampio della presenza del contenu-to che avrebbe dovuto avere».

(39) R. VILLATA e M. RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, cit., p. 541; F. VOLPE, La non annullabilità dei provvedimenti illegittimi, in Dir. Proc. Amm., 2008, p. 330: «La sanatoria dell’atto [...] non può non presupporre il vizio e non può dallo stesso non differenziarsi. I due momenti (quello dell’insorgenza del vizio e quello della sanatoria) debbono essere tenuti distinti sia sotto un profilo logico che cronologico, giacché non è ipotizzabile sanare un atto che non risulti essere viziato in un mo-mento precedente e sulla base di un’entità concettuale distinta».

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1.2. SEGUE: MA SONO ILLEGITTIMI, EPPURE NON ANNULLABILI. I RAP-PORTI TRA ILLEGITTIMITÀ ED INVALIDITÀ NELLA CONCEZIONE GIURIDI-CA LOGICO-FORMALE ED IN QUELLA REALE-OGGETTIVA.

Dopo aver escluso le prime due opzioni qualificatorie non

resta che accogliere l’ultima delle ricostruzioni proposte: i prov-vedimenti di cui all’art. 21 octies secondo comma sono illegittimi eppure non annullabili.

A siffatta conclusione, peraltro, sembra possibile giungere non solo per esclusione, ma anche attraverso alcuni precisi ele-menti testuali e di ordine sistematico.

L’art. 21 nonies definisce espressamente come illegittimi i provvedimenti dell’art. 21 octies, senza distinguere fra primo e se-condo comma (40).

Inoltre, se tali provvedimenti venissero configurati come le-gittimi, non potrebbero essere né disapplicati (41) né annullati d’ufficio (42).

(40) Cfr. F. G. SCOCA, Esistenza, validità ed efficacia degli atti amministrativi, cit., p. 174: «se l’amministrazione viola una norma [...] probabilmente il provvedimento non potrà essere annullato dal giudice, ma può essere annullato d’ufficio, cioè dalla stessa amministrazione e, quindi, è illegittimo»; M. D’ORSOGNA, Sub art. 21 octies comma 1, in La pubblica amministrazione e la sua azione. Saggi critici sulla legge 241/1990 riformata dalle leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, cit., p. 606: l’art. 21 nonies «menziona e-spressamente l’illegittimità del provvedimento e lo fa, si badi, rinviando all’art. 21 octies nella sua interezza, cioè sia al primo comma, e, quindi, all’ipotesi di annullabili-tà, sia al comma 2, e, quindi, alle ipotesi di non annullabilità»; C. CACCIAVILLANI, Giudicato e potere amministrativo, cit., p. 291: «Rimane comunque fermo che le disposi-zioni contenute nell’art. 21 octies non escludono affatto che, nelle ipotesi in cui esse hanno riguardo, venga in rilievo un atto viziato, e così illegittimo, come reso evi-dente dall’art. 21 nonies, per il quale il provvedimento illegittimo ai sensi dell’art. 21 octies è comunque annullabile». Contra F. FRACCHIA e M. OCCHIENA, Sub art. 21 oc-ties, comma 2, in La pubblica amministrazione e la sua azione, cit., p. 612: «Per il principio di non contraddizione (o meglio, per la sua articolazione costituita dal “terzo esclu-so”), un provvedimento non può essere al tempo stesso annullabile d’ufficio per-ché illegittimo (ex art. 21 nonies) e non annullabile tout court (in forza dell’art. 21 octies, comma 2): pertanto si deve concludere che i provvedimenti non annullabili in for-za dell’art. 21 octies siano quelli non illegittimi sul piano sostanziale».

(41) L’invalidità (rectius: l’illegittimità) è il presupposto della disapplicazione (rec-

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La prima conseguenza appare contraria ad una precisa di-sposizione vigente. Si fa riferimento all’art. 5 della legge 20 Mar-zo 1865 n. 2248 la cui applicazione ai provvedimenti vincolati adottati in violazione delle “norme sulla forma e sul procedi-mento” non sembra revocabile in dubbio.

La seconda invece suscita numerose perplessità perché l’am-ministrazione sarebbe privata del potere di annullare in via di autotutela provvedimenti viziati sebbene, a distanza di tempo dallo loro adozione e nell’ambito di una valutazione discreziona-le degli interessi in gioco, venisse meno la loro conformità all’in-teresse pubblico.

E quest’ultima circostanza non pare essere compatibile né con la necessità, avente ormai rilievo costituzionale, della conti-nua rispondenza dei rapporti amministrativi all’interesse pubbli-co (43) né con il principio della inesauribilità del potere ammini-strativo (44).

È, dunque, «l’assurdità delle conseguenze cui si perverrebbe se i provvedimenti di cui all’art. 21 octies secondo comma ve-nissero qualificati come legittimi, a far emergere “l’erroneità” di questa premessa interpretativa» (45).

Comunque, indipendentemente dalle ragioni di ordine lette-rale e sistematico sopra richiamate, l’illegittimità è la «condizio-

tius: l’inapplicabilità). Sul punto cfr. E. CANNADA BARTOLI, L’inapplicabilità degli atti amministrativi, Milano, 1950, p. 40-41; P. STELLA RICHTER, L’inoppugnabilità, Milano, 1970, p. 41 ss. spec. p. 54.

(42) Come ampiamente noto, l’illegittimità costituisce una delle due condizioni per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio. Sul punto vedi amplius R. VIL-LATA e M. RAMAJOLI, Provvedimento amministrativo, cit., p. 555 ss.

(43) Cfr. Cons. Stato, Ad. Gen., 10 Giugno 1999, n. 9, in Cons. Stato, I, 1999, p. 1980.

(44) Vedi, G. CORSO, Validità, voce in Enc. Dir., vol. XLVI, Milano, 1993, p. 106: «il potere che viene esercitato con l’adozione del provvedimento, non si esau-risce con questo, ma gli sopravvive tant’è che può esercitato nuovamente, nel tem-po, in direzione difforme da quella originaria o conforme ad essa».

(45) In termini, G. BERGONZINI, Art. 21 octies della legge n. 241/1990 e annulla-mento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi, cit., p. 250-251.

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ne del provvedimento amministrativo emesso in violazione del-le norme giuridiche che lo disciplinano» (46) e, pertanto, tale qualificazione oggettiva non è «disponibile per il legislatore» (47).

In conclusione, alla luce delle argomentazioni sopra pro-spettate, sembrerebbe possibile sostenere che i provvedimenti di cui all’art. 21 octies secondo comma primo alinea della l. n. 241/1990 nascono e rimangono illegittimi (48)( 49).

(46) Cfr. R. VILLATA, L’atto amministrativo, in Diritto amministrativo, a cura di L. MAZZAROLLI, G. PERICU, A. ROMANO, F. A. ROVERSI MONACO, F. G. SCOCA, Bo-logna, 2005, 823, il quale richiama alcune disposizioni normative che utilizzano la locuzione «atto amministrativo illegittimo» e critica la nota affermazione di M. S. GIANNINI, Illegittimità, voce in Enc. Dir., vol. XX, Milano, 1970, p. 131: l’illegittimi-tà è «creatura più dottrinale che normativa».

(47) D. CORLETTO, Efficacia e invalidità dell’atto amministrativo, in Le nuove regole dell’azione amministrativa, cit. p. 174: l’illegittimità è «una qualificazione oggettiva che descrive semplicemente il fatto che vi è una difformità da una previsione normati-va».

(48) L’opzione di cui nel testo è sostenuta da F. G. SCOCA, Esistenza, validità, ef-ficacia degli atti amministrativi, in La nuova disciplina dell’attività amministrativa dopo la ri-forma della legge sul procedimento, a cura di G. CLEMENTE DI SAN LUCA, Torino, 2005, p. 174: «Francamente che si possa ipotizzare una violazione di legge che non de-termini l’illegittimità sembra conclusione difficile da sostenere»; F. CARINGELLA, Il nuovo ruolo del G.A.: articolo 21-octies legge 241, in www.giustizia-amministrativa.it: «il legi-slatore non afferma che il provvedimento affetto da vizi ininfluenti è un provve-dimento legittimo, ma al contrario, nell’assunto dell’illegittimità del provvedimento per violazione di una regola, la cui cogenza non è messa in discussione, puntualiz-za che il provvedimento non è annullabile. [...] È un provvedimento illegittimo, per il quale il legislatore ritiene che la sanzione dell’annullamento sia una sanzione ec-cessiva, una sanzione inutile»; D. CORLETTO, Efficacia e invalidità dell’atto amministrati-vo, cit., p. 175: «È il legislatore stesso che ci dice che in alcuni casi il provvedimento “adottato in violazione di norme .....” e, quindi, per definizione illegittimo, non è pe-rò annullabile. È, quindi, il legislatore che separa la conseguenza dell’invalidità (an-nullabilità) dalla premessa dell’illegittimità»; ID., Vizi «formali» e poteri del giudice ammi-nistrativo, cit., p. 199: «il legislatore dispone che ci siano provvedimenti illegittimi ai quali non viene attribuito il regime dell’invalidità, cioè che non risentono conse-guenze, sulla loro efficacia durevole e garantita, per il fatto di essere illegittimi, o (è lo stesso) che ci siano provvedimenti illegittimi che il giudice non ha il potere di annullare»; R. VILLATA e M. RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, cit., p. 542: «Il provvedimento affetto da vizi formali è e rimane un provvedimento illegittimo e non, invece, un provvedimento semplicemente irregolare o un provvedimento og-

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Peraltro, pare indispensabile un’annotazione finale. Contra-riamente a quanto sostenuto da parte della giurisprudenza tale esclusione non può essere giustificata affermando che «la “non alternatività” del provvedimento adottato priva il ricorrente del-l’interesse a coltivare un giudizio da cui non potrebbe ricavare alcuna concreta utilità» (50).

getto di sanatoria, con conseguente eliminazione dell’illegittimità o, ancora, un provvedimento pienamente legittimo»; M. D’ORSOGNA, Sub art. 21 octies primo com-ma, cit., p. 606: «la novità della riforma consiste nell’aver decretato la “dissociazio-ne” tra illegittimità ed annullabilità»; G. BERGONZINI, Art. 21 octies della legge n. 241 del 1990 e annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi, in Dir. Amm., 2007, p. 255: «i provvedimenti non annullabili ex art. 21 octies costituiscono cionostante de-gli atti illegittimi»; N. LONGOBARDI, Una prima valutazione della disciplina integrativa e modificativa della l. n. 241 del 1990 (l. n. 15 del 2005), cit., p. 127. Riguardo altre ipote-si di «non annullabilità» di provvedimenti illegittimi vedi le esemplificazioni di F. VOLPE, Norme di relazione, norme di azione e sistema italiano di giustizia amministrativa, cit., p. 375 ss.

(49) Cons. Stato, Sez. VI, 07 luglio 2006, n. 4307, in Riv. Giur. Ed., 2007, p. 300: “L’art. 21 octies, comma 2, l. n. 241 del 1990, con l’introdurre la categoria dei vizi non invalidanti del provvedimento amministrativo, non ha inteso degradare a mera irregolarità [i vizi formali], ma introdurre un limite al potere di annullamento del g.a”; Cons. Stato, Sez. VI, 17 Ottobre 2006, n. 6192, in Guida al diritto, 2006, fasc. 44, p. 81: “l’art. 21 octies secondo comma è una norma processuale applicabile anche ai procedimenti in corso o già definiti alla data di entrata in vigore della leg-ge n. 15/05, in quanto, sancendo la non annullabilità del provvedimento, il legisla-tore ha inteso escludere la possibilità che esso (comunque illegittimo) ed i suoi effetti vengano eliminati dal giudice amministrativo, senza spingersi ad affermare che l’at-to non sarebbe più qualificabile, sul piano sostanziale, come annullabile”; T.A.R. Lazio, Sez. III ter, 23 Aprile 2007, n. 3523, in Foro Amm. TAR, 2007, p. 1360: “Può ritenersi che il citato art. 21 octies abbia introdotto nell’ordinamento i vizi non inva-lidanti, con i quali il legislatore non intende degradare la violazione a mera irregola-rità, ma persegue l’obiettivo di incidere sulle conseguenze connesse all’invalidità del provvedimento viziato nella forma e nel procedimento”; Cons. Stato, Sez. VI, 4 Settembre 2007 n. 4614, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico, n. 9/2007: «sancendo la non annullabilità del provvedimento, il legislatore ha inteso escludere la possibilità che esso (comunque illegittimo) ed i suoi effetti vengano eliminati dal giudice amministrativo, senza spingersi ad affermare che l’atto non sarebbe più qualificabile, sul piano sostanziale, come annullabile»

(50) Cons. Stato, Sez. VI, 17 Ottobre 2006, n. 6193, in LexItalia Rivista internet di diritto pubblico n. 10/2006: «la novella legislativa si è limitata a codificare quelle ten-

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Certo, si può condividere sull’opportunità che la sussisten-za dell’interesse a ricorrere sia oggetto di un accertamento più rigoroso e restrittivo di quello attualmente compiuto dal giudi-ce amministrativo in modo «così labile e minimale da salvare pa-recchie impugnative, nelle quali la cosiddetta attualità della le-sione è forse più apparente che reale» (51).

Tuttavia, l’annullamento di un provvedimento, affetto da vi-zi esclusivamente formali, arreca egualmente al ricorrente – si richiama la tradizionale nozione di interesse a ricorrere – un vantaggio (52), un’utilità (53), un beneficio (54) (diretto o strumen-

denze già emerse in giurisprudenza mirate a valutare l’interesse a ricorrere, che viene negato ove il ricorrente non possa attendersi, dalla rinnovazione del procedimento, una decisione diversa da quella già adottata [...]: la circostanza che il contenuto non pos-sa essere diverso priva il ricorrente dell’interesse a coltivare un giudizio, da cui non potrebbe ricavare alcuna concreta utilità»; Cons. Stato, Sez. V, 23 Gennaio 2008, n. 143, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico n. 1/2008: «l’accertamento del ca-rattere non invalidante della violazione delle norme sul procedimento o sulla for-ma dell’atto, ai sensi dell’art. 21-octies della L. 241/90, priva il ricorrente dell’in-teresse a coltivare un giudizio da cui non potrebbe ricevere alcuna utilità».

(51) Testualmente R. FERRARA, Interesse e legittimazione al ricorso, cit., p. 474 la cui espressione è richiamata da D. U. GALETTA, Violazione di norme sul procedimento ed annullabilità del provvedimento, Milano, 2003, p. 157. Peraltro, è necessario sottolineare che parte della dottrina pone in dubbio l’autonomia dell’interesse a ricorrere nel-l’ambito del processo amministrativo Al riguardo cfr. F. VOLPE, Le espropriazioni amministrative senza potere, Padova, 1996, p. 327 ss. con riferimenti bibliografici; L. PERFETTI, Diritto di azione ed interesse ad agire nel processo amministrativo, Padova, p. 236-277 che configura «l’interesse a ricorrere come un elemento iscritto nella struttura dell’azione» e non invece come «un prius rispetto all’azione, una condizione, un pre-supposto di essa. [...] Dal testo dell’art. 24 della Costituzione [...] sembra, quindi, evidente come lo stesso diritto di azione sia funzionalizzato, abbia una causa tipica identificata dalla Costituzione e questa sia esattamente coincidente con quello che tradizionalmente si considera essere l’interesse ad agire o ricorrere».

(52) R. FERRARA, Interesse e legittimazione al ricorso (ricorso giurisdizionale amministra-tivo), voce in Dig. Disc. Pubbl., vol. VIII, Torino, 1993, p. 468 ss. spec. p. 472 con ampi riferimenti bibliografici.

(53) A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 1163; L. MAZZA-ROLLI, Interesse al processo e utilità ritraibile dal processo, in Foro Amm., 1973, p. 790.

(54) C. E. GALLO, Manuale di giustizia amministrativa, 2003, p. 71 ss.

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tale) (55), materiale o morale (56), avente i caratteri della persona-lità, concretezza ed attualità (57).

Infatti, da un lato, l’annullamento ripristina, almeno medio tempore, la situazione di fatto e di diritto nello status quo ante all’e-sercizio del potere di provvedere; dall’altro, permette al ricor-rente di avvalersi delle sopravvenienze di diritto o di fatto a lui più favorevoli (58). A titolo esemplificativo, l’annullamento di

(55) R. VILLATA, Interesse ad agire II) Diritto processuale amministrativo, voce in Enc. Giur., vol. XVII, Roma, 1989, p. 3: «È sufficiente che, a seguito di un’eventuale de-cisione di annullamento la Pubblica Amministrazione, sia costretta a riprendere in esame la situazione per nuovamente provvedere, anche se non vi è garanzia di risul-tato, essendo vicenda possibile l’emanazione di un atto di contenuto identico a quello annullato»; P. M. VIPIANA, Usi e abusi giurisprudenziali in materia di interesse stru-mentale a ricorrere, in Foro Amm., 1987, p. 2971: L’annullamento comporta «la conse-guente rinnovazione della procedura sostanziale quale momento prodromico per il conseguimento di un vantaggio concreto».

(56) Così A. M. SANDULLI, Il ricorso innanzi al Consiglio di Stato e ai giudici sottordi-nati, Napoli, 1963, p. 223; A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2008, p. 202.

(57) Cfr. A. M. SANDULLI, Il ricorso innanzi al Consiglio di stato e ai giudici sottordina-ti, cit., p. 210; S. CASSARINO, Giustizia amministrativa, voce in Enc. Giur., vol. XV, Roma 1989, p. 10; V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, Tori-no, 2003, p. 579 ss.; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 3 Agosto 2007, n. 888, in Foro Amm. TAR, 2007, p. 2612; T.A.R. Toscana, Sez. I, 23 Aprile 2007, n. 688, in Foro Amm. TAR, 2007, p. 1312; T.A.R. Lombardia, Sez. I, 4 Maggio 2006, n. 1134 in Foro Amm. TAR, 2006, p. 1586; Cons. Stato, Sez. V, 10 Ottobre 199, n. 1217, in Cons. Stato, 1991, I, p. 1485.

(58) Cfr. E. FOLLIERI, Risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi, Chieti, 1984, p. 50 spec. p. 90-101 e p. 95 ove, con riferimento agli interessi oppositivi, af-ferma: «indipendentemente dal tipo di norme violate, l’effetto della sentenza è quel-lo di ripristinare la situazione nello stato in cui era al momento dell’emissione del provvedimento amministrativo e, quindi, ripristinare il vantaggio che il titolare del-l’interesse oppositivo avrebbe potuto godere fino a quando l’Autorità amministrati-va non adotterà altro atto di identico contenuto»; ID., La giurisdizione del giudice am-ministrativo a seguito dell’art. 21-octies della l. 7.8.1990 n. 241, in Studi in ricordo di M. T. Serra, cit., p. 76-77; G. SALA, Procedimento e processo nella nuova legge 241, cit., p. 102: «Del resto, anche la mera reiterazione del provvedimento, sfavorevole per il ricor-rente, con una diversa decorrenza giustificherebbe, per il profilo dell’interesse op-positivo, la proponibilità del ricorso»; L. FERRARA, La partecipazione tra “illegittimità” ed “illegalità”. Considerazioni sulla disciplina dell’annullamento non pronunciabile» in Dir.

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un’ordinanza di demolizione sostanzialmente corretta ma illegit-timamente adottata dal Sindaco comporta degli indubbi vantag-gi per il ricorrente, il quale potrà godere dell’immobile fino all’e-manazione del nuovo atto e, se intervenisse una legge di condo-no, potrebbe addirittura ottenere il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria (59).

In realtà, la novella normativa appare riaprire il dibattito – peraltro mai sopito – riguardo i rapporti tra illegittimità ed inva-lidità. Si tratta senza dubbio di un problema tra i più complessi della riflessione giuridica (60) al quale le due concezioni del dirit-

Amm., 2008, p. 106-107: «L’utilità sussiste perché, se si guarda agli interessi opposi-tivi (si pensi alla revoca di una concessione) l’annullamento per vizio meramente formale consente al ricorrente di godere del bene fino alla reiterazione del reato e di confidare in ripensamento e in sopravvenienze che precludano il risercizio del pote-re; se poi si volge l’attenzione agli interessi pretesivi nuovamente la prospettiva del-le sopravvenienze rende astrattamente possibile l’emanazione dell’atto favorivole». Al riguardo si richiamano le osservazioni di ordine sistematico di D. U. GALETTA, Violazione di norme sul procedimento amministrativo e annullabilità del provvedimento, cit., p. 148-159 spec. p. 158: la dequotazione dei vizi formali attraverso l’istituto dell’interesse a ricorrere, «comporta notevoli rischi di snaturamento del giudizio amministrativo. Si tratta, infatti, di ipotizzare un sistema di giustizia amministrativa che accoglie il postulato guicciardiano del cittadino che serve al giudizio ammini-strativo: il che mi pare francamente ormai fuori dalla storia». Cfr. anche, pur con riferimento alla vexata quaestio dell’integrazione della motivazione in giudizio, F. LEDDA, Il rifiuto di provvedimento amministrativo, Torino, 1964, p. 219-220: «Natural-mente, [nonostante la possibilità per l’amministrazione di emanare un atto identico a quello annullato] il destinatario dell’atto ha normalmente un preciso interesse al-l’impugnazione di questo [...] perché l’annullamento dell’atto illegittimo ripristinan-do la situazione giuridica da questo modificata e non modificabile in futuro se non mediante un atto legittimo e con effetto ex nunc assicura in ogni caso, specie se si tratti di rapporti di durata, un’utilità apprezzabile in se stessa»; A. ZITO, Integrazione in giudizio della motivazione del provvedimento: una questione ancora aperta, in Dir. Proc. Amm., 1994, p. 593.

(59) In termini, E. FOLLIERI, L’annullabilità dell’atto amministrativo, in Urb. ed App., 2005, p. 625.

(60) Ad esempio, M. JORI e A. PINTORE, Manuale di teoria generale del diritto, To-rino, 1995, p. 281 osservano che «Kelsen si è tormentato per tutta la vita di studio-so su questo difficilissimo dilemma».

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to (quella logico-formale e quella reale-oggettiva) offrono una soluzione differente (61).

E siffatto problema è reso ancor complicato dal fatto che la novella normativa prevede tra provvedimenti validi e provvedi-menti illegittimi (aventi determinati caratteri) un’equiparazione quoad effectum avente natura irreversibile (62).

(61) Comunque, sia la concezione logico-formale che quella reale-oggettiva so-

no inquadrabili nell’ambito di una lettura positivista del fenomeno giuridico. Sul punto cfr. A. FALZEA, Efficacia giuridica, cit., p. 453-454: «contro le eccessive ten-denze sostanzialistiche di una Interessen-Jurisprudenz che, non vigilata a dovere, potreb-be condurre ad un diritto libero privo di ogni seria garanzia formale, resta valido il canone, a cui in concreto obbedisce ogni vero giurista, del razionale equilibrio fra la sostanza e la forma: tra la sostanza vitale delle esigenze in campo e la forma culturale che queste esigenze assumono attraverso pratiche, consuetudini, istituzioni, leggi scritte».

(62) Prima della l. n. 15/2005 l’efficacia dei provvedimenti illegittimi era, alme-no astrattamente, sempre precaria in quanto poteva essere eliminata ex tunc dal giu-dice o dall’amministrazione stessa in via di autotutela. In proposito, cfr. A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 669: l’invalidità non è «mancanza di operatività, e cioè di efficacia, ma soltanto mancanza di forza irresistibile ed in-tangibile»; A. ROMANO TASSONE, Brevi note sull’autorità dei pubblici poteri, in Scritti per Mario Nigro. Problemi attuali di diritto amministrativo, vol. II, Milano, 1991, p. 396: «È noto come dell’efficacia dell’atto annullabile si sottolinei soprattutto la precarietà, sì che essa è risolta dai più in una inefficacia potenziale». Si richiamano anche le osser-vazioni di M. S. GIANNINI, Discorso generale sulla giustizia amministrativa, in Riv. Dir. Proc., 1964, p. 1 ss. ora in Scritti 1963-1969, Vol. V, Milano, 2004, p. 240-241 che ri-leva come, sul piano astratto e teorico, sussistono tre differenti modi per disciplina-re gli effetti del provvedimento invalido-illegittimo. «Il primo modo è quello della se-parazione. Esso si può fondare sull’interpretazione letterale del principio di legalità: il provvedimento amministrativo invalido è fuori del principio di legalità, dunque non è idoneo a produrre i suoi effetti. [...] Il secondo modo è quello dell’equiparazione. Esso si può fondare sull’interpretazione letterale del principio di separazione dei poteri: il provvedimento amministrativo invalido è pur sempre atto del potere amministrati-vo, ed è efficace, anche se invalido, fino a che l’amministrazione (in esercizio dei poteri di autotutela) o uno speciale giudice (investito di apposito potere) non lo an-nulli. […] Il terzo modo è quello della distinzione tra le specie di invalidità. Si può di-stinguere cioè tra una possibile qualificazione del provvedimento in quanto illegit-timo, per la quale è competente il giudice dell’annullamento (giudice amministrati-vo) e una possibile qualificazione in quanto illecito». G. CORSO, L’invalidità ammini-strativa: profili generali, in La disciplina generale dell’azione amministrativa, a cura di V. CE-

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Nell’ambito della concezione logico-formale (63) un provve-dimento difforme dalle norme che disciplinano i presupposti, i limiti nonché le modalità, oggettive e soggettive, di esercizio del potere attribuito alla p.a. (64) (le c.d norme sulla produzione) (65) dovrebbe essere, a rigore, invalido.

RULLI IRELLI, Napoli, 2006, p. 353 osserva che, prima della legge 15/2005, manca una disciplina sostanziale dell’invalidità amministrativa. Tuttavia, dall’art. 5 e dal-l’art. 4 comma 2 della l. n. 2248/1865 allegato E nonché dall’art. 39 e dall’art. 45 del r.d. 1054/1924 si può egualmente desumere che il provvedimento invalido non è nullo, ma annullabile e, quindi, idoneo a produrre provvisoriamente effetti. B. G. MATTARELLA, L’imperatività del provvedimento amministrativo, Milano, 2000, p. 194 no-ta 138; p. 242: l’art. 113 della Costituzione, prevedendo che «la legge determini quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione, presuppone la provvisoria efficacia del provvedimento invalido».

(63) In proposito, N. BOBBIO, Sul formalismo giuridico, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1958, p. 959: nell’ambito di una concezione logica-formale da un lato, l’oggetto del-la scienza giuridica «non è né la spiegazione causale né la giustificazione teleologica di un istituto, bensì la determinazione della sua struttura normativa», dall’altro, «un fatto è giuridico quando è preso in considerazione da una norma giuridica che gli attribuisce determinate conseguenze» per cui «atti umani e fatti naturali, rapporti ed istituti diventano giuridici dal momento in cui sono entrati dentro gli schemi nor-mativi apprestati da un determinato ordinamento».

(64) Cfr. H. L. A. HART, The concept of law, London, 1961, trad. it. a cura di M. CATTANEO, Il concetto di diritto, Torino, 1991, p. 33-60 e 96-98 ove pone in luce la distinzione fra norme che impongono doveri e quelle che conferiscono poteri: «Certamente non tutte le norme giuridiche ordinano alla gente di fare o di non fare certe cose. Non è forse fuorviante classificare in questo modo le norme che confe-riscono ai privati cittadini il potere di fare testamenti, contratti, o matrimoni, e le norme che attribuiscono poteri ai funzionari, ad esempio a un giudice di dirimere le controversie, a un ministro di emettere decreti, a un consiglio di contea di emanare provvedimenti amministrativi?». Riguardo l’irriducibilità delle norme attributive di poteri alle norme prescrittive e, più in generale, sull’elaborazione di Hart vedi le cri-tiche di G. TARELLO, Herbert Hart e il concetto di diritto, in G. TARELLO, Diritto, enun-ciati, usi, Bologna, 1974, p. 93 spec. p. 107 ss. nonché le precisazioni di N. BOBBIO, Contributi ad un dizionario giuridico, cit., p. 198-201 che, con riferimento a quest’ulti-ma categoria di norme, afferma: «Nulla vieta che si dica che norme siffatte sono norme che conferiscono poteri, purché una definizione di questo genere non fac-cia dimenticare che questi poteri non sono null’altro che la conseguenza dell’aver compiuto certi atti in ottemperanza a certe prescrizioni». In ogni modo, vedi G. COR-SO, L’invalidità amministrativa: profili generali, in La disciplina generale dell’azione amministrati-

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Più precisamente, non dovrebbe appartenere al sistema giu-ridico e, quindi, non potrebbe avere alcuna efficacia precettiva (66): «nessun atto [...] affetto da un vizio giuridico può essere imputato allo Stato» (67). va, cit., p. 351: «Al di là delle differenti formulazioni vi è sostanziale concordia su una summa divisio: da un lato ci sono le norme che impongono obblighi (o doveri) o attribuiscono diritti; dall’altra, ci sono le norme che conferiscono poteri, essenzial-mente il potere di produrre le norme del primo tipo, impositive di obblighi o attri-butive di doveri».

(65) La locuzione «norme sulla produzione giuridica» viene utilizzata da N. BOBBIO, Contributi ad un dizionario giuridico, cit., 230 ss.: «Per ordinamento giuridico si intende un insieme di norme che provvede anche alle norme sulle norme, cioè regola il modo in cui debbono comportarsi i consociati e anche il modo con cui debbono essere regolate le regole, o, con altre parole, regola la vita degli individui. [...] Le norme che regolano la produzione delle norme servono a stabilire quali so-no le norme valide di un ordinamento, ossia le norme che i cittadini debbono os-servare e i giudici far rispettare [...]».

(66) Cfr., mutatis mutandis, A. MERKL, Prolegomena einer Theorie des rechtlichen Stu-fenbaues, in Gessellschaft, Staat und Recht. Festschrift fur Hans Kelsen zum 50. Geburstag, Wien, 1931, p. 252-294, trad. it. a cura di C. GERACI, Prolegomeni ad una teoria della costruzione a gradi del diritto, in Il duplice volto del diritto. Il sistema Kelseniano ed altri saggi, Milano, 1987, p. 3-65 spec. p. 37: «Chiamiamo norme giuridiche determinanti (be-dingende Rechtssatze) quelle norme giuridiche che delineano la forma e il contenuto di altre norme giuridiche sicché queste norme derivate non possono e non debbono venire in essere in maniera diversa da quella delineata e, quindi, presuppongono in ogni caso l’esistenza di quelle altre norme e debbono ad esse la propria validità; e chiamiamo norme giuridiche determinanti (bedingte Rechtssatze) le norme alle quali esse servono come fondamento di validità»; H. L. A. HART, Il concetto di diritto, cit., p. 39: «Il mancato adempimento delle condizioni della norma che attribuisce il potere rende ciò che è stato compiuto inefficace, e quindi nullo rispetto al suo scopo»; N. BOBBIO, Contributi ad un dizionario giuridico, Torino, 1994, p. 284 ss.: «Per dimostrare la validità di una norma giuridica, il giurista ricorre a due argomentazioni fonda-mentali, che sono vere e proprie regole generali del discorso giuridico: 1) una nor-ma è valida solo se è posta da una norma valida superiore (regola della validità for-male); 2) una norma è valida solo se la prescrizione ivi contenuta è logicamente co-erente con le altre norme valide dell’ordinamento (regola della validità materiale)»; G. SCARPELLI, Cos’è il positivismo giuridico, ristampa a cura di A. CATANIA e M. JORI, Napoli, 1997, p. 124: «Una norma è valida nel sistema in quanto prodotta nel modo determinato da una norma già appartenente al sistema». Vedi anche G. CORSO, L’invalidità amministrativa: profili generali, cit., p. 352: «L’atto posto in essere senza l’os-servanza della norma sulla produzione giuridica attributiva del potere è un atto in-

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Tuttavia, l’ordinamento può attribuire, per ragioni di politica del diritto, agli atti invalidi la stessa efficacia di quelli validi (68).

In questa prospettiva, l’atto invalido, pur difforme dalla c.d. norma di produzione o dalla c.d norma tecnica (69) è conforme ad un’altra norma dell’ordinamento che ne disciplina l’idoneità a produrre effetti (70). Detto altrimenti, l’efficacia giuridica dell’at-

valido, ossia un atto che non produce l’effetto giuridico proprio dell’atto valido».

(67) Cfr. A. MERKL, Das Recht im Lichte seiner Anwendung, in Deutsche Richterzei-tung, Sonderabdruck, 1918, p. 3-42; trad. it. a cura di C. GERACI, Il diritto dal punto di vista applicativo, in Il duplice volto del diritto, cit., p. 312: «La minima deviazione dalla legge – quale base della legalità – impedisce già di parlare di atto giuridico o di atto di un organo statale. L’esigenza pratica di trascurare gli errori insignificanti non è assecondata dalla legge».

(68) A. MERKL, Justizirrtum und Rechtswahrheit, in Zeitschrift fur Strafrechtswissen-schaft, Berlin, 1925, p. 452 ss., trad. it. a cura di C. GERACI, Errore giudiziario e verità legale, in Il duplice volto del diritto, cit., p. 350: «Il mezzo tecnico giuridico con il quale il diritto soddisfa l’indicata esigenza di politica del diritto è quello che io ho definito “calcolo dei vizi” (Fehlerkalkul). Intendo per calcolo dei vizi una disposizione di di-ritto positivo che rende possibile sul piano giuridico imputare allo Stato atti che non rispondono al complesso dei presupposti richiesti dal diritto positivo per la loro formazione e, quindi, che per la loro validità, consente di riconoscere tali atti come diritto malgrado quel vizio». Al riguardo vedi A. ROMANO TASSONE, Tra di-versità e devianza. Appunti sul concetto di invalidità, cit., 1134, nota che la predetta «im-postazione ha trovato poi largo eco nella dottrina successiva, soprattutto in quella giuspubblicistica: essa consente, infatti, di dare una risposta (una delle possibili ri-sposte) al problema di giustificare l’efficacia dell’atto dei pubblici poteri difforme dalla norma; tale atto, così, non viene espunto dal sistema, ma ricompreso in esso in quanto conforme alla norma che ne prevede la semplice impugnabilità [o la non annullabilità]».

(69) N. BOBBIO, Contributi ad un dizionario giuridico, cit., p. 314: «Intendo qui per “norma tecnica”, nell’accezione più comune, quella norma che prescrive il mezzo più idoneo che deve essere adottato per raggiungere un fine secondo la nota formula “se vuoi A, devi fare B”. [...] Norme tecniche del diritto sono quelle che stabiliscono che si deve ottemperare a certe formalità o si devono mettere in atto certe condizioni se si vuole che il proprio comportamento abbia gli effetti giuridici desiderati».

(70) F. MODUGNO, L’invalidità della legge, vol. I, Milano, 1970, p. 81 ss.; ID., L’invalidità della legge, vol. II, cit., p. 217 ss.; ID., Appunti per una teoria generale del diritto. La teoria del diritto oggettivo, Torino, 1989, p. 79: «La validità-invalidità rispetto alla singola norma è, in tal modo, distinta dalla validità rispetto all’ordinamento. L’ordinamento regge, da parte sua l’appartenenza a sé anche di norme singolarmen-

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to invalido trova il proprio fondamento in una forma di «“esi-stenza” giuridica dell’atto e, in definitiva, in una specie di “di-versa” validità come corrispondenza ad uno schema normativo distinto da quello “valido”» (71).

Si supera così da un lato, la tradizionale configurazione del-l’invalidità come mero «difetto o vizio di uno degli elementi o requisiti [normativamente] prescritti» (72) o come «negazione lo- te invalide, mentre la norma, isolatamente considerata, è valida soltanto in quanto conforme alle norme che ne prescrivono requisiti e condizioni di validità»; più re-centemente D. D’ORSOGNA, Il problema della nullità in diritto amministrativo, cit., p. 201: «Una salda giustificazione dogmatica della produttività di effetti giuridici da parte del provvedimento invalido può rinvenirsi solo dalla considerazione che que-sto integra a sua volta una (autonoma) fattispecie cui una norma (diversa da quella cui è parametrata la fattispecie “valida”) ricollega effetti contenutisticamente para-metrati a quelli della fattispecie “valida”».

(71) F. MODUGNO, Annullabilità e annullamento, I) Diritto pubblico, voce in Enc. Giur., vol. II, Roma, 1988, p. 1.

(72) P. VIRGA, Il provvedimento amministrativo, Milano, 1972, p. 372; in senso ana-logo A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 689: «è necessario che, oltre a non mancare di alcuno degli elementi essenziali alla sua esistenza, sia immu-ne da difetti; e cioè sia valido». Cfr., per una critica di siffatta costruzione sistemati-ca, M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, vol. II, Milano, 1993, p. 299 il quale nota che la dottrina meno recente «non trovando nei diritti positivi norme esaurienti sul-l’invalidità dei provvedimenti amministrativi, pensò che si potessero applicare le norme che i codici civili dettavano per i contratti, in quanto ritenute applicabili a qualcunque tipo di atto giuridico»; B. CAVALLO, Provvedimenti e atti amministrativi, in Trattato di diritto amministrativo, cit., p. 295 ss.: «il vizio invalidante, ricercato negli e-lementi dell’atto, non trova[va] più la sua unitaria spiegazione nel quadro di una fat-tispecie procedimentale, in cui si realizza[va] la formazione progressiva del provve-dimento»; F. G. SCOCA, La teoria del provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul procedimento, in Dir. Amm., 1995, 8 ss.: «Nella disciplina della validità [si] mostra cen-trale (e direttamente riferibile alla fattispecie) il giudizio di legittimità-illegittimità [...]. Il diverso criterio di valutazione determina un giro di barra rispetto al regime di validità del negozio giuridico, tutto focalizzato sulla mancanza o sullo stato viziato di elementi strutturali, come d’altronde è necessitato per una fattispecie a funziona-lità libera (entro i confini del lecito)». In proposito, R. SCOGNAMIGLIO, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1969, p. 352 nota 36 rileva che la nozione di validità-invalidità criticata conduce, da un lato a ridurre le cause di invalidità alla mancanza o al vizio di uno dei suoi elementi; dall’altro, a ritenere che il profilo ca-ratterizzante il negozio invalido non sia la sua antigiuridicità, ma la sua imperfezio-

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gica della validità» (73); dall’altro, si ammette che il provvedimen-to invalido è «una fattispecie sostanzialmente diversa da quella del provvedimento valido» (74).

Nell’ottica della concezione logico-formale la presenza nel-l’ordinamento di provvedimenti illegittimi eppure egualmente produttivi di effetti viene, quindi, giustificata facendo riferimen-to non a ragioni strettamente logiche, ma ad argomenti di carat-tere pratico-operativo o «di necessità».

Orbene, come autorevolmente notato, tale giustificazione appare «debole e insoddisfacente» (75).

L’esistenza di provvedimenti illegittimi eppure non annulla-bili sembra, invece, trovare fondamento più solido nella distin-zione fra la c.d. invalidità-illegittimità che concerne le difformità di un atto dal suo modello normativo e la c.d. invalidità-annulla-

ne.

(73) Cfr. B. CAVALLO, Provvedimenti e atti amministrativi, cit., p. 294: «Secondo un consolidato insegnamento l’invalidità di un provvedimento veniva ad essere indivi-duata come la negazione logica della sua validità».

(74) Chiaramente M. S. GIANNINI, Discorso generale sulla giustizia amministrativa, cit., p. 240: il provvedimento invalido non «è la fattispecie del provvedimento vali-do difettosa perchè le manca qualche tratto giuridico, ma una fattispecie che riceve qualificazioni diverse ed aggrega effetti diversi da quanto avviene per il provvedi-mento valido»; ID. Diritto amministrativo, vol. II, cit., p. 299: la fattispecie invalida è «sostanzialmente diversa da quella valida, il cui avveramento produce effetti giuridi-ci in tutto o in parte diversi da quelli della fattispecie valida o automatici, o poten-ziali, o eventuali a seconda del modo con cui nei diritti positivi essa è disciplinata». Al riguardo nota A. ROMANO TASSONE, Tra diversità e devianza. Appunti sul concetto di invalidità in Studi in onore di V. Ottaviano, cit. 1127: «Il superamento della (peraltro incerta) tradizione pandettistica che vede nell’invalidità la semplice negazione logica della validità, appare dunque come una tendenza difficilmente reversibile (se non proprio come una ormai sicura conquista) della scienza giuridica contemporanea».

(75) Così A. ROMANO TASSONE, Tra diversità e devianza. Appunti sul concetto di in-validità, cit., p. 1134 nota 43; S. CIVITARESE MATTEUCCI, La forma presa sul serio, cit., p. 219: «un motivo classico della critica al normativismo è relativo al fatto che esso non potrebbe spiegare la presenza nella dinamica dell’ordinamento di atti difformi dal lineamento normativo eppure efficaci».

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bilità che riguarda le conseguenze previste dall’ordinamento giu-ridico per tali difformità (76).

Il primo profilo pone in luce l’esistenza di una relazione tra provvedimento e fattispecie normativa (77): è la c.d. accezione

(76) Cfr. E. CANNADA BARTOLI, L’inapplicabilità degli atti amministrativi, Milano, 1950, p. 31 ss.: «altro è la teoria della forma di divergenza, altro è la teoria delle conseguenze della divergenza ed altro ancora la teoria delle cause della divergenza», p. 50: «legittimità e validità [non] coincidono [...] giacché un atto amministrativo può essere viziato in merito e, quindi, invalido senza essere altresì affetto da un vi-zio di legittimità»; ID., Annullabilità e annullamento (dir. amm.), voce in Enc. Dir., vol. II, Milano, 1958, p. 485 ss.: [Con il termine invalidità] si designa la (forma) di diver-genza dell’atto dal suo modello legale (divergenza contro la quale si reagisce) ovve-ro l’invalidità come una fra le tanti possibili forme di reazione contro la suddetta divergenza; F. LUCIANI, Il vizio formale nella teoria dell’invalidità amministrativa, p. 140 ss. spec. p. 148 il quale pone in luce il duplice significato dell’invalidità che designa non solo la «condizione di difformità – variamente articolata – di un atto (fonte di norme primarie) rispetto al suo paradigma normativo (la norma secondaria)», ma anche «le conseguenze all’uopo previste dall’ordinamento per l’atto (variamente) difforme dal suo modello normativo»; R. VILLATA e M. RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, cit., p. 335: «L’invalidità può essere intesa sia come divergenza dell’at-to dal suo modello legale (divergenza contro la quale si reagisce), sia come una forma di reazione contro la suddetta divergenza; in altri termini, l’invalidità è vuoi un modo anormale di essere del provvedimento, vuoi l’effetto giuridico delle varie anormalità». Con riferimento al diritto privato, cfr. E. BETTI, Teoria generale del nego-zio giuridico, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da F. VASSALLI, vol. XV, Torino, 1960, p. 468 che ritiene opportuno «tenere distinti i due ordini di problemi: quelli concernenti la diagnosi delle anormalità (la patologia) e quelli concernenti il loro trattamento giuridico».

(77) Sul punto G. CORSO, Validità, cit., p. 85 il quale rileva che la nozione di validità-invalidità richiama una relazione di conformità-difformità con una norma superiore ovvero con le metanorme di competenza e procedura: nel primo caso, la validità-invalidità è riferita ad una norma o ad un precetto; nella seconda ipotesi è invece riferita all’atto produttivo della norma o del precetto; F. BENVENUTI, Disegno dell’amministrazione italiana, Padova, 1996, p. 189: La validità «sta ad indicare che l’at-to corrisponde pienamente alla fattispecie astratta costituita dalla norma. Nell’ipo-tesi invece in cui l’atto sia difforme da quella norma, allora esso viene detto invali-do»; M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, vol. II, Milano, 1993, p. 299: «Anche per il provvedimento amministrativo possono presentarsi fattispecie anormali, cioè a-venti, secondo il rigoroso significato giuridico dell’anormalità, dei tratti difformi dallo schema (o fattispecie) normativo astratto»; R. GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, in Trattato di diritto civile e commerciale, gia diretto da A. CICU, F. MESSINEO, L.

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causale dell’invalidità (78); il secondo invece evidenzia le forme di reazione – lato sensu sanzionatorie (79) – normativamente pre-viste per i provvedimenti illegittimi (80): è la c.d. accezione effet-tuale dell’invalidità (81).

L’invalidità non è, quindi, una conseguenza logica e necessa-ria dell’illegittimità (82), ma è «il regime (normativo e non “natu-rale”) dell’efficacia dei provvedimenti viziati» (83). MENGONI e continuato da P. SCHLESINGER, Milano, 1998, p. 129 ss.

(78) G. CORSO, Validità, cit., p. 87: «Nella considerazione giuridica della validità (e della invalidità) vi è un aspetto causale [...]. Che cosa determina la validità (o l’invalidità) di un atto? [...] Chi risponde [a questa] domanda evoca una relazione di conformità-difformità rispetto ad un paradigma o a un modello (norma superiore, principi, ecc.)»; A. ROMANO TASSONE, Tra diversità e devianza. Appunti sul concetto di invalidità, cit., p. 1122: la concezione c.d. causale «privilegia ormai una definizione attenta soprattutto alle cause del fenomeno, per il quale l’atto invalido è quello dif-forme dal diritto obiettivo».

(79) E. CANNADA BARTOLI, L’inapplicabilità degli atti amministrativi, cit., p. 70-72; E. CASETTA, Attività e atto amministrativo, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1957, p. 304; S. CASSARINO, Le situazioni giuridiche e l’oggetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 1956, p. 25.

(80) Cfr. A. PIRAS, Invalidità (diritto amministrativo), voce in Enc. Dir., vol. XII, Milano, 1972, p. 599: «Superata la concezione che fa coincidere l’invalidità con l’im-perfezione dell’atto, con la difettosità degli elementi di questo o con la violazione delle norme imperative, si tende oggi a risolvere la dottrina delle forme di invalidità in un’analisi delle misure di reazione che si rivolgono contro la giuridicità dell’atto»; F. BENVENUTI, Disegno dell’amministrazione italiana, cit., p. 189: «Questi termini [nulli-tà o annullabilità] qualificano l’atto invalido secondo la reazione che l’ordinamento giuridico oppone alla sua validità»; più recentemente F. VOLPE, Norme di relazione, norme di azione e sistema italiano di giustizia amministrativa, Padova, 2004, p. 386 che, pur aderendo ad altre premesse ricostruttive, scrive: «L’essenza stessa dell’annullabilità va colta nell’essere, quest’ultima, una misura che la legge ricollega quando si verifi-chi una determinata fattispecie oggettiva, data appunto dall’emanazione di un atto amministrativo in difformità da talune particolari regole sull’esercizio del potere».

(81) Cfr. G. CORSO, Validità (dir. amm.), cit., p. 87: «Qual è la conseguenza della validità (o della invalidità) di una norma o di un atto?. Chi risponde [a questa] doman-da richiama gli effetti giuridici propri dell’atto (o della norma), che l’atto (o la nor-ma) è idoneo a produrre, o inidoneo a produrre, a seconda che sia valido o invali-do».

(82) Cfr. A. ROMANO TASSONE, Contributo sul tema dell’irregolarità degli atti ammini-strativi, cit., p. 34: «quasi tutti gli autori (per tacer dei giudici) riconoscono l’esistenza

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L’invalidità (rectius: l’illegittimità) di un atto «non pone di per sé un problema giuridico, perché tutte le volte in cui non via sia alcun interesse ad eliminare l’atto, [...] l’invalidità rimane giuridi-camente irrilevante» (84). di difformità non invalidanti»; A. POLICE, L’illegittimità dei provvedimenti amministrativi alla luce della distinzione tra vizi c.d. formali e vizi sostanziali, cit., p. 742: «Finché in diritto positivo dalla illegittimità di un provvedimento, cioè dalla sua non conformità al dirit-to obiettivo, discenderà immancabilmente la sua invalidità (e, quindi, l’obbligo per il giudice di pronunciare una sentenza di annullamento), la illegittimità e l’invalidità costituiranno due facce della stessa medaglia (corsivo aggiunto)». Contra G. GUARI-NO, Atti e poteri amministrativi, vol. I, Milano, 1994, p. 229: «accertata l’esistenza di una qualsiasi difformità tra la fattispecie normativa e quella concreta, spetta al dirit-to positivo stabilire quale sia la disciplina applicabile». Tuttavia, nel capoverso im-mediatamente successivo, afferma: «va escluso, per definizione, che tale disciplina sia in ogni caso la stessa di quella già dettata per il potere. Questa disciplina presuppo-ne che l’atto corrisponde per intero al modello: ciò per l’appunto non si verifica se un vizio esiste»; F. LEVI, Legittimità (diritto amministrativo) voce in Enc. Dir., vol. XXIV, Milano, 1974, p. 126: «A proposito del rapporto di conformità o difformità rispetto alle norme sopraordinate si parl[a] tanto di legittimità quanto, e forse più spesso, di validità o invalidità dell’atto oggetto del giudizio».

(83) Cfr. D. CORLETTO, Efficacia e invalidità dell’atto amministrativo, in Le nuove re-gole dell’azione amministrativa, a cura di G. SCIULLO, Bologna, 2006, p. 175; ID., Vizi «formali» e poteri del giudice amministrativo, cit., p. 200: «l’invalidità è il regime che l’or-dinamento riserva agli atti che, non rispettando il diritto, sono da qualificarsi come illegittimi, e più esattamente è il regime della loro efficacia»; F. LUCIANI, Il vizio for-male nella teoria dell’invalidità amministrativa, cit., p. 148: «l’invalidità non può rimanere assorbita nella teoria dei vizi giuridici, ma diventa parte di una teoria sui modelli di reazione che l’ordinamento collega a tali imperfezioni»; S. CIVITARESE MATTEUCCI, La forma presa sul serio, Torino, 2006, p. 438; F. VOLPE, La non annullabilità dei provve-dimenti amministrativi illegittimi, in Dir. Amm., 2008, p. 343. Vedi anche le riflessioni di G. FALCON, Questioni sulla validità ed efficacia del provvedimento amministrativo nel tempo, in Dir. Amm., 2003, p. 2: «il nesso potenziale e prospettico tra validità ed efficacia spiega anche la ragione per la quale, benché sia usuale parlare di “validità”, ciò che realmente ci interessa è l’invalidità del provvedimento, in quanto essa sia suscettibi-le di portare in qualche modo alla cessazione dell’efficacia».

(84) E. CAPACCIOLI, La gestione di affari in diritto amministrativo, Padova, 1956, p. 75-147 spec. p. 110: «il diritto non è un investigatore che corre dietro agli atti viziati e, appena li scorge, applica loro i meccanismi propri della nullità e dell’annullabilità. Anzi, il diritto non si muove mai per colpire gli atti viziati; si muove solo per tutela-re gli interessi che sono meritevoli di considerazione», p. 111 da dove è tratta la fra-se riportata nel testo; p. 141: «occorre mettere in evidenza che il vizio dell’atto non

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Emerge sullo sfondo una concezione reale-oggettiva del di-ritto in forza della quale ogni ordinamento positivo è costituito da un complesso di norme giuridiche. E ciascuna di tali norme rappresenta un interesse ritenuto meritevole di essere soddisfat-to da una determinata comunità sociale in un determinato pe-riodo storico (85).

In questa prospettiva teleologica può essere giustificata la previsione dell’art. 21 octies secondo comma primo alinea.

Tale disposizione appare preordinata a realizzare un inter-esse ritenuto meritevole di tutela da parte dell’ordinamento: la conservazione dei provvedimenti vincolati affetti da vizi esclu-sivamente formali. La loro caducazione, infatti, costituirebbe comporta di per sé un interesse pubblico alla sua eliminazione. Esiste bensì un inte-resse dello Stato a che l’ordine giuridico non sia manomesso, ma questo è un inte-resse di tal natura che non può essere soddisfatto se non in via preventiva, e che non comporta per nulla che quando un’infrazione sia commessa, l’atto viziato e i suoi eventuali effetti debbano essere del tutto rimossi»; G. CORSO, Validità (dir. amm.), cit., p. 103: «il giudizio di validità-invalidità è di solito strettamente legato agli interessi»; p. 105: «L’interesse del privato, le ragioni della sua tutela vengono [...] richiamati per delimitare la rilevanza del vizio: non l’astratto scostamento determina l’illegittimità dell’atto, ma solo la difformità che danneggia la parte che lo denunci».

(85) A. FALZEA, Efficacia giuridica, cit., p. 453: «Alla base di ogni norma, si so-stiene sulle orme di Jhering, deve scorgersi un problema di vita e di interessi, che non può essere né inteso né risolto dal giurista senza un riferimento alla realtà so-ciale e alle sue esigenze»; ID., Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto di diritto, Mi-lano, 2008, p. 302 ss. spec. p. 389: «ciascuna norma, delineando specifiche situazio-ni del mondo-ambiente socialmente vantaggiose e i comportamenti umani che debbono concorrere a realizzarle, rappresenta un interesse e le singole norme for-mano quell’unità complessa che si chiama sistema normativo, mentre i singoli inte-ressi formano quell’unità complessa che è il sistema di interessi. Il sistema di interessi combinandosi con il sistema normativo del diritto dà luogo al sistema giuridico». Vedi le recenti riflessioni di F. LUCIANI, Il vizio formale nella teoria dell’invalidità amministrati-va, cit., p. VII-VIII che contrappone «il diritto come struttura logica-formale» al «di-ritto come valutazione assiologica-reale»; p. 98-99 nota 54: «Il diritto non è più in-sensibile ai contenuti della vita materiale, che esso deve cominciare a disciplinare secondo i criteri di valori espressi nei principi; e questi valori, non più esterni al di-ritto, prendono anzi a qualificarlo, entrando a far parte della cinghia di trasmissione del consenso che rappresenta, sul piano pratico, la nuova giustificazione del “giuri-dico” rispetto al “non giuridico” ».

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una sanzione «abnorme ed eccessiva» (86), non farebbe emergere «i veri obiettivi e le vere intenzioni del ricorrente» il quale sareb-be legittimato a condurre una «caccia all’errore formale» (87), de-terminerebbe «un’applicazione totalizzante delle disposizioni normative, cancellando il risultato giuridico sostanziale» (88) ed arrecherebbe un inutile ritardo all’esplicazione dell’azione ammi-nistrativa.

2. LA «NON ANNULLABILITÀ» DEI PROVVEDIMENTI ILLEGITTIMI: DUBBI DI COMPATIBILITÀ CON IL PRINCIPIO COSTITUZIONALE DELLA «IMMAN-CABILITÀ E INSOSTITUIBILITÀ» DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE

Dopo aver cercato di delineare il substrato dommatico sot-

teso all’art. 21 octies secondo comma, appare inevitabile verifi-carne la compatibilità con le norme costituzionali (89) (di conte-nuto alquanto vago) (90) che disciplinano le forme e i mezzi di tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione (91).

(86) G. MORBIDELLI, Invalidità e irregolarità, cit., p. 87. (87) L. IANNOTTA, La considerazione del risultato nel giudizio amministrativo:

dall’interesse legittimo al buon diritto, in Dir. Proc. Amm., 1998, p. 340. (88) L. IANNOTTA, La considerazione del risultato nel giudizio amministrativo:

dall’interesse legittimo al buon diritto, cit., p. 341. (89) Superfluo è il richiamo agli art. 24 comma 1 e 113 della Cost. (90) Cfr. F. G. SCOCA, La tutela del contribuente nel processo esecutivo esattoriale, in

Giur. Cost., 1962, p. 951: «La garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale non riceve negli articoli citati [art. 24 comma 1 ed art. 113] un senso molto compiuto».

(91) Esprimono dei dubbi e delle perplessità sulla legittimità costituzionale dell’art. 21 octies secondo comma, D. U. GALETTA, Violazione di norme sul procedimento e annullabilità del provvedimento, cit., p. 211-225 spec. p. 223-224; F. SATTA, La riforma della legge 241/90: dubbi e perplessità, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico; E. FOLLIERI, L’annullabilità dell’atto amministrativo, cit., p. 625; M. RENNA, Obblighi proce-dimentali e responsabilita’ dell’amministrazione, in Dir. Amm., 2005, p. 572 ss.; G. SALA, Procedimento e processo dopo la 241, cit., p. 103-104; D. CORLETTO, Vizi formali e poteri del giudice amministrativo, cit., p. 2002-203.

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La verifica avrebbe esito positivo se si accogliesse un’inter-pretazione meramente letterale dell’articolo 113 Costituzione (92).

L’ultimo comma di tale norma, infatti, riserva alla legge il potere di determinare i «casi» in cui il giudice amministrativo può annullare il provvedimento amministrativo.

In questa ottica, l’art. 21 octies secondo comma potrebbe es-sere configurato come mera disposizione attuativa del precetto costituzionale.

Di conseguenza, non precluderebbe né il diritto costituzio-nalmente garantito di agire in giudizio per la tutela degli interessi legittimi né circoscriverebbe la tutela giurisdizionale a particolari «mezzi di impugnazione» (93).

E, per altro profilo, avrebbe un contenuto differente dall’art. 26 del r.d. 1054/1924 dichiarato costituzionalmente illegittimo in quanto prevedeva che i ricorsi proposti avverso le «decisioni concernenti le controversie doganali» sarebbero stati ammissibili esclusivamente se avessero censurato l’incompetenza o l’eccesso di potere (94).

(92) Riguardo l’art. 113 della Cost. cfr., ex multis, V. BACHELET, La giustizia am-

ministrativa nella costituzione italiana, Milano, 1966; G. BERTI, Sub art. 113, in La pubbli-ca amministrazione. Commentario della Costituzione, a cura di G. BRANCA, Bologna-Roma, 1987, p. 85-112 spec. p. 97-98; F. SAITTA, Sub art. 113, in Commentario alla Costituzione, a cura di R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI, Torino, 2006, p. 2137 ss.

(93) In proposito, cfr. A PAJNO, Norme costituzionali sulla giustizia amministrativa, in Dir. Proc. Amm., 1994, p. 475: «L’art. 113 ultimo comma attribuisce alla legge la determinazione degli “effetti” dell’annullamento dell’atto amministrativo: val quan-to dire che non esiste un effetto, per dir così, tipico dell’annullamento, di tipo me-ramente caducatorio, ma che la natura dell’effetto scaturente dall’annullamento proviene dalla legge, ed è diversamente modellato a seconda della natura del rap-porto controverso».

(94) Corte Cost., 27 Giugno 1958 n. 40, in Giur. Cost., 1958, p. 525 che dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 26 T. U. n. 1054/1924 del Consiglio di Stato nella parte in cui limita la sindacabilità giurisdizionale delle determinazioni ministe-riali ai soli vizi di incompetenza ed eccesso di potere: «è evidente che l’art. 26 del T.U. 26 giugno 1924, n. 1054, nel deferire al Consiglio di Stato i ricorsi per illegit-

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L’ipotesi ricostruttiva sopra prospettata, pur trovando con-forto nel dettato letterale del più volte richiamato art. 113, appa-re francamente illogica e priverebbe di effettività il diritto di agi-re e di resistere in giudizio (95); diritto in cui «si raccoglie la quin-tessenza della giuridicità e la garanzia essenziale dell’individuo che vive nella società, [al punto che il suo] disconoscimento renderebbe vano ogni altro diritto» (96).

A tacer d’altro, se si accogliesse la predetta soluzione inter-pretativa si dovrebbe ritenere costituzionalmente legittima qua-lunque disposizione normativa che escludesse in toto l’annul-labilità dei provvedimenti illegittimi (siano essi vincolati o di-screzionali). Una norma di tal genere, infatti, almeno sotto il profilo formale, si limita ad individuare i casi in cui il giudice non può esercitare il proprio potere di annullamento.

In ogni modo, si sottolinea che il combinato disposto degli art. 24 comma 1 e 113 Cost. garantisce non solo «la tutela giuri-sdizionale degli interessi legittimi, ma anche la sua necessaria completezza» (97).

Ed appare difficile ritenere che tale tutela possa dirsi com-pleta in relazione a quei provvedimenti illegittimi che, pur es-sendo astrattamente impugnabili, non sono annullabili ex art. 21 octies secondo comma.

timità degli atti amministrativi (comma primo), esentando da ogni sindacato che non sia per “incompetenza od eccesso di potere” le determinazioni ministeriali in esame (comma secondo), contrasta col precetto del secondo comma dell’art. 113 Cost., in base al quale la tutela giurisdizionale contro gli atti della Pubblica Ammini-strazione non può essere limitata a particolari mezzi d’impugnazione».

(95) Per una puntuale ricostruzione degli interventi della Corte costituzionale diretti a garantire l’effettività della tutela vedi A. TRAVI, Lezioni di diritto amministrati-vo, Torino, 2008, p. 99 ss.

(96) Cfr. L. R. PERFETTI, Diritto di azione e interesse ad agire nel processo amministrati-vo, cit., p. 244.

(97) Così A. ROMANO, Sub art. 26 del t.u. Cons. St. (r.d. 26 Giugno 1924, n. 1054), in Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, a cura di A. ROMANO, Pado-va, 2001, p. 269-271.

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Certo, è pur vero che non sussiste un diritto costituzional-mente garantito del cittadino «di invocare la tutela giurisdiziona-le in ogni caso nella medesima maniera e con i medesimi effetti» (98).

Tuttavia, il legislatore ordinario non ha una discrezionalità così ampia da poter escludere l’annullabilità di un provvedimen-to illegittimo senza prevedere un’idonea forma di tutela alterna-tiva (99). E di questi mezzi di tutela giurisdizionale alternativi non pare esservi traccia nel diritto vigente (100), a meno di non

(98) Cfr. Corte Cost., 7 Luglio 1962 n. 87, in Giur. Cost., 1962, p. 935- 958 spec. p. 953: «Il proposito del Costituente fu quello di garantire il diritto del cittadino, che si sentisse leso dall’atto della pubblica amministrazione, di richiedere la tutela giurisdizionale, non già di eliminare il potere del legislatore ordinario di regolare i modi e l’efficacia di questa. [...] La potestà di annullamento non è riconosciuta a tutti indistintamente gli organi di giurisdizione, né è ammessa in tutti i casi e non produce in tutti i casi i medesimi effetti»; Corte Cost., 6 Giugno 1973, n. 73, in Giur. Cost., 1973, p. 832 ss.; Corte Cost., 23 Gennaio 1974, n. 12, in Giur. Cost., 1974, p. 45 ss.; Corte Cost., ord. 27 Aprile 1988, in Giur. Cost., 1988, p. 2193 ss. Contra R. CAVALLO PERIN, Il contenuto dell’art. 113 costituzione fra riserva di legge e riserva di giurisdizione, cit., p. 526: «il riferimento costituzionale al potere di annullamento degli atti amministrativi indica un nucleo normativo imprescindibile già noto all’ordinamento e allo stesso costituente. Nucleo imprescindibile che è stato indivi-duato nel potere di annullamento degli atti amministrativi impugnati avanti al giudi-ce amministrativo di cui questo è da tempo titolare nel sindacato generale di legit-timità sugli stessi»; Corte Cost., 6 Luglio 1971, n. 161, in Giur. Cost., 1971, p. 1741 ss con nota critica di V. BACHELET, L’art. 113 e le restrizioni giurisprudenziali alla tutela giudiziaria nei confronti della p.a.: «È rimasta in tal modo inalterata l’attuale regolamen-tazione che riserva in via generale il potere di annullamento degli atti amministrativi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale e riconosce invece un potere di annul-lamento all’autorità giudiziaria ordinaria non in via generale, ma solo per determina-te categorie di atti».

(99) Corte Cost., 6 Luglio 1971 n. 161, in Giur. Cost., 1971, p. 1741-1753 spec. p. 1751 che afferma la legittimità costituzionale del divieto di azioni possessorie, in quanto il diritto del cittadino alla difesa delle proprie ragioni è sufficientemente ga-rantito con rimedi di tutela amministrativa e giurisdizionale come l’impugnazione avanti al giudice amministrativo del provvedimento (nel caso di specie si trattava di una concessione rilasciata a favore di un’impresa per la coltivazione di una cava sul fondo di proprietà altrui).

(100) Cfr. D. U. GALETTA, Violazione di norme sul procedimento amministrativo e an-nullabilità, cit., p. 224 che, pur con riferimento alla violazione di norme procedimen-

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ritenere che i provvedimenti rientranti nel campo di applicazio-ne dell’art. 21 octies configurino un’ipotesi di illecito risarcibile ex art. 2043 c.c. (101).

Questa tesi, pur autorevolmente prospettata ed approfondi-ta, suscita alcune perplessità non solo perché è incompatibile con la c.d. pregiudiziale amministrativa (102) la cui esistenza, pur

tali, rileva in modo puntuale l’insussistenza di sanzioni alternative all’annullamento del provvedimento: «[La novella normativa] mira a realizzare un superamento dei vizi [formali] come causa immediata e diretta di annullamento del provvedimento, senza proporre, tuttavia, alcuna alternativa sanzionatoria che possa fungere da ido-neo sostituto rispetto alla tutela di annullamento. Nè esiste un’alternativa – de iure condito – nel nostro attuale sistema di tutela giurisdizionale amministrativa».

(101) Come afferma A. ROMANO TASSONE, I problemi di un problema. Spunti in tema di risarcibilità degli interessi legittimi, in Dir. Amm., 1997, p. 61 ss. spec. p. 73 e 76-77; ID., Situazioni giuridiche soggettive, voce in Enc. Dir., vol. II Aggiornamento, Milano, 1998, p. 951 ss. spec. P. 984; ID, Giudice amministrativo e interesse legittimo, in Dir. Amm., 2006, p. 292 ss.; F. G. SCOCA, Risarcibilità e interesse legittimo, in Dir. Pubbl., 2000, p. 25-28; M. RENNA, Obblighi procedimentali e responsabilità dell’amministrazione, cit., p. 557 ss.; più recentemente A. LOLLI, Vizi formali degli atti amministrativi e proces-so: possibilità e limiti di una prospettiva risarcitoria, in La Responsabilità civile, 2008, p. 53 con ampi richiami giurisprudenziali spec. p. 66: «Sulla base degli argomenti svolti nella decisione del 2003 [Cass. Civ. Sez. I, 10 Gennaio 2003 n. 157, in Foro Amm. CDS, 2003, p. 32 ss.] e da parte della dottrina, i vizi formali possono causare un danno ammissibile al risarcimento, poiché la mancata compromissione di un’utilitas sostanziale (per definizione: il vizio formale) non comporta l’assenza di qualunque profilo risarcitorio». Successivamente, l’autore esamina la risarcibilità dei danni non patrimoniali in caso di provvedimenti affetti da vizi formali ed afferma: «è, invero, più ragionevole ritenere che solo qualora l’interesse legittimo esprima, nei confronti del potere amministrativo, una situazione soggettiva che rinviene una protezione costituzionale più specifica, solo in tal caso si dia un accesso al risarcimento del danno non patrimoniale. In tal modo, potrebbe aprirsi una via per una risarcibilità di eventuali danni conseguenza, anche non patrimoniali, anche a fronte di vizi formali».

(102) In questo senso, D. U. GALETTA, Violazione di norme sul procedimento e annul-labilità del provvedimento, cit., p. 215-216: «Anche, infatti, ove si ritenesse di accogliere la tesi proposta da quella dottrina che, a seguito della nota sentenza della Cassazio-ne n. 500/99, ha ipotizzato la possibilità di prevedere una condanna ex art. 2043 c.c. anche per l’ipotesi di provvedimento affetto da mere illegittimità formali, non sarebbe comunque possibile superare l’ostacolo posto dalla [...] c.d. pregiudiziale amministrativa».

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negata dalla Cassazione (103), è egualmente sostenuta dalla do-minante giurisprudenza amministrativa (104) e da parte della dot-

(103) I leading cases sono Cass. Civ., Sez. Un., 13 Giugno 2006, n. 13660, in Giu-

stAmm Rivista internet di diritto pubblico, n.6/2007 nonché Cass. Civ., Sez. Un., 13 Giugno 2006, n. 13659, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico, n.6/2007: «Il giudice amministrativo rifiuta di esercitare la giurisdizione e la sua decisione, a norma dell’art. 362 comma 1, si presta a cassazione da parte delle Sezioni Unite quale giudice del riparto, se l’esame del merito della domanda autonoma del risar-cimento del danno è rifiutato per la ragione che nel termine per ciò stabilito non sono stati chiesti l’annullamento dell’atto e la conseguente rimozione degli effetti»; più recentemente Cass. Civ., Sez. Un., 8 Aprile 2008, n. 9040, in LexItalia Rivista internet di diritto pubblico, n. 4/2008. In dottrina, l’esistenza della pregiudizialità am-ministrativa è negata, pur attraverso diverse ricostruzioni, da: M. RENNA, Obblighi procedimentali e responsabilità dell’amministrazione, cit., p. 569 ss.; F. G. SCOCA, Fondamen-to storico ed ordinamento generale della giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsa-bilità amministrativa, in Responsabilità amministrativa e giurisdizione contabile ad un decennio delle riforme, Milano, 2006, p. 64 ss.; R. CARANTA, Ancora sulla pretesa pregiudizialità tra ricorso d’annullamento e ricorso risarcitorio, in Urb. ed App., 2007, p. 84 ss.; P. DE LISE, Introduzione, in Le nuove frontiere del giudice amministrativo, a cura di G. PELLEGRINO, Milano, 2008, p. XXIX; G. ABBAMONTE, Alcune riflessioni sull’evoluzione di concetti e indirizzi sulla giustizia nell’amministrazione e sulla cooperazione tra giurisdizioni, in Le nuove frontiere del giudice amministrativo, cit., p. 85 ss.; F. CARINGELLA, La pregiudiziale ammini-strativa: una soluzione antica per un problema attuale, in Le nuove frontiere del giudice ammini-strativo, cit., p. 99 ss.; M. CLARICH, La pregiudizialita` amministrativa riaffermata dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato: linea del Piave o effetto boomerang?, in Giorn. Dir. Amm., 2008, p. 55 ss.

(104) I leading cases sono senza dubbio costituiti da: Cons. Stato, Ad. Pl., 22 Ot-tobre 2007 n. 12, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico, n. 10/2007 e da Cons. Stato, Ad. Pl. 26 Marzo 2003 n. 4, in Foro It., III, 2003, p. 433 ss. Successivamente alle ordinanze delle sezioni unite della Cassazione che si sono dichiarate contrarie alla pregiudizialità amministrativa vedi: T.A.R. Puglia, Lecce, 4 Luglio 2006, n. 3710, in www.neldiritto.it; T.A.R. Abruzzo, Sez. I, 11 Luglio 2006, n. 581, in www.neldi-ritto.it; T.A.R. Piemonte, Sez. I, 13 Novembre 2006, n. 4130, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico, n. 11/2006; T.A.R. Basilicata, 2 Febbraio 2007, n. 3, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. IV, 8 Maggio 2007, n. 2136, in Foro Amm. CDS, 2007, p. 1824 ss.; Cons. Stato, Sez. IV, 8 Giugno 2007, n. 3034, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. V, 12 Luglio 2007 n. 3922, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Calabria, 23 Luglio 2007, n. 746, in Giustamm Rivista internet di diritto pubblico, n. 7/2007; T.A.R. Piemonte Torino, Sez. II, 28 Set-tembre 2007, n. 2990, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Abruzzo, 11 Marzo 2008, n. 163, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico n. 3/2008; Cons. Stato, 17

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trina (105), ma anche per un altra ragione: la «non annullabilità» della l. n. 15/2005 trova fondamento nel fatto che «il risultato dell’esercizio del potere non avrebbe potuto essere differente». Pertanto, «al privato è stato garantito o negato precisamente quanto l’ordinamento imponeva di garantire o di escludere onde non è dato comprendere quale sarebbe il danno collegato alla violazione di una pretesa del danneggiato» (106). Luglio 2008, n. 3592, in LexItalia Rivista internet di diritto pubblico n. 7/2008.

(105) In dottrina, l’esistenza della pregiudiziale amministrativa è sostenuta, pur con differenti argomentazioni ed in forma più o meno esplicita, da: A. M. SANDUL-LI, Finalmente «definitiva» certezza sul riparto di giurisdizione in tema di «comportamenti» e sulla c.d. «pregiudiziale» amministrativa? Tra i due litiganti vince la «garanzia di piena tutela», in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico, n. 6/2006; G. GRECO, Inoppugnabilità e disapplicazione dell’atto amministrativo nel quadro comunitario e nazionale (note a difesa della c.d. pregiudizialità amministrativa), in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2006, p. 513 ss.; ID., La trasmissione dell’antigiuridicità (dell’atto amministrativo illegittimo), in Dir. Proc. Amm., 2007, p. 326 ss.; ID., Argomenti di diritto amministrativo, Milano, 2008, p. 219 ss.; C. CONSO-LO, Piccolo discorso sul riparto di giurisdizioni, il dialogo fra le Corti e le esigenze dei tempi, in Dir. Proc. Amm., 2007, p. 631 ss.; L. GAROFALO, Eventualità del risarcimento del danno e pregiudiziale amministrativa, in Dir. e Proc., 2008, p. 411 ss.; V. GASPARINI CASARI, In tema di pregiudiziale amministrativa, in Jus, 2007, p. 223 ss. Intermedia appare la posi-zione di A. TRAVI, Pregiudizialità amministrativa e confronto fra le giurisdizioni, in Foro It., III, 2008, p. 3 ss. e di T.R.G.A., Sezione di Trento, 24 Aprile 2008, n. 94, in Giu-stAmm Rivista internet di diritto pubblico n. 4/2008 favorevole alla pregiudizialità am-ministrativa esclusivamente nell’ipotesi in cui il danno sia risarcito non in forma specifica, ma per equivalente. Utili e puntuali sono senza dubbio le indicazioni di metodo desumibili da R. VILLATA, Pregiudizialità amministrativa nell’azione risarcitoria per responsabilità da provvedimento?, in Dir. Proc. Amm., 2007, p. 271 ss.; ID., L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato ritorna, confermandola, sulla c.d. pregiudizialità amministrativa …ma le sezioni unite sottraggono al giudice amministrativo le controversie sulla sorte del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, in Dir. Proc. Amm., 2008, p. 300 ss. Per un quadro di carattere generale delle varie posizioni riguardo il rapporto tra azione di annullamento e azione risarcitoria cfr. V. FANTI, Tutela demolitoria e risarcitoria dell’interesse legittimo innanzi al giudice ordinario e al giudice amministrativo, Milano, 2006, nonché F. CORTESE, La questione della pregiudizialità amministrativa. Il risarcimento del danno da provvedimento illegittimo tra diritto sostanziale e diritto processuale, Padova, 2007.

(106) In termini, F. FRACCHIA, Vizi formali, semplificazione procedimentale, silenzio-assenso, in Dir. Econ., 2002, p. 448; ID., Risarcimento del danno causato da attività provve-dimentale dell’amministrazione: la Cassazione effettua un ulteriore (ultima ?) puntualizzazione, in Foro It., III, 2003, p. 79 ss. spec. p. 83: «posto che, anche rispettando il precetto,

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la scelta amministrativa non sarebbe stata differente, il danno non si configura co-me la conseguenza diretta della violazione della norma di azione e del provvedi-mento annullabile per vizi formali. La norma disattesa dall’amministrazione, infatti, non proteggeva l’interesse della parte e gli effetti dannosi non costituiscono l’inve-ramento del rischio per evitare il quale era stata posta la norma medesima»; M. OC-CHIENA, Partecipazione e tutela giurisdizionale, in Dir. Econ., 2001, p. 625. La giurispru-denza amministrativa tende a negare la risarcibilità dei provvedimenti formalmente illegittimi, ma sostanzialmente fondati»; F. TRIMARCHI BANFI, L’ingiustizia del danno da lesione di interessi legittimi, in Dir. Proc. Amm., 2001, p. 636: «Nei casi di potere inte-ramente vincolato [...], l’ingiustizia del danno è dunque da escludere quando sia provato che l’amministrazione, di fatto, non avrebbe deciso in modo diverso, anche se la regola che è stata violata fosse stata osservata. La situazione suddetta può esse-re descritta come quella in cui la statuizione posta con il provvedimento è confor-me al diritto sostanziale e l’illegittimità attiene a profili formali dell’atto»; D. U. GA-LETTA, Violazione di norme sul procedimento e annullabilità del provvedimento, cit. p. 216-218; A. POLICE, La c.d. invalidità formale dei provvedimenti amministrativi fra mito e realtà, in Vizi formali, procedimento, processo, cit., p. 150: «Stante il carattere formale del vizio di legittimità lamentato è altamente improbabile che il destinatario dell’atto illegit-timo possa dare prova dell’effettiva sussistenza del danno»; R. GAROFOLI, La re-sponsabilità della pubblica amministrazione, in Il contenzioso. Trattato sui contratti pubblici, diretto da M. A. SANDULLI, R. DE NICTOLIS, R. GAROFOLI, Milano, 2008, p. 4088-4089. Per quanto concerne la giurisprudenza amministrativa che tende a negare la risarcibilità dei provvedimenti formalmente illegittimi, ma sostanzialmente fondati cfr.: Cons. Stato, Sez. VI, 12 marzo 2004, n. 1261, in Diritto e Formazione, 2004, p. 692 ss.: «Nel caso di annullamento di un atto amministrativo incidente su interessi legittimi oppositivi e viziato nella forma o nel procedimento, l’ingiustizia del danno, rilevante ai fini risarcitori, è assente allorché sia provato che l’amministrazione non avrebbe diversamente deciso pure osservando la regola violata»; Cons. Stato, Sez. IV, 28 Febbraio 2005, n. 751, in Foro Amm. CDS, 2005, p. 408 ss; T.A.R. Lombar-dia, Brescia, 9 Luglio 2007, n. 616, in www.giustizia-amministrativa.it: «se il provvedi-mento fosse viziato per ragioni attinenti alla sola forma oppure al solo procedimen-to, ma risultasse ineccepibile sul piano sostanziale, l’amministrazione potrebbe a-dottare un nuovo provvedimento con identico contenuto sfavorevole per il privato, ed in questa situazione sembrerebbe difficile giustificare un diritto al risarcimento. In una prospettiva meno formalistica, quindi, il privato non può sostenere la lesività sostanziale del provvedimento sfavorevole – inficiato da illegittimità solo formali – attesa la non spettanza ab initio del bene della vita sottrattogli»; T.A.R. Puglia, 13 Dicembre 2007, n. 2697, in Foro Amm. TAR, 2007, p. 3916; T.A.R. Lombardia, 23 Gennaio 2008, n. 100, in Foro Amm. TAR, 2008, p. 31 ss. Vedi anche Cons. Stato, Ad. Pl., 15 Settembre 2005, n. 7, in LexItalia.it Rivista internet di diritto pubblico. La sentenza, pur concernendo il c.d. danno da ritardo, offre degli utili spunti di rifles-sione sul risarcimento del danno cagionato da provvedimenti illegittimi, ma sostan-

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Per il vero, esiste anche un’altra motivazione che depone a favore dell’illegittimità costituzionale della novella normativa.

Si potrebbe, infatti, affermare che la carta costituzionale ha recepito quella «definizione e latitudine dei vizi amministrativi che si sono venute formando ad opera della dottrina e della giu-risprudenza». Donde, non sarebbero compatibili con la discipli-na costituzionale disposizioni che ridefinissero in peius la nozio-ne di illegittimità (rectius: di annullabilità) dell’atto amministrativo (107).

zialmente corretti: «la soddisfazione di un interesse pretensivo leso in capo al sog-getto privato dal ritardo nell’adozione da parte dell’Amministrazione di un richiesto provvedimento può consistere in una riparazione per equivalente (in sostanza, in un risarcimento del danno) solo allorché la mancata o ritardata adozione dell’atto richiesto abbia comportato un pregiudizio al bene della vita che sottende l’interesse pretensivo medesimo, in rapporto all’interesse pubblico al quale quest’ultimo si giu-stappone; ciò accade nel solo caso in cui il provvedimento richiesto e non adottato, ovvero adottato in ritardo, si configuri come favorevole per il privato istante, e non anche laddove esso compendi un rigetto dell’istanza presentata dal privato medesi-mo”. Peculiare appare invece la posizione di F. VOLPE, La non annullabilità dei prov-vedimenti amministrativi illegittimi, cit., p. 365: “poiché la protezione sostitutiva della tutela caducatoria (negata, quest’ultima, dall’art. 21-octies) non può coincidere con quella già riconosciuta per il risarcimento dell’interesse legittimo, a pena di ammet-tere una decurtazione complessiva delle forme di protezione accordate al cittadino, ne segue che il danno ipoteticamente risarcibile sulla base implicita dello stesso art. 21-octies, secondo comma, altro non potrebbe essere se non quello derivante dal-l’impossibilità di ottenere l’annullamento giurisdizionale dell’atto. [...] È innegabile che il limite dell’annullamento – e, insieme, la fonte primaria del danno – risiede nella legge, cioè, appunto nello stesso art. 21-octies, ora in esame. Ma questo porta ad escludere che il danno, così subito dal privato, sia iniuria datum. In quanto danno prodotto dalla stessa legge, esso è necessariamente secundum ius. L’esistenza stessa dell’illecito viene ad essere in questo modo confutata, perchè esso si dimostra privo di uno dei suoi elementi essenziali”.

(107) In termini, A. ROMANO, Sub art. 26 del t.u. Cons. St. (r.d. 26 Giugno 1924, n. 1054), in Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, a cura di A. ROMANO, Padova, 2001, p. 269; M.S. GIANNINI e A. PIRAS, Giurisdizione amministrativa, voce in Enc. Dir., XIX, 1970, p. 55: «Il complesso dei precetti costituzionali non ha conte-nuto innovativo rispetto al sistema che era in vigore prima della Costituzione». Cfr., per un quadro di carattere più generale, L. PALADIN, Problemi, prospettive dei rapporti fra giudici ordinari e pubbliche amministrazioni, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1979, p. 457 ss.

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3. CRITICHE ALLA CONFIGURAZIONE DELL’INTERESSE LEGITTIMO COME MERO «INTERESSE STRUMENTALE ALLA LEGITTIMITÀ DELL’ESERCIZIO DEL POTERE AMMINISTRATIVO» E SUPERAMENTO DELLE PERPLESSITÀ DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELL’ART. 21 OCTIES SECONDO COMMA.

Alla luce delle argomentazioni sopra richiamate si dovrebbe

inevitabilmente pervenire a negare la legittimità costituzionale dell’art. 21 octies secondo comma.

In realtà, queste ragioni, pur autorevolmente sostenute e al-quanto meritevoli di considerazione, non sembrano essere riso-lutive. Esse, infatti potrebbero probabilmente essere superate se venisse modificata la prospettiva di indagine. E tale mutamento appare ancor più necessario tenendo conto che «le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali» (108).

(108) In questo senso Corte Cost., 22 ottobre 1996, n. 356, in Giur. Cost., 1996, p. 3096 ss.; analogamente T.A.R. Lombardia, Sez. IV, 4 Aprile 2006, n. 926, in Foro Amm. TAR, 2006, p. 1219 ss.; T.A.R. Liguria, Sez. I, 13 Febbraio 2004, n. 163, in Foro Amm. TAR, 2004, p. 396 ss.; Cons. Stato, Sez. IV, 19 Marzo 2003, n. 1462, in Foro Amm. CDS, 2003, p. 920 ss.; Corte Cost., 23 Febbraio 1989, n. 63, in Cass. Pen., 1989, p. 788 ss.: «tra più possibili interpretazioni della norma il giudice deve sceglie-re l’interpretazione ritenuta conforme alla Costituzione»; Cass. Civ. 3 Febbraio 1986 n. 661, in Foro It., 1986, I, p. 1898: «L’interprete, prima di investire la Corte costituzionale del dubbio non manifestamente infondato della rispondenza di una data norma alla Costituzione, deve verificare la possibilità di giungere ad una lettura della norma stessa che, nel rispetto dei tradizionali canoni ermeneutici, consenta di intenderla in armonia con la Costituzione»; Cass. Civ., 25 Maggio 1975 n. 2342, in Foro It., 1975, p. 678: «Ove una norma sia suscettibile di più interpretazioni, di cui una darebbe alla norma un significato costituzionalmente illegittimo, il dubbio è soltanto apparente e deve essere risolto interpretando la norma in senso conforme alla costituzione e alle leggi costituzionali»; Cass. Pen. 30 Maggio 1975, in Giur. Pen., 1975, p. 678: «In un sistema a sindacato di costituzionalità accentrato, quale è quel-lo attualmente in vigore, il giudice nel fissare la portata della norma che è chiamato ad applicare, prima di rimettere gli atti alla Corte Costituzionale, deve operare con lo strumento dell’interpretazione adeguatrice, e solo ove abbia riscontrato l’im-possibilità di tale adeguamento deve dichiarare la non manifesta infondatezza della

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Ne deriva che la legittimità della disposizione in questione do-vrà essere esaminata utilizzando un altro percorso ricostruttivo.

In proposito, si osserva che l’art. 24 e l’art. 113 prevedono la tutela giurisdizionale dell’interesse legittimo. È, quindi, necessa-rio appurare se tale situazione giuridica venga lesa dai provve-dimenti rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 21 octies secondo comma. Se la verifica avrà esito negativo, si potrà pro-babilmente sostenere che la «non annullabilità» prevista dalla novella normativa è compatibile con la Costituzione.

A quest’ultima conclusione non sarebbe certo possibile per-venire se l’interesse legittimo venisse qualificato come interesse strumentale alla mera legittimità dell’esercizio del potere da par-te della pubblica amministrazione (109). In questa ipotesi, infatti, la situazione soggettiva in esame sarebbe pregiudicata da qua-lunque violazione delle norme che disciplinano l’esercizio del potere di provvedere.

questione»; P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1991, p. 189-201 spec. 195: «Al [giudice] spetta decidere se fra le norme ordinarie ed una o più norme costituzionali sia ravvisabile non un’incompatibilità assoluta ed insanabi-le bensì una non conformità, una inadeguatezza funzionale della norma superabile in sede applicativa mediante un più compiuto coordinamento».

(109) Cfr. E. TOSATO, L’impugnativa dei decreti reali di annullamento, in Arch. dir. pubbl., 1937, p. 48 ss.; E. CASETTA, Diritto soggettivo e interesse legittimo: problemi della loro tutela giurisdizionale, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1952, p. 611 ss.: l’interesse legittimo è «una situazione di vantaggio, costituita dalla protezione giuridica di interessi (mate-riali), che si attua non direttamente ed autonomamente, ma attraverso la protezione indissolubile ed immediata di un altro interesse meramente strumentale del sogget-to alla legittimità dell’atto amministrativo mediante l’attribuzione al soggetto stesso della potestà di ricorso alle giurisdizioni amministrative e nei limiti della realizzazio-ne di quest’ultimo interesse»; ID., Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 302 ss.; R. ALESSI, La crisi attuale della nozione di diritto soggettivo e i suoi possibili riflessi nel campo del diritto pubblico, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1953, p. 307 ss.; E. CANNADA BARTOLI, Il diritto soggettivo come presupposto dell’interesse legittimo, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1953, p. 334 spec. p. 348 per il quale l’interesse legittimo ha «natura esclusivamente formale, siccome concerne la legittimità degli atti amministrativi»; P. VIRGA, La tutela giurisdi-zionale contro gli atti della pubblica amministrazione, Milano, 1971, p. 31 ss.; ID., La tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione, Milano, 2003, p. 10-11.

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In proposito, si nota come questa nozione di interesse legit-timo, pur autorevolmente sostenuta, non pare convincente per almeno due ordini di ragioni; ragioni che sono state puntual-mente evidenziate da autorevole maestri il cui pensiero non può non essere richiamato (110).

In primo luogo, è stato sottolineato che l’interesse alla legit-timità non appartiene ad un singolo soggetto, ma è proprio dell’intera collettività.

È pur vero che i titolari della pretesa alla legittimità del provvedimento emanato sarebbero esclusivamente coloro che si trovassero in una delle c.d. posizioni legittimanti quali: la titola-rità di un diritto soggettivo, la presentazione di un’istanza sulla quale l’amministrazione ha il dovere di provvedere, l’esistenza di un precedente provvedimento e la sussistenza di un rapporto di subordinazione speciale (111).

Questa elencazione, però, non è né tassativa né definitiva, ma è meramente esemplificativa ed inevitabilmente suscettibile di ulteriore ampliamento. Non sembra, quindi, fornire dei criteri idonei a «individualizzare» il predetto interesse alla legittimità ed inoltre rende estremamente difficile cogliere la «caratteristica u-nitaria» dell’interesse legittimo (112).

In secondo luogo, – e l’obiezione è risolutiva – la definizio-ne qui criticata confonde il problema del «concetto dell’interesse sostanziale giuridicamente protetto con il problema dei limiti en-tro cui l’ordinamento giuridico concede la protezione» (113).

(110) Si richiama in questa sede l’autorevole e puntuale ricostruzione corredata

da ampi richiami bibliografici di F. G. SCOCA, Contributo sulla figura dell’interesse legitti-mo, passim;

(111) G. VIRGA, La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, cit., ed. 1971, p. 37-38; ID., La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministra-zione, cit., ed. 2003, p. 11-12.

(112) R. VILLATA, L’esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato, Milano, 1971, p. 473-474.

(113) Così G. MIELE, Questioni vecchie e nuove in materia di distinzione del diritto all’interesse nella giustizia amministrativa, in Foro Amm., 1940, IV, p. 49 ss., spec. p. 52-53; F. SATTA, L’esecuzione del giudicato amministrativo di annullamento, in Riv. Trim. Dir.

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La legittimità rappresenta il limite della protezione che l’or-dinamento giuridico riconosce all’interesse legittimo, ma tale li-mite non può essere configurato come l’oggetto della protezio-ne stessa e, quindi, come l’oggetto della situazione giuridica in esame (114).

Aderendo ad un autorevole ed ormai consolidato orienta-mento dottrinale, appare preferibile individuare l’oggetto dell’interesse legittimo nel bene della vita (rectius: nell’interesse materiale) (115) cui il soggetto privato aspira (116). Proc. Civ., 1967, p. 965: configurare «la situazione soggettiva del privato come un interesse all’applicazione legittima della legge o viceversa negare del tutto che la po-sizione del privato nell’ordinamento di fronte al potere dell’amministrazione sia una situazione giuridica soggettiva nel senso classico del termine è veramente tutt’uno, perché l’interesse legittimo si risolve integralmente nella definizione e qualificazione in via generale di un rapporto tra il cittadino e lo Stato»; P. STELLA RICHTER, L’aspettativa di provvedimento, cit., p. 16: «Sbaglia chi ritiene che [...] si sia in presenza di una presunzione assoluta di soddisfazione dell’interesse del privato, il cui oggetto viene conseguentemente ridotto al conseguimento di un atto legittimo. Così facen-do, infatti, si confondono l’interesse sostanziale con la misura della sua giuridica protezione e conseguentemente si identificano due cose completamente diverse (la soddisfazione dell’interesse e il suo legittimo esercizio). Inoltre, come notato da M. S. GIANNINI, Corso di diritto amministrativo. L’attività amministrativa, Milano, 1967, p. 75, «la qualificazione dell’interesse legittimo come interesse alla legittimità rappre-senta un “rebus” perché se l’oggetto delle situazioni giuridiche è un bene della vita non si intende come la legittimità di un atto, (cioè la qualificazione astratta di un atto) possa esser vista come un bene della vita».

(114) Così F. G. SCOCA, Il silenzio della pubblica amministrazione, Milano, 1971, p. 142; ID., Tribunali amministrativi regionali, voce in Dizionario amministrativo, vol. II, Mi-lano, 1983, p. 1576: «La legittimità del comportamento dell’amministrazione non costituisce l’oggetto dell’interesse legittimo, ma costituisce il limite che l’ordinamen-to positivamente assegna alla tutela giuridica propria della situazione che va sotto il nome di interesse legittimo»; R. VILLATA, L’esecuzione delle decisioni del Consiglio di Sta-to, cit., p. 474: «La legittimità dell’atto è una qualificazione astratta e non un bene della vita; mentre proprio nei confronti dei beni della vita si definiscono le situazio-ni soggettive».

(115) L’utilizzo della formula «bene della vita» è autorevolmente criticata da L. MAZZAROLLI, Ragioni e peculiarità del sistema italiano di giustizia amministrativa, in Diritto amministrativo, cit., p. 1527: «Se un bene, infatti, può essere così chiamato perché rappresenta un’utilità per un soggetto, e se un soggetto, per essere tale non può che essere in vita, la specificazione (“della vita”) del sostantivo (“bene”) cui si riferisce è

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Ai fini della nostra indagine, appare sufficiente osservare che il privato soddisfa il proprio interesse ovvero ne evita il sa-crificio esclusivamente nell’ipotesi in cui ciò sia conforme con la cura dell’interesse pubblico (117). Alla pubblica amministrazione spetta, infatti, il potere di determinare quali sono gli interessi che «convivono in armonia o in contrasto» con l’interesse pub-blico e che, quindi, possono essere soddisfatti o sacrificati (118).

del tutto inutile perchè non aggiunge né toglie nulla a quanto quello è idoneo ad esprimere». Tenendo conto di tali critiche appare preferibile utilizzare l’espressione «interesse materiale» utilizzata, ex multis, da M. OCCHIENA, Situazioni giuridiche sogget-tive e procedimento amministrativo, cit., p. 245.

(116) Così M. NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna, ed. 1976, p. 127; ID., Giustizia amministrativa, Bologna, ed. 2002, p. 10; in senso parzialmente difforme, F. G. SCOCA, Il silenzio della pubblica amministrazione, cit., p. 146: «Il comportamento del titolare del potere, in quanto comporta la formulazione o il mantenimento della di-sciplina favorevole all’attuazione dell’interesse finale, costituisce l’oggetto proprio dell’interesse legittimo»; ID., Contributo sulla figura dell’interesse legittimo, cit., p. 28-29: «oggetto dell’interesse legittimo è il comportamento dell’amministrazione (rectius: l’assetto di interessi che il provvedimento realizza) idoneo a soddisfare l’interesse sostanziale del titolare della situazione giuridica soggettiva. […] Indicare come og-getto dell’interesse legittimo il bene della vita alla cui conservazione o alla cui acqui-sizione il titolare dell’interesse stesso tende è come indicare come oggetto del diritto di credito il bene derivante dalla prestazione del debitore anziché la prestazione stessa».

(117) Vedi F. G. SCOCA, Tribunali amministrativi regionali, cit., p. 1573-1574: «l’in-teresse privato che per l’innanzi non aveva riconoscimento giuridico (c.d interesse pretensivo) viene riconosciuto» e «il disconoscimento dell’interesse privato già rico-nosciuto (interesse oppositivo) viene evitato» esclusivamente nell’ipotesi in cui ciò sia conforme con la cura dell’interesse pubblico.

(118) F. G. SCOCA, Il silenzio della pubblica amministrazione, Milano, 1971, p. 140: «Il titolare del potere (e, quindi, concretamente, per quel che qui interessa la Pub-blica Amministrazione) può [….] adottare provvedimenti che diano riconoscimento giuridico ad interessi (finali) che prima non ne avevano, o tolgano tale riconosci-mento ad interessi che per l’innanzi erano (riconosciuti come) diritti soggettivi, o ancora rifiutino il riconoscimento o il disconoscimento richiesti, o incidano in altro modo nella disciplina giuridica degli interessi finali (sostanziali).

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Mentre la realizzazione dell’interesse pubblico avviene «im-mediatamente e pienamente»; quella invece dell’interesse privato si verifica «mediatamente ed eventualmente» (119).

In questo quadro sembra possibile affermare la compatibili-tà dell’art. 21 octies secondo comma con il sistema di guarentigie previsto dalla Costituzione.

La norma, infatti, esclude l’annullabilità del provvedimento adottato in violazione delle norme sulla forma e sul procedi-mento solo se l’interesse materiale del privato non può essere soddisfatto perché correttamente è stato ritenuto incompatibile con la cura dell’interesse pubblico o, detto altrimenti, perché l’assetto di interessi concretamente statuito dall’amministrazione non avrebbe potuto essere differente (120). In breve, la novella

(119) M. NIGRO, Giustizia amministrativa, cit., ed. 1976, p. 124-125; ID., Giustizia amministrativa, cit., ed. 2002, p. 101: «Non sempre, infatti, l’esercizio del potere sod-disfa l’interesse essendo vero solo che la soddisfazione dell’interesse privato non può avvenire che in seguito ed in relazione alla soddisfazione dell’interesse pubbli-co»; F. G. SCOCA, Tribunali amministrativi regionali, cit., p. 1577; ID., Divagazioni su giu-risdizione e azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione, cit. p. 4: «Il diritto soggettivo, che è (non è altro che l’) oggetto del provvedimento assume rilievo solo indiretto». Ne deriva che al titolare dell’interesse legittimo vengono attribuite facol-tà meramente strumentali al fine di «cooperare alla corretta esplicazione del potere della pubblica amministrazione» e «di intervenire per correggerne le deviazioni». In particolare, può presentare istanze all’amministrazione per ottenere il rilascio di un provvedimento amministrativo, può «esperire misure sollecitatorie dell’azione del-l’amministrazione», può partecipare all’esercizio del potere pubblico presentando memorie e osservazioni e può provocare l’annullamento di un provvedimento ille-gittimo in sede amministrativa e in sede giurisdizionale (purché ovviamente non ricorrano i presupposti di cui all’art. 21 octies secondo comma della l. n. 241/1990).

(120) Sul punto vedi G. CORSO, Validità, cit., p. 105: «L’interesse del privato, le ragioni della sua tutela vengono richiamati per delimitare la rilevanza del vizio: non l’astratto scostamento dal modello normativo determina l’illegittimità dell’atto, ma solo la difformità che danneggia la parte che lo denunci»; F. TRIMARCHI BANFI, Ille-gittimità e annullabilità, cit., p. 410: negare l’annullabilità del provvedimento affetto da vizi esclusivamente formali «significa dare autonoma rilevanza all’interesse materia-le protetto e al pregiudizio subito da quest’ultimo ed introdurre un elemento che intacca[va] la piena coincidenza tra l’interesse obiettivo alla legittimità degli atti amministrativi e l’interesse individuale soggettivizzato nella figura dell’interesse le-gittimo»; G. MORBIDELLI, Invalidità e irregolarità, cit., p. 89: Se il provvedimento vin-

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colato fosse affetto da vizi esclusivamente formali, l’interesse fatto valere in giudi-zio sarebbe configurato come «interesse illegittimo o indiretto», la cui tutela non sarebbe meritevole di tutela in quanto «indipendente da una pretesa sostanzialmen-te fondata»; S. CIVITARESE MATTEUCCI, La forma presa sul serio, cit., p. 427: «L’in-teresse legittimo costituisce la specifica situazione strumentale di reazione la cui at-tribuzione soggettiva trova presupposto nel pregiudizio illegittimamente arrecato (o arrecabile) alle persone in capo alle quali si realizzano o si ripercuotono gli effetti del provvedimento. Se, pertanto, la disformità non assume questo carattere non si può dire che il provvedimento abbia arrecato un pregiudizio al privato, venendo con ciò a mancare una componente essenziale dell’interesse legittimo». In proposi-to, si vedano le riflessioni di A. POLICE, L’illegittimità dei provvedimenti amministrativi alla luce della distinzione tra c.d. vizi formali e vizi sostanziali, in Dir. Amm., 2003, p. 796: «Peraltro, anche a prescindere dalla distinzione giurisprudenziale dei vizi di legitti-mità in vizi sostanziali e vizi formali [...] il giudice amministrativo ben potrebbe contemperare le esigenze di flessibilità dell’azione amministrativa (protesa al rag-giungimento del risultato) con quelle di legalità delle norme sul procedimento e di effettività della tutela giurisdizionale. Quest’opera potrebbe essere felicemente con-dotta facendo valere, in modo più diverso e più pieno, il presupposto processuale dell’interesse a ricorrere. Svolgendo un sindacato pieno sulla sussistenza di un inte-resse a ricorrere collegato al conseguimento finale del bene, della pretesa sostanzia-le. […] Soltanto ove si dimostri la spettanza della pretesa sostanziale fatta valere in giudizio vi sarà in capo al ricorrente un interesse all’annullamento del provvedimen-to»; F. G. SCOCA, I vizi formali nel sistema delle invalidità amministrative, in Vizi formali, procedimento, processo, a cura di V. PARISIO, Milano, 2004, p. 73. L’autorevole dottrina sopra richiamata evidenzia come il provvedimento illegittimo, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso, non lede l’interesse sostanziale del ricorrente. Tutta-via, se tale provvedimento venisse egualmente impugnato il ricorso sarebbe rigetta-to non in merito, ma in rito per difetto dell’interesse a ricorrere. Si tratta, quindi, di una ricostruzione che, pur muovendo dallo stesso presupposto accolto in questo lavoro, perviene ad una soluzione dommatica differente. La ragione di tale diffe-renza sembra risiedere nel diverso significato attribuito all’istituto dell’interesse a ricorrere. E tale circostanza sembra essere confermata da C. CACCIAVILLANI, Giudi-zio amministrativo e giudicato, Padova, 2008, p. 294 che, con riferimento all’elaborazione in esame, scrive: «l’interesse ad agire viene elevato a condizione di ammissibilità dell’azione costitutiva, assumendo una coloritura sostanziale, ma vie-ne pacificamente assunto in un’accezione processuale rigorosa: e con ciò si nega che esso sia correlato alla situazione (o all’assetto sostanziale) suscettibile di produr-si dopo l’annullamento giurisdizionale del provvedimento, e si evita dunque il vizio logico insanabile della tesi che esclude dall’area della impugnabilità gli atti affetti da vizi formali che, quand’anche ritenuti sussistenti, non escludono la reiterabilità da parte dell’amministrazione degli atti medesimi».

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normativa prevede la «non annullabilità» esclusivamente di quei provvedimenti inidonei a ledere la situazione giuridica soggetti-va del privato.

Peraltro, prima di procedere oltre, non pare inutile osservare che la legittimità costituzionale della novella normativa avrebbe potuto essere dimostrata attraverso un altro percorso argomen-tativo id est configurando l’interesse legittimo come «pretesa al-l’emissione o alla non emissione di un determinato provvedi-mento» (121).

Si tratta di una configurazione che, pur essendo senza dub-bio «approfondita e convincente» (122), è foriera di qualche per-plessità (123). In ogni caso, non pare inutile delinearne, pur sinte-

(121) G. GRECO, L’accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Mi-lano, 1980, p. 151; ID., Argomenti di diritto amministrativo, Milano, 2008, p. 102: «L’in-teresse legittimo, come posizione giuridico sostanziale, è l’interesse al conseguimen-to di un bene o ad evitare la perdita di un bene, assoggettati a poteri di intervento amministrativo la cui fondatezza si basa sulle sole norme sostanziali o materiali del-l’esercizio della potestà amministrativa».

(122) Così F. G. SCOCA, Contributo sulla figura dell’interesse legittimo, Milano, 1990, p. 73.

(123) La teoria del Greco suscita qualche dubbio perché sembrerebbe pervenire a configurare l’interesse legittimo come una posizione giuridica analoga al diritto di credito. In proposito, cfr. G. GRECO, L’accertamento autonomo del rapporto, cit., p. 162: «A ben vedere, dunque, la “pretesa” di un soggetto titolare di un interesse legittimo si presenta con caratteri in qualche modo assimilabili a quelli del diritto di credito, sottoposto ad una condizione potestativa altrui»; ID., Argomenti di diritto amministrati-vo, cit., p. 106: «Allorché, viceversa, l’interesse legittimo (anche dinamico) è cor-relato ad una potestà amministrativa del tutto vincolata, il rapporto pretesa-obbligo si presenta in termini assai simili a quelli di un comune rapporto obbligatorio. In questi casi si può dunque ben parlare di interesse legittimo con garanzia di risulta-to». Tuttavia, in altri parti il Greco cerca invece di individuare gli elementi di diffe-renza tra diritto soggettivo e interesse legittimo. A titolo emblematico si può ri-chiamare una delle affermazioni contenute in L’accertamento autonomo del rapporto, cit., p. 163-168 spec. p. 167: «l’elemento decisivo e costante di differenziazione tra l’in-teresse legittimo e il diritto soggettivo [...] deve essere individuato nella circostanza che, a differenza del diritto soggettivo, l’interesse legittimo è correlato, oltre che all’altrui dovere anche al potere dell’amministrazione». Riguardo le differenze inter-correnti fra diritto di credito ed interesse legittimo cfr. gli studi ormai classici di F. G. SCOCA, Contributo sulla figura dell’interesse legittimo, cit., p. 29-30 nonché di M. NI-

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ticamente, i profili più rilevanti di questa ricostruzione secondo cui la sussistenza dell’interesse legittimo deve essere valutata e-sclusivamente alla luce delle norme sostanziali o materiali non avendo rilevanza alcuna quelle formali o strumentali.

In particolare, le norme materiali (o sostanziali) disciplinano l’an, il quando, il quid, il quomodo dell’esercizio del potere e deter-minano «se un provvedimento debba (o non debba) essere e-messo» (124). A titolo esemplificativo rientrano in quest’ultima categoria quelle norme che individuano il c.d interesse pubblico primario o quelle che costituiscono concreta applicazione del principio di imparzialità o ancora quelle che determinano i pre-supposti per l’emanazione o la non emanazione di un provve-dimento con un certo contenuto (125). GRO, Giustizia amministrativa, cit. passim ove, a tacer d’altro, viene evidenziato che l’interesse legittimo ha origine quando l’assetto degli interessi coinvolti nella fatti-specie concreta non sia stato ancora definitivamente determinato dall’amministrazione mediante l’emanazione del provvedimento amministrativo; il diritto di credito invece presuppone necessariamente che tale assetto sia già «inte-gralmente disegnato e giuridicamente vincolante».

(124) G. GRECO, L’accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, cit., p. 145-146: «mi pare del tutto ovvio concludere che siffatte norme regolano i rap-porti intersoggettivi in ordine ai beni della vita oggetto di determinazione autorita-tiva dell’Amministrazione: dette norme, cioè, stabiliscono nel loro complesso se [...] l’interesse del singolo consociato sia o meno sussunto da parte dell’ordinamento a livello di posizione giuridica soggettiva sostanziale; p. 148: «vi sono talune [norme] che stabiliscono quando e se un determinato provvedimento debba essere emesso. E poiché stabiliscono altresì la spettanza di beni della vita all’uno o all’altro conso-ciato possono con buon fondamento essere definite norme sostanziali, materiali, di relazione»; p. 149: «si potrà, così, affermare che l’interesse all’acquisizione di un be-ne della vita di fronte all’esercizio di una potestà autorizzatoria, concessoria, è giu-ridicamente riconosciuto e fondato. Tale interesse, cioè, è elevato al rango della po-sizione sostanziale di interesse legittimo dinamico, allorché sussistono tutti quei presupposti e requisiti dell’esercizio del potere, che sono stabiliti dalle norme so-stanziali».

(125) G. GRECO, L’accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, cit., p. 144-145; G. GRECO, Argomenti di diritto amministrativo, Milano, ed. 2000, p. 115. Corollario di tale elaborazione, inquadrabile nella più ampia critica alla teorica della «c.d. carenza di potere in concreto» appare il superamento della sequenza norme di relazione-diritti soggettivi e norme di azione-interessi legittimi. Infatti, le norme che

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Le norme formali (o strumentali) invece sono «neutre rispetto al problema del riparto dei beni della vita» (126) e sono costituite, ad esempio, da quelle sulla comunicazione di avvio del proce-dimento o sull’obbligo di motivazione.

In sintesi, quindi, le norme formali, a differenza di quelle sostanziali, concorrono a rafforzare la tutela dell’interesse legit-timo ma non rilevano ai fini della sua esistenza (127).

Siffatto assunto appare alquanto rilevante ai fini del nostro studio e permette di giustificare la legittimità costituzionale del-la disposizione in esame attraverso un ragionamento di tipo sil-logistico: l’art. 24 e l’art. 113 prevedono la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi (premessa maggiore); la violazione delle disciplinano i presupposti di esercizio del potere, pur essendo norme di relazione, sono egualmente correlate all’interesse legittimo e regolano i rapporti intersoggettivi in ordine a beni della vita oggetto di determinazione autoritativa della pubblica amministrazione. In altri termini, le norme di relazione, che contribuiscono a disci-plinare l’esercizio del potere, determinano se l’interesse del cittadino al bene della vita sia giuridicamente garantito e, quindi, venga configurato dall’ordinamento co-me posizione giuridica sostanziale di vantaggio. In proposito vedi amplius, G. GRE-CO, L’accertamento autonomo del rapporto amministrativo, cit., p. 123: «è senz’altro da condividere l’affermazione che siffatte norme sui presupposti dell’atto disciplinano i rapporti tra l’Amministrazione e i singoli consociati, in quanto stabiliscono quan-do e come la sfera giuridica di quest’ultimi possa essere oggetto di una determina-zione autoritativa favorevole o sfavorevole che sia».

(126) G. GRECO, L’accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, cit., p. 141: «Si tratta di norme neutre rispetto al problema sostanziale dianzi posto, che la dottrina non ha esitato a qualificare come “formali” o strumentali; si tratta di norme inidonee a radicare posizioni sostanziali».

(127) G. GRECO, L’accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, cit., p. 148: «Entrambe le categorie delle norme sostanziali e formali sono predisposte a tutela delle posizioni dei consociati, rispetto all’esercizio della potestà amministrati-va, ma – ed è questo un punto che va particolarmente sottolineato – soltanto le pri-me sono definitorie dell’interesse legittimo come posizione giuridica sostanziale di vantaggio»; p. 149: «per stabilire, dunque, se un determinato interesse di un conso-ciato sia o meno considerato dall’ordinamento come una posizione giuridica so-stanziale è necessario prendere in considerazione soltanto le norme sostanziali»; p. 151 nota 135: «le differenze [tra l’elaborazione del Greco e quella dello Scoca] con-sistono essenzialmente [...] nella constatazione [...] che la sussistenza dell’interesse legittimo va valutata alla sola stregua delle norme sostanziali».

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norme c.d. formali non integra una lesione degli interessi legit-timi (premessa minore); la «non annullabilità» del provvedimen-to adottato in violazione delle norme c.d. formali è costituzio-nalmente compatibile con gli art. 24 e 113 della costituzione (conclusione). 4. L’ART. 21 OCTIES SECONDO COMMA DELLA L. N. 241/1990 COME PARA-DIGMA DI UN NUOVO MODELLO DI AMMINISTRAZIONE.

Prima di avviare la seconda parte della ricerca, appare op-

portuna una riflessione di carattere generale riguardo la l. n. 15/2005 che ha modificato la l. n. 241/1990 ed ha introdotto, come noto, l’art. 21 octies.

Al riguardo, si evidenzia che tale novella normativa ha com-pletato quel processo di riforma (128) foriero di un nuovo mo-dello di amministrazione: la c.d. amministrazione «di risultato» (129) o «di risultati» (130) o «per risultati» (131). È un paradigma ri-

(128) S. CASSESE, L’età delle riforme amministrative, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2001, p. 79 ss.: «la locuzione “riforma amministrativa” indica una serie di interventi, pro-mossi dal corpo politico o da quello amministrativo, per adattare le pubbliche am-ministrazioni al cambiamento economico e sociale. Si tratta di interventi che non hanno riscontro nel settore privato, dove, infatti, il termine riforma è sconosciuto, mentre sono usati quelli di cambio o trasformazione, e l’adattamento al mercato e all’ambiente circostante avviene in modo continuo».

(129) L. IANNOTTA, La considerazione del risultato nel giudizio amministrativo: dall’interesse legittimo al buon diritto, cit., p. 299 ss.; ID., Previsione e realizzazione del risulta-to nella pubblica amministrazione: dagli interessi ai beni, cit., p. 57 ss.; ID, Principio di legalità e amministrazione di risultato, in Scritti in onore di Elio Casetta, Napoli, 2001, p. 742 ss.; ID., Merito, discrezionalità e risultato nelle decisioni amministrative. L’arte di amministrare, in Dir. Proc. Amm., 2005, p. 1 ss.; M. R. SPASIANO, Funzione amministrativa e legalità di risultato, Torino, 2003, passim; A. ROMANO TASSONE, Analisi economica del diritto e «amministrazione di risultato», in Analisi economica e diritto amministrativo, Annuario dell’associazione italiana dei professori di diritto amministrativo, Milano, 2002, p. 233 ss.

(130) V. CERULLI IRELLI, La semplificazione dell’azione amministrativa, cit., p. 617 ss.; G. CORSO, Amministrazione di risultati, in Innovazione del diritto e riforma dell’amministrazione, Annuario dell’associazione italiana dei professori di diritto amministrativo, Milano, 2002, p. 127 ss.

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cavabile dalle numerose norme che, esplicitamente o implicita-mente, direttamente o indirettamente, fanno riferimento al «ri-sultato» (132). Si richiamano, ad esempio, l’art. 1 della legge 7 Agosto 1990 n. 241 nonché le disposizioni di carattere più spe-cifico concernenti la semplificazione amministrativa (133), la re-

(131) A. ROMANO TASSONE, Sulla formula» amministrazione per risultati», in Scritti

in onore di Elio Casetta, cit., p. 813 ss. (132) F. G. SCOCA, Attività amministrativa, voce in Enc. Dir., vol. VI Aggiornamen-

to, Milano, 2002, p. 100 nota 117 rileva che «l’attenzione ai risultati si denota per la prima volta nella disciplina della dirigenza amministrativa (D.P.R. 748/1972) ove in sede di responsabilità dirigenziale si fa riferimento ai risultati negativi dell’organiz-zazione del lavoro e dell’attività dell’ufficio»; L. IANNOTTA, Previsione e realizzazione del risultato nella pubblica amministrazione, cit., p. 57: «la legislazione italiana degli anni ‘90 ha elevato il conseguimento dei risultati a principio (c.d. criterio di efficacia: art. 1 L. 241 del 7 Agosto 1990) e norma dell’agire giuridico delle pubbliche Ammini-strazioni». Già, comunque, il Giannini criticava la c.d. amministrazione per atti, ca-ratterizzata dalla frammentazione dell’attività amministrativa in una pluralità di provvedimenti di cui è sindacata la legittimità, e auspicava «un’amministrazione per risultati» caratterizzata da una verifica, complessiva e globale, degli scopi e degli o-biettivi realizzati. Tuttavia, come evidenzia A. ROMANO TASSONE, Amministrazione per risultati, cit., p. 818, «nella concezione gianniniana, il risultato è essenzialmente quello di una gestione amministrativa e sembra possedere i seguenti caratteri: è rela-tivo ad un periodo di attività sufficientemente esteso e non ad un singolo episodio di vita amministrativa; è fondamentalmente di tipo economico, in senso ampio. [...] Nella letteratura giuridica e, talvolta nella stessa giurisprudenza di oggi, invece il concetto di “risultato” non coincide con quello appena descritto. [Emerge, infatti], una linea di tendenza per cui anche l’invalidità del provvedimento amministrativo viene ad essere in qualche modo condizionata dalla congruità del risultato ottenuto, piuttosto che dalla conformità dell’atto al modello legale».

(133) Cfr., a titolo esemplificativo, il capo V della legge 241/90 che disciplina alcuni istituti funzionali alla semplificazione dell’azione amministrativa; l’art. 20 del-la l. n. 59/97 integrato dalla l. n. 191/1998 che dispone «la soppressione dei proce-dimenti che comportino per l’amministrazione e per i cittadini costi più elevati dei benefici conseguibili, anche attraverso la sostituzione dell’attività amministrativa diretta con forme di autoregolamentazione da parte degli interessati». In proposito, A. SANDULLI, La semplificazione amministrativa tra riforma e restaurazione, in Giorn. dir. amm., 1997, p. 989 ss.; Semplificazione dell’azione amministrativa e procedimento amministra-tivo alla luce della legge 15 Maggio 1997 n. 127, a cura di V. PARISIO Milano, 1998; R. FERRARA, Le «complicazioni» della semplificazione amministrativa: verso un’amministrazione senza qualità, in Dir. Amm., 1998, p. 323 ss; ID., Procedimento amministrativo, semplifica-

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sponsabilità dirigenziale (134), i controlli (135), gli appalti di lavori pubblici (136) e l’espropriazione per pubblica utilità (137).

zione e realizzazione del risultato: dalla libertà «dall’amministrazione» alla libertà «dell’ammini-strazione», in Dir. e Soc., 2000, p. 101 ss.; più recentemente S. AMOROSINO, Achille e la tartaruga. Semplificazione amministrativa e competitività del «sistema Italia», Milano, 2006; G. SAVINI, Esperienze di nuova codificazione: «i codici di semplificazione di settore», Padova, 2007.

(134) Art. 4 comma 1 e comma 2 e l’art. 21 del decreto legislativo 165/2001: «Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi e i programmi da attuare (…..) e verificano la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti […]. I dirigenti […] sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati. […] Il mancato raggiungimento degli obiettivi […] comporta […] l’im-possibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale». Al riguardo, oltre agli autori citati nel capitolo IV paragrafo 1.2, vedi: Vari aspetti della responsabilità derivante dal-l’esercizio della funzione dirigenziale nella pubblica amministrazione, Atti del XLIV Convegno di Scienza dell’Amministrazione, Varenna, 17-19 Settembre 1998, Milano, 1999; Le re-sponsabilità pubbliche (civile, amministrativa, penale, dirigenziale), a cura di D. SORACE, Pa-dova, 1998; M. RUSCIANO, Spunti su rapporto di lavoro e responsabilità di risultato del diri-gente pubblico, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1998, p. 334 ss.; L. TORCHIA, La responsabili-tà dirigenziale, Milano, 2000; A. BOSCATI, Verifica dei risultati, responsabilità dirigenziale e Comitato dei garanti, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, a cura di F. CARINCI e L. ZOPPOLI, in Commentario, diretto da F. CARINCI, Torino, 2004, p. 1179 ss.; M. R. SPASIANO, La responsabilità dirigenziale, in La dirigenza pubblica. Analisi e prospettive, a cura di M. P. CHITI e R. D’URSO, Torino, 2007, p. 161 ss.

(135) Cfr., per il controllo interno di gestione, l’art. 1 del decreto legislativo 286/1999: «Le pubbliche amministrazioni, nell’ambito della rispettiva autonomia, si dotano di strumenti adeguati a verificare l’efficacia, efficienza, economicità dell’azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati»; l’art. 147 del decreto legislativo 267/2000: «Gli enti locali, nell’ambito della loro autonomia normativa ed organizzativa, individua-no strumenti e metodologie adeguati […] per verificare l’efficacia, efficienza, eco-nomicità dell’azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante tempesti-vi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati». Sul punto, vedi le icastiche rifles-sioni di R. FERRARA, Introduzione al diritto amministrativo, cit., p. 151: «riguardo il con-trollo di gestione è stato scritto tutto e il contrario di tutto, tranne forse che esso appare, in ogni caso, di difficile gestione (esso stesso!) perché non opportunamente accompagnato sul campo dalle misure a carattere sanzionatorio pur coerentemente previste dalle norme»; R. PEREZ, La nuova disciplina dei controlli interni nelle pubbliche amministrazioni. L’efficienza per decreto, in Gior. Dir. Amm., 2000, p. 28 ss.; Controlli sulle autonomie nel nuovo quadro istituzionale, Atti del LII Convegno di studi di scienza

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Da una lettura sistematica di questo complesso normativo si può ricavare che la c.d. logica del risultato (138) costituisce ormai

dell’amministrazione, Varenna, Villa Monastero, 21-23 Settembre 2006, Milano, 2006; F. GAGLIARDUCCI, L’apparenza della (ri)forma del sistema dei controlli interni, in L’amministrazione sta cambiando?, a cura di F.MERLONI, A. PIOGGIA, R. SEGATORI, Milano, 2007, p. 171 ss.; Enti locali e sistema dei controlli, a cura di G. FARNETI e S. POZZOLI, Milano, 2007.

Cfr., per il controllo strategico, l’art. 6 del decreto legislativo 286/1999: «L’attività di valutazione e controllo strategico (….) consiste nell’analisi, preventiva e successiva, della congruenza e/o degli eventuali scostamenti tra le missioni affidate dalle norme, gli obiettivi prescelti […]. In proposito, vedi M. D’ORSOGNA, Programmazione strategica e attività decisionale della pubblica amministrazione, Torino, 2001; L. DEL BENE, Lineamenti di pianificazione e controllo per le amministrazioni pubbliche, Torino, 2008.

Cfr., per il controllo esterno di gestione della Corte dei Conti, l’art. 148 del de-creto legislativo 267/2000: «La Corte dei Conti esercita il controllo sulla gestione degli enti locali, ai sensi delle disposizioni di cui alla legge 14 gennaio 1994 n. 20 e suc-cessive modificazioni ed integrazioni»; l’art. 3 comma 4 della legge 20/1994: «La Corte dei Conti [...] accerta [….] la rispondenza dei risultati all’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimen-to dell’azione amministrativa. Al riguardo vedi La Corte dei Conti oggi, a cura di G. DE MARTIN e G. BERTI, Milano, 1996; D. SORACE, Nuovi assetti e prospettive dei controlli esterni in Le regioni, 2000, 823 ss.

(136) Art. 2 del d.lgs. 163/2006 Codice dei contratti pubblici relativi a servizi, lavori, forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE: «L’affidamento e l’e-secuzione di opere e lavori pubblici, servizi, forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di eco-nomicità, efficacia, tempestività e correttezza». Cfr. M. P. CHITI, I principi, in Trattato sui contratti pubblici, diretto da M. A. SANDULLI, R. GAROFOLI, R. DE NICTOLIS, Mila-no, 2008, p. 145 ss.

(137) Art. 2 del d.lgs. 327/2001: «I procedimenti di cui al presente testo unico si ispirano ai principi di economicità, di efficacia, di efficienza, di pubblicità e di semplificazio-ne dell’azione amministrativa”. Cfr. R. DE NICTOLIS, Sub art. 2, in L’espropriazione per pubblica utilità, Milano, 2007, p. 29 ss.; G. SALA, Il procedimento espropriativo e il vincolo preordinato all’esproprio, in Il Testo unico in materia di espropriazione. Commento sistematico al d.p.r. n. 327/2001 come modificato dal d.lgs. n. 302/2002, a cura di G. SCIULLO, con la collaborazione di R. FERRARA e G. SALA, Torino, 2004, p. 49 ss.

(138) Così M. OCCHIENA, Partecipazione e tutela giurisdizionale, in La partecipazione negli enti locali. Problemi e prospettive, a cura di F. MANGANARO e A. ROMANO TASSO-NE, Torino, 2002, p. 92. Peraltro, la c.d. logica del risultato appare dominante sia negli Stati Uniti sia negli Stati dell’Unione Europea. In proposito cfr. V. CERULLI IRELLI, Note critiche in materia di vizi formali, cit., p. 189 che richiama il rapporto Gore

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cifra caratteristica non solo della c.d. amministrazione per servi-zi (139), ma anche di quella per atti (140). Di conseguenza, è ne-

sull’amministrazione pubblica degli Stati Uniti, il quale, da un lato, evidenzia «l’esi-genza che l’operazione di riforma dell’amministrazione sia accompagnata dallo scio-glimento del nastro rosso dell’antico formalismo, il red tape»; dall’altro, sottolinea «la difficoltà di porvi mano»; A. CAMMELLI, Amministrazione di risultato, cit. 110 con ri-ferimento alle riforme Tatcher; R. FERRARA, Vizi formali e attività amministrativa, in Vizi formali, procedimento, processo amministrativo, cit., p. 139 che richiama la c.d diretti-va Chirac in ordine alla valutazione d’impatto dei costi e benefici, della fattibilità e redditività di una legge.

(139) E. FERRARI, I servizi a rete in Europa, Milano, 2000, p. XII, rileva che l’ero-gazione di un servizio deve necessariamente garantire l’utilità dello stesso; M. R. SPASIANO, Funzione amministrativa e legalità di risultato, cit., passim nota che «il risultato amministrativo è stato a lungo ritenuto un proprium dell’attività di servizio in consi-derazione della circostanza secondo la quale l’oggetto di quest’ultima è costituito dalla prestazione in quanto tale: il risultato dell’erogazione di energia elettrica è nella fornitura della stessa, quella del servizio di trasporto è la messa a disposizione di mezzi adeguati al provvedere al riguardo e così via». Tuttavia, l’autore pone in luce che, nell’ambito dell’attività per servizi, il risultato non può essere identificato nel profitto. Invero le attività della pubblica amministrazione sono rette da principi e criteri differenti da quelle proprie delle organizzazioni private in quanto preordinate a garantire lo sviluppo umano, sociale ed economico del singolo e della comunità in conformità ai fondamentali principi di cui agli art. 2 e 3 della Costituzione. In que-sta prospettiva culturale e sociale sono giustificabili le fattispecie di erogazione di servizi pubblici in una condizione di antieconomicità con costi superiori ai ricavi come, a titolo esemplificativo, la prestazione di un servizio di trasporto pubblico a favore di una piccola comunità ubicata in una zona isolata dal territorio ovvero l’i-stituzione di una scuola dell’obbligo in un comune che non presenta il numero mi-nimo di alunni necessari a costituire, secondo i parametri generali, le classi oppure ancora ancora un sistema di distribuzione idrica realizzato mediante costosissime pompe di sollevamento e diretto a fornire acqua potabile a comunità ubicate in aree montuose assolutamente prive di risorse. Al riguardo vedi J. Q. WILSON, Bureacracy, Basic Books, 1989, p. 134-135 richiamato da G. CORSO, Amministrazione di risultato, cit., p. 128; S. GIACCHETTI, La responsabilità patrimoniale dell’amministrazione nel quadro del superamento della dialettica diritti soggettivi-interessi legittimi in Riv. Amm., 2001, p. 5 ss.: «se trovasse applicazione la logica del profitto sarebbe imposta la legge del mercato, che come è noto, è fondata su una concezione darwiniana di selezione economica naturale in cui non c’è e non ci può essere pietà per i più deboli o – il che è prati-camente lo stesso – per i meno efficienti, che vanno quindi eliminati».

(140) Vedi, ex multis, riguardo la nozione di attività provvedimentale, V. CERUL-LI IRELLI e F. LUCIANI, La semplificazione amministrativa, cit., p. 456:

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cessario individuare la nozione di «risultato» nonché i criteri e le modalità da impiegare per accertarne l’effettivo conseguimento (141).

È una questione alquanto problematica perché presuppone, a tacer d’altro, l’applicazione di misurazioni e valutazioni di ca-rattere quantitativo (proprie delle scienze naturali) alla la scienza giuridica che è invece scienza sociale (142).

Invero, nell’ambito dell’attività provvedimentale si può pro-babilmente ritenere che il risultato sia correttamente realizzato quando il provvedimento vincolato, pur formalmente viziato, non avrebbe potuto avere un altro contenuto.

Ne deriva un’evoluzione del ruolo del giudice amministrati-vo, il quale appare sempre meno «giudice dell’atto amministrati-vo» e sempre più «giudice della pretesa sostanziale del ricorren-te» (143); sempre meno «giudice oggettivo» e sempre più «giudice

«L’amministrazione provvedimentale si esprime nella produzione di beni puramen-te giuridici (atti produttivi di effetti), ascrivibili al diritto pubblico come i provvedi-menti veri e propri, o al diritto privato derogato da norme pubblicistiche, come i contratti».

(141) Come nota A. CAMMELLI, Amministrazione di risultato, cit., p. 107: «Ammi-nistrazione di risultato è un’espressione relativamente recente alla quale, al di là del valore relativamente chiaro, non è facile dare un significato preciso sia nel linguag-gio comune, nel quale il contenuto o è del tutto ovvio o è del tutto indeterminato, sia in quello scientifico»; A. ROMANO TASSONE, Sulla formula amministrazione per risul-tati, cit., p. 816: «A dispetto di tale ampia diffusione (o forse, proprio per questo) il significato giuridico della formula resta tuttora assai oscuro. E tale oscurità si ripor-ta, in primo e fondamentale luogo, alla stessa plurivocità del termine su cui essa pone l’accento: quel “risultato” dell’attività amministrativa che si vorrebbe oggetto di maggiore attenzione da parte dell’ordinamento».

(142) R. FERRARA, Introduzione al diritto amministrativo, cit., p. 148 che richiama un passo di M.R. Cohen per il quale «alcune misurazioni [applicate alle scienze giuridi-che] sono simili, sotto il profilo logico, alla misurazione proposta da Platone secon-do cui il legislatore giusto è 729 volte più felice di uno ingiusto».

(143) G. GRECO, Per un giudizio di accertamento compatibile con la mentalità del giudice amministrativo, in Dir. Proc. Amm., 1992, p. 488 il quale ritiene possibile individuare il fondamento positivo di un giudizio di accertamento in norme di rango costituzio-nale (art. 24 e 113) e nella funzione stessa della giurisdizione che, implicando sem-pre uno ius dicere (e cioè un accertamento) anche nell’ambito del giudizio di annul-

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soggettivo» (144); sempre meno «giudice della legittimità» e sem-pre più «giudice della spettanza» (145).

E probabilmente si può ritenere che siano cambiate pure le coordinate da cui ricavare la soluzione di quel «quiz insolubile» (146) del processo amministrativo che è l’oggetto del giudizio. In-

lamento, «ben può affrancarsi da quest’ultimo tutte le volte in cui l’accertamento non sia strettamente necessario ai fini dell’annullamento, ma ai fini della tutela giu-risdizionale compiuta dalla posizione fatta valere in giudizio».

(144) A. ROMANO, I caratteri originari della giurisdizione amministrativa, cit., p. 707: nell’ambito della giurisdizione di carattere oggettivo il giudice amministrativo verifi-ca la conformità dell’atto amministrativo alla norma giuridica; mentre nella giurisdi-zione di carattere soggettivo il giudice accerta la sussistenza di una effettiva lesione della posizione giuridica del ricorrente. In questo modello di giudizio «sono am-messi esclusivamente motivi di ricorso in cui venga dedotta la violazione [...] di norme di cui sia percepibile una correlazione con gli interessi [sostanziali] del ricor-rente».

(145) G. FALCON, Il giudice amministrativo tra giurisdizione di legittimità e giurisdizione di spettanza, in Dir. Proc. Amm., 2001, p. 287 ss ed in specie p. 295: «Se si considera acquisito, dalla sentenza n. 500, non solo il principio della potenziale risarcibilità della lesione derivante dal diniego del provvedimento spettante, ma altresì il princi-pio della immediata accertabilità giurisdizionale di tale spettanza, allora non si potrà negare che nella giurisdizione esclusiva tale immediato accertamento competa al giudice amministrativo. Ma, se gli compete ai fini del risarcimento, non gli compe-terà a maggiore ragione ai fini dell’accertamento del titolo al rilascio del provvedi-mento? Da un punto di vista concettuale, non sembra possano sussistere ostacoli di principio ad affiancare all’autonomo accertamento dei diritti in senso tradizionale, un altrettanto autonomo accertamento della spettanza in materia di interessi legit-timi. Non si vede infatti per quale ragione lo stesso giudice che può accertare in termini di spettanza un diritto di fronte all’amministrazione non lo potrebbe fare quando si tratti di valutare la spettanza legale del provvedimento, se vi sia domanda in tal senso. Sennonché, ove si ammetta che nell’ambito della giurisdizione esclusiva il giudice possa pervenire ad un giudizio di spettanza del provvedimento, anziché ad un solo giudizio di (il)legalità dello specifico atto con cui esso è stato negato, non è agevole trovare una ragione per la quale allo stesso giudizio non possa pervenirsi nell’ambito della giurisdizione generale, ove non se ne possa più trovare la causa in una supposta impossibilità giuridica di farlo».

(146) L. MAZZAROLLI, Il processo amministrativo come processo di parti e l’oggetto del giudizio, in Dir. Proc. Amm., 1997, p. 466; M.S. GIANNINI e A. PIRAS, Giurisdizione amministrativa, in Enc. Dir., vol. XIX, Milano, 1970, p. 55 secondo i quali «il proble-ma non ammette soluzioni alternative: o l’accertamento investe l’atto [….] ovvero

L’ART. 21 OCTIES SECONDO COMMA PRIMO ALINEA

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fatti, come era già stato, peraltro, anticipato da autorevole dot-trina (147), il giudice, almeno con riferimento ai provvedimenti vincolati, non accerta «l’illegittimità del provvedimento in rela-zione ai motivi dedotti» (148), quanto piuttosto verifica la fonda-tezza della pretesa dedotta in giudizio dal ricorrente (149).

Il sindacato giurisdizionale non sembra più caratterizzato e-sclusivamente da un mero giudizio di corrispondenza fra norma e atto, ma anche dall’accertamento della concreta corrispon-denza del contenuto dispositivo del provvedimento all’interesse

non riguarda l’atto, ma sta fuori di esso, si riferisce al rapporto».

(147) A. ROMANO TASSONE, I problemi di un problema. Spunti in tema di risarcibilità degli interessi legittimi, cit., p. 63.

(148) R. VILLATA, L’esecuzioni delle decisioni del Consiglio di Stato, cit., p. 542. La de-finizione del Villata costituisce un’efficace sintesi delle varie elaborazioni dottrinali che individuano l’oggetto del giudizio di annullamento nel provvedimento impu-gnato e nei vizi dedotti in giudizio. Peraltro, A. POLICE, Pluralità delle pretese, unicità dell’azione e oggetto del giudizio amministrativo, in Giudice amministrativo e tutele in forma spe-cifica, a cura di A. ZITO e D. DE CAROLIS, Milano, 2003, p. 21 ss osserva che tali elaborazioni non appaiono «una teorica unitaria, ma il frutto di confluenze di varie teorie». Esse, infatti, «divergono anche in modo assai marcato tant’è che configura-no l’oggetto del giudizio ora nella mera questione di legittimità dell’atto, ora nel po-tere di annullamento dell’atto, ora nell’esercizio del potere di annullamento, di cui l’atto non è che l’espressione terminale, ora, infine, nello stesso interesse legittimo leso, cumulativamente con la questione di legittimità dell’atto».

(149) Così G. FALCON, Il giudice amministrativo tra giurisdizione di legittimità e giuri-sdizione di spettanza, cit., p. 287 ss. Tale posizione, come evidenzia A. POLICE, Plurali-tà delle pretese, unicità dell’azione e oggetto del giudizio amministrativo, cit., p. 29, è «l’esplici-tazione, con parole diverse o con un diverso angolo prospettico, di quella teoria che ravvisava l’oggetto del giudizio amministrativo nel c.d. rapporto amministrativo». Tale teoria è stata elaborata da A. PIRAS, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, Mi-lano, 1962, vol. I, p. 124 ss.; vol. II, p. 225 ss. ed è stata perfezionata da F. G. SCO-CA, Il silenzio nel giudizio amministrativo, cit., p. 242 ss. A quest’ultima elaborazione sembrano aderire, dopo le recenti riforme normative, V. CERULLI IRELLI, Convalida in corso di giudizio e tutela della pretesa sostanziale, in Giorn. Dir. Amm., 2002, p. 636 ss.; G. ABBAMONTE, La nuova disciplina processuale: disposizioni varie sul processo, in Verso il nuovo processo amministrativo, a cura di V. CERULLI IRELLI, Torino, 2000, p. 201 ss.; D. CORLETTO, Vizi formali e poteri del giudice amministrativo, cit., p. 183 ss.: «Il giudizio di annullamento dei provvedimenti vincolati diventa esclusivamente giudizio di spet-tanza»; G. SALA, Procedimento e processo nella nuova legge 241, cit., p. 117 ss.

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pubblico o, più correttamente, al «risultato di interesse pubbli-co» prefigurato dall’ordinamento (150).

Al riguardo, è stato autorevolmente affermato che la verifica del risultato raggiunto «restituisce per così dire, certo per altra via, la possibilità di valutare la correlazione tra attività ammini-strativa e realizzazione dell’interesse generale, prima affidata e-sclusivamente ai controlli di legittimità (151)».

(150) Ancora attuali le affermazioni di R. LASCHENA, Discorso di insediamento del

Presidente del Consiglio di Stato, in Foro Amm., 1996, p. 3516: «Mutano, di conseguenza, gli elementi costitutivi del parametro di legittimità la cui identità è delineata dai principi, sempre più frequentemente richiamati da leggi recenti, che presuppongo-no e richiedono da un lato, un’azione amministrativa finalizzata al raggiungimento dei risultati e, dall’altro, che tali risultati siano perseguiti con il miglior uso possibile delle risorse disponibili»; A. SANDULLI, La proporzionalità dell’azione amministrativa, Padova, 1998, p. 283 ss: «Soltanto la visione ristretta dei concetti di legalità e legit-timità e la costruzione del sindacato di legittimità come giudizio di corrispondenza tra norma e atto hanno impedito [all’economicità e all’efficacia] di fungere da cano-ni integrativi del parametro di legittimità dell’azione amministrativa. La funzione veicolare svolta dalla legge n. 241/1990 e dal diritto comunitario sembra aver ri-mosso definitivamente questa concezione e introdotto nel sindacato del giudice amministrativo un flessibile giudizio di corrispondenza dei mezzi rispetto ai risultati volto ad una valutazione che tenga conto anche dei principi di celerità, snellezza procedimentale, efficienza, efficacia, economicità (...) dal momento che non è detto che tali ultimi profili debbano essere necessariamente inquadrati nel c.d. merito amministrativo»; V. CERULLI IRELLI e F. LUCIANI, La semplificazione dell’azione ammi-nistrativa, in Dir. Amm., 2000, p. 617 ss: «la validità, tradizionalmente retta sui due precetti della “conformità a legge” e “della ragionevolezza”, è valutata anche in re-lazione ai principi di celerità, di efficacia, efficienza, economicità i quali operano come canoni integrativi del parametro di legittimità dell’azione amministrativa».

(151) M. CAMMELLI, Amministrazione di risultato, cit., p. 107-125 spec. p. 112: «In ogni caso da quanto si è detto emerge con chiarezza la fisionomia di un’ammi-nistrazione il cui compito non è solo quello di applicare la legge ma, nel rispetto di quest’ultima e del principio di imparzialità, anche quello di essere responsabile dei risultati, e per ciò stesso in grado di operare e di sapersi adattare, sia in termini di organizzazione che di modalità operative, al contesto in cui opera e alla comunità interessata in modo da realizzare al meglio gli obiettivi che le sono assegnati secon-do il canone del buon andamento, cioè con il miglior uso possibile dei mezzi di-sponibili (efficienza) e con il grado maggiore di soddisfazione della domanda della società (efficacia)».

L’ART. 21 OCTIES SECONDO COMMA PRIMO ALINEA

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Orbene, si può pure concordare sulla necessità che la c.d. logica del risultato sia applicabile anche all’attività amministrati-va provvedimentale. Non si può, invece, in alcun modo condi-videre la c.d. «ansia di provvedere» (152) che condurrebbe alla «li-bertà dell’amministrazione» (153) nonché alla prevalenza del de-cidere «rapido» sul decidere «bene», del «risultato» sulla «legalità» (154) ed alla coincidenza fra agire efficiente ed agire legale: «ciò

(152) L’icastica locuzione «ansia di provvedere» è utilizzata da E. CASETTA, La difficoltà di semplificare, in Dir. Amm., 1998, p. 335 ss. e utilizzata, fra gli altri, da M. OCCHIENA, L’incidenza della semplificazione sul potere e sul procedimento amministrativo: ri-flessioni anche alla luce della nuova disciplina del commercio, in Dir. e Soc., 1998, p. 475.

(153) È la locuzione utilizzata da G. FALCON, La pubblica amministrazione e i cittadi-ni, in Riformare la pubblica amministrazione Torino, 1995, p. 11 con riferimento all’istituto della semplificazione amministrativa, ma che potrebbe essere utilizzata per indicare pure la perdita del sistema delle guarentigie del cittadino nei confronti dell’azione amministrativa. Vedi anche G. CORSO, Amministrazione di risultati, cit., p. 129 per il quale «un sistema di misurazione dei risultati, che parrebbe ovvio, è quello che si fonda sulla tempestività» pur aggiungendo immediatamente dopo che «il rispetto dei tempi non è tuttavia un criterio sufficiente»; R. FERRARA, Procedimento amministra-tivo, semplificazione, e realizzazione del risultato: dalla «libertà dall’amministrazione» alla «li-bertà dell’amministrazione», cit., p. 101 ss. specie p. 115 che sottolinea il passaggio dalla «libertà dall’amministrazione» alla «libertà dell’amministrazione». La «libertà dall’amministrazione» misurerebbe, in altre parole, l’allentamento dei vincoli e dei lac-ciuoli che si frappongono (spesso impropriamente) al dispiegarsi di attività private del tutto lecite. La «libertà dell’amministrazione» conseguirebbe invece, come effetto indotto, dalla crisi della legge, dalla persistente dequotazione del suo ruolo ordina-tore della realtà e, segnatamente, degli interessi pubblici e privati in conflitto.

(154) R. FERRARA, Introduzione al diritto amministrativo, cit., p. 148-173 ed in spe-cie p. 150: «già il Tempo in sé stesso rappresenta un fondamentale fattore di misu-razione del risultato, tanto più rilevante quando semplicemente si consideri che una parte non piccola delle più recenti misure di semplificazione amministrativa ha pro-prio ad oggetto il Tempo, o meglio la sua misurazione, alla luce del principio non (scritto) per cui l’importante è comunque provvedere purchessia». Nota M. OC-CHIENA, Partecipazione e tutela giurisdizionale, in Dir. Econ., 2002, p. 32: «se si intende dare maggior rilievo alla conformità dell’attività amministrativa al dettato della leg-ge, occorrerà elaborare parametri di giudizio volti a qualificare comunque illegitti-mo l’operato dell’amministrazione ogniqualvolta si discosti dalle prescrizioni nor-mative. [.....] Muovendosi, invece, lungo i binari della logica del risultato, ci si vede costretti a dequotare l’apprezzamento dell’inosservanza delle forme [...] elevando a parametro di valutazione dell’agire dell’amministrazione il criterio teleologico, ossia

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che è efficiente è per ciò solo legale» (155). Ne deriverebbe non solo la perdita – per utilizzare un termine ancora efficace – delle guarentigie dei cittadini, ma anche uno scambio «volgare...quasi non decente» (156) fra due valori meritevoli di considerazione e costituzionalmente tutelati (157).

l’aderenza delle decisione con l’interesse pubblico attuale e concreto».

(155) A. ROMANO TASSONE, Amministrazione per risultati, cit., p. 822 il quale rile-va che «l’identità fra legalità ed efficienza (“ciò che è legale è necessariamente effi-ciente”), propria della c.d. amministrazione d’ordine, appare sostituita dalla coinci-denza, eguale e contraria, fra efficienza e legalità (“ciò che è efficiente è necessaria-mente legale”)»; parzialmente contraria appare l’opinione di M. CAMMELLI, Ammini-strazione di risultato, cit., p. 122 il quale, pur rilevando che «non basta più l’agire legale per essere efficienti», conclude che «il rispetto della legge è elemento sempre neces-sario».

(156) Ancora efficaci le affermazioni di F. LEDDA, Dal principio di legalità al prin-cipio di infallibilità dell’Amministrazione, in Foro Amm., 1997, p. 3303 ss. specie p. 3307: «L’efficienza sta solo ad esprimere un dato di ordine economico come appunto il rapporto costi-ricavi o risultati, la legittimità, almeno negli ordinamenti in cui la forza della legge non riposa sul Fuhrerprinzip, ma su una volontà manifestata in for-ma democratica, esprime invece un valore vero e proprio o qualche cosa che ci consente di attingere al mondo dei valori»; p. 3309: «Se pur si consentisse l’inac-cettabile baratto fra l’efficienza e la legalità, si avrebbe una transazione sine causa, o meglio contro qualsiasi causa ragionevole che possa individuarsi: perché tra questi due termini non si ha affatto alcun contrasto, ed anzi la legalità costituisce l’unica vera garanzia dell’efficienza, l’inefficienza è quasi sempre cagionata dalla violazione di una legge»; C. E. GALLO, Entusiasmi e prudenze nel reinventare il diritto amministrativo, in Not. Giur. Reg., 1999, p. 102 ss.

(157) Riguardo il conflitto fra garanzia ed efficienza cfr, ex multis, M. OCCHIE-NA, Partecipazione e tutela giurisdizionale, in Dir. Econ., 2002, p. 31; D. U. GALETTA, Violazione di norme sul procedimento amministrativo ed annullabilità, cit., p. 6-7. Tale con-flitto appare una costante del diritto amministrativo come sottolineato da F. CO-GNETTI, Normative sul procedimento, regole di garanzia ed efficienza, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1990, p. 94 ss.

CAPITOLO SECONDO

LA DEQUOTAZIONE DEL VIZIO DI INCOMPETENZA

SOMMARIO: 1. Il vizio di incompetenza rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 21 octies secondo comma primo alinea. – 2.1 La «non annullabi-lità» del provvedimento adottato da organo incompetente è compatibi-le con il «dovere di rimessione dell’affare all’autorità competente». – 2.2. Segue: purché l’incompetenza abbia natura infrasoggettiva.

1. IL VIZIO DI INCOMPETENZA RIENTRA NELL’AMBITO DI APPLICAZIONE DELL’ART. 21 OCTIES SECONDO COMMA PRIMO ALINEA.

Esaminate alcune (delle più significative) problematiche di

carattere generale sottese all’art. 21 octies secondo comma primo alinea della l. n. 241/1990, si può proseguire la ricerca allo sco-po di accertare se il vizio di incompetenza rientri nell’ambito di applicazione della disposizione normativa in questione.

A tal fine appare determinante verificare se le norme sulla competenza siano inquadrabili nell’ambito di quelle sulla forma o sul procedimento (1).

Riguardo la prima ipotesi (2), si osserva che suscita più di qualche perplessità la perentoria affermazione secondo cui le norme sulla competenza «attengono senza dubbio alla forma de-gli atti, intesa anche come il complesso degli elementi che li compongono tra i quali campeggia il soggetto (id est l’autorità

(1) Come sopra ricordato, l’art. 21 octies secondo comma primo alinea della l. n.

241/1990 recita: «non è annullabile il provvedimento adottato in violazione delle norme sulla forma e sul procedimento qualora, per la natura vincolata, sia palese che il provvedimento non avrebbe potuto avere un altro contenuto».

(2) E cioè se le norme sulla competenza possano essere inquadrate nell’ambito di quelle sulla forma.

CAPITOLO SECONDO

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che ha emanato l’atto)» (3). Infatti, a prescindere dalla fondatez-za di quest’ultima asserzione (4), la forma – come precedente-mente esplicitato – costituisce la modalità di esternazione del provvedimento ed è, di conseguenza, uno dei suoi elementi es-senziali. Donde, tra forma e competenza non può sussistere un rapporto di genus a species.

Riguardo invece la seconda ipotesi sopra prospettata (5), si nota che le norme sul procedimento disciplinano la sequenza di atti ed operazioni «tra loro collegati funzionalmente in vista e al servizio dell’atto principale» individuando, fra l’altro, quali sono gli organi competenti ad adottare gli atti endoprocedimentali ed ad

(3) Così F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano, ed. 2005, p.

1884; D. DE CAROLIS, L’annullabilità del provvedimento amministrativo, in Le nuove regole dell’azione amministrativa, a cura di F. CARINGELLA, D. DE CAROLIS, G. DE MARZO, Milano, 2005, p. 1002.

(4 Al riguardo, vedi M. S. GIANNINI, Atto amministrativo, voce in Enc. Dir., vol. IV, Milano, 1950, p. 173: «Né la competenza né la legittimazione sono in sé ele-menti del provvedimento. La prima, in quanto misura dell’attribuzione del potere, la seconda, in quanto presenza o completezza di fatti abilitanti all’esercizio del pote-re, sussistono indipendentemente dall’evento dell’emanazione del provvedimento. Il nostro sistema positivo, tuttavia, non contempla strumenti volti a reprimere i vizi della competenza o della legittimazione in sé, ma solo in quanto esse ineriscano ad un provvedimento»; B. CAVALLO, Provvedimenti e atti amministrativi, vol. III, in Tratta-to di diritto amministrativo, diretto da G. SANTANIELLO, Padova, 1993, p. 45: «Più che come elemento del provvedimento, il soggetto, cioè l’amministrazione pubblica agente, si individua attraverso una ricognizione del potere amministrativo: meglio ancora, del potere amministrativo visto anche nel suo esercizio discrezionale da parte di un soggetto appartenente alla pubblica amministrazione». Sulla concezione di atto amministrativo del Giannini si vedano le puntuali annotazioni di F. LEDDA, La concezione dell’atto amministrativo e dei suoi caratteri, in Diritto amministrativo e giustizia amministrativa nel bilancio di un decennio di giurisprudenza, a cura di U. ALLEGRETTI, A. ORSI BATTAGLINI, D. SORACE, Rimini, 1987, p. 778 ss.; D. SORACE, Promemoria per una nuova voce «Atto amministrativo», in Scritti in onore di M. S. Giannini, Milano, 1988, p. 745 ss.; F. G. SCOCA, La teoria del provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul procedimento, in Dir. Amm., 1995, p. 1 ss. e, più recentemente, A. LOLLI, L’atto ammi-nistrativo nell’ordinamento democratico, Milano, 2000.

(5) E cioè se le norme sulla competenza possano essere inquadrate nell’ambito di quelle sul procedimento.

LA DEQUOTAZIONE DEL VIZIO DI INCOMPETENZA

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emanare il provvedimento finale (6). Si può, quindi, affermare che la c.d concezione strutturale del procedimento (7) sembra confermare l’ipotesi di partenza.

Ulteriori elementi a sostegno di tale assunto possono essere desunti dalla c.d. concezione funzionale del procedimento (8) che, come ampiamente noto, trova il proprio fondamento nella nozione di funzione elaborata dal Benvenuti. Il maestro muove dalla configurazione del potere come possibilità (9), energia (10),

(6) Così A. M. SANDULLI, Il procedimento amministrativo, Milano, 1940, p. 41 ss.

spec. p. 107; ID., Procedimento amministrativo, voce in Nov. Dig. It., vol. XIII, Torino, 1966, p. 1022 che pone in luce da un lato, «la frequente partecipazione alla sequen-za procedimentale di più soggetti od organi (i quali a tal fine pongono in essere, ri-spettivamente, uno o più atti giuridici) […]; dall’altro, la frequenza dei casi in cui l’autorità competente a porre in essere l’atto “principale” non può pervenirvi se non dopo aver posto in essere una serie di altri atti e/od operazioni ordinati a quel fine ed aventi una propria autonomia strutturale»; G. PASTORI, Introduzione generale, in La procedura amministrativa, a cura di G. PASTORI, Milano, 1964, p. 52-54: «I sog-getti della procedura che vengono normalmente in esame sono gli organi [...]. Per tale categoria di soggetti si pone il problema della capacità di agire nella procedura [la cui soluzione è costituita] dalle norme delimitative della competenza [secondo] i tre criteri di ripartizione organizzativa del lavoro: quello materiale, quello territoriale e quello funzionale»; più recentemente P. M. VIPIANA, Gli atti amministrativi: vizi di legittimità e di merito, cause di nullità ed irregolarità, Torino, 2003, p. 90 con ampi richia-mi giurisprudenziali: «La questione se ad agire sia stata l’autorità amministrativa competente e quella, correlata, se sia verificato un caso di incompetenza, si pone non soltanto con riguardo all’adozione di un provvedimento amministrativo, e quindi alla fase decisoria – ossia costitutiva – del procedimento amministrativo, ma anche relativamente alle altre fasi dell’iter procedimentale».

(7) Sulla concezione strutturale del procedimento amministrativo vedi le effi-caci osservazioni di G. PASTORI, Vincoli formali e regole sostanziali, in Diritto amministra-tivo e giustizia amministrativa nel bilancio di un decennio di giurisprudenza, cit., p. 808: «la costruzione unitaria della nozione di procedimento viene a rispondere alla doman-da, indubbiamente centrale: “che cosa è il procedimento”».

(8) Riguardo la concezione funzionale di procedimento vedi ancora G. PASTO-RI, Vincoli formali e regole sostanziali, cit., p. 811: «si tratta di un approccio che si pone certo di fronte al quesito “perché il procedimento” e che cerca di dare risposte an-che alla domanda “quale procedimento”».

(9) S. CASSARINO, Le situazioni giuridiche e l’oggetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 1956, p. 219.

CAPITOLO SECONDO

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forza (11) idonea a produrre un mutamento giuridico o, in altri termini, a costituire, modificare, estinguere le situazioni sogget-tive (12). E, sviluppando questa premessa, pone in luce che tra il potere («modificazione giuridica astrattamente preordinata») e l’atto («applicazione puntuale di un potere ad una realtà») vi è «qualche cosa che, mentre si concreta, non è più potere ma non è ancora atto» (13). Questo «differenziarsi del potere» o, per uti-lizzare una formula speculare, questo «farsi dell’atto», che ha una sua unitarietà nonché individualità logica e giuridica, costi-tuisce senza dubbio la cifra caratteristica dell’elaborazione in e-same (14).

In questa sede, non sembra possibile delineare compiuta-mente i notevoli e profondi riflessi di questa teoria in ordine al-la partecipazione del cittadino all’esercizio del potere ammi-

(10) F. BENVENUTI, L’ordinamento repubblicano, Padova, 1965, p. 200; ID., Appun-

ti di diritto amministrativo, Padova, 1987, p. 29: «il potere è energia che deriva dall’azione delle due forze che operano nella società: quella dell’autorità e quella della libertà».

(11) G. MIELE, Principi di diritto amministrativo, Pisa, 1945, p. 151. (12) G. SALA, Il principio del giusto procedimento, Milano, 1984, p. 23 nota che la ve-

xata quaestio della configurabilità dei diritti potestativi come species del diritto sogget-tivo ha rappresentato l’occasione per percepire la netta separazione esistente fra diritto potestativo e potere. In conformità, infatti, ad una concezione soggettiva volontaristica del fenomeno giuridico il potere è stato, per un lungo periodo di tempo, ricondotto dalla dottrina privatistica nell’ambito del diritto soggettivo.

(13) F. BENVENUTI, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1952, p. 123.

(14) F. BENVENUTI, L’impatto del procedimento nell’organizzazione e nell’ordinamento (quasi una conclusione autobiografica), in Scritti in onore di L. Mengoni, Padova, 1995, vol. III, p. 1724: «Partendo da una concezione obiettiva del potere che considerai come un’energia giuridica insita nella norma e utilizzata dall’operatore per renderla con-creta nell’atto concepii il rapporto tra momento astratto (norma) e momento con-creto (l’atto) come la trasformazione del potere nel provvedimento e a questa tra-sformazione diedi il nome di funzione». Si tratta di una concezione che, pur «ele-mentare ed incontrovertibile» non era ancora stato applicata nel campo dell’am-ministrazione» (così F. BENVENUTI, Funzione amministrativa, procedimento, processo, cit., p. 124).

LA DEQUOTAZIONE DEL VIZIO DI INCOMPETENZA

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nistrativo (15), all’attività istruttoria (16) ed allo «statuto» costitu-zionale della pubblica amministrazione (17).

Appare invece utile esaminarne le implicazioni in materia di procedimento e di organizzazione.

(15) Cfr. F. BENVENUTI, Prefazione, in La procedura amministrativa, cit., p. XV;

ID., Mito e realtà nell’ordinamento amministrativo italiano, in L’unificazione amministrativa e i suoi protagonisti, a cura di F. BENVENUTI e G. MIGLIO, Vicenza, 1969, p. 69 ss. spec. p. 85 ss.; ID., L’amministrazione oggettivata: un nuovo modello, in Riv. Trim. Sc. Amm., 1978, p. 6 ss.; ID., Disegno dell’amministrazione italiana, Padova, 1996, p. 222-242 spec. p. 236-237; ID., Il nuovo cittadino, Venezia, 1994. L’autore evidenzia che la funzione amministrativa può essere esplicata nella forma procedimentale o in quella proces-suale. In quest’ultimo caso, i destinatari del provvedimento hanno «la possibilità di partecipare alla trasformazione del potere e, quindi, alla concretizzazione del potere in quell’atto che è determinativo di una loro posizione giuridica». Questa nuova ed alternativa forma di esternazione della funzione amministrativa appare coerente con «quella che è la più alta concezione dell’amministrazione: l’agire sì al servizio della comunità, ma nel rispetto non solo dei diritti, ma anche degli interessi del cit-tadino». In questa prospettiva, la partecipazione costituisce non solo uno strumento di garanzia dei soggetti nei cui confronti l’amministrazione abbia adottato provve-dimenti sfavorevoli, ma anche un mezzo per realizzare «l’elevazione del cittadino a coamministrante [e quindi] corresponsabile della realizzazione dell’interesse pubbli-co». Tale interesse, «che aveva questa denominazione perché corrispondeva all’in-teresse della Pubblica Amministrazione, è considerato invece come interesse gene-rale della collettività e quindi dei suoi membri. All’amministrazione non spetta più la funzione di unico interprete di un interesse che essa soggettivizza, ma è uno degli interpreti di una pluralità di interessi che vengono oggettivati come interesse pub-blico». Ciò comporta che l’amministrazione, a cui compete di decidere definitiva-mente il «modo di soddisfazione degli interessi» deve tenere in considerazione le soluzioni prospettate dai futuri destinatari dell’azione amministrativa. Vedi anche G. BERTI, Procedimento, procedura, partecipazione, in Studi in memoria di E. Guicciardi, Pa-dova, 1975, p. 783; G. SALA, Parti e interessi nel procedimento amministrativo: la formazione della materia del giudizio, in Dir. Proc. Amm., 1998, p. 48-66.

(16) F. LEVI, L’attività conoscitiva della pubblica amministrazione, Torino, 1967, p. 418: «Ciò cui noi ci riferiamo con l’espressione attività conoscitiva corrisponde ab-bastanza bene alla categoria di funzione o, più precisamente, alla sua parte principa-le ed essenziale. Quindi, accogliendo ed adattando l’ordine di idee del Benvenuti, dovremmo ritenere che due atti fanno validamente parte del medesimo procedi-mento in quanto sono momenti di un’attività conoscitiva unitaria o, se si preferisce, in quanto enunciano e considerano i risultati di una medesima attività conoscitiva».

(17) Vedi, U. ALLEGRETTI, Amministrazione e costituzione, Padova, 1986.

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Nella prospettiva del Benvenuti, il procedimento non è solo mezzo di garanzia «della puntuale aderenza dell’azione dei pub-blici poteri ad uno schema normativo predeterminato», ma è anche strumento di «acquisizione, composizione, graduazione» degli interessi meritevoli di essere tutelati e, di conseguenza, «struttura di collegamento dei vari centri di riferimento» dei predetti interessi (18): il «valore primario del procedimento» è «un valore organizzativo» (19).

E alla realizzazione di questa funzione organizzativa concor-rono non solo le norme che disciplinano i diversi «momenti» dela «concretizzazione del potere in atto», ma anche quelle che determinano il contenuto della relazione esistente fra tali «mo-menti» e i vari organi: ciascuna fase del procedimento, compresa quella decisoria, è «epifania» delle differenti funzioni attribuite a ciascun organo (20).

(18) Cfr. G. SALA, Il principio del giusto procedimento, Milano, 1984, p. 67 ss.; G.

BERTI, La pubblica amministrazione come organizzazione, Padova, 1968, p. 286: «Il pro-cedimento [come funzione ovvero come] trasformazione delle energie giuridiche necessarie a costituire la nuova realtà che si sintetizza nell’atto ha una autonoma ragione di essere e un’autonoma consistenza. [Infatti], tutto ciò che non si ritrova nell’atto ma che è appartenuto in qualche modo al procedimento non va perduto. Ad esempio, la ponderazione degli interessi che ha luogo, talora anche mediante il confronto formale reso possibile dalla partecipazione dei rispettivi titolari, […] ha la sua verificazione nel procedimento: nell’atto ne residua una traccia e talora neppure fedele, giacché la motivazione formale presenta la scelta effettuata, non nella sua elaborazione, ma in ciò che di essa è funzionale rispetto alla volontà manifestata nell’atto».

(19) In termini, M. NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica ammini-strazione, Milano, 1966, p. 122 ss.; ID., Procedimento amministrativo e tutela giurisdizionale, in Dir. Proc. Amm., 1980, p. 273 ss.

(20) Sul punto cfr. U. ALLEGRETTI, L’imparzialità amministrativa, Padova, 1965, p. 291: l’organo esercita «la funzione del potere di cui è attributario» in quanto sus-siste un collegamento da un lato, tra il potere e la funzione; dall’altro, tra il potere e l’organo. Quest’ultimo è, quindi, «qualificato dalla capacità di compiere una funzio-ne amministrativa» ponendo in essere non solo il provvedimento amministrativo, ma anche il complesso iter attraverso cui «il potere si concretizza in atto». Peraltro, il maestro evidenzia come la complessità della funzione richiede quasi sempre la presenza di più organi in relazione ai differenti momenti nei quali essa si articola

LA DEQUOTAZIONE DEL VIZIO DI INCOMPETENZA

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Specularmente, l’organizzazione non è «più in funzione di una volontà soggettiva unitaria, risolutrice come tale dei conflitti tra i vari […] organi», ma «si presenta in funzione di un’attività o di un procedimento» (21).

Ne deriva che è rilevante non soltanto «il momento di distri-buzione delle competenze», ma anche e soprattutto «il momen-to di attivazione delle competenze stesse» in cui «una compe-tenza trapassa a potere» ovvero «tramite una pluralità di compe-tenze si determina un’attività e si attua un certo potere» (22).

In questa ottica, alla figura tradizionale della «competenza-imputazione» (23), configurata staticamente come mera riparti-

sebbene l’unità di tali momenti presupponga che un organo venga «incaricato della sua unitaria risoluzione» adottando il provvedimento finale.

(21) Così, G. BERTI, Connessione e giudizio amministrativo, Padova, 1970, p. 89: «La verità è che, al cospetto del decentramento e dell’autonomia, si capovolge il valore dell’organizzazione: l’organizzazione in senso soggettivistico cede il passo ad un’organizzazione oggettiva, il soggetto recede sul piano concettuale di fronte all’at-tività»; G. SALA, Il principio del giusto procedimento, cit., p. 68: «la primitiva intuizione della dottrina, che aveva colto la rilevanza organizzativa del procedimento nella ne-cessità di collegare le articolazioni interne del soggetto pubblico […..], acquista al-tresì una maggiore pregnanza in un’amministrazione pluralista costituita in una molteplicità di centri esponenziali [….].

(22) G. BERTI, La pubblica amministrazione come organizzazione, cit., passim sul cui pensiero vedi le critiche di M. NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, cit., p. 125 nota 54.

(23) G. ORSONI, Competenza e amministrazione, Padova, 1990, p. 27 per il quale la «nozione statica fissa un’idea della (in)competenza con esclusivo riferimento alla fonte (soggetto-organo) da cui promana l’atto, senza preoccuparsi del momento dinamico di produzione dell’atto»; G. BERTI, La pubblica amministrazione come organiz-zazione, cit. p. 315-360 per il quale la figura dell’imputazione rende palese la relazio-ne intercorrente tra atto e organo ed è uno strumento per verificare la mera confor-mità di tale relazione al riparto di competenza normativamente disciplinato. In par-ticolare, vedi p. 339: «Il primo momento, che diremmo di imputazione minore con-cerne l’atto in quanto derivante dal processo di produzione. Esso serve a verificare la validità dell’atto dal punto di vista dei suoi elementi e di tutto ciò che è occorso a produrlo»; p. 343: «L’imputazione minore è informata a due criteri fondamentali: il criterio della competenza ed il criterio dello scopo. Secondo il criterio della com-petenza, il riferimento dell’atto all’organo serve ad accertare la conformità di que-sto rapporto alla distribuzione delle competenze risultante dalla norma»; p. 355:

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zione dei compiti fra gli organi, si affianca quella della «compe-tenza-produzione» (24), concepita dinamicamente come idoneità e adeguatezza dell’organo ad esercitare il potere di provvedere normativamente attribuito all’amministrazione per la cura e la tutela dei fini pubblici.

In sintesi, «la competenza [non è] capacità soggettiva per-ché, organizzatoriamente intesa, la competenza è un quid obiet-tivo» designando «sempre il potere in rapporto all’attività vale a dire la funzionalità (adattabilità) del potere rispetto ad una data attività» (25).

«L’imputazione dell’atto all’organo, nei limiti del problema di competenza, viene a presentare questo singolare effetto: che, nel caso di accertamento dell’incompeten-za dell’organo, l’imputazione diviene strumento della rottura, nella singola specie e sul piano della validità, della relazione atto ed organo».

(24) G. ORSONI, Competenza e amministrazione, cit., p. 39 per il quale «la compe-tenza non individua il rapporto fra gli organi se non secondariamente, mentre prin-cipalmente essa designa l’idoneità del potere in confronto dell’atto»; G. BERTI, La pubblica amministrazione come organizzazione, cit., p. 315 il quale osserva che «la figura della produzione fa emergere il rapporto tra potere di provvedere e l’organo illumi-nando la relazione esistente tra quest’ultimo e lo specifico interesse pubblico per la cui cura è esercitato il potere»; p. 354: «la ripartizione delle competenze tra gli uffici entra nella valutazione dell’atto in due modi diversi: dapprima, sotto l’aspetto dell’i-doneità dell’organo a determinare il momento costitutivo dell’atto in confronto agli altri momenti del procedimento; successivamente, come idoneità dell’organo rispet-to all’atto, dal punto di vista, esterno, della compresenza di una molteplicità di or-gani genericamente abilitati a costituire l’atto».

(25) Così, G. BERTI, La pubblica amministrazione come organizzazione, cit., p. 61, p. 386: «nel potere si risolve pure, sempre sotto il profilo dinamico, il problema della soggettività come riferimento ad una struttura giuridica di interessi differenziati. [...] Il potere inserisce l’interesse in se stesso come elemento che gli deriva dall’ordi-namento istituzionale e quindi raggiunge la composizione tra l’interesse particolare e l’interesse generale della comunità. Il pluralismo dei poteri è, dunque, proprio del-l’amministrazione, in quanto è appunto l’amministrazione che persegue i fini gene-rali della comunità attraverso il soddisfacimento di interessi particolari, e cioè di in-teressi di settori o gruppi, differenziati nell’interesse massimo della comunità e quindi dell’ordinamento complessivo»; F. BASSI, Contributo allo studio delle funzioni dello stato, Milano, 1969, p. 103: «la competenza è il necessario punto di raccordo tra potere ed atto in forza del quale risultano individuati gli organi legittimati all’uso del potere».

LA DEQUOTAZIONE DEL VIZIO DI INCOMPETENZA

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Nel quadro sopra delineato, si può comprendere come la di-sciplina della competenza non è esterna, ma permea di sé il pro-cedimento cioè la sede in cui si invera la funzione pubblica me-diante il confronto tra l’amministrazione e i cives.

E su queste basi appare condivisibile l’orientamento di par-te della dottrina (26) e della giurisprudenza (27) che riconduce, più o meno esplicitamente, le norme sulla competenza a quelle sul procedimento e ritiene, quindi, applicabile l’art. 21 octies se-con-do comma al vizio in questione.

Peraltro, a quest’ultima soluzione interpretativa appare pos-sibile pervenire pure attraverso un diverso percorso argomenta-tivo.

In proposito, si richiamano quelle autorevoli elaborazioni dottrinali che antepongono la «ratio legis al significato letterale» ed attribuiscono alle disposizioni il significato più coerente e

(26) Cfr. D. CORLETTO, Vizi formali e poteri del giudice amministrativo, in La giusti-

zia amministrativa in trasformazione, cit., p. 171: «si può qui notare, incidentalmente, che al novero dei vizi procedimentali o formali si dovrà probabilmente ascrivere, ai fini dell’applicazione del 21 octies, anche quello di incompetenza»; F. CIVITARESE MATTEUCCI, La forma presa sul serio, cit., p. 323; D. DE CAROLIS, L’annullabilità del provvedimento amministrativo, cit., p. 1002: la norma inerente la competenza «può esse-re riguardata come regola del procedimento di formazione della volontà». Tale inter-pretazione appare condivisibile purché venga precisato che, come chiarito da M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., vol. II, p. 241, la volontà non «è volontà di persone fisiche, non sono ad essa riferibili dati psichici, ma [...] è normalmente vo-lontà procedimentale perché è il risultato di sequenze di atti di più uffici od organi ciascuno dei quali apporta propri giudizi, valutazioni, opinioni». Contra F. G. SCO-CA, I vizi formali nel sistema delle invalidità dei provvedimenti amministrativi, cit., p. 66: «in via generale, peraltro, si può, per quanto in questa sede interessa, affermare che i vizi di competenza determinano l’annullamento del provvedimento».

(27) Cons. Stato, Sez. VI, 6 Novembre 2006 n. 6521, in Foro Amm. CDS, 2006, p. 3079; T.A.R. Lazio Latina, 23 Novembre 2006 n. 1748, in Foro Amm. TAR, 2006, p. 3592; T.A.R. Lazio Latina, 17 Gennaio 2007 n. 39, in Foro Amm. TAR, 2007, p. 202. Contra T.A.R. Lombardia, Sez. II, 15 Marzo 2005 n. 533, in Foro Amm. TAR, 2005, p. 623; T.A.R. Campania, Sez. IV, 12 Aprile 2005 n. 3780, in Foro Amm. TAR, 2005, p. 1180; T.A.R. Lombardia, Sez. II, 18 Luglio 2005 n. 3551, in Foro Amm. TAR, 2005, p. 2264; T.A.R. Campania, Sez. I, 12 Aprile 2006 n. 3538, in Foro Amm. TAR, 2006, p. 1419.

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condorme con «lo scopo perseguito dal legislatore» (28) (29): l’at-tività ermeneutica è sempre «logica-sistematica» e «teleologica-assiologica» (30). In questa prospettiva esegetica, per molti versi

(28) Così, Corte Cost. 15 Febbraio 1984 n. 26, in Cons. Stato, 1984, II, p. 197 ss.: «il giudice non può sottrarsi al compito ineludibile nel nostro ordinamento di applicare la norma secondo quell’interpretazione che le consenta di concretamente e meglio realizzare lo scopo perseguito»; Cass. Civ., Sez. I, 5 Aprile 1978 n. 1549, in Dir e Prat. Trib., 1981, II, p. 23: «L’esistenza di una chiara formulazione grammatica-le della norma non è sufficiente per limitare l’interpretazione all’elemento letterale occorrendo altresì che il senso reso palese dal significato proprio delle parole se-condo la loro connessione, non si ponga in contrasto con argomentazioni logiche sull’intenzione del legislatore»; Cons. Stato, Sez. V, 8 Gennaio 1998 n. 60, in Cons. Stato, 1998, I, p. 53; Cons. Stato, Sez. I, 11 Giugno 2002 n. 1413, in Cons. Stato, I, 2002, p. 483; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 3 Marzo 2005 n. 1621, in Foro Amm. TAR, 2005, p. 732.

(29) E. BETTI, Teoria generale dell’interpretazione, Milano, 1955, p. 261 ss. spec. p. 265: «L’ “intenzione del legislatore” sta qui a designare – secondo l’insegnamento tradizionale degli stessi seguaci di quel dogma – lo “scopo pratico che la legge si propone di conseguire”: fuor di metafora e a prescindere da ogni mitica personifi-cazione o finzione, la “intenzione del legislatore” sta ad indicare il problema prati-co, del quale la norma da interpretare rappresenta la soluzione. [...] Lo “scopo” o problema pratico risolto è anche ciò chi si designa come ratio legis in una delle acce-zioni di questo termine»; p. 267 ss.: «Accanto al momento logico deve tenersi pre-sente il momento teleologico della norma giuridica: in una col contenuto logico del-la formula legislativa si deve indagare la ratio iuris, che ne illumina il valore norma-tivo. Giacché la norma giuridica – a differenza da un giudizio teoretico, che è fine a sé stesso come sapere e conoscenza di verità – non è fine a sé stessa, ma strumen-to ad un fine di convivenza sociale, che non dirsi raggiunto con la sola emanazio-ne, ma solo con l’applicazione di essa norma nella vita di relazione»; p. 285: «la logi-ca del diritto è qualcosa di ben più alto che una povera logica formale delle singole proposizioni legislative; ed è compito dell’interprete di spiritualizzarla consideran-dovi immanente il momento teleologico e rendendosi conto della coerenza dell’intero sistema»; G. PIZORUSSO, Delle fonti del diritto, in Commentario del codice civile, a cura di A. SCIALOJA e G. BRANCA, Bologna-Roma, 1977, p. 124-125: «É da re-spingere l’interpretazione secondo la quale l’attività interpretativa sarebbe esclusa nei casi in cui il significato della disposizione applicabile sarebbe di per sé chiaro. É evidente invece che un’opera di elaborazione della norma da applicare alla fattispe-cie in esame si rende necessaria in ogni caso anche quando esista una disposizione che più o meno specificamente la contempli».

(30) Vedi, P. PERLINGIERI L’interpretazione della legge come sistematica e assiologica. Il brocardo in claris non fit interpretatio, il ruolo dell’art. 12 disp. prel. c.c. e la nuova scuola dell’e-

LA DEQUOTAZIONE DEL VIZIO DI INCOMPETENZA

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differente da quella tradizionale, la ratio e i valori sottesi all’art. 21 octies acquistano una valenza determinante ai fini dell’ inter-pretazione di questa disposizione.

Orbene, come evidenziato nel capitolo precedente, la no-vella normativa appare preordinata a limitare l’area dell’invalidi-tà-annullabilità esclusivamente a quelle violazioni normative che pregiudicano la corretta realizzazione dell’interesse pubblico e ledono gli interessi sostanziali giuridicamente tutelati (31).

Dai lavori preparatori si desume il presupposto sotteso alla l. n. 15/2005: l’illegittimità formale ha efficacia invalidante e-sclusivamente nell’ipotesi in cui «riverberi i propri effetti (diretti

segesi, in Rass. Dir. Civ., 1985, p. 990 ss.; ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale se-condo il sistema italo-comunitario delle fonti, vol. II, Napoli, 2006, p. 563-596 spec. p. 579: «Le interpretazioni letterale, logica, sistematica non sono né possono essere fasi di-stinte cronologicamente e logicamente; esse sono profili e criteri di un processo conoscitivo unitario»; p. 581: «Il principio di legalità non si riduce al rispetto dei singoli precetti, implicando, invece, da un lato il loro coordinamento (nonché l’ar-monizzazione con i principi fondamentali di rilevanza costituzionale) e, dall’altro, il confronto e la contestuale conoscenza del problema concreto da regolare, cioè del fatto, individuato nell’ambito dell’intero ordinamento, l’insieme delle proposizioni normative e dei principi, la normativa più adeguata e maggiormente compatibile agli interessi ed ai valori in gioco»; G. ZACCARIA, Come interpretare? La buona e cattiva interpretazione, in F. VIOLA e G. ZACCARIA, Diritto ed interpretazion., Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Roma-Bari, 1999, p. 175-238 spec. p. 223-224.

(31) Cfr. V. CERULLI IRELLI, Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n. 241/90 IV parte, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico n. 3/2005, p. 7: [Il se-condo comma dell’art. 21 octies] affronta il problema, già emerso in giurisprudenza, dei vizi meramente formali dell’atto amministrativo, come quelli che pur compor-tando violazione di norme di per se stesse cogenti, non danno luogo in concreto ad una situazione di invalidità del provvedimento adottato perché questo nel suo con-tenuto sostanziale risponde ai parametri di legge»; ID., Note critiche in materia di vizi formali, in Dir. Pubbl., 2004, p. 210: «Una volta stabilito mediante un accertamento giurisdizionale che il contenuto dispositivo dell’atto, cioè la disciplina sostanziale che esso determina in relazione ad un determinato assetto di interessi, sia del tutto conforme al parametro normativo i vizi eventualmente rilevabili [...] diventano inin-fluenti sul regime dell’invalidità»; ID., Introduzione, in Innovazioni del diritto amministra-tivo e riforma dell’amministrazione, cit., p. 1-17 spec. p. 14; G. MORBIDELLI, Invalidità e irregolarità, cit., p. 87.

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o indiretti) sul contenuto della decisione amministrativa (32). In altri termini, l’eliminazione ex tunc dei provvedimenti vincolati, il cui «contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato», non è ritenuta conforme né con l’interesse pubblico (33) né con i principi di proporzionalità (34), di pubbli-cità (35), di «legalità-finalizzazione» (36), di efficacia ed efficienza (37) nonché di economia dei mezzi giuridici e di conservazione degli atti giuridici (38). Si tratta di principi la cui realizzazione

(32) In termini, Relazione al d.d.l. 3890 Atti Parlamentari, p. 11, in www.parlamento.it.

(33) Al riguardo, D. CORLETTO, Efficacia ed invalidità dell’atto amministrativo, cit., p. 177: «Nel possibile contrasto fra la difesa degli interessi individuali (per il tramite di un rigoroso rispetto della legalità) e il perseguimento dell’interesse pubblico, è la prima che il legislatore sceglie di limitare»; ID., Vizi «formali» e poteri del giudice ammi-nistrativo, cit., p. 201: «l’interesse del legislatore (o dell’ordinamento) a dare garanzia ed effettività del principio di legalità dell’azione amministrativa “sanzionando” sul piano dell’efficacia degli atti le violazioni alle regole relative all’esercizio dei poteri amministrativi, comporta che il principio di legalità non è considerato più così pri-mario e assoluto come lo si riteneva finora».

(34) G. MORBIDELLI, Invalidità e irregolarità, cit., p. 87: «la marginalità della dif-formità rispetto allo schema normativo determina la sua inidoneità sia ad incidere sul processo valutativo comparativo degli interessi pubblici e privati implicati nel procedimento, sia a pregiudicare la cura dell’interesse pubblico concreto o la tutela di situazioni giuridiche soggettive». Vedi anche F. LUCIANI, Il vizio formale nella teoria dell’invalidità amministrativa, cit., p. 339.

(35) L. IANNOTTA, La considerazione del risultato nel giudizio amministrativo: dall’inte-resse legittimo al buon diritto, cit., p. 340

(36) L. IANNOTTA, La considerazione del risultato nel giudizio amministrativo: dall’inte-resse legittimo al buon diritto, cit., p. 341.

(37) V. CERULLI IRELLI, Innovazioni del diritto e riforma dell’amministrazione. Un’ in-troduzione, cit., p. 9: «Ogni violazione di norme nell’ambito di un’azione amministra-tiva concreta [...] dà luogo ad invalidità degli atti giuridici relativi: con un dispendio di attività, di tempo ed anche di mezzi finanziari, del tutto ingiustificato, trattandosi in molti casi di violazioni di carattere formale che non toccano la sostanza degli in-teressi amministrati. [...] La nostra impostazione tradizionale sicuramente contrasta, nei suoi fondamenti con i principi di efficienza, efficacia, economicità cui l’ammini-strazione deve ispirarsi secondo l’impostazione più recente».

(38) Cfr. G. MORBIDELLI, Invalidità e irregolarità, cit., p. 87; F. FALZEA, Efficacia, voce in Enc. Dir., vol. XIV, Milano, 1967, p. 456: «Quale giurista potrebbe sostene-re che la minima deviazione dal modello legale porti ad una totale nullità o man-

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viene ritenuta prevalente sulla necessità di ripristinare l’astratta legalità pregiudicata dal provvedimento emanato.

Coerentemente, dunque, con lo «spirito» della novella nor-mativa e con i principi da essa tutelati, si può predicare la «non annullabilità» del provvedimento vincolato che, pur emanato da organo incompetente, «non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato» (39). canza di effetti [della fattispecie]? Ne risulterebbe in pratica un’enorme dissipazione di energie spese a vuoto, che nessun ordinamento giuridico potrebbe ammettere». In proposito, D. GRASETTI, Conservazione (principio di), voce in Enc. Dir., vol. X, Mi-lano, 1972, p. 173 nota che i principi di economia dei mezzi giuridici e conserva-zione degli atti erano già stati elaborati dal giurista romano Giuliano («res magis valeat quam perat») e sono diretti a garantire il rilevante principio della certezza del diritto.

(39) Cfr. F. FRACCHIA e M. OCCHIENA, Sub art. 21 octies comma 2 cit., p. 627: «per quanto attiene all’incompetenza, invece, nella logica della legge la sua diversa disciplina rispetto agli altri vizi sembrerebbe incongrua. Se le esigenze del risultato e della “bontà” della decisione dovevano davvero prevalere e vincere, non potevano lasciare superstiti. Immaginiamo il caso di un provvedimento adottato da organo incompetente che sia esattamente quello che avrebbe adottato il dirigente compe-tente: non si vede perché non possa operare il meccanismo di recupero prefigurato dalla legge e che fa appunto perno sull’assenza di alternative circa il dispiegarsi con-tenutistico del provvedimento». Tuttavia, nonostante le perplessità evidenziate, i due autori sostengono egualmente l’inapplicabilità dell’art. 21 octies al vizio di in-competenza affermando che il legislatore ha ritenuto «la norma sulla competenza essenziale per la tutela dell’interesse pubblico»; E. CASETTA, Manuale di diritto ammini-strativo, cit., p. 521-522 che prima pone in luce come «tra i vizi che possono essere sal-vati con il meccanismo dell’art. 21 octies, l. 241/1990 non compare l’incompetenza; tuttavia nella logica del risultato, ciò potrebbe apparire non giustificabile», successiva-mente riconduce espressamente «all’area della illegittimità […] il mancato rispetto del-le norme sulla competenza, con riferimento all’attività vincolata e quella discrezio-nale».

Condivide invece in toto l’opinione di cui nel testo F. CARINGELLA, Diritto am-ministrativo, Milano, 2008, p. 1993: «In disparte la questione dogmatica se il vizio di incompetenza attenga a profili formali o sostanziali dell’atto sul piano della teoria generale del diritto, pare decisiva la ratio della disposizione specifica che, su un pia-no omogeneo ai concetti comunitari e comparati in materia di “forme formali”, considera eccessiva la sanzione dell’annullamento per vizi che non abbiano concre-tamente influito sulla bontà sostanziale del decisum. In quest’ottica un provvedimento vin-colato giustamente adottato dall’amministrazione incompetente non appare diverso dall’identico provvedimento adottato in violazione di regole procedimentali o strettamente formali. In tutti questi

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2.1 LA «NON ANNULLABILITÀ» DEL PROVVEDIMENTO ADOTTATO DA OR-GANO INCOMPETENTE È COMPATIBILE CON IL «DOVERE DI RIMESSIONE DELL’AFFARE ALL’AUTORITÀ COMPETENTE».

Prima di procedere oltre, è necessario verificare se la solu-

zione interpretativa sopra accolta sia compatibile con la discipli-na prevista dal primo comma secondo capoverso dell’art. 45 del r.d. 1054/1924 e recepita dal secondo comma dell’art. 26 della l. n. 1034/1971.

Secondo autorevole dottrina, infatti, le norme appena richia-mate individuano «un ordine legale di trattazione dei capi di domanda». Tra l’incompetenza e gli altri motivi di ricorso, pur non sussistendo una relazione di pregiudizialità in senso tecni-co, vi è comunque un rapporto «anomalo» di subordinazione di origine normativa.

Ne deriva che l’accertamento della violazione delle norme sulla competenza è configurato come una «questione principale, la cui soluzione positiva preclude l’accesso alle altre questioni» (c.d. «assorbimento in senso proprio») (40). L’accoglimento del casi la sanzione dell’annullamento è eccessiva, anzi, inutile (corsivo aggiunto)»; R. GAROFO-LI e G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2008, p. 811: «anche in caso di provvedimento adottato da autorità incompetente ricorre la ratio della previsione volta ad escludere l’annullamento del provvedimento che, emendato dal vizio, a-vrebbe avuto il medesimo contenuto di quello impugnato»; T.A.R. Lazio Latina, Sez. I, 23 Novembre 2006 n. 1748, cit., p. 3592; Cons. Stato, Sez. VI, 6 Novembre 2006 n. 6521, cit., p. 3081: «la dedotta invasione di competenze si appalesa in ogni caso alla stregua di vizio formale non invalidante ai sensi dell’art. 21 octies comma 2 della legge 241/1990».

(40) M. NIGRO, L’appello nel processo amministrativo, vol. I, Milano, 1960, p. 431-448 spec. p. 443: il c.d assorbimento in senso proprio sussiste se «la soluzione data ad una questione impedisce il concretarsi del presupposto, perché si passi all’esame dell’altra o delle altre»; V. CAIANIELLO, Sub art. 26, in R. LUCIFREDI e V. CAIA-NIELLO, I Tribunali amministrativi regionali. Introduzione e commento alla legge 6 Dicembre 1971, n. 1034, Torino, 1972, p. 218: «Nel caso di accoglimento per motivi di in-competenza, il giudice deve necessariamente dichiarare assorbiti gli altri motivi di ri-corso che fossero eventualmente proposti, ed annullare l’atto per l’incompetenza dell’organo che l’ha emanato rimettendo l’affare all’autorità amministrativa compe-tente (corsivo aggiunto)».

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ricorso determina, quindi, l’immediata «rimessione dell’affare al-l’autorità competente» (41), con conseguente assorbimento delle altre censure prospettate ed inevitabile «preclusione di quel giu-dizio prognostico sul quale si fonda l’applicabilità di quanto di-sposto dal comma 2 dell’articolo 21 octies» (42). Detto altrimenti, se il giudice accerta la fondatezza della doglianza concernente l’incompetenza «non vi è spazio per valutare la non alternatività del contenuto dispositivo del provvedimento» (43).

Donde, ai fini della nostra indagine, assume particolare ri-levanza appurare se la c.d. figura dello «assorbimento in senso proprio» sia fondata su solide argomentazioni. Se la ricerca aves-se esito negativo, cadrebbe l’ultimo ostacolo all’applicabilità del-la disposizione in questione al vizio di incompetenza.

Orbene, in primis, si osserva che il secondo capoverso del primo comma dell’art. 45 del r.d. 1054/1924 non pare preclude-re l’esame delle altre censure dedotte in giudizio, ma si limita in-vece a disciplinare gli effetti dell’accoglimento del vizio di in-competenza «in sé considerato senza badare al concorso di altri

(41) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 4 Maggio 2004, n. 2694, in Riv. Giur. Edilizia,

2004, p. 1370 ss.; Cons. Stato, Sez. V, 11 Febbraio 2005, n. 398, in Foro Amm. CDS, 2005, p. 447 ss.; T.A.R. Campania Salerno, Sez. I, 30 Gennaio 2006, n. 34, in Foro Amm. TAR, 2006, p. 319 ss.; nonché più recentemente Cons. Stato, 14 Maggio 2007, n. 2427, in Foro amm. CDS, 2007, 1455; T.A.R. Roma Lazio, Sez. III, 5 No-vembre 2007, n. 10895, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lombardia Milano, Sez. IV, 23 Gennaio 2008 n. 111, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Liguria Genova, 6 Giugno 2008 n. 1230, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico, n. 6/2008.

(42) Così, pur criticamente, A. PIOGGIA, La strumentalità della domanda di annul-lamento rispetto al risarcimento e vizio di incompetenza, in Giorn. Dir. Amm., 2005, p. 1077.

(43) T.A.R. Campania, Sez. IV, 12 Aprile 2005, n. 3780, in TAR, 2005, p. 362 con nota di M. CECCHINI, Brevi note in tema di giudizio risarcitorio a seguito di provvedimen-to viziato da incompetenza relativa (anche alla luce delle modifiche ex legge n. 15/2005), ivi, p. 371 ss.; T.A.R. Lombardia, Sez. II, 18 luglio 2005, n. 3351, in Foro Amm. TAR, 2005, p. 2264 ss.; T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, 6 Settembre 2005, n. 6581, in Foro Amm. TAR, 2005, p. 2820 ss.; T.A.R. Lombardia, Sez. II, 8 Maggio 2006 n. 1173, in www.giustizia-amministrativa.it.

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motivi» (44). In altri termini, il predetto primo comma dell’art. 45 è applicabile esclusivamente nell’ipotesi in cui la violazione delle disposizioni sulla competenza costituisca l’unica doglianza for-mulata dal ricorrente (45).

Si tratta, invero, di un’interpretazione coerente non solo con il principio della corrispondenza tra «chiesto e pronunciato» ex art. 112 c.p.c., la cui applicabilità al processo amministrativo – in quanto processo di parti (46) – è ormai pacifica (47), ma anche con il principio di effettività della tutela giurisdizionale.

(44) Cfr. E. CANNADA BARTOLI, Processo amministrativo (Considerazioni introdutti-ve), voce in Nov. Dig., vol. XIII, Torino, 1966, p. 1086-1087: «Non sembra che dal-l’art. 45 T.U. si possa desumere un ordine di esame dei motivi ai fini dell’assor-bimento. La norma stabilisce le conseguenze dell’accoglimento di questo o quel motivo; in particolare, che, nel caso di accoglimento del ricorso “per motivi di in-competenza”, il Consiglio “annulli l’atto” e “rimetta l’affare” all’autorità competen-te. [...]. L’art. 45, a nostro avviso, non preclude l’esame dei vizi denunciati insieme con l’incompetenza, quando quest’ultima sia stata ritenuta dal giudice»; R. VILLATA, L’esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato, cit., p. 586: «E’ vero che l’art. 45 T. U. Cons. Stato dispone che in caso di incompetenza l’affare deve essere rimesso all’au-torità competente; ma ciò non significa che una volta riscontrato tale vizio l’indagi-ne sull’eventuale presenza di altre illegalità sia preclusa».

(45) B. CAVALLO, Processo amministrativo e motivi assorbiti, Teramo, 1975, p. 84: «Nel caso che l’unico motivo di ricorso sia l’incompetenza, l’annullamento non può che riferirsi alla legittimazione dell’autorità amministrativa ad emanare l’atto impugnato; “l’affare”, cioè la disciplina del rapporto sostanziale, non potrebbe rientrare nel-l’oggetto del processo, dal momento che manca in proposito una rituale deduzione del ricorrente, sicché il giudice non può pronunciarsi e rimette il rapporto all’even-tuale disciplina dell’autorità competente»; E. CANNADA BARTOLI, Processo amministrati-vo, cit., p. 1086: «La distinzione terminologica fra “atto” ed “affare” non è del tutto priva di significato, l’affare, almeno in quest’articolo (sono note le discussioni per l’art. 44) è la disposizione d’interessi operata mediante l’atto impugnato ed annullato».

(46) Cfr. F. BENVENUTI, L’istruzione nel processo amministrativo, Padova, 1953, p. 36-40 spec. p. 37.

(47) R. VILLATA, L’esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato, cit., p. 583-584; E. CANNADA BARTOLI, Processo amministrativo, cit., p. 1087; B. CAVALLO, Processo ammi-nistrativo e motivi assorbiti, cit., p. 82: «Se nel processo civile, sussistendo l’obbligo di pronunciarsi su tutte le domande proposte, non esiste ordine legale di trattazione, al di fuori di quello concernente il rapporto tra questioni di rito e questioni sul merito, si dovrebbe operare con molta cautela prima di affermare, in assenza di una chiara espressione normativa, la sussistenza di un siffatto ordine legale nella delibazione

LA DEQUOTAZIONE DEL VIZIO DI INCOMPETENZA

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Pur senza prendere posizione in ordine al fondamento e alla natura del vincolo derivante dal giudicato amministrativo (48), è innegabile che «tanto minore è l’ambito di accertamento tanto maggiore è la libertà che la pubblica amministrazione mantiene» nel riesercizio del potere di provvedere (49). Infatti, se il giudice,

dei motivi di ricorso nel processo amministrativo»; E. CAPACCIOLI, Per l’effettività della giustizia amministrativa, in Impresa, ambiente e pubblica amministrazione, 1977, p. 446 ss. spec. p. 466: il giudice «deve pronunciare se c’è la domanda e sulla domanda; ma deve altresì pronunciare su tutta la domanda. [...] Per pronunciare su tutta la do-manda occorre perciò decidere su tutti i motivi, pur essendone sufficiente uno (ac-coglibile) in relazione all’annullamento».

(48) In proposito, E. CAPACCIOLI, Per l’effettività della giustizia amministrativa, cit., p. 465: «La decisione di annullamento del giudice amministrativo produce, oltre all’ef-fetto di eliminazione dell’atto, quello di preclusione. [...] Enucleato l’effetto preclusi-vo, e in relazione a questo, risulta innegabile che i motivi devono essere esaminati tut-ti»; F. BENVENUTI, Giudicato (diritto amministrativo), voce in Enc. Dir., vol. XVIII, Mila-no, 1969, p. 304: l’accoglimento del ricorso «è in funzione di una definizione da parte del giudice di quello che potremmo chiamare accertamento giuridico di validità, e cioè accertamento giuridico strettamente inerente alla validità dell’atto alla stregua dei vizi di legittimità e dei motivi di ricorso». In proposito, sembra utile sottolineare che il maestro configura la decisione giudiziale, rispetto all’esercizio del potere, «come mero fatto e presupposto ulteriore rispetto a quelli stabiliti dalla disciplina del singolo pro-cedimento». Sull’argomento si richiama l’ampio e recente studio di C. CACCIAVIL-LANI, Giudizio amministrativo e giudicato, cit., p. 257 ss. L’autrice, a conclusione di un esame critico delle varie posizioni dottrinali, afferma che «la forza del giudicato è propria esclusivamente dell’accertamento che esprime, ed è delimitata dall’oggetto di questo: rappresentato da ciò che il ricorrente ha dedotto (e ha potuto dedurre)».

(49) Così R. VILLATA, L’esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato, cit., p. 583 ss. spec. p. 584 da cui è tratta la frase riportata nel testo, p. 588: «La pronuncia cassato-ria dell’atto vincola il successivo comportamento della pubblica amministrazione, nei limiti dei vizi accertati dalla cosa giudicata» (corsivo aggiunto)»; E. CANNADA BARTO-LI, Processo amministrativo, cit., p. 1087: «L’ assorbimento, a meno che non sia giusti-ficato da specifici nessi logici tra le questioni, produce gravi conseguenze sugli ulte-riori provvedimenti dell’autorità amministrativa, l’esecuzione del giudicato ammini-strativo e il giudizio di ottemperanza oltre a contrastare con il principio fondamen-tale che “il processo deve dare per quanto è possibile praticamente a chi ha un dirit-to tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di ottenere” »; B. CAVALLO, Pro-cesso amministrativo e motivi assorbiti, cit., p. 163 ss. spec. p. 187: «Se l’oggetto del pro-cesso, qualora la domanda giudiziale si estenda anche al contenuto del rapporto riassunto dall’atto impugnato non è riducibile ai soli aspetti formali di legittimità del

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pur accogliendo il ricorso per incompetenza, omettesse di pro-nunciarsi sulle altre censure dedotte in giudizio, l’organo compe-tente potrebbe legittimamente adottare un nuovo provvedimen-to con identico contenuto a quello caducato.

In ogni caso, se il giudice amministrativo «assorbisse» i mo-tivi di ricorso, egli non eserciterebbe correttamente la nunzione attribuitagli dall’ordinamento: dichiarare «l’illegittimità del prov-vedimento in relazione ai motivi prospettati» ovvero, aderendo ad altra proposta ricostruttiva, verificare la «spettanza della pre-tesa fatta valere in giudizio».

Per le ragioni sopra esplicitate, si può pervenire ad afferma-re che la tralaticia interpretazione del «dovere di rimessione del-l’affare all’autorità competente» suscita numerose perplessità ed appare superabile.

Donde, se il ricorrente prospettasse l’incompetenza del provvedimento impugnato, il giudice potrebbe (rectius: dovreb- provvedimento, appare chiaro che l’accertamento della fondatezza dei fatti lesivi dedotti come motivi di ricorso esplica una specifica efficacia vincolante nei con-fronti dell’autorità, in quella che è la vera fase conflittuale che sta a cuore al ricor-rente: la vittoria nella lite è strumentale per ottenere poi dall’amministrazione una disciplina del rapporto sostanziale, che sia veramente rispettosa delle situazioni soggettive protette». Peraltro, pure quelli autori, i quali aderiscono alla tradizionale interpretazione del «dovere del giudice di rimettere l’affare all’autorità competente» nell’ipotesi di incompetenza, affermano che il giudicato ha l’effetto di vincolare la successiva attività amministrativa di riesercizio del potere e criticano la prassi del-l’assorbimento dei motivi di ricorso. In proposito cfr. M. NIGRO, Giustizia ammini-strativa, Bologna, ed. 2001, p. 255 ove «condanna la pratica del c.d. assorbimento dei motivi [...], pratica legata ad una concezione strettamente strumentale del con-flitto ed ad una considerazione atomistica dei motivi»; V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, cit., p. 816-818; A. TRAVI, Lezioni di diritto amministrati-vo, Torino, 2008, p. 300 il quale osserva che «l’uso improprio dell’istituto dell’assor-bimento appare grave, perché determina di fatto una pronuncia incompleta sul ri-corso ed impedisce al cittadino di conseguire tutte le utilità che potrebbero deriva-re dall’accoglimento degli altri motivi di impugnazione». Contra A. M. SANDULLI, Il giudizio davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, cit., p. 56 nota 1 per il quale non può avere importanza «la circostanza che l’istante possa ricevere più vantaggio (in relazione al giudicato che andrà a formarsi) dall’accoglimento di uno piuttosto che di un altro motivo».

LA DEQUOTAZIONE DEL VIZIO DI INCOMPETENZA

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be) esaminare le altre censure di ordine sostanziale e potrebbe (rectius: dovrebbe), quindi, accertare «la non alternatività» del provvedimento impugnato» (50).

Più problematico appare invece se il ricorrente si limitasse a censurare esclusivamente la violazione delle norme sulla compe-tenza e non deducesse altri motivi sostanziali. In questo caso, accogliendo un’autorevole ricostruzione dottrinale – coerente con i principi fondamentali del processo amministrativo tra cui quello del ne eat iudex ultra vel extra petita partium – si potrebbe af-fermare che il gravame dovrebbe essere rigettato dal momento che la parte non ha «dimostrato (o almeno affermato) che il provvedimento poteva, e anzi doveva avere un diverso contenu-to» (51).

(50) Cfr. le osservazioni precedentemente richiamate di A. PIOGGIA, La stru-

mentalità della domanda di annullamento rispetto al risarcimento e vizio di incompetenza, cit., p. 1077 ss.

(51) E’ dibattuto se l’accertamento della «non alternatività» del provvedimento adottato possa essere compiuto d’ufficio ovvero se sia onere del ricorrente prospet-tare il diverso contenuto (a lui favorevole) che il provvedimento avrebbe dovuto avere. Il tema, peraltro, esula dai limiti della presente trattazione in quanto presup-porrebbe la discussione di istituti processuali, come il principio della domanda e i poteri di ufficio del giudice; discussione che diverrebbe (o dovrebbe diventare) l’oggetto del presente lavoro. In proposito, cfr. le riflessioni di G. SALA, Procedimento e processo nella nuova 241, cit., p. 118-119; D. CORLETTO, Vizi «formali» e poteri del giu-dice amministrativo, cit., p. 170-174 spec. p. 173: «dopo la prima fase di applicazione, [...] torneranno ad affermarsi senza eccezioni le logiche tradizionali del processo, e il giudice tornerà ad aspettarsi che sia il ricorrente a prospettare tutti gli elementi della questione che rendano accoglibile la sua domanda di annullamento, compresa quindi la dimostrazione (o almeno l’affermazione) che il provvedimento poteva, e anzi doveva avere un diverso contenuto»; N. LONGOBARDI, Una prima valutazione della disciplina integrativa e modificativa della l. n. 241 del 1990 (l. n. 15 del 2005), in Studi in ricordo di M.T.Serra, a cura di M. CORONA CORRIAS, Napoli, 2007, p. 127.

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2.2. SEGUE: PURCHÉ L’INCOMPETENZA ABBIA NATURA INFRASOGGETTIVA Rimane, infine, da verificare se sia possibile superare l’o-

biezione secondo cui l'accertamento della «non alternatività» del provvedimento adottato costituisce «un giudizio anticipato sui futuri provvedimenti dell'autorità riconosciuta competente» ed arreca, quindi, un irrimediabile vulnus al principio del contraddit-torio (52). Si tratta di un’affermazione fondata sul presupposto che parte sostanziale (53) o, accogliendo una diversa terminolo-

(52) Si richiama in questa sede la la tralaticia elaborazione giurisprudenziale se-

condo cui «la rimessione dell’affare all’autorità competente» è preordinata alla tute-la del principio del contraddittorio perché impedisce la formazione di «un giudizio anticipato sui futuri provvedimenti dell'autorità riconosciuta competente e un vin-colo anomalo all'attività dell’autorità stessa». In proposito, cfr. A. PIRAS, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, cit., p. 460: «L'autore dell'atto impugnato, se è di cer-to legittimato passivamente al processo, non dispone viceversa della necessaria le-gittimazione per contraddire rispetto al rapporto sostanziale: sì che questo non può formare oggetto di accertamento in quella causa»; in giurisprudenza vedi, Cons. Sta-to, Sez. V, 1 Agosto 1986, n. 419, in Cons. Stato, 1986, I, p. 1186; Cons. Stato, Sez. V, 5 Giugno 1995, n. 415, in Foro Amm., 1995, p. 1199; Cons. Stato, Sez. V, 5 Giu-gno 1995, n. 415, in Foro Amm., 1995, p. 1199; Cons. Stato, Sez. V, 6 Marzo 2001, n. 1253, in Foro Amm., 2001, p. 490; Cons. Stato, Sez. IV, 1 Agosto 2001, n. 4214, in Foro Amm., 2001, p. 1946; T.A.R. Lombardia, Sez. II, 9 Giugno 2006 n. 1353, in Foro Amm. 2006, p. 1961 ss.

(53) Cfr. F. CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile. II ed., Padova, s.d. (ma 1922), p. 206-341 spec. p. 298 ss. richiamato da A. PROTO PISANI, Parte (dir. proc. civ.), voce in Enc. Dir., vol. XXXI, Milano, 1981, p. 919: «Nella teoria dei sog-getti del processo occorre distinguere la parte in senso sostanziale, cioè il soggetto del rapporto processuale. Parte non è solo il soggetto che in nome proprio o altrui domanda una attuazione della legge (e di fronte al quale questa è domandata), ma anche il soggetto del rapporto sostanziale oggetto del processo. [...] Nel linguaggio della pratica e della legge la parola parte è usata promiscuamente ora per indicare la parte in senso sostanziale ora per indicare la parte in senso processuale». Peraltro, pure quegli autori, che non accolgono la nozione di parte in senso sostanziale, di-stinguono fra la legittimazione passiva e la legittimazione a contraddire, «cioè la le-gittimazione a difendersi la quale spetta al convenuto per il solo fatto di essere stato chiamato in giudizio».

LA DEQUOTAZIONE DEL VIZIO DI INCOMPETENZA

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gia, soggetto titolare della legittimatio ad causam (54) non sia l’ente, ma l’organo competente ad esercitare il potere di provvedere.

Al fine di superare (almeno in parte) l’obiezione sopra pro-spettata, si è sostenuto che il principio dell’audi alteram partem non esisterebbe e, di conseguenza, non opererebbe l’istituto del c.d. assorbimento in senso proprio nelle ipotesi di provvedi-menti integralmente vincolati (55) rientranti – si potrebbe ag-

(54) Cfr. E. ALLORIO, Per la chiarezza di idee in tema di legittimazione ad agire, in Problemi di diritto. Vol. I: L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giudiziale ed altri studi, Milano, 1957, p. 198 ss.; A. ATTARDI, Legittimazione ad agire, voce in Nov. Dig., vol. IX, Torino, 1963, p. 721 ss.; ID., Legittimazione ad agire, voce in Dig. Disc. Priv. Sez. Civ., vol. X, Torino, 1993, p. 524: la legittimazione ad agire è «la posizione in cui taluno può chiedere in nome proprio al giudice (legittimazione attiva) o nei confronti di taluno può essere chiesto (legittimazione passiva) di pronunciare in merito su una certa controversia». La predetta nozione deriva, come noto, dal superamento della tradizio-nale concezione di G. CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, Vol. I, Napoli, 1935, Ristampa anastatica, 1960, p. 155: «con la denominazione legitimatio ad causam (legittimazione ad agire) [...] si intende dire che, perché il giudice accolga la doman-da, non basta che ritenga esistente il diritto ma occorre che ritenga che questo spet-ta precisamente a colui che lo fa valere; ossia ritenga la identità della persona dell’at-tore colla persona a cui favore è la legge (legittimazione attiva), e l’identità della per-sona del convenuto colla persona contro cui è la volontà della legge (legittimazione passiva)».

(55) Cfr. E. CANNADA BARTOLI, Dubbi sull’assorbimento dei motivi, in Giur. It., 1996, p. 161 ss.; S. CIVITARESE MATTEUCCI, La forma presa sul serio, cit., p. 323: «la legittimazione sostanziale a contraddire potrebbe dirsi assente qualora l’organo del-l’applicazione sia chiamato ad apportare un contributo creativo, in questo caso in-fatti [...] si può ben sostenere che l’organo X non vale l’organo Y». A contrario si de-sume, quindi, che la legittimazione a contraddire sussiste nell’ipotesi in cui l’organo non apporti «nessun contributo creativo», ma compie un’attività meramente inter-pretativa; T.A.R. Lazio Latina, 17 Gennaio 2007 n. 39, cit., p. 206: «coordinando [l’art. 21 octies secondo comma e l’art. 26] può dirsi che gli effetti propri dell’art. 26 citato, vanno ora rapportati al principio di legalità sì come strutturato dalle nuove disposizioni implicanti la cd. “dequotazione dei vizi di natura formale”; il che comporta che l’autorità competente dovrà essere reinvestita solo se il contenuto dispositivo del provvedimento avesse potuto essere diverso da quello in concreto adottato [...]. Dalla lettura combinata delle norme può delinearsi il seguente quadro: a] nel caso di infondatezza del vizio di incompetenza, non si richiede la verifica di quello che a-vrebbe dovuto essere l’effettivo contenuto dispositivo del provvedimento; b] nel caso di fondatezza della censura, per effetto del comma secondo, primo periodo,

CAPITOLO SECONDO

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giungere – nell’ambito di applicabilità dell’art. 21 octies secondo comma.

Emerge sullo sfondo la teorica processualcivilistica del c.d. valore assoluto della sentenza: l’efficacia ultra partes del contenu-to del provvedimento giurisdizionale non è limitata alle fattispe-cie tassativamente e puntualmente disciplinate dalla legge (56).

Orbene, non sembra che questa linea ermeneutica, pur au-torevolmente prospettata, possa essere accolta dal momento che il principio del contraddittorio, oltre a trovare fondamento nel-l’art. 24 e nel novellato art. 111 della Costituzione (57), è «garan-zia fondamentale di giustizia e regola essenziale del processo» (58) nonché necessario «principio d’ordine lato sensu politico» (59). dell’art. 21-octies, è possibile l’annullamento e la rimessione dell’affare all’autorità competente solo ove si accerti che il contenuto dispositivo avrebbe potuto essere diverso; c] in tale ultimo caso, l’esame dei motivi non può limitarsi alla verifica del vizio di incompetenza, dovendosi anche riscontrare la correttezza sostanziale del-l’assetto di interessi»; T.A.R. Piemonte, 16 Novembre 2001, n. 2120, in Foro Amm. 2001, p. 2889 ss.; T.A.R. Toscana, Sez. II, 20 Luglio 2000, n. 1731, in www.giustizia-amministrativa che rigetta il ricorso avverso un provvedimento di esclusione di un’offerta adottato da un organo incompetente: l’adozione di un provvedimento vincolato «non potrebbe avere esito differente se ad esso procedesse un diverso organo dell’Ente o diversa autorità a ciò preposta dall’ordinamento». La pronuncia del T.A.R. Toscana configura, in sintesi, l’incompetenza come vizio rilevante solo a carico dei provvedimenti di natura discrezionale, la cui rimeditazione da parte di autorità differente potrebbe legittimamente condurre a differenti determinazioni. Ciò, invece, non potrebbe verificarsi per atti il «cui contenuto risulti vincolato, per effetto della legge o di pronunzia giurisdizionale che essa espliciti».

(56) In termini P. LUISO, Principio del contraddittorio ed efficacia della sentenza verso terzi, Milano, 1981, p. 4 ss. con ampi riferimenti bibliografici.

(57) Vedi, S. COMOGLIO, Sub art. 24 comma 1-comma 2, in Commentario della costi-tuzione. Rapporti civili, a cura di V. BRANCA, Bologna-Roma, 1981, p. 13 ss.; ID., La garanzia costituzionale dell’azione e il processo civile, Padova, 1970, passim spec. p. 140 ss., p. 217 ss, p. 301 ss.; più recentemente A. ANDRONIO, Sub art. 111, in Commentario alla Costituzione, a cura di R. BIFOLCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI, Torino, 2006, p. 2099 ss.

(58) E. T. LIEBMAN, Il principio del contraddittorio nel processo civile italiano, in La pro-tezione giuridica del lavoratore. Il principio del contraddittorio nel processo civile, penale, ammini-strativo, Milano, 1968, p. 130 ss.; F. BENVENUTI, Contraddittorio (dir. amm.), voce in Enc. Dir., vol. IX, Milano, 1961, p. 739: «il contraddittorio è egualmente essenziale

LA DEQUOTAZIONE DEL VIZIO DI INCOMPETENZA

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Ne deriva che esso non può essere derogato neppure nel ca-so in cui il provvedimento sia in toto vincolato e compito del giudice sia esclusivamente quello di accertare se l’amministra-zione ha correttamente «trad[otto] [i] termini astratti del dispo-sto della legge a quelli concreti della fattispecie» (60).

In realtà, l’esame delle censure diverse dall’incompetenza e, di conseguenza, della «non alternatività» del provvedimento a-dottato è conforme al principio dell’audi alteram partem perché titolare della legittimatio ad causam non è l’organo emanante l’at-to, ma l’ente pubblico in cui esso è incardinato.

A favore di questa conclusione depongono varie ragioni. In primo luogo, il ricorso avverso un provvedimento ammi-

nistrativo e la conseguente resistenza in giudizio «impegnano, nel successo e nell’ insuccesso, l’intera persona giuridica la quale proprio nel processo, nella sua condotta e nelle responsabilità che ne conseguono sembra riaffermare più nettamente la sua unità» (61).

Una contraria interpretazione non solo sembrerebbe far ve-nir meno il carattere unitario dell’ente pubblico cui appartiene

alla fase di decisione non tanto perché ad essa le parti intervengono attivamente, ma perché della posizione delle parti e dei risultati della loro attività deve impar-zialmente tener conto il giudice, il quale, nel dire il diritto, non può non continuare il dialogo iniziato dalle parti, a ciascuna di esse rispondendo e sulla attività di cia-scuna di esse giudicando».

(59) Così V. COLESANTI, Principio del contraddittorio e procedimenti speciali, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1975, p. 584.

(60) Cfr. F. P. LUISO, Principio del contraddittorio ed efficacia della sentenza verso terzi, cit., p. 154 per il quale «ogni irradiazione dell’efficacia di un provvedimento giuri-sdizionale al di là dei soggetti che furono messi in grado di partecipare al processo pone [...] un problema di costituzionalità».

(61) M. NIGRO, Considerazioni sulla parte pubblica nel processo amministrativo, in Foro Amm., 1961, p. 553 ss. Vedi, tuttavia, ID., L’infelice «resurrezione» per i giudizi ammini-strativi della L. 25 Marzo 1958 n. 260, in Cons. Stato, 1979, II, p. 1031 ss. spec. p. 1036 ove l’autore modifica la propria precedente opinione affermando espressamente che «il polo pubblico del processo amministrativo è l’Autorità che ha emanato il provvedimento impugnato».

CAPITOLO SECONDO

104

l’organo che ha esercitato il potere di provvedere, ma anche ap-pare incompatibile con alcuni principi ormai consolidati.

Si fa riferimento, ad esempio, alla nota ricostruzione secon-do cui il provvedimento impugnato non può essere annullato in via di autotutela dall’organo sovraordinato per gli stessi vizi ri-tenuti infondati in sede giurisdizionale (62). Se si ritenesse, infat-ti, che la legittimazione passiva spetti all’organo emanante il provvedimento impugnato, si dovrebbe ammettere che l’organo gerarchicamente sovraordinato è vincolato dal contenuto di una sentenza pronunciata in giudizio di cui non è stato parte: il che costituirebbe una pacifica violazione del principio del contrad-dittorio.

Per altro verso, si osserva che l’azione di esecuzione delle sentenze di condanna alle spese e/o di risarcimento dei danni viene proposta nei confronti dell’Ente, i cui beni – e non quelli dell’organo – sono oggetto di pignoramento mobiliare ed im-mobiliare (63). Se si affermasse che parte del giudizio di cogni-zione è l’organo e non l’ente cui appartiene, si dovrebbe ricono-scere che quest’ultimo è soggetto agli effetti di un titolo esecuti-vo in relazione al quale non è stato messo in grado di interloqui-

(62) F. BENVENUTI, Giudicato (dir. amm.), cit., p. 905-907: «il presupposto del-

l’annullamento d’ufficio e della revoca d’ufficio è l’accertamento della invalidità del provvedimento e se questa invalidità è stata negata dal giudice non potrebbe più essere invece affermata dall’amministrazione che in questo modo verrebbe a nega-re il valore del giudicato sul punto». Peraltro, l’autore precisa che «la decisione giuri-sdizionale vincola l’esercizio dell’autotutela nei limiti in cui essa accerta una data circostanza, restando ferma nell’amministrazione la possibilità di collegare tale cir-costanza con l’interesse all’annullamento in modo diverso da come abbia fatto il giudice, sollecitato dall’interesse individuale»; E. CASETTA, Sulla potestà di annullamen-to d’ufficio, di revoca e di rinunzia della pubblica amministrazione di fronte al giudicato ammini-strativo, in Rass. Dir. Pubbl., 1951, p. 178; T.A.R. Umbria, 11 Febbraio 2008, n. 66 in Foro Amm. TAR, 2008, p. 840; T.A.R. Campania, Sez. II, 11 Febbraio 2004, n. 108 in Foro Amm. TAR, 2004, p. 355 ss.

(63) Riguardo le problematiche correlate alla pignorabilità dei beni e delle somme di denaro dell’amministrazione pubblica, cfr. l’excursus storico di A. ROMA-NO, L’attuazione dei giudicati da parte della pubblica amministrazione, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2001, p. 411 ss.

LA DEQUOTAZIONE DEL VIZIO DI INCOMPETENZA

105

re. La circostanza, anche alla luce di quanto precedentemente affermato in ordine (all’inesistente) principio del c.d. valore as-soluto della sentenza, potrebbe difficilmente essere ritenuta compatibile con l’art. 24 e 111 della Costituzione (64).

Da ultimo, un ulteriore argomento a favore dell’assunto di partenza, può essere probabilmente desunto dalla teoria, auto-revolmente prospettata, secondo cui nel caso di annullamento giurisdizionale del provvedimento affetto da incompetenza, l’au-torità dichiarata competente ex art. 45 del r.d. 1054/1924 non «può declinare la propria competenza una volta adita in sede di ottemperanza» (65). Tale elaborazione si fonda sul presupposto che legittimato ad causam sia l’ente complessivamente considera-to. Altrimenti, l’organo competente, pur essendo rimasto e-straneo al giudizio, sarebbe egualmente vincolato dalla sentenza pronunciata dal giudice. E ciò susciterebbe numerose perplessi-

(64) Ancora M. NIGRO, Considerazioni sulla parte pubblica nel processo amministrativo,

cit., p. 554: «A meno di non ricorrere al macchinoso ed arbitrario espediente di di-stinguere la parte quanto alle spese (che sarebbe lo Stato) dalla parte quanto alla controversia (che sarebbe l’autorità che ha provveduto), la tesi dell’organo-parte conduce al risultato di ritenere che condannato alle spese è l’organo. La condanna alle spese è invece pronunciata contro lo Stato, il (solo) soggetto che è titolare di diritti, di varia natura, che afferiscono ai beni costituenti il suo patrimonio (in am-pio senso) e, quindi, il solo soggetto che possa essere costituito debitore di una qua-lunque frazione di questo patrimonio». In altri termini, «degli obblighi di risarci-mento [...] è soggetto passivo lo Stato (come lo Stato è soggetto passivo di ogni ob-bligo per il risarcimento per danno ingiusto, derivante dall’operato di una pubblica autorità): ciò che sarebbe inspiegabile se la sentenza amministrativa fosse resa solo nei confronti dell’organo che ha provveduto».

(65) V. CAIANIELLO, Manuale di Diritto processuale amministrativo, cit., p. 1016-1017; A. M. SANDULLI, Il giudizio davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, cit., p. 397: «La dichiarazione circa l’autorità competente è suscettibile di acquistare for-za di giudicato». Contra A. PIRAS, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, vol. II, Mi-lano, 1962, p. 458 ss. spec. p. 461-462 nota 121 il quale osserva che «la sentenza, la quale accoglie il ricorso per motivi di incompetenza, seppure toglie di mezzo l’atto impugnato, non produce alcun effetto di cosa giudicata [...], ma solo la dichiarazio-ne della competenza».

CAPITOLO SECONDO

106

tà sotto il profilo, più volte richiamato, della tutela del contrad-dittorio (66).

Alla luce delle argomentazioni sopra prospettate, sembra possibile sostenere che la parte sostanziale o il soggetto legitti-mato ad causam non è l’organo, ma l’ente cui l’ordinamento ha attribuito il potere di provvedere in ordine al bene della vita al quale il ricorrente aspira (67).

(66) In proposito, cfr. le efficaci riflessioni di F. G. SCOCA, Aspetti processuali del giudizio di ottemperanza, in Il giudizio di ottemperanza. Atti del XXVII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Varenna, Villa Monastero, 17-19 Settembre 1981, Milano, 1983, p. 211 il quale riconosce il problema delineato nel testo, ma propone una so-luzione diversa da quella accolta in questa indagine. In particolare, ritiene che «non si possa negare all’autorità competente la possibilità di discutere dell’affermazione giudiziale della sua competenza, impedendo in tal modo che essa sia assoggettata niente di meno che ad un giudizio di ottemperanza senza che se ne sappia nulla, senza che sappia cioè a quale titolo è stata dichiarata competente». Di conseguenza, graverebbe a carico del ricorrente l’onere di notificare il ricorso all’amministrazio-ne che egli ritenga competente, «ferma restando al giudice il potere di indicarne un’altra di-versa e quindi di disporre la notificazione all’autorità competente» (corsivo aggiunto)». La so-luzione, autorevolmente prospettata ed efficacemente argomentata, suscita qualche perplessità perché, come nota V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale ammini-strativo, cit., p. 1017, sembrerebbe «urtare contro altre regole del processo, secondo cui, se vi è un onere di notifica, la sua inosservanza (salvo l’errore scusabile) do-vrebbe condurre alla inammissibilità del ricorso».

(67) L’opinione di cui nel testo è condivisa, pur con argomentazioni talvolta differenti, da F. D’ALESSIO, Le parti nel giudizio amministrativo, Roma 1915, p. 36; G. SALEMI, Il concetto di parte e la pubblica amministrazione, Roma, 1916, p. 61 ss.; M. NI-GRO, Considerazioni sulla parte pubblica nel processo amministrativo, cit., p. 552-553 il quale qualifica le argomentazioni a favore della tesi secondo cui parte del giudizio è l’or-gano autore dell’atto come «una tentazione [...] che deve essere [...] risolutamente respinta»; A. M. SANDULLI, Il giudizio davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, cit., p. 269: «Parte in causa è l’Amministrazione (onde tutti gli effetti del giudizio riguardano in ogni caso quest’ultimo nel suo complesso) e non l’organo qualificato a stare in giudizio per essa»; ID., Correzione giudiziaria di una legge mal fatta, in Giust. Civ., 1960, II, p. 85 ss.; S. CASSARINO, Il processo amministrativo nella legislazione e nella giurisprudenza, Vol. I, Milano, 1999, p. 787-789 il quale, con riferimento al Comune e alla Provincia, afferma perentoriamente che «la chiamata in giudizio avvie-ne nei confronti dell’intero ente, il quale è rappresentato dal suo massimo organo mono-cratico. In tal senso sembra la giurisprudenza, mentre non ha, a nostro avviso, ra-gion d’essere qualche dubbio espresso in proposito. Analogamente al regime adot-

LA DEQUOTAZIONE DEL VIZIO DI INCOMPETENZA

107

Si tratta di una tesi che, pur con le necessarie cautele, può essere applicata anche con riferimento ai provvedimenti adotta-ti dagli organi incardinati nell’amministrazione statale (68).

Infatti, dall’imputazione della notificazione dell’atto intro-duttivo del giudizio al Ministro competente (69) e dal conferi-

tato per Comuni e Province, tutti gli altri enti pubblici non sono chiamati in giudi-zio a mezzo dei singoli organi che li compongono, ma unitariamente, attraverso l’organo che ha la rappresentanza esterna dell’ente».

(68) Non pare inutile precisare che i provvedimenti adottati da un organo apparte-nente ad un Ministero diverso da quello in cui è incardinato l’organo competente sono affetti da «nullità per difetto di attribuzione» e il loro esame esula dai limiti del presente lavo-ro. Sul punto, cfr. A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 668: «E’ pure da escludere l’esistenza di un atto amministrativo in quei casi in cui il contenu-to dell’atto inerisca a una sfera giuridica in ordine alla quale all’agente non sia rico-nosciuta dall’ordinamento – attraverso l’attribuzione di operatività ai suoi atti – una effettività di potere. [...] Ciò si verifica, ad es., se un’autorità amministrativa [...] agi-sce nell’esercizio di una potestà, amministrativa sì, ma non rientrante, non solo nel-la sua competenza, ma neanche nelle attribuzioni di quel massimo complesso or-ganizzatorio dell’Amministrazione (generalmente coincidente, per l’Amministrazio-ne statale, con un Ministero) in cui tale competenza si inserisce (si pensi al caso che un Intendente di Finanza conferisca un diploma di istruzione), con la conseguenza di non poter disporre al riguardo, in base all’ordinamento, di alcuna forza operati-va». Peraltro, anche ammettendo che la fattispecie sopra richiamata configuri un’ipotesi di incompetenza, si tratta di incompetenza infrasoggettiva. Infatti, come pone in luce M. S. GIANNINI, Il pubblico potere, Bologna, 1986, p. 78-79, «lo Stato è un congiunto organizzato di amministrazioni diverse, cioè è un ente ad amministra-zione disaggregate, e, conseguentemente, ad organi disaggregati». [...] Il costrutto dato allo Stato, soprattutto dalla dottrina tedesca, e poi recepito ovunque in Europa continentale non rispondeva e non risponde alla realtà, perché lo Stato non agisce mai unitariamente, come invece avviene per un ente pubblico minore. Nelle liti attive e passive, non è mai lo Stato parte in giudizio, bensì il tal Ministro (corsivo aggiunto)».

(69) Cfr. art. 10 comma 3 della l. n. 103/1979 che prevede l’applicabilità ai giu-dizi amministrativi dell’art. 1 della l. n. 260/1958. Fino al revirement contenuto in Cons. Stato, Ad. Pl. 6 Giugno 1990 n. 5, in Foro Amm., 1990, p. 1422 ss. la giuri-sprudenza, contrariamente al chiaro dettato della l. n. 260/1958, prevedeva che i ricorsi dovessero essere notificati all’organo chiamato in giudizio presso l’Avvoca-tura dello Stato. Critico nei confronti del revirement operato dalla citata adunanza plenaria è V. DOMENICHELLI, La notificazione del ricorso giurisdizionale amministrativo agli organi dello Stato: una giusta decisione dell’Adunanza plenaria, ma la legge resta sbagliata, in Dir. Proc. Amm., 1990, p. 553 ss. spec. p. 558: «La legge del 1979 spezza in sede

CAPITOLO SECONDO

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mento ex lege del c.d. ius postulandi all’Avvocatura dello Stato si può ricavare che la legittimazione a resistere in giudizio spetta «all’amministrazione statale, nel suo vertice e nella sua globalità, [...] nelle sue articolazioni centrali e in quelle periferiche» (70).

E, comunque, a conferma di questa asserzione si può ri-chiamare l’art. 12 della l. n. 103/79, espressamente fatto salvo dall’art. 16 comma 1 lettera f) del d.lgs. 165/2001. Tale norma riserva esclusivamente al Ministro la soluzione delle divergenze esistenti tra l’organo autore del provvedimento e l’Avvocatura dello Stato circa l’instaurazione di un giudizio o la resistenza nel medesimo (71).

Orbene, non sembra inutile riepilogare i risultati cui perve-nuta l’indagine.

Nel giudizio amministrativo il soggetto pubblico legittimato ad causam non l’organo, ma l’ente (o il Ministero) in cui incardi-nato. Di conseguenza, l’accertamento della «non alternatività» del contenuto dispositivo del provvedimento adottato da orga-no incompetente non lede il principio del contraddittorio (72) processuale il rapporto sostanziale tra l’autore dell’atto dotato di competenza come frazione del potere esercitabile e il destinatario del potere esercitato, cosicché il dia-logo processuale finisce per divergere dal dialogo sostanziale».

(70) In termini, G. SORRENTINO, Vizio di incompetenza e processo amministrativo di risultato (Al Prof. Francesco Pugliese, Maestro indimenticabile), in Dir. Proc. Amm., 2000, p. 101: «La difesa tecnica dell’Avvocatura, alla quale il ricorso va direttamente notifica-to in luogo dell’autorità emanante (art. 10 della l. n. 103/79), elimina ab initio in sede processuale la diretta riferibilità dell’atto impugnato all’organo che lo ha emanato, come conferma anche la previsione normativa circa la necessità di imputare la noti-ficazione al Ministro p.t., quale che sia l’autorità emanante».

(71) Al riguardo vedi le osservazioni di C. E. GALLO, Notificazione del ricorso giuri-sdizionale amministrativo presso l’avvocatura dello Stato ed individuazione del destinatario, in Foro It. III, 1984, p. 35-36.

(72) Così B. SASSANI, «In tema di incompetenza «infrasoggettiva e di oggetto della pro-nuncia nel giudizio di legittimità», in Foro Amm., 1989, p. 728: «Se l’organo competente è un soggetto differente, estraneo alla controversia in corso di svolgimento davanti al giudice amministrativo, elementari esigenze di contraddittorio (e il rispetto del-l’autonomia dell’amministrazione) impediscono di dicere ius nei confronti di questo soggetto, stabilendone così le regole della futura condotta. Allorché il soggetto competente sia parte legittima del processo, la sacrosanta esigenza che presiede al

LA DEQUOTAZIONE DEL VIZIO DI INCOMPETENZA

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purché si tratti (evidentemente) di un’ipotesi di incompetenza c.d. infrasoggettiva (73).

E (solo) a quest’ultima species di incompetenza, quindi, è ap-plicabile l’art. 21 octies secondo comma della l. n. 241/1990.

divieto di giudicare nel merito viene inequivocabilmente meno»; G. SORRENTINO, Incompetenza e processo amministrativo di risultato, cit., p. 95-100; Cons. Stato, Sez. V, 26 ottobre 1979, n. 640, in Giur. It., 1979, p. 621 ss.; T.A.R. Marche, 30 Aprile 1998, n. 523, in Foro Amm., 1998, p. 2840 ss.; T.A.R. Lombardia, Brescia, 1 Giugno 2001, n. 398, in Urb. ed App., 2001, p. 1034 ss.; T.A.R. Lombardia, Sez. II, 18 Luglio 2005, n. 3351, in Foro Amm., 2005, p. 2264 ss.; T.A.R. Veneto, Sez. III, 28 Aprile 2008, n. 1136, in Foro Amm. TAR, 2008, p. 802 ss. Appare senza dubbio peculiare e merite-vole di attenzione il percorso argomentativo di Cons. Stato, Sez. IV, 12 Marzo 1996 n. 310, in Foro Amm., 1996, p. 833 ss. Nel caso di specie, il ricorrente ha domandato al giudice di esaminare in via principale i motivi di ricorso avente natura sostanziale ed, in via subordinata, il vizio di incompetenza. Il giudice amministrativo da un la-to, ha esaminato ed accolto le censure di ordine sostanziale; dall’altro, ha dichiarato inammissibile la censura di incompetenza per carenza di interesse. Con riferimento alla sentenza in esame, E. CANNADA BARTOLI, Aspetti processuali dell’assorbimento dei motivi, in Foro Amm. 1996, p. 833 scrive: «il lettore ammira la costruzione ed è indot-to a pensare che la rilevanza dei motivi possa essere suggerita, oggettivamente, – altri direbbero secondo comune esperienza –, dall’esigenza di tutela».

(73) L’incompetenza infrasoggettiva riguarda la ripartizione delle competenze fra gli organi nell’ambito di un medesimo ente pubblico o di uno stesso Ministero. Riguardo la differenza fra incompetenza c.d infrasoggettiva e incompetenza c.d. esterna vedi F. SATTA, Giustizia amministrativa, Padova, 1997, p. 456: «[la c.d. compe-tenza esterna riguarda] la posizione di un intero complesso amministrativo, già or-ganizzato, in riferimento agli analoghi complessi in cui si articola l’organizzazione del potere pubblico».

CAPITOLO TERZO

L’EFFICACIA NON INVALIDANTE DELLA VIOLA-ZIONE DELLE NORME SULLA COMPETENZA: NE-

CESSITÀ DI UNA ACTIO FINIUM REGUNDORUM

Sommario: 1. La lettura logico-formale del vizio di incompetenza elaborata dalla dottrina della prima metà del secolo scorso. – 2. La dimensione soggettiva della pubblica amministrazione, con particolare riferimento al riparto di competenza, non è neutra ed indifferente rispetto alla cura dell’interesse pubblico, ma esercita un ruolo di prefigurazione e di indi-rizzo dell’azione amministrativa. – 3. La struttura e la natura dell’organo competente incide sia sulle modalità di ponderazione degli interessi pubblici «evidenziati» dalla legge sia sulla scelta dei criteri e del correlato procedimento applicativo da utilizzare nelle valutazioni, di natura non discrezionale, riservate alla pubblica amministrazione. L’ipotesi paradigmatica degli organi collegiali. – 4. Il vizio di incompe-tenza non è causa di annullabilità esclusivamente nelle ipotesi di prov-vedimenti integralmente vincolati. La conclusione cui si è pervenuti non è inficiata né dalle disposizioni normative che riservano a «decreti di natura non regolamentare l’individuazione degli uffici di livello dirigenziale non generale e la definizione dei relativi compiti» né da quelle che at-tribuiscono agli organi gestionali il potere di «assumere le determina-zioni per l’organizzazione degli uffici [...] con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro»

1. LA LETTURA LOGICO-FORMALE DEL VIZIO DI INCOMPETENZA ELABO-RATA DALLA DOTTRINA DELLA PRIMA METÀ DEL SECOLO SCORSO

La ricerca dovrà proseguire al fine di determinare i limiti en-

tro cui il vizio di incompetenza rientra nel campo di applicazio-ne dell’art. 21 octies secondo comma primo alinea della l. n. 241/1990.

CAPITOLO TERZO

112

Tale indagine appare necessaria in quanto la predetta di-sposizione utilizza una formulazione letterale alquanto ambigua. Invero, a tacer d’altro, la locuzione «natura vincolata» è astrat-tamente predicabile non solo per i provvedimenti totalmente vincolati, ma anche per quelli caratterizzati da qualche profilo di vincolatezza nell’an o nel quid o nel quomodo (1) o nel quando (2). Ed è quantomeno dubbio se la norma in questione sia applicabi-le anche alle valutazioni c.d. discrezionali che, come ricordato in premessa, pur non essendo espressione di discrezionalità pura, non sono neppure riconducibili all’attività vincolata stricto sensu.

L’esame dovrà essere condotto cercando di verificare se le norme sulla competenza abbiano una valenza meramente or-ganizzativa e siano esclusivamente preordinate a ripartire le fun-zioni fra i vari organi di un ente ovvero se incidano sulle moda-lità di cura degli interessi pubblici e, pertanto, sul contenuto del provvedimento adottato.

(1) Cfr. M. S. GIANNINI, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Mila-

no, 1939, ora in Scritti Giuridici, vol. I, Milano, 2000, p. 142-144: «la discrezionalità nell’an si esprime in due modi: se si debba emanare un atto, se si debba emanare un atto anziché un altro; [...] la discrezionalità nel quid consiste nella possibilità di varia-re il contenuto della volontà, e in quella di porre elementi facoltativi (accidentalia); [...] la discrezionalità nel quomodo concerne la forma in due sensi: per quanto riguar-da l’opportunità di procedere all’esternazione dell’elemento, e per quanto riguarda il modo onde tale esternazione può farsi».

(2) Vedi, P. VIRGA, Il provvedimento amministrativo, Milano, 1972, p. 24: «vi è di-screzionalità nel quando se rimane rimessa all’apprezzamento discrezionale dell’au-torità amministrativa la determinazione del momento più opportuno per l'emana-zione del provvedimento, a meno che la legge non fissi il termine, entro il quale il provvedimento debba essere adottato, a pena di decadenza». In proposito, come nota, M. OCCHIENA, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, 2002, p. 268: «la discrezionalità amministrativa pare ad oggi essenzialmente riscon-trarsi nel quid e nel quomodo, ossia proprio negli aspetti contenutistici della decisio-ne: infatti, a fronte del fatto che l’art. 2 l. 241/1990 stabilisce l’obbligo per gli enti pubblici di concludere il procedimento amministrativo “mediante l’adozione di un provvedimento espresso” entro un periodo di tempo predeterminato e tenendo conto della pluralità di casi in cui il procedimento inizia ad istanza di parte, risulta-no assai esigui gli spazi di scelta sull’an e sul quando».

L’EFFICACIA NON INVALIDANTE

113

Infatti, la configurazione dell’(in)competenza come neutra rispetto agli interessi o, all’esercizio del potere, potrebbe giu-stificarne la qualificazione come vizio di natura esclusivamente formale e, di conseguenza, la dequotazione anche nell’ipotesi di provvedimenti non aventi natura totalmente vincolata.

Utile punto di partenza ai fini della nostra indagine è la de-finizione di incompetenza come violazione di «quella norma di legge che determina l’assegnazione ai diversi organi amministra-tivi della attribuzione di compiere determinati atti» (3). Si tratta di una nozione elaborata dal Cammeo e recepita, pur con diffe-renze terminologiche, dalla recente manualistica che individua l’incompetenza nell’ipotesi di: «violazione della norma circa la competenza dell’organo» (4); «atto emanato da un organo che esercita competenze spettanti ad un altro organo della stessa branca o sistema amministrativo» (5); «violazione della norma di azione che definisce il quantum di funzioni spettante all’organo» (6); «violazione delle norme di organizzazione disciplinatrici del

(3) F. CAMMEO, Corso di diritto amministrativo, 1914, Padova, (ristampa anastati-

ca), 1960, p. 600. Al riguardo P. M. VIPIANA, Gli atti amministrativi: vizi di legittimità e di merito, cause di nullità ed irregolarità, cit., p. 20 osserva che «la distinzione fra viola-zione di legge ed incompetenza risulta labile dal punto di vista concettuale, se è ve-ro che quest’ultimo vizio assurgerebbe a species del più ampio genus violazione di leg-ge»; G. FALCON, Lezioni di diritto amministrativo, cit., p. 148: «il vizio di incompeten-za, che viene enunciato per primo [dalla l. n. 241/1990] come una categoria a sé stante, consiste pur sempre in una violazione di legge».

(4) V. CERULLI IRELLI, Lineamenti del diritto amministrativo, cit., p. 472 per il quale ogni altra violazione di norme giuridiche integra il vizio di violazione di legge. Ana-logamente F. G. SCOCA e M. D’ORSOGNA, L’invalidità del provvedimento amministrativo, in Diritto amministrativo, a cura di F. G. SCOCA, Torino, 2008, p. 306: «È ormai opi-nione comune che violazione di legge ed incompetenza indichino entrambe casi di difformità rispetto alla relativa disciplina normativa».

(5) Così D. SORACE, Diritto delle amministrazioni pubbliche. Un’introduzione, cit., p. 355 cui adde B. G. MATTARELLA, Istituzioni di diritto amministrativo, in Corso di diritto amministrativo, a cura di S. CASSESE, Milano, 2006, p. 285 che riconduce nell’ambito dell’incompetenza «il caso in cui il provvedimento sia stato emanato da un organo diverso da quello competente, nell’ambito della stessa amministrazione».

(6) E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 523.

CAPITOLO TERZO

114

riparto di attribuzione fra organi» (7); «contrasto con una dispo-sizione attinente alla ripartizione dei compiti fra organi» (8); «er-rore di diritto sulla titolarità del potere: agisce (nel senso di prov-vedere) un’autorità diversa da quella cui è assegnato il potere» (9).

Tali nozioni fanno emergere il c.d. profilo statico dell’in-competenza, ma non pongono in luce invece il profondo nesso esistente fra la ripartizione delle funzioni fra i vari organi e la cura degli interessi ritenuti meritevoli di tutela da parte dell’or-dinamento; nesso, che costituisce – come precedentemente sot-tolineato – la ragione fondamentale dell’inquadramento delle norme sulla competenza fra quelle sul procedimento.

La predetta definizione sottende una lettura in termini for-mali delle norme sulla competenza; lettura di cui sembra oppor-tuno delineare in modo più approfondito l’origine (10).

(7) R. VILLATA, L’atto amministrativo, in Diritto amministrativo, cit., p. 828. (8) G. ROSSI, Diritto amministrativo, Principi, vol. I, Milano, 2005, p. 384: «l’in-

competenza altro non è che un’ipotesi peculiare della violazione di legge». (9) G. FALCON, Lezioni di diritto amministrativo, cit., p. 148. Cfr. anche A. M.

SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 705: «Il vizio di incompetenza sus-siste allorché l’autorità amministrativa abbia esorbitato dai limiti della propria com-petenza invadendo quella di un’altra autorità amministrativa sempre che non si trat-ti di un caso tanto da grave da risolversi addirittura in un difetto di attribuzione»; M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, vol. II, cit., p. 313: «L’incompetenza attiene a qualsiasi non applicazione del canone di riparto dell’esercizio dell’attribuzione, sia esso il territorio (l’organo locale che provvede su materia di altro organo locale), il valore (l’organo locale che provvede su affare di valore eccedente e spettante ad organo centrale), il compito (l’ufficio che nel procedimento si pronuncia su materia propria di latro ufficio); F. BENVENUTI, Disegno dell’amministrazione italiana, cit., p. 198: «Si è in presenza di un vizio di incompetenza quando un organo esercita un potere che non rientra nel suo ufficio, inteso cioè come distribuzione delle compe-tenze all’interno delle attribuzioni di un soggetto»; M. P. CHITI, Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, p. 461: «L’incompetenza si riferisce alla sfera di poteri del soggetto che ha assunto l’atto, caratterizzando la situazione in cui si è determinata una violazione delle previsioni normative circa la potestà a provvedere».

(10) Cfr. l’approfondita ed illuminante ricostruzione storica di A. PIOGGIA, La competenza amministrativa. L’organizzazione fra specialità pubblicistica e diritto privato, Tori-no, 2001, pag. 111-197 spec. p. 141-179.

L’EFFICACIA NON INVALIDANTE

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In proposito, si sottolinea che la dottrina della prima metà del secolo scorso, pur riconoscendo (a differenza dei coevi mae-stri tedeschi) (11) il carattere giuridico delle norme in esame (12), non ne coglie la valenza assiologica e di garanzia sostanziale per il cittadino pervenendo ad affermare che le norme di organiz-zazione sono preordinate a garantire «il regolare funzionamento dell’amministrazione» e, di conseguenza, l’interesse pubblico «ad una razionale distribuzione delle funzioni fra le autorità ammini-strative» (13).

(11) La dottrina tedesca afferma risolutamente che le norme di organizzazione «non sono norme giuridiche o, addirittura, sono al di fuori del diritto» in quanto non incidono «sulla sfera di libertà e di proprietà dei cittadini» né, più in generale, disciplinano rapporti fra soggetti diversi. Vedi, amplius, M. NIGRO, Studi sulla funzio-ne organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, 1966, p. 18 il quale richiama P. LABAND, Das Staatsrecht des deutschen Reiches, vol. II, Tubingen, 1911, p. 181.

(12) Cfr. G. ZANOBINI, Le norme interne di diritto pubblico, in Riv. It. Dir. Pubbl., 1915, p. 338: «In qualunque atto, dunque, istitutivo di organi possono distinguersi disposizioni di varia natura [fra cui] la determinazione della composizione e della competenza di codesto organo. Soltanto [tali disposizioni] sono norme di diritto»; p. 340: «le norme sulla competenza rappresentano un limite alla libertà dello Stato in quanto a causa di esse egli non può manifestare la sua volontà diretta a certi fini se non per via dell’apposito organo». E questa concezione viene mantenuta inalte-rata fino all’ultima edizione del Corso di diritto amministrativo, Milano, 1958, p. 142: «Le norme sulla distribuzione delle funzioni fra i vari organi hanno carattere giuridico ed obbligatorio e determinano la competenza degli organi amministrativi con effetti analoghi a quelli che il diritto di ogni tempo ha riconosciuto alla competenza degli organi giudiziari (corsivo aggiunto)». Vedi anche O. RANELLETTI, Gli organi, in Riv. Dir. Pubbl., 1909, p. 22, ora in Scritti giuridici scelti, Napoli, 1992, p. 288: «[L’organizzazione dello Stato] è un’organizzazione soltanto di fatto, dovuta alla posizione di comando e di direzione della vita comune, che di fatto è assunta dai capi o dalle assemblee popolari. Ma in seguito quando lo Stato si consolida e acqui-sta stabilità, la sua organizzazione, come tutto il suo ordinamento, è regolata da norme di diritto e assume perciò carattere giuridico. E tale è dessa nello Stato libero moderno». ID., Gli organi (concetto, natura, rapporti), cit., p. 20, ora in Scritti giuridici scel-ti, cit. p. 286: lo Stato «viene in rapporto con i singoli non nella totalità delle sue funzioni, ma sempre e solo in e per mezzo di un determinato ufficio nei limiti delle funzioni a questo attribuite».

(13) Così F. CAMMEO, Della manifestazione della volontà dello Stato nel campo del dirit-to amministrativo, in Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, a cura di V. E. ORLANDO, Milano, 1907, p. 133-134: «Le norme organizzatrici anche regolamentari

CAPITOLO TERZO

116

Emblematica appare la posizione del Ranelletti (14), il quale sostiene che gli organi sono «parte dello Stato» ed esercitano i poteri rientranti nella loro sfera di competenza al fine di realiz-zare l’interesse generale e, non avendo fini propri (15), non pos-sono essere configurati come soggetti di diritto (16). Donde, le relazioni interorganiche hanno valenza meramente interna in quanto «può esservi materia pel diritto e possono perciò sor-gere rapporti giuridici solo in quelle manifestazioni dell’attività dello Stato che toccano e quindi interessano altri subbietti giuri-dici» (17).

In questo contesto è inevitabile da un lato, configurare la persona giuridica statale quale «rappresentante e curatore del-l’interesse generale»; dall’altro, negare che i singoli organi curi-

governano il rapporto fra Stato e cittadini: lo governano indirettamente; loro scopo immediato è tutelare il buon funzionamento dell’amministrazione. Ma [...] abbiamo già dimostrato che nel nostro diritto si può distinguere la norma che protegge diret-tamente un interesse di un cittadino da quello che lo protegge incidentalmente o casualmente allo scopo di stabilire la competenza giudiziaria od amministrativa con-tenziosa: non mai allo scopo di negare alla norma carattere giuridico e sanzione giu-risdizionale».

(14) Riguardo il pensiero di O. Ranelletti vedi le osservazioni di G. PASTORI, Stato ed organizzazione amministrativa in Oreste Ranelletti, in Dir. Amm., 1993, p. 41 ss.

(15) O. RANELLETTI, Gli organi (concetto, natura, rapporti), cit., p. 69, ora in Scritti giuridici scelti, cit., p. 291: «I poteri dell’ufficio, perciò, non possono essere considera-ti come diritti soggettivi suoi, perché nell’ufficio come unità a sé manca la persona-lità e quindi la possibilità di essere soggetto di diritti».

(16) O. RANELLETTI, Gli organi (concetto, natura, rapporti), cit., p. 68, ora in Scritti giuridici scelti, cit., p. 290: «Subbietto giuridico pel diritto è soltanto il soggetto di u-no scopo umano, che il diritto riconosce e tutela con l’accordare forza giuridica alla volontà, sua o di altri, richiesta per realizzarlo. Senza uno scopo da raggiungere non si comprende come e perché il diritto possa riconoscere soggetti (corsivo aggiunto)».

(17) O. RANELLETTI, Gli organi (concetto, natura, rapporti), cit., p. 124, ora in Scritti giuridici scelti, cit., p. 296: «se quindi il rapporto fra due o più organi intercede solo fra essi e non tocca altri subbietti di diritto, cioè si esaurisce nella sua portata nella sfera della vita e dell’attività dello Stato, quel rapporto non può essere giuridico, perché puramente interno. Così come non può essere giuridico un atto compiuto da un organo dello Stato nei riguardi di altri organi, il quale non tocchi altri subbietti di diritto, ma esaurisca la sua efficacia nell’interno dell’organizzazione dello Stato».

L’EFFICACIA NON INVALIDANTE

117

no differenti interessi pubblici fra loro potenzialmente conflig-genti (18). La ripartizione delle funzioni fra le varie articolazioni dell’apparato amministrativo trova, quindi, fondamento in mere ragioni di divisione del lavoro e non costituisce una fonte di ga-ranzia per il civis dalla cui inosservanza quest’ultimo deve essere tutelato (19).

Sotto altro profilo, questa lettura logico-formale del vizio di incompetenza rappresenta un’inevitabile conseguenza del mo-dello di amministrazione dominante nella prima metà del secolo scorso: la c.d amministrazione d’ordine la cui cifra caratteristica appare essere senza dubbio la c.d «sovranità della legge» (20). Ta-

(18) Sul punto si richiamano le attente riflessioni di A. MASSERA, Contributo allo

studio delle figure giuridiche soggettive nel diritto amministrativo, Milano, 1986, p. 222 il quale evidenzia che il Ranelletti nega carattere giuridico alle norme che disciplinano le re-lazioni interorganiche in quanto gli effetti di tale relazione si esauriscono all’interno dell’organizzazione della persona giuridica. Emerge, quindi, che la posizione del Ra-nelletti è antitetica a quella coeva di S. ROMANO, Organi, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947, spec. p. 163-165. Secondo il Romano, infatti, la persona giu-ridica statale «concretandosi in un organo», che cura un determinato interesse pub-blico e a cui viene attribuita una determinata competenza, si contrappone a sé stes-sa «concretandosi in un altro organo», che cura un altro interesse pubblico e a cui viene attribuita un’altra competenza. Lo Stato stesso, quindi, costituisce i due sog-getti che caratterizzano ogni rapporto giuridico per cui le relazioni interorganiche possono essere configurate come «rapporti giuridici riflessivi».

(19) Così A. PIOGGIA, La competenza amministrativa. L’organizzazione fra specialità pubblicistica e diritto privato, cit., p. 162 che sottolinea puntualmente come «finché le finalità e gli interessi perseguiti rimanevano indistinti nella capacità della persona statale, potenzialmente rivolta a qualsiasi obiettivo non vietato dal diritto, dal pun-to di vista organizzativo, la distribuzione dei compiti fra le diverse articolazioni dell’apparato non aveva rilievo che come sfera di imputazione. Attraverso il ricono-scimento di una certa personalità agli organi, essi divengono anche portatori di fina-lità distinte, esteriormente tutte proprie dello Stato, ma internamente potenzialmen-te confliggenti nei rapporti organizzativi, in cui le diverse competenze esprimono anche diverse finalità pubbliche».

(20) È l’icastica locuzione utilizzata da O. MAYER, Deutsches VerWaltungsrecht, vol. I, Munchen, 1924, p. 64 richiamato da C. SCHMIT, Legalità e legittimità, in Le cate-gorie del politico. Saggi, a cura di G. MIGLIO e P. SCHIERA, Bologna, 1972, p. 225. Il Mayer qualifica lo Stato di diritto come Stato legislativo. Tale formula avrebbe un duplice significato. Essa, infatti, costituisce efficace sintesi non solo della forza at-

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le locuzione pone in luce che l’amministrazione è rigorosamen-te soggetta alle norme generali ed astratte poste dalla legge (21): «nessuna limitazione di libertà o nessuna diminuzione di pro-prietà» è ammessa se non «in virtù della legge e nelle forme e nei limiti da essa preordinati» (22).

Emerge, dunque, il carattere circolare del principio di legali-tà (23): la legge è approvata dai parlamentari eletti dai cittadini i quali sono soggetti alle norme da essi stessi stabilite attraverso i loro rappresentanti (24). tribuita alla legge di mutare ipso iure l’ordinamento giuridico preesistente mediante disposizioni generali e astratte, ma anche della riserva attribuita alla legge stessa di limitare i diritti naturali fra i quali occupano un posto fondamentale la proprietà privata e l’iniziativa economica.

(21) Cfr. G. BERTI, Interpretazione costituzionale, Padova, 2001, p. 13: «Le leggi a-vevano un contenuto generale e astratto il che significava che non potevano valu-tarsi per gli effetti prodotti sui singoli, ma alla stregua del proiettarsi come comando o volontà imperativa su tutti i cittadini a prescindere dalla particolarità dei casi con-creti e quindi astraendo da esse». Cfr., anche, le riflessioni di N. BOBBIO, Il positivi-smo giuridico, Lezioni di filosofia del diritto, a cura di N. MORRA, Torino, 1979, p. 43-46: nel ReichStaat il diritto naturale non è più «concepito come sistema normativo a sé stante» ma diventa semplicemente «una filosofia del diritto positivo».

(22) F. SALANDRA, La giustizia amministrativa nei governi liberi, Roma-Napoli-Milano, 1904, p. 26.

(23) Non pare nemmeno possibile cercare una ricognizione della dottrina in ordine al principio di legalità. Cfr, ex multis, G. SALA, Potere amministrativo e principi dell’ordinamento, Milano, 1993, p. 247 nota 59 con ampi riferimenti bibliografici che individua tre accezioni del principio di legalità: legalità come compatibilità (la p.a. può porre in essere tutti gli atti che non le siano preclusi da una espressa disposi-zione legislativa); legalità-abilitazione (alla p.a. è permesso porre in essere esclusi-vamente i provvedimenti previamente autorizzati dalla norma); legalità-conformità (la p.a. può adottare provvedimenti il cui contenuto e forma è predeterminato dalla disposizione normativa). Come noto, la prima concezione appare propria della dot-trina tedesca e annovera, tra i suoi più autorevoli sostenitori, O. RANELLETTI, Isti-tuzioni di diritto pubblico, Milano, 1937, p. 425 ss.; la seconda è invece riconducibile alla dottrina francese ed è accolta, fra gli altri, da G. ZANOBINI, L’attività amministra-tiva e la legge, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1924, p. 281 ss., ora in Scritti vari di diritto pubbli-co, Milano, 1955, p. 203 ss.

(24) Così S. CASSESE, Le basi costituzionali, in Trattato di diritto amministrativo (a cu-ra di S. CASSESE), vol. I, Milano, 2003, p. 195 ss. spec. p. 214. Appare sullo sfondo una concezione dell’amministrazione come struttura giuridicamente e sociologica-

L’EFFICACIA NON INVALIDANTE

119

In questa prospettiva la conformità alle leggi, «valore tipica-mente formale», rappresenta l’unica fonte di legittimazione del potere dell’autorità amministrativa: «le forme» diventano «le di-vinità tutelari delle associazioni umane» e la loro osservanza co-stituisce la principale garanzia nei confronti del dispotismo per cui «un’autorità non è legittima che nei suoi limiti» (25). É la c.d. forza legittimante della legalità (26): il potere esercitato in con-formità alla legge non è percepito dalla compagine sociale come una invasione indebita ed intollerabile dei diritti dei suoi com-ponenti:

Tuttavia, è necessario precisare che la legge non si limita ad individuare la sfera giuridica riservata rispettivamente al cittadi-no e all’autorità amministrativa (27) rappresentando «una guaren- mente separata dalla società, avente una limitata, eppure determinante, funzione di ordine e garanzia della stabilità e conservazione dell’ordinamento giuridico. Sul punto, vedi le riflessioni di M. NIGRO, Amministrazione pubblica (organizzazione giuridi-ca dell’), voce in Enc. Giur., vol. II, Roma, 1988, p. 5; A. ROMANO TASSONE, Sulla formula amministrazione per risultati, cit., p. 816 ss.; L. IANNOTTA, Principio di legalità e amministrazione di risultati, cit., p. 825.

(25) B. CONSTANT, Principi di politica, a cura di U. CERRONI, Roma, 1970, p. 201 richiamato da L. MANNORI e B. SORDI, Storia del diritto amministrativo, Roma-Bari, 2006, p. 311. Cfr., al riguardo, l’efficace affermazione di M. WEBER, Economia e socie-tà, trad. it. a cura di P. CHIODI e G. GIORDANO, vol. I, Milano, 1961, p. 35: «la for-ma più corrente di legittimità è la credenza nella legalità, cioè la disposizione ad ob-bedire a statuizioni formalmente corrette e stabilite nel mondo consueto». Vedi an-che le puntuali osservazioni di G. BERTI, Stato di diritto informale, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1992, p. 3-30 spec. p. 9 nota 2.

(26) F. LUCIANI, Il vizio formale nella teoria dell’invalidità amministrativa, cit., p. 216. (27) Cfr. E. GUICCIARDI, Concetti tradizionali e principi ricostruttivi nella giustizia

amministrativa, in Arch. Dir. Pubbl., 1937, p. 1 ss.; ID., La giustizia amministrativa, Pa-dova, 1971, p. 1-44 spec. p. 10. Come ampiamente noto, nella geometrica elabora-zione del Guicciardi le norme di relazione disciplinano i rapporti fra amministrazione e cittadino individuando la sfera giuridica «entro la quale l’amministrazione può le-galmente agire per il soddisfacimento degli interessi pubblici che deve perseguire». Le norme di azione disciplinano, invece, «l’attività che l’amministrazione pone in es-sere per l’attuazione e lo svolgimento dei rapporti già regolati dalle norme di rela-zione». Esse hanno carattere strumentale e «sono dirette a far sì che l’amministra-zione, entro l’ambito stesso della propria sfera giuridica» eserciti il potere «soltanto in quel modo che assicura la migliore soddisfazione dell’interesse pubblico». La si-

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120

tigia giuridica dell’individuo verso lo Stato» (28), ma costituisce anche un mezzo di tutela dell’autonomia dell’amministrazione dalle ingerenze e dalle interferenze derivanti dalla degenerazione clientelare della politica (29).

Il principio di legalità è «lo scudo protettivo non solo delle libertà dei cittadini, ma anche della forza dell’amministrazione» (30) per cui «non per indebolire l’autorità dello Stato, ma con lo scopo di accrescerla» che Spaventa propone di «sottoporre tutte le pubbliche amministrazioni ai freni più severi della giustizia».

In questo quadro, la violazione di una «legge amministra-tiva» è sintomo che l’autorità ha esercitato il proprio potere in modo difforme dall’interesse pubblico. E, poiché l’interesse pubblico è l’interesse di cui l’amministrazione stessa è titolare, il provvedimento illegittimo è un provvedimento contrario al suo stesso interesse. Pertanto, colui che propone un’azione di annul-lamento avverso un atto amministrativo illegittimo fa valere, in via diretta, l’interesse dell’amministrazione (id est l’interesse pub-blico) e, solo in via indiretta, il proprio interesse individuale che è tutelato in quanto coincide con l’interesse pubblico (31).

stematica costruzione del Guicciardi costituisce un’utile chiave di lettura del rappor-to esistente fra i cittadini e la c.d. amministrazione d’ordine, ma non è compatibile con la concezione sostanziale di interesse legittimo accolta nel presente studio. Ri-guardo l’elaborazione del Guicciardi vedi G. FALCON, Norme di relazione e norme di azione (tradizione e vicende della giustizia amministrativa nella dottrina di Enrico Guicciardi), in Dir. e Soc., 1974, p. 379 ss.

(28) V. E. ORLANDO, Introduzione, in Trattato di diritto amministrativo, vol. I, a cura di V. E. ORLANDO, Milano, 1901, p. 38.

(29) F. BENVENUTI, Giustizia amministrativa, voce in Enc. Dir., vol. XIX, Milano, 1970, p. 601.

(30) Efficaci le affermazioni di M. NIGRO, Spaventa e la giustizia amministrativa, in Riv. Trim. Dir. pubbl., 1971, p. 730-732: il c.d. Stato di diritto appare da una parte, ispirato ai principi del garantismo costituzionale (è il c.d. stato «costituzionale»); dal-l’altro, ai principi del regime amministrativo (è il c.d. stato «amministrativo»).

(31) Cfr. F. BENVENUTI, Giustizia amministrativa, cit., p. 604: «il ricorrente pote-va dedurre la lesione da parte del provvedimento degli interessi pubblici alla cui tu-tela erano funzionali le norme di azione»; M. NIGRO, Spaventa e la giustizia ammini-

L’EFFICACIA NON INVALIDANTE

121

In siffatta prospettiva, l’annullabilità del provvedimento am-ministrativo affetto da incompetenza trova fondamento esclusi-vamente nella necessità di ripristinare la mera legalità dell’azione amministrativa: la violazione delle «leggi amministrative» aventi ad oggetto la «misura di potestà attribuita al pubblico funziona-rio» (32) è sanzionata al fine di garantire che «le autorità osservi-no le leggi, e che le eventuali inosservanze siano corrette» (33). strativa, cit., p. 736; A. ROMANO, I caratteri originari della giurisdizione amministrativa, in Dir. Proc. Amm., 1994, p. 665.

(32) A. SALANDRA, Diritto amministrativo, Roma, 1915, p. 6 ss. Come osserva ef-ficacemente A. PIOGGIA, La competenza amministrativa, cit., p. 133 nota 52, «le leggi che disciplinavano l’organizzazione amministrativa erano qualificate “come ammi-nistrative” per segnalare il fatto che, da un lato, esse non valevano a risolvere con-flitti fra interessi contrapposti, ma si limitavano a prevedere regole di funzionamen-to degli apparati pubblici, mentre, dall’altro, erano poste ad esclusivo vantaggio del-l’amministrazione stessa».

(33) A. SALANDRA, La giustizia amministrativa nei governi liberi, cit., p. 773 richia-mato da A.PIOGGIA, La competenza amministrativa, cit., p. 133. Peraltro, alla configu-razione del vizio di incompetenza in chiave meramente oggettiva concorre pure la metodologia utilizzata dalla scienza del diritto pubblico della seconda metà del se-colo XIX i cui schemi non appaiono idonei a valorizzare i profili sostanziali delle disposizioni che disciplinano l’esercizio del potere di provvedere (così G. SALA, Il principio del giusto procedimento nell’ordinamento regionale, cit., p. 15 nota 30). In questa prospettiva, al giurista è attribuito il compito di ricondurre il disordinato complesso delle disposizioni legislative ad un insieme di principi giuridici sistematicamente co-ordinati. Si richiama il metodo c.d. “giuridico” o “costruttivo” elaborato da Vittorio Emanuele Orlando i cui studi, come noto, sono stati fortemente influenzati dalla cultura giuridica tedesca dell’epoca. Il maestro indica la necessità di avvalersi delle nozioni e della metodologia proprie della scienza del diritto privato che «è pervenu-ta ad un grado di perfezione sopra tutto tecnica che non puossi desiderare maggiore» e che ha il proprio fondamento nel diritto romano (vedi V. E. ORLANDO, I criteri giuri-dici per la ricostruzione giuridica del diritto pubblico, in Arch. Giur., 1889, ora in V. E. OR-LANDO, Diritto pubblico generale, Scritti vari coordinati in sistema, Milano, 1954, p. 5 ss.). Orbene, l’impiego dei concetti e degli istituti propri del diritto civile rende più difficile cogliere il nesso intercorrente fra riparto della competenza e ponderazione degli inte-ressi. Nel diritto privato, infatti, l’interesse, per la cui realizzazione un soggetto agisce, rientra nella sua sfera di autonomia ed è concepito come «utilitas facti giuridicamente irrilevante» (in termini E. CANNADA BARTOLI, Interesse, voce in Enc. Dir., vol. XXII, Milano, 1972, p. 2). Per altro verso, si evidenzia come la metodologia orlandiana ap-pare diretta ad inquadrare l’intera dinamica pubblicistica con il mero ed esclusivo im-

CAPITOLO TERZO

122

È, dunque, «la natura formale della regola organizzativa sulla competenza a giustificare il particolare regime dell’atto a fronte della sua violazione. Non regola di autonomia, ma norma di leg-ge, la cui violazione può essere fatta valere nel quadro di un giu-dizio oggettivo» (34).

2. LA DIMENSIONE SOGGETTIVA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL RIPARTO DI COMPETENZA, NON È NEUTRA ED INDIFFERENTE RISPETTO ALLA CURA DELL’INTERESSE PUB-BLICO, MA ESERCITA UN RUOLO DI PREFIGURAZIONE E DI INDIRIZZO DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA

Chiarito il fondamento storico della concezione logico-for-

male dell’incompetenza, è necessario accertare se questa elabo-razione, pur essendosi sviluppata in un altro contesto socio-cul-turale, sia ancora oggi fondata e, di conseguenza, se la «non an-nullabilità» sia predicabile pure ai provvedimenti non totalmente vincolati.

L’indagine non può che prendere le mosse da quell’Autore che ha condotto il primo studio sistematico sull’organizzazione amministrativa ed, in particolare, su quella statale.

Si fa riferimento al De Valles, il quale pone in luce che il ri-parto dei «compiti e facoltà» fra i vari uffici (35) trova il proprio

piego di categorie specificamente giuridiche: «la legislazione si fonda in innumerevoli casi su considerazioni di carattere etico, politico, economico, o su una combinazione di tali considerazioni, le quali, come tali, non sono cosa che riguardi i giuristi». Donde, ogni valutazione assiologica della disposizione normativa è aliena dagli studi giuridici di carattere scientifico.

(34) L’espressione è tratta da A. PIOGGIA, La competenza amministrativa. L’organizzazione fra specialità pubblicistica e diritto privato, cit., p. 147.

(35) A. DE VALLES, La validità degli atti amministrativi, Padova, 1986 (ristampa anastatica del 1916), p. 98: «Ogni ufficio non ha astrattamente la possibilità di eser-citare i diritti dello Stato, ma soltanto quei determinati diritti che rientrano nella sua competenza».

L’EFFICACIA NON INVALIDANTE

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fondamento non solo in scelte di carattere strettamente orga-nizzativo (36), ma anche in valutazioni di natura «politica» (37).

Tale divisione, quindi, non è esclusivamente funzionale ad una razionale distribuzione delle funzioni tra una pluralità di centri di lavoro, ma costituisce anche uno strumento di tutela dei molteplici interessi (pubblici e privati) presenti nella società (38). E, coerentemente, il maestro riconosce che la violazione delle norme sulla competenza può essere fatta valere dal cittadi-no «anche nel proprio interesse» (39).

La valenza sostanziale delle norme sulla competenza, intui-ta dal De Valles, è approfondita ed evidenziata dal Nigro, il qua-le definisce l’organizzazione amministrativa come «il complesso degli uffici predisposti dall’ordinamento per la cura degli inte-ressi pubblici» (40) e pone in luce il rapporto di strumentalità e-

(36) A. DE VALLES, Competenza e Ufficio, in Studi di diritto pubblico in onore di O.

Ranelletti, Padova, 1931, p. 325: «La determinazione dei vari uffici è perciò, in primo luogo, effetto di una valutazione pratica, sul miglior modo di provvedere alle esi-genze pubbliche secondo la potenzialità fisica ed intellettuale degli uomini che sono chiamati a soddisfarle».

(37) A. DE VALLES, Competenza e Ufficio, cit., p. 325: «Con la determinazione pratica si innesta una valutazione politica dei molteplici interessi che contrastano nella società e della possibilità di attuarne la tutela mediante determinati uffici»; ID., La validità degli atti amministrativi, cit., p. 93: «La competenza di ciascun ufficio non è arbitraria, ma procede da ragioni pratiche e politiche».

(38) A. DE VALLES, Teoria giuridica dell’organizzazione dello Stato. Vol. I, Padova, 1931, p. 125: «La competenza non è assegnata agli uffici per uno scopo di mera di-stribuzione pratica delle funzioni, ma risponde ad una esigenza sociale che è il fon-damento politico delle leggi di organizzazione».

(39) A. DE VALLES, Competenza e Ufficio, cit., p. 333. Come osserva puntualmen-te A. PIOGGIA, La competenza amministrativa, cit., p. 165-170 spec. p. 169, nella pro-spettiva del De Valles «la qualità giuridica della norma sulla competenza risiede es-senzialmente nel tipo di “valutazione” che è ad essa sottesa. Nell’organizzazione del potere pubblico, accanto alla natura tecnica della decisione sulla distribuzione dei compiti che riguarda, come in qualsiasi struttura organizzativa, il miglior modo di articolare le incombenze fra gli uffici, c’è una valutazione politica che l’ordina-mento effettua nella individuazione delle diverse competenze».

(40) M. NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, cit., p. 114.

CAPITOLO TERZO

124

sistente fra la dimensione organizzativa, «prefigurazione astratta dell’attività», e la sfera dell’azione amministrativa, «concreta tra-duzione dell’organizzazione in atti» (41). E questo rapporto è co-sì stretto da rendere difficile l’individuazione di una linea di se-parazione fra i due ambiti (42). L’organizzazione non determina solo il complesso statico delle strutture da cui è composta la pubblica amministrazione, ma esercita anche una funzione dina-mica di indirizzo dell’attività amministrativa e, quindi, delle mo-dalità di cura degli interessi pubblici (43): la «decisione organizza-tiva» e, in specie, la ripartizione della competenza fra i vari orga-ni si riflette sulle successive scelte decisionali (44).

In questa sede, non pare necessario delineare il contenuto della funzione di indirizzo, che è già stata oggetto di pregevoli contributi (45). È sufficiente, invece, evidenziare che le norme di

(41) M. NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, cit.,

p. 119: «Appunto perché modellata sugli interessi che deve curare, l’organizzazione reagisce su tali interessi e ne influenza la realizzazione assumendo una funzione at-tiva nell’intero processo di soddisfazione degli essi»; p. 130: «L’organizzazione è un modo di essere di tale attività, il suo momento iniziale, un congegno e complesso di congegni di orientamento e di direzione di essa».

(42) M. NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, cit., p. 122-127.

(43) Infatti, da un lato, l’attività amministrativa è la «cura concreta degli interes-si pubblici» (V. CERULLI IRELLI, Lineamenti di diritto amministrativo, cit., p. 1 ss.) o, «l’attività pratica che lo Stato disimpegna per curare modo immediato, gli interessi pubblici che sono nei suoi fini e che egli volontariamente assume come tali» (G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, Milano, 1958, p. 12); dall’altra, l’organiz-zazione è «il complesso di uffici che svolgono la funzione di Amministrazione» (F. G. SCOCA, La pubblica amministrazione come organizzazione, in Diritto Amministrativo, a cura di L. MAZZAROLLI, F.A. ROVERSI MONACO, F.G.SCOCA, Bologna, 2005, p. 285) o «il complesso di autorità, di agenti, di organi che esercitano l’attività ammini-strativa» (G. ZANOBINI, Amministrazione pubblica: nozioni e caratteri generali, voce in Enc. Dir., vol. I, Milano, 1958, p. 239).

(44) M. NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, cit., p. 118.

(45) Vedi, senza pretesa di completezza, C. MORTATI, L’ordinamento del governo nel nuovo diritto pubblico italiano, Roma, 1931; V. CRISAFULLI, Per una teoria giuridica dell’indirizzo politico, in Studi Urbinati, n. 1-4, 1939; M. DOGLIANI, Indirizzo politico.

L’EFFICACIA NON INVALIDANTE

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organizzazione ed, in particolare, quelle sulla competenza sono in grado di orientare e dirigere la trasformazione del «potere in atto» (46).

Emerge sullo sfondo della ricostruzione del Nigro l’intui-zione del Giannini: le società moderne sono caratterizzate dalla presenza di una pluralità di interessi pubblici e ciascuno di essi trova il proprio riconoscimento giuridico in «un’entità organiz-zata». In altri termini, l’amministrazione pubblica è «popolata di organi, di uffici, comitati, enti, di associazioni di ogni sorta cia-scuno dei quali cura, o almeno, assume di curare un interesse pubblico» (47). In questo quadro, le norme sulla competenza at-tribuiscono ad un organo la cura di un determinato interesse (c.d. interesse primario) (48), il quale diviene «il valore» di riferi-mento ai fini della ponderazione e comparazione fra i vari inte-ressi (c.d interessi secondari) presenti nella fattispecie concreta (49). Regole e regolarità nel diritto costituzionale, Napoli, 1985; E. PICOZZA, L’attività di indiriz-zo della pubblica amministrazione, Padova, 1988 con ampi riferimenti bibliografici; M. CERASE, Indirizzo politico, voce in Dizionario di diritto pubblico, a cura di S. CASSESE, vol. IV, Milano, 2006, p. 3092 ss.

(46) Cfr. T. MARTINES, Indirizzo politico, voce in Enc. Giur., vol. XXI, Milano, 1971, p. 134 ss. spec. p. 140- 142 il quale rileva che la «seconda fase [della funzione di indirizzo] consiste […] nell’orientare e dirigere la volontà verso il conseguimento del fine» e, successivamente, pone in luce che «l’attività di indirizzo è condizionata dalla presenza nell’ordinamento di strutture organizzative idonee ad orientare e diri-gere la volontà verso il fine».

(47) M. S. GIANNINI, Gli elementi degli ordinamenti giuridici, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1958, p. 219 ss., ora in Scritti 1955-1962, vol. IV, Milano, p. 357: «ridotta al suo nucleo essenziale l’organizzazione è un disegno preordinato di uffici, e di rela-tive attribuzioni»; ID., Lezioni di diritto amministrativo Anno 1959-60, Roma, 1961, p. 99-100: l’organizzazione amministrativa è «un disegno preordinato di uffici e di re-lative attribuzioni per la realizzazione concreta di interessi pubblici».

(48) In proposito, cfr. le ancora attuali osservazioni di A. CERRI, Imparzialità e indirizzo politico nella pubblica amministrazione, Padova, 1973 p. 113.

(49) M. S. GIANNINI, Lezioni di diritto amministrativo Anno 1959-60, cit., p. 103: «In termini giuridici si dice che il centro di riferimento canonizza l’interesse pubbli-co di cui è portatore; questo significa che tale interesse diviene il valore per eccel-lenza nei giudizi formulati dal centro di riferimento, cui esso subordina, ogni altro

CAPITOLO TERZO

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3. LA STRUTTURA E LA NATURA DELL’ORGANO COMPETENTE INCIDE SIA SULLE MODALITÀ DI PONDERAZIONE DEGLI INTERESSI PUBBLICI «EVI-DENZIATI» DALLA LEGGE SIA SULLA SCELTA DEI CRITERI E DEL CORRE-LATO PROCEDIMENTO APPLICATIVO DA UTILIZZARE NELLE VALUTAZIO-NI, DI NATURA NON DISCREZIONALE, RISERVATE ALLA PUBBLICA AMMI-NISTRAZIONE. L’IPOTESI PARADIGMATICA DEGLI ORGANI COLLEGIALI

La valenza sostanziale della competenza appare ulterior-

mente confermata da un recente fenomeno che sembra cifra ca-ratteristica degli ordinamenti contemporanei: l’insufficienza del-la legge nell’individuare l’interesse pubblico primario da realiz-zare. Le disposizioni normative si limitano, infatti, ormai ad e-videnziare una molteplicità di interessi fra loro confliggenti che «reclamano e ottengono tutela» senza predeterminare quale sia – per utilizzare le espressioni sopra richiamate – l’interesse pubbli-co primario (50). L’interesse pubblico non è più «qualcosa di da-

valore, ossia diviene il valore (interesse primario) di un determinato tipo di giudizi»; ID., Diritto Amministrativo, Milano, 1970, p. 48: «Gli interessi secondari non giocano gli stessi ruoli. Taluni di essi hanno un ruolo di attenuazione dell’interesse primario; altri di rafforzamento; taluni sono così forti da impedire la realizzazione dell’inte-resse primario; altri portano a soluzioni di compromesso. […] La «forza degli inte-ressi secondari può essere maggiore di quella dell’interesse primario, il quale è tale solo perché affidato in cura all’organo che deve adottare (in solitudine) il provve-dimento». Detto altrimenti, è soltanto la sussistenza dell’interesse pubblico primario che giustifica il positivo esercizio del potere di provvedere. Gli interessi secondari invece hanno un’efficacia negativa o modificativa in quanto possono rendere inop-portuna l’emanazione del provvedimento ovvero possono influire sulla determina-zione del suo contenuto. Cfr. anche N. SAITTA, Premesse per uno studio delle norme di organizzazione, Milano, 1965, p. 93 che, richiamando il pensiero del maestro, affer-ma: «le norme di organizzazione, in quanto norme di distribuzione degli interessi simultaneamente creano e delimitano la funzione; in quanto norme che operano un’attribuzione di funzioni, assegnano a ciascuno di tali interessi la qualifica di inte-resse primario rispetto ai singoli uffici cui è devoluto, divenendo per ciò stesso, ri-spetto a questi anche regola di azione».

(50) Così G. SALA e R. VILLATA, Procedimento amministrativo, voce in Dig. Disc. Pubbl., vol. XI, Torino, 1995, p. 576; A. CERRI, Imparzialità e indirizzo politico nella pubblica amministrazione, cit., p. 113: «Nelle ipotesi di pianificazione, siano esso eco-nomiche od urbanistiche compito dell’organo è di adottare determinate misure

L’EFFICACIA NON INVALIDANTE

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to» dalla legge, ma costituisce «qualcosa di costruito» attraverso un processo di composizione e ponderazione compiuto dalla pubblica amministrazione (51). conciliando una molteplicità di esigenze o scegliendo fra di esse»; M. CAMMELLI, L’amministrazione per collegi, Bologna, 1980, p. 9-73 spec. p. 11: «Due processi sem-brano segnare, più di ogni altro, lo sviluppo dei sistemi politico-istituzionali dei pa-esi industrializzati, [uno dei quali] è costituito dalla progressiva disarticolazione dei poteri pubblici e dalla modificazione dei meccanismi di selezione degli interessi e-spressi dai diversi gruppi sociali presenti in ognuno di essi», p. 15: «Sono dunque le istituzioni e, in particolare, gli apparati a rappresentare un luogo privilegiato di inte-razione tra sistema amministrativo e interessi dei diversi gruppi sociali sì che l’ar-ticolazione del primo va considerata anche alla luce dell’organizzazione e della di-slocazione dei secondi»; G. SALA, Il principio del giusto procedimento, cit., p. 1-22 spec. p. 6: «di fronte alla perdita di capacità e di incidenza della legge nella graduazione delle molteplicità delle esigenze, anche contrapposte, che reclamano tutela, il nuovo rilievo dell’azione amministrativa percepita quale momento di reale ordinamento degli interessi e la conseguente richiesta dei portatori di questi di essere coinvolti nel procedimento amministrativo diventa la reale sede di “governo” degli stessi»; ID., Potere amministrativo e principi dell’ordinamento, Milano, 1984, p. 274 nota 131. Vedi anche T. KELSEN, Teoria generale del diritto e dello Stato, trad. it. a cura di S. COTTA e G. TREVES, Milano, 1952, p. 446: «in realtà, la popolazione di uno Stato si divide in vari gruppi di interessi più o meno opposti fra loro. L’ideologia di un interesse col-lettivo dello Stato è usato per celare questo inevitabile conflitto di interessi. È una finzione chiamare interesse di tutti quell’interesse che è espresso nell’ordinamento giuridico, anche quando l’ordinamento giuridico rappresenta un compromesso fra gli interessi dei gruppi più importanti. Se l’ordinamento giuridico fosse realmente l’espressione degli interessi comuni a tutti, se cioè l’ordinamento giuridico fosse in completa armonia con i desideri di tutti gli individui ad esso soggetti, questo ordi-namento potrebbe allora contare sull’obbedienza volontaria di tutti i suoi soggetti». A titolo esemplificativo si può richiamare l’art. 1 della l. 16 Aprile 1973 n. 171: «La salvaguardia di Venezia e della sua laguna è dichiarata problema di preminente inte-resse nazionale. La Repubblica […] ne preserva l’ambiente dall’inquinamento atmo-sferico e delle acque e ne assicura la vitalità socio economica»; l’art. 1 della L. R. Veneto n. 11/2004: «La presente legge stabilisce criteri, indirizzi, metodi e contenuti degli strumenti di pianificazione, per il raggiungimento delle seguenti finalità: a) promo-zione e realizzazione di uno sviluppo sostenibile e durevole, finalizzato a soddisfare le necessità di crescita e di benessere dei cittadini, senza pregiudizio per la qualità della vita delle generazioni future, nel rispetto delle risorse naturali»

(51) M. NIGRO, Lineamenti generali, in Manuale di diritto pubblico. L’azione dei pubbli-ci poteri, a cura di G. AMATO e A. BARBERA, Bologna, 1997, p. 10; ID., Formazioni sociali, poteri privati e libertà del terzo, in Pol. Dir., 1975, p. 597-598.

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Risultando impervio fissare in modo preventivo una gerar-chia fra i numerosi interessi ritenuti meritevoli di tutela (52) di-viene determinante la struttura dell’organo competente ad eser-citare il potere di provvedere (53). Più chiaramente, la diversa struttura degli organi comporta una differente modalità di cura dell’interesse pubblico ed è essa stessa «sintomo e causa di una differenza funzionale» (54).

In proposito, appare emblematica la figura degli organi col-legiali la cui composizione riflette i vari interessi ritenuti merite-voli di tutela dall’ordinamento giuridico ed è diretta a comporre preventivamente il conflitto, potenziale o attuale, fra di essi (55).

(52) V. OTTAVIANO, Appunti in tema di amministrazione e cittadino nello Stato demo-

cratico, in Scritti in onore di M. S. Giannini, Milano, 1988, II, p. 385: «l’interesse fatto valere da ogni componente sociale deve trovare il suo limite nella giusta considera-zione di quelli fatti valere dalle altre componenti»; G. CLEMENTE DI SAN LUCA, I nuovi confini dell’interesse pubblico e altri saggi, Padova, 1999, p. 97.

(53) Come invece affermava la dottrina tedesca del secolo XIX: «La regola di organizzazione ha per scopo immediato la tutela dell’interesse dell’amministrazione e non incide nella sfera di libertà e di proprietà dei cittadini né disciplina rapporti fra soggetti diversi consumando la sua efficacia diretta nell’interno dello Stato (dirit-to domestico)». La frase è tratta da G. JELLINEK, System der subjectiven offentlichen Re-chte, Freiburg, 1892, trad. it. a cura di G. VITAGLIANO, Sistema dei diritti pubblici subiet-tivi, Milano 1912, p. 255 richiamato da M. NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della p.a., cit. p. 20, ivi, con ulteriori riferimenti bibliografici.

(54) S. CASSESE, Imparzialità amministrativa e sindacato giurisdizionale, in Riv. Sc. Giur., 1968, p. 130: «le regole che dispongono in ordine alla struttura amministrati-va ridondano in regole di composizione degli interessi che tali strutture curano»; S. AGRIFOGLIO, Ufficio (dir. amm.), voce in Enc. Dir., vol. XLV, Milano, 1992, p. 669-680 spec. p. 673-675 che, pur con riferimento all’organizzazione in generale, affer-ma: «La disciplina organizzativa, nel distribuire i compiti tra gli uffici, distribuisce comunque “poteri” e ha quindi un’importanza capitale nella determinazione del pe-so di ciascun organismo nei confronti degli altri uffici pubblici e nei confronti del cittadino».

(55) M. S. GIANNINI, Lezioni di diritto amministrativo, Milano, 1950, p. 155; L. GALATERIA, Gli organi collegiali amministrativi, Milano, 1956, p. 21: «Al fine di adegua-re l’organizzazione alle esigenze della funzione, è evidente che gli organi collegiali assumeranno una composizione corrispondente alla diversa distribuzione, per così dire, topografica dei diversi interessi dando luogo alla figura degli organi collegiali rappresentativi di interessi eterogenei»; R. VILLATA, Collegi Amministrativi, voce in

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Detto altrimenti, il sistema normativo individua quali inte-ressi debbono essere rappresentati nell’organo collegiale e que-sta selezione è riconducibile alla funzione di indirizzo che le norme di organizzazione – come sopra accennato – esercitano sull’azione amministrativa (56): «la scelta discrezionale è conse-quenziale al modo cui è strutturata l’organizzazione» (57).

Ne deriva che la soluzione del problema amministrativo è i-nevitabilmente condizionata dal fatto che la ponderazione ed ar-monizzazione dei bisogni presenti nella società venga realizzata dall’organo collegiale y piuttosto che dall’organo collegiale x.

In questa ottica appare condivisile, ad esempio, l’annulla-mento della delibera di costituzione di una società di capitale Enc. Giur., vol. VI, 1988, p. 1: «Il dato strutturale qualificante [della collegialità] ven-ne ritrovato nella composizione di interessi configgenti; più precisamente la colle-gialità venne risolta nella figura organizzatoria di composizione preventiva di inte-ressi, ottenuta per il tramite della ricomprensione nel collegio dei portatori dei di-versi interessi. Tale prospettiva si allaccia ad un’intuizione di M. S. Giannini, che ha condizionato la dottrina successiva, forse al di là degli stessi intendimenti del suo autore». In senso parzialmente difforme cfr. G. B. VERBARI, Organi collegiali ammini-strativi, voce in Enc. Dir., vol. XXXI, Milano, 1981, p. 60 ss. spec. p. 63-66 per il quale «il collegio non è titolare della potestà, [mentre] i componenti del collegio so-no titolari dei singoli interessi». Inoltre, l’autore identifica i componenti del collegio non «nelle persone fisiche, ma nelle unità organizzative distinte dal collegio e porta-trici istituzionalmente di interessi nelle quali risultano incardinate persone fisiche». Su quest’ultima opinione cfr. le osservazioni critiche di R. VILLATA, Organi collegiali, cit., p. 3, per il quale la prospettiva del Verbari appare inidonea a giustificare la pre-senza di quelli organi collegiali non aventi potere di provvedere come, ad esempio, gli organi consultivi. In proposito, il maestro sottolinea come «collegi titolari di po-testà e collegi consultivi presentano un dato comune vale a dire proprio la compo-sizione pluripersonale. Ed allora escludere siffatto carattere dalla qualificazione di collegialità per ricondurla al solo accadimento della separazione tra potestà e inte-ressi significa tagliar fuori dalla vicenda una serie di uffici collegiali e, quindi, non soddisfare le esigenze di partenza (definire la collegialità)».

(56) F. CAMMELLI, L’amministrazione per collegi, p. 138-142 spec. p. 139: «i criteri secondo cui è stata operata la scelta dei soggetti presenti nel collegio ed altri profili giuridicamente rilevanti possono essere giustificati soltanto richiamando lo stretto rapporto tra norme organizzative ed indirizzo [e] l’intima connessione tra funzione organizzatrice e funzione di indirizzo».

(57) G. B. VERBARI, Organi collegiali, cit., p. 64.

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per la gestione di un determinato servizio pubblico (58) adottata non dal Consiglio Comunale ex art. 42 del d.lgs. 267/2001, ma dalla Giunta. È, infatti, certamente diversa la struttura di questi organi in quanto i componenti della Giunta (59) sono nominati e revocati dal sindaco; i membri del Consiglio (60) vengono diret-tamente eletti dai cittadini.

La prospettiva sopra delineata può trovare applicazione, pur con i necessari adattamenti, alle c.d. valutazioni non discreziona-li (61).

È pur vero, infatti, che in queste fattispecie l’interesse pub-blico è unico e predeterminato per cui la collegialità non trova fondamento nella necessità di comporre e ponderare i vari inte-ressi (62). Tuttavia, le differenti cognizioni e il diverso background culturale dei componenti l’organo collegiale appaiono senza dubbio incidere sia sulla scelta sia sulla concreta applicazione dei criteri utilizzati dalla p.a. per compiere la valutazione e l’apprez-zamento ad essa riservati. È la norma giuridica che predeter-mina quali «esperienze e organizzazioni della conoscenza» de-vono possedere i componenti di un collegio reale e siffatta pre-determinazione sarebbe violata se la valutazione non discrezio-

(58) Vedi, per i profili economici, A. GARLATTI, Scelte gestionali per i servizi pubbli-

ci locali: criteri aziendali e quadro di riferimento, Padova, 2005 e per quelli giuridici R. VILLATA, Pubblici servizi. Discussioni e problemi, Milano, 2008; A. POLICE, Spigolature sulla nozione di «servizio pubblico locale», in Dir. Amm., 2007, p. 79 ss.

(59) La Giunta è organo competente in ordine a tutte le materie non riservate espressamente dalla legge o dallo statuto ad altri organi.

(60) Il Consiglio esercita invece funzioni di indirizzo e controllo politico. (61) Cfr., amplius, D. DE PRETIS, Valutazione amministrativa e discrezionalità, cit.,

passim. (62) Cfr, S. VALENTINI, La collegialità nella teoria dell’organizzazione, Milano, 1968,

p. 190-196 che distingue i collegi fra reali aventi la funzione «di garantire, attraverso la pluripersonalità, la ponderazione e la serietà delle deliberazioni che necessaria-mente appaiono maggiori laddove sussista la possibilità del raffronto di opinioni diverse» e virtuali «aventi la funzione di comporre interessi […] così che la delibera-zione sia il frutto del concorso dei relativi centri di riferimento».

L’EFFICACIA NON INVALIDANTE

131

nale venisse posta in essere da un organo diverso da quello competente (63).

Analoghe considerazioni, pur con i necessari adattamenti, sono predicabili agli organi monocratici.

Infatti, le modalità o di comparazione dei vari interessi o di scelta dei criteri di valutazione sono inevitabilmente condiziona-te dal fatto che competente sia l’organo x piuttosto che l’organo y.

A titolo esemplificativo, l’erogazione di contributi comunali ad associazioni senza scopo di lucro realizza interessi pubblici diversi a seconda che l’organo competente a predeterminare i criteri di distribuzione di tali fondi sia il dirigente del settore «tu-rismo» oppure quello del settore «servizi sociali» oppure ancora quello del settore «sport e tempo libero».

In conclusione, si può affermare che sussiste «una sorta di continuità anzi di contiguità» (64) fra i due profili dell’organiz-zazione e dell’attività della pubblica amministrazione (65) i quali

(63) In termini, M. CAMMELLI, L’amministrazione per collegi, cit., p. 125 il quale ri-

chiama l’esempio del «collegio istituito per la definizione o il controllo dei requisiti tecnici di un’opera pubblica e alla diversa prospettiva (che non corrisponde solo alla diversità del sapere ma anche alle eterogenee finalità prese in considerazione) con cui della stessa opera si esaminerà il rispetto del profilo ambientale o quello degli standards edilizi, quello della fruibilità dei servizi da parte degli utenti o l’articola-zione delle attività volte alla prestazione dei servizi e la loro organizzazione».

(64) M. NIGRO, Amministrazione pubblica (organizzazione giuridica dell’), voce in Enc. Giur., vol. II, Roma, 1986, p. 1.

(65) M. NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, cit., p. 123: «Organizzazione e attività sono due profili dello stesso sistema di istituzione e di regolazione di strumenti e di rapporti idonei a raggiungere determinati fini»; G. BERTI, La pubblica amministrazione come organizzazione, cit., p. 388: «l’ordine delle competenze preme sull’attuazione del potere allo scopo di indirizzarla in aderenza ad esso»; D. DE PRETIS, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, cit., p. 325: «I più autorevoli insegnamenti dottrinali in materia di organizzazione amministrati-va hanno dimostrato la stretta relazione funzionale esistente nell’amministrazione fra momento organizzativo e attività diretta alla cura dell’interesse pubblico sia at-tribuendo all’organizzazione un ruolo fondamentale anche nei contenuti da dare al-l’attuazione normativa sia raffigurando il momento organizzativo come inizio, o-

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appaiano, ad un attento esame, posti in un rapporto di interdi-pendenza funzionale (66).

Il profilo organizzativo della pubblica amministrazione non è neutro ed indifferente rispetto agli interessi da curare, ma e-sercita un ruolo di prefigurazione e di indirizzo dell’azione am-ministrativa costituendone il primo e decisivo punto di orienta-mento in relazione ai fini da perseguire (67). In particolare, il ri- rientamento, direzione dell’attività sostanziale per cui la scelta organizzativa è una precisa istituzionalizzazione della scelta sostanziale».

(66) Così, M. R. SPASIANO, Funzione amministrativa e legalità di risultato, Torino, 2003, passim.

(67) Così, G. SALA, Il principio del giusto procedimento nell’ordinamento regionale, cit., p. 92; M. CAMMELLI, Amministrazione per collegi, cit., p. 60 il quale pone in luce che l’articolazione strutturale della pubblica amministrazione e la ripartizione dei diversi ambiti di intervento predeterminano «le condizioni primarie di interrelazione fra apparati ed interessi sociali»; M. R. SPASIANO, Spunti di riflessione in ordine al rapporto tra organizzazione pubblica e principio di legalità: la «regola del caso», in Dir. Amm., 2000, p. 131 ss.; A. PIOGGIA, La competenza amministrativa, cit., p. 179 ss. spec. p. 181: «la di-stribuzione dei compiti rilev[a] la gradazione degli interessi, mentre la scelta fra un organo monocratico o collegiale, tecnico o a formazione politica, specializzato in un campo piuttosto che in un altro, segn[a] in maniera decisiva il percorso e la direzione dell’attività predisposta per il loro perseguimento»; p. 192: «Al centro della questione deve porsi il rapporto fra gli interessi tutelati a livello di organizzazione e la distribu-zione dei compiti fra gli organi di un apparato amministrativo»; p. 193: «l’ottica si spo-sta così sulla scelta in ordine alla corrispondenza fra qualità del compito attributario e qualità dell’organo attributario, con tutte le conseguenze che da ciò deriveranno in termini di svolgimento della futura attività»; ID., Organizzazione amministrativa, voce in Dizionario di diritto pubblico, vol. IV, diretto da S. CASSESE, Milano, 2006, p. 4021: «la competenza va riconosciuta come grandezza qualitativa e, quindi, in termini di idonei-tà dell’ufficio a porsi come punto di snodo organizzativo della tutela degli interessi, e non più come dimensione quantitativa». In questa prospettiva, la violazione delle nor-me sulla competenza ha efficacia invalidante esclusivamente nelle ipotesi in cui sussi-sta «un riflesso della decisione organizzativa sulle modalità di cura e composizione degli interessi coinvolti», a prescindere, quindi, dalla natura vincolata o discrezionale del potere esercitato. Peraltro, già A. M. SANDULLI, Il procedimento amministrativo, cit., p. 107 evidenziava che: «in seno alla complessa organizzazione dello Stato [..] l’osser-vazione comune rileva una ripartizione delle diverse funzioni in un complesso ap-parato di organi. […] Il che si risolve, in fondo, nella conclusione che, in seno all’or-ganizzazione giuridica dell’ente, ciascun organo viene a porsi come il centro di un de-terminato nucleo di interessi»; p. 114: «in tale veste, esso appare, dal punto di vista

L’EFFICACIA NON INVALIDANTE

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parto di competenza fra i vari organi incide sia sulle modalità di ponderazione ed armonizzazione degli interessi sia sulla scelta dei criteri e sul loro procedimento applicativo ai fini delle c.d. valutazioni non discrezionali.

E di conseguenza, si deve coerentemente affermare che la violazione delle norme sulla competenza rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 21 octies secondo comma e, quindi, non è causa di annullabilità del provvedimento amministrativo esclusi-vamente nelle fattispecie di attività in toto vincolata (68).

Infatti, unicamente in queste ipotesi, le norme sulla compe-tenza sono neutre rispetto agli interessi da curare e disciplinano solamente la distribuzione interna dei compiti fra i vari organi appartenenti al medesimo ente .

È pur vero che la soluzione interpretativa proposta in que-sto lavoro limiterebbe profondamente la vis espansiva dell’art. 21 octies secondo comma (69), oltre forse a presentare qualche i-

giuridico, differenziato e talvolta contrapposto a quegli organi, i quali esprimono inte-ressi diversi».

(68) Comunque, la soluzione interpretativa accolta sembrerebbe trovare con-ferma nella formulazione letterale della novella normativa. Invero, – come sottoli-nea G. A. SALA, Procedimento e processo nella nuova legge 241, cit., p. 113 ss. – la «non alternatività» del contenuto dispositivo del provvedimento deve essere palese e, quindi «nota senza necessità di [compiere un’] indagine complessa» ovvero «di evi-denza immediata». Sul punto cfr. anche D. CORLETTO, Vizi formali e poteri del giudice amministrativo, cit., p. 165: «l’utilizzo dell’aggettivo palese comporterebbe che, ai fini del-l’applicazione dell’art. 21 octies, si possa considerarsi vincolato, e legittimo, solo quel provvedimento rispetto al quale dubbi [in ordine alla «non alternatività»] non posso-no porsi perché discende obbligatoriamente dall’esistenza di un unico e incontesta-bile presupposto. Ad es. il provvedimento di espulsione dello straniero sulla base del solo e inequivocabile presupposto della mancanza del permesso di soggiorno».

(69) Osserva E. FOLLIERI, La giurisdizione del giudice amministrativo a seguito dell’art. 21-octies della l. 07.08.1990 n. 241, cit., p. 80 che «l’impatto di questa disposizione potrebbe essere “statisticamente” non rilevante qualora la “natura vincolata” del provvedimento venisse riferita non solo alle ipotesi in cui l’amministrazione non abbia potere discrezionale, ma anche quando si debbano accertare i presupposti di fatto per l’esercizio del potere vincolato».

CAPITOLO TERZO

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nevitabile difficoltà applicativa essendo, in alcuni casi, dubbio se l’attività amministrativa abbia natura del tutto vincolata (70).

Tuttavia, si tratta di una prospettiva ermeneutica che, da un lato, è coerente con la valenza assiologica dell’incompetenza so-pra evidenziata; dall’altro, preclude una surrettizia trasformazio-ne del sindacato di legittimità in sindacato di merito (71); tra-sformazione che sarebbe incompatibile con il principio cardine del nostro ordinamento giuridico, secondo cui il giudice non può sostituire la propria valutazione a quella compiuta dall’am-

(70) Emblematica è la vicenda – richiamata da D. U. GALETTA, Violazione di

norme sul procedimento amministrativo e annullabilità del provvedimento, cit., p. 101 ss. – dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria.

(71) In questo senso, pur con riferimento ai vizi procedimentali, D. U. GALET-TA, Giudice amministrativo e vizi formali, cit., p. 125-126 che propone di applicare l’art. 21 octies secondo comma esclusivamente all’attività totalmente vincolata; M. A. SANDULLI, Vizi formali e vizi sostanziali: brevi riflessioni, in Vizi formali, procedimento, pro-cesso amministrativo, cit., p. 135: l’art. 21 octies è applicabile esclusivamente se «il con-tenuto del provvedimento è assolutamente certo, quando cioè effettivamente si può essere sicuri di non sovrapporre il giudizio del giudice alla valutazione dell’Ammi-nistrazione»; E. FOLLIERI, La giurisdizione del giudice amministrativo a seguito dell’art. 21-octies della l. 07.08.1990 n. 241, cit., p. 80; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 12 Marzo 2008 n. 2241, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico n. 3/2008: «L’indagine sul ca-rattere vincolato di un atto deve essere rigorosa, onde scongiurare che disinvolte opzioni ermeneutiche surrettiziamente consentano una generalizzata riduzione delle garanzie». Peraltro, il pericolo di interpretazioni estensive dell’art. 21 octies secondo comma con conseguente invasione da parte del giudice della sfera riservata all’am-ministrazione è evidenziata dalla dottrina più attenta agli ordinamenti stranieri. In particolare, con riferimento all’§46 VwVfG, D. U. GALETTA, Giudice amministrativo e vizi formali, in Vizi formali, procedimento, processo, cit., p. 97, osserva: «partendo da un’i-niziale delimitazione dell’ambito di azione della previsione alle sole ipotesi di attività amministrativa vincolata, la giurisprudenza tedesca ha esteso progressivamente l’ambito di applicazione della previsione anche alle ipotesi [...] di vera e propria de-cisione discrezionale»; ID., Violazione di norme sul procedimento e annullabilità, cit., p. 120: «I giudici amministrativi tedeschi [...] hanno limitato sovente la loro valutazio-ne alla semplice verifica che la decisione in concreto adottata dall’Amministrazione fosse riconducibile all’interno della fattispecie prevista dalla norma e nella ricorren-za di questo presupposto hanno facilmente concluso a favore della assenza di alter-native ai sensi e per gli effetti del §46 VwVfG»;

L’EFFICACIA NON INVALIDANTE

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ministrazione, tranne nelle ipotesi eccezionalmente e tassativa-mente previste di giurisdizione di merito (72).

La perdurante attualità di tale principio e la correlata pre-senza di una sfera riservata alla p.a. non è esclusa neppure dal-l’ampliamento dei mezzi istruttori (73). Certo, è necessario ricor-dare che attualmente il giudice amministrativo può accedere di-rettamente al fatto verificando l’effettiva correttezza delle c.d valutazioni non discrezionali. Tuttavia, non può sostituire il proprio apprezzamento a quello opinabile, eppure egualmente attendibile, compiuto dall’amministrazione: l’introduzione della c.d. consulenza tecnica rende possibile, infatti, un sindacato giu-risdizionale di tipo intriseco, ma di natura debole (74) (75).

(72) Riguardo il significato della locuzione giurisdizione di merito cfr. V. CAIA-NIELLO, Diritto processuale amministrativo, Torino, 2003, p. 205 con ampi riferimenti bibliografici.

(73) Vedi, riguardo l’introduzione della consulenza tecnica d’ufficio nell’ambito del giudizio amministrativo, A. PAJNO, La nuova giurisdizione del giudice amministrativo, in Giorn. Dir. Amm., 2000, p. 1107 ss.; F. CINTIOLI, Consulenza tecnica d’ufficio e sinda-cato giurisdizionale della discrezionalità tecnica: l’intensità del giudicato giurisdizionale al vaglio della giurisprudenza, in Il Nuovo processo amministrativo, a cura di F. CARINGELLA e M. PROTTO, Milano, 2002, p. 707 ss.; G. PERULLI, La consulenza tecnica d’ufficio nel processo amministrativo, Padova, 2002; A. CHIZZINI, I poteri istruttori del giudice amministrativo in generale e nella giurisdizione esclusiva, in Il processo davanti al giudice amministrativo, a cura di B. SASSANI e R. VILLATA, Torino, 2004, p. 313 ss.; S. MIRATE, Offerte anomale e CTU: il (concreto) accesso al fatto del giudice amministrativo, in Urb. ed App., 2007, p. 187 ss.

(74) Successivamente al revirement del Consiglio di Stato, Sez. IV, 9 Aprile 1999 n. 601 (in Foro It., 2001, III, p. 9 ss. con nota di A. TRAVI, Circa il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica del giudice amministrativo, in Dir. Proc. Amm., 2000, p. 185 ss. con nota di P. LAZZARA, «Discrezionalità tecnica» e situazioni giuridiche soggettive; in Giorn. Dir. Amm., 1999, p. 1179 ss. con nota di D. DE PRETIS, Discrezio-nalità tecnica ed incisività del controllo giurisdizionale; in Foro Amm., 2000, p. 422 ss.; in Foro Amm. CDS, 2007, p. 594 ss. con nota di L. PERFETTI, Ancora sul sindacato giudi-ziale, sulla discrezionalità tecnica) si possono individuare due posizioni giurisprudenzia-li. Un primo orientamento continua a ritenere che i provvedimenti amministrativi a contenuto tecnico-discrezionale siano sindacabili dal giudice amministrativo nei li-miti della manifesta illogicità, palese travisamento dei fatti o della motivazione in-congrua. Tale tipo di sindacato ha natura estrinseca perché il giudice applica mas-sime di esperienza appartenenti al sapere comune verificando dall’esterno la ragio-

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nevolezza e la logicità dell’iter cognitivo e volitivo compiuto dalla pubblica ammini-strazione. Fra le più recenti, che si possono leggere in www.giustizia-amministrativa.it, si richiamano: Cons. Stato, Sez. IV, 27 Giugno 2007, n. 3761; T.A.R. Lazio Roma, Sez. III, 19 Febbraio 2008, n. 1462; T.A.R. Lazio Roma, Sez. III, 29 Aprile 2008, n. 3577; Cons. Stato, Sez. VI, 6 Maggio 2008, n. 2009; Cons. Stato, Sez. VI, 22 maggio 2008, n. 2430. Un secondo orientamento critica l’equiparazione tra apprezzamento tecnico e valutazione di merito. Invero, la valutazione dei presupposti di fatto di un provvedimento amministrativo non è equiparabile, per il solo fatto di essere opina-bile e suscettibile di una pluralità di risultati, ad una valutazione di merito e, quindi, di opportunità riservata alla pubblica amministrazione. Di conseguenza, il giudice può verificare la correttezza e l’attendibilità del criterio tecnico e del procedimento applicativo utilizzato dalla pubblica amministrazione. Tuttavia, non può sostituire la propria valutazione a quella corretta, eppure opinabile, compiuta dall’amministra-zione: è il c.d. sindacato intriseco debole. Fra le più recenti, che si possono leggere in www.giustizia-amministrativa.it, si richiamano: Cons. Stato, Sez. VI, 8 Febbraio 2007, n. 515; T.A.R. Veneto, Sez. I, 14 Febbraio 2007, n. 446; T.A.R. Lazio, Sez. III, 31 Maggio 2007, n. 5047; Cons. Stato, Sez. VI, 4 Settembre 2007, n. 4635; Cons. Stato, Sez. VI, 19 Giugno 2008, n. 3066.

(75) In dottrina, cfr., senza pretesa di completezza, F. LEDDA, Potere, tecnica, sinda-cato giudiziario, in Dir. Proc. Amm., 1983, p. 423 ss. spec. p. 434: «La bilancia del giudice vale quanto la spada dell’amministratore. Il compito del giudice deve essere conte-nuto entro i comuni limiti del sindacato sull’attività e sull’atto». Tuttavia, l’autore è contrario al sindacato intriseco se mancano «regole tecniche oggettive co-munemente accettate» ovvero «nessuna tecnica è stata richiamata dal diritto». Ana-logamente, V. CERULLI IRELLI, Note in tema di discrezionalità amministrativa, in Dir. Proc. Amm., 1984, p. 488 ss. spec. p. 530: il sindacato intriseco è inapplicabile se «il giudizio è irripetibile» ovvero il «momento valutativo è caratterizzato da soggettività assoluta»; A. TRAVI, Circa il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica del giudice am-ministrativo, cit., p. 10 favorevole ad «un sindacato pieno, sulla bontà e condivisibilità della valutazione compiuta dall’amministrazione»; N. PAOLANTONIO, Il sindacato di legittimità, Padova, 2000; F. MERUSI, Giustizia amministrativa ed autorità amministrative in-dipendenti, in Dir. Proc. Amm., 2001, p. 193 ss. per il quale «i giudizi sull’esercizio del potere sono giudizi di resistenza e quindi giudizi sulla compatibilità di quanto già deciso con una norma, con inevitabile uso del criterio della ragionevolezza per quanto già deciso quando le soluzioni si prospettano plurime»; R. CARANTA, I limiti del sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in Giur. Comm., 2003, p. 178 ss. favorevole ad un sindacato intriseco pieno; M. CLARICH, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, Bologna, 2005, p. 48 che critica l’eccessiva cautela del giudice amministrativo nel sindacare i provvedimenti delle Autorità indipendenti; M. RAMAJOLI, Giurisdizione e sindacato sulle sanzioni pecuniarie antitrust dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 204/2004, in Dir. Proc. Amm., 2005, p. 330 ss.; più recentemente F. FRACCHIA, Giudice amministra-

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4. IL VIZIO DI INCOMPETENZA NON È CAUSA DI ANNULLABILITÀ ESCLU-SIVAMENTE NELLE IPOTESI DI PROVVEDIMENTI INTEGRALMENTE VIN-COLATI. LA CONCLUSIONE CUI SI È PERVENUTI NON È INFICIATA NÉ DALLE DISPOSIZIONI NORMATIVE CHE RISERVANO A «DECRETI DI NATU-RA NON REGOLAMENTARE» L’INDIVIDUAZIONE DEGLI UFFICI DI LIVEL-LO DIRIGENZIALE E LA DEFINIZIONE DEI RELATIVI COMPITI» NÉ DA QUELLE CHE ATTRIBUISCONO AGLI ORGANI GESTIONALI IL POTERE DI «ASSUMERE LE DETERMINAZIONI PER L’ORGANIZZAZIONE DEGLI UFFICI [...] CON LA CAPACITÀ E I POTERI DEL PRIVATO DATORE DI LAVORO»

Rimane, infine, da verificare se la configurazione dell’in-

competenza come vizio avente sempre efficacia invalidante, tranne che per i (pochi) provvedimenti totalmente vincolati, possa essere inficiata da quelle disposizioni (76) che riservano a decreti di natura non regolamentare la ripartizione delle attribu-zioni fra gli uffici dirigenziali non generali (77). La soluzione sem-bra essere negativa.

tivo ed energia: il sindacato del TAR Lombardia sugli atti dell’Autorità per l’energia e il gas, in Dir. Econ., 2007, p. 631 ss.; F. VOLPE, Discrezionalità tecnica e presupposti dell’atto ammi-nistrativo, in LexItalia Rivista internet di diritto pubblico n. 4/2008; P. MARZARO GAMBA, La (misura) della partecipazione nei procedimenti di tutela del patrimonio culturale «assolutezza» degli interessi e «procedimentalizzazione» dei poteri: le ragioni di una difficile coesistenza sotto l’egida della discrezionalità tecnica della p.a., in Riv. Giur. Urb., 2008, p. 18 ss.

(76) Si fa riferimento all’art. 17 comma 4 bis lettera e) della l. n. 400/1988 in-trodotto dall’art. 13 della l. n. 59/1997; all’art. 4 comma 4 del d.lgs. 300/1999; all’art. 6 comma 2 del d.lgs. 165/2001 il quale dispone l’applicazione dell’art. 17 comma 4 bis alle amministrazioni statali ad ordinamento autonomo.

(77) L. TORCHIA, Il nuovo ordinamento dei ministeri: le disposizioni di carattere generale, in La riforma del governo, Commento ai decreti legislativi n. 300 e n. 303 del 1999 sulla riorga-nizzazione della presidenza del consiglio e dei ministeri; Bologna, 2000, 125 ss. spec. p. 131: «Come alla legge spetta la distribuzione delle funzioni fra i ministeri, al regolamento spetta la distribuzione delle attribuzioni fra i dipartimenti o le direzioni generali e al decreto del Ministro spetta la distribuzione delle attribuzioni fra gli uffici dirigenziali non generali (corsivo aggiunto)»; G. D’AURIA, La nuova geografia dei Ministeri, in Giorn. Dir. Amm., 2000, p. 18: «i dirigenti (coloro, cioè, che governeranno i dipartimenti e direzioni generali) non potranno autonomamente assumere con “le capacità e i poteri del privato datore di lavoro” […] tutte le determinazioni inerenti all’organizzazione dei loro uffici e del loro personale, dal momento che dovranno essere “decreti” del

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Nulla quaestio, se a tali decreti caratterizzati dal duplice requi-sito della generalità (78) e dell’astrattezza (79), venisse riconosciu-

Ministro (benché di natura non regolamentare) a stabilire l’ordinamento degli uffici che dipendono dai dirigenti generali»; ID., La tormentata riforma della dirigenza pubblica, in Lav. Pubb. Amm., 2001, p. 15 ss.; C. D’ORTA, Il potere organizzativo delle pubbliche amministrazioni tra diritto pubblico e diritto privato, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazio-ni, a cura di F. CARINCI e L. ZOPPOLI, in Diritto del lavoro – Commentario, diretto da F. CARINCI, Torino, ed. 2004, p. 103-104: «Peraltro il rinvio all’art. 17, l. n. 400/1988 e alla previsione, ivi contenuta […] induce a ritenere che l’attribuzione, ai dirigenti generali, degli “atti relativi alla organizzazione degli uffici di livello dirigen-ziale non generale” non concerne l’individuazione degli uffici dirigenziali di base, ma solo la loro organizzazione interna»; Corte Conti, 7 Giugno 2000 n. 53, in Riv. Corte Conti, 2000, p. 34 puntualmente richiamata da A. PIOGGIA, La competenza amministrativa, cit., p. 256 ss: «il potere di organizzare gli uffici di livello dirigenziale non generale all’interno di un dipartimento attraverso la ridefinizione dell’organico, delle compe-tenze e delle responsabilità, non rientra nella potestà organizzatoria dei dirigenti generali, ma anche dopo le modifiche apportate con l’art. 4 comma 4 d.P.R. n. 300 del 1999 al d.lg. n. 29 del 1993, nei poteri del Ministro, da esercitare attraverso de-creti aventi valore non regolamentare». Nel caso di specie, la sezione di controllo ha ritenuto illegittimo in quanto viziato da incompetenza il provvedimento del dirigen-te del dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze avente ad oggetto il riassetto organizzativo degli uffici di livello dirigenziale non generale facenti parte del predetto dipartimento. Riguardo il rapporto fra l’art. 17 comma 4 bis lettera e) della l. n. 400/1988 e l’art. 16 comma 1 «i dirigenti di uffici dirigenziali generali, comunque denominati [...] adottano gli atti relativi all’organizzazione degli uffici di livello dirigenziale non generale» vedi E. CATELANI, Regolamenti di organizzazione ed altri atti di disciplina degli uffici ministeriali: lo «stato» della riforma, in Osservatorio sulle fonti 2000, a cura di U. DE SIERVO, Torino, 2001, p. 165 ss. spec. p. 187: la lettura siste-matica delle due disposizioni in questione conduce a ritenere che «al dirigente non generale sia affidata la disciplina più dettagliata e specifica, residuante dalla discipli-na di settore del ministro. In altre parole, il dirigente dovrà limitarsi a regolare quanto attiene più strettamente alla gestione degli uffici». Cfr., anche G. TARLI BARBIERI, Fonti del diritto e riforma dei Ministeri, in Osservatorio sulle fonti 1999, a cura di U. DE SIERVO, Torino, 2000, p. 88. Per un quadro generale riguardo la riforma dei Ministeri appare imprescindibile il contributo di G. SCIULLO, Alla ricerca del centro, Le trasformazioni in atto nell’amministrazione statale italiana, Bologna, 2000.

(78) Riguardo il carattere della generalità cfr. V. CRISAFULLI, Atto normativo, vo-ce in Enc. Dir., vol. IV, Milano, 1959, p. 256; ID., Lezioni di diritto costituzionale, Pa-dova, 1970, p. 22 che configura «la generalità come ripetibilità». In questa ottica, anche norme che, a prima vista, «sembrano avere pochissimi destinatari si rilevano generali perché applicabili a chiunque venga a trovarsi nella situazione ipotizzata: ad

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ta natura normativa (80). In questo caso, l’inosservanza del ripar-to di funzioni da essi disciplinato integrerebbe senza dubbio il vizio di incompetenza.

Tuttavia, è necessario ricordare che la distinzione fra atti amministrativi generali ed atti normativi appare sempre più fori-era di incertezze. Emblematicamente, autorevole dottrina ha af-fermato che «a tutt’oggi non sembra essere ancora stato indivi-duato un criterio generalmente valido» ai fini di tale distinzione (81).

es. a tutti coloro che siano o saranno preposti all’ufficio di Capo dello Stato o di membro del Parlamento e, fuori dell’ambito del diritto statale, a tutti coloro che siano presidenti o segretari o amministratori di una associazione o di una società commerciale».

(79) Riguardo il carattere dell’astrattezza cfr. V. CRISAFULLI, Atto normativo, cit., p. 678; ID., Lezioni di diritto costituzionale, cit., p. 21; L. PALADIN, Diritto costituzionale, Padova, 1999, p. 128; G. U. RESCIGNO, L’atto normativo, Bologna, 1998, p. 789: «L’astrattezza è concepita come “ripetibilità” o, “come generalità nell’ordine tem-porale”, ed implica che la disposizione normativa sia suscettibile di una serie di ap-plicazioni indefinite e indefinibili a priori».

(80) Vedi F. CINTIOLI, A proposito dei decreti ministeriali «non aventi natura regolamen-tare», in Quaderni costituzionali, 2003, p. 821 per il quale la qualificazione legislativa dei decreti ministeriali come «atti di natura non regolamentare» non può essere confi-gurata come una «sorta di interpretazione autentica [della loro natura non normati-va] e se anche di interpretazione autentica si trattasse» una disposizione legislativa non potrebbe attribuire ad un atto «una qualità che non ha».

(81) A. ROMANO TASSONE, La normazione secondaria, in Diritto amministrativo, cit., p. 63 che richiama la perdurante incertezza della dottrina e della giurisprudenza sul-la natura giuridica di alcuni atti generali dei quali è affermato ora il carattere norma-tivo ora il carattere provvedimentale (ad es. il provvedimento di determinazione delle tariffe, il piano regolatore generale). Sul concetto di atto normativo e sulla sua distinzione dall’atto amministrativo generale vedi M. S. GIANNINI, Provvedimenti am-ministrativi generali e regolamenti ministeriali, in Foro it. 1953, III, p. 18 ss. per il quale atti amministrativi generali «sarebbero preordinati alla cura dell’interesse pubblico con-creto ed attuale; quelli normativi invece avrebbero la funzione di disciplinare in via astratta i rapporti giuridici al fine costituire l’ordinamento giuridico»; A. M. SAN-DULLI, Sugli atti amministrativi generali a contenuto non normativo, in Foro it., 1954, vol. IV, p. 121 ss. secondo cui non hanno natura normativa, ma amministrativa quelli atti generali «che non solo adempiono ad una funzione costitutiva dell’or-dinamento giuridico, ma anche sono destinati ad esaurire la loro efficacia con le

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Nel caso di specie, la questione appare ancor più complessa in quanto i decreti in esame sono testualmente qualificati dal-l’art. 17 comma 4 bis della l. n. 400/1988 come atti aventi natura non regolamentare. Ciò comporta senza dubbio l’inapplicabilità de-gli adempimenti procedimentali previsti per l’emanazione dei re-golamenti ministeriali (82), ma può anche essere indice della loro natura amministrativa e non invece normativa (83) (84). singole applicazioni dell’atto stesso di guisa che possono considerarsi determinabili a posteriori i singoli destinatari».

(82) Vedi F. SORRENTINO, Le fonti del diritto amministrativo, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di G. SANTANIELLO, vol. XXXV, Padova, 2004, p. 256-257: «L’esperienza successiva alla legge 400 ha mostrato la tendenza, ancora forte negli apparati ministeriali, alla fuga dalla forma regolamentare e dai controlli cui questa è ricollegata, attraverso l’adozione di atti ministeriali sostanzialmente normativi, adot-tati in forme e con denominazione diverse (ordinanza e decreto)». Con specifico riferimento alla disposizione di cui nel testo l’autore scrive: «poiché la definizione dei compiti degli uffici amministrativi non può non essere esercizio di funzione amministrativa, il riferimento alla natura non regolamentare ha il solo significato di sottrarre tale attività alle regole generali stabilite dal comma 3 e dal comma 4 com-portanti il parere del Consiglio di Stato, la registrazione della Corte dei Conti e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale».

(83) G. U. RESCIGNO, L’atto normativo, cit., p. 33: «Vi sono nel sistema italiano alcune disposizioni che non sono comprensibili se non si ammette l’esistenza di norme interne: [...] Il comma 4 bis [lettera e) dell’art. 17 della l. n. 400/1988] preve-de chiaramente l’esistenza di atti normativi secondo il concetto che però non vanno trattati come regolamenti perché interni alle direzioni generali». In proposito, vedi anche G. DELLA CANANEA, Gli atti amministrativi generali, Padova, 2000, p. 66: «Gli uffici dirigenziali non generali sono determinati, anziché da regolamenti, da decreti ministeriali espressamente qualificati come “non regolamentari”, vale a dire da atti prescrittivi generali». Secondo questo autore, gli atti amministrativi generali non aventi natura normativa possono essere configurati come «precetti ai quali è affidata [da disposizioni normative] la qualificazione dei comportamenti da porre in essere» e hanno, quindi, la funzione di integrare le norme giuridiche. Se si accoglie questa originale ricostruzione si può affermare che la violazione del riparto delle attribu-zioni disciplinato da decreti ministeriali di natura non regolamentare è inquadrabile sub specie di incompetenza.

(84) Riguardo la legittimità costituzionale delle disposizioni normative che devol-vono ad atti non normativi la ripartizione delle competenze cfr. A. PIOGGIA, La com-petenza amministrativa, cit., p. 232-238 ss. con ampi richiami dottrinali spec. p. 237 ss.: «a voler intendere la previsione di cui al secondo comma dell’art. 97 in termini di garan-

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Orbene, pure in questo caso, il provvedimento adottato in violazione dei predetti decreti sarebbe annullabile. Invero, come sopra dimostrato, l’efficacia invalidante del vizio di incompetenza trova giustificazione non tanto nella natura normativa delle regole che ripartiscono le funzioni fra i vari organi ma piuttosto, per quanto concerne i provvedimenti discrezionali, nella idoneità di tali prescrizioni ad incidere sulle modalità di ponderazione degli interessi nonché, per quanto riguarda le c.d. valutazioni non di-screzionali, sulla scelta dei criteri di giudizio da utilizzare (85).

La conclusione cui si è pervenuti sembra essere confermata dall’art. 2 comma 1 lettera c) della l. n. 421/1992 (86) e dalla giu-

zia relativa alla necessaria precostituzione delle scelte organizzative rilevanti e non invece quale indicazione dell’ambito materiale riservato ad una certa fonte, ne emerge che la competenza deve essere fissata e garantita, indipendentemente dalla qualità formale della regola che la pone». Contra E. CATELANI, Sub art. 95. Commentario alla Costituzione, a cura di R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI, Torino, 2006, p. 1853 ss.

(85) Efficacemente A. PIOGGIA, La competenza amministrativa, cit., p. 237: «Nel quadro di una visione sostanziale, all’incompetenza [è riconosciuta] la qualità di uno stato viziante autonomo rispetto alla violazione di legge, configurabile come infra-zione di una regola organizzativa la cui previsione e la cui protezione sono conside-rati rilevanti nei confronti dei terzi». Contra D. SORACE, La «legificazione delle norme generali» sull’azione amministrativa, in Amministrare, 2002, p. 333 il quale a proposito del d.d.l. n. 1281 scrive: «nel comma 1 dell’art. 13 sexies si stabilisce, condivisibilmente (ed anzi ovviamente, se è vero che già lo si considerava un vizio di legittimità), che l’incompetenza rileva come vizio dell’atto amministrativo soltanto quando la com-petenza sia stabilita da leggi o regolamenti».

(86) L’art. 2 comma 3 lettera c) della l. n. 421/1992 prevede che «sono regolate con legge, ovvero, sulla base della legge o nell’ambito dei princìpi dalla stessa posti, con atti normativi o amministrativi, le seguenti materie: [...] 2) gli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi». È pur vero che, per quanto con-cerne la disciplina dell’organizzazione, l’art. 2 della legge delega 421/1992 fa espresso riferimento ad atti normativi e amministrativi; invece l’art. 2 comma 1 del d.lgs. 165/2001 utilizza la più generica locuzione atti organizzativi che potrebbe ricomprendere pure atti di diritto privato. Tuttavia, come nota C. D’ORTA, Il potere organizzativo delle pubbliche amministrazioni tra diritto pubblico e diritto privato, in Il lavoro alle dipendenze delle amministra-zioni pubbliche, cit., p. 104-105 la predetta interpretazione non appare fondata. Infatti, «l’art. 5 comma 2 del d.lgs. 165/2001 appare contenere una contrapposizione fra atti di organizzazione degli uffici aventi carattere privatistico e gli atti di organizzazione di cui all’art. 2 del d. lgs. 165/2001 di cui sarebbe confermata a contrario la natura pubbli-

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risprudenza costituzionale da cui si desume che la disciplina del-l’organizzazione pubblica deve essere riservata «nel suo nucleo essenziale» a fonti di natura pubblicistica (87), ricomprendenti non solo gli atti normativi, ma anche quelli a contenuto generale non regolamentare (88).

E a questo «nucleo essenziale» appartiene il riparto delle funzioni fra i vari organi che costituisce espressione prescrittiva della corrispondenza fra «svolgimento di certe attività e una cer-ta dimensione degli interessi accuditi» (89). cistica. [...] Nell’insieme, dunque, il combinato disposto dell’art. 2, legge-delega n. 421/1992 e delle richiamate disposizioni del d.lgs. 165/2001 identifica un nucleo mi-nimo ed incomprimibile dell’organizzazione “alta” che comprende l’articolazione strutturale dell’amministrazione in uffici dirigenziali di livello generale e di livello subor-dinato»; Cass. Civ. Sez. Unite, Ordinanza 6 Febbraio 2003, n. 1807, in Lav. Pubbl. Amm., 2003, p. 307 spec. p. 311 che evidenzia «la separazione tra fonti pubblicistiche di disciplina dell’organizzazione amministrativa e fonti privatistiche di disciplina degli uffici e dell’organizzazione e gestione dei rapporti di lavoro» e successivamente preci-sa come «una controversia che non assumesse a suo oggetto il contratto e le fonti che disciplinano il rapporto di lavoro, ma, in via diretta, l’organizzazione amministrativa o il potere provvedimentale […] non sarebbe inerente al rapporto di lavoro».

(87) Cfr. Corte Cost. 25 Luglio 1996 n. 313, in Giur. Cost., 1996, p. 2584 ss.; Corte Cost. 16 Ottobre 1997, n. 309, in Cons. Stato, 1997, II, p. 1543 ss. spec. p. 1545: «la disciplina dell’organizzazione pubblica deve essere riservata “nel suo nu-cleo essenziale” alla massima sintesi politica espressa dalla legge nonché alla potestà amministrativa nell’ambito di regole che la stessa pubblica amministrazione previa-mente pone». È pur vero che questi arresti giurisprudenziali riguardano la privatiz-zazione del rapporto di lavoro dei dirigenti degli uffici dirigenziali non generali e dei dipendenti. Tuttavia, come notano A. ORSI BATTAGLINI e A. CORPACI, Sub art. 4, in La riforma dell’organizzazione dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pub-bliche, a cura di A. CORPACI, M. RUSCIANO, L. ZOPPOLI, in Nuove Leggi civili commen-tate, 1999, p. 1097, appare egualmente possibile trarre da queste sentenze dei prin-cipi relativi all’organizzazione dei pubblici uffici.

(88) Cfr. A. ORSI BATTAGLINI e A. CORPACI, Sub art. 2 comma 1 del d.lgs. 29/1993, in La riforma dell’organizzazione, dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche, cit., p. 1068: «la norma in esame, parlando di atti organizzativi, non richie-de sempre e comunque l’utilizzo dello strumento regolamentare; ammettendo ac-canto e ad integrazione di tale tipo di fonte, l’uso di atti a contenuto generale di na-tura non regolamentare».

(89) Così M. CAMMELLI, Delega amministrativa, voce in Enc. Giur., vol. X, Roma, 1988, p. 4; A. PIOGGIA, La competenza amministrativa, cit., passim.

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Di conseguenza, l’inosservanza della disciplina sulla com-petenza comporta inevitabilmente l’invalidità del provvedimen-to non avente natura in toto vincolata, a prescindere dalla natura normativa o amministrativa degli atti che individuano il quantum delle funzioni spettante a ciascun organo.

Peraltro, eguale regime giuridico appare applicabile ai prov-vedimenti adottati dai dirigenti non generali eccedendo i li-miti delle funzioni delegate (90) ex art. 17 comma 1 lettera c) del d.lgs. 165/2001 (91).

Infatti, tenendo conto della valenza pubblicistica delle rego-le sulla competenza, non pare possibile attribuire ai predetti atti di delega natura privatistica ex art. 5 comma 2 del d.lgs. 165/2001. Pertanto, ai provvedimenti adottati dai dirigenti non generali in violazione delle funzioni loro delegate o conferite non può essere applicato, in via analogica, il regime giuridico dei negozi conclusi dal falsus procurator (92); regime che avrebbe pre-

(90) Riguardo la delega cfr. G. MIELE, Delega (diritto amministrativo), voce in Enc. Dir., vol. XI, Milano, 1962, p. 909: «l’estensione della competenza (dal delegante al delegato) operato con l’atto di delega ha per l’effetto di apportare una deroga alle norme sulla competenza di cui trattasi, rendendo validi i provvedimenti emanati dal delegato in applicazione della delega. Gli atti del delegato, perciò, se compiuti entro i limiti e le condizioni poste dalla legge che prevede la delega non saranno viziati d’in-competenza come invece accadrebbe se non vi fosse stata la delega (corsivo aggiunto)». Vedi anche M. CAMMELLI, Delega Amministrativa, cit., p. 1 il quale propone una nuova concezione di delega «non più soltanto come deroga legittimata all’ordinamento del-le competenze», ma anche come «strumento per rivedere e modificare l’originaria classificazione di corrispondenza fra lo svolgimento di certe attività ed una certa dimensione di interessi accuditi in vista […] di differenziate modalità di integrazio-ne»; F. S. SEVERI, Delegazione amministrativa e utilizzazione degli uffici, voce in Dig. Disc. Pubbl., vol. IV, Torino, 1989, p. 552 ss. con ampi riferimenti bibliografici.

(91) Art. 17 comma 1 del d.lgs. 165/2001: «I dirigenti, nell’ambito di quanto stabilito dall’articolo 4, […] svolgono tutti gli altri compiti ad essi delegati dai diri-genti degli uffici dirigenziali generali».

(92) Vedi F. MESSINEO, La sorte del contratto stipulato dal rappresentante apparente («fal-sus procurator»), in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1956, p. 396 che esclude il diritto di recesso unilaterale del terzo; F. CARRESI, Il contratto, in Trattato di diritto civile e commerciale, diret-to da A. CICU e F. MESSINEO, vol. XXI, tomo 1, Milano, 1987, p. 180 il quale osserva che «il terzo contraente resta pur sempre vincolato»; L. FRANCARIO, La rappresentanza

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cluso al cittadino, soggetto terzo rispetto al rapporto dirigente non generale-amministrazione, di far valere l’invalidità dei prov-vedimenti in esame(93).

senza potere, in Il contratto in generale, vol. VI, a cura di L. BIGLIAZZI GERI, V. CARBONE, L. FRANCARIO, C. LAZZARA, M. TAMPONI, in Trattato di diritto privato, diretto da M. BESSONE, vol. XII, Torino, 2000, p. 140: «Al terzo contraente non è consentito né recedere unilateralmente dall’accordo né far valere l’inefficacia del contratto concluso con il falsus procurator»; R. SACCO, Il contratto, vol. II, in Trattato di diritto civile, diretto da R. SACCO, Torino, 2004, p. 186: «Prima della ratifica dispone – il comma 3 dell’art. 1399 – il terzo contraente e il falsus procurator possono, d’accordo, sciogliere il contrat-to. La norma è valida non tanto a consentire il mutuo dissenso, quanto ad escludere il recesso unilaterale del terzo contraente. Se questi conosceva il difetto di poteri non merita tutela; se non lo conosceva, in caso di ratifica non subirà alcun danno […]».

(93) A tale orientamento aderisce invece A. PIOGGIA, La competenza amministra-tiva, cit., passim spec. p. 243-264. Il presupposto di questa puntuale ricostruzione è differente da quello accolto in questo lavoro. La chiara autrice pone in luce che «se non è da dubitarsi della natura privatistica degli atti di organizzazione interna e della spettanza del relativo potere agli organi di gestione non sembra, però, altrettanto convincente l’affermazione per cui l’area in cui può operarsi con tali strumenti sia da ritenersi sicuramente limitata a quest’ambito materiale. La formulazione letterale del testo legislativo che riserva agli atti pubblicistici unicamente le “linee fondamen-tali di organizzazione” nonché l’individuazione di quelli fra essi ai quali sarebbe da riconoscersi “maggior rilievo” non pare coprire interamente l’area dell’organizza-zione esterna». [...] In questa prospettiva deve essere inquadrata la successiva affer-mazione della Pioggia secondo cui i decreti ministeriali di natura non regolamentare specificano l’ambito materiale cui ineriscono le funzioni e/o i compiti che il diri-gente dell’ufficio dirigenziale generale potrà delegare o conferire a ciascuno dei diri-genti degli uffici dirigenziali non generali. In altri termini, i dirigenti generali posso-no distribuire compiti ai dirigenti di base «determinando anche la sfera della loro legit-timazione al compimento di atti rilevanti per i terzi. [...] A siffatte scelte di organizza-zione, infatti, non appartiene alcuna specialità pubblica, dal momento che questa è stata ricondotta all’incidenza della distribuzione dei compiti sull’assetto dato alla cura degli interessi». In questa prospettiva, non è affetto da incompetenza il prov-vedimento adottato «da un dirigente non generale diverso da quello cui è stata dele-gata l’adozione dell’atto, ma che appartiene alla medesima direzione generale».

CAPITOLO QUARTO

L’ANNULLABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO ADOTTATO IN VIOLAZIONE DELLE NORME

SULLA COMPETENZA E I CANONI COSTITUZIONALI DI IMPARZIALITÀ E DI BUON ANDAMENTO

SOMMARIO: 1.1 L’imparzialità è garantita non solo dai principi e dalle

regole concernenti l’amministrazione oggettiva, ma anche dalle norme ine-renti l’amministrazione soggettiva ed, in particolare, da quelle che discipli-nano il riparto di competenza fra gli organi. Tale assunto non si applica ai provvedimenti integralmente vincolati. – 1.2 La figura paradigmatica della ripartizione della competenza fra organi di governo e dirigenti. – 2. L’annullabilità del provvedimento viziato da incompetenza appare diretto a garantire che il potere venga esercitato dall’organo ritenuto dall’ordinamen-to idoneo a ponderare i molteplici interessi configgenti o a compiere una valutazione non discrezionale ad esso riservata e, quindi, che «la trasforma-zione del potere in atto» sia conforme al principio di buon andamento. Tale assunto non si applica ai provvedimenti integralmente vincolati.

1.1 L’IMPARZIALITÀ È GARANTITA NON SOLO DAI PRINCIPI E DALLE RE-GOLE CONCERNENTI L’AMMINISTRAZIONE OGGETTIVA, MA ANCHE DAL-LE NORME INERENTI L’AMMINISTRAZIONE SOGGETTIVA ED, IN PARTICO-LARE, DA QUELLE CHE DISCIPLINANO IL RIPARTO DI COMPETENZA FRA GLI ORGANI. TALE ASSUNTO NON SI APPLICA AI PROVVEDIMENTI INTE-GRALMENTE VINCOLATI.

Determinati, quindi, i limiti entro cui il vizio di incompeten-

za rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 21 octies secondo comma, si tratta di verificare se la soluzione interpretativa accol-ta possa trovare ulteriore conferma nella Carta Costituzionale.

In particolare, è necessario esaminare se ed in quali limiti il riparto di competenza nonché, di conseguenza, l’annullabilità

CAPITOLO QUARTO

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del provvedimento adottato in violazione di questo riparto, sia funzionale a garantire l’osservanza dei canoni costituzionali di cui all’art. 97 Cost. L’esame dovrà essere condotto prima con riferimento all’imparzialità e, successivamente, al buon anda-mento.

In via preliminare, è opportuno esplicitare la nozione di im-parzialità accolta nel presente studio.

Al riguardo, si nota che una compiuta disamina delle molte-plici ricostruzioni concernenti tale principio equivarreibe a «scri-vere una larga parte della storia del diritto amministrativo italia-no» (1) ed esula, quindi, dal presente lavoro.

Tuttavia, sembra comunque possibile evidenziare che queste elaborazioni presentano un profilo comune: cercano di superare l’apparente contraddizione esistente fra il principio di imparzia-lità e la pubblica amministrazione; contraddizione derivante dal fatto che alla pubblica amministrazione è tradizionalmente rico-nosciuta la connotazione di parte (2).

Orbene, la predetta antinomia può essere superata esclusiva-mente abbandonando la concezione soggettiva-istituzionale del-l’amministrazione ed accogliendo, invece, quella oggettiva-fun-zionale.

Nella prospettiva soggettivo-istituzionale, «l’autorità ammi-nistrativa, pur nell’ambito delle leggi, cura gli interessi pubblici concepiti come interessi delle istituzioni» e a tal fine «dispone [di quelli] privati soddisfacendoli o sacrificandoli» (3).

(1) E, probabilmente pure degli altri rami del diritto visto che, come nota, V.

ZOLI, La tutela degli interessi legittimi nel diritto del lavoro, in Giust. Civ., 1984, II, p. 431, l’imparzialità è «principio immanente dell’intero ordinamento giuridico».

(2) Rileva, G. SALA, Il principio del giusto procedimento, cit., p. 102, «il giudice è per definizione terzo ed estraneo rispetto alla lite (tra soggetti e interessi) che deve co-noscere; l’amministrazione invece deve farsi portatrice e al massimo grado degli in-teressi che dalla legge è deputata a realizzare».

(3) G. PASTORI, Interesse pubblico e interessi privati fra procedimento, accordo e autoam-ministrazione, in Scritti in onore di P. Virga, Torino, 1994, p. 1306.

L’ANNULLABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO

147

L’amministrazione è concepita come una «parte» che si con-fronta, ma anche si scontra con le altre parti: i privati (4).

Nell’ottica, invece, oggettiva-funzionale, l’amministrazione persegue gli scopi e gli obiettivi determinati dalla legge o, per u-tilizzare una locuzione della Corte Costituzionale, «le finalità pubbliche obiettivate nell’ordinamento» (5). L’amministrazione, dunque, esiste ed opera non «in funzione di sé stessa» ma «di soggetti e fini che stanno fuori di essa, che la trascendono» ed, in specie, per tutelare i diritti fondamentali dell’uomo e favorire lo sviluppo della persona (6). All’amministrazione è, quindi, at-tribuito l’aggettivo pubblica non perché «è espressione delle isti-tuzioni di governo e dei relativi poteri di comando», ma in quan-to soddisfa «interessi che sono pubblici in quanto qualificati come tali dalla legge» (7).

In questa prospettiva può essere inquadrata la nota rico-struzione dell’Allegretti il quale sostiene che la pubblica ammini-strazione è imparziale quando, da un lato, ha acquisito l’esatta,

(4) Cfr. U. ALLEGRETTI, Amministrazione e costituzione, cit., passim, spec. p. 20-21: «È dunque l’interesse di un soggetto, il soggetto «stato» che l’amministrazione ser-ve. Da ciò la sua identificazione con lo stato, la sua immediata e naturale configura-zione come soggetto – l’amministrazione è tipicamente il potere che coincide con lo stato inteso come apparato – e la sua posizione di parte (comunemente affermata dalla dottrina giuridica) nei rapporti e nelle attività amministrative, con la correlativa contrapposizione ai privati, diversamente da come il legislativo, come autorità e-sterna, e il giudice, come terzo imparziale, si rapportano ai destinatari della loro at-tività».

(5) Cfr. Corte Cost., 15 Ottobre 1990, n. 453, in Giur. Cost., 1990, p. 2706 ss.; Corte Cost., 23 Luglio 1993, n. 333, in Giur. Cost., 1993, p. 2642; Corte Cost. 23 Marzo 2007, n. 103, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico, n. 3/2007; Corte Cost. 20 Maggio 2008, n. 161, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico, n. 5/2008.

(6) Così U. ALLEGRETTI, Amministrazione e costituzione, cit., p. 215. (7) G. PASTORI, Interesse pubblico e interessi privati fra procedimento, accordo e autoam-

ministrazione, cit., p. 1308; F. BENVENUTI, Disegno dell’amministrazione italiana, cit., p. 165: «l’amministrazione è parte attiva di un rapporto, ma di un rapporto che per effetto di questo principio anziché essere autoritario è paritario e cioè essa non è più l’unica parte ma è una delle parti cui spetta di soddisfare un interesse comune alle altre parti del rapporto».

CAPITOLO QUARTO

148

completa ed adeguata conoscenza dei presupposti di fatto del provvedimento amministrativo da emanare (c.d. imparzialità-ve-rità); dall’altro, ha realizzato, per quanto possibile, «il bene di tutti i soggetti singolarmente o collettivamente toccati dall’azio-ne amministrativa» o, con formula suggestiva, «il bene comune» (c.d. imparzialità-giustizia) (8). L’amministrazione, dunque, è te-nuta ad esercitare il proprio potere di provvedere non solo arre-cando il minor pregiudizio possibile ai molteplici interessi (indi-viduali, collettivi, pubblici) tutelati dall’ordinamento (9), ma an-che alla luce «del superiore principio del complessivo sviluppo personale di tutti i soggetti» (10).

Trasponendo questa elaborazione dai «termini della dialetti-ca concettuale» alla sfera propria «della dialettica reale e dello

(8) U. ALLEGRETTI, L’imparzialità amministrativa, cit., p. 73: «Il fine pubblico non è dunque l’interesse della comunità, considerata come un’entità distinta da co-loro che la compongono e ad essi superiore, al contrario la comunità è l’unità di pluralità di soggetti viventi in comunione e i bisogni e fini che le appartengono non sono di altri che di questa pluralità di soggetti cospiranti ad unità»; p. 79: «L’imparzialità consiste nel fatto che l’autorità cura tutti [gli interessi individuali, collettivi e specifici] nella loro varietà e complessità: è soltanto nel complesso dei vari interessi che si concreta il bene pubblico in senso generale e globale».

(9) Sul punto vedi U. ALLEGRETTI, L’imparzialità amministrativa, cit., p. 28-52 spec. p. 30: «L’imparzialità non indica una condizione superiore a quella di parte, u-na condizione di imparzialità quale è quella che viene predicata dalla legislazione o della giurisdizione, ma soltanto la giustizia della parte e la sua solidarietà nei riguardi del fine generale dell’ordinamento e delle posizioni delle altre parti: è, in sostanza, non tanto imparzialità (nel senso di assenza di fini e posizione di parte) quanto as-senza di parzialità nel comportamento della parte». Sul punto, si richiamano le effi-caci osservazioni di D. SORACE, Politica-amministrazione. Discrezionalità-autorità, in Am-ministrare, 1989, p. 238: «la difficoltà che vi è talvolta nell’individuare nelle leggi qua-le sia l’interesse primario sembra però aver suggerito di rinunciare a questo riferi-mento per sottolineare piuttosto che la comparazione fra gli interessi deve avvenire secondo regole riconducibili al principio di imparzialità, alla cui luce si deve tentare una composizione di tutti gli interessi in gioco, considerati alla pari, alla ricerca del-l’interesse comune».

(10) Si nota che, comunque, l’Allegretti appare attribuire al principio di impar-zialità un valore assoluto predicandone l’applicazione all’attività privata della pub-blica amministrazione (p. 125-142), all’indirizzo politico (p. 133-134) e all’ordina-mento (p. 142-149, spec. p. 143).

L’ANNULLABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO

149

scontro fra i diversi interessi» (11), si può affermare che l’ammi-nistrazione è imparziale quando valuta tutti e solo gli interessi le-gislativamente tutelati ed esercita il proprio potere di provvedere «in base ai criteri previsti dalla legge ovvero agli indirizzi generali adottati dagli organi competenti» (12); è invece parziale quando, deviando dalla funzione che l’ordinamento le ha attribuito, prende in considerazione interessi estranei e differenti da quelli ritenuti meritevoli di tutela dall’ordinamento (13).

La predetta nozione appare idonea ad evidenziare non solo il profilo soggettivo – si potrebbe dire interrelazionale – dell’im-parzialità che è tradizionalmente identificato con il divieto di di-sparità di trattamento (14), ma anche quello oggettivo. In questo contesto si può comprendere perché l’amministrazione sia tenu-ta non solo a «trattare situazione eguali in modo eguale», ma an-

(11) Le espressioni riportate nel testo sono tratte da A. CERRI, Imparzialità e in-

dirizzo politico, cit., p. 76. (12) A. CERRI, Imparzialità e indirizzo politico, cit., p. 120; A. M. SANDULLI, Ma-

nuale di diritto amministrativo, cit., p. 587: «la realizzazione dei compiti assegnati all’amministrazione non deve essere separata dal rispetto della giustizia sostanziale: [...] giustizia sia nel confrontare gli interessi dei singoli con quelli dell’ammi-nistrazione sia nel confrontare tra loro gli interessi dei vari soggetti estranei alla p.a. ma implicati nell’azione di questa».

(13) Ad esempio, se venisse emanato un provvedimento di espropriazione la ponderazione dei molteplici interessi evidenziati dalla legge (interesse alla produ-zione agricola, alla produzione industriale, alla tutela del paesaggio, ecc.) potrebbe essere condizionata da considerazioni di amicizia personale, di appartenenza alla medesima parte politica e quindi da interessi estranei alla funzione.

(14) Cfr., ex multis, P. BARILE, Il dovere di imparzialità della pubblica amministrazione, in Scritti in onore di P. Calamandrei, Padova, 1956, p. 195: «il principio di imparzialità è stato introdotto al precipuo e dichiarato scopo di salvaguardare gli individui da di-sparità di trattamento causate da differenze di opinioni politiche»; P. BISCARETTI DI RUFFIA, La pubblica amministrazione e l’ordinamento politico costituzionale, in Problemi della pubblica amministrazione, vol. I, Bologna, 1958, p. 141; M. S. GIANNINI, Diritto ammi-nistrativo, cit., ed. 1993, p. 91 che fa riferimento «al divieto di favoritismi»; S. CASSE-SE, Imparzialità amministrativa e sindacato giurisdizionale, cit., p. 17 ss il quale rileva che secondo la prevalente giurisprudenza il principio costituzionale di imparzialità è violato nelle ipotesi in cui il provvedimento amministrativo sia affetto da disparità di trattamento.

CAPITOLO QUARTO

150

che a «neutralizzare la pressione di interessi diversi da quelli isti-tuzionalmente preposti all’esercizio della funzione» (15) o, in altri termini, a soddisfare l’interesse pubblico in modo conforme «al-la dimensione e all’intensità che le disposizioni normative hanno ad esso attribuito nel caso concreto e in relazione a tutti gli altri interessi coinvolti» (16).

Esplicitata la nozione di imparzialità accolta in questa inda-gine, si deve verificare se un provvedimento affetto dal vizio di incompetenza, ma pienamente conforme ai principi e alle regole concernenti l’azione amministrativa sia per ciò stesso imparziale. Se, infatti, la verifica avesse esito positivo, si potrebbe proba-bilmente riconoscere natura esclusivamente formale all’incom-petenza.

Al riguardo, si sottolinea che, come ricordato in premessa, uno dei caratteri fondamentali della discrezionalità è il potere dell’amministrazione di scegliere fra più soluzioni – tutte astrat-tamente ammissibili in quanto ragionevoli, logiche, adeguate – quella ritenuta più opportuna per la realizzazione dell’interesse pubblico.

E, relativamente alle c.d. valutazioni non discrezionali, si ri-corda che esse sono caratterizzate da un «apporto valutativo o-riginale» dell’autorità amministrativa cui una specifica disposi-zione legislativa ha riservato il potere di compiere un determina-to apprezzamento scegliendo fra più criteri di valutazione e-gualmente corretti e ragionevoli.

(15) G. GARDINI, L’imparzialità amministrativa e nuovo ruolo della dirigenza pubblica,

in Dir. Amm., 2001, p. 42. (16) G. SALA, Il principio del giusto procedimento, cit., p. 102; G. PASTORI, La buro-

crazia, Padova, 1967, p. 89 per il quale [L’imparzialità] tende ad escludere nell’esercizio dei poteri ogni intrusione di interessi e di posizioni che impediscono la perfetta adesione al potere come fattispecie astratta dell’atto»; G. BERTI, La pub-blica amministrazione come organizzazione, cit., p. 107: «L’imparzialità si rivolge [..] al confronto tra un tipo di condotta ed un altro possibile tenendo conto di posizioni individuali fra loro contrastanti o, quanto meno differenziate, in modo che l’azione amministrativa non trascuri tali differenze e si adegui ad esse nei limiti in cui obiet-tivamente ne risente».

L’ANNULLABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO

151

Pertanto, la ragionevolezza della soluzione scelta o del crite-rio di giudizio utilizzato è condizione necessaria ma non suffi-ciente per garantire che l’amministrazione abbia esercitato il po-tere in modo conforme al principio di imparzialità neutralizzan-do la pressione di interessi diversi da quelli istituzionalmente preposti all’esercizio della funzione.

A titolo esemplificativo, la scelta fra i differenti criteri di va-lutazione delle prove orali dei candidati, pur pienamente corret-ta sotto il profilo tecnico, potrebbe essere stata condizionata da interessi diversi da quello di garantire la selezione dei soggetti più meritevoli e capaci per la qualifica oggetto di concorso (17).

Ed, analogamente, la disciplina urbanistica di un determina-to ambito territoriale, pur accettabile alla luce dei correnti stan-dard di logicità e ragionevolezza dell’attività amministrativa, po-trebbe essere stata influenzata da interessi differenti da quelli ri-tenuti meritevoli di tutela dall’ordinamento giuridico.

In conclusione, quindi, la rigorosa applicazione dei principi e delle regole che disciplinano l’amministrazione in senso ogget-tivo sembra costituire una condizione indispensabile, ma non sufficiente per garantire l’imparzialità dei provvedimenti adotta-ti.

Si tratta, ora, di accertare se l’organizzazione amministrativa ed, in particolare, il riparto di competenza fra gli organi concor-ra alla realizzazione del canone costituzionale in esame.

In altre parole, si deve esaminare se le norme che predetermi-nano la competenza dei diversi organi siano funzionali all’impar-zialità della «trasformazione del potere in atto».

A tal fine appare opportuno richiamare la ratio sottesa alla predeterminazione dei criteri del processo decisionale della pub-blica amministrazione.

È ormai opinione consolidata che l’amministrazione, «fis-sando in via generale e astratta i valori di riferimento e le scelte

(17) Ad esempio, potrebbe essere condizionata dagli orientamenti politici o

dalle condizioni sociali o personali dei candidati.

CAPITOLO QUARTO

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di base per le proprie decisioni future», realizza «un incremento notevole delle garanzie di imparzialità ed eguaglianza» nell’eser-cizio del proprio potere di provvedere (18).

Analogamente, la previa individuazione della competenza de-gli organi, mediante atti generali e astratti il cui procedimento di formazione ne rende più difficile la modifica nel corso o nell’i-mminenza dell’esercizio del potere, appare senza dubbio favori-re la stabilità dell’assetto organizzativo e, dunque, l’obiettivazio-ne dell’azione amministrazione: «l’identità e la tipicità [della ri-partizione delle competenze] nel variare delle situazioni cui essa deve far fronte costituisce la miglior garanzia» che il processo decisionale dell’amministrazione non venga condizionato da in-teressi diversi da quelli legislativamente tutelati e, quindi, «del-l’imparzialità dell’attività amministrativa» (19).

(18) Così G. SALA, Il principio del giusto procedimento, cit., p. 132; A. POLICE, La

predeterminazione delle decisioni amministrative, Napoli, 1997, passim spec. p. 63 ss.; P. MARIA VIPIANA, L’autolimite della pubblica amministrazione. L’attività amministrativa fra coerenza e flessibilità, Milano, 1990; Cons. Stato, 12 Ottobre 2004, n. 6575, in Dir e Giust., 2004, p. 123; Cons. Stato, Sez. IV, 8 Giugno 2007 n. 3012, in Foro Amm. CDS, 2007, p. 1773; Cons. Stato, Sez. VI, 8 Maggio 2008, n. 2128, in Foro Amm. CDS, 2008, p. 1525. Peraltro, pure nell’ambito della funzione giurisdizionale, si ri-tiene che la precostituzione del giudice sia diretta a garantirne l’imparzialità (cfr. M. NOBILI, Sub art. 25, in Commentario alla costituzione. La pubblica amministrazione, a cura di G. BRANCA e A. PIZZORUSSO, Bologna-Roma, 1981, p. 135 ss. spec. p. 173 che rileva la sussistenza di elementi comuni fra l’art. 25 comma 1 e l’art. 97 comma 2).

(19) M. NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, cit., p. 81; A. CERRI, Imparzialità e indirizzo politico nella pubblica amministrazione, cit., p. 210: «La legge e i regolamenti che danno attuazione al precetto costituzionale, determi-nando le competenze dei vari uffici dovrebbero essere considerati come volti a tu-telare non solo l’efficienza della P.A., ma anche il legittimo interesse del privato a non subire discriminazioni e la violazione delle loro prescrizioni dovrebbe, conse-guentemente, comportare l’invalidità del provvedimento finale». Peraltro, la dottri-na meno recente, pur avendo evidenziato che la predeterminazione delle compe-tenze costituisce una garanzia per il cittadino, non pare averne esplicitato altrettanto chiaramente lo stretto legame con il principio di imparzialità. In proposito, vedi A. AMORTH, La costituzione italiana, Commento sistematico, 1948, Milano, p. 104 il quale con riferimento all’art. 97 comma 2 scrive: «L’ordinamento degli uffici deve com-prendere la determinazione della sfera di competenza [...] giacché l’indicazione pre-

L’ANNULLABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO

153

E la fondatezza di queste argomentazioni sembra conferma-ta pure dagli studi di scienza dell’organizzazione dai quali emer-ge che la predeterminazione della competenza appare idonea a garantire l’uniformità dei provvedimenti adottati «inibendo l’uso di criteri arbitrari» oltre ad essere «un benvenuto schermo con-tro le pressioni politiche» (20).

Alla luce di queste considerazioni, si può sostenere che l’an-nullabilità del provvedimento affetto dal vizio in questione co-stituisce uno strumento di salvaguardia del principio di impar-zialità in quanto è funzionale a garantire l’osservanza del riparto di competenze predeterminato anteriormente all’esercizio del potere di provvedere (21). cisa della competenza e delle attribuzioni giova soprattutto a coloro che con gli uf-fici vengono a contatto o che ne ricevono i provvedimenti (cioè con gli uffici ester-ni o partecipanti alla formazione del provvedimento) per evitare appunto che gli amministrati si trovino alla mercè di un potere solo genericamente stabilito, i cui abusi divengono così giuridicamente poco percepibili»; M. S. GIANNINI, Lezioni di diritto amministrativo, 1950, Milano, p. 89: «Se un apparato viene regolato da norme giuridiche i soggetti giuridici esterni possiedono delle certezze circa il modo come la cura degli interessi viene distribuita negli uffici dell’apparato e sono garantiti dal fat-to che per modificare l’apparato si richiede un altro atto normativo: ove l’apparato sia quello dello Stato-organizzazione e i soggetti siano i cittadini, tutto ciò si traduce in una ulteriore forma di garanzia del momento della libertà perché il cittadino sa che per agire in date materie oggetto di sue libertà guarentigiate l’autorità deve ser-virsi di dati uffici e non di altri, altrimenti agisce illegalmente (corsivo aggiunto)»; F. BENVENUTI, Disegno dell’amministrazione italiana, cit., p. 161: «dall’art. 97 si desume che è contestualmente riconosciuta una posizione giuridica dei cittadini a far valere la legge nell’ordinamento degli uffici la cui violazione non consiste soltanto in una trasgressione interna ma in una lesione delle loro posizioni giuridiche: [...] si parla perciò di principio di legalità il quale si contrappone al principio autocratico che consente la libera disponibilità delle organizzazioni».

(20) Cfr. J. L. JOWELL, Law and bureaucracy, Cambridge Mass. 1975, p. 195 ss. ri-chiamato da A. POLICE, La predeterminazione, cit., p. 63 nota 129; G. COSTA e P. GU-BITTA, Organizzazione aziendale. Mercati, gerarchie, convenzioni, Milano, 2004, p. 178 ss.; C. LEARDINI, L’amministrazione della fondazione bancaria, Padova, 2005;.

(21) Il ragionamento di cui nel testo potrebbe essere esplicitato mediante un sillogismo: la predeterminazione della competenza concorre a tutelare l’imparzialità (premessa maggiore), l’annullamento del provvedimento adottato da organo diffe-rente da quello predeterminato garantisce l’effettività della predeterminazione

CAPITOLO QUARTO

154

La conclusione cui si è pervenuti, tuttavia, non sembra ap-plicabile ai provvedimenti vincolati in cui, come più volte nota-to, la «traduzione dai termini astratti del disposto della legge a quelli concreti della fattispecie» è integralmente controllata e – ove errata – sostituita dal giudice.

In altri termini, l’attività vincolata, in quanto mera attuazio-ne della legge, si presta ad un completo riesame da parte del giu-dice che può valutarne integralmente la conformità o meno alla legge (22).

Nell’ambito di tale tipo di attività, si può affermare, dunque, che se il concreto assetto di interessi statuito dal provvedimento è conforme a quello astrattamente predeterminato dalla fattispe-cie normativa, l’amministrazione non ha “deviato dalla funzio-ne ad essa attribuita” verso interessi diversi da quelli normativa-mente tutelati. E, quindi, si può sostenere che l’imparzialità è stata realizzata senza non rilevando la competenza dell’organo che ha esercitato il potere di provvedere (23).

(premessa minore); l’annullamento del provvedimento adottato da organo differen-te da quello predeterminato concorre a tutelare l’imparzialità (conclusione). Infatti, se il provvedimento adottato dal vizio in questione non fosse annullabile, la prede-terminazione della competenza costituirebbe flatus vocis.

(22) Così R. VILLATA e M. RAMAJOLI, Il provvedimento amministrativo, cit., p. 74. (23) A. CERRI, Imparzialità e indirizzo politico nella pubblica amministrazione, cit., p.

98: «il campo di applicazione del principio di imparzialità inizia là ove cessa quello del principio di legalità» e, quindi, concerne le ipotesi in cui «la funzione ammini-strativa non è interamente regolata da specifiche particolari norme [o in quelle in cui] non è possibile un sindacato diretto e puntuale dell’azione amministrativa». In questa prospettiva, si può asserire che il principio di imparzialità è assorbito da quello di legalità e, quindi, che l’amministrazione è imparziale quando il contenuto dispositivo del provvedimento è conforme con l’assetto di interessi predeterminato dalla legge; F. LEVI, Legittimità, (dir. amm.), voce in Enc. Dir., vol. XXIV, Milano, 1974, p. 137-138; G. SALA, Imparzialità dell’amministrazione e disciplina del procedimento nella recente giurisprudenza amministrativa e costituzionale, in Dir. Proc. Amm., 1983, p. 442.

L’ANNULLABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO

155

1.2 LA FIGURA PARADIGMATICA DELLA RIPARTIZIONE DELLA COMPE-TENZA FRA ORGANI DI GOVERNO E DIRIGENTI.

La ricerca dovrà proseguire prendendo in considerazione

un’ipotesi emblematica di ripartizione della competenza. Si fa riferimento alla disciplina delle funzioni degli organi di governo e dei dirigenti (24) contenuta nel d.lgs. 165/2001 (25) ed applica-bile – almeno in linea di principio – a tutte le amministrazioni pubbliche (26).

(24) Cfr., per l’individuazione della prospettiva in cui inquadrare il problema dei rapporti fra organi di governo e dirigenti, le riflessioni di V. CERULLI IRELLI, La funzione amministrativa, in La dirigenza pubblica: analisi e prospettive, a cura di M. P. CHITI e R. D’URSO, Torino, 2007, p. 22-23: «nell’ambito di ogni organizzazione di gover-no (qui intendiamo le organizzazioni politiche, i pubblici poteri di cui all’art. 114) possiamo individuare organi a cui riconoscere il carattere di organi politici (o di dire-zione politica). Anzitutto, si tratta degli organi alla cui titolarità si accede per desi-gnazione popolare e in ordine ai quali si costituisce il rapporto c.d. di rappresentan-za politica tra i titolari degli uffici stessi e la collettività (l’elettorato). [...] Vi è poi una seconda categoria di organi politici, i cui titolari sono nominati dai primi (il Presidente della Regione nomina i membri della Giunta, ad esempio) ovvero eletti dalle Assemblee ovvero da queste sia pure indirettamente designati attraverso il meccanismo del voto di fiducia. [...] Agli organi politici si affiancano perciò, e da essi “dipendono” secondo modalità differenziate (nelle quali si incardina il proble-ma dei rapporti fra politica e amministrazione), gli apparati organizzativi che vengo-no accomunati nella nozione di pubblica amministrazione; apparati organizzativi che si articolano in una molteplicità di uffici ciascuno con una propria specifica missione (competenza) cui corrisponde una specifica professionalità nei loro titola-ri».

(25) Il riparto di competenza fra organi di governo e dirigenti rappresenta uno dei molteplici profili problematici dei rapporti fra politica e amministrazione. Tale relazione appare espressione, come nota G. ENDRICI, Il potere di scelta. Le nomine tra politica e amministrazione, Bologna, 2000, p. 29, della dialettica fra razionalità demo-cratica e razionalità professionale ed appare investire, come sottolinea P. FORTE, Il principio della distinzione fra politica e amministrazione, Torino, 2005, p. 456, «profili poli-tologici, organizzativi e forse anche filosofici».

(26) Riguardo l’ambito di applicazione soggettivo del principio di distinzione fra politica-amministrazione si formulano alcune sintetiche osservazioni. Invero, ex art. 27 del d.lgs. 165/2001 il predetto principio si applica direttamente alle ammini-strazioni statali e costituisce invece, per quelle non statali, «un parametro cui esse debbono adeguare i propri ordinamenti». Come osservano, G. PASTORI e M.

CAPITOLO QUARTO

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In specie, si deve appurare se la ratio di questa articolata e complessa normativa sia riconducibile al principio di imparziali-tà. In caso di esito positivo, si potrà sostenere che l’annullabilità del provvedimento adottato in violazione di questa disciplina concorre a tutelare il principio costituzionale de quo e rappresen-ta, quindi, uno strumento di garanzia per i cittadini. Peraltro, per

SGROI, Dirigenti publici, voce in Enc. Dir., vol. VI aggiornamento, Milano, 2000, p. 375: «il modello voluto dal legislatore statale è, in effetti, un modello assolutamente flessibile ed esprime un’idea comune di amministrazione pubblica destinata a tra-dursi in ordinamenti diversi come richiede il carattere pluralistico del vigente siste-ma di amministrazione pubblica». In proposito, appare opportuno sottolineare che l’ordinamento e l’organizzazione amministrativa degli enti territoriale minori (Re-gioni, Province, Comuni) e degli enti pubblici «non nazionali» non rientra tra le ma-terie espressamente riservate alla legislazione esclusiva statale o a quella concorren-te, ma spetta alla potestà legislativa regionale esclusiva in forza dell’art. 117 comma 4. Tale tipologia di potestà legislativa, tuttavia, incontra non solo i limiti previsti dall’art. 117 comma 1 (rispetto della costituzione, dell’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali), ma anche deve osservare i principi fondamentali pre-visti dallo statuto regionale in ordine all’organizzazione dell’apparato regionale. La potestà statutaria, a sua volta, deve essere esercitata «in armonia con la costituzio-ne» ed è, quindi, vincolata al rispetto dei principi costituzionali, fra i quali – come si cercherà di dimostrare – rientra la distinzione fra funzioni degli organi di governo e dei dirigenti. E ciò sembra essere confermato dagli statuti regionali approvati suc-cessivamente alla riforma costituzionale, i quali contengono la chiara affermazione del principio di distinzione fra indirizzo politico e gestione amministrativa.

Per quanto concerne, più specificamente, gli enti locali, prescindendo dall’an-noso problema inerente la competenza legislativa regionale in materia di ordina-mento ed organizzazione dei comuni e delle province, pare sufficiente notare che l’espressa ed inequivoca riserva alla potestà legislativa statale della normativa in te-ma di organi di governo ex art. 117 comma 2 lettera p) sembra configurare una im-permeabilità del principio di distinzione fra politica-amministrazione rispetto ad al-tre fonti. Sul punto si richiama A. CORPACI, L’incidenza della riforma del titolo V della costituzione in materia di organizzazione amministrativa, in Lav. Pubbl. Amm., 2002, p. 39-47 spec. p. 45; ID., Il sistema amministrativo nel nuovo quadro costituzionale: alcuni profili, in La riforma del titolo V della costituzione, Bologna, 2003, p. 126 ss.; G. D’ALESSIO, Pub-blico Impiego, in Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali. Parte speciale, a cura di G. CORSO e V. LOPILATO, vol. II, Milano, 2006, p. 426: «secondo un’opinione lar-gamente condivisa, deve essere considerato un vincolo per tutti i legislatori – quello statale e quello regionale – il principio della distinzione funzionale fra politica e am-ministrazione».

L’ANNULLABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO

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le ragioni sopra indicate, le risultanze della ricerca non saranno applicabili all’attività totalmente vincolata.

Orbene, condizione preliminare dell’indagine è una ricogni-zione, pur sintetica, dei profili più problematici e più rilevanti non tanto dei rapporti intercorrenti «fra dirigente ed ammini-strazione», ma piuttosto delle relazioni fra «uffici di direzione politica e uffici dirigenziali» (27).

Come noto, l’evoluzione della disciplina di questi rapporti può essere inquadrata in tre fasi (28).

La prima è caratterizzata dalla combinazione del principio gerarchico (proprio del modello organizzativo accentrato di tipo napoleonico) con quello di responsabilità costituzionale dell’or-gano politico (di origine britannica) (29): «quando il Ministro di tipo francese [...] acquista la responsabilità politica si crea l’equi-voca figura del Ministro come punto di coesistenza dell’attività

(27) Cfr. S. BATTINI, Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, Padova,

2000, p. 623 che distingue il piano funzionale-organizzativo (concernente il profilo delle relazioni tra uffici politici e uffici dirigenziali) da quello inerente le relazioni fra la persona del dirigente e l’amministrazione.

(28) Si richiama la nota classificazione di M. D’ALBERTI, L’alta burocrazia in Ita-lia, in Studi su Gran Bretagna, Stati Uniti d’America, Spagna, Francia, Italia, a cura di M. D’ALBERTI, Bologna, 1994, p. 131 ss.: «la nostra legislazione s’è messa in armonia con la tendenza all’autonomizzazione burocratica: l’ordinamento è passato attraver-so tre successive formule normative che hanno definito sul piano formale i rapporti tra dirigenti e ministri riconoscendo ai primi una sfera decisionale progressivamente maggiore». Di tre formule normative parla anche Corte Cost., 25 Luglio 1996, n. 313, in Riv. giur. lav., 1996, II, p. 369.

(29) In questo senso V. BACHELET, Responsabilità del ministro e competenza esterna degli uffici direttivi dei Ministeri, in La riorganizzazione dei Ministeri nel quadro della riforma dell’amministrazione, Padova, 1975, ora in Studi in memoria di E. Guicciardi, Padova, 1975, p. 575; L. ARICIDIACONO, Profili di riforma dell’amministrazione statale, Milano, 1980, p. 1 ss. spec. p. 25 ss.; S. BATTINI, Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministra-zioni, cit., p. 609-610. Cfr. art. 1 della l. n. 1483/1853 («i Ministri provvederanno al-l’amministrazione centrale dello Stato per mezzo di uffici posti sotto l’immediata loro direzione») nonché l’art. 14 del r.d. 1611/1853 («i direttori generali lavorano direttamente con il Ministro e sotto la di lui autorità»).

CAPITOLO QUARTO

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politica e di quella amministrativa» (30). In questo quadro ordi-namentale, tutti i provvedimenti adottati sono imputati esclusi-vamente al Ministro che non solo è l’unico organo dell’apparato ministeriale (31) ma è anche gerarchicamente sovraordinato a tutti i funzionari amministrativi (32).

E questa conclusione non è inficiata dal combinato disposto degli art. 15 e 16 del r.d. 1611/1853 in forza dei quali i funzio-nari «firmano per il Ministro ed esercitano in di lui nome le at-tribuzioni che gli sono proprie nei limiti da lui stabiliti» e «sono responsabili verso il Ministro per le attribuzioni loro fatte dai regolamenti» nonché «per quelle altre che loro possono venire delegate». È pur vero, infatti, che le norme in esame ammettono la figura della delega. Si tratta, tuttavia, almeno nell’interpreta-zione consolidata della dottrina e della giurisprudenza, non di una vera e propria delega di funzioni, ma esclusivamente «del-l’incarico di sottoscrivere materialmente l’atto» (33).

(30) È l’ancora attuale affermazione di M. NIGRO, Riforma dell’amministrazione dei Ministeri, in Foro It., 1974, vol. II, p. 603.

(31) Così L. CARLASSARRE, Ministeri (dir. Cost.), voce in Enc. Dir., vol. XXVI, Milano, 1976, p. 471: «il ministro è il solo ufficio “esterno” (organo) dell’apparato ministeriale, cui tutto si riconduce, nel cui nome tutti gli atti sono compiuti, il quale si avvale di un apparato di uffici e, concretamente, di persone che lo “coadiuvano” come di meri strumenti, privi di competenza propria e di ogni giuridico rilievo».

(32) Come nota G. BERTI, La pubblica amministrazione come organizzazione, cit., p. 123 ss., nel modello gerarchico la competenza dell’inferiore non è mai competenza «come potere, dotata cioè di autonomia e spontaneità», perché nell’ambito delle re-lazioni gerarchiche «il potere si distribuisce tra disponibilità effettiva del superiore ed apparente disposizione di esso da parte dell’inferiore». Riguardo la nozione di gerarchica imprescindibili sono i contributi di A. DE VALLES, Teoria giuridica dell’organizzazione dello Stato, Padova, p. 313 ss.; G. MARONGIU, Gerarchia amministra-tiva, voce in Enc. Dir., vol. XVIII, Milano, 1964, p. 616 ss.

(33) In termini V. BACHELET, Responsabilità del ministro e competenza esterna degli uf-fici direttivi dei Ministeri, in La riorganizzazione dei Ministeri nel quadro della riforma del-l’amministrazione, cit., p. 577 con ampi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali che rileva come i direttori generali firmano i provvedimenti «d’ordine del Ministro» o «per il Ministro» e sottolinea come «in nessun caso, quindi, si può parlare di prov-vedimenti attribuiti alle competenze istituzionalmente proprie dei direttori genera-li»; L. ARCIDIACONO, Profili di riforma dell’amministrazione statale, Milano, 1980, p. 31:

L’ANNULLABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO

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Il predetto modello organizzativo, pur «avendo avuto attua-zioni molto diverse», è stato formalmente vigente fino alla l. n. 775/1970 e al d.lgs. 748/1972 (34). Questi atti normativi hanno espressamente riconosciuto ai dirigenti la natura di organi ester-ni (35) attribuendo loro una serie di funzioni tra cui l’adozione di provvedimenti vincolati entro determinati limiti di valore (36). Permangono, tuttavia, in capo agli organi politici «i poteri con-nessi alla supremazia gerarchica generale [….] ai sensi dell’art. 95 della Costituzione» come quello di revoca e riforma per mo-tivi di merito, di avocazione, nonché quello di decisione dei ri-corsi gerarchici (37). In sintesi, quindi, da un lato, ai dirigenti non viene conferita alcuna competenza in via esclusiva; dall’altro, gli organi politici continuano a rimanere titolari dei poteri ricondu-cibili al modello gerarchico (38).

la delega di firma «non vale a creare una competenza esterna dell’ufficio a cui è rife-rita, nel senso che il trasferimento di competenza avviene tra un organo e un uffi-cio, il quale difetta di proprio rilievo giuridico rispetto al delegante, in quanto non ha competenza propria con rilevanza esterna».

(34) M. D’ALBERTI, L’alta burocrazia in Italia, cit., p. 132 richiamato testualmen-te da S. BATTINI, Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, cit., p. 613-614. Come evidenzia puntualmente S. CASSESE, Il sistema amministrativo italiano, Bologna, 1983, p. 63 «fino al 1972 i dirigenti rimangono impiegati direttivi del più alto grado, e il loro status non è diverso da quello di tutti gli impiegati statali».

(35) Cfr. art. 16 lettera b) della legge delega 249/1968 come modificato dall’art. 12 della l. n. 775/1970.

(36) Cfr. art. 7, 8, 9 del d.l.gs. n. 748/1972 e l’art. 16 lettera c) della legge delega 249/1968 come modificato dall’art. 12 della l. n. 775/1970 che attribuisce ai diri-genti il potere di adottare provvedimenti discrezionali che non incidano su scelte ed orientamenti di carattere generale.

(37) Cfr. art. 16 lettera c) della legge delega n. 249/1968 come modificato dal-l’art. 12 della l. n. 775/1970 che mantiene «fermi i poteri connessi alla supremazia gerarchica generale spettante ai ministri su tutti gli uffici ed in ordine ad ogni attivi-tà del dicastero cui sono preposti» nonché l’art. 3 del d.lgs. 748/1972 che dispone: «il Ministro ha facoltà di procedere, di ufficio, entro quaranta giorni dall’emanazio-ne, [...] alla revoca, o riforma, per motivi di merito degli atti emanati dai dirigenti».

(38) In questo senso R. ALESSI, Rilievi sulla portata innovatrice degli art. 3 e seguenti del D.P.R. 30 Giugno 1972 n. 748 sulla disciplina delle funzioni dirigenziali, in Giur. It., 1974, IV, p. 193 ss.; M. D’ALBERTI, L’alta burocrazia in Italia, cit., p. 150: «Sia pure

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Peraltro, il tentativo, operato mediante la l. n. 775/1970 e il d.lgs. 748/1972, di apportare alcune graduali modifiche al rap-porto fra politica e amministrazione è stato un insuccesso (39) attenuata, permane la gerarchia. È vero che il Ministro ha potestà di direttiva gene-rale e non di ordine, ma riassume in sé poteri tipici della sovraordinazione gerarchi-ca, dall’annullamento all’avocazione»; G. SCIULLO, Modelli di disciplina della dirigenza in Italia e profili della fiduciarietà della nomina, in Istituzioni del federalismo, 1998, p. 786: sia la disciplina cavouriana sia quella del 1972 è riconducibile al c.d. modello monista in cui «la dirigenza non è titolare di un ambito di attività proprio: è assegnataria di compiti, eventualmente, anche di rilievo esterno ma è priva di competenze in senso stretto. Inserita all’interno di un rapporto di gerarchia, vede il suo ruolo definito dal carattere di fondo che connota tale rapporto»; G. D’ALESSIO, La nuova dirigenza pubblica, Roma, 1999, p. 29; S. BATTINI, Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministra-zioni, cit., p. 617-618; P. COLOMBO, L’intervento del ministro sugli atti di gestione, Rimini, 2004, p. 50. Più sfumata la posizione di G. PASTORI e M. SGROI, Dirigenti pubblici, cit., 2000, p. 357-358: «Sebbene si muova già nel senso di eliminare il rapporto di gerarchia fra le competenze del ministro e quelle dei dirigenti per sostituirlo con un rapporto di direzione, il decreto per un verso mantiene non pochi poteri di am-ministrazione puntuale al ministro anche in ordine all’esercizio delle competenze conferite ai dirigenti (poteri di annullamento d’ufficio, revoca, avocazione, ricorso gerarchico), per altro verso individua le attribuzioni conferite ai dirigenti [...] in ter-mini quindi assai limitati e parziali, insufficienti ad assicurare un’effettiva autonomia e responsabilità della dirigenza». Contrari invece G. MARONGIU, Direzione dei Mini-steri e unità di indirizzo politico e amministrativo del governo, in La riorganizzazione dei Mini-steri nel quadro della riforma dell’amministrazione, cit., 1975, p. 55 che, pur in forma dubi-tativa, configura il potere di revoca e di riforma «non come un giudizio di secondo grado, nel quale è in gioco un diverso apprezzamento discrezionale sul singolo atto [...] quanto un confronto tra un indirizzo generale (superiore) ed uno specifico (sot-tordinato) cosicché la revoca o la riforma [...] potrebbe costituire una sanzione sul-l’indirizzo e, quindi, in definitiva uno strumento per mantenere l’unità di indirizzo del ministero»; L. TORCHIA, La responsabilità dirigenziale, Padova, 2000, p. 21 che, pur negando l’esistenza di una competenza esclusiva dei dirigenti, evidenzia come quest’ultimi hanno «compiti propri i quali, sebbene siano cedevoli rispetto ai supe-riori poteri attribuiti al vertice politico, costituiscono un ambito di azione in via or-dinario riservato».

(39) Come osserva G. GARDINI, La dirigenza statale, in La dirigenza pubblica. Ana-lisi e prospettive, cit., p. 177: «per quanto insoddisfacente negli esiti, l’approvazione della riforma testimonia una precisa volontà di trasformazione, diretta ad emanci-pare la funzione amministrativa, troppo a lungo relegata in posizione subalterna rispetto al governo ed eccessivamente esposta ai condizionamenti del potere politi-co».

L’ANNULLABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO

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non solo a causa delle contraddizioni presenti nella disciplina normativa, ma anche per altre ragioni (40). Si fa riferimento so-prattutto al c.d. baratto fra «potere e sicurezza» evidenziato da autorevole dottrina: il dirigente non esercita le nuove funzioni a lui attribuite preferendo «portare gli atti [da adottare] alla firma del Ministro»; l’organo politico non utilizza i poteri di verifica dei risultati e disapplica sostanzialmente le norme sulla respon-sabilità dirigenziale (41).

La successiva disciplina introdotta dal d.lgs. 29/1993, modi-ficata dai d.lgs. n. 470/1993, n. 546/1993 nonché n. 80/1998 ed attualmente codificata dal d.lgs. 165/2001, determina invece una rivoluzione copernicana dei rapporti fra organi di direzione poli-tica e dirigenti introducendo il c.d. modello dualista (42).

Invero, come ampiamente noto, gli organi di governo eser-citano funzioni di «indirizzo politico-amministrativo» e di «veri-fica della rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti»; ai dirigenti spetta invece

(40) Vedi il puntuale esame di S. BATTINI, Il rapporto di lavoro con le pubbliche am-ministrazioni, cit., p. 619 nota 21.

(41) In questo senso S. CASSESE, Il sistema amministrativo italiano, cit., p. 69-75; ID. Grandezza e miserie dell’alta burocrazia in Italia, in Pol. Dir., 1981, p. 219 ss.; ID., La carriera del burocrate: dirigenza politica ed amministrativa in Italia, in Soc. Lav., 1981, p. 105 ss.; S. BATTINI, Dirigenza pubblica, voce in Dizionario di diritto pubblico, a cura di S. CASSESE, vol. III, Milano, 2006, p. 1860; F. MERLONI, Dirigenza pubblica e amministra-zione imparziale, Bologna, 2006, p. 132: «gli organi politici non adottarono atti di in-dirizzo, i dirigenti non rivendicarono le nuove competenze, adeguandosi di buon grado al vero obiettivo della “riforma”: la collocazione di un’ampia [..] fascia di fun-zionari in una posizione di maggiore prestigio (e soprattutto con più elevate retri-buzioni), ma senza l’assunzione di una effettiva autonomia gestionale ed operativa. Gli organi politici continuarono, quindi, nella consolidata prassi precedente adot-tando in proprio atti amministrativi, senza che fosse necessario esercitare i [...] po-teri di intromissione».

(42) In questo senso, G. SCIULLO, Modelli di disciplina della dirigenza in Italia e pro-fili della fiduciarietà della nomina, in Istituzioni del federalismo, cit., p. 786: «il modello dua-lista presenta due varianti fondamentali, che hanno il comune il fatto che la disci-plina normativa assegna alla dirigenza funzioni proprie: queste possono essere indi-viduate in modo tassativo, residuale o esaustivo. Ciò che conta è che la dirigenza è titolare di compiti distinti».

CAPITOLO QUARTO

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non solo l’adozione di tutti gli atti e provvedimenti amministra-tivi ma anche la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle ri-sorse umane, strumentali e di controllo, oltre alla responsabilità in ordine a questi due «segmenti funzionali» (43).

Tali compiti sono riservati ai dirigenti in via esclusiva tanto che gli organi di vertice non possono «revocare, riformare, riser-vare o avocare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti» potendo solo intervenire in caso di inerzia per fissare «un termine perentorio entro il quale il diri-gente deve adottare gli atti e i provvedimenti» (44).

(43) La locuzione è tratta da G. GARDINI, L’imparzialità amministrativa tra indi-

rizzo e gestione. Organizzazione e ruolo nella dirigenza pubblica, Padova, 2003, p. 359. Co-me osserva S. BATTINI, Il personale, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. CASSESE, Milano, 2003, p. 530, «la legittimazione elettiva o politica abilita all’esercizio delle funzioni di indirizzo e controllo e, quindi, alla predeterminazione dei fini e alla verifica del loro raggiungimento; la legittimazione tecnico-professionale invece abilita all’e-sercizio di compiti di attuazione e gestione e, di conseguenza, alla realizzazione concreta degli obiettivi predeterminati dagli organi di direzione politica (corsivo ag-giunto)».

(44) Cfr. G. PASTORI e M. SGROI, Dirigenti pubblici, cit., p. 365 i quali, peraltro, evidenziano che rimane fermo il potere degli organi di governo di annullamento d’ufficio dei provvedimenti per motivi di legittimità. Si tratta di un potere che, pur non trovando più disciplina nell’(abrogato) art. 3 del d.lgs. 748/1972, costituisce normale espressione del potere di autotutela. Cfr., anche Cons. Stato, Ad Gen., Pa-rere 10 Giugno 1999, n. 9, in Foro Amm., 1999, p. 2160 il quale – come nota A. BO-SCATI, Il dirigente dello Stato, Padova, 2006, p. 175 – non sembra «avere delimitato l’ambito di esercizio del predetto potere entro determinati limiti, ma ne ha accen-tuato la portata sia in relazione al termine entro cui può essere esercitato, sia per quanto concerne le ragioni dell’intervento». Comunque, prescindendo dalle pro-blematiche collegate all’annullamento ministeriale per motivi di legittimità, si può sostenere che il rapporto tra organi di direzione politica e dirigenti non è più inqua-drabile nell’ambito della gerarchia ma della direzione. In proposito, cfr. S. BATTINI, Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, cit., p. 643 con ampi riferimenti bi-bliografici che pone in luce la «traslazione della relazioni fra [uffici di direzione poli-tica e dirigenziali] dal modello gerarchico a quello della direzione». Riguardo il rap-porto di direzione cfr. V. BACHELET, L’attività di coordinamento nell’amministrazione pubblica dell’economia, Milano, 1957; G. MARONGIU, La direzione nella teoria dell’organiz-zazione amministrativa, Milano, 1966; G. SCIULLO, Direttiva amministrativa (Disciplina

L’ANNULLABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO

163

La «differenziazione funzionale» (45) fra gli organi di gover-no e i dirigenti appare rafforzata da due specifiche previsioni normative in forza delle quali da un lato, le attribuzioni dei diri-genti possono essere derogate soltanto «espressamente e ad o-pera di specifiche disposizioni legislative» (46); dall’altro, «le di-sposizioni previgenti che conferiscono agli organi di governo l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti ammini-strativi […] si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti» (47). Si tratta di disposizioni che esprimono «la costante, anzi ossessiva diffidenza del legislatore di oggi ri-spetto al legislatore di ieri e domani» (48).

Al fine di individuare in modo più preciso la sfera delle competenze riservata agli organi a legittimazione professionale e amministrativa), voce in Dig. Disc. Pubbl., vol. X, Milano, 1990, p. 98 ss.; ID. La diretti-va nell’ordinamento amministrativo, Milano, 1993; V. ANGIOLINI, Direzione amministrati-va, voce in Dig. Disc. Pubbl., vol. X, Milano, 1990, p. 109 ss.

(45) L’espressione è tratta da G. GARDINI, L’imparzialità amministrativa tra indi-rizzo e gestione. Organizzazione e ruolo nella dirigenza pubblica, Padova, cit., p. 359.

(46) Cfr. art. 4 comma 3 del d. lgs. 165/2001. Nota L. TORCHIA, La responsabili-tà dirigenziale, Padova, 2000, p. 64 che le deroghe al criterio sistematico di ripartizio-ne delle funzioni fra organi di governo e dirigenza amministrativa dovranno «essere puntuali, eccezionali e di stretta interpretazione» e dovranno «emergere con chia-rezza da disposizioni espresse».

(47) Art. 70 comma 6 del d.lgs. 165/2001 recepisce l’art. 45 comma 1 del d.lgs. 80/98 qualificato come norma «di interpretazione autentica non retroattiva» (C. D’ORTA, Il potere organizzativo delle pubbliche amministrazioni tra diritto pubblico e diritto privato, in Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Dal d. lgs. 29/1993 ai d.lgs. n. 396/1997, 80/1998 e 397/1998, a cura di F. CARINCI, M. D’ANTONA, Mila-no, 2000, p. 89) ovvero come «abrogazione parziale della previgente disciplina per effetto della introduzione di una diversa regolamentazione» (S. BATTINI, Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, cit., p. 642). Per una concreta applicazione di questa disposizione cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 18 Maggio 2006, n. 4734, in Foro Amm. TAR, 2006, p. 1808; T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, 8 Novembre 2007, n. 11059, in Foro Amm. TAR, 2007, p. 3460; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 18 Aprile 2008, n. 934, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico n. 4/2008.

(48) Così F. CARINCI, La dirigenza nella seconda fase della privatizzazione: la legge dele-ga n. 59/1997 e i decreti legislativi n. 396/1997 e 80/1998, in Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. I contratti per le aree dirigenziali, a cura di F. CARINCI, Milano, 1998, p. XVII.

CAPITOLO QUARTO

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quella propria degli organi a legittimazione democratica, è stata utilizzata la tecnica dell’elencazione (49). L’art. 4 del d.lgs. 165/2001 contiene una dettagliata «esemplificazione» delle fun-zioni e dei compiti degli organi di governo; esemplificazione che, come autorevolmente evidenziato, ha un duplice scopo: da un lato, «limitare le attività degli organi politici alle “funzioni di indirizzo politico-amministrativo»; dall’altro, prevedere a favore della dirigenza «una sorta di clausola generale di competenza» avente natura residuale (50). Da un’interpretazione sistematica di

(49) In questo senso G. GARDINI, L’imparzialità amministrativa tra indirizzo e ge-stione, cit., p. 359-360 per il quale la tecnica dell’elencazione appare, da una parte positiva in quanto implica una traduzione di «principi astratti in regole di immediata applicazione»; dall’altra, negativa perché «è incompleta in re ipsa non potendo ri-comprendere tutte le fattispecie concrete presenti nella realtà».

(50) In termini F. MERLONI, Sub art. 3, in La riforma delle organizzazioni pubbliche dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche, a cura di A. CORPACI, M. RUSCIANO, L. ZOPPOLI, in Le Nuove leggi civili commentate, 1999, p. 1088: «Ad una puntuale elencazione dei poteri degli “organi di governo” [...] che, pur non arrivan-do ad essere tassativa (in senso contrario l’espressione “in particolare” che la pre-cede) in senso stretto, ha sicuramente il duplice scopo di limitare le attività degli organi politici alle “funzioni di indirizzo politico-amministrativo” e di introdurre, a favore della dirigenza amministrativa, una sorta di clausola generale di competenza per il compimento di tutti gli atti che non rientrino tra quelli riservati agli organi politici»; ID., Dirigenza pubblica e amministrazione imparziale, Bologna, 2006, p. 132-133: «l’elen-cazione non è esplicitamente definita come tassativa (al contrario l’inciso “in parti-colare” ne conferma il carattere esemplificativo), ma l’effetto è molto chiaro, so-prattutto se si vanno a leggere le disposizioni sui compiti della dirigenza»; F. CA-RINCI, La dirigenza nelle amministrazioni dello Stato ex capo II titolo II, d. lgs. n. 29/1993 (il modello «universale»), in Arg. Dir. Lav., 2001, p. 34: «l’art. 3 [del d.lgs. 29/1993], ri-ferendosi in via generale agli “organi di governo”, traccia la linea distintiva secondo quella ben nota tecnica elencativa residuale, che qui finisce per favorire proprio i dirigenti: per gli organi di governo, compiti e poteri sono delimitati tramite una de-finizione delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo [...] seguita da un elenco puntuale, non tassativo ma comunque esaustivo»; P. FORTE, Il principio di distinzione fra politica e amministrazione, Torino, 2005, p. 118 che definisce come «non esaustivo il catalogo degli atti da ricomprendere nelle funzioni di indirizzo». Contra C. D’ORTA, Politica e amministrazione, in Il lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, dal D.LGS. 29/1993 ai D.LGS. nn. 396/1997, 80/1998 e 387/1998 a cura di F. CARIN-CI e M. D’ANTONA, Milano, 2000, p. 380: «il d.lgs. 29/1993 elenca come numerus clausus le categorie di atti qualificabili di indirizzo»; S. CASSESE, Il sofisma della privatiz-

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siffatta elencazione si può desumere che agli organi di governo spetta l’adozione degli atti normativi e di carattere programma-tico; ai dirigenti è riservata invece l’emanazione degli atti e prov-vedimenti amministrativi «puntuali, aventi destinatari determina-ti o determinabili», non rilevando il carattere più o meno discre-zionale dell’atto da adottare (51).

zazione del pubblico impiego, in Riv. It. Dir. Lav., 1993, p. 294 che, con riferimento alla funzioni dirigenziali, scrive: «gli art. 13 e 16 del d.lgs. 29/1993 elencano una serie di provvedimenti che i dirigenti possono emanare. L’elencazione, tuttavia, non è e-semplificativa. Dunque, il criterio dell’emunerazione viene a smentire l’attribuzione di “tutti” i poteri di gestione ai dirigenti, mediante clausola generale». Si richiamano anche le riflessioni di G. GARDINI, L’imparzialità amministrativa fra indirizzo e gestione, cit., p. 356-366 spec. p. 361 ss.: «L’elencazione esemplificativa delle funzioni spet-tanti agli organi di governo dell’ente (art. 4 d.lgs. n. 165/2001), infatti, se da un lato serve a risolvere le questioni più ricorrenti fornendo una prima “sgrossatura” del concetto di indirizzo politico-amministrativo, dall’altro, non semplifica, anzi com-plica l’opera dell’interprete in presenza di attività e compiti posti al confine tra la politica e la gestione. [...] Concettualmente diversa è la funzione dell’elencazione contenuta agli art. 16 e 17 del d.lgs. n. 165/2001, con riferimento ai compiti diri-genziali. In questo caso, l’ordinamento intende salvaguardare un contenuto minimo alle funzioni attribuite ai vertici amministrativi, stabilendo una sorta di barriera con-tro le frequenti incursioni degli organi di governo nella gestione dell’ente».

(51) Così S. BATTINI, Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, cit., p. 637 ss. la cui ricostruzione viene definita da S. CASSESE, Il nuovo regime dei dipendenti pub-blici italiani: una modifica costituzionale, in Giorn. Dir. Amm., 2002, p. 1347 come «la più accurata ricostruzione sistematica della materia»; ID., Dirigenza pubblica, voce in Di-zionario di diritto pubblico, cit., p. 1862: «il carattere generale o puntuale dell’atto deve ritenersi il criterio essenziale per il riparto della competenza tra uffici politici e diri-genziali»; G. PASTORI e M. SGROI, Dirigenti publici, cit., p. 375: «quanto alle funzioni specificamente affidate ai dirigenti, occorre sottolineare, in primo luogo, che ad essi è stata pressoché integralmente trasferita l’attività provvedimentale delle ammini-strazioni di appartenenza»; P. FORTE, Sub art. 3, in La riforma dell’organizzazione dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche, cit., p. 1090; ID., Il principio di distinzione fra politica e amministrazione, cit., p. 122: «l’ordinamento sembra infatti indurre a tenere esclusi dall’indirizzo politico-amministrativo tutti gli atti e provve-dimenti amministrativi puntuali, abbiano o meno natura discrezionale». Lo stesso autore, tuttavia, evidenzia che agli organi di governo viene riconosciuta, pur in via di eccezione, la competenza ad adottare atti o provvedimenti puntuali come la ri-chiesta di pareri al Consiglio di Stato o alle Autorità amministrative indipendenti (cfr. art. 4 comma 1 lettera f) del d.lgs. 165/2001, ovvero le “direttive specifiche”

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relative ai rapporti con gli uffici dell’Unione europea e degli organismi internaziona-li (cfr. art. 16 comma 1 lettera l) del d.lgs. 165/2001. Più recentemente, S. BATTINI e B. CIMINI, La dirigenza pubblica italiana fra privatizzazione e politicizzazione, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2007, p. 1007: «Anche la burocrazia è legittimata a compiere scelte discrezionali, purché orientate da atti generali di indirizzo e programmazione»; Cons. Stato, Sez. VI, 24 Gennaio 2005, n. 127, in Comuni di Italia 2005, p. 88; Cons. Stato, Sez. IV, 30 Giugno 2005, n. 3546, in Foro Amm. CDS 2005, p. 1753; Cons. Stato, Sez. V, 27 Giugno 2006, n. 4123, in Foro Amm. CDS 2006, p. 1818; Cons. Stato, Sez. V, 31 Gennaio 2007, n. 405, in Foro Amm. CDS 2007, p. 151; T.A.R. Campania Napoli, Sez. V, 15 Gennaio 2007, n. 276, in Lexitalia Rivista internet di di-ritto pubblico, n. 1/2007; Cons. Stato, Sez. 28 Marzo 2007, n. 1430, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Campania Napoli, Sez. II, 24 Ottobre 2007, n. 9955, in Foro Amm. TAR, 2007, p. 3179 ss.; T.A.R. Lazio Roma, Sez. III, 5 Novembre 2007, n. 10895, in Foro Amm. TAR, 2007, p. 3481 ss.; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 20 Di-cembre 2007, n. 4296, in Foro Amm. TAR, 2007, p. 3929 ss.; T.A.R. Piemonte Tori-no, Sez. I, 13 Giugno 2007, n. 2584, in LexItalia Rivista internet di diritto pubblico, n. 6/2007. Peraltro, come ricorda G. GARDINI, L’imparzialità amministrativa tra indirizzo e gestione Organizzazione e ruolo nella dirigenza pubblica, cit., p. 366-376, «inizialmente la giurisprudenza ha proposto una lettura restrittiva dei nuovi principi di organizza-zione sottraendo al riparto funzionale tra politica e gestione l’attività di natura di-screzionale, apoditticamente fatta rientrare nella competenza esclusiva degli organi politici. [...] Dopo l’iniziale resistenza al cambiamento [..] la giurisprudenza ammini-strativa inizia ad assecondare il processo di modernizzazione basato sul nuovo ri-parto funzionale. [Tuttavia], permangono ancora dei dubbi riguardo quei provve-dimenti che costituiscono il frutto di apprezzamenti latamente discrezionali riferiti a valori essenziali per la collettività organizzata». In proposito, si richiama Cons. Sta-to, Ad. Gen., 7 Giugno 1999, n. 7, in Lav. Pubbl. Amm., 2002, p. 1162 ss. che affer-ma la competenza dell’organo di governo ad adottare «gli atti che attengono alle scelte di fondo dell’azione amministrativa “discrezionale” come, ad esempio, i provvedimenti concernenti la rimozione e sospensione degli amministratori degli enti locali ovvero quelli in materia di cittadinanza; TAR Lazio, sez. II, 9 febbraio 1996, n. 339, in Giorn. dir. amm., 1996, p. 628; Cons. Stato, sez. IV, 30 gennaio 2007, n. 469, in www.giustizia-amministrativa.it che ritiene competente il Presidente della Re-gione ai fini dell’esercizio del potere di annullamento del permesso di costruire ex art. 39 del d.lgs. 380/2001 in quanto « tale potere incide su interessi pubblici di rile-vante spessore anche sotto il profilo delle scelte politiche territoriali, e ne è quindi sconsigliato l’affidamento al livello dirigenziale”. Cfr. anche S. RAIMONDI, Dirigenza nei comuni e nelle province, in Dir. Amm., 1999, p. 417 ss: «Non è da dubitare che anche l’annullamento sia di competenza del dirigente. Ma si tratta di un ambito di discre-zionalità eccessivo. […] Non sembra agevole delimitare tale potere in termini gene-rali con atti di indirizzo degli organi di governo, e dall’altra non sembra coerente

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Riguardo invece le c.d. attribuzioni strumentali si può soste-nere, richiamando autorevole insegnamento, che «il discrimine politica/amministrazione coincide con la demarcazione pubbli-co/privato»: agli organi politici spetta delineare le «linee fonda-mentali di organizzazione degli uffici» e determinare «gli uffici di maggior rilevanza»; ai dirigenti invece «le decisioni “c.d. micro-organizzative”» da adottare con «le capacità e i poteri del privato datore di lavoro» (52).

Delineati i profili più rilevanti della «differenziazione fun-zionale» fra politica e amministrazione disciplinata dal d.lgs. 165/2001 (53), è necessario esaminare se essa concorra a garanti-re il principio di imparzialità.

Al riguardo, si osserva che già gli studiosi della seconda me-tà del secolo XIX, asseriscono che «l’indebita ingerenza del par-tito politico rappresentato dal Ministro» è una delle cause della parzialità dell’amministrazione (54). con il riparto di competenze tra tali organi ed i dirigenti, attribuire a questi decisioni che vanno ben al di là dell’ambito proprio dei compiti di gestione».

(52) È l’autorevole opinione di S. BATTINI, Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, cit., p. 639-640 il quale rileva che «per le attribuzioni strumentali, cioè, in definitiva, per la funzione di organizzazione, [...], la linea di confine tra politica e ammini-strazione appare più articolata». Peraltro, non pare inutile osservare che la dottrina giuslavoristica distingue non tanto fra attribuzioni finali e strumentali dei dirigenti, ma tra attribuzioni esterne ed interne (cfr. V. TALAMO, Le funzioni dei dirigenti, in Il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, a cura di F. CARINCI e M. D’ANTONA, Milano, 2000, p. 694 ss).

(53) Vedi G. PASTORI, La dirigenza regionale e locale nella legislazione vigente, in Studi in onore di G. Vignocchi, Modena, 1992, p. 966 che, pur con riferimento alla l. n. 142/1990 (antecedente storico del d.lgs. 29/1993), scrive: «Nelle formule riportate non solo campeggia l’affermazione dell’autonomia degli apparati tecnico-profes-sionali, ma viene altresì scolpita la distinzione fra momento politico di indirizzo e controllo, e momento amministrativo-gestionale nella maniera più incisiva e forse tra le più nette e difficilmente eludibili, che sia dato riscontrare nel nostro ordina-mento».

(54) Cfr., senza pretesa di completezza, M. PALMA, Questioni costituzionali, Firen-ze, 1885, richiamato da L. CARLASSARE, Amministrazione e potere politico, Padova, 1974, p. 115: «Tutti deplorano l’ingerenza illegittima dei governi e del partito go-vernante nelle elezioni». Il parlamentare, il quale ha la necessità di ottenere voti nel

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E la dottrina successiva afferma che gli organi di governo hanno una tendenziale inclinazione a trattare in modo differente «i vari problemi di loro competenza in correlazione con gli inte-ressi politici della loro parte» (55). Tale inclinazione deriva dal collegamento di natura istituzionale esistente tra potere esecuti-vo e forze politiche ex articolo 94 della Costituzione (56): «il poli-

proprio collegio, deve procurare vantaggi ai propri sostenitori. A tal scopo si avvale del Ministro, il quale ha necessità del voto del parlamentare per rimanere in carica, imponendogli di «farsi strumento delle sue vendette e delle sue clientele elettorali»; S. SPAVENTA, Giustizia nell’amministrazione. Discorso pronunciato all’associazione costituzio-nale di Bergamo il 6 Maggio 1880, ora in S. SPAVENTA, La giustizia nell’amministrazione, Roma, 1949, p. 61 ss. Si tratta del celebre discorso pronunciato presso la sede del-l’associazione costituzionale di Bergamo nella sera del 6 Maggio 1880 e di cui forse appare opportuno riportare alcuni passi, ancor’oggi di straordinaria attualità: «un governo di partito non significa che la direzione generale dello Stato, l’indirizzo del-la sua politica interna e esterna, i concetti della leggi e delle riforme amministrative e sociali corrispondano alle idee e ai bisogni della maggioranza del paese. Ma questa direzione dello Stato, data al partito preponderante, non deve opprimere lo Stato, cioè la giustizia e l’eguaglianza giuridica, che ne è l’anima informativa, la giustizia per tutti e verso tutti, così per la maggioranza come per la minoranza. La protezio-ne giuridica e la protezione civile, chiamando così tutti gli altri beni che i cittadini hanno diritto di chiedere allo Stato, oltre alla tutela del diritto, deve essere intera, u-guale, imparziale, anche sotto un Governo di parte. L’amministrazione deve essere secondo la legge e non secondo l’arbitrio e l’interesse di partito: la legge deve essere applicata con giustizia e equanimità verso tutti. [....] La conformità dell’attività am-ministrativa alla legge garantisce che un governo di partito, il solo modo oggi pos-sibile di governo libero, sia conciliabile […] con quella equità che in iisdem causis pa-ria iura desiderant».

(55) A. M. SANDULLI, Governo e amministrazione, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1966, p. 755 con ampi riferimenti bibliografici, il quale rileva anche che «l’inconveniente [della parzialità dell’amministrazione] non può avere, in un regime nel quale la mag-gioranza parlamentare e Governo sono esponenti delle stesse forze politiche, un adeguato correttivo».

(56) Emblematiche le affermazioni di C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1975, p. 590: « Ma questa stessa provenienza del personale di governo da formazioni partitiche racchiude in sé il pericolo che l’amministrazione sia soggetta ad influenze di parte in contrasto con gli interessi generali»; p. 595: «Poiché i mini-stri devono la propria investitura dalla fiducia loro accordata dal partito o dalla coa-lizione di maggioranza sono indotti a giovarsi della carica per rivolgere l’attività del-

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tico, per definizione, tende ad essere parziale in quanto espres-sione elettiva di parte, e perché vincolato a programmi di azione approvati da parte dell’elettorato in contrapposizione con altre parti dello stesso elettorato» (57).

Per superare queste problematiche non sembra sufficiente – come affermato dalla dottrina sopra richiamata – l’esistenza di «buone e concrete leggi amministrative» (58) la cui violazione sia sanzionata dal giudice amministrativo (59). Infatti, come prece-dentemente sottolineato, la conformità di un provvedimento al- l’amministrazione da essi presieduta alla soddisfazione di interessi particolaristici o del partito cui appartengono o personali di carattere elettoralistico».

(57) Così V. CERULLI IRELLI, La funzione amministrativa tra politica e amministra-zione, in La dirigenza pubblica: analisi e prospettive, cit., p. 30; F. MERUSI, I rapporti tra governo e amministrazione, in S. CASSESE e A. G. ARABIA, L’amministrazione e la costitu-zione. Proposte per la costituente, Bologna, 1993, p. 25 per il quale il c.d. modello moni-sta ha condotto alla degenerazione politica dell’amministrazione la quale «cura gli interessi di una parte e ha perso di vista l’obiettività della funzione da svolgere»; S. CASSESE, «Perché una nuova costituzione deve contenere norme sulle pubbliche amministrazioni e quali debbono essere queste norme», in S. CASSESE e A. G. ARABIA, L’amministrazione e la costituzione, Proposte per la costituente, cit., p. 20: «il governo può dirigere e correggere, non amministrare».

(58) Peraltro, il problema della parzialità dell’amministrazione viene affrontato anche su un altro piano prevedendo una puntuale disciplina legislativa dello stato giuridico ed economico degli impiegati nei vari profili in cui è articolata (accesso, carriera, retribuzioni, stabilità, sanzioni disciplinari) al fine di realizzare il principio che gli impiegati non sono al servizio del ministro, ma dello Stato. Cfr. L. CARLAS-SARE, Amministrazione e potere politico, cit., p. 9.

(59) S. SPAVENTA, La giustizia nell’amministrazione, cit., p. 98: «L’importante, ora, è di fissare questa idea: la necessità di avere veri giudici e veri giudizi di diritto pub-blico in tutte le sfere della nostra amministrazione; unico rimedio ai pericoli che cor-re il sistema parlamentare (corsivo aggiunto)»; M. S. GIANNINI, Parlamento e ammini-strazione, in Amm. Civ., 1961, p. 145 ss. ora in L’amministrazione pubblica in Italia, a cura di S. CASSESE, Bologna, 1974, p. 228: «L’apparato amministrativo sollecitò del-le garanzie di se stesso e queste garanzie cercò in strumenti giuridici. [….] Può sem-brare a prima vista contraddittorio che fossero gli stessi componenti dell’apparato amministrativo a vedere con favore questi strumenti che venivano a limitare la loro azione; ma a ben considerare si comprende perché questo avvenne: essi avevano in realtà convenienza ad assoggettarsi ad efficienti strumenti repressivi per poter chie-dere ai propri ministri un’osservanza più rigorosa delle regole che reggevano la loro azione».

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le disposizioni che disciplinano l’esercizio del potere di provve-dere è condizione imprescindibile ma non sufficiente per garan-tirne l’imparzialità.

Occorre invece realizzare – si richiamano testualmente le af-fermazioni contenute in una recente sentenza della Corte Costi-tuzionale (60) – «una distinzione funzionale fra i compiti degli or-gani politici e burocratici, e cioè tra l’azione del governo – che è normalmente legata alle impostazioni di una parte politica, e-spressione delle forze di maggioranza – e l’azione dell’ammini-strazione – la quale, nell’attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza, è vincolata invece ad agire senza distinzioni di par-ti politiche e dunque al servizio esclusivo della nazione-» (61).

(60) Come osserva, F. CARINCI, Giurisprudenza costituzionale e c.d. privatizzazione del pubblico impiego, in Lav. Pubbl. Amm., 2006, p. 505, è alquanto utile «far spesso e volentieri parlare la Corte stessa, con mutuo sollievo di chi scrive – esentato dalla fatica del parafrasare – di chi leggerà – rassicurato nell’utile spendita del suo tem-po». E l’utilizzo di tale metodo sembra ancor più necessario tenendo conto che, come osserva da ultimo F. SAITTA, Burocrazia e indirizzo politico, in Dir. e Proc. Amm., 2008, p. 245, «la disciplina costituzionale dei rapporti politica/amministrazione è molto flessibile ed ammette più modelli senza imporne nessuno in particolare. Con-tra F. MERLONI, Dirigenza pubblica e amministrazione imparziale, cit., p. 209 per il quale il «modello disciplinato [dal d.lgs. 165/2001] è non solo costituzionalmente compa-tibile (nel senso di coerente con le disposizioni costituzionali), ma ormai costituzio-nalmente necessario».

(61) In termini, Corte Cost. 23 Marzo 2007, n. 103, cit.; Corte Cost. 23 Marzo 2007, n. 104, cit., Corte Cost. 20 Maggio 2008, n. 161, cit. Cfr. pur con riferimento alla composizione delle commissioni giudicatrici dei pubblici concorsi, Corte Cost., 15 Ottobre 1990, n. 453, cit.; Corte Cost., 23 Luglio 1993, n. 333, cit. Osserva, F. G. SCOCA, Politica e amministrazione nelle sentenze sullo spoils system, in Giur. Cost., 2007, p. 1017 ss.: «con le sentenze [n. 103/2007 e n. 104/2007] il principio della separa-zione tra organi e funzioni politiche (o di governo) ed organi e funzioni ammini-strative (operative o di gestione) sembra assumere valore costituzionale». Peraltro, non sembra inutile ricordare che, pur con modalità diverse, la differenziazione fun-zionale fra organi di governo e dirigenti è stata auspicata anche dalla dottrina meno recente. In particolare, si richiama A. M. SANDULLI, Governo e amministrazione, cit., p. 752-762 spec. p. 759. Secondo questo autore, la competenza ad adottare «buona parte» dei provvedimenti discrezionali dovrebbe essere attribuita ad organi collegiali «rappresentativi oltre che della stessa amministrazione, delle classi di esperti e dei centri degli interessi qualificati» oppure «agli organi burocratici i quali non dovreb-

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Siffatta distinzione «accentua la distanza tra la politica e la diret-ta gestione degli interessi coinvolti dalla decisione amministrati-va» (62), ovvero, detto altrimenti, esclude che la politica si occupi delle «singole situazioni concrete sulle quali finiranno ad incide-

bero essere in posizione di subordinazione gerarchica rispetto agli organi di dire-zione politica». A questi ultimi dovrebbe competere invece «l’esercizio di funzioni di indirizzo mediante l’emanazione di direttive di carattere generale, di coordinamento al fine di armonizzare e ridurre ad unità l’azione degli organi burocratici superan-done i conflitti e promuovendone la cooperazione oltre che di sorveglianza attraver-so la vigilanza e il riesame (ex officio o su ricorso)» dei provvedimenti emanati. Tut-tavia, in quest’ultima ipotesi, l’organo di direzione politica dovrebbe tener conto del parere di organi consultivi composti da tecnici e «ove possibile e opportuno» dai rappresentanti «dei centri di interesse qualificati» in modo tale da «sottrarre la deci-sione dei casi particolari al prevalere della politica». Secondo A. CERRI, Imparzialità e indirizzo politico nell’amministrazione, cit., p. 201-206 spec. 203, la cui posizione appare per molti versi analoga a quella del maestro appena richiamato, è opportuno che l’organo di governo sia titolare del potere di indirizzo, di direttiva, di emanazione di atti generali e di provvedimenti concreti rispetto ai quali non è possibile predeter-minare regole di esercizio sufficientemente precise; ai dirigenti invece spetta l’e-manazione dei residui provvedimenti amministrativi. Ciò appare garantire all’amministrazione un margine di autonomia sufficientemente ampio per opporsi ad eventuali tentativi degli organi di direzione politica di operare discriminazioni e favoritismi. In ogni modo, al fine di favorire un reale controllo ed un’effettiva dire-zione sulla pubblica amministrazione, si auspica da un lato, che il privato abbia il potere di impugnare i provvedimenti amministrativi adottati dagli organi burocratici avanti agli organi di direzione politica per motivi di opportunità; dall’altro, che gli organi di direzione politica, abbiano il potere di sostituirsi ai dirigenti nell’ipotesi di persistente inosservanza delle direttive. Cfr. anche le osservazioni di G. PASTORI, La procedura, cit., p. 66 per il quale dovrebbe rientrare nella competenza dei dirigenti la formulazione di una decisione preliminare imparziale da cui gli organi di governo potrebbero discostarsi per ragioni politiche.

(62) In termini, F. MERLONI, Dirigenza pubblica e amministrazione imparziale, cit., p. 195-205 che individua tre diverse dimensioni dell’imparzialità: quella «del risultato», quella «dell’amministrazione», quella «soggettiva»; V. CERULLI IRELLI, La funzione amministrativa, in La dirigenza pubblica: analisi e prospettive, cit., p. 25: «i due principi sui quali si basa l’amministrazione nello Stato moderno, legalità [...] e professionalità-imparzialità [...] evidenziano l’esigenza di distinguere, nell’ambito delle funzioni di governo in senso stretto, tra quelle di carattere politico che ad essi spettano, e le funzioni di carattere amministrativo».

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re [i provvedimenti adottati] e dei soggetti particolari che, di vol-ta in volta ne risulteranno avvantaggiati o pregiudicati» (63).

Si tratta di una ricostruzione pienamente coerente con l’art. 97 della Costituzione. È pur vero, infatti, che un’interpretazione di questa norma condotta senza tener conto delle altre disposi-zioni costituzionali ed, in specie dell’art. 95, imporrebbe di indi-viduare una sfera di azione riservata ai funzionari-dirigenti pre-clusa all’ingerenza degli organi di governo e quindi, in ultima analisi, di spezzare il continuum politica e amministrazione (64). In questa ottica, l’amministrazione pubblica sarebbe configurabile come un’organizzazione a sé stante, separata dal potere esecuti-vo e, più in generale, equidistante ed indipendente dalle forze politiche (65). In particolare, vi sarebbe una netta dicotomia fra l’organizzazione dei Ministeri disciplinata dall’art. 95 e rientrante nella piena disponibilità dell’organo di direzione politica (id est: il Ministro) che ne costituirebbe necessariamente il vertice gerar-

(63) Così F. BATTINI, Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, cit., p.

639; ID., Dirigenza pubblica, cit., p. 1862: «la legittimazione politica [...] non abilita, in particolare, all’esercizio di poteri che si concretizzano in scelte discrezionali puntua-li, rivolte a specifiche destinatari, ed applicative rispetto ad indirizzi già determinati; in questi casi attribuire la scelta ad un organo politico contrasterebbe con il princi-pio di imparzialità».

(64) N. SPERANZA, Governo e pubblica amministrazione nel sistema costituzionale italia-no, Napoli, 1971, p. 52: «nell’organizzazione amministrativa vige con rigore l’esclusività implicita nei concetti di competenza e di attribuzione di guisa che non potrà avvenire che i centri soggettivi condividano con altri le stesse competenze, né condividano le stesse attribuzioni con centri soggettivi facenti capo di un altro Mi-nistero».

(65) Cfr. le osservazioni di M. NIGRO, La pubblica amministrazione tra costituzione formale e materiale, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1985, p. 163 ss. il quale pone in luce i tre modelli di «amministrazione-organizzazione amministrativa» desumibili dalla Costituzione, In particolare, evidenzia che dagli art. 97-98 si può ricavare «l’idea dell’amministrazione come apparato a sé, separato dal Governo e in genere dal po-tere politico: una sorta di povouir administratif non subordinato al potere politico ma regolato direttamente dalla legge. Tradotto in chiave soggettiva, il principio com-porta l’esistenza di una burocrazia autoregolantesi: un’amministrazione imparziale gestita da impiegati al servizio della nazione».

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chico (66) e quella invece dell’amministrazione «costituita da uf-fici « […] «sottratti alla gerarchia del Ministro, autonomi rispetto agli organi di governo, investiti di proprie attribuzioni da cui scaturirebbero responsabilità personali per i titolari» (67).

Tuttavia, la predetta elaborazione, «pur suggestiva e seria-mente proposta» (68), non sembra possa essere accolta perché l’apparato amministrativo sarebbe completamente «privo di ver-tice» o, comunque, di «un vertice fornito di legittimazione de-mocratica». E la circostanza sarebbe evidentemente incompati-bile con la responsabilità ministeriale ex art. 95 della Costituzio-ne (69) e, più in generale, con il principio di sovranità popolare (70).

(66) N. SPERANZA, Governo e pubblica amministrazione nel sistema costituzionale italia-

no, cit., p. 39 ss spec. p. 43: «il ministero è stato trasferito dallo spazio del potere esecutivo, comprensivo del governo e dell’amministrazione, come elementi di un complesso unitario, a quello strettamente governativo e si configura come struttura politicamente rilevante, che consente all’ufficio di ministro l’esplicazione delle ri-spettive attribuzioni».

(67) N. SPERANZA, Governo e pubblica amministrazione nel sistema costituzionale italia-no, cit., p. 45: «l’aggettivo proprie, infatti, di cui all’art. 97 esprime «la esclusività ed “ininterferibilità” delle competenze e delle attribuzioni riservate alla pubblica am-ministrazione che è completamente separata dal governo».

(68) In termini, V. BACHELET, Responsabilità del Ministro e competenza esterna degli uffici direttivi dei Ministeri, in Studi in memoria di E. Giucciardi, cit., p. 589.

(69) Così L. CARLASSARE, Amministrazione e potere politico, cit., p. 161; L. ARCI-DIACONO, Profili di riforma dell’amministrazione statale, cit., p. 48 il quale nega che «l’art. 97 abbia inteso tagliare il Governo dai rapporti con l’amministrazione pubblica, il che risulterebbe contrario, tanto allo spirito, quanto alla lettera delle disposizioni sulla materia»; V. CERULLI IRELLI, La funzione amministrativa, in La dirigenza pubblica: analisi e prospettive, cit., p. 28: «Non sarebbe ammissibile una posizione di piena indi-pendenza dell’amministrazione rispetto alla politica perché [....] priverebbe gli orga-ni politici (di governo) di rispondere davanti alle Assemblee elettive, ma prima an-cora davanti all’elettorato, della gestione delle funzioni e dei servizi che ai diversi organi ed uffici sono conferiti nell’interesse della collettività».

(70) S. BATTINI, Dirigenza pubblica, cit., p. 1862: «Contrasterebbe con il principio di sovranità popolare un’attività amministrativa indirizzata al perseguimento di fina-lità definite dallo stesso corpo burocratico».

CAPITOLO QUARTO

174

In realtà, l’imparzialità appare egualmente realizzabile senza pregiudicare il predetto principio democratico (71) purché vi sia consapevolezza che fra politica e amministrazione, ovvero fra organi di governo e dirigenti, non vi è (e non vi potrà mai esse-re) una separazione tranchante, ma piuttosto una necessaria ed inevitabile distinzione funzionale che non ne pregiudichi l’in-eliminabile continuum (72).

(71) Peraltro, un’interpretazione dell’art. 95 della Costituzione condotta senza tener conto delle altre disposizioni costituzionali ed, in particolare, dell’art. 97 po-trebbe giustificare la configurazione dell’amministrazione come «apparato servente del governo». In questa prospettiva, il Ministro è gerarchicamente sovraordinato agli organi burocratici in modo tale da garantire un collegamento, diretto o indiretto, fra apparato amministrativo e volontà popolare (cfr. M. NIGRO, La pubblica amministra-zione tra costituzione formale e materiale, cit., p. 168). Si tratta di un’interpretazione che suscita più di qualche perplessità. Invero, il principio della responsabilità ministeria-le non comporta l’imputazione di ogni singolo provvedimento al Ministro né impe-disce di riservare ai dirigenti-organi una sfera di competenza in via esclusiva. Da un’interpretazione sistematica dell’art. 95 si può desumere che la Costituzione ha attribuito al Ministro la «responsabilità per l’andamento complessivo del dicastero; ossia per la gestione globale e di impostazione dei rapporti tra settore burocratico e indirizzo politico generale-amministrativo» (in proposito, cfr. L. ARCIDIACONO, Profili di riforma dell’amministrazione statale, cit., p. 36-52 spec. p. 44). Detto altrimenti, «il Ministro risponde di ciò che fa, o meglio, di ciò che può fare in base alle norme sulla distribuzione delle competenze». In questa ottica, «la responsabilità individuale del Ministro per gli atti del suo dicastero (art. 95 Cost.) è solo una responsabilità politi-ca per gli atti di indirizzo emanati e per la vigilanza e i controlli svolti sulla loro at-tuazione (cfr. L. CARLASSARRE, Amministrazione e potere politico, cit., p. 168-173). Vedi anche le più recenti riflessioni di F. MERLONI, La dirigenza pubblica italiana in un’ottica comparata, in La dirigenza pubblica: analisi e prospettive, cit., p. 55.

(72) Cfr. L. CARLASSARRE, Amministrazione e potere politico, cit., p. 156 ss. spec. p. 163 ss.; C. PINELLI, Politica e amministrazione: una distinzione per l’ordine convenzionale, in Giur. Cost., 1990, p. 2723 che, commentando la sentenza 15 Ottobre 1990, n. 453, afferma: «la Corte Costituzionale parla di distinzione anziché di separazione: un conto è assumere che, rimosse le cause dell’ingerenza quelle sfere [politica e ammi-nistrazione] sarebbero naturalmente separate e l’amministrazione naturalmente im-parziale, un conto è assumere che possono solo, ma nello stesso tempo debbono, mantenersi distinte»; G. PASTORI, Amministrazione, imparzialità e composizione tecnica degli organi di amministrazione del personale, in Le Regioni, 1991, p. 1511: «alla distinzione fra politica e amministrazione sancita con forza si giustappone l’indissolubile (anche se tutto da precisare) collegamento fra livello “amministrativo” e livello “di gover-

L’ANNULLABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO

175

In conclusione, quindi, la distinzione fra politica e ammini-strazione e il correlato riparto di competenze fra organi di go-verno e dirigenti concorre a garantire la reciproca complementa-rietà fra indirizzo politico e imparzialità, che costituisce la cifra caratteristica di un sistema democratico.

Specularmente, l’annullabilità del provvedimento adottato in violazione di tale riparto costituisce un meccanismo di tutela previsto dall’ordinamento per realizzare la piena attuazione del principio costituzionale di imparzialità (73). no”, sì da limitare indubbiamente la portata del principio di imparzialità nell’amministrazione della burocrazia: evitando cioè di tradurre il principio di im-parzialità in un principio di indipendenza dell’amministrazione dalla burocrazia»; C. D’ORTA, Politica e amministrazione, in La riforma della dirigenza pubblica, a cura di C. D’ORTA e M. MEOLI, Padova, 1994, p. 1: «le funzioni [degli organi di governo e dei dirigenti] possono essere tendenzialmente distinte ma non separate in modo tran-chant»; S. AMOROSINO, Note su alcune configurazioni reali dei rapporti tra direzione politica e dirigenza amministrativa nel contesto italiano, in Foro Amm., 1995, p. 1155 ss. che critica l’utilizzo della «formuletta “separazione tra politica e amministrazione” [eviden-ziando] «la necessità di perseguire la tendenziale distinzione, ben sapendo di essere in presenza di rapporti intessuti di mille fili di interrelazioni funzionali, che riguar-dano situazioni profondamente differenziate»; F. MERLONI, Amministrazione «neutra-le» e amministrazione imparziale (A proposito dei rapporti tra «politica» e «amministrazione»), in Dir. Pubbl., 1997, p. 319 ss. spec. p. 349 ss.; ID., Sub art. 3, in La riforma dell’organizzazione dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche, cit., p. 1085 ss.; ID. Dirigenza pubblica e amministrazione imparziale, Bologna, 2006, p. 136-138: «Il nuovo modello di distribuzione dei compiti tra organi politici e dirigenti ammi-nistrativi deve essere qualificato come distinzione di competenze e non come separa-zione. Si è visto, infatti, che il nuovo modello opera all’interno di amministrazioni che non sono affatto sottratte all’indirizzo, che resta riservato agli organi di direzio-ne politica, e agisce solo nel senso di configurare una riserva di competenza in capo a una particolare categoria di funzionari professionali, definiti come dirigenti»; F. SAITTA, Burocrazia e indirizzo politico, cit., p. 247: «Attività politica e attività ammini-strativa, attività di indirizzo ed attività di gestione costituiscono due aspetti concet-tualmente distinti, ma nella pratica complementari ed ineliminabili di un’unica real-tà, il governo della cosa pubblica, e perciò operano in una situazione di stretta con-tiguità e si influenzano reciprocamente, si compenetrano e rifluiscono ciascuno nell’altrui settore».

(73) Fermo restando che, comunque, il predetto riparto non è sufficiente a ga-rantire l’osservanza del principio di imparzialità se non è accompagnato da idonee misure – il cui esame ed approfondimento esula dai limiti di questo lavoro – con-

CAPITOLO QUARTO

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2. L’ANNULLABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO VIZIATO DA INCOMPETENZA APPARE DIRETTO A GARANTIRE CHE IL POTERE VENGA ESERCITATO DALL’ORGANO RITENUTO DALL’ORDINAMENTO IDONEO A PONDERARE I

cernenti, a titolo esemplificativo, la nomina dei dirigenti, la durata degli incarichi dirigenziali, la verifica dell’effettiva realizzazione dei risultati. In proposito, vedi F. MERLONI, Dirigenza pubblica e amministrazione imparziale, cit., p. 177-194; ID., La diri-genza pubblica italiana in un’ottica comparata, in La dirigenza pubblica: analisi e prospettive, cit., p. 61-65: «il principio di fondo, su cui si basa il modello italiano, non viene mai posto in discussione. [...] Di per sé, però, la piena attuazione del principio in senso formale [...] non appare sufficiente a garantire che i dirigenti siano effettivamente sottratti a forme improprie di condizionamento da parte degli organi di direzione politica. [...]». L’autore evidenzia come particolari soluzioni organizzative possono determinare dei condizionamenti che pregiudicano la posizione di imparzialità del dirigente. Gli «aggiramenti del principio di distinzione» fra politica e amministra-zione sono, ad esempio, costituiti dalla «interposizione di incarichi fiduciari, dalla corta durata degli incarichi professionali, dal c.d spoils system, dall’uso non corretto della dirigenza esterna» nonché «dalla revoca per inosservanza delle direttive» ec-cessivamente puntuali e dettagliate, al punto da essere qualificabili come veri e pro-pri ordini. Riguardo questi profili problematici vedi, senza pretesa di completezza, G. ENDRICI, Il potere di scelta. Le nomine tra politica e amministrazione, cit.; S. CASSESE, Il nuovo regime dei dirigenti pubblici italiani: una modificazione costituzionale, cit., p. 1341 ss.; ID., Il rapporto tra politica e amministrazione e la disciplina della dirigenza, in La dirigenza nel pubblico impiego. Annuario dell’associazione italiana dei professori di diritto amministrativo, Mi-lano, 2004, p. 399 ss.; A. CORPACI, Riflessioni sulla dirigenza pubblica alla luce della l. n. 145/2002, in Lav. Pubbl. Amm., 2002, p. 225 ss.; M. CAMMELLI, Politica e amministra-zione: modelli costituzionali, realizzazione e problemi aperti, in La dirigenza nel pubblico impie-go, cit., p. 425 ss.; G. D’ALESSIO, Nuove norme sulla dirigenza: il legislatore miope e le voci amiche, in Lav. Pubbl. Amm., 2005, p. 454 ss.; ID., La disciplina della dirigenza pubblica: profili critici ed ipotesi di revisione del quadro normativo, in Lav. Pubbl. Amm., 2006, p. 558 ss.; S. BATTINI, In morte del principio di distinzione fra politica e amministrazione: la Corte preferisce lo spoils system, in Giorn. Dir. Amm., 2006, p. 911 ss.; C. CHIAPPINELLI, Spoils system, procedure di bilancio e disegno amministrativo: la sentenza n. 103 del 2007 della Consul-ta ed i problemi ancora aperti, in Foro Amm. CDS, 2007, p. 1353 ss.; M. CLARICH, Corte Costituzionale e spoils system, ovvero il ripristino di un rapporto più corretto fra politica e ammi-nistrazione, in www.astrid-online.it; F. LUCIANI, Natura giuridica degli atti di conferimento di incarichi dirigenziali e tecniche di tutela giurisdizionale, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico, n. 6/2007; G. CORSO e G. FARES, Quale spoils system dopo la sentenza 103 della Corte Costituzionale, in www.giurcost.org; S. BATTINI e B. CIMINO, La dirigenza pubblica italiana fra privatizzazione e politicizzazione, cit., p. 1001 ss.; F. SAITTA, Burocrazia e indi-rizzo politico: il modello della Corte Costituzionale, cit., p. 243-295 con una puntuale e re-cente ricostruzione della giurisprudenza costituzionale.

L’ANNULLABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO

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MOLTEPLICI INTERESSI CONFLIGGENTI O A COMPIERE UNA VALUTAZIO-NE NON DISCREZIONALE AD ESSO RISERVATA E, QUINDI, CHE «LA TRA-SFORMAZIONE DEL POTERE IN ATTO» SIA CONFORME AL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO. TALE ASSUNTO NON SI APPLICA ALL’ATTIVITÀ AM-MINISTRATIVA TOTALMENTE VINCOLATA.

Dopo aver cercato di esaminare la relazione esistente fra

competenza ed imparzialità, è necessario compiere analoga inda-gine in relazione all’altro canone costituzionale cui fa riferimen-to l’art. 97.

In via preliminare, è necessario individuare la nozione di buon andamento accolta nel presente studio.

Al riguardo, si sottolinea che, come noto, i primi commen-tatori della Carta Costituzionale attribuiscono carattere mera-mente programmatico al predetto principio la cui effettiva attua-zione viene subordinata all’interpositio del legislatore ordinario (74).

Successivamente, la dottrina configura il buon andamento come un vincolo di carattere alquanto generico al quale è sog-getta ogni organizzazione in quanto ontologicamente «preordi-nata ad un fine» (75). Ne deriva che la violazione di tale canone

(74) G. SALA, Il principio del giusto procedimento, cit., p. 105-106: «il riferimento al

buon andamento, di cui si negava aprioristicamente la rilevanza per il diritto, ha of-ferto lo spunto alla tendenza svalutativa della valenza giuridica del primo comma dell’art. 97 Cost.». E di tale tendenza è significativa espressione il pensiero di E. CA-SETTA, Attività e atto amministrativo, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1957, p. 304: «[La dispo-sizione costituzionale] mira soprattutto a porre una riserva di legge in materia di organizzazione di pubblici uffici e per di più non detta al legislatore alcuna direttiva in ordine al fine da raggiungere, mentre soltanto dalla legge viene fatto dipendere l’instaurarsi o, in ipotesi, il permanere di un buon andamento dell’amministrazione. [….] Comunque, a parte il concreto e piuttosto dubbio valore giuridico dell’enun-ciato costituzionale, il buon andamento attiene alla tecnica dell’organizzazione degli uffici, cui la legge dovrà tener conto». In senso analogo, vedi G. BALLADORE PAL-LIERI, La nuova costituzione italiana, Milano, 1948, nota 164.

(75) A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 6: «È essenziale ad ogni organizzazione sociale l’esser preordinata alla realizzazione dei fini. Nel caso

CAPITOLO QUARTO

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costituzionale non lede alcuna posizione giuridica qualificata e differenziata, ma arreca esclusivamente un pregiudizio «all’in-teresse della comunità nel suo insieme» (76).

L’elaborazione in questione suscita più di qualche perplessi-tà perché, a tacer d’altro, appare negare una reale valenza giuri-dica al buon andamento.

E questa obiezione non pare possa essere totalmente supe-rata inquadrando il buon andamento nel più ampio genus degli obblighi derivanti dal c.d rapporto di ufficio e configurandolo come regola di condotta propria di tutti i soggetti preposti a funzioni pubbliche.

In questo quadro, infatti, la violazione delle regole ricondu-cibili al principio in questione non è causa, almeno direttamente, di invalidità del provvedimento adottato ma può comportare, al massimo, delle sanzioni sul piano del rapporto di servizio tra la persona fisica titolare dell’organo e l’ente di appartenenza (77). È, quindi, una ricostruzione che, pur trovando conferma nelle disposizioni normative inerenti la responsabilità dirigenziale, ha

dell’amministrazione pubblica tale fine è costituito dalla realizzazione degli interessi pubblici ad essa affidati».

(76) A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 105: «Non sempre, infatti, il dovere giuridico è in funzione di un vantaggio di altri soggetti: molti dove-ri non vengono imposti a vantaggio di particolari soggetti, bensì nell’interesse della comunità sociale non soggettivizzata».

(77) Così G. SALA, Il principio del giusto procedimento, cit., p. 88-89. Come osserva, M. NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, cit., p. 75-76 appare difficile attribuire un preciso contenuto a tale dovere, che appare configura-bile «come il vincolo generico di ogni potere pubblico o privato, discrezionale o vincolato, in quanto il medesimo potere è ordinato ad un fine, cioè è funzione». Al riguardo cfr. anche le riflessioni di A. ANDREANI, Il principio costituzionale di buon an-damento della pubblica amministrazione, Padova, 1979, p, 21: «Nella considerazione dell’art. 97 si è individuata la funzione precettiva nei confronti degli organi della p.a. come imposizione di realizzare il buon andamento. Ma questo risulta al tempo stes-so insufficiente, perché non spiega poi il contenuto del buon andamento; e pleona-stico, perché in realtà il dovere funzionale che si realizza nel precetto di buona am-ministrazione preesiste al comando costituzionale e non ne costituisce adeguata giustificazione».

L’ANNULLABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO

179

natura prevalentemente descrittiva e non sembra essere suscet-tibile di concreta applicazione nell’ambito dei rapporti tra am-ministrazione e cittadini.

In realtà, la valenza giuridica ed immediatamente precettiva dell’articolo 97 può trovare fondamento non tanto nella identi-ficazione, alquanto riduttiva, del buon andamento con il com-plesso di regole di buona amministrazione rilevanti esclusiva-mente in sede di giudizio di merito (78), ma piuttosto nella con-figurazione del principio in esame in termini di efficienza, effi-cacia, economicità (79) (rectius: di efficienza definita attraverso i

(78) Cfr. A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 585 il quale fa

riferimento all’osservanza di quelle regole (non giuridiche) di condotta (general-mente tratte dalle tecniche di volta in volta pertinenti e dalla passata esperienza) […] destinate ad assicurare essenzialmente (opportunamente ponderandole e con-temperandole) la prontezza, la semplicità e speditezza, l’economicità, il rendimento e la puntuale adeguatezza dell’azione amministrativa (cosa che attiene al merito di que-sta)»; R. JUSO, Il così detto vizio di efficienza dell’azione amministrativa, in Riv. Amm., 1967, p. 421 ss. Riguardo l’elaborazione del Sandulli osserva criticamente G. BERTI, La pubblica amministrazione come organizzazione, cit., p. 82-84: «Il buon andamento non è solo la buona amministrazione, non è cioè solo merito amministrativo: è alcunché di più ampio, di più comprensivo e, aggiungiamo, di preliminare rispetto al merito stesso. Nel buon andamento è inclusa una valutazione complessiva dell’ammi-nistrazione dal punto di vista delle attività da compiere. In breve, oltre il merito, vi è compresa la legittimità o la validità della condotta dell’amministrazione».

(79) Cfr. M. NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica, cit., p. 83-86 il quale ritiene necessario «individuare, al di là degli specifici “principi” un criterio formale, essenziale e naturale, dell’azione amministrativa che, pur avendo radici non giuridiche, sia suscettibile di implicazioni giuridiche. Ora, niente sembra corrispon-dere a questi connotati meglio del c.d criterio d’efficienza». [...] Efficienza significa «adeguatezza o idoneità a raggiungere il risultato voluto; successo nel raggiungimen-to del risultato; potere adeguato, effettività, efficacia. Come risulta da questa felice definizione, sono indicati con la parola due concetti (ovviamente connessi): la rela-zione fra ciò che si è fatto e ciò che si poteva fare e la relazione fra ciò che si deve fare ed i mezzi di cui si dispone (idoneità a raggiungere il risultato voluto). Solo questa seconda relazione, interessa il diritto, e lo interessa sotto il profilo dinamico dell’adeguatezza al fine anche dei mezzi giuridici disponibili. [.....] In conclusione, non solo buon andamento ed efficienza sono la stessa cosa, ma anche il risvolto giuridico di tale criteri sta nell’attribuzione all’amministrazione di mezzi giuridici elastici per consentire il miglior proporzionamento, al fine stabilito, dell’attività erogata». Vedi

CAPITOLO QUARTO

180

criteri di economicità ed efficacia) (80). Tale conclusione è stata recepita dall’art. 1 della 241/1990 che «traduce, oggi, in modo tecnicamente comprensibile, il significato oscuro del buon an-damento ovvero della c.d. buona amministrazione» (81). In que-sta ottica, tra il fine (id est: la cura concreta degli interessi pubbli-ci) e i mezzi deve esistere necessariamente una relazione di ido-neità ed adeguatezza. Detto altrimenti, fra l’assetto organizzati- anche G. GUARINO, Ancora sui modelli differenziati, in Scritti di diritto pubblico dell’econo-mia, vol. II, Milano, 1970, p. 61; O. SEPE, L’efficienza nell’azione amministrativa, Mila-no, 1975, p. 14-15 richiamato da L. MERCATI, Responsabilità amministrativa e principio di efficienza, Torino, 2002, p. 5: «[Il concetto di efficienza] come sviluppato dalle scienze aziendalistiche entra invece nel mondo del diritto pubblico, per così dire, dalla porta principale, essendo per l’appunto utilizzato per spiegare la portata ed, in sostanza, il contenuto del precetto costituzionale di buon andamento. Ciò è stato possibile, almeno dal punto di vista teorico, anche perché nella sua terra di origine l’efficienza non veniva più definita con riguardo alla mera misurazione di risultati economici e al profitto, ma piuttosto con riferimento alla rispondenza effettiva ri-spetto al voluto, nel senso dello sviluppo aziendale»; U. ALLEGRETTI, Valori costitu-zionali e pubblica amministrazione: un nuovo inizio?, in Amministrazione pubblica e costituzio-ne, cit., p. 216: «per l’amministrazione parametro centrale è l’efficienza: ossia che la sua esplicazione va valutata alla luce dei fini da raggiungere, quindi, come capacità di realizzarli, e di realizzarli al meglio». In proposito, vedi anche osservazioni di L. MERCATI, Responsabilità amministrativa e principio di efficienza, cit., p. 6-7: «l’individua-zione della corrispondenza concettuale tra buon andamento ed efficienza rappre-senta un passaggio evolutivo di notevole importanza anche se esprime in questa fase soprattutto un valore organizzatorio»; ID., Buon andamento, voce in Dizionario di diritto pubblico, vol. I, p. 758.

(80) Così L. MERCATI, Efficienza, voce in Dizionario di diritto pubblico, vol. III, cit., p. 2146.

(81) In termini, B. CAVALLO, Teoria e prassi della pubblica organizzazione, cit., p. 71: l’art. 1 della l. n. 241/1990 fa riferimento ai criteri di efficacia ed economicità; men-tre l’art. 1 lettera a) del d.l.gs. 165/2001 richiama quello di efficienza; A. POLICE, Sub art. 1, in La pubblica amministrazione e la sua azione, a cura di N. PAOLANTONIO, A. POLICE, A. ZITO, Milano, 2005, p. 74: «che il buon andamento costituisca ora anche un principio dell’attività amministrativa e che in tal modo debba orientare l’e-sercizio dei pubblici poteri, non è più dato dubitare, atteso che i criteri della effi-cienza e della economicità sono stati assunti dallo stesso legislatore come canoni di condotta per l’Amministrazione e traducono nell’attività amministrativa quel prin-cipio di buon andamento, normalmente interpretato dai più in dottrina, come utile soltanto ai fini dell’organizzazione delle PP.AA.»

L’ANNULLABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO

181

vo della pubblica amministrazione e le funzioni ad essa conferi-te deve sussistere «il massimo grado possibile di sintonia e corri-spondenza» (82): è il c.d. «aspetto “attitudinale” dell’efficienza» in forza del quale «l’organizzazione è efficiente in quanto idonea a produrre il soddisfacimento degli interessi» (83).

Questo appare il profilo del principio di buon andamento ri-levante ai fini della nostra indagine; profilo che costituisce ormai una consolidata acquisizione della scienza giuridica (84).

(82) Così G. D’ALESSIO, Il buon andamento dei pubblici uffici, Ancona, 1993, p. 65

ss. che propone un’attenta e sistematica ricostruzione della giurisprudenza relativa al buon andamento. Cfr., ex multis, Corte Cost, 12 Marzo 1962, n. 14, in Giur. Cost., 1962, p. 146 con “postilla” di M. S. GIANNINI, p. 158; Corte Cost. 30 Gennaio 1980, n. 10, in Giur. Cost., 1980, p. 10 ss.; Corte Cost. 20 Ottobre 1983, n. 319, in Giur. Cost., 1983, p. 2077 ss.; Corte Cost., 24 Marzo 1988, n. 331, in Giur. Cost., 1988, p. 1359 ss.; Corte Cost. 9 Dicembre 1991, n. 440, in Giur. Cost., 1991, p. 3685 ss.; Corte Cost., 19 Marzo 1993, n. 103, in Giur. Cost., 1993, p. 841 ss.; Corte Cost., 4 Giugno 1993, n. 266, in Le Regioni., 1994, p. 516 ss.; Corte Cost. 24 Giugno 2004, n. 186, in Foro amm. CDS, 2004, p. 1574 ss.; Corte Cost. 2 Luglio 2008, n. 141, in GiustAmm Rivista internet di diritto pubblico.

(83) L. MERCATI, Responsabilità amministrativa e principio di efficienza, cit., p. 7; ID., Efficienza, voce in Dizionario di diritto pubblico, cit., p. 2144.

(84) Emblematico U. ALLEGRETTI, L’amministrazione in una prospettiva di revisione costituzionale, in Amministrazione pubblica e Costituzione, Padova, 1996, p. 248-249 il quale evidenzia che, in una prospettiva di revisione, il buon andamento è da rifor-mulare come efficienza. Peraltro, come nota un’originale ricostruzione dottrinale (si fa riferimento a L. MERCATI, Responsabilità amministrativa e principio di efficienza, cit., p. 1-28; ID., Efficienza, voce in Dizionario di diritto pubblico, cit., p. 2144 ss.; B. CAVALLO, Teoria e prassi della pubblica organizzazione, Milano, p. 71 ss.), il buon andamento non concerne soltanto l’astratta idoneità dell’amministrazione pubblica, ma riguarda an-che la concreta realizzazione dell’interesse pubblico perseguito: «efficienza come gra-do di soddisfazione dell’interesse pubblico che si è in concreto ottenuto». E non potrebbe essere altrimenti dal momento che – come evidenzia R. CAVALLO PERIN, Validità del provvedimento e dell’atto amministrativo, voce in Digesto (Disc. Pubbl.), vol. XII, Torino, 1959, p. 456 – nella prospettiva aziendalistica, «l’efficienza indica il rappor-to fra il risultato realizzato e la quantità di risorse impiegate mentre l’efficacia evi-denzia il rapporto fra i risultati in concreto ottenuti in ragione degli obiettivi presta-biliti»; nell’ottica sociologica, invece, «l’efficienza rileva la capacità di una organizza-zione di soddisfare i bisogni della comunità di riferimento e l’efficacia indica i rap-porti fra i bisogni sociali da soddisfare e quelli effettivamente realizzati».

CAPITOLO QUARTO

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Ciò chiarito, appare possibile verificare se il riparto di com-petenza fra gli organi concorra a realizzare questo canone costi-tuzionale.

In proposito, sembra utile richiamare la concezione dinami-ca dell’organizzazione amministrativa delineata nel secondo ca-pitolo di questo lavoro. In specie, è stato evidenziato il nesso e-sistente fra la funzione esercitata (rectius: fra i differenti momenti della concretizzazione del potere in atto) e l’organo. Si è, infatti, posto in luce che la competenza individua non solo il quantum di funzioni spettante a ciascun organo (c.d concezione statica della competenza), ma anche e soprattutto l’idoneità nonché l’ade-guatezza dell’organo all’esercizio del potere di provvedere per la cura degli interessi pubblici (c.d. concezione dinamica della competenza) (85). Emblematica appare la ripartizione delle fun-zioni fra organi di governo e dirigenti: l’aumento quantitativo e qualitativo dei compiti delle amministrazioni pubbliche induce a ritenere che l’organo più idoneo ad adottare i provvedimenti non sia più il politico privo di una specifica preparazione tecni-

(85) Cfr. U. ALLEGRETTI, L’imparzialità amministrativa, cit., p. 302: «Se la struttu-

ra della funzione determina l’individuazione dei compiti degli organi, la conforma-zione propria di questi ultimi risale direttamente alla causa, non senza combinarsi poi anch’essa con profili funzionali»; P. GASPARRI, Competenza amministrativa, voce in Enc. Giur., vol. VIII, Milano, 1961, p. 33: la competenza indica «il rapporto che esiste fra due enti in quanto l’uno richiede in qualche modo l’altro, l’uno si addice all’altro, secondo una certa regola espressione di una certa esigenza»; più recente-mente D. DE PRETIS, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, cit., 351: l’a-deguatezza può rilevare in termini di: «rappresentatività dell’organo nel senso di una specifica e qualificata capacità di esprimere il sentire ( e quindi i “valori”, gli orien-tamenti di un determinato gruppo sociale o dell’intera collettività)» [...]; di «prepara-zione tecnico-scientifica» [...]; di «responsabilità dell’articolazione amministrativa affidata-ria del potere rispetto all’oggetto della valutazione laddove la valutazione da com-piere possa comportare conseguenze rispetto alle quali viene in evidenza la respon-sabilità dell’amministrazione»; di apporto compositivo di più interessi eterogenei o di più elementi di quelli appena ricordati [...]; A. PIOGGIA, La competenza amministrativa, cit., p. 193: «vi è una corrispondenza fra qualità del compito attribuito e qualità dell’organo attributario».

L’ANNULLABILITÀ DEL PROVVEDIMENTO

183

ca, ma il dirigente dotato di un’adeguata qualificazione profes-sionale (86).

Orbene, la descritta relazione di idoneità ed adeguatezza fra l’organo e la funzione rappresenta il contenuto precettivo del principio di buon andamento. Di conseguenza, si può sillogisti-camente ritenere che il riparto di competenza fra i vari organi costituisca precipua attuazione del canone costituzionale in que-stione. Specularmente, l’annullabilità del provvedimento viziato da incompetenza appare diretto a garantire che il potere venga esercitato dall’organo ritenuto più adeguato ed idoneo a ponde-rare i molteplici interessi configgenti o a compiere una valuta-zione non discrezionale ad esso riservata e, quindi, che la «tra-sformazione del potere in atto» sia conforme al principio di buon andamento.

Peraltro, tale assunto non sembra possa essere applicato al-l’attività amministrativa in cui la «legge non lascia spazio alcuno all’autorità agente». In queste ipotesi, se il concreto assetto di in-teressi statuito dal provvedimento amministrativo è conforme a quello astrattamente predeterminato dalla fattispecie normativa, si può sostenere che il potere di provvedere è stato esercitato dall’organo adeguato ed idoneo. Detto altrimenti, nell’ipotesi di attività integralmente vincolata, la più volte richiamata relazione di adeguatezza ed idoneità tra organo e potere di provvedere

(86) Così V. CERULLI IRELLI, La funzione amministrativa tra politica e amministra-

zione, cit., p. 30: «La qualificazione non professionale dell’organo (questo per defini-zione) pone in dubbio il rispetto del principio di buon andamento, segnatamente in un sistema amministrativo quale quello di oggi, caratterizzato da una forte tecnici-tà». In proposito, si osserva che già Bettino Ricasoli stigmatizava «l’esagerazione del principio astratto della responsabilità individuale del Ministro per tutti gli atti am-ministrativi, i quali si è voluto fingere che siano fatti dal Ministro, mentre che real-mente non possono essere» (Cfr. relazione al disegno di legge di convalidazione del r.d. 24 Ottobre 1866 n. 3306 per il riordinamento dell’amministrazione centrale del-lo Stato richiamata da V. BACHELET, Responsabilità del Ministro e competenza esterna de-gli uffici direttivi dei Ministeri, cit., p. 571).

CAPITOLO QUARTO

184

viene garantita dalla conformità a legge del provvedimento a-dottato (87).

(87) Cfr. P. GASPARRI, Competenza amministrativa, cit. p. 34: se i provvedimenti

vincolati hanno natura vincolata, «le norme sulla competenza sono dirette a soddi-sfare necessità tecniche di divisione del lavoro fra le varie figure organizzative e la loro violazione deve integrare una mera mancanza disciplinare».

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Come ricordato nella Premessa, l’obiettivo della prima parte

di questo lavoro era quello di esaminare alcune problematiche di carattere più generale sottese all’art. 21 octies, secondo comma, primo alinea, della l. n. 241/1990.

In primo luogo, si è posto in luce che i provvedimenti rien-tranti nell’ambito di applicazione di questa disposizione non so-no né irregolari né sanati in applicazione della c.d. regola del raggiungimento dello scopo di derivazione processualcivilistica, ma sono «illegittimi eppure non annullabili» e, quindi, sono defi-nitivamente equiparati quoad effectum a quelli validi.

L’accoglimento di questa opzione interpretativa ha reso ne-cessario, da un lato, delineare i rapporti tra illegittimità ed inva-lidità nella concezione giuridica logico-formale e reale oggettiva; dall’altro, verificare la compatibilità della predetta norma con il sistema di tutela giurisdizionale previsto dalla Costituzione av-verso gli atti della pubblica amministrazione.

E tale esame è stato compiuto nella consapevolezza che le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché «è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice riten-ga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzio-nali» (1).

Nonostante i dubbi autorevolmente prospettati dalla dottri-na si è, quindi, pervenuti a sostenere la legittimità costituzionale della novella normativa valorizzando le più recenti ed ormai consolidate elaborazioni in ordine alla natura sostanziale del-l’interesse legittimo.

Infine, si è provato a delineare luci e ombre del nuovo mo-dello di amministrazione, di cui il più volte richiamato art. 21 oc-ties secondo comma costituisce precipua espressione.

(1) Così, Corte Cost., 22 ottobre 1996 n. 356, cit., p. 3096.

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

188

Nella seconda parte della ricerca, le acquisizioni raggiunte riguardo la natura e la funzione della norma in questione sono state discusse in relazione all’incompetenza.

Preliminarmente, si è cercato di verificare se la novella nor-mativa possa essere applicata a tale vizio. Si è giunti ad una so-luzione positiva attraverso due differenti percorsi argomentativi: da un lato, richiamando la concezione dinamica dell’organiz-zazione autorevolmente prospettata dal Nigro e dal Berti ed in-quadrando, quindi, le norme sulla competenza tra quelle sul procedimento; dall’altro, attribuendo all’attività ermeneutica una valenza sempre «teleologica-assiologica» nonché «logico-siste- matica» (2) e ritenendo, di conseguenza, coerente con «lo scopo perseguito dal legislatore» (3) la «non annullabilità» dei provve-dimenti vincolati che, pur affetti da incompetenza, non avrebbe-ro potuto avere un altro contenuto.

Successivamente, si sono accertati i limiti entro cui il vizio in questione non ha efficacia invalidante; verifica resa necessario dal carattere alquanto ambiguo e suscettibile di più interpreta-zioni della locuzione «attività vincolata» utilizzata dalla disposi-zione in questione.

Evidenziando la perdurante attualità della configurazione dell’organizzazione come «prefigurazione astratta dell’attività» nonché dell’attività come «concreta traduzione del-l’organizzazione in atti» (4) e radicando la ragione d’essere dell(e norme sulla) competenza in una prospettiva assiologica, si è concluso che il vizio in questione è sempre causa di annullabilità del provvedimento adottato tranne nelle ipotesi in cui l’attività amministrativa costituisca mera «traduzione dai termini astratti del disposto della legge a quelli concreti della fattispecie».

(2) In termini, P. PERLINGIERI Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il si-

stema italo-comunitario delle fonti, cit., p. 563-596 spec. p. 579. (3) Così Corte Cost. 15 Febbraio 1984 n. 26, cit., p. 197 ss. (4) Le espressioni utilizzate sono di M. NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice

della pubblica amministrazione, cit., p. 119.

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

189

Ad esclusione di questi (rari) casi, infatti, la disciplina ine-rente la ripartizione delle funzioni fra gli organi non è neutra né rispetto agli interessi da ponderare ed armonizzare né in rela-zione alle modalità di scelta e di applicazione dei criteri di giudi-zio relativamente alle c.d. valutazioni c.d. non discrezionali, ma costituisce invece saldo presidio di quella organizzazione ammi-nistrativa ritenuta dalla Costituzione imprescindibile presuppo-sto dell’esigenza di imparzialità e buon andamento.

In altri termini, la sanzione dell’annullabilità prevista per il provvedimento affetto da incompetenza appare preordinata a garantire che l’interesse pubblico venga curato non solo in mo-do congruo «alla dimensione e all’intensità ad esso attribuito dall’ordinamento nel caso concreto e in relazione a tutti gli altri interessi coinvolti» (5); ma anche da quell’organo che il sistema normativo ha ritenuto essere il più idoneo e il più adeguato.

E tale sanzione è inapplicabile unicamente nelle (poche) ipotesi di provvedimenti integralmente vincolati in cui l’imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa vengono sufficientemente tutelati dalla conformità del concreto assetto di interessi statuito dal provvedimento a quello astratta-mente predeterminato dalla norma attributiva del potere di provvedere.

In conclusione, richiamando la teoria della pluriqualificazio-ne dei fenomeni giuridici (6), si può asserire che duplice è la na-tura del vizio di incompetenza: formale, nelle fattispecie in cui il provvedimento amministrativo è totalmente vincolato; sostan-ziale, in tutte le altre ipotesi in cui «l’introduzione del principio di rigida ripartizione delle competenze e i relativi vizi di compe-tenza» costituiscono «la prima garanzia del cittadino» (7).

(5) G. SALA, Il principio del giusto procedimento, cit., p. 345. (6) Cfr. G. MIELE, Principi di diritto amministrativo, Padova, 1953, p. 61. (7) F. BENVENUTI, L'amministrazione nello stato democratico, in Democrazia e ammi-

nistrazione, a cura di G. MARONGIU e G. C. DE MARTIN, p. 23.

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