Il problema continuita'-svolta in Lercaro

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'eredità pasto e di Studi e testimonianze EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

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'eredità pasto edi

Studi e testimonianze

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

Questo volume è stato curatodal Centro servizi generalidell'arcidiocesi di Bologna

© 1992 Centro Editoriale DehonianoVia Nosadella 6 - 40123 Bologna

ISBN 88-10-80699-9

Stampa: Grafiche Dehoniane, Bologna 1992

Annotazionial problema

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di tacomoGiuseppe Battelli

L'Arcivescovo Lercaro, compiendo l'ingresso solenne a Bolognail 22 giugno 1952, rivolse ai presenti queste prime parole:

«Popolo santo della Chiesa di Bologna. Eccomi giunto in mez­zo a voi. Non sono venuto da me. Mi ha mandato il Successoredi Pietro»."

L'li febbraio 1968, comunicando alla diocesi la fine del proprioepiscopato, Lercara inviò un messaggio nel quale, dopo aver citato ilpasso di Matteo relativo al dialogo tra Gesù e il centurione, chiariva:

«Mi fu detto, or sono quasi sedici anni, dal Pastore supremo delGregge di Cristo: "Vieni!"; ed io venni e, fiducioso ed ardito,presi il governo di questa santissima Chiesa petroniana; mi èdetto oggi, ancora dal Pastore supremo: "Vai!"; ed io vado, se­reno e lieto di ubbidire-.!

Devo ammettere che solo di recente ho prestato attenzione allachiara affinità riscontrabile nell'esordio di questi testi collocati neidue momenti estremi e forse più densi di pathos dell'episcopato bolo­gnese di Lercara. La loro distanza cronologica e il rispettivo contestomi avevano infatti indotto sinora a porli in esclusiva connessione nelprimo caso con l'aprirsi del rapporto tra Lercaro e la gente di Bolo-

1 Bollettino della Diocesi di Bologna (BDB) 43(1952), 139.2 BAB 59(1968), 8.

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gna, nel secondo con la conclusione del suo governo episcopale.Quell'affinità mi pare invece sussista e sia insita da un lato nella sottolineatura del ruolo avuto dai pontefici nelle due circostanze e dal­l'altro, soprattutto nel secondo caso, nel richiamo del presule allapropria pronta obbedienza di fronte alle indicazioni papali. Ci tro­viamo cioè di fronte, io credo, alla chiara intenzione da parte dicaro di proporre pubblicamente l'obbedienza ai pontefici come unadelle chiavi di interpretazione maggiori del proprio episcopato; unachiave di interpretazione che mi pare suggerisca anche di leggere iprincipali momenti di quello stesso ministero episcopale in una pre­valente prospettiva di continuità.

Con riferimento ai testi del 22 giugno 1952 e dell'Ll febbraio 1968quella suggerita continuità risulta espressamente ricondotta comes'è detto all'intervento dei pontefici e alla pronta obbedienza diLercaro: ad aspetti specifici e circoscritti, quindi, per quanto impor­tanti. Si pone dunque il problema di come queste interpretazioniche potrebbero sia esprimere un'effettiva e profonda autoconsapevo­lezza di Lercaro, sia tradire più semplicemente la sua pur sofferta dio.sponibilità ad assecondare le interpretazioni «ufficiali» sulle proprieforzate dimissioni del febbraio 1968, riabbracciando in una letturapiù sfumata, lineare, i momenti di reale amarezza che indubbiamentele accompagnarono' --- possano comporsi con altre da lui stesso pub­blicamente offerte e che almeno in apparenza non appaiono del tuttoin linea con quanto ho sinora ricordato. Penso in particolare all'or-­mai famosa affermazione contenuta nel discorso del 26 novembre1966, quando nel ricevere la cittadinanza onoraria di Bologna egli ac­cennò esplicitamente ad un «secondo inizio» del proprio episcopatobolognese."

3 «Detto questo, Padre Santo, con la stessa franchezza, amo dirVi filialmente che non miè possibile continuare a vivere così, con l'impressione e la spina nel cuore di non essere in co­munione, non dico di fede e di carità, che confido mai siano state menomamente incrinate, madi totale e filiale devozione in Voi senza zone di ombre e senza amarezze. Per questo, PadreSanto, che è sempre stato un bisogno e una direttiva nella mia vita sacerdotale e nel mio servizioecclesiale... io sono serenamente disposto, se a Voi piace, a chiudere il doloroso capitolo diquesta amara vicenda senza ulteriormente, per parte mia, indagare e chiedere» (G. Lercaro ;,Paolo VI, 14 aprile 1968, in G. DOSSETTI, «Memoria di Giacomo Lcrcaro», in Chiese italianeConcilio. Esperienze pastorali nella Chiesa italiana tra Pio XII e Paolo VI, a cura di G. Alberigo, Genova 1988, 281-312, la citazione a p. 312).

4 La formulazione completa del passo recitava: «La vostra deliberazione è stata stimolo ad

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È questo il nodo essenziale attorno al quale vorrei far ruotare l'in­tervento. Prendere cioè spunto dall'interpretazione complessiva delproprio episcopato, offerta dallo stesso Lercaro, per tentare a miavolta di chiarire alcuni elementi e passaggi dai quali non credo possaprescindere una lettura d'insieme di quell'importante e in parte con­troverso ministero episcopale. Una lettura che, pur tenendo contodel ricco intreccio di eventi, riflessioni, iniziative, che hanno giusta­mente reso quell'episcopato una realtà tra le più interessanti nellastoria religiosa italiana di metà novecento, privilegi tuttavia al suo in­terno i fattori di lunga durata e si soffermi soprattutto su alcuniaspetti del problema continuità/svolta nel Lercaro bolognese. Unproblema interpretativo che, implicitamente o esplicitamente, è spes·­so stato sfiorato nelle ricostruzioni complessive dell'episcopato ler­cariano" e che ritengo comunque centrale nello studio della sua vi­cenda. Sia in una specifica prospettiva biografica. Sia per allargarel'orizzonte al contesto religioso e sociale del periodo, tentando cosìdi esemplificare attraverso la vicenda dell' Arcivescovo di Bologna al­cuni indizi dell'effetto più generale suscitato dal pontificato di Gio­vanni XXIII e dal concilio Vaticano II nel cammino personale deiVescovi che vissero da protagonisti quella stagione."

un approfondimento più scavato del mio esame di coscienza nell'atto in cui, per così dire, si da­va come un secondo inizio del mio episcopato bolognese» (BAB 57(1966), 602).

5 Si veda tra l'altro G. ALBERIGO, «L'esperienza conciliare di un vescovo», in Per la forzadello Spirito. Discorsi conciliari del card. Giacomo Lercaro, a cura dell'Istituto per le scienze re­ligiose, Bologna 1984, 9-61, 12; DOSSETTI, «Memoria di Giacomo Lercaro», 290ss; G. BA'lTEL­LI, «Vescovi, diocesi e città a Bologna dal 1939 al 1958», in Le Chiese di Pio XII, a cura di A.Riccardi, Roma-Bari 1986, 257-282, 271. I testi di Alberigo e Dossetti sono stati recentementeriproposti in Giacomo Lercara. Vescovo della chiesa di Dio (1891-1976), a cura di A. Alberigo,Genova 1991, 113-143 e 185-218. Ma nel caso del saggio di G. Alberigo -- notevolmente ridot­to in questa nuova stesura -- è preferibile, per la completezza del materiale proposto, la versio­ne più ampia del 1984.

" Sulla consapevole «esemplarità» che volle svolgere Giovanni XXIII nei confronti deiVescovi cf. G. MICCOLI, «Sul ruolo di Roncalli nella Chiesa italiana», in Papa Giovanni, a curadi G. Alberigo, Roma-Bari 1987, 175-209, 179.

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Gli anni cinquanta:problemi di governo e pastorale di

Al suo arrivo a Bologna Lercaro si trovò di fronte a due problemimaggiori. Il primo era interno alla struttura ecclesiastica e riguardavi').la situazione istituzionale della diocesi all'indomani del lungo episco­pato del Card. N asalli Rocca. L' altro ~- relativo al contesto politico~

ideologico bolognese del secondo dopoguerra, con il predomini()delle forze politiche di sinistra - interpellava soprattutto il nll<)VQArcivescovo dal punto di vista delle scelte pastorali.

Quanto al primo problema una serie iniziale di provvedimentitra i quali la sostituzione degli anziani vicario generale e rettoreseminario diocesano, mentre di lì a poco anche il Vescovo ausiliarl"!sarebbe stato destinato ad altra sede - poteva far ritenere che ilvo Arcivescovo mirasse a rinnovare profondamente il verticestruttura diocesana. Ma l'individuazione dei sostituti per tali carreneall'interno dello stesso personale, che già aveva operato nelladel predecessore, finì piuttosto per produrre un semplice tlCartibl<)generazionale all'interno del medesimo serbatoio di recìutamente;

A un esito ancora più chiaro in tale direzione portò poi la rr.M+,~,.;..

ma del cancelliere Gilberto Baroni. Una conferma che si sarebbevelata decisiva," perché in poco tempo lo stesso Baroni - un 2:l()V8lllesacerdote locale che aveva compiuto una rapida e brillante Calrtlleranell'ultimo decennio episcopale di Nasalli Rocca" - avrebbeulteriormente accresciuto il proprio ruolo attraversocontemporanea di quelle funzioni di vicario generale e diausiliare che Nasalli Rocca aveva tenuto distinte" e che Lercaroce riunificò: non ammettendo che un Vescovo avesse «a dipendere di').un sacerdote investito di poteri giurisdizionali».l1

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7 Per alcuni particolari su tali provvedimenti G. BATTELLI, «Tra.chiesa locale eversale. Le scelte pastorali e le linee di governo dell'arcivescovo di Bologna Giacomo(1952-1968)>>, in Chiese italiane e Concilio, 151-185, 159 e note.

8 BATTELLI, «Tra Chiesa locale e Chiesa universale», 159 e 175ss.9 Era stato nominato cancelliere nel 1941, canonico della metropolitana nel 1943,

co teologo nel 1946, pro-vicario generale nel 1950 (BAB 54(1963), 412).lO BATTELLI, «Tra Chiesa locale e Chiesa universale», 160.11 BDB 51(1960), 325.

Sul piano delle dinamiche interne al governo diocesano ~- e senzache occorra presumere una mirata strategia in proposito da parte dialcuno dei protagonisti ricordati -- si posero così le condizioni peruna divisione dei ruoli che generò col trascorrere degli anni ancheuna latente doppia polarizzazione dei punti di riferimento ai verticidella chiesa petroniana. Da un lato l'Arcivescovo: fortemente impe­gnato sul piano della pastorale e protagonista in prima persona diquel confronto tra chiesa e società che avrebbe segnato larga parte delsuo ministero episcopale bolognese. Dall'altro un collaboratore diconsolidata esperienza curiale che, anche a causa del prevalente im­pegno pastorale del Card. Lercaro, si sarebbe di fatto concentrato sulruolo di vicario generale e quindi di uomo di governo -_. rispettoalle funzioni di Vescovo ausiliare.

Tale situazione garantì una indubbia stabilità al funzionamentoordinario della diocesi per circa un decennio _.._- fino a quando, cioè,Baroni avrebbe lasciato i propri incarichi divenendo nel 1963 Vesco­vo di Albenga _.', ma allo stesso tempo favorì alcune ulteriori parti­colarità negli «schieramenti» interni agli ambienti ecclesiastici ed ec­clesiali bolognesi. L'apparato della curia e una parte rilevante del cle­ro parrocchiale meno giovane conservò infatti rapporti di maggioreconsuetudine e familiarità col vicario generale: probabilmente vistocome il più importante «custode» della tradizione legata all'Arcive­scovo N asalli Rocca e largamente diffusa nelle generazioni del clerobolognese che si erano formate durante il ventennio e nel clima con­cordatario, avendo tra l'altro quale punto di riferimento l'allora ret­tore del seminario regionale Marcello Mimmi.V Altri settori delladiocesi sarebbero invece risultati più in sintonia con Lercara e diret­tamente impegnati assieme a lui nel grande confronto che coinvolse aBologna la Chiesa, le istituzioni politiche, la società civile.

Fu davvero un grande confronto? Lercaro parve sentirlo certa­mente come tale. Se ne può avere conferma arretrando l'analisi di al­cuni anni rispetto all'esordio bolognese. Ritornando infatti a poche

12 Ho tentato una ricostruzione delle linee essenziali della sua lunga esperienza bolognesein «Marcello Mimmi nell'ambiente bolognese di inizio Novecento», in Marcello Mimmi a Na­poli e nella Chiesa del suo tempo, Napoli 1992, in corso di stampa.

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settimane di distanza sulle elezioni de118 aprile 1948 l'allorascovo di Ravenna aveva notato che in quella circostanza

«Tutto era in gioco, ma prima di tutto la vita cristiana e la liber­tà religiosa del popolo italiano». 13

Non si trattava di un'interpretazione isolata rispetto agli orienta­menti cattolici italiani dell' epoca. 14 Ciò che tuttavia va sottolineato èche essa esemplificava assai bene il clima di allora e quella predilezio­ne per affermazioni lapidarie, recise, perentorie, che mi pare tradis­sero l'intenzione di ovviare attraverso semplici parole d'ordine al pe-·ricolo che la gente comune incorresse in una confusione ideologicafavorita dal vasto ricorso alla propaganda. Nacquero così le formule«Solidarietà cristiana»,15 «Bologna diocesi malata»;" «Bologna cri­stiana risorge».17

Vari testi pubblici di Lercaro collocati tra la fine anni quaranta ela fine anni cinquanta confermano che egli condivise a lungo quellaprospettiva di «combattimento»: o meglio di combattimento e di co­struzione, secondo l'immagine a lui cara dell'esercito di Esdra che

13 Rivista diocesana. Organo ufficiale per gli atti ecclesiastici delle diocesi di Raoenna eCervia [RD], 38(1948), 28.

14 Si veda in proposito G. MICCOLI, «Chiesa, partito cattolico e società civile (1945­1975)'" in ID., Fra mito della cristianità e secolarizzazione. Studi sul rapporto chiesa-società nel­l'età contemporanea, Casale Monferrato 1985, 371-427, 390ss; G. VERUCCI, La chiesa nella so­cietà contemporanea. Dal primo dopoguerra al concilio Vaticano II, Roma-Bari 1988, 204ss.

15 Nell'ottobre 1953 vennero presentate in tal modo diverse raccolte di fondi destinate asoccorrere gli italiani rimasti nella zona est di Berlino, le popolazioni colpite in Calabria da unnubifragio, le famiglie dei licenziati di una fabbrica bolognese. Alla formula "Solidarietà cri­stiana» si affiancò anche l'altra "Impegno di fraternità» (BDB 44(1953), 138-139).

16 L'espressione venne introdotta nel' 1954, dapprima in un intervento di Lercaro al I con­vegno nazionale di sociologia religiosa e poi in una sua intervista dello stesso anno al periodicoLa Rocca. Per una interpretazione cf. BATTELLI, "Tra Chiesa locale c Chiesa universale», 153­157.

17 Questa formula si legò soprattutto alla partecipazione di comitive bolognesi ai congres­si eucaristici nazionali di Torino (settembre 1953) e Lecce (aprile-maggio 1956). In preparazio­ne a quello di Torino venne in particolare diffusa una disposizione che recitava: «Alla proces­sione generale del pomeriggio il gruppo dei pellegrini bolognesi parteciperà unito e dietro laapposita insegna con la scritta "Bologna cristiana risorge!"» (BDB 44(1953),173). Ncl1956lostesso Arcivescovo preciserà: «Dalla nostra Bologna, come già tre anni or sono per il congressodi Torino, si organizzerà una carovana che porterà anche a Lecce il grido nostro ormai tradi­zionale: "Bologna cristiana risorge!"" (ivi 47(1956) 29). L'iniziativa ~_. per quello che si ricavadal Bollettino diocesano non sarà invece riproposta per la partecipazione al congresso eucari­stico nazionale di Catania del settembre 1959 (ivi 50(1959), 344-345).

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con una mano combatteva e con l'altra costruiva. 18 A Ravenna adesempio, alcuni mesi dopo aver denunciata la «propaganda calunnio-­sa, sfrontata e feroce (che) deforma nella più perfida maniera la figuradel prete», 19 egli segnalava che era «allo studio un vasto piano per do­tare degli elementi di base - chiesa, asili, ricreatori ---·la vita religio­sa dei so bborghi e della campagna». 20 A Bologna, richiamandosi il 13ottobre 1952 a un'allocuzione di Pio XII, riprendeva l'invito

«A tutte le anime di buona volontà di offrirsi per essere saggia·mente inquadrate e utilmente impiegate in un ritmo di lavorocorrispondente alla urgente necessità di difesa, di conquista, dipositiva costruzione»."

Ancora a Bologna, a proposito della consacrazione della diocesial Cuore Immacolato di Maria avvenuta il 30 giugno 1959, Lercaroaffidava a Cristo «gli interessi spirituali, le lotte e le ansie di questacomunitàs ."

Si trattava d'altronde di una lettura della situazione italiana post-­bellica che aveva avuto un autorevole sostegno perlomeno dal 1942:da quando cioè la Santa Sede cominciò a percepire con crescentechiarezza un possibile esito della guerra sfavorevole alla Germania eall'Italia, con il conseguente avvicinarsi in quest'ultima della crisi delregime e di una fase successiva assai delicata e ricca d'incognite dalpunto di vista politico-sociale rispetto alla quale la Chiesa intese pro­porsi come punto di riferimento morale, sociale e in ultima analisiideologico."

A tale proposito un'esplicita affermazione di Pio XII contenutanel famoso radiomessaggio natalizio del 1942 - «Non lamento, maazione è il precetto dell'ora»:" -- mi pare raffiguri inequivocabil-

18 BATTELLI, «Vescovi, diocesi e città a Bologna», 266.19 Lettera al Clero dell'Archidiocesi di Ravenna e della Diocesi di Cer-via, 16 novembre

1947, in RD 37(1947), 39.20 Notificazioni (giugno 1948» RD 38(1948), 28.21 BDB 43(1952).22 BDB 50(1959), 341.2J Cf. a riguardo P. SOAVE·P.G. ZUNINO, «La Chiesa e i cattolici nell'autunno dcI regime

fascista», in Studi storici 18(1977), 69·95.24 Riportato da MICCOLl, «Chiesa, partito cattolico e società civile», 374.

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mente il quadro mentale nel quale SI

Lercara sia a Ravenna dal 1947 al 1952 che a boiozna.mentale che incontrò certo una piena adesionegià predisposto anche per ragioni di sensibilità spmtualetuata spinta volontaristica," ma che dovette n('1"!,l(',If'('

tamenti più disparati all'interno della ,.,u"~,"a

pio il significativo titolo Adesso dato nelnoto e autonomo periodico.

Non sembrava dunque esistere unomenti o direttive locali dei Vescovi che nonzione coeva secondo quei richiami papalimomento. stesso Pio pochi mesidi Lercaro, aveva d'altronde espresso l'augurioglio da lui alimentato a Roma «presto irrutatotane diocesi», affinché ai suoi occhi fosse «concesso dia Cristo non soltanto le città, ma le nazioni, i continenti,intera»." moderate che pure ci ;"""r,,nn

corso degli anni cinquanta dipesero semmai dalle caratterrstichedel contesto sociale e politico nel quale il messaggio di ''' .. a.l'.d.Cct

tolica veniva proposto o dalla sensibilità personaleDalla o Roncalli." Ma quei fattori quelle '''·1J>"U.IL personanta

25 In particolare all'indomani del proprio arrivo a Ravenna aveva indirizzato alla diocesiuna lettera pastorale nella quale si affermava: «A nessuno di voi, miei Sacerdoti, sfugge latà decisiva dell'ora attuale» (<<Lettera al Clero dell' Archidiocesi di Ravenna e della Diocesi diCervia», 16 novembre 1947, in RD 37(1947),37). Ma già nei mesi precedenti egli aveva chiaritoa Genova riferendosi a una propria pubblicazione: .n libro ha dunque uno scopo pratico; unoscopo che vorremmo dire urgente. Siamo infatti ad un momento ben duro nella vita dei nostriI,aesi, e c'è tanto buio nell'avvenire» (G. LERCARo, Metodi di orazione mentale, Genova 11947,1967, IX).

26 DOSSE'TTI, «Memoria di Giacomo Lcrcaro», 291.27 La testata del periodico riporterà nei primi anni di pubblicazione anche il passo evange··

lico di Lc 22,36: "Chi non ha spada, venda il rnantello c ne comperi una». Su questo aspetto cf.M. MARAVIGLIA, Chiesa e storia in "Adesso» (1949··1959), Bologna 1991,30, nota 41; ma si ve­da l'intera opera per un 'analisi particolarmente efficace della rivista mazzolariana,

28 Esortazione radiofonica Dal nostro cuore, 10 febbraio 1952, in AAS 158·162.Lercaro, giunto nel frattempo a Bologna, vi farà esplicito riferimento nella notifica-zione dci 13 ottobre 1952 (cf. sopra nota 21).

29 Sulla parte post-bellica del lungo episcopato di Dalla Costa a Firenze cf. B. BOCCHINICAMAIANI> Ricostruzione concordataria e processi di secolarizzazione. L di EliaDalla Costa, Bologna 1983, 2695S. Per l'attività di Roncalli quale patriarca di si vedanoinvece S. TRAMONTIN, «Il card. Roncalli patriarca di Venezia», in Le chiese di Pio XIl, 227255;A. NII'.RO, «Il patriarcato di Venezia e i patriarchi A.G. Roncalli e G. Urbani», in Chiese italia­ne e concilio, 129·150.

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non avrebbero inciso in profondità sulla peculiare monoliticità e uni­direzionalità di quel messaggio e di quel predominante atteggiamentopastorale.r''' Il secondo problema accennato in precedenza -- cioè losviluppo di linee pastorali in un contesto dominato dalle forze politi­che di sinistra - venne pertanto affrontato dal Card. Lercaro in pie­na sintonia col globale disegno di ricristianizzazione della societàtracciato e perseguito da Pio XII.

Ho insistito su questo aspetto del problema non per ridurre im­propriamente il grado di responsabilità personale di Lercaro nel suooperato di allora, quanto per cercare di cogliere i fattori che segnaro·­no in profondità quella fase storica e che offrono una chiave di letturagenerale nella cui prospettiva le singole iniziative pastorali e di gover­no dell'Arcivescovo bolognese mi pare risultino tra loro più collegatee interdipendenti. Penso tra l'altro all'insistito impegno per la costru­zione di nuove chiese nella periferia della città." Alle svariate occa­sioni nelle quali Lercaro cercò il contatto diretto con la popolazionelocale anche al di fuori dell'edificio sacro. 32 All'accoglienza data a ini­ziative volte alla rinascita religiosa della diocesi, come le manifesta­zioni «Per un mondo migliore» legate al gesuita Lombardi o le mis­sioni della «Pro civitate christiana» di Assisi."

Certo, non sarebbe difficile cogliere a monte di ciascuno di questiesempi una propria specifica valenza, una finalità più puntuale e con-

30 Ne danno conferma gli orientamenti predominanti emersi dai «vota» pro-conciliari in­viati dai Vescovi italiani nel 1959-1960. In proposito M. MARIOITI, «Le proposte dei Vescovicalabresi per il Concilio Vaticano II (attraverso i "Consilia et vota" della fase antiprepararo­ria)», in Chiesa e società in ·Calabria nel secolo XX, Reggio Calabria 1978, 111-141; MICCOLI,«Sul ruolo di Roncalli», 195ss; R. MOROZZO DELLA ROCCA, «I "voti" dei Vescovi italiani per ilconcilio», in Le deuxième concile du Vatican (1959··1965), Roma 1989, 119-137.

31 L'iniziativa si sarebbe estesa per l'intero episcopato lercariano. Ancora nel 1963, a circaun decennio dall' esordio del programma di costruzione, l'Arcivescovo affermava tra l'altro: «Equesto, dilettissimi, il problema dell'ora nostra: dare alle nuove zone della periferia cittadina, ainuovi abitati ovunque, la Parrocchia... Problema grande già dieci anni or sono: ingranditosisempre maggiormente e destinato ancora a crescere col dilatarsi in atto della nostra città»(<<Messaggio natalizio di Sua Eminenza», 25 dicembre 1963, in BAB 54(1963), 754).

32 G. ALBERIGO, «Lercaro Giacomo», in Dizionario storico del movimento cattolico in Ita­lia 1860-1980, a cura di F. Traniello e G. Campanini, Casale Monferrato 1982, II, 305-311,307. L'annotazione è stata ripresa dallo stesso autore nella commemorazione Un Vesco'uo e unpopolo tenuta il2 dicembre 1991 a Bologna in occasione delle celebrazioni centenarie della na­scita di Lercara (p. 2 del dattiloscritto).

33 Mi sono soffermato su questo e sul rapido passaggio lercariano dalla prima alla secondaproposta in «Vescovi, diocesi e città a Bologna», 264-265 e note.

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tingente. Credo, tuttavia, che esistessero sullo sfondo alcuni dati co­muni che in ultima analisi connotarono quella pastorale come una ti­pica pastorale di mobilitazione e di presenza. Presenza pubblica esottolineata dei cattolici in occasione della posa dei simboli della fedecristiana nella nuova periferia della città." Presenza coinvolgente ericca di fascino dell'Arcivescovo in mezzo alla popolazione.Psenza itinerante dei fedeli raccolti in processione per le vie del centrostorico." Presenza, anzi «occupazione» di Bologna secondo le pa··role di Lercaro -- da parte dei missionari della ricordata «Pro civita­te».37 Presenza in ogni luogo della diocesi dell'immagine della Ma­donna detta di S. Luca in occasione della sua periodica «discesa» incittà." Infine, presenza sdegnata della Chiesa attraverso la manifesta­zione palese del proprio dissenso con processioni penitenziali, ce­rimonie riparatrici, addobbi e scampanii a lutto -- di fronte a episodiquali l'internamento del Cardinale polacco Wyszynski nel 1953,39

34 "Ogni parrocchia urbana provvederà ad inviare una macchina nel piazzale di P. Sara­gozza (per le ore 13.15) per accompagnare Sua Eminenza, in colonna motorizzata, nell'itinera­rio di collocamento della Croce nelle aree periferiche prescelte. Non soltanto gli abitanti dellezone interessate, ma pure quelli delle zone limitrofe, vedranno di accedere in gran numero al­l'area viciniore onde dare risalto e solennità al rito» ("Per le nuove chiese di periferia. Comuni­cato della Curia Arcivescovile», giugno 1955, in 13D13 46(1955), 161 per il comunicato e 162per il sintetico ma indicativo resoconto di una di queste manifestazioni).

35 Lo noterà, seppure in una occasione celebrativa, anche il vicario generale Baroni: «Di­rettamente da questo nucleo deriva una prima meta tipica di questo Episcopato: la presenza»:13D13 48(1957) 90.

36 In particolare in occasione delle cosiddette "stazioni quaresimali»: "Domani è giornatadi Stazione quaresimale ... Alle 18.30 nella Chiesa dei Santi Gregorio e Siro ci riuniremo per in­camminarci - carovana d'anime in marcia verso mete eterne alla Chiesa stazionale di S. Ma­ria Maggiore»: "Domani è giorno di stazione», 12 marzo 1954, in 13D13 45(1954),57. Una spie­gazione più generale di quelle scelte era offerta l'anno successivo: "Mi preme ora soltanto ri­chiamare la vostra attenzione sulla necessità che i giorni santissimi dell'augusta settimana nonpassino inosservati nell'atmosfera cittadina; per questo penso sia necessario al Venerdì Santodare alla commemorazione della morte del Salvatore un tono che, pur restando in una linea disingolare austerità, incida sensibilmente nella vita cittadina»: "Notificazione per la S. Quaresi­ma», Festa della Purificazione di Maria 1955, ivi, 46(1955), 356-363, 361.

37 «Ma un altro grande avvenimento... io voglio annunciarvi qui: le Missioni della Pro Ci­vitate Christiana nel nostro centro cittadino... : sacerdoti, giovani, ragazze, preparati da studiteologici severi, legati da un impegno solenne, collaudati da esperienze ormai svolte in tutte leCittà d'Italia, occuperanno la nostra Bologna»: «Notificazione della Quaresima», Il febbraio1954, 13D13, 45(1954), 54.

38 "Maria presente nelle anime, nelle case, nei luoghi di lavoro, nelle officine, nei campi,negli uffici, negli ospedali; dovunque si vive c si soffre; Maria presente sulle vie, sulle piazzedella nostra Città e nelle borgate e nei casolari della Diocesi»: «Per il mese di Maggio», 19 apri­le 1956, 13D13, 47(1956), 153-154.

39 In relazione ali'episodio Lercaro trasformò di fatto le annuali celebrazioni del 4 otto-

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l'invasione sovietica dell'Ungheria nel 1956,40 la condanna del Vesco­vo Fiordelli nel 1958.41

Erano questi alcuni segni distintivi di una linea pastorale cheesprimeva certamente una forte carica religiosa con quel primatoassoluto della Messa che ha senza dubbio rappresentato il baricentroessenziale e continuo dell'intero episcopato ma dalla qualeemergevano anche e con eguale marcata chiarezza i tratti peculiari diun Lercaro che a Bologna come già a Ravenna si presentava qualeconvinto assertore del ruolo centrale, pubblico, concreto, dellaChiesa nella società. Un Lercaro che non accettava quindi per principio che la società locale intendesse compiere un proprio camminomagari anche guidato da opportune finalità di progresso etico e so­ciale prescindendo dal dettato cristiano e segnata piuttosto da ciòche l'Arcivescovo petroniano avrebbe ripetutamente denunciato co­me «edonismo», «paganesimo», «terrenismo» ;43 elementi talora pe-

bre, dedicate al patrono bolognese s. Petronio, in una manifestazione di protesta contro l'inter­namento di Wyszynski. Tra l'altro, un gruppo di fanciulli accompagnò il corteo dei fedeli ripe­tendo l'invocazione attribuita allo stesso Arcivescovo "Affinché ti degni di umiliare i ne­mici della S. Chiesa: noi ti supplichiamo o Signore!»: BDB, 44(1953), 146.

40 «E vietato fino a nuovo ordine il suono festivo delle campane; ogni sera, alle ore 18, lecampane di tutte le Chiese suoneranno a morto. Le porte di tutte le Chiese di Città e di Capo­luogo di Vicariato, e possibilmente quelle delle parrocchie, resteranno parate a lutto come perun solenne ufficio funebre»: «Disposizioni a tutta l'Archidiocesi dopo gli avvenimenti del 4Novembre», 4 novembre 1956, BDB, 47(1956), 385.

41 «Vista la insopportabile e paradossale condizione creatasi in questi ultimi tempi alla li­bertà e alla dignità della Chiesa in Italia, ordiniamo: 1) la Chiesa bolognese prende il lutto daoggi fino alla Domenica delle Palme, quando celebrerà con l'osanna dei bimbi, il trionfo di Cri­sto Signore; 2) di conseguenza, tutte le chiese della città e Archidiocesi terranno, da oggi aquella giornata, addobbati a lutto i loro portali; 3) tutte le sere, da oggi al sabato avanti le Pal­me, alle ore 18, le campane di tutte le chiese, suoneranno a morto per lo spazio di cinque minu­ti»: "Lutto della Chiesa bolognese», BDB, 49(1958), 50.

42 Cf. tra l'altro DOSSETTI, «Memoria di Giacomo Lercaro», 281 e passim.43 «Comprendo bene che, nell'atmosfera edonistica e avvelenata di materialismo in cui vi­

viamo, il senso di austerità e di penitenza, che la Quaresima necessariamente implica, possa pa­rere stonato e non sia accolto»: «Notificazione della Quaresima», 11 febbraio 1954, 52. «L'e-­sperienza di altre città, che, prima della nostra, subirono, anche in proporzioni maggiori, lostesso fenomeno di rapido allargamento sta ad avvertire che... la popolazione, raccogliticcia esenza tradizione, perde il senso cristiano e diventa pagana»: «Radiomessaggio di S.E. il card.Arcivescovo nella Messa di mezzanotte del Natale 1959», in BDB 50(1959), 457. «Non agire­mo mai con fede sincera se di fronte alle pretese di un mondo avvelenato di terrenismo e nell'il­lusione che il diffuso benessere sostituisca le speranze eterne, non predicassimo, con la pre-­ghiera, la penitenza»: "Pastorale delle vocazioni. Discorso tenuto ai sacerdoti diocesani il 18settembre 1967», in BAB 58(1967), 460. «E nel colloquio filiale con Dio che la mente penetranella sua parola e nel suo cuore e attinge le energie per superare la debolezza della natura già fe­rita dal peccato; soprattutto in un contesto storico, quale il presente, decisamente antropocen-­trico e terrcnista»: LERCARO, Metodi di orazione mentale, XIII.

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netrati nella stessa compagine cristiana." Un Lercaro che, com'è no··to, tentò anche attraverso la candidatura di Dossetti alle elezioni amorninistrative del 1956 di rovesciare la maggioranza politica locale,nella speranza forse di riceverne un beneficio anche dal punto di vistareligioso" e deducendo dall'esito avverso che tanti fratelli erano«corsi follemente a sbattezzarsi». 46

Questo complessivo atteggiamento pastorale e la connessa esigen­za di operare con la tempestività e l'elasticità richieste dall'urgenzadell'ora furono all' origine del particolare rapporto tra Lercaro e glistrumenti più classici della tradizione pastorale cattolica: dal sinodo,alla visita alla diocesi, alla periodica emanazione di lettere pastorali.Nessuno di questi venne in sé trascurato; ma ciascuno di essi risultòin certa misura utilizzato in funzione della linea pastorale sopra indi­cata. Il classico sinodo di andamento disciplinare sarebbe stato adesempio sostituito da piccoli sinodi incentrati su specifici aspetti pa~

storali." La visita venne personalmente affrontata da Lercaro in chia­ve liturgica e catechetica." Le lettere pastorali, nelle quali i Vescovipiù impegnati svolgevano spesso ternatiche religiose e sociali di am­pio profilo, sarebbero state sostituite da notificazioni dal linguaggioserrato, più ricche di inviti, appuntamenti concreti, moniti, che nondi riflessioni organiche." Allo stesso tempo quella linea pastorale esi­geva l'attivazione di strutture operative assai leggere, cioè poco com­plesse dal punto di vista istituzionale, e composte da un personalescelto da Lercaro e in continuo diretto rapporto con lui. Nacquero

44 "Lo spirito naturalistico, che ha avvelenato la mentalità anche delle popolazioni cristia­ne, ha reso ostica la dottrina evangelica della rinuncia, del sacrificio e della mortificazione»:«Per la quaresima. Notificazione», Il febbraio 1953, in BDB 43(1952), 286. «Per riflesso, talo­ra magari con lo scopo di facilitare il dialogo, ma non senza danno almeno della mentalità del­l'ambiente, anche in movimenti religiosi, le realtà terrene vengono tanto celebrate ed esaltate ...che praticamente si finisce per fermarsi a quelle»: "Pastorale delle vocazioni», 462.

45 Sulla vicenda BATTELLI, «Vescovi: diocesi e città a Bologna», 267ss e note.46 "Discorso in Piazza Maggiore a chiusura della solennità del Corpus Domini», 31 mago

gio 1956, in BDB 47(1956), 184.47 BATTELLI, «Tra Chiesa locale e Chiesa universale», 173·174.48 BATTELLI, «Tra Chiesa locale e Chiesa universale», 164 e nota 59.49 Se ne veda il catalogo in Lettere pastorali dei vescovi dell'Emilia Romagna, a cura di D.

Mcnozzi, Genova 1986, 49·50. [vi, 314·315, il catalogo degli scritti lercariani dello stesso ge­nere pubblicati a Ravenna.

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dunque gli organismi preposti alla progettazione dei nuovi edifici sa­cri, alla liturgia, alla catechesi, all'indagine socio-religiosa, ecc. 50

Venne così a consolidarsi quella sorta di doppio binario accenna­to in precedenza: con da un lato la pulsante, incisiva, talora «provo­catoria» pastorale dell'Arcivescovo, supportata da collaboratori enuove strutture legate alle priorità indicate da Lercaro; dall'altrol'apparato tradizionale, ruotante attorno alla struttura ordinaria dellacuria e avente come punto di riferimento il vicario generale. Le scelteche, tra il 1952 e il 1954, avevano posto le basi del passaggio dal go""verno dell'ultimo N asalli Rocca a quello iniziale di Lercaro assisteva­no dunque sul piano pastorale e su quello delle istituzioni a esso fina-"lizzate all' applicazione di altri criteri. Per dare respiro a quest'ultimosettore il nuovo Arcivescovo aveva infatti rinunciato ~" per quelloche le fonti oggi disponibili ci possono lasciar intuire ---- a una colla­borazione e al limite anche a un confronto diretto con la strutturatradizionale e si era invece costruita nel corso degli anni cinquantauna propria più agile struttura, espressamente finalizzata alle esigen­ze pastorali della diocesi.

Non so valutare se quella scelta sia stata il frutto di una decisionepersonale, o di suggerimenti esterni, o ancora di una situazione chenon consentiva sbocchi di altro genere. Di fatto, tuttavia, essa avevaaggirato il problema istituzionale del governo complessivo della dio­cesi senza averlo risolto. Ma su questo ritornerò in seguito.

La svolta del 1961 962

Ora occorre invece che ci soffermiamo su un aspetto che riguardapiù da vicino il problema della continuità/svolta indicato in apertura.In occasione della quaresima del 1960 e del 1961 Lercaro emanò duenotificazioni nelle quali si affermava fra l'altro:

«La tristezza della vita di oggi è veramente sconfinata. Gli uo-­mini, la nostra gente~"diremo in termini più concreti - ha de-

50 BATTELLI, "Tra Chiesa locale e Chiesa universale», 165--166 e note.

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melito o sta demolendo, con la incoscienza di un bimbo bizze­so, tutte le realtà più belle: l'amore, la famiglia, l'innocenza deipiccoli, la purezza del costume, l'intimità del focolare, la sere-­nità della gioia, la certezza della fede, l'incanto della speranza,l'onestà solida, la lealtà dei rapporti, il disinteresse, la carità, ilconforto della pena... Ma la tristezza più grande è che il mondocristiano, i nostri cristiani, non reagiscono alla pressione delmondo laicizzato, materializzato ... 51 Nel mondo nostro Dio èsempre più largamente negato o almeno ufficialmente ignorato;un mondo per metà ateo e per metà laicista, dove a Dio o non èfatto alcun posto, o gli è consentito di essere presente, quasi perriflesso, soltanto per un asserito rispetto alla libertà dell'uo­Ino».52

L'atteggiamento mentale, le chiavi di interpretazione, gli orienta..­menti degli anni cinquanta trovavano dunque una piena conferma inquei testi. In essi risultava anzi accentuato sia il giudizio, già in l're·cedenza particolarmente duro, sulla perversione dell'uomo e dellasocietà contemporanea." sia il profondo pessimismo che ne derivava.

Durante lo stesso 1961 e nei primi mesi del 1962, tuttavia, il pre~sule bolognese avrebbe destinato alla diocesi o a sue componenti spe­cifiche altri scritti e discorsi nei quali il tono risultava imprevedibil­mente più pacato e i contenuti non più improntati a radicale pessimi­smo. Già nel gennaio 1961, ad esempio, il tradizionale cenno allo«spirito mondano di oggi» veniva coniugato con affermazioni quali:

«Oggi non è più ambientato [sic] l'atteggiamento apologetico,di lotta, vivido ancora in un non remoto passato; un tempo cheha fame ed ha sete di Dio non si combatte, se ignora Dio; lo siillumina e si tenta saziarlo; l'azione è positiva; è lenta azione di

51 "Per la S. Quaresima 1960», 23 febbraio 1960, in BDB 51(1960), 15.52 "Per la S. Quaresima 1961», s.d., in BDB 52(1961), 142.53 Si noti, tra l'altro che la versione del testo del 1960 stampata sul BDB ometteva alcuni

passaggi ancora più duri che erano presenti nel manoscritto lercariano preparatorio c che vcn ..nero poi cancellati dallo stesso autore. Uno 'di questi ancora riferito alla <mostragente», recita­va: "E demolisce tutto sadicamente per una infatuazione di sensualità lurida, e per un più luri ..do cinico interesse; spesso confessa questi deplorevoli moventi; ma quando o ancora un restodi pudore le impedisce la cinica confessione, o, nell'ipotesi migliore, non se ne rende conto, ac-­campa per giustificare le sue devastazioni il pretesto delle libertà: libertà dell'informazione, li­bertà dell'arte ... » (originale presso Archivio Giacomo Lercaro, Villa S. Giacomo, scz. Mano ..scritti, b. Notificazioni 1952..1962, 3 del ms.).

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penetraziorie amorosa, di insegnamento e di esempio, di anima­zione, di incoraggiamento». 54

Nel maggio 1962, in due diverse circostanze relative a celebrazio-Hl mariane, Lercaro puntualizzava poi:

"Mi conforta il pensiero che ci siamo tutti consacrati al CuoreImmacolato di Maria e alla sua materna e regale assistenza ab­biamo affidato il nostro ministero e la nostra vita spirituale.Questo mi dà tanta fiducia e serenith. 55

E ancora:

"Si direbbe prodigioso, ma certo è provvidenziale, questo an­nuale risveglio di fede e di pietà in una comunità cittadina spes··so assente, talora in qualche settore anche ostile. Il nostro impe­gno... di fronte a questa "grazia" è valorizzarla, Soprattuttopregando ... Preghiera, che chiedo sia fatta con... tanta fiducia,perché appoggiata al cuore materno, e però indulgente com-oprensivo e sollecito, di Maria».56

La differenza rispetto all' atteggiamento anche di pochi mesiprecedente e soprattutto in ciò che concerneva le esacerbate letturesino ad allora offerte del rapporto Chiesa-società ._.. era palese. Lonotò opportunamente lo stesso vicario generale Baroni, che - pren­dendo spunto da un passo nel quale Lercaro, in queste vesti per cosìdire inedite, citava il motto episcopale «Oboedientia et pax» di Gio­vanni XXIIp7 .- affermò in una conferenza pubblica dell'aprile1962: «Sempre più luminosamente, si direbbe, in questi anni si rivelain [Lercaro] questa ubbidienza e questa pace: ... ubbidienza alla realtàstorica dei giorni in cui deve vivere e operare. Ubbidienza perciò che

54 «L'apostolato dei tempi nuovi. Prolusione tenuta alla "Sette sere di studio" dell'Unioneuomini di A.C. il lO gennaio 1961», in BDB 52(1961)250.

55 «Notificazione per la giornata sacerdotale mariana», 5 maggio 1962, in BDB 53(1962),199.

56 «Notificazione per le annuali feste della Madonna di S. Luca», 26 maggio 1962, in BDB53(1962), 129-130.

57 «Distacchiamoci dalle cose e dalle creature. Confidiamo in lui solo. Viviamo nell'obbe­dienza, facendo nostro il motto del S. Padre Giovanni XXIII: "Oboedientia et pax?»: «Discor­so nella cripta di S. Pietro», 26 ottobre 1961, in BDB 52(1961) 477.

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non tende ad imporre, a prevalere, a forzare; ma a custodire e a darea tutti la pacev."

Gli interrogativi che si aprono a riguardo sono ovviamente digrande interesse, anche se le risposte sono tutt'altro che semplici e aportata di mano. Da un lato, infatti, ne viene senza dubbio rafforzatal'interpretazione che ha sottolineato la svolta lercariana rispetto alleposizioni degli anni cinquanta; una svolta che si sarebbe manifestatacon evidenza a Bologna soprattutto nella fase postconciliare. Da unaltro lato, tuttavia, resta il fatto che quel fenomeno emerse con net­tezza - e anche in testi scritti certamente di proprio pugno daldinale, come ho ritenuto di dover verificare sui manoscritti'" glaprima che lo stesso Lercaro iniziasse nell'ottobre 1962 l'esperienzaconciliare. Tanto da suggerire l'ipotesi sulla quale ritornerò cheil Vaticano II, con l'influsso complessivo che certo esercitò sull'itine­rario dell'Arcivescovo bolognese, sia intervenuto in un processo direvisione personale che aveva già agito profondamente in Lercaroperlomeno nell'anno e mezzo che precedette l'apertura del concilio.

Ma ritorniamo brevemente allo scarto tra le due posizioni deli­neate. Non è difficile cogliere i motivi dell'ulteriore accentuazionedei toni negativi presente negli scritti quaresimali del 1960-196l.fine anni cinquanta inizio anni sessanta con il processo adelli," una campagna di stampa anticlericale diretta contro lo stessoLercaro," un episodio sacrilego in provincia di Bologna62 avevainfatti certamente contribuito a rinsaldare nell' Arcivescovo le prece­denti convinziorri." Lo aveva anzi indotto a protrarre nel tempo un

58 «Discorso di Sua Eccellenza il Vescovo Ausiliare», 30 aprile 1962, in 13D13 53(1962), 96.59 Tra i testi precedentemente citati è ancora conservata in AGI, la stesura manoscritta

della Notificazione per la giornata sacerdotale rnariana e della Notijìcazione per le annuali festedella Madonna di S. Luca.

60 Cf. sopra nota 41.61 Se ne veda una eco in 13D13 49(1958), 42ss, con riferimento ad episodi dell'inizio 1958.

L'Arcivescovo risponderà, tra l'altro, nella giornata sacerdotale del 12 maggio successivo preci­sando: «In ogni momento della nostra vita, fino all'ultimo respiro, ringraziamo il Signore diaverci fatto suoi sacerdoti. E degnazione sua, dono suo, bontà sua! Ma se un grazie più forte,più generoso, più cordiale, possiamo dire, lo diciamo oggi che il nostro sacerdozio è fatto og·getto di vituperio, di calunnia e di insulto»: ivi, 99.

(,2 Sulla vicenda, svo1tasi nella località di Crespellano, cf. il materiale edito in «Dopo i do­lorosi avvenimenti di Crespellano», in 13D13 52(1961), 223-229.

63 Se ne può ricavare una conferma indiretta anche dalla sua rilettura della situazione delleRornagne, a fine ottocento-inizio novecento, durante l'episcopato di D. Svampa; una riletturasostanzialmente riconducibile al principio «abbandono della Chiesa»/«crisi della società loca-

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pubblico ostracismo contro le autorità politiche della città messo inopera dopo l'invasione sovietica dell'Ungheria dell'ottobre-novem­bre 195664 e a presiedere ancora nel febbraio 1960 una cerimonia reli­giosa nella quale - con chiaro riferimento ai sostenitori del comuni­smo, indicato da Lercaro nella circostanza come «la più vasta e la piùfelina persecuzione che la Chiesa abbia mai subito» -- si pronuncia­rono degli esorcismi contro i nemici della Chiesa.f

Più esigui, allo stato attuale, sono invece gli elementi che consen­tono di gettare luce sulla successiva, apparentemente improvvisa,evoluzione. E non solo per una ragione di fondo: il fatto, cioè, che ilproblema in oggetto sfiori quella dimensione interiore dell'uomo,quei «consilia cordium», che sono in sé sottratti alle possibili rico­struzioni di uno studioso di storia." Ma anche perché se i testi dellametà 1961 e del 1962 anticipano a prima del concilio l'emergere pub­blico della svolta, quelli della prima fase che vi ho proposto e vari al··tri dello stesso tenore collocati tra la fine anni cinquanta e l'inizio an­ni sessanta" riducono le possibili oscillazioni cronologiche a ritroso

le»: «Le nostre terre di Romagna, da quando al Governo pontificio era subentrato il Regno d'I­talia, sentirono, forse più d'ogni altra terra, l'influenza della massoneria e della acidità anticleri­cale, che caratterizzò in Italia quel triste periodo; e avvelenava -- a Bologna anche da insignicattedre universitarie -la mentalità della borghesia e dci ceto medio; mentre, e proprio ancorada queste terre, partiva la predicazione socialista, atea e materialista nei principii, volgare nellaforma, violenta, anche, nei metodi; e strappava alla Chiesa le masse operaie e rurali ... » (G.LERCARO, «Il cardinale Domenico Svampa nel 50° della morte», in BDB 49(1958/105).

64 Il 7 novembre 1956, durante una messa celebrata in suffragio dei caduti ungheresi, Ler­caro dichiarò: «Davanti alla morte non ci può essere compromesso; non possiamo mentire aglialtri e meno ancora a noi stessi, mentre s'apre, oltre il velo della morte, la prospettiva del giudi­zio inappellabile di Dio. Ed io, per mio conto, sento il dovere ed il bisogno di esaminare, conspietata sincerità, la mia posizione interiore e la mia azione esteriore di Vescovo nei confrontidel pericolo che il Comunismo minaccia alla fede cristiana, alle anime, alla Chiesa, alla libertà ealla esistenza stessa della Comunità umana»: BDB 47(1956), 387. Ma l'interpretazione esplicitadi quella dichiarazione la possiamo ricavare da una successiva lettera al Card. A. Ottaviani:«Oggi, leggendo la deplorazione di Vostra Eminenza... , mi sono sentito confortato nella posi­zione assunta fin dal novembre 1956, dopo i fatti di Ungheria, che la Giunta Comunale e laGiunta Provinciale di Bologna legittimarono, di non usare con i capi Comunisti neppure i se­gni consueti di cortesia; e lo dissi pubblicamente nel discorso pronunciato al solenne funeraleper le vittime ungheresi» (G. Lercara a A. Ottaviani, 8 gennaio 1960, minuta in AGL).

65 «Preghiere per i cattolici perseguitati, esorcismi contro i nemici di Cristo», Il febbraio1960, in BDB 51(1960), 11ss. La citazione riportata nel testo è a p. 12.

66 Cf. in proposito le avvertenze di G. MICCOLI, «Problemi e aspetti della storiografia sul­la Chiesa contemporanea», in ID., Fra mito della cristianità e secolarizzazione, 1-16, 8ss; ID.,«Intransigentismo, modernismo e antimodernismo: tre risvolti di un'unica crisi», in Ricercheper la storia religiosa di Roma, Roma 1990, VIII, 13-38, 16.

67 Cf. tra l'altro il richiamo alla «lotta agguerrita e ormai diuturna contro la fede; lotta che

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del problema e costringono percto a ripensare più globalmente lescansioni interne dell'episcopato lercariano sinora in genere pro ..poste.

Quelle scansioni partivano infatti dallo stesso dato della evoluzio­ne lercariana, ma tendevano a individuarne gli antefatti ora nell'insuccesso della candidatura di Dossetti alle amministrative del 1956,68ora verso la fine anni cinquanta in connessione con vari eventi tra iquali l'aprirsi del pontificato roncal1iano _69 ora infine con l'evolve­re dell'esperienza conciliare. 70 Pur tenendo conto di quelle ipotesiciascuna delle quali mette comunque a fuoco un reale fattore di pas ..·saggio in quell'itinerario ._. mi pare invece che vada innanzitutto rile­vata la coincidenza tra la ricordata evoluzione e il duplice ricorrerenell'ottobre 1961 del settantesimo compleanno di Lercaro e nella tar­da primavera 1962 del decimo anniversario del suo esordio bologne­se. In quel lasso di tempo egli pensò infatti ripetutamente a un pro··prio bilancio e parve percepire con crescente consapevolezza l'av­vicinarsi del proprio definitivo declino.

A fine aprile 1962, in particolare, affermò:

«Un pensiero diventa sempre più angustiante, col procederedella età... Temo l'illusione, propria del vecchio, di valer anco­ra, di reggere ancora, di essere ancora capace di adempiere almio compito. Temo, che vinca quella specie di egoismo, quellagelosia senile, per cui la propria conservazione diventa un asso­luto. E allora io prego il Signore o che mi faccia morire sullabreccia, o che dia a me la luce di vedere sempre la realtà».71

già tante anime ha avvelenato e allontanate dall'unica via che è Cristo; il decadere conseguentedel costume cristiano per lo spegnersi della carità nell'esacerbarsi degli odi»: «Consacrazionedella diocesi al Cuore Immacolato di Maria», 30 giugno 1959, in BDB 50(1959), 341. A fine1960 Lercaro, commemorando le Chiese del silenzio, ricordava i "fratelli perseguitati per la fe-­de, che sono, al cospetto del mondo, i testimoni più validi e più veri della terribile incisiva ne­gatività dell'ateismo e del materialismo comunista, del clima di soffocazione d'ogni respiro dilibertà e di angoscia mortale, che la sua instaurazione al potere crea ovunque»: «Notificazioneper il S, Avvento», 21 novembre 1960, in BDB 51(1960), 308.

68 E l'ipotesi sinora più largamente condivisa. Cf. tra l'altro ALBERIGO, «Lercaro Giaco..mo», 307; DOSSETTI, «Memoria di Giacomo Lercaro», 294; BAITELLI, «Vescovi, diocesi e cittàa Bologna», 271.

69 BATTELLI, «Tra Chiesa locale e Chiesa universale», 16755.70 ALBERIGO, "L'esperienza conciliare di un Vescovo», 12.71 «Omelia in S. Pietro», 29 aprile 1962, in BDB 53(1962), 89.

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La sensazione, volendo sintetizzare al massimo un problema cherimane in realtà assai complesso, è dunque che quel momento di po­tenziale inizio di una fase declinante" si sia trasformato di fatto, perragioni che dovranno essere ancora indagate, in un momento di svol­ta e, di sostanzioso mutamento di prospettiva.

E ovvio che una semplice coincidenza cronologica tra due feno­meni non deve indurci a immaginare un automatico rapporto causa­effetto tra di loro; resta oltretutto aperto il problema di quanto tem­po occorse perché Lercaro maturasse interiormente la convinzione didover rivedere le proprie posizioni degli anni cinquanta. Mi pare,tuttavia, che questa diversa datazione che ho ritenuto di proporre inquesta circostanza sia soprattutto utile a individuare il momento nelquale i contenuti di fondo del ripensamento personale dell'Arcive­scovo bolognese emersero con tutta evidenza nei suoi scritti pubblicie vennero proposti alla diocesi: quando cioè si diede il passaggio dauna riflessione interiore e quindi sostanzialmente privata di Lercaroall'assunzione di quegli stessi elementi nell'esercizio delle funzionipastorali e di governo del Vescovo, tramutandosi così in direttive perla diocesi.

A dire il vero i pochi mesi che intercorsero tra l'emergere pubbli­co di questa nuova sensibilità e l'apertura del concilio non consenti­rono sostanziosi esiti operativi sul piano sia della pastorale che delgoverno diocesano. In certa misura l'aprirsi nell'ottobre 1962 dellamissione triennale sulla messa" e la nomina nel 1963 di un nuovo Ve­scovo ausiliare e vicario generale nella persona di Luigi Bottazzi" po­trebbero rientrare tra i primi effetti di quella svolta, ma anche altrifattori vi hanno probabilmente concorso ed è pertanto preferibile ri­nunciare per ora a connessioni troppo dirette. Certamente, invece,alcuni interventi specifici di Lercaro in ordine a nuovi criteri pastora-

72 Se ne possono cogliere indizi anche nei ripetuti cenni alle amarezze, dolori, difficoltà,che deve sopportare il Vescovo inseriti da Lercaro nell' omelia del 29 giugno 1962 in occasionedella consacrazione episcopale di A. Angioni, in BDB 53(1962), 205ss.

73 Sull'iniziativa, che accompagnerà per larga parte il parallelo cammino conciliare, cf. lapresentazione fattane dallo stesso Lercara in «Missione diocesana sulla Santa Messa", 4 ottobre1962, in BDB 53(1962), 285-291-

74 Ho tentato alcune prime valutazioni di quella nomina in «Tra Chiesa locale e Chiesauniversale», 176ss.

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li sia di natura generale, sia in rapporto a quel problema del comu­nismo che tanto aveva condizionato il suo atteggiamento nel corsodel precedente decennio -- mi pare consentano di individuare alcuneconseguenze iniziali di quella evoluzione.

Un primo aspetto forse il più evidente--- fu il progressivosmorzarsi del confronto diretto e polemico con le autorità politichelocali. Non mutava certo la netta distinzione ideologica rispetto almarxismo;" ma lanuova proposta di lettura della realtà sociale e con-­seguentemente del rapporto Chiesa-società offerta nel giugno 1961dall'enciclica Mater et magistra76 apriva senza dubbio orizzonti pastorali diversi e consentiva di fatto l'attenuazione di quella imposta­zione tetragona degli anni cinquanta al cui interno era stato lunga­mente vissuto dall'Arcivescovo di Bologna il rapporto tra Chiesa esocietà locale. 77

Un secondo aspetto riguardò la crescente consapevolezza che iproblemi interni della Chiesa non erano stati del tutto esenti da re-­sponsabilità rispetto all'andamento sociale che si giudicava negativo ealla modesta capacità dei credenti di incidere sullo stesso. E non solo-- come Lercaro aveva spesso rilevato in precedenza, riprendendo latradizionale denuncia del cosiddetto «rispetto umano» per unaquestione di debolezza e condiscendenza verso l'avversario da parte

75 Lo confermano tra l'altro le pagine dedicate a «II problema del comunismo», in Piccolosinodo diocesano. N orme e direttioe de re liturgica et pastorali, Bologna 1961, 109-115; o la le­zione su «La Chiesa e il Marxisrno» dal titolo del ms. conservato in AGL - tenuta da Lcr­caro a Bologna il15 maggio 1961 e pubblicata in Discorsi del card. Giacomo Lercara, I: Cristia­nesimo e mondo contemporaneo, Roma 1964, 280··307.

76 Lercaro presenterà pubblicamente il documento in varie circostanze tra l'estate e l'au-­tunno 1961. Di una di queste presentazioni tenuta a Minerbio il24 luglio 1961 ci resta iltesto edito in Cristianesimo, 119-136, con titolo «Prospettive sociali di Papa Giovanni XXIII».In AGL si conserva un ms. preparatorio che risulta peraltro profondamente diverso dal testoufficiale sopra citato.

77 In Piccolo Sino do diocesano 1962. Norme e direttive per l'azione pastorale nei confrontidel comunismo, Bologna 1963, 99-110, si leggerà tra l'altro: «Forse troppo spesso abbiamopensato soltanto ad una lotta contro il Comunismo e abbiamo atteso l'eliminazione dci Comu­nismo dalla vita nazionale, riguardando, inconsapevolmente, i comunisti come avversari irri­ducibili quasi che la grazia di Dio non possa anche "dalle pietre trarre figli di Abramo" (Matteo3,9). Se, da un lato, come s'è detto, non è possibile alcuna collusione e si deve evitare qualsiasiequivoco col Comunismo, dall'altro, dobbiamo pensare ai nostri comunisti come figlioli dellasanta Chiesa, anche se figlioli prodighi o ribelli».

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dei credenti;" ma per una loro minore fedeltà al dettato cristiano" eper il legame ancora radicato con una religiosità sostanzialmente de­vozionale, individuale, privata.t"

Un terzo, più circoscritto ma, a mio parere, non meno indicativoaspetto si tradusse nella valutazione più serena di quegli stessi risulta­ti statistici de11959 sulla frequenza dei bolognesi alla messa domeni­cale" che avevano allora suscitato in Lercaro profonda amarezza e ladura denuncia della scarsa applicazione delle sue direttive da partedel clero locale."

La svolta era dunque palese, anche se riscontrabile in fattori di ri­lievo ora maggiore ora minore. Mi pare, tuttavia, vada anche puntua­lizzato che fino alla metà del 1962 - quindi prima dell'apertura delconcilio - essa si delineò soprattutto nel superamento da parte diLercaro delle urgenze e delle paure tipiche del clima certo non artifi­cioso, ma anche congiunturale e irripetibile della prima fase del do­poguerra. L'evolvere della situazione internazionale e, per Lercaro,soprattutto l'esempio autorevole del nuovo Pontefice avevano con­tribuito a snebbiare quella situazione di-stalle. Forse anche per que­sta ragione, nei discorsi lercariani di quella breve ma intensa fase cheintercorse tra l'entrata in crisi delle motivazioni degli anni cinquantae lo svolgimento del Vaticano II, non si trovano cenni a una propriaradicale evoluzione. Perché in ultima analisi, se non ho interpretatomale i passi del giugno 1952 e del febbraio 1968 che ho citato in aper­tura, tutto trovava una propria coerenza per l'Arcivescovo di Bolo­gna nell'applicazione fedele delledirettive e degli atteggiamenti papa··li. Fossero queste le crociate, il tono aristocratico e austero, il ten-

78 Cf. tra l'altro «Per la Quaresima. Notificazione», 11 febbraio 1953, in BDB 44(1953),286-287, spec. 286; «Notificazione per la S. Quaresima 1959», 2 febbraio 1959, ioi 50(1959),13-16, 14; «Per la S. Quaresima, 1960», 15.

79 «Preghiera, che chiedo sia fatta con tutta umiltà ben consapevoli, come siamo, dellenostre miserie e della quota di responsabilità che ognuno di noi ha nel lamentato decadimentoreligioso e morale», Notificazione per le annuali feste della Madonna di S. Luca, 129-130.

80 Cf. in particolare fa notificazione «Per la Santa Quaresima», 4 marzo 1962, in BDB 53(1962), 36-43, 41ss.

81 «Tra i dati offerti dall'inchiesta si è potuto avere conferma del fatto che la partecipazio­ne attuata secondo le norme del Direttorio, consentendo una presenza consapevole, incontra ilfervore della popolazione fedele» «<Missione diocesana sulla santa Messa», 285).

82 BATTELLI, «Tra Chiesa locale e Chiesa universale», 168-170.

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denziale pessimismo, del Pontefice del dopoguerra; o fossero invecegli inviti alla pacatezza, la bonomia contadina, l'ottimismo rassicu­rante, del suo successore."

Il potenziale ruolo del concilio

Il problema è troppo interessante e complesso perché lo si possaconsiderare esaurito da queste scarne considerazioni. Spero, tuttavia,che i punti essenziali della questione -- punti che meriteranno in al­tra circostanza un ovvio approfondimento - siano sufficientementechiari. Resta semmai da mettere a fuoco, e mi propongo di farlo suc­cintamente in queste battute conclusive, in quale misura il concilioabbia inciso su quella evoluzione già in corso. E non mi riferisco inparticolare agli aspetti che riguardarono direttamente la partecipazio­ne dell'Arcivescovo bolognese al Vaticano II, con quell'allargamentodi visuale e di prospettive che sul piano del suo cammino interiore fusenza dubbio di grande rilievo e che è stato d'altronde già studiatocon efficacia;84 quanto alle conseguenze dell'esperienza conciliare nelrapporto tra Vescovo e diocesi, e rispetto agli elementi di lungo pe-­riodo che abbiamo sinora considerati.

Il primo dato da tenere presente è l'effetto locale prodotto dal no­tevole coinvolgimento in concilio da parte di Lercaro: soprattutto daquando a fine 1963 assunse le funzioni di moderatore delle sedute ge­nerali in aula e poi di presidente dell'organismo incaricato dell'appli-

83 "Certo colpiva in questo Uomo quel suo ottimismo che non era affatto superficiale vi­sione delle cose, ignoranza del male; ma era ricerca cordiale del bene; era scoperta del bene, an­che là dove il bene poteva essere velato ed offuscato dal male; il bene era ricercato cordialmen­te, indovinato; riportato in primo piano, posto in evidenza, valorizzato. Un ottimismo, quin­di, operante, efficace... Questo ottimismo fattivo dava all'opera, alla parola, all'aspetto stessodel Papa, all'incontro con Lui, un costante senso di serenità»: «L'azione pastorale di GiovanniXXIII nell'elevata commemorazione di Sua Eminenza», in BAB 54(1963),313-320,316-317.Lercara ritornerà sulla figura di Giovanni XXIII l'anno successivo, commemorandone il primoanniversario della morte nella cattedrale di Bergamo il 3 giugno 1964 (il testo ivi 55(1964) 201-­208). Ma per una globale rilettura lercariana della figura di Angelo Roncalli si veda la nota con-­ferenza tenuta il 23 febbraio 1965 all'Istituto Sturzo di Roma su «Linee per una ricerca su Gio­vanni XXIII», ora anche in Per la forza dello Spirito, 287-310.

84 ALBERIGO, «L'esperienza conciliare», 13ss.

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cazione della riforma liturgica; funzioni che lo impegnarono per suastessa ammissione anche nei periodi di pausa tra una sessione e l'al-otra." Questo stato di cose, protrattosi sino alla fine del 1965 e cheLercaro ritenne anche di giustificare agli occhi della propria diocesi;"determinò in certa misura il congelamento della situazione già pre­sente alla vigilia dell'assise vaticana.

N on mancarono certo risonanze locali del cammino che l'Arcive­scovo stava compiendo sia in concilio sia più in generale nell'ambitodelle iniziative che vi fecero da contorno: in particolare discorsi escritti che risentivano con evidenza degli argomenti trattati a Roma;"indicazioni di carattere pastorale come la sostituzione in città delleprocessioni con le veglie bibliche quale forma di preghiera comunita­ria in vista della ripresa dei lavori del Vaticano II,88 un intero ciclo diincontri con il clero dei vari vicariati della diocesi per presentare icontenuti della riforma liturgica conciliare." Ma tutto questo, pur ri­sultando di indubbio rilievo, più che orientare le linee pastorali e di

85 «Il Concilio volge ormai al suo termine" .. E allora il vostro Arcivescovo ritornerà inmezzo a voi senza ulteriori lunghi periodi di assenza, che, come certo non vi è sfuggito, non silimitavano allo stretto calendario delle sedute conciliari, ma lo impegnavano praticamente an­che a sessione chiusa»: «Messaggio all'Archidiocesi nella solennità di S. Petronio», 4 ottobre1965, in BAB 56(1965), 326.

86 «Dilettissimi nel Signore, eccomi ancora in procinto di partire per il Concilio. Non vinascondo che mi torna assai penoso lasciare la Diocesi ... Ma il Concilio rappresenta per laChiesa di Dio e per l'umanità tutta una tale speranza, che sento, conforme la parola del SantoPadre Giovanni XXIII di s.m., di dover anteporre il compito conciliare ad ogni altro lavoro»:«Invito alla preghiera per il concilio», 24 settembre 1963, in BAB 54(1963), 596. Il 4 ottobre1965 affermerà inoltre: «Questo vi dico, o dilettissimi, perché non vi sfugga che, se anche untale e tanto impegno ecclesiale, ci sottrae tempo ed energie per la immediata cura del gregge af­fidatoci, i benefici che il Concilio porterà al mondo saranno largamente goduti anche dalla no­stra Diocesi»: «Messaggio all'Archidiocesi nella solennità di S. Petronio», in BAB 56(1965),324-331, 325.

87 BAB 55(1964), 626-645 e 56(1965), 342-350, vennero ad esempio edite tre conferenzetenute da Lercaro a Roma 1'11 e il 13 novembre 1964 e il 23 ottobre 1965 rispettivamente suldecreto De oecumenismo, sul tema della libertà religiosa e su Il rinnovamento dell'artigianatosacro nello spirito del concilio. Lo stesso bollettino diocesano fornì poi resoconti dei principaliinterventi conciliari dell'arcivescovo (BDB 54(1963), 778-784, 55(1964), 464-470 e 661-663) ri­prendendoli in larga parte dagli ampi servizi proposti dal locale quotidiano cattolico L'Av­venire d'Italia allora diretto da Ranicro La Valle.

88 «Per l'apertura della IV sessione del concilio ecumenico», in BAB 56(1965), 318-319.89 Il ciclo, di oltre dieci incontri, si sviluppò nel febbraio-marzo 1965 (BDB 56(1965),88­

91) e venne preceduto il 29-30 dicembre 1964 dai lavori del V Piccolo sinodo dedicato a L'istru­zione per l'applicazione della costituzione liturgica, in BAB 55(1964),671-678 e che vide tra irelatori C. Vagaggini, V. Noè, G. Dossetti.

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governo della diocesi verso obiettivi diversi rispetto al passato servì,in sostanza a far percepire alla Chiesa bolognese la vastità e il fascinodegli orizzonti che stavano scorrendo davanti a Lercaro: sia per laconsuetudine instauratasi a Roma con gli episcopati delle zone piùdisparate della terra, sia per le opportunità di viaggi e di esperienzeextraeuropee e più Ìatamente extraoccidentali che ne derivarono du­rante lo stesso quadriennio conciliare.i?

Le ricadute più sostanziali e organiche non potevano dunque cheessere rimandate agli anni postconciliari. A riguardo ritengo che Ler­caro avesse una percezione molto netta. Tanto che, tra l'ottobre 1965---- vigilia dell'ultima sessione e l'estate 1966 all'indomani dellapromulgazione del decreto pontificio con il quale si chiedeva ai Vc-­scovi di lasciare l'incarico diocesano al compimento dei 75 anniegli si dichiarò disposto in almeno due circostanze a concludereil proprio governo episcopale prima che si entrasse direttamentenella nuova complessa fase di attuazione dei documenti conciliari. 91

L'esplicita richiesta da parte del Papa di restare al proprio posto digoverno92 venne quindi interpretata come una estensione di fiduciache avrebbe realmente consentito di impostare l'applicazione dioce­sana deI Vaticano II, soprattutto in ordine ai tempi tecnici che sareb­bero stati necessari.

90 Numerosi accenni a questo dilatarsi progressivo di prospettive sono rinvenibili in G_LERCARO, Lettere dal Concilio 1962-1965, a cura di G_ Battelli, Bologna 1980, passirn, Il viag­gio compiuto in Libano nell'aprile 1964 sarà tra l'altro oggetto di una conferenza bolognesedello stesso Lercaro (la notizia in BAB 55(1964) 238).

91 «Sarò tra voi, quindi, normalmente presente e operante, almeno finché l'ubbidienza allavolontà del Superiore non mi consentirà -- come fu mio costante proposito -_. di ritirarmi dallavoro e dalle responsabilità sempre più urgenti del governo diocesano per prepararrni, nel rac­coglimento e nella preghiera, al giudizio di Dio»: «Messaggio ali'Archidiocesi nella solennità diS. Petronio», 326. «Beatissimo Padre, ora che l'atteso Motu proprio Ecclesiae Sanctae è felice­mente uscito, colgo questo giorno Santo e solenne... per umiliare a Voi, Padre Santo, con filia­le devozione le mie dimissioni dalla.Sede Metropolitana di Bologna e da ogni altro incarico co­munque affidatomi dalla estrema bontà della Sede Apostolica. A muovermi a questo atto, checompio con serena letizia, non è soltanto la pressante preghiera che il Motu proprio rivolge aiVescovi, ma anche la persuasione e la constatazione che, salvo un particolare divino aiuto, ladiminuita energia fisica e psichica rende giorno per giorno meno adeguati ai compiti che unaDiocesi, specialmente se vasta e difficoltosa, impone, soprattutto in questi tempi di così rapidaevoluzione e in questi momenti di necessaria equilibrata ma tempestiva attuazione dell'aggior­namento conciliare»: «Atto di rinuncia», 15 agosto 1966, in BAB 57(1966), 485·-486, 486.

92 In BAB 57(1966), 488-489, la riproduzione dell'autografo papale del 20 agosto 1966 e ilparziale resoconto della successiva udienza del 22 settembre.

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Ì~ in questa specifica accezione che mi pare vada inteso il cenno aquel «secondo inizio» del proprio episcopato contenuto nel discorsodel novembre 1966 in occasione del conferimento della cittadinanzaonoraria. Un secondo inizio che non si riferiva in prevalenza, io cre­do, a una precedente fase del proprio ministero bolognese da ritenerein qualche modo chiusa, perché ormai rifiutata dallo stesso Lercaro.Abbiamo visto infatti come già nella fase conclusiva di quello stessoprimo quindicennio di episcopato petroniano ci fossero stati ripensa­menti, evoluzioni, cambiamenti sostanziali, in gran parte dovuti almutare delle stagioni storiche e all'influsso esemplare dei vari pontifi­cati. Ma un secondo inizio riferito piuttosto a una nuova fase com­plessiva, ancora tutta da disegnare, che aveva quale scopo essenzialela messa a fuoco delle linee maestre del concilio. Un secondo inizioche non sembrava dunque sottolineare tanto delle fratture interne alproprio precedente cammino personale, ma che indicava piuttosto lanecessità globale di ripartire da zero: tanto importante era la svoltagenerale e non solo personale comportata dal concilio.

Occorre chiedersi a questo punto che cosa abbia indotto Lercaroa tentare la nuova complessa impresa, dopo aver manifestato conchiarezza tra il 1965 e il 1966 il desiderio di rinunciarvi. A riguardonon abbiamo purtroppo indicazioni specifiche da parte dello stessoArcivescovo. Se guardiamo anzi al programma pastorale di massimada lui presentato alla diocesi in quel periodo si ha la precisa sensazio­ne che, al di là della marcata enunciazione di un futuro ma ancora in­definito impegno all'approfondimento delle norme e dello spiritoconciliari.P le novità concrete ed effettive sul piano strutturale fosse­ro ancora assai modeste." Il dato più evidente, rispetto soprattutto

93 «È, con questo consapevole senso di responsabilità che fin da oggi assumo dinanzi a voi,figli della Chiesa bolognese, l'impegno di cercare e curare ogni mezzo per approfondire e por­tare a conoscenza di tutti l'opera del concilio ecumenico Vaticano II e di realizzarne, per quan-­to è da noi, le norme e lo spirito»: «Messaggio all'Archidiocesi nella solennità di S. Petronio»,329.

94 Un esempio può essere offerto dal riferimento al delicato problema della riforma degliuffici diocesani: «In questa ripresa post-conciliare, o dilettissimi, ovviamente noi prospettiamouna riorganizzazione degli Uffici diocesani, .. E certo una impresa di notevole importanza, maanche indispensabile; e perché possa essere attuata efficacemente e utilmente per il maggior be­ne spirituale della nostra santa Chiesa bolognese, io vi invito e vi esorto caldamente, o dilettis­simi, a pregare", in BAB 57(1966), 330.

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agli anni cinquanta, era infatti la sopravvivenza di alcuni nuclei es­senziali di interesse che nemmeno l'evoluzione di inizio anni sessantaaveva scalfito: dalla permanente preoccupazione per la costruzione dichiese nella periferia, 95 al continuo impegno per sviluppare la sensibi­lità liturgica della Chiesa bolognese che si puntualizzò nel 1967 conl'introduzione della Messa episcopale;" al mantenimento di manife-­stazioni pubbliche popolari come l'arrivo in città dei Magi per l'Epi­fania o la processione festante dei bambini per la domenica delle Pal­me. 97 Da questo punto di vista, dunque, venivano a trovare confermae semmai rafforzamento sulla base delle indicazioni conciliari nelcaso specifico della liturgia le selezioni e le priorità già acquisitenel corso degli anni cinquanta e poi filtrate dal ripensamento del1961-1962.

La novità tuttavia c'era e riguardava quei problemi istituzionali edi governo della diocesi che erano rimasti sino a quel momento irri­solti o affrontati secondo criteri che avevano portato a quella doppiapolarizzazione dei centri di governo cui si è accennato in precedenza.Anche il breve subentro di Bettazzi, che rimase vicario generale e ve­scovo ausiliare dall'ottobre 1963 al settembre 1966, non aveva risoltoi problemi precedenti;" a conferma, probabilmente, di una situazio­ne istituzionale assai complessa e anche, come noterà acutamenteDossetti, per una difficoltà di equilibrio all'interno della stessa figura

95 Cf. tra l'altro il messaggio natalizio del 25 dicembre 1965 "Prepariamo le case del Si­gnore», in BAB 56(1965), 544··545.

96 L'iniziativa venne presentata nel gennaio 1967 e prevedeva un primo ciclo di Messe do­menicali che avrebbero accompagnato la quaresima e la Pasqua di quell'anno. Per ciascunaMessa era stata scelta una intenzione speciale: 12 febbraio, I domenica di quaresima, "Per la pa­ce nel mondo»; 19 febbraio, II domenica di quaresima, «Per la santificazione dei membri dellaChiesa»; 26 febbraio, III domenica di quaresima, «Per l'unione dei credenti in Cristo»; 5 mar­zo, IV domenica di quaresima, «Per la soluzione del problema della fame nel mondo»; 12 mar­zo, I domenica di passione, "Perché Cristo, unico salvatore, sia da tutti conosciuto»; 19 mar­zo, domenica delle palme, «Per tutti i sofferenti»; 26 marzo, Pasqua, «Perché tutti i battezzativivano il mistero pasquale di Cristo»: «La Messa episcopale nella cattedrale di S. Pietro», 22gennaio 1967, in BAB 58(1967),59·60. Dalla rubrica Diario di S.E. il Card. Arcivesco'uo pre·sente in BAB per il 1967 e il gennaio-febbraio 1968 si ricava poi che la Messa episcopale prose­guì sino al giugno 1967, per essere infine ripresa tra il dicembre 1967 e 1'11 febbraio 1968 gior­no nel quale vennero ufficializzate le dimissioni di Lercaro.

97 Notizie delle manifestazioni del 6 gennaio e 3 aprile 1966 in BAB 57(1966), 264 c 375.98 Per alcune valutazioni BATTELLI, «Tra Chiesa locale e Chiesa universale», 176-177 e

note.

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episcopale tra la conservazione dell'autorità e l'esercizio del dialogocon i propri collaboratori." La novità cui accennavo era il tentativodi risolvere questi problemi, e di affrontare dunque la riforma post-·conciliare senza dispersioni interne alla diocesi, mediante il ricorsoalla collaborazione completa di don Dossetti: nominato a fine 1966pro-vicario generale in sostituzione del vicario Bettazzi e incaricatodi coordinare in prima persona la fase di studio che avrebbe dovutopreparare a Bologna la realizzazione del concilio. 100

A dieci anni esatti di distanza da quando Lercaro aveva tentato at­traverso il prestigio politico, intellettuale e morale di Dossetti la con­quista del municipio di Bologna nelle amministrative del 1956, era dinuovo Dossetti l'interlocutore privilegiato dell' Arcivescovo di Bolo­gna per tentare a un tempo di superare gli scogli istituzionali internialla diocesi -- riunificando cioè il governo ordinario e la guida pasto­rale - e di affrontare organicamente l'applicazione locale del Vatica­no II. Questa continuità, ma anche profonda diversità, nel cercare lacollaborazione di Dossetti mi pare esemplifichi assai bene la muta­zione complessiva di prospettive che si era verificata in Lercaro e chepermaneva peraltro all'interno del suo costante tentativo di interpre­tare nel loro successivo svolgimento le varie stagioni della Chiesa.

Per vedere tuttavia se Lercaro, affiancato da Dossetti, sarebbestato in grado di aprire a tutto campo quella che poteva veramente di­ventare una nuova fase del suo episcopato e della stessa storia dellaChiesa bolognese, una nuova fase nella quale dare uno sviluppo glo­bale alle istanze già preannunciate tra il 1961 e il 1962 e poi approfon­dite e dilatate dal concilio, ci sarebbero certamente voluti numerosi

99 d vescovi esistenti, anche i migliori, in quanto educati all'interno di un certosistemaecclesiologico, non hanno gli strumenti per entrare in un vero dialogo, in una comunione equindi o conservano l'autorità e non entrano in dialogo, o entrano in dialogo e non sanno con ..servare l'autorità; è chiaro che qui bisogna che avvenga un passaggio dal governo alla consape­volezza e all'attuazione di un regime di paternità che richiede fede in chi la esercita e fede in chiè a questo in qualche modo assoggettato» (da una lezione su «Per una valutazione globale delVaticano II», ottobre 1966, presso Istituto per le scienze religiose di Bologna; il passo è ripro..dotto in BATTELLI, «Tra Chiesa locale e Chiesa universale», 182).

100 Su questo si è soffermato in particolare G. FORCESI nella ponderosa tesi di laurea For­mazione di un nuovo progetto di Chiesa locale nell'episcopato di Giacomo Lercaro (1952-1968),Roma 1983..1984. Per una sintesi cf. ID., .u primo biennio del postconcilio a Bologna», in Stu ..dium 81(1985), 763-771.

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anni e anche probabilmente la volontà di andare talora controcorren-­te rispetto al crescente espandersi nella Chiesa, a fine anni sessanta­inizio anni settanta, di un atteggiamento di rivalsa da parte dei settoricontrari al concilio e allo stesso ruolo avutovi dal Card. Lercaro.l'"Ma quella possibile storia della Chiesa bolognese rimase incompiuta.

«Apro il Vangelo lessero i bolognesi il 12 febbraio 1968 nelsaluto conclusivo del loro Arcivescovo --', il codice della nostravita di sacerdoti e di cristiani e leggo: "... io sono un uomo sot­tomesso ad altri e dico ad un soldato: Vieni!; ed egli viene; e adun altro: Vai!; ed egli va; e al mio servo: Fa' questo!; ed egli lofa". Mi fu detto, or sono quasi sedici anni, dal Pastore supremodel Gregge di Cristo: "Vieni!"; ed io venni e, fiducioso ed ardi­to, presi il governo di questa santissima Chiesa petroniana; mi èdetto oggi, ancora dal Pastore supremo: "Vai!"; ed io vado, se­reno e lieto di ubbidire». 102

101 Per i riflessi diretti contro Lercara, BATTELLI, "Tra Chiesa locale e Chiesa universale»,183ss; per il clima complessivo si veda l'ottimo saggio di D. MENOZZI, «L'anticoncilio (1966­1984»>, in Il Vaticano II e la Chiesa, a cura di G. Alberigo eJ.P. Jossua, Brescia 1985, 433­464. Dello stesso autore cf. inoltre Le radici dell'ideologia politico-religiosa di Lefebvre; «In­troduzione» a L. PERRIN, Il caso Lefebvre, a cura di D. Menozzi, Genova 1991, 9-34.

102 Cf. sopra nota 2.

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