Il governo diviso dei giudici. Strategie e tecniche della mediazione patriarcale nel mondo...

44

Transcript of Il governo diviso dei giudici. Strategie e tecniche della mediazione patriarcale nel mondo...

INDICE Prefazione ............................................................................................................................. V Nota biografica ................................................................................................................... IX Pubblicazioni di Carlo Amirante .................................................................................... XII

PARTE PRIMA TEORIA DELLO STATO E DEL DIRITTO – STORIA

AMMANNATI LAURA, Il rapporto tra concorrenza e welfare di fronte alla crisi e dopo il “fiscal compact” ................................................................................................................... 3 AVAKIAN SUREN, Le manifestazioni di protesta e il diritto costituzionale ........................... 17 AZZARITI GAETANO, La cittadinanza. Appartenenza, partecipazione, diritti delle persone ........................................................................................................................... 25 BALABAN ANDRZEJ, The Appropriation of Competences by using National Legal Terms. (On the Unsolved Ambiguities on the System of the Sources of Law Shown in the Draft of Constitutional Treaty of the European Union) ......................................................... 43 BANASZAK BOGUSLAW, The Separation of Powers, past and present ............................... 49 BARBERA AUGUSTO, Un moderno “Habeas Corpus”? ................................................. 57 BIANCO GIOVANNI, Stato e democrazia in Augusto Del Noce .......................................... 73 BORRELLI GIANFRANCO, Oltre l’utopia neoliberale: processi di soggettivizzazione e democrazia partecipativa ......................................................................................................... 85 CARACCIOLO DI BRIENZA GIORGIO, The application of computer-based rhetoric to human rights education: a theoretical study ............................................................................ 101 CATERINI ENRICO, Ermeneutica giuridica e «caritas in veritate» .................................. 109 CATERINI MARIO, Imprenditori e ‘contiguità’ mafiosa tra impulsi repressivi ed esigenze personalistiche ....................................................................................................................... 125 CERRI AUGUSTO, Contrattualismo, principio di maggioranza: giustificazioni e punti critici .................................................................................................................................... 139 CERRONE FRANCESCO, Annotazioni su interpretazione e principi specie in materia di fonti del diritto ...................................................................................................................... 167 CHIAPPETTA GIOVANNA, Gli status personae e familiae nelle giurisprudenze ............ 191 CIERVO ANTONELLO, Contributi ad una teoria degli spettri. Antisystemic move-ments e studio critico del diritto costituzionale ...................................................................... 257 DE NITTO ACHILLE, Le leggi erano ingiuste e Socrate aveva ragione. Divagazioni sulla giustizia costituzionale .......................................................................................................... 283 DI DONATO FRANCESCO, Il governo diviso dei giudici. Strategie e tecniche della me-diazione patriarcale nel mondo contemporaneo ....................................................................... 299 HETTIYAKANDAGE MICHEL FERNANDO SAMPATH, Costituzione e cultura. I-struzione, beni culturali e servizio pubblico televisivo paradigmi di un nuovo modello di svi-luppo .................................................................................................................................... 335 JERVOLINO DOMENICO, Ricoeur lettore e interprete di Freud ........................................ 363 LIMONE GIUSEPPE, Il nomos costituente di fronte al pensare radicale, Stato costitu-zionale, culture e laicità ......................................................................................................... 383

II Liber amicorum in onore di Carlo Amirante

MAGLIACANE ALESSIA, Un Trauerspiel. L’intimazione di Riccardo III ..................... 399 MARINO ENRICO, Le origini teoriche del liberalsocialismo nel dibattito inglese di metà Ottocento .............................................................................................................................. 421 MARTÍNEZ DALMAU RUBÉN, La interpretación de la Constitución democrática ............. 437 MARTUCCI ROBERTO, L’avventura “méthodique” di Jean-Nicolas Desmeuniers e le origini americane del moderno diritto pubblico ........................................................................ 453 MOCCIA SERGIO, Il difficile rapporto tra normativa e scienza giuspenalistica nella postmo-dernità......................................................................................................................................... 481 MUSTO RENATO (†), Vecchiezza del Mondo e Gioventù Ribelle ...................................... 491 PITITTO ROCCO, Comunicazione, etica della comunicazione e ricerca del fondamento ......... 505 REGASTO SAVERIO F., La riforma dell’Università. Un passo avanti e due indietro? ........ 517 RUBINO FRANCESCO, La maledizione dello scorpione di giada (e altre formule magiche del diritto) ............................................................................................................................. 525 SCOGNAMIGLIO SONIA, Nessuna cosa rende forte lo Stato quanto la fiducia. Valori e coesione sociale nel processo europeo di civilizzazione statuale: teoria ed esperienze storiche ...... 547 SIGISMONDI IRENE, L’interpretazione e la formazione del diritto nell’ambito dei sistemi di common law ................................................................................................................ 571 VESPAZIANI ALBERTO, La teocrazia costituzionale: una nuova forma di Stato? .............. 605

PARTE SECONDA DIRITTO COSTITUZIONALE INTERNO

ALBINO LUCA, Il giusto processo amministrativo tra diritto sovranazionale europeo e co-stituzione italiana ................................................................................................................ 627 AMISANO MARISTELLA, L’estradizione: istituto dalla natura duplice (note a margine del caso Battisti) ................................................................................................................... 637 BONELLI ENRICO, Libertà di scelta terapeutica e ruolo del giudice amministrativo ............ 655 CERVATI ANGELO ANTONIO, In tema di didattica del diritto pubblico e costituzionale in Italia e in Germania ....................................................................................................... 673 FERRARI VINCENZO, Uguaglianza e discriminazione: l’insostenibile leggerezza dell'es-sere lavoratrice anziché lavoratore .......................................................................................... 693 GAMBINO SILVIO, Forma di governo, partiti politici e sistemi elettorali. La living Constitution italiana nell’ottica comparatistica ................................................................... 703 LUCIANI MASSIMO, Funzioni e responsabilità della giurisdizione. Una vicenda italiana (e non solo) .............................................................................................................................................. 749 LUNARDI GRAZIELLA e TONIN CARLA, Amministrazione di sostegno e alleanza terapeutica: un rapporto “allargato”, profili di comparazione ................................................. 779 MANDARA MASSIMO, La tutela del «consumatore e/o utente» nella dimensione indivi-duale e collettiva tra «diritto privato» e «diritto pubblico» ....................................................... 793 MANGIAMELI STELIO, Governare dal centro: l’influenza della legislazione statale su quella regionale .................................................................................................................... 821 MAZZITELLI ALESSANDRO, L’influenza della Cultura tra ordinamento interno e pro-spettiva comunitaria .............................................................................................................. 837

Indice III

MOSCHELLA GIOVANNI, Forma di Stato e trasformazione dell’ordinamento regionale in Italia ........................................................................................................................................... 851 NOCITO WALTER, Il regionalismo italiano dopo un decennio di esperienza (2001-2011): un tema (ancora) “aperto” ......................................................................................... 867 POLITI FABRIZIO, La tutela dei diritti sociali ed il contenuto del decreto legislativo n. 68 del 2011 sui costi e fabbisogni standard in sanità ................................................................. 889 PRISCO SALVATORE, Diritto pubblico e comparazione. Riflessioni teoriche e metodologi-che a partire da un’esperienza didattica ................................................................................. 907 PUZZO FERNANDO, Progresso bio-tecnologico, personalismo costituzionale e diritto alla vita ..... 923 RIVOSECCHI GUIDO, Il governo dei conti pubblici tra articolo 81 della Costituzione, vincoli europei e crisi economico-finanziaria globale ................................................................. 941 SICLARI MASSIMO, Il Presidente della Repubblica italiana tra concezioni ‘mistiche’ ed interpretazioni realistiche ....................................................................................................... 963 STANCATI PAOLO, L’habeas corpus del “cittadino di Paese terzo”: spunti critici e ricostruttivi............................................................................................................................ 971

PARTE TERZA DIRITTO UE - INTERNAZIONALE - COMPARATO - GLOBALIZZAZIONE - ECONOMIA ARIENZO ALESSANDRO, Trasformazioni del governo e democrazie di mercato: forma stato, forma mercato e governante .................................................................................... 1013 BARLETTA AMEDEO, Verso un sistema penale sovranazionale tra proporzionalità e sussidiarietà ....................................................................................................................... 1021 BASCHERINI GIANLUCA, Patria o Famiglia? La Vita familiare degli stranieri nella giurisprudenza delle corti europee ........................................................................................ 1041 BOLZAN DE MORAIS JOSÉ LUIS, Lo Stato ed i suoi limiti: riflessioni sul costituziona-lismo brasiliano ................................................................................................................ 1055 BRESCIA CIRO, Sull’asse Caracas-Porto Alegre verso una democrazia di nuovo tipo: il protagonismo partecipativo ................................................................................................. 1079 BRUNO ANNA SILVIA, Le tentazioni individualiste della case law ed i processi di de-nazionalizzazione degli Stati. L’artificialità giuridica del dialogo tra le corti ....................... 1087 CARDUCCI MICHELE, Il BRICS come «legal network» e le sue implicazioni costitu-zionali ............................................................................................................................... 1097 D’AMICO DIEGO, La responsabilità dell’amministrazione europea ................................. 1111 D’IGNAZIO GUERINO, La Presidenza Obama e il multiculturalismo negli Stati Uniti d’America.......................................................................................................................... 1117 DE OLIVEIRA RENATO, Ética, política e economia no Brasil: para além da crise do Governo Lula .................................................................................................................... 1131 DI TURI CLAUDIO, Commercio internazionale e tutela dei diritti fondamentali: recenti tendenze in tema di diritto all’alimentazione ....................................................................... 1149 FRAGOLA MASSIMO, Equo processo comunitario in tempo ragionevole: il caso Rinau e la pregiudiziale d’urgenza ................................................................................................... 1169

IV Liber amicorum in onore di Carlo Amirante

GERBASI GIAMPAOLO, La Corte Costituzionale nella rete giudiziaria europea: limiti e prospettive nella tutela dei diritti fondamentali ..................................................................... 1179 IMPARATO A. EMMA, Dalla forma Stato alla forma mercato per arrivare agli “Stati falliti”. L’estensione ‘iconoclastica’ della logica economica globale ai beni comuni culturali e l’Africa alla prova della globalizzazione ............................................................................. 1213 JOSSA BRUNO, Un sistema d’imprese democratiche come nuovo modo di produzione .......... 1255 KROMIÇI ARMELA, Il cammino dell’Albania verso l’Unione europea .............................. 1279 LOPEZ AGUILAR JUAN FERNANDO, Derecho contractual europeo: ELSJ, seguridad jurídica y pacto de estabilidad y crecimiento en Europa ........................................................ 1295 LOZANO MIRALLES JORGE, Del civil law al common law: la jurisprudencia como fuente del derecho................................................................................................................. 1309 LUCARINI FEDERICO, “Fare politica attraverso l’amministrazione”. Evoluzione sociale e cambiamento culturale delle classi dirigenti nelle grandi città italiane (1894-1914) ............ 1319 LUKJANOV ANATOLIJ IVANOVIC, La demolizione del sistema rappresentativo sovieti-co e l’istituzione della Repubblica presidenziale in Russia .................................................... 1339 MAESTRO BUELGA GONZALO, La constitucionalización del equilibrio presupuestario en la reforma del art. 135 de la Constitución española ......................................................... 1357 MANDEL MICHAEL, R2P & ICC v. UNC: The Responsibility to Protect and the In-ternational Criminal Court versus the Charter of the United Nations ................................. 1379 MARINO IVAN, Il Presidenzialismo in URSS. La riforma costituzionale di Gorbačev ........ 1393 NAZZARO UBALDO, Fenomeni migratori e diritti umani ................................................ 1407 PEREZ SOLA NICOLÁS, La suspensión y disolución de los partidos políticos en España .. 1429 PETTERS MELO MILENA, Il Brasile e la sua “Constituição cidadã”: cittadinanza, de-mocratizzazione e tutela dei diritti fondamentali .................................................................. 1449 POLICASTRO PASQUALE, Constitution and conflict. Regulating regional interdependen-ces through society-based supranationality as a path for the European and Mediterranean transformation .................................................................................................................... 1471 RIDOLA PAOLO, Le suggestioni del Grundgesetz nella dottrina costituzionalistica ita-liana. Sessant’anni di rapporti tra le “culture” costituzionali tedesca e italiana .................... 1499 ROLLI RENATO, La dimensione sovranazionale dei beni culturali .................................... 1513 RUIZ-RICO RUIZ GERARDO, Transiciones politicas y derecho constitucional. Una per-spectiva metodológica ........................................................................................................... 1541 STORINI CLAUDIA, Il giusto processo nell’ordinamento spagnolo ...................................... 1559 VALENTE PIERGIORGIO, Lo scambio di informazioni in materia fiscale nell’ordina-mento internazionale e sovranazionale ................................................................................. 1573 VIAL MARTINI SANDRA REGINA, La costituzionalizzazione del diritto alla salute in Brasile ................................................................................................................................ 1601 VOLTERRA SARA, I simboli religiosi nello spazio pubblico negli Stati Uniti d’America .... 1623 WOLKMER ANTONIO CARLOS, Diritto ed umanesimo nell’America Latina ................ 1639 ZAMORANO FARÍAS RAÚL, Sistemas de gobierno: el caso chileno. Democra-cia sin ilusiones o ilusiones sin democracia? .............................................................. 1645 Le Autrici e gli Autori ................................................................................................... 1661

FRANCESCO DI DONATO

IL GOVERNO DIVISO DEI GIUDICI. STRATEGIE E TECNICHE DELLA MEDIAZIONE PATRIARCALE NEL MONDO CONTEMPORANEO*

SOMMARIO: 1. Dal presente alla storia : un percorso a ritroso alla ricerca del paradosso della giurisdizione. – 2. Di-

videre l’indivisibile. – 3. Il carattere occulto della potestas terribilis. – 3.1. La giurisdizione come anti-potere. – 3.2. I difetti della storiografia giuridica tradizionale. – 3.3. Lo scivolamento fatale dell’interpretazione giurisdizionale in potere politico. – 3.4. Come combattere la tirannia degli « arcana juris »? – 4. Lo Stato assoluto: creazione dello spirito femmi-nile dei giuristi o segno virile della rivincita del Politico-Sovrano? – 5. La perpetuazione metamorfica della giurisdizione politica nel quadro del diritto positivo. – 5.1. Lo sfaldamento del legicentrismo, la reinsorgenza della mediazione patri-arcale. – 5.2. Il rilancio democratico del potere politico. – 5.3. Gli strascichi del pensiero magico nella giurisdizione positivistica. – 6. Conclusione. Una scelta decisiva per la nostra epoca: perfezionamento della democrazia giuridica o ritorno alla mediazione tecnico-patriarcale dei giuristi?

1. Dal presente alla storia : un percorso a ritroso alla ricerca del paradosso della giurisdizione.

La prima fonte esplicativa del cammino di riflessione che mi propongo di affron-tare in questo saggio è una testimonianza di ‘ego-storia’. Per l’occasione lo storico dell’Ancien Régime si trasforma in storico del presente con la dichiarata intenzione d’inserire il criterio della «Lunga durata» nell’analisi dei problemi della giustizia con-temporanea1

Vi sono episodi nella vita di ciascuno che, per circostanze per lo più ignote e co-munque riottose a una completa razionalizzazione, segnano un passaggio di com-prensione. Un flash accende una pista di riflessione che come per incanto mette im-provvisamente ordine in una congerie di dati, facendoli divenire un sapere. A differen-za della mnemotecnica spacciata per studio che si pratica nel sistema inquisitoriale delle università italiane, lo studio, in fondo, quando è veramente tale, serve non a tra-smettere nozioni preconfezionate ma a preparare un contesto, una struttura di pre-comprensione che, presto o tardi, saprà accogliere e valorizzare un’intuizione altri-menti destinata a restare una foglia in un turbine di vento. Senza il contesto adeguato le idee sono come collane di diamanti finite in un branco di bonobo.

.

Un alto magistrato italiano, mi ha un giorno onorato di un’importante opinione confidenziale: «Il nostro attuale presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è davvero l’ultimo dei grandi politici. È un uomo terribile!».

In quest’ossimoro, enunciato con il tono grave e solenne tipico delle questioni ul-time, con tanto di pausa posta tra le due espressioni e volta ad aumentarne la perento-rietà, credo si annidi tutta la concezione della nuova mediazione patriarcale della ma-gistratura contemporanea. Nel contempo esso contiene l’idea dell’«io diviso» che la caratterizza. Questa divisione concerne due tensioni di fondo: per un verso vi è da parte dei giudici l’atavico sentimento del contronto/conflitto con il potere politico, sottilmente considerato inferiore alla funzione giurisdizionale; per un altro vi è però

* Una versione francese di questo saggio (con lievi modifiche) è in corso di pubblicazione negli “atti” del re-

cente Congresso internazionale di Tolosa, cit. infra in nota 34. 1 Sulla «storia del presente» ci si può riferire alla riflessione metodologica aperta da P. NORA, di cui si veda, a

titolo rappresentativo, la recente silloge di saggi Présent, nation, mémoire, Gallimard, Paris 2011.

300 Parte Prima – Teoria dello Stato e del Diritto-Storia

anche una sorta di ammirazione occulta per l’importanza e il prestigio – per quanto apparenti questi valori possano sembrare e in parte persino essere – naturalmente connessi all’esercizio del potere politico. È proprio questo carattere sovrano, questa nuova eppur antica majestas che la politica intrinsecamente possiede (anche se non sempre e anzi sempre meno è in grado di esercitare), a celare quel quid di grandezza che la funzione giurisdizionale, la cui potenza effettiva è proporzionale alla dimensio-ne esoterica e occulta del suo esercizio, non potrà mai eguagliare. Di questa “appa-renza”, in effetti, la funzione giurisdizionale deve di necessità saper fare a meno, es-sendo essa per definizione un potere occulto.

Questo potere contiene in se stesso la tendenza, che gli è congenita, all’esercizio di una funzione politica. Senonché i giudici devono ben presto apprendere a far valere questo potere nella più totale discrezione. Gli uomini di toga e in genere i giuristi la-sciano volentieri la scena ai politici, essendo ben consapevoli della forza ineliminabile che proviene dal possesso della tecnica giuridica: presto o tardi i fili del gioco, quale che esso sia, tornano nelle mani di chi esercita la giurisdizione. Se il diritto, come di-ceva Jerome Franck, «è una causa vinta» e il «dovere una causa persa», sono i giudici e nessun altro a stabilire in ultima istanza che cosa sia davvero il diritto. Così il potere giurisdizionale si rivela ontologicamente (e quindi insopprimibilmente) un potere a tutti gli effetti politico, alla sola condizione di sapersi negare apertamente e credibil-mente come tale.

Questa paradossale condizione è propriamente l’essenza dell’essere giudice, oggi come ieri. La magistratura può dunque esercitare una parte della sovranità negando di essere un potere sovrano e quindi ponendosi al di fuori del raggio di azione del potere politico propriamente detto. È per questo che essa ama qualificarsi non come «pote-re» ma come «funzione», la funzione giurisdizionale appunto, ed è per questo altresì che essa è in primo luogo obbligata ad agire nei suoi atti ufficiali dando a tutti l’impressione di annullarsi come potere sovrano2. «Dire il diritto» vuol dire, in questa prospettiva ‘positivistica’, saper far credere che questa ‘dizione’ consista nella semplice applicazione ai casi concreti della volontà legislativa espressa dal potere politico che resta quindi il solo sovrano3

In apparenza perfetta in ogni suo dettaglio, questa operazione lascia tuttavia – come la fissione nucleare – delle scorie, dei materiali residuali, anche sul versante psi-cologico. È in tal modo che si produce, silenziosamente, impercettibilmente, nella di-namica mentale dell’essere magistrato una sorta d’invidia permanente nei confronti del potere politico. Questa invidia, tanto sottile e invisibile (spesso agli occhi degli stessi giudici) è destinata a diventare il motore dell’azione della magistratura e al tem-po stesso la causa principale dell’«io diviso» che si produce fatalmente tanto in ciascun individuo-giudice quanto nel corpo intero della magistratura stessa.

.

2 Cfr. O. CAYLA e M.-F. RENOUX-ZAGAMÉ (a cura di), L’office du juge: part de souveraineté ou puissance nulle?, «Ac-

tes du Congrès international de Rouen», 26-27 mar. 1998, LGDJ, Paris 2001. 3 Cfr. B. ANAGNOSTOU-CANAS (a cura di), Dire le droit: normes, juges, jurisconsultes, Éditions Panthéon-Assas, Pa-

ris 2006.

F. Di Donato – Il governo diviso dei giudici 301

La questione fondamentale resta allora tutto sommato la stessa che già da tempo mi è capitato di porre all’attenzione di tutti coloro che sono interessati ad affrontare e risolvere il problema del conflitto tra magistratura e potere politico: che cosa resta della mediazione patriarcale dei giudici ai giorni nostri4

Della mediazione patriarcale si può dire che essa sta ai singoli magistrati come (se-condo la celebre battuta di Karl Marx) il capitalismo sta ai capitalisti: essi sovente ne sono le prime vittime. Dominato dall’identità giuspositivistica, il nostro tempo sembra non sapere che farsene di una nozione come quella di «mediazione patriarcale», con-siderata del tutto arcaica e obsoleta. Questa convinzione dominante che nutre la for-mazione dei giuristi dai banchi universitari fino alle aule dei tribunali, è l’eredità diretta della svolta rivoluzionaria del 1789. Nell’ordine giuridico dello Stato democratico di diritto il giudice è solo la «bocca della legge» nel senso – ironico e del tutto opposto a quello che alla stessa espressione si dava nell’Antico Regime – che la sua attività giuri-sdizionale non deve consistere in altro che nella semplice applicazione di una norma che è considerata esistente in sé già prima del giudizio e quindi prima del procedimen-to interpretativo

? E, se ne resta qualcosa, quali sono le sue nuove forme, le sue nuove strategie socio-culturali, le tecniche criptopoli-tiche che essa mette in atto?

5. Il problema sorge dal momento che noi sappiamo ormai perfetta-mente che questa definizione esprime un valore chimerico in quanto la norma non esiste prima del giudizio che la applica, ma nasce proprio in quel momento applicati-vo. La norma di diritto non va confusa con l’enunciato testuale. Quest’ultimo, che, erroneamente, è spesso identificato con la norma ne costituisce invece solo il presup-posto, anzi uno dei presupposti necessari6

Ritorneremo necessariamente su questo decisivo punto. Per il momento limitia-moci a constatare che è questo il modo di pensare la giurisdizione più diffuso tra gli operatori del diritto e dei magistrati in primis. Vi è tra i giuristi contemporanei una sor-ta di retropensiero, molto radicato, che sembra quasi impossibile estirpare. All’ideo-logia della magistratura antica

.

7

4 Cfr. F. DI DONATO, De la médiation patriarcale à la médiation bureaucratique. Considération sur le «gouvernement des ju-

ges», in P. BRUNET et alii (a cura di), L’architecture du droit. Mélanges en l’honneur du Professeur Michel Troper, Economica, Paris 2006, 387-406: 387; il saggio è poi rifluito in trad.it, con alcune modifiche, nel cap. VI del vol. F. DI DONA-TO, La rinascita dello Stato. Dal conflitto magistratura-politica alla civilizzazione istituzionale europea, Il Mulino, Bologna 2010, pp. 463-512.

, fondata sulla mediazione patriarcale e sull’orgogliosa e

5 Su questo sorprendente capovolgimento semantico e politico dell’espressione «giudice bocca della legge», rinvio al mio recente saggio: F. DI DONATO, La Costituzione fuori del suo tempo. Dottrine, testi e pratiche costituzionali nella Longue durée, in «Quaderni costituzionali», a. XXXI, n. 4, dic. 2011, pp. 895-926: 909-10. Cfr. anche infra nota 61 e testo corrispondente.

6 Questa idea è uno dei fondamenti della teoria realistica del diritto proposta da Michel Troper. L’importante opera di questo eminente studioso, noto in tutto il mondo, ci ha molto aiutato a chiarire aspetti decisivi in più di-scipline nel quadro generale delle scienze sociali. Si vedano al riguardo (anche qui a titolo puramente esemplificati-vo): M. TROPER, Pour une théorie juridique de l’État, PUF, Paris 1994, trad. it. a cura di A. CARRINO et alii, Per una teoria giuridica dello Stato, Guida, Napoli 1998; Id., La théorie du droit, le droit, l’État, PUF, Paris 2001; Id., Existe-t-il un danger de gouvernement des juges?, in D. Soulez Larivière et H. DALLE (a cura di), Notre justice. Le livre vérité de la justice française, Laffont, Paris 2002, pp. 329-46; Id., La philosophie du droit, PUF («Que sai-je»), Paris 2003, trad. it. a cura di Riccardo GUASTINI, Cos’è la filosofia del diritto, Giuffrè, Milano 2003); Id., Le droit et la nécessité, Puf, Paris 2011. Altre opere sono cit. infra in nota 11.

7 Cfr. F. DI DONATO, L’ideologia dei robins nella Francia dei Lumi. Costituzionalismo e assolutismo nell’esperienza politi-

302 Parte Prima – Teoria dello Stato e del Diritto-Storia

aperta rivendicazione degli arcana juris8, è succeduta l’ideologia del giuspositivista con-temporaneo e del giurista-tecnocrate9, che, a ben vedere, ha fatto rientrare dalla fine-stra il dogmatismo formalista che il sogno della Rivoluzione aveva creduto di aver scacciato per sempre dalla porta della storia. Quel programma politico e ideologico aveva realizzato efficaci strumenti di controllo e messo in atto diversi vincoli al potere giurisdizionale (il référé législatif, la codificazione tanto nel campo del diritto pubblico quanto nel campo del diritto privato, il divieto assoluto d’interpretazione dei testi normativi). Anche lì – va pur detto – non erano mancate esasperazioni del principio di fondo e ci si era spinti perfino all’interdizione dell’insegnamento creativo del diritto nelle università costringendo i docenti a limitarsi a leggere in aula i quaderni ministe-riali: una misura che oggi ci appare a giusto titolo ridicola in tutto il suo manicheo e iconoclasta furore antigiurisprudenziale (chi non reagisce oggi con un beffardo sorriso all’affermazione di quell’oscuro professore civilista che si vantò di non insegnare il diritto civile ma il codice Napoleone?). Quel che conta è notare la consistente conti-nuità che, a dispetto di ogni apparenza, vi è nella forma mentis dei giuristi e segnatamen-te di coloro che esercitano la funzione giurisdizionale10

Certo non va sottostimato il fatto che il formalismo contemporaneo ha assunto del-le modalità di pensiero e d’azione alquanto differenti rispetto al formalismo dell’Ancien Régime. In primo luogo ha un considerevole peso proprio il fatto che esso ha dovuto inserirsi nel contesto del diritto positivo e dello Stato democratico di diritto, che è – almeno tendenzialmente – pluralista e relativista sul piano dell’etica individuale di ogni cittadino. Ciò ha eroso definitivamente le basi del fondamento ontologistico antico sul quale si ergeva l’architettura socio-culturale e giuridico-istituzionale. Tuttavia la lo-gica e la psicologia profonda del giurista, pur subendo profonde mutazioni per diversi aspetti, hanno conservato nel fondo una radice granitica che permette di riannodare queste due esperienze storiche che sembrano così lontane l’una dall’altra. Questa radi-ce è il potere d’interpretazione che – come ci fanno notare le teorie realistiche del diritto

.

11

co-istituzionale della magistratura di antico regime (1715-1788), ESI, Napoli 2003; J. KRYNEN, L’État de justice. France, XIIIe-XXe siècle, 2 voll.: t. I. L’idéologie de la magistrature ancienne; t. II. L’emprise contemporaine des juges, Gallimard, Paris rispettivam. 2009 e 2012.

e in parallelo le più recenti ricerche storico-giuridiche circa la struttura e la natura della

8 L’espressione «arcana juris», divenuta un topos nella letteratura storico-giuridica, si deve a R. AJELLO, Arcana juris. Diritto e politica nel Settecento italiano, Jovene, Napoli 1976.

9 Su questa trasformazione, cfr. A.-J. ARNAUD, Les juristes face à la société du XIXe siècle à nos jours, PUF, Paris 1975, trad. it. a mia cura Da giureconsulti a tecnocrati. Diritto e società in Francia dalla codificazione ai giorni nostri, Jovene, Napoli 1993. Quanto alla mediazione patriarcale realizzata attraverso l’uso sapienziale degli strumenti interpretativi, cfr. A.-J. ARNAUD, Le médium et le savant. Signification politique de l’interprétation juridique, in «Archives de Philosophie du droit», 1972, poi riedito in Id., Le droit trahi par la philosophie, Bibliothèque du Centre d’Étude des Systèmes politi-ques et juridiques, Rouen 1977; e il mio saggio: F. DI DONATO, La puissance cachée de la robe. L’idéologie du jurisconsulte moderne et le problème du rapport entre pouvoir judiciaire et pouvoir politique, in CAYLA e RENOUX-ZAGAMÉ (a cura di), L’office du juge, cit. supra in nota 2, pp. 89-116, poi confluito in trad.it, con modifiche, nel cap. I del vol. La rinascita dello Stato, cit. supra in nota 4, pp. 53-101.

10 Cfr. KRYNEN, L’État de justice, cit. supra in nota 7. 11 Cfr. M. TROPER, Una teoria realista dell’interpretazione, in «Materiali per una storia della cultura giuridica»,

XXIX, n. 2, dic. 1999, pp. 473-93; Id., La forza dei precedenti e gli effetti perversi del diritto, in «Ragion pratica», 1996/6, pp. 65-75; questi due saggi sono poi confluiti in versione francese in Id., La théorie du droit, le droit, l’État, cit. supra in nota 6, rispettivam. pp. 69-84 e 163-72.

F. Di Donato – Il governo diviso dei giudici 303 tecnica esegetica dei giuristi del Vecchio come del Nuovo Regime12

Nella loro lunga storia i giureconsulti-magistrati hanno saputo servirsi e mettere a profitto tutte le juris subtilitates della tecnica esegetica per condurre i testi che utilizza-vano nella direzione più utile al proprio interesse corporativo. Lo spirito di corpo ha sempre prevalso nella strategia della noblesse d’État costituita dai togati

– è di per se stes-sa lo zoccolo duro di ogni potere giurisprudenziale.

13. Ed è illusorio pensare che questa retro-disposizione della propria struttura mentale e psicologica sia stata abbandonata nel nuovo contesto positivistico14. Un profondo, recente studio di Ugo Petronio15 ha mostrato molto persuasivamente come, a partire dal cosiddetto «rinascimento medievale»16 e fino ai nostri attuali giorni, i giuristi hanno continuato a fondare (da questo punto di vista non senza coerenza) il loro potere sull’interpretatio. Malgrado i numerosi mutamenti politici e ideologici intervenuti nel corso dei secoli moderni, il giurista idealtipico non ha mai cambiato né il metodo né – soprattutto – la forma mentis17. Il lungo lavoro di scavo storiografico di Petronio dimostra incontesta-bilmente che tra interpretatio (antica) e interpretazione (moderna) non vi è tutta la diffe-renza che i giuristi positivisti contemporanei affermano esservi. In effetti i giuristi-interpreti hanno sempre giocato sulla sottigliezza che «un testo non è mai, o lo è solo in pochissimi casi, capace di esprimere un solo significato»18

Quest’analisi dimostra che l’interpretatio dei giuristi medievali e l’interpretazione ‘positivistica’ dei loro successori moderni e contemporanei non sono affatto così di-stanti come si sarebbe portati a pensare di primo acchito e che di conseguenza il pre-sunto distacco che i giuspositivisti attuali pretendono di vedere tra loro e i loro prede-cessori è in realtà inesistente. È peraltro altrettanto vero, e si avrebbe torto nel sotto-valutarlo, che l’esperienza della modernità giuridica culminata nella stagione dell’illu-minismo aveva tentato di rompere quella continuità e per quanto non si possa certo dire che il risultato sia stato raggiunto, essa resta pur sempre il più solido e sensato tentativo di risolvere, o quanto meno di porre all’attenzione generale, un decisivo problema della storia del diritto occidentale

.

19

12 Cfr. L’op. cit. infra in nota 15. Sull’argomento resta fondamentale L. Lombardi Vallauri, Saggio sul diritto giuri-

sprudenziale, Giuffrè, Milano, 1967 (rist. inalt. 1975), opera classica densa di spunti e d’idee veramente importanti e profonde per lo storico e il teorico del diritto.

.

13 Esemplare per il metodo di ricerca, il gran libro di P. Bourdieu, La noblesse d’État. Grandes écoles et esprit de corps, Minuit, Paris 1989. Si veda al riguardo anche A. Bancaud, La haute magistrature judiciaire entre politique et sacerdoce, ou le culte des vertus moyennes, LGDJ, Paris 1993.

14 Rinvio sul punto alle considerazioni sviluppate nel mio saggio: DI DONATO, De la médiation patriarcale à la mé-diation bureaucratique, cit supra in nota 4. Cfr. anche M. TROPER, Le bon usage des spectres. Du gouvernement des juges au gouvernement par les juges, in J.-C. COLLIARD et Y. JÉGOUZO, Le nouveau constitutionnalisme: mélanges en l'honneur de Gérard Conac, Économica, Paris 2001, poi ripubbl. in TROPER, La théorie du droit, cit. supra in nota 6, pp. 231-47.

15 Cfr. U. PETRONIO, L’analogia tra induzione e interpretazione. Prima e dopo i codici giusnaturalistici, in C. STORTI (a cura di), Il ragionamento analogico. Profili storico-giuridici, Jovene, Napoli 2010, pp. 183-292.

16 Su questo concetto, centrale nella storia del diritto, cfr. il classico di C. H. HASKINS, The Renaissance of the 12th Century, Harvard College, Harvard 1927; nonché E. CORTESE, Il Rinascimento giuridico medievale, Bulzoni Roma 19962 (1a ediz. 1992).

17 Petronio, L’analogia tra induzione e interpretazione, cit. supra in nota 15. 18 Ivi, p. 202. 19 Cfr., in proposito, G. D’AMELIO, Illuminismo e scienza del diritto in Italia, Giuffrè, Milano 1965; M. CATTANEO,

Illuminismo e legislazione, Comunità, Milano 1966; G. TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna. I. Assolutismo e codi-

304 Parte Prima – Teoria dello Stato e del Diritto-Storia

Il punto cruciale è proprio questo: l’incoercibile abilità dei giuristi-interpreti di ser-virsi con ineguagliabile maestria delle subtilitates tecniche attraverso le quali si realizza la conversione silente della giurisdizione in potere politico occulto. Su questo terreno si fonda e si radica quella visione del mondo che si coagula in una vera e propria «ide-ologia» giuridica, una forma mentis fondata sulla convinzione che la mediazione patriar-cale assicurata dal primato della Scientia Juris rinvii a una dimensione metafisica, ‘me-diatica’ ed esotérica della quale i giuristi investiti del munus di giudicare sono divenuti nel corso dei secoli maestri inaccessibili e assoluti20

.

2. Dividere l’indivisibile. Da questa osservazione della realtà storica si deduce che il potere giurisdizionale

sia nato fin dalle sue origini come potere occulto e diviso. Nella funzione/potestas di «dire il diritto», la juris-dictio appunto, vi è un valore intrinseco, una doppia proiezione destinata a diventare una tensione tra due forze diverse:

1) da un lato, la funzione di attribuire il torto e la ragione in rapporto a soggetti che domandano la decisione di un terzo che sia al di sopra di ogni sospetto di parziali-tà, e che abbia l’autorità pubblica di far rispettare e d’imporre, se necessario autoriz-zando l’uso della forza legittima, la sua desisione alla parte cui ha dato torto;

2) dall’altro, la funzione di vigilare sull’osservanza del diritto, ossia di verificare se i comportamenti e le azioni messe in atto dai soggetti che agiscono in un determinato territorio sottomesso alla giurisdizione che ne ha titolo, sono legittimi o no.

Ora, entrambe queste funzioni comportano di per sé il controllo sulle azioni di tutti i soggetti compresi – e qui sta il nucleo del problema – quelli che sono chiamati a determinare le stesse regole che devono essere applicate nel giudizio. Il giudice è mes-so in tal modo in una condizione di piena legittimità nel sottoporre al suo giudizio non solo i cittadini comuni ma anche coloro che hanno messo nelle sue mani lo strumento stesso del suo potere, ossia il diritto. In altri termini, la jurisdictio si pone fin dalle origini come la forma più efficace di controllo del potere politico o, se si vuole, della sovranità. La giurisdizione non diventa, ma nasce come strumento di controllo e di limite di quella che fin da Bodin è stata ‘codificata’ come la dimensione principa-le del potere sovrano: la prerogativa di legiferare.

La giurisdizione è dunque, intrinsecamente, un potere diviso e che divide, nel sen-so che per il fatto stesso di esistere essa separa la sovranità in due. Si puó dire in que-sto senso, parafrasando la celebre formula kantorowicziana, che la magistratura si configura come il secondo corpo del re. È un evidente paradosso se si ritiene, con l’altrettanto celebre definizione bodiniana, che il potere sovrano è per sua natura indi-

ficazione del diritto, Il Mulino, Bologna 1976; R. Ajello, Arcana juris, cit. supra in nota 8; Id., Epistemologia moderna e storia delle esperienze giuridiche, Jovene, Napoli 1986; Id., Formalismo medievale e moderno, Jovene, Napoli 1990. Più di recente, cfr. F. Bidouze (a cura di), Les Parlementaires, les lettres et l’histoire au siècle des Lumières 1715-1789, «Actes du colloque de Pau», 7-8-9 giu. 2006, Presses Universitaire de Pau, Pau 2008 (Studio presentato alla “Commission Internationa-le pour l’Histoire des Assemblées d’États”, vol. LXXXVIII).

20 Una dimensione, questa, ben messa in luce già da qualche tempo nel fondamentale saggio di ARNAUD, Le médium et le savant, cit. supra in nota 9, che resta a mio avviso una pietra miliare sul tema.

F. Di Donato – Il governo diviso dei giudici 305 visibile21

Questa è la condizione fondamentale del rapporto che s’instaura, fin dalle origini dell’organizzazione pubblica occidentale, tra potere sovrano e giurisdizione. È un gio-co di doppi specchi nel quale il vero potere si afferma nel momento stesso in cui (e grazie al fatto che) si occulta e si nega come tale

. S'impone allora la necessità di qualificare il potere giurisdizionale come po-tere occulto. Questa natura arcana fa sì che il potere di giudicare sia modellato su un paradosso costitutivo: esso deve operare negando la propria vera natura. In effetti, per rendere divisibile un potere indivisibile è necessario ricorrere a una suprema fin-zione giuridica e logica: la giurisdizione deve dissolversi come potere autonomo per lasciare tutta la scena alla sovranità politica. Il Politico resta sulla scena, unico attore, ad affrontare il pubblico e riceverne applausi o fischi. Senonché questo attore non è affatto autonomo nella scelta dei movimenti e dei contenuti della recitazione. Dietro le quinte è appostato il regista che decide e controlla.

22

L’idea di «potenza nulla» rispondeva a un bisogno molto sentito nel milieu parlemen-taire intorno alla metà del Settecento: rassicurare la corona e raffreddare il clima esa-cerbato dal violento e continuo scontro determinatosi tra i due blocchi politici fiera-mente contrapposti, costituiti dai magistrati da un lato e dall’entourage ministeriale e dalla corte dall’altro. L’intenzione era di ottenere una tregua nel combat, una sospen-sione delle ostilità che però salvaguardasse nella sostanza le «prérogatives de la robe» (per riprendere il titolo del trattato che Bertaut de Fréauville aveva pubblicato all’ini-zio del secolo). Era insomma un’astuzia della ragione giuridica che si concretizzava in una strategia molto abile: si sospendevano le ostilità per vincere su un altro piano. Si puntava tutto sull’ineluttabile forza del potere (politico) occulto della giurisdizione. Il potere politico, nella sua teatrale veste pubblica sovrano, aveva un bel fare le leggi. Ma

. A questo proposito sarebbe neces-sario sviluppare una riflessione più approfondita, critica e coraggiosa che sappia anda-re oltre il livello meramente descrittivo che la storiografia ha realizzato finora. Ad e-sempio bisognerebbe riflettere maggiormente sui veri motivi che spinsero Monte-squieu a concepire la funzione giurisdizionale come «potenza nulla». Spesso gli storici delle dottrine giuridiche e politiche offrono analisi, che per quanto raffinate siano, si rivelano astratte dai contesti storici concreti nei quali la lotta politico-istituzionale gio-ca invece un ruolo fondamentale nella produzione delle idee. È questo il più grave li-mite di un metodo ricostruttivo che nello stesso tempo in cui riesce a isolare e univer-salizzare un concetto recide però i collegamenti tra teoria e pratica politica e perde di vista gli ambienti, le relazioni e le mentalità che hanno costituito l’humus per la nascita e lo sviluppo di quella concezione. Privata del suo background «pre-comprensivo» – per utilizzare la nota espressione di Pierre Bourdieu –, la definizione del potere giudiziario come «potenza nulla» diventa evanescente e, per quanto non priva di efficacia sugge-stiva, risulta incomprensibile in pratica.

21 Su questo nodo gordiano del diritto moderno, cfr. O. BEAUD, La puissance de l’État, PUF, Paris 1994, trad. it.,

a cura di L. TULLIO, La potenza dello Stato, ESI, Napoli 2002, pp. 35-198. Per un’acuta riflessione critica sullo sche-ma di E. Kantorowicz, cfr. A. BOUREAU, Le simple corps du roi. L’impossible sacralité des souverains français, XVe-XVIIIe siècles, Les Éditions de Paris, Paris 20002 (1a ediz. 1988).

22 Rinvio per l’approfondimento di questo aspetto al mio saggio La puissance cachée de la robe, cit. supra in nota 9.

306 Parte Prima – Teoria dello Stato e del Diritto-Storia

queste leggi dovevano prima o poi essere applicate e per esserlo dovevano necessa-riamente passare attraverso il vaglio dell’interpretazione giurisdizionale. La jurisdictio poteva dunque, sul lungo termine, far valere il suo carattere esoterico, senza alcun bi-sogno di confrontarsi platealmente con il potere politico. I giudici potevano continua-re a esercitare il loro incontrastato dominio a condizione di saper operare nella discre-zione, utilizzando la specifica natura occulta della giurisdizione.

Questa è la base storica, il brodo primordiale, della teoria della separazione dei po-teri. Ma l’intento del suo creatore riuscì solo a metà. La Rivoluzione e i suoi effetti successivi furono l’applicazione rigida e letterale della teoria separatista, ma in un con-testo ideologico e politico completamente diverso : lì, dopo che si era realizzato il completo annientamento dei vecchi parlamenti, la giurisdizione avrebbe perso il suo potere d’influenza politica dovendo limitarsi alla stretta applicazione della volontà le-gislativa a una causa tra parti private. Si tentò allora di realizzare una separazione ef-fettiva e rigorosa, che, a dispetto delle premesse teoriche originarie di quella teoria, spostasse il potere decisionale dalla magistratura al governo politico. La vicenda della separazione dei poteri è stato, insomma, un paradigmatico caso di eterogenesi dei fini nella storia delle dottrine e delle istituzioni politiche. Il pensiero di fondo che nutrì le teorie collegate della separazione e del bilanciamento dei poteri aveva in origine l’obiettivo di salvaguardare l’influenza politica della giurisdizione. Esso è stato invece utilizzato, a partire dall’esperienza rivoluzionaria del 1789, per organizzare un sistema costituzionale fondato sul principio del primato della decisione (e della responsabilità) politica, superando così quell’ordo juris che, verso la fase finale dell’Antico Regime, un acuto osservatore napoletano aveva definito il «governo politico del giureconsulto» (Filippo de Fortis, 1755). La Rivoluzione e la fase che ne seguì parvero realizzare il sogno di un sistema costituzionale nel quale la decisione politica potesse essere limpi-damente tradotta in pratica per il tramite della giurisdizione senza ‘inquinamenti’ in-terpretativi da parte dei giudici. Ma – come ha ben dimostrato il bel libro di André-Jean Arnaud dedicato al rapporto tra i giuristi e la società tra Otto e Novecento – la lunga fase successiva alla parentesi rivoluzionario-napoleonica smentì questo volo pindarico: i giuristi recuperarono progressivamente i loro poteri e l’attività giurisdizio-nale ridivenne il perno della vita giuridica anche nel nuovo sistema codicistico-positivo. E così si può ben dire che la piena realizzazione del principio della separa-zione dei poteri resta ancor oggi – nel mondo dell’espansione planetaria del potere dei giudici – un rebus irrisolto, ancor più decisivo per l’equilibrio del sistema costituziona-le che all’epoca in cui fu pensato23

.

23 Cfr. C. N. TATE, T. VALLINDER, The Global Expansion of Judicial Power: the Judicialization of Politics, New York

Univ. Press, New York 1995; R. BERGER, Government by judiciary. The Transformation of the Fourteenth Amendment, Har-vard University Press, Cambridge (Mass. USA)-London 1977; A. PIZZORNO, Il potere dei giudici. Stato democratico e controllo della virtù, Laterza, Roma-Bari 1998. Per il cit. volume di A.-J. ARNAUD, cfr. supra nota 9. Sulle vicende della separazione dei poteri nelle fasi storiche successive alla Rivoluzione, cfr. M. TROPER, La séparation des pouvoirs et l’histoire constitutionnelle française, LGDJ, Paris 1973, trad. it. a cura di S. ROMANO, La separazione dei poteri e la storia costituzionale francese, ESI, Napoli 2005.

F. Di Donato – Il governo diviso dei giudici 307 3. Il carattere occulto della potestas terribilis.

3.1 La giurisdizione come anti-potere. Il potere di giudicare è di per sé, naturalmente, un potere illimitato. Delle personalità

profondamente imbevute dell’ideologia giuridica, come un Montesquieu o un Le Pai-ge, lo sapevano alla perfezione. Se non si considera questo aspetto tutta la costruzione del loro pensiero giuridico-politico risulta falsata. È d’altronde questa la ragione per la quale i romani attribuivano a quel potere la definizione di potestas terribilis. In rapporto al potere politico – che essendo un potere manifesto e visibile può facilmente essere assoggettato a limiti – il potere giurisdizionale è molto più sottile, arcano e temibile, in quanto esprime il suo potenziale politico negandolo. Il carattere essenziale di questo potere è proprio la sua identità occulta: esso si afferma (come potere del tutto ed es-senzialmente politico senza virgolette) nella misura in cui riesce ad ‘annullarsi’ come tale, facendo credere alla sua ‘neutralità’ come a una verità incontestabile. Il giudice – e con lui tutto il corpo istituzionale della magistratura alla quale appartiene – riesce a esercitare un potere politico solo nel momento in cui si dichiara estraneo al potere politico. Ciò significa, in concreto, che il potere del giudice è destinato ad aumentare se e quando riesca a farsi percepire come il baluardo eretto contro le ingiustizie perpe-trate dal potere sovrano. Il giudice diventa così l’ultima salvezza contro la corruzione del Politico24

In rapporto alla sovranità politica il potere giurisdizionale si pone dunque di per sé come un anti-potere di natura occulta. Dal punto di osservazione dello storico, e più in generale degli studiosi delle scienze sociali, il cui compito principale è quello di ricostruire fedelmen-te i fatti e studiarli con metodo analitico, ciò significa che il potere dei giudici è un po-tere molto difficile da isolare; con la rilevantissima conseguenza che è pressoché im-possibile farne oggetto autonomo di studio fondandosi esclusivamente sugli atti for-mali che esso produce ovvero considerando solo le categorie concettuali ordinarie

.

25

24 All’epoca della monarchia assoluta, quest’immagine del giudice vendicatore popolare contro i corrotti era re-

sa più complicata dall’impossibilità di attaccare frontalmente la persona del re. Immagine vivente della Giustizia divina, il re non poteva in alcun modo essere accostato neppure allusivamente all’idea di corruzione. I magistrati ricorrevano allora a un abile e astuto escamotage retorico e attaccavano i ministri glissando sul fatto che essi erano diretta emanazione del sovrano che li sceglieva e li revocava ad libitum. La strategia dei robins additava al pubblico ludibrio i ministri non solo come un manipolo di corrotti, ma anche come traditori dello stesso re che essi inganna-vano e frodavano insieme al suo popolo. I giuristi-magistrati erano tutti monarchici perché avevano ben compreso che la struttura politico-istituzionale della monarchia di diritto divino era indispensabile alla loro mediazione patri-arcale; di conseguenza essi temevano ossessivamente il repubblicanesimo. Questo aspetto è genialmente sintetizza-to dal diverso atteggiamento di Montesquieu nei confronti degli Stati repubblicani (ad esempio Genova) e viceversa nei confronti delle monarchie assolute (ad esempio il regno di Napoli): il presidente bordolese disprezzava la forma di governo dei primi tanto quanto si sperticava poi in lodi esagerate per i secondi. Su questo aspetto rinvio al mio saggio: F. DI DONATO, Genova e Napoli. Immagini dell’ideologia togata nel confronto tra due modelli socioistituzionali, in C. BITOSSI e C. PAOLOCCI (a cura di), Genova, 1746: una città di antico regime tra guerra e rivolta, «Atti del Convegno di Studi in occasione del 250° anniversario della rivolta genovese», Genova 3-5 dic. 1996, Archivio di Stato di Genova – Quaderni Franzoniani, Genova 1998, pp. 727-88: 727-32. Resta per altro denso di suggestione per più aspetti il gran classico di E. CARCASSONNE, Montesquieu et le problème de la constitution française au XVIIIé siècle, PUF, Paris 1927 (rist. anast., Slatkine, Genève 1970).

.

25 Per questa ragione le analisi politologiche sul fenomeno del potere, anche le più competenti e informate, non trattano adeguatamente della categoria del potere occulto, nella migliore delle ipotesi passando un po’ troppo in fretta sull’argomento: cfr. ad es. M. STOPPINO, Potere e teoria politica, Giuffrè, Milano 20013 (1a ediz. ECIG, Genova 1982), spec. pp. 136-8, dove il concetto di «potere nascosto» è trattato come un caso specifico nel quadro della ca-

308 Parte Prima – Teoria dello Stato e del Diritto-Storia

Chi decida di studiare la magistratura e l’ideologia giuridica che vi è sottesa in questo modo è destinato senza ombra di ragionevole dubbio a finire fuori strada.

3.2 I difetti della storiografia giuridica tradizionale. È precisamente in questa scelta metodologica di restringere l’interesse epistemico

alla struttura normativa del diritto la ragione per la quale la storiografia giuridica tradi-zionale, fondata sulla riproduzione del formalismo, una forma mentis che considera solo le fonti ufficiali del diritto, non sarà mai in grado di comprendere e dar conto né dell’essenza di un potere per sua natura occulto, come la funzione giurisdizionale, né della reale entità dei problemi che derivano da quella identité cachée.

I documenti e i testi giuridici sono il prodotto dell’ideologia (nel senso weberiano di Weltanschauung) degli stessi soggetti (i giuristi) che l’analisi scientifica deve esaminare e comprendere. Come si può mai evitare di tener conto questo fatto capitale? Ogni storiografia che trascuri questo orizzonte di senso è una mistificazione, ovvero si ri-solve con l’esserlo anche essendo animata dalle migliori intenzioni.

La conoscenza e l’indagine condotta sui legami sotterranei tra i materiali testuali del diritto e la visione del mondo dei giuristi, gl’interessi concreti che ne derivano e che a loro volta la alimentano, in una parola l’ideologia dei produttori di senso giuridi-co è l’aspetto fondamentale e indispensabile per rilevare l’essenza profonda tanto del diritto quanto della forma mentis dei suoi creatori. L’intera storia del diritto e delle isti-tuzioni dell’Occidente dovrebbe essere reinterpretata alla luce di questa prospettiva.

Se, invece, ci si limita a considerare i soli atti normativi ufficiali, se si ripone una fi-ducia maniacale e acritica nelle fonti normativo-testuali del diritto (ossia del prodotto della mentalità dei giuristi), si liscerà solo la superficie del fenomeno giuridico e non si riuscirà in alcun modo a distanziare l’oggetto che si vuol descrivere dal punto e dagli strumenti di osservazione, che è la prima e fondamentale regola della ricerca scientifi-ca in ogni campo del sapere. Si resterà così prigionieri dell’oggetto della propria ricer-ca e non si interporrà alcuna distanza critica tra l’osservatore e l’oggetto osservato26

In nessun altro campo come nella storia concernente la magistratura e i suoi fon-damenti ideologici e culturali – una storia davvero quant’altre mai giuridico-politico-istituzionale –, lo storico deve non soltanto saper leggere quel che c’è nei documenti, ma soprattutto ciò che non c’è, ossia ciò che i documenti ufficiali non possono e non osano dire. Quando si tenti di ricostruire gli assi portanti della Weltanschauung dei giuri-sti – specialmente di coloro che sono muniti della potestas giurisdizionale – bisogna per

. La mosca – per riprendere una celebre immagine metaforica – resterà nella bottiglia a sbattere le ali contro le pareti di vetro, non potendo comprendere che la salvezza è nel guardare in alto, verso la via d’uscita, spesso la più improbabile e la meno visibile restando protetti nell’alveo del solo habitus mentale consueto.

tegoria più generale della «manipolazione»; ciò che porta poi l’A. a considerare che tra le due fondamentali nozioni di potere – aperto o nascosto – la tipologia del primo è «di gran lunga il più importante dei due nella vita sociale e politica» (ivi, p. 137); è un’idea, questa, che risente molto del metodo classificativo astratto della politologia e che è del tutto inutilizzabile per spiegare la natura del potere giurisdizionale e le tecniche manipolative degli arcana juris.

26 Cfr. M. TROPER, La théorie du droit, le droit, l’État, cit. supra in nota 6, spec. pp. 3-16 («Science du droit et dogmatique juridique»).

F. Di Donato – Il governo diviso dei giudici 309 tempo apprendere a ‘leggere’ tra le righe o meglio a intravedere, a fiutare, a intuire il senso nascosto o velato o appena accennato del dettato testuale (tanto normativo quanto discorsivo), e imparare così a seguire i significati allusivi che l’ordine del di-scorso giuridico costruisce. Da molti secoli nell’esperienza occidentale i giuristi sono irraggiungibili maestri nell’arte di alludere e di rinviare a significati reconditi, il cui si-gnificato è rivelato solo attraverso la mediazione della loro esoterica Scientia. Scienza del diritto e difesa corporativa della magistratura sono state in quest’esperienza-chiave dell’Occidente medievale e moderno tutt’uno. Celare questa raffinata strategia dietro il paravento della tecnica esegetica esercitata solo su testi normativi significa non solo privarsi di fondamentali strumenti di comprensione della realtà storica, ma anche non rendere giustizia a un ceto che non è composto da soli codini e pedissequi esecutori di oggettive volontà superiori, ma da fini protagonisti della vita sociale e politica delle realtà nelle quali hanno operato e operano.

Nel campo del diritto gli enunciati normativi, così come assai spesso l’ordine del discorso costruito dai giuristi, sono come l’estensione dell’immensa distesa desertica sotto la quale si nasconde uno sterminato mare di petrolio. L’oro nero dello storico del diritto e delle istituzioni è il reticolato degl’interessi occulti e dei valori politici che il compromesso semantico della norma vuole difendere e proteggere. L’oggetto di questa storiografia specialistica non è allora – come troppo spesso si crede e si ripete – la norma giuridica in quanto tale, né le istituzioni cui essa intende dar luogo. La norma giuridica è solo la punta di un iceberg che affonda i suoi giganteschi fonda-menti nelle profondità abissali del mare sociale e il compito dello storico del diritto e delle istituzioni non può che essere la comprensione di questa realtà e la descrizione fedele delle relazioni effettive, più o meno visibili, che s’instaurano nelle molteplici pieghe tra il piano normativo e l’evoluzione della vita concreta.

3.3. Lo scivolamento fatale dell’interpretazione giurisdizionale in potere politico. Non bisogna tuttavia nascondersi che questa operazione è resa molto difficile –

nei casi più estremi addirittura quasi impossibile in quanto essa si posiziona ai limiti delle possibilità oggettive del raggio di osservazione fenomenologica – dalla necessità dei produttori del campo socio-normativo di occultare il loro potere nel momento stesso in cui esso si dispiega concretizzandosi in atti formali. L’attività giuridica com-porta di per sé – come già i giuristi romani avevano ben compreso – il necessario ri-corso a finzioni-perno attraverso le quali si compie il rito procedurale che rende pos-sibile il ragionamento deduttivo. Di conseguenza è la fictio juris l’elemento capace di realizzare la metamorfosi dell’interpretazione giurisdizionale in potere politico senza incorrere nel rischio e nel sospetto di abbandonare l’imparzialità, che è la condizione indispensabile dell’esercizio legittimo e credibile della funzione di giudicare.

Il sapere del giudice deve dunque preoccuparsi, come condition préalable della sua applicazione, di conservare la sua connotazione di potere neutrale – la sua « terzietà », come amano dire i giuristi, soprattutto italiani, insuperabili maestri nell’uso del forma-lismo e del « verbalismo elusivo » – e la sua immagine dev’essere quella di una figura

310 Parte Prima – Teoria dello Stato e del Diritto-Storia

quasi eterea o «invisibile» che si pone al di sopra o meglio ancora oltre gl’interessi e le posizioni soggettive sottoposte al suo giudizio27

Il processo assume allora, in questo quadro contestuale, la funzione strumentale dell’arrière-plan poiché è in virtù delle cause che la giurisdizione può mettere in atto e dispiegare appieno la sua potenzialità politica. Il processo è in questo senso il luogo ideale in cui l’interpretazione creativa del giurista può brillare in tutta la sua forza in-ventiva. In apparenza questa creatività si applica solo a quel determinato caso concre-to sottoposto al giudizio particolare; in realtà essa – soprattutto quando è una corte di ultima istanza a pronunciarsi – può travalicare quegli angusti confini ed è pienamente legittimata a fissare princìpi fondamentali di diritto, che impongono una determinata scelta. È nel processo che il magistrato diventa architetto sociale stabilendo l’esten-sione effettiva dei diritti (o dei doveri) astrattamente previsti nei testi (o enunciati) normativi. Lungi dall’applicare una norma che preesiste al giudizio (cosa che è una delle più abili finzioni create dall’ideologia giuridica), è il giudice che crea la norma. Ed è proprio questo procedimento a conferirgli quel potere d’intervento che non si sa-prebbe definire in altro modo che ‘politico’

.

28

L’idea che il giudice non farebbe che applicare la volontà politica espressa in una norma preesistente al giudizio si rivela dunque falsa – uno «spettro» come ha scritto Michel Troper –. E ciò per almeno due decisive ragioni: in primis perché quella che la maggior parte dei giuristi chiamano «norma» non è invece che un enunciato normati-vo; in secondo luogo perché l’idea che da Montesquieu in poi si considera una sorta di dogma e cioè che «la potenza di giudicare è nulla perché la funzione del giudice è di tirare la conclusione di un sillogismo, la cui premessa maggiore è la norma di legge e la minore il fatto»

.

29

27 L’espressione «verbalismo elusivo» è di R. AJELLO, Eredità medievali paralisi giudiziaria. Profilo storico di una pato-

logia italiana, Arte Tipografica Editrice, Napoli 2009: quest’opera, che costituisce una straordinaria reinterpretazione, molto originale e innovativa, delle conoscenze storico-giuridiche, ha messo in rilievo il carattere autoreferenziale dei giuristi peninsulari in confronto con le più significative esperienze europee, soprattutto quella francese. Un punto di vista speculare (di uno storico transalpino che ricostruisce la realtà storico-giuridica italiana), è in P. GILLI, La noblesse du droit. Débats et controverses sur la culture juridique et le rôle des juristes dans l’Italie médiévale: XIIe-XVe siècles, H. Champion, Paris 2003. Sul sapere esoterico del giudice come strumento esegetico di esercizio di un potere che trava-lica i confini della funzione strettamente applicativa, cfr. AA.VV., Sapere e/è potere: discipline, dispute e professioni nell’università medievale e moderna: il caso Bolognase a confronto, «Atti del 4° convegno», Bologna 13-15 apr. 1989, 3 voll., Comune di Bologna e Istituto per la storia di Bologna, Bologna 1990. L’immagine del giudice perfetto come «giudi-ce invisibile» è del magistrato Gherardo Colombo: per un’articolata critica di questa posizione, rinvio ai miei La puissance cachée de la robe, cit. supra in nota 9; e La rinascita dello Stato, cit. supra in nota 4, pp. 53-101: 53.

non è in realtà che un paravento per mascherare il pesante inter-vento del giudice stesso tanto sulla struttura quanto sul contenuto del ragionamento giuridico. Quel determinato giudice porterà fatalmente nel giudizio i propri valori per-sonali e la sua visione del mondo. Prima e più di tutto però nella sua giurisdizione pe-serà l’« ideologia » e la forma mentis che gli deriva dal fatto di essere giurista e magistra-to, cioè membro di una sorta di casta corporativa che concede a ciascuno dei suoi componenti un munus che non si perde mai: tu eris sacerdos in aeterno. In questo senso

28 Cfr. M. TROPER, Le bon usage des spectres, cit. supra in nota 14. 29 Ivi, p. 231.

F. Di Donato – Il governo diviso dei giudici 311 non si può che convenire sull’idea per cui «la decisione [del giudice] è politica per es-senza»30

Questa sterilizzazione del sapere giuridico e dell’attività giurisdizionale che su di esso è costruita rende per definizione impossibile ogni tentativo di pervenire al cuore del problema partendo dalla semplice analisi dei testi normativi generati da quella me-desima attività. Di qui la necessità di ricorrere a un metodo – piego deliberatamente la nota espressione foucaultiana al senso del mio discorso – ‘archeologico’ del sapere giuridico. Questo metodo fa, per così, dire blocco con la natura dell’oggetto del no-stro interesse scientifico. Quest’oggetto, immateriale e misterioso, che è il potere della giurisdizione è un potere – lo si è già sottolineato – di natura occulta. Ciò significa che è logico pensare che esso non sarà mai così ingenuo da proporre di se stesso una rap-presentazione intelligibile e del tutto corrispondente alla realtà. La sua nascita corri-sponde esattamente al processo della sua dissimulazione. Al contrario esso svilupperà la tendenza a fornire una rassicurante, pacifica e neutrale immagine di sé. È questa la precondizione per rendre credibile la figura del giudice come arbitro super partes e di conseguenza realmente superiore agl’interessi politici che sono presenti nel gioco so-ciale e istituzionale. Questo non-coinvolgimento apparente del giudice nella mondani-tà delle forze che si contendono il primato nella vita sociale concreta rende a un tem-po la figura del magistrato celestiale e terrificante, aeriforme e materiale nella sua effi-ge di rigorosa (e apparente) inflessibilità.

. Ed essa lo è proprio nella misura in cui nega di esserlo.

3.4. Come combattere la tirannia degli «arcana juris»? Ora, se si ammette che l’essenza della giurisdizione è intimamente legata agli arcana

juris, strumenti sottili e impercettibili che costituiscono l’arsenale concettuale del giuri-sta-magistrato, s’impone allora la necessità di fissare dei limiti convenzionali a questo potere per poterlo imbrigliare e incanalare in forme di controllo e di responsabilità. In assenza di questi contrappesi ci si troverebbe di fronte a una tirannia sfrenata degli apparati giudiziari che metterebbe chiunque in balia del corpo magistratuale senza al-cuna efficace forma di controllo del suo operato. Da Montesquieu in poi sappiamo bene che nessun potere si controlla da solo e si autolimita. Ogni potere continua in-vece nella sua inerziale espansione fin quando non interviene un contro-potere di pari entità e forza capace di bloccare la corsa senza fine di questo fiume in piena – la me-tafora è notoriamente del président bordolese – verso il mare del dispotismo assoluto. Questa limitazione è divenuta del tutto indispensabile nello Stato democratico, il qua-le non può tollerare che nel suo seno si annidino e prosperino poteri la cui azione non dipende da alcun controllo esterno a essi.

Il grande problema della giurisdizione è appunto questo: che essa sfugge a questo schema dal momento che nega di essere un vero e proprio potere, pur essendolo di fat-to. L’«ordine» giudiziario, così ama qualificarsi e così lo qualificano i testi costituziona-li, vuol essere, ma non vuole apparire un vero e proprio potere. La formula « in nome

30 B. CHANTEBOUT, Droit constitutionnel et science politique, Economica, Paris 1978 (numerose ediz. successive);

cfr. TROPER, Le bon usage des spectres, cit. supra in nota 14, p. 237.

312 Parte Prima – Teoria dello Stato e del Diritto-Storia

del popolo… » che precede l’enunciazione delle sentenze è un’ennesima fictio juris che non fa che perpetuare l’ambiguità di cui si nutre il potere politico-giurisdizionale.

Il problema della previsione dei limiti all’esercizio della funzione giurisdizionale si pose, in modo drammatico, fin dall’organizzazione giuridico-politica dell’Ancien Régi-me, dal momento che i titolari del potere di giudicare, cioè di «dire il diritto», per sot-trarsi a ogni controllo sulle loro decisioni, presero a sostenere che il fondamento della jurisdictio era, alla stregua della legittimazione regia, di ordine divino31. Questa «divini-tà» della jurisdictio è strettamente connessa alla natura sacrale della Scientia Juris i cui ministri-magistrati si sentono sacerdoti di un culto laico, ma munito di altrettanta ie-rocratica autorevolezza dei ministri religiosi: «Juris consulti sacerdotum nomine εΰλογος sci-licet cum ratione decorantur; in promptu est ratio, quia justitia colunt»32

Fu allora proprio per reazione.

33 a questa natura metafisica della jurisdictio che s’impose l’indispensabile rimedio della fissazione delle regole predeterminate e scritte in un testo chiaro e intelligibile da tutti gli alfabetizzati al quale i giudici fossero astret-ti34

Il diritto positivo non è affatto nato, come pure si è talvolta sostenuto

. In tal modo si tentava di demolire gli arcana juris e la mediazione patriarcale, po-tendo la decisione di ogni giudice essere comparata ictu oculi da chiunque con il testo della legge e sanzionata (in ultima istanza dal potere politico attraverso istituti quali il référé législatif) in caso di difformità della sentenza da quest’ultimo. Fu la nascita del co-siddetto «diritto positivo» fondato sul principio di legalità secondo il quale il diritto s’identificava con la legge fissata d’autorità dal potere politico (divenuto poi, nello Sta-to democratico, rappresentativo).

35

31 Cfr. gli studi molto fini raccolti da R. JACOB (a cura di), Le juge et le jugement dans les traditions juridiques européen-

nes. Études d’histoire comparée, «Actes du colloque international», Paris 16-18 set. 1993, LGDJ, Paris 1996, e spec. il saggio del medesimo A., Jugement des hommes et jugement de Dieu à l’aube du Moyen Âge, pp. 43-86; cfr. anche Id., Judi-cium et le jugement. L’acte de juger dans l’histoire du lexique, dans CAYLA e RENOUX-ZAGAMÉ (a cura di), L’office du juge, cit. supra in nota 2, pp. 35-71: 36 e 71.

, da una volontà politica di potenza sfrenata e dispotica, ma dall’intenzione – imposta dalla du-ra realtà dei fatti – di superare l’arbitrio dei giuristi-giudici, fissando dei limiti rigorosi e verificabili allo slittamento della funzione giurisdizionale nella sfera di decisione ap-

32 «Ai giureconsulti si conferisce il titolo di sacerdoti, che senza dubbio è giusto con ragione; il motivo è chiaro: perché celebrano la giustizia». Su questo argomento e spec. sull’aspetto dell’influenza della forma mentis derivata dal diritto romano sui giuristi medievali e moderni in Francia e in Italia, come in diverse altre aree europee, rinvio al mio lavoro monografico: F. DI DONATO, Esperienza e ideologia ministeriale nella crisi dell’ancien régime. Niccolò Frag-gianni tra diritto, istituzioni e politica, 2 voll., Jovene, Napoli 1996 (la citazione riportata nel testo, tratta da una celebre glossa marginale alla definizione di Ulpiano poi rifusa nel Digesto, I.I.I, e utilizzata regolarmente dai giuristi fino alla vigilia della Rivoluzione, è a p. 683).

33 Cfr. J. STAROBINSKY, Action et réaction. Vie et aventures d’un couple, Seuil, Paris 1999, trad it. a cura di C. CO-LANGELO, Azione e reazione. Vita e avventure di una coppia, Einaudi, Torino 2001.

34 F. Aimerito ha ben messo in luce nel corso di un recente congresso internazionale svoltosi a Tolosa (Les dé-sunion de la magistrature, 12-13 gen. 2012, i cui atti sono in corso di pubblicazione a cura di J. KRYNEN e J.-C. GA-VEN), l’idiosincrasia dei magistrati di Antico Regime per le regole procedurali delle quali molto spesso si prendeva-no apertamente gioco, trovandole aride e indegne della loro Scientia Juris. Il dato è di notevole importanza, perché mostra chiaramente l’essenza metafisica e religiosa del sapere giuridico così come i giureconsulti lo concepivano.

35 L’autore certamente più rappresentativo di questa letteratura è P. Grossi (del quale si veda al riguardo Assolu-tismo giuridico e diritto privato; Mitologie giuridiche della modernità, entrambi Giuffrè, Milano rispettivam. 1998 e 2001); si veda, nella stessa linea, L. COHEN-TANUGI, Le droit sans l’État. Sur la démocratie en France et en Amérique, Puf, Paris 1985 (edition «Quadrige», 1992).

F. Di Donato – Il governo diviso dei giudici 313 partenente alla sovranità politica. Le ragioni di questa indispensabile svolta nella storia del diritto moderno, alla quale corrispose in una prima fase anche il passaggio dalla concezione del diritto naturale al giusnaturalismo36, attengono meno al confronto tra due gruppi in lotta tra loro per la conquista dell’egemonia che alla necessità obiettiva di nutrire la decisione politica di una visione ispirata dall’interesse generale, alla quale s’intendeva dare una connotazione di trasparenza e di controllabilità37

Il vertice di questo lungo processo fu la Rivoluzione, nei cui fondamenti culturali e politici – senza nulla togliere ai sacri valori della classica triade – si ritrova la chiara e netta volontà di farla finita con lo slittamento politico della giurisdizione per realizzare finalmente il mito di un diritto che fosse espressione di una limpida e controllabile volontà politica, responsabile e rappresentativa

. È evidente che questo risultato non poteva essere raggiunto se non recidendo alla base la mediazione patriarcale dei giuristi, cosa che richiedeva a monte la trasformazione della struttura culturale dell’ordine sociale. Occorreva passare dalla società ontologica alla società contrattuale, dalla metafisica al convenzionalismo, dal dogma essenzialistico alla rela-tività della negoziazione politica, in una parola dalla logica dell’assoluto alla precarietà del provvisorio.

38. Si può ben dire allora che la svolta rivoluzionaria fu la (momentanea) vittoria del politico sugli arcana juris attraverso l’af-fermazione della democrazia giuridica e il passaggio dal criterio del consensus gentium al contratto sociale39

Il superamento della mediazione patriarcale dei giuristi-magistrati non riuscì a es-sere definitivo e senza ritorno. La vicenda storica successiva sta lì, come un monito

.

36 Rinvio su questo tema al mio specifico saggio: F. DI DONATO, La conception du droit naturel dans la pensée et la

pratique des juristes français et italiens (XVIe-XVIIIe siècles), in Un dialogue juridico-politique: le droit naturel, le législateur et le juge, «Actes du XXe Colloque international de l’AFHIP», Université de Poitiers, Faculté de Droit, 14-15 mag. 2009, Presses Universitaires d’Aix-Marseille, Aix-en-Provence 2010, pp. 107-28: 120-8.

37 Proprio su questo punto vi è ancora un lungo cammino da percorrere, poiché non sarebbe onesto nasconde-re o ridurre la portata quantitativa e qualitativa delle numerose decisioni che il potere politico assume, anche nello Stato costituzionale e democratico contemporaneo, senza tener sufficientemente conto di queste ragioni di traspa-renza e di controllo che sono invece il fondamento del suo primato.

38 Per convincersene è sufficiente leggere le limpide pagine, per nulla scolorite dal tempo, dello studio classico di H. CARRÉ, La fin des parlements (1788-1790), Hachette, Paris 1912, nelle quali si mostra perfettamente come il clima pre-rivoluzionario fosse gravido di un’ostilità feroce verso i magistrati dei vecchi parlamenti e contro tutte le pretese politiche che caratterizzavano i loro discorsi. Cfr. anche il recente F. BIDANZE, Haro sur le Parlament; J. E-GRET, La pré-Révolution française (1787-1788), Puf, Paris 1962 (rist. anast. Slatkine, Genève 1978). Due importanti conferme della tesi che vede nella Rivoluzione il formarsi della netta volontà di sbarazzarsi della mediazione patri-arcale della magistratura parlamentare e di depurare la giurisdizione dalle sue velleità politiche, sono venute recen-temente nel corso del congresso tolosano cit. supra in nota 34, dalle comunicazioni di C. Menges-Le Pape e di J.-C. Gaven che saranno pubblicate negli atti. Le analisi di entrambi hanno mostrato come nel contesto rivoluzionario vi fosse una diffidenza profonda nei confronti dei magistrati; per la grande maggioranza dei costituenti il potere giudi-ziario era un potere da limitare e nei processi penali si preferì sostituire i giudici togati con dei «notables adjoints» cosa che preparò il terreno alla grande riforma della giuria popolare: sul punto cfr. gli studi, molto documentati, di R. MARTUCCI, La Costituente ed il problema penale in Francia (1789-1791). I. Alle origini del processo accusatorio: i decreti di Beaumetz, Giuffrè, Milano 1984; Id., L’ossessione costituente. Forma di governo e costituzione nella Rivoluzione francese (1789-1799), Il Mulino, Bologna 2001. Cfr. anche il mio recente DI DONATO, La costituzione fuori del suo tempo, cit. supra in nota 5, spec. pp. 902-20.

39 Su questo passaggio fondamentale dell’esperienza giuridica moderna, cfr. l’ampia ricerca di D. LUONGO, Consensus Gentium. Criteri di legittimazione dell’ordine giuridico moderno, 2 voll.; I. Oltre il consenso metafisico; II. Verso il fon-damento sociale del diritto, Arte Tipografica Editrice, Napoli 2007-2008.

314 Parte Prima – Teoria dello Stato e del Diritto-Storia

imperioso e severo, a mostrarci che il recupero dei giuristi nel corso del XIX secolo fu inesorabile40

Fu proprio in reazione al fatto che la funzione giurisdizionale si era qualificata, fin dalle sue origini medievali come una «semantica del potere politico» (secondo la nota espressione di Pietro Costa

. Tuttavia, il nuovo ordine messo in atto dalla Rivoluzione resta una pie-tra miliare posta nel percorso del diritto occidentale. Fu un segno forte che non può essere cancellato con un tratto di penna e che segna il traguardo di un secolare per-corso di civilizzazione statuale, iniziato parallelamente alla nascita della giurisdizione politica nell’esperienza medievale.

41 ; e a questo proposito va ricordato lo sforzo ricostrutti-vo di Jacques Krynen per descrivere la dura lotta che i giuristi dovettero intraprende-re, soprattutto con i teologi che li definivano degli «idioti politici», per essere a pieno titolo ammessi alla gestione legittima del potere42

È allora su questo punto cruciale che si giocano, le sfide e i destini del pensiero e dell’esperienza (giuridica e non soltanto giuridica) moderna. Il sogno, o, se si preferi-sce, l’utopia dell’uomo giuridico «rigenerato»

) che i sistemi giuridici moderni vol-tarono pagina puntando sul diritto «positivo», ossia su un ordinamento giuridico con-venzionale, fondato sulla volontà di decisione del potere politico disposto ad assume-re pubblicamente la difesa dell’interesse generale. Si aprì allora un nuovo quadro della vita giuridica imperniata sull’esistenza di norme chiare che i giudici erano solo tenuti ad applicare senza arrogarsi il potere illimitato di ricrearle attraverso la propria inter-pretazione.

43 era di arrivare a una presa diretta, ossia senza mediazione alcuna, tra la decisione politica sul diritto, inteso in funzione stru-mentale, e l’applicazione delle norme di cui il diritto si compone. La volontà politica doveva trasformarsi eo ipso in norma giuridica applicata, cioè vissuta e introiettata dal corpo sociale. Nel Medio Evo i giuristi (soprattutto gli italiani) intendevano identifica-re diritto e politica per sottomettere quest’ultima alla scienza giuridica: la politica do-veva essere «ancilla juris». Si voleva così utilizzare il sapere tecnico-giuridico «come po-litica del diritto»44

Il fondamento epistemologico di questo programma – che era nel contempo giu-ridico e politico e che divenne in breve una forma mentis e quindi un elemento psicolo-gico radicato nel giurista in quanto tale – era l’idea che l’esperienza doveva affidarsi alla scienza (del diritto) per realizzare «la propria edificazione»

.

45

40 Cfr. A.-J. ARNAUD, Da giureconsulti a tecnocrati, cit. supra in nota 9.

. Attraverso questo

41 Cfr. P. COSTA, Iurisdictio. Semantica del potere politico nella pubblicistica medievale (1100-1433), Giuffrè, Milano 1969.

42 Cfr. J. KRYNEN, Les légistes «idiots politiques». Sur l’ostilité des théologiens à l’égard des juristes en France, au temps de Charles V, in AA.VV., Théologie et droit dans la science politique de l’État moderne, «Actes de la table ronde» organizzata dall’École Française de Rome con la collaborazione del CNRS, Roma 12-14 nov. 1987, «Collection de l’École Françai-se de Rome» (147), Roma 1991, pp. 171-98.

43 Prendo in prestito l’espressione da M. OZOUF, L’homme régénéré. Essai sur la Révolution française, Gallimard, Pa-ris 1989.

44 Cfr. R. AJELLO, L’esperienza critica del diritto. Lineamenti storici. I. Le radici medievali dell’attualità, Jovene, Napoli 1999, pp. 323-6.

45 Secondo la formula, a mio avviso molto puntuale ed efficace, di P. GROSSI, L’ordine giuridico medievale, Later-za, Roma-Bari 1995, pp. 151-3.

F. Di Donato – Il governo diviso dei giudici 315 potente mezzo della Scientia Juris, intesa come interpretatio, la jurisdictio divenne il formi-dabile strumento della costruzione del primato sociale, politico e istituzionale dei giu-risti. Questa supremazia fu ‘codificata’ in una chiara e paradigmatica espressione del giurista bolognese Azzone, che è stata rilanciata in tempi recenti da Paolo Grossi: «Iu-ris professores per orbem terrarum [scientia juris] facit solemniter principari»46

Nell’identificazione tutta moderna tra politica e diritto, tra ordinamento giuridico e legge dello Stato, vi è al contrario la rivincita del politico fondata sulla netta volontà di annientare la mediazione patriarcale della magistratura. C’è qui il tentativo utopistico di costruire un altro modo dell’essere giurista, realizzando così una mutazione antro-pologica della forma mentis degli operatori del diritto. E c’è anche, in questa gigantesca operazione, culturale prim’ancora che politica, la volontà di realizzare la certezza del diritto attraverso una via alternativa alla metafisica della Scientia Juris e dell’onestà pre-supposta del magistrato.

.

All’epoca dei Lumi radicali (penso soprattutto ai due bei libri di Margaret Candee Jacob47 e di Jonathan Israel48

) e segnatamente durante il periodo rivoluzionario, sem-brò che questo nuovo assetto potesse radicarsi e durare. Invece, fu proprio in quelle vicissitudini cruciali per l’identità giuridica occidentale che i magistrati riuscirono a dimostrare che della mediazione patriarcale insita nel potere giurisdizionale si può ben dire ciò che Martin Heidegger diceva della metafisica: non ci si può sbarazzare di essa con la stessa facilità con cui si beve un bicchier d’acqua!

4. Lo Stato assoluto: creazione dello spirito femminile dei giuristi o segno virile della rivincita del Po-litico-Sovrano?

L’osservazione della persistenza del potere giurisdizionale, inteso come potere po-litico occulto, nel percorso dell’Occidente medievale, moderno e contemporaneo ci spinge a concepire l’immagine della magistratura come di una femme fatale (e non a ca-so è proprio questo il Leit-motiv dell’iconografia della giustizia, di regola rappresentata proprio nelle sembianze di una donna, talvolta con gli occhi bendati o chiusi ovvero con lo sguardo rivolto in direzione opposta ai libri legali49

L’illustrazione più fedele di questo topos è nei numerosi quadri che nell’epoca mo-derna raffigurano la storia di Giuditta e Oloferne (quelli di Caravaggio e di Artemisia

). Osservando dall’interno la forma mentis dei giuristi-magistrati, le strategie dell’azione individuale e corporativa messe in atto e gli effetti socio-istituzionali che essa determina si è tentati di accostare la loro identità alla struttura della psicologia femminile, secondo l’immagine che ci è stata trasmessa dalla tradizione derivata dai racconti biblici.

46 « [La scienza del diritto] attribuisce solennemente al giurista la supremazia sul mondo»: GROSSI, L’ordine giu-

ridico medievale, cit., p. 153 (la citazione è tratta dalla Summa Institutionum, Papiae 1506). 47 M. C. JACOB, The Radical enlightenment: pantheists, freemasons and republicans, G. Allen and Unwin, London-

Boston-Sydney 1981, trad. it. L’Illuminismo radicale: panteisti, massoni e repubblicani, Il Mulino, Bologna 1983. 48 J. I. ISRAEL, Radical Enlightenment. Philosophy and the Making of Modernity 1650-1750, Oxford University Press,

Oxford 2001 (ho consultato l’ediz. francese a cura di P. Hugues, C. Nordmann e J. Rosanvallon: Les Lumières radica-les. La philosophie, Spinoza et la naissance de la modernité 1650-1750, Édition Amsterdam, Paris 2005.

49 Cfr. sulla prima immagine A. PROSPERI, Giustizia bendata. Percorsi storici di un’immagine, Einaudi, Torino 2008; sulla seconda, l’affresco di Paul Gervais, La Loi, la Justice, la Vérité, situato nella Salle des Illustres della Mairie di Tolosa.

316 Parte Prima – Teoria dello Stato e del Diritto-Storia

Gentileschi sono senza dubbio i più splendidi esemplari) oppure quella di Sansone e Dalila. L’idea di fondo che questi dipinti traggono dalla narrazione della Bibbia è che il vero potere, il potere ultimo risiede nella mente delle donne, che suppliscono alla minore forza fisica con un livello di astuzia decisamente più elevato degli uomini. In questa visione tradizionale, il raggiro e l’inganno sono le armi segrete nelle mani di donne ciniche e senza scrupoli, ma capaci di figurare come creature delicate e suaden-ti. La seduzione e la capacità di stimolare il desiderio maschile sono gl’ingredienti del successo garantito di queste sirene atte a promettere piacere per attirare poi nel tranel-lo mortale il malcapitato maschio, tanto forte quanto stupido. Questo stereotipo sarà poi perpetuato nell’antropologia cristiana attraverso la misoginia dei padri della Chiesa – a cominciare da Sant’Agostino – che spesso identificano l’attrattiva femminile con l’«astuzia del diavolo» per indurre l’uomo, anche il più santo, al peccato50

Fin da Eva, la donna è sempre quella che mette in opera la macchinazione pecca-minosa per circonvenire un uomo potente e flettere il suo potere ai suoi desideri per raggiungere gli obiettivi che segretamente coltiva (esemplare l’episodio neotestamen-tario della decapitazione di Giovanni Battista). Per quanta attenzione si voglia prestare alle sue manipolazioni e per quanto s’impari a diffidare di lei, essa riesce in ogni caso, in un modo o nell’altro, a ottenere il risultato che vuole, perché possiede gli strumenti del potere occulto. Restando dietro le quinte orienta l’azione dei protagonisti del gio-co politico e relazionale. La donna ha sviluppato a tal proposito un considerevole grado di elasticità che la mette sempre in condizione di mutare in qualsiasi momento l’azione intrapresa o il suo significato, adattandoli a una realtà in perenne e incessante evoluzione. Questo elevato grado di flessibilità serve anche a evitare o attenuare ogni responsabilità nell’azione, conservandosi quindi l’attrice sempre in una sorta di per-manente stato verginale.

.

Se questa è l’analisi della psicologia femminile, si è tentati per converso di pensare che uno dei fondamenti della monarchia assoluta sia allora il tentativo di costruire un potere politico ‘forte’ che abbia i connotati della mascolinità, a cominciare dalla linea-re visibilità dell’azione dispiegata. Questa dimensione, all’evidenza fallocratica, ha il compito primario di controbilanciare lo straripamento del potere giurisdizionale da parte di una magistratura che ha assunto per eccellenza le sembianze del potere fem-minile, per definizione la quintessenza del potere occulto. La «metafora del matrimo-nio tra il re e la Repubblica»51 e la persistenza della «legge salica»52, pilastro costituzio-nale della monarchia assoluta che sbarrava l’accesso al trono alle donne53

50 Sul rapporto tra il diavolo e il sesso femminile, già «cattivo per sua natura» (secondo la celebre definizione

del padre domenicano Jakob Sprenger autore insieme a Heinrich Institor Kramer del celeberrimo trattato Malleus Maleficarum pubblicato nel 1487), nella storia – tra altre religioni – del cristianesimo, cfr. A. M. DI NOLA, Il diavolo, Newton Compton, Milano 1987, ad indicem, e spec. pp. 238 e 250.

, possono essere meglio compresi alla luce di questa prospettiva psico-antropologica. L’osser-

51 Cfr. R. DESCIMON, Les fonctions de la métaphore du mariage politique du Roi et de la République. France, XVe-XVIIIe siècles, «Annales E.S.C.», n. 6, nov.-dic. 1992, pp. 1127-1147.

52 Cfr. D. RICHET, La France moderne: l’esprit des institutions, Flammarion, Paris 1973, trad. it. a mia cura, Lo spirito delle istituzioni. Esperienze costituzionali nella Francia moderna, Laterza, Roma-Bari 1998 (3a ediz. inalterata 2002), pp. 47-9.

53 Cfr. É. VIENNOT, La France, les femmes et le pouvoir. 1. L'invention de la loi salique. Ve-XVIe siècle, Perrin, Paris 2006; R. E. GIESEY, Le rôle méconnu de la loi salique. La succession royale, XIVe-XVIe siècles, Les Belles Lettres, Paris 2007.

F. Di Donato – Il governo diviso dei giudici 317 vazione delle immagini del Leviatano e della sua sorprendente somiglianza con Hob-bes stesso ci restituisce una parte piuttosto oscura e mal conosciuta di questa realtà che invece è di fondamentale importanza. Il Leviatano è rappresentato come un uo-mo bello e possente, un vero maschio nel pieno della sua invincibile forza virile54

Si può a questo punto rilevare un’aporia logica nel ragionamento fin qui proposto. È noto che il contributo dei giuristi e del pensiero giuridico alla formazione dello Sta-to moderno è stato decisivo

.

55 e ciò si comprende bene – come si è visto a proposito della netta preferenza di Montesquieu per le monarchie sulle repubbliche – quando si pensa alla necessità di elidere la responsabilità degli officiers: se tutto il sistema si regge-va sulla figura del re e se il re era responsabile solo davanti a Dio con la propria co-scienza individuale è evidente che non si poteva attribuire a nessun funzionario pub-blico alcuna responsabilità per il suo operato nell’esercizio delle sue funzioni. Il corpo dei funzionari era dunque al riparo da qualsiasi azione di responsabilità. Ciò ci riman-da però alla contraddizione di cui sopra: a meno di non voler credere alla gigantesca ingenuità di compiere un’azione così distruttiva del proprio potere, la cui costruzione aveva richiesto secoli di defatigante e paziente tessitura, che interesse avevano i sacer-dotes juris a concepire un congegno maschile come il Leviatano moderno che spezzava con la sua forza debordante ogni trama sotterranea del potere occulto? Si può conce-pire senza spiegazione un’azione così autodistruttiva da parte dei giuristi? E viceversa, se lo Stato assoluto è il «capolavoro dell’ideologia giuridica»56

La risposta a questa importante questione è naturalmente complessa e va costruita su più livelli logico-fattuali. Si può certamente far ricorso alla teoria degli effetti per-versi ossia alle conseguenze non intenzionali delle azioni politiche. C’imbattiamo qui, come in molti altri casi nella storia dei fenomeni sociali, in una sorta di Serendipity che altera e snatura il tragitto compiuto da un’azione per realizzare un determinato obiet-tivo

, come spiegare allora la sua natura di bastione virile destinato a liquidare con la sua travolgente forza lineare tutti i tortuosi e sotterranei sentieri dell’abilità femminile incarnata dalla magistratura?

57

Vi è però anche un altro aspetto che va considerato. Esso attiene all’essenza stessa dello spirito femminile, il cui potere occulto si (di)spiega unicamente in rapporto alla forza palese del potere maschile che la femmina intende dominare raggirandolo per via seduttiva per piegarlo ai suoi voleri. Dal punto di vista femminile l’esercizio del

.

54 Cfr. H. BREDEKAMP, Stratégies visuelles de Thomas Hobbes. Le Léviathan, archétype de l’État moderne. Illustrations des

œuvres et portraits, Éditions de la Maison de Sciences de l’Hommes, Paris 2003. 55 Cfr. A. PADOA SCHIOPPA, Il ruolo del diritto nella genesi dello Stato moderno: modelli, strumenti, princìpi, in AA.VV.,

Studi di Storia del Diritto, Pubblicazioni dell’istituto di Storia del Diritto Italiano dell’Università degli Studi di Milano, Facoltà di Giurisprudenza, vol. II, Giuffrè, Milano 1999, pp. 25-77, ora in Id., Italia ed Europa nella storia del diritto, Il Mulino, Bologna 2003, pp. 315-63. Cfr. inoltre il vol. collettaneo, curato dallo stesso A., Justice et législation. Les origi-nes de l’État moderne en Europe, XIIIe-XVIIIe siècle, PUF, Paris 2000. Nello stesso senso, cfr. il mio DI DONATO, La rinascita dello Stato, cit. supra in nota 4, cap. II, pp. 103-51.

56 Per un approfondimento di questa idea, cfr. DI DONATO, La rinascita dello Stato, cit. supra in nota 4, p. 105 ss. 57 Il fenomeno è ben noto nelle scienze sociali: cfr. R. K. MERTON et E. BARBER, The Travels and Adventures of

Serendipity. A Study in Sociological Semantics and the Sociology of Science, Princeton University Press, Princeton 2004, trad. it. a cura di M. L. BASSI, Viaggi e avventure della Serendipity. Saggio di semantica sociologica e sociologia della scienza, Il Mulino, Bologna 2002.

318 Parte Prima – Teoria dello Stato e del Diritto-Storia

potere occulto è un segno d’interesse per un maschio potente e di conseguenza si può dire che la necessità di utilizzare un potere occulto aumenta o si affievolisce propor-zionalmente all’aumento o alla caduta dell’interesse per l’oggetto del desiderio. La mediazione patriarcale della magistratura si è sviluppata in Francia nel quadro di una civilizzazione statuale che è stata di molto debitrice alla monarchia assoluta. Fin dal Medio Evo i giuristi francesi iniziarono un percorso che li portò a integrarsi progres-sivamente alle strutture statuali. Si produsse così una vera e propria metamorfosi psi-co-antropologica nella forma mentis dei giuristi transalpini. La comprensione di questo percorso, attraverso il passaggio decisivo della creazione del mos gallicus nel XVI seco-lo, è fondamentale per tracciare i confini del nostro problema. E in effetti la magistra-tura francese, pur provenendo dalla medesima struttura mentale, culturale e psicologi-ca dei giureconsulti italiani inaugurò e sviluppò le fasi di una nuova stagione del diritto europeo. Quella nuova forma mentis non fece mai ostacolo allo spirito delle istituzioni, ma al contrario favorì la civilizzazione statuale e lo spirito pubblico. Il giurista si sentì partecipe della costruzione della Nazione. Ciò, tuttavia, non impedì il formarsi della dialettica con la corona e il confronto, che a tratti fu anche accanito, con l’entourage ministeriale e i poteri governamentali. Ma tutto restò sempre nel quadro ormai conso-lidato della royauté (Michel de l’Hôpital e Cardin Le Bret furono i campioni di questa identità, spianando la strada a figure come il cancelliere d’Aguesseau o Lamoignon de Malesherbes).

Ecco perché, a dispetto di ogni apparenza – come comprese genialmente Madame d’Épinay (e verrebbe da dire: solo da una donna poteva venire un’osservazione tanto profonda e acuta!) nel 177158 – la dialettica politico-istituzionale tra magistratura e co-rona era essenziale alla monarchia assoluta. Il leader della robe parlementaire, l’avvocato Louis-Adrien Le Paige, con altrettanta cinica chiarezza affermò che magistratura e monarchia, nate insieme insieme sarebbero perite59

58 In una lettera inviata all’abate Ferdinando Galiani l’11 aprile 1771, M.me d’Épinay affermò: «È certo che

questa discussione sull’autorità, o piuttosto sul potere, tra il re e il Parlamento esiste fin dalla nascita della monar-chia francese. Questa indecisione fa, per l’appunto, parte integrante della costituzione monarchica; poiché se si de-cidesse la questione in favore del re, tutte le conseguenze che ne deriverebbero lo renderebbero un sovrano assolu-tamente dispotico. Se, invece, si decidesse in favore del Parlamento, il re di Francia non avrebbe, a conti fatti, più potere del re d’Inghilterra; e così, in un modo o nell’altro, decidendo la questione una volta per tutte, si muterebbe la costituzione dello Stato»: cfr. É. CARCASSONNE, Montesquieu, cit. supra in nota 24, pp. 456-7. Per l’importanza di questa acutissima osservazione e il suo inquadramento nel contesto della cultura politica del Settecento francese ed europeo, rinvio ai miei: F. DI DONATO, L’ideologia dei robins, cit. supra in nota 7, p. 52; Id., La rinascita dello Stato, cit. supra in nota 4, pp. 145-146, 228 e 486.

. Profezia indovinata che si realiz-zò solo pochi anni più tardi, durante la prima fase della Rivoluzione.

59 «È impossibile – scrisse l’avocat – citare un’epoca in cui il regno sia esistito senza magistrati»: Bibliothèque de la Société de Port-Royal, Paris, fondo Le Paige, ms. LP 569=211. «Sappiamo bene che il Parlamento attiene alla costituzione dello Stato; che è un corpo che non muore affatto e che non può morire, perché non lo si può sop-primere apertamente senza mutare la forma del governo; chiunque siano i suoi membri, esso avrà sempre gli stessi diritti e gli stessi doveri da adempiere fintanto che sussisterà»: BPR, LP 539=33, f. 7. Molte altre le prove testuali di questa posizione dell’avocat, fatte proprie dal milieu parlementaire, nel suo archivio privato: BPR, LP 580-ter=204: «Il Parlamento […] è il ministro essenziale [delle leggi]. Lo è per la natura stessa della monarchia che constituisce la sua essenza. Un’economia tanto antica quanto la monarchia»; BPR, LP 539=93 e 94: la stabilità del Parlamento e la funzione di custode delle leggi era dunque fondata per Le Paige su «queste tradizioni tanto antiche quanto lo Stato stesso». Si può dire che tutta l’immensa opera di Le Paige (gli imprimés oltre che le migliaia di pagine manoscritte conservate nei suoi archivi privati) fu diretta a dimostrare questo principio di simultaneità e di conseguenza a profe-

F. Di Donato – Il governo diviso dei giudici 319

Si spiega così il paradosso per il quale la femmina-magistratura si tenne sempre strettamente legata in Francia (ma si può dire in tutte le monarchie assolute, special-mente in quelle, come nel regno di Napoli, che erano modellate sul sistema francese) al maschio-Stato che essa tentò dopo aver contribuito a crearlo, di dominare attraver-so gli strumenti occulti tipici della femminea giurisdizione politica.

5. La perpetuazione metamorfica della giurisdizione politica nel quadro del diritto positivo.

5.1 Lo sfaldamento del legicentrismo, la reinsorgenza della mediazione patriarcale. Proprio a causa di questa necessità di fondo di erigere (il verbo to erect è precisa-

mente quello usato da Hobbes nel Leviatano60) un contrafforte per impedire o limitare l’interpretazione libera da parte dei giudici la celebre espressione «il giudice è la bocca della legge» aveva mutato il suo senso originario durante il periodo illuministico rivo-luzionario: dall’idea che la legge esiste solo nel momento in cui un giudice ne rivela il senso attraverso la sua scienza, si passò allora all’idea (sardonica in rapporto alla pre-cedente) che il giudice è solo colui che dichiara un senso che già esiste nel testo legi-slativo, un senso che è totalmente inerente alla volontà politica retrostante quel testo e obiettivata in esso61

Nel contesto e nel linguaggio dei robins dell’Ancien Régime definire il magistrato con la metafora «bocca della legge» significava piuttosto considerarlo come «bocca di Di-o», poiché la legge era considerata espressione della Voluntas suprema identificata con il Verbum divino

.

62

tizzare la «rivoluzione» (proprio questo è il termine testuale adoperato a più riprese dall’avocat: BPR, LP 534 = 33) nel caso in cui la monarchia avesse deciso con un atto d’imperio, che si sarebbe rivelato suicida, di sopprimere il Parlamento, supremo garante della legalità. L’esistenza della magistratura nella monarchia assoluta era dunque fon-data su «un principio che, sposato con la nostra storia, fa sentire questa verità e prova al tempo stesso quanto il Parlamento sia necessario al Sovrano. Questo principio consiste in questo dogma storico: che il Parlamento è con-testualmente [alla fondazione del regno] diventato la Corte del re. Da qui nasce questa difficoltà di sopprimere il Parlamento senza eccitare in tutto il regno uno sconvolgimento generale […e] senza mutare tutta la costituzione dello Stato, ciò che è del tutto impossibile quando si vuole applicarla sul campo e quando non si voglia che una molteplicità di cause secondarie accumulate per molti secoli contribuiscano a scatenare questa sorta di Rivoluzioni»: BPR, LP 42, cc. 568-569 (11); «A quali conseguenze non ci esporrà [la soppressione della magistratura parlamenta-re]? […Queste novità] provocheranno altrettante crisi o rivoluzioni, poiché non ci sarà più il freno costituito dalle leggi né [vi saranno] tribunali che le facciano rispettare e che resistano sacrificandosi per esse»: BPR, LP 530=9. Su questo Leit-motiv della necessità della magistratura per garantire l’esistenza della monarchia assoluta, cfr. L.-A. LE PAIGE, Lettres historiques sur les fonctions essentielles du Parlement; sur le droit des Pairs, et sur les loix fondamentales du Royaume, 2 voll., aux dépens de la Compagnie, Amsterdam [ma Paris] rispettivam. I, 1753; II, 1754 (= BNF, LD-4. 2563; BPR, LP 534=29 e LP 2133-2135); Id., Principes sur le gouvernement monarchique, chez Jean Nourse, Londres mais Paris 1755. Cfr. i miei L’ideologia dei robins, cit. supra in nota 7, pp. 333-4, 343, 347-50 e 456-63; La rinascita dello Stato, cit. supra in nota 4, p. 114.

. Era proprio questo il compito affidato al giudice, considerato il solo interprete autorizzato a ricavare il senso insito nella legge attraverso lo strumento esoterico della Scientia Juris. Perciò il magistrato non portava la responsabilità della sua

60 Cfr. L. JAUME, Hobbes et l’État représentatif moderne, Puf, Paris 1986, p. 79. 61 Cfr. supra nota 5. Si veda al riguardo P. ALVAZZI DEL FRATE, L’interpretazione autentica nel XVIII secolo. Divieto

di interpretatio e ‘‘riferimento al legislatore’’ nell’illuminismo giuridico, Giappichelli, Torino 2000, spec. pp. 15-21 e 91-98. Sempre molto stimolanti le considerazioni di B. Cardozo (1870-1938), del quale si vedano in trad. it. i saggi tratti da Selected writings of Benjamin Nathan Cardozo, Fallon Law Book Company, New York 1947, usciti sotto il titolo Il giudice e il diritto, La Nuova Italia, Firenze 1961, spec. pp. 46-85: 59-60 e 115-26.

62 Rinvio sul punto al mio: F. DI DONATO, L’ideologia dei robins, cit. supra in nota 7, pp. 93-105 (cap. I, § 9: « I magistrati “bouches de Dieu”»).

320 Parte Prima – Teoria dello Stato e del Diritto-Storia

azione. Era Dio stesso a parlare per il tramite dei sacerdotes juris. Per il giurista dell’Ancien Régime la magistratura è un «sacerdozio civile» e «l’amministrazione della giustizia è uno di quei prodigi di politica, che rappresentano ai nostri occhi come me-glio non si potrebbe la divinità»63

Il diritto moderno smantella questa sacralizzazione del giuridico, che era funziona-le alla mediazione patriarcale. Non è un caso perciò che al processo di desacralizza-zione della monarchia legittimata per diritto divino

.

64 corrisponda il processo di seco-larizzazione giuridica, che porta a compimento il passaggio «dal diritto di Dio al dirit-to dell’uomo»65

Occorre tuttavia sottolineare l’incontestabile fatto che l’‘invenzione’ del diritto po-sitivo culminata nella codificazione, prima del diritto pubblico (con le costituzioni ri-voluzionarie) e poi del diritto privato (con il code Napoléon), anche nei contesti naziona-li – come la Francia – dove produsse i risultati migliori

.

66

A questo proposito l’Italia contemporanea offre un quadro ancor più chiaro degli altri paesi, dove la funzione giudiziaria è stata meglio gestita e incanalata nell’alveo del-la civilizzazione statuale, mentre nello sfilacciamento sociopolitico della penisola, do-ve lo spirito pubblico è surclassato dalla parcellizzazione microfeudale, la magistratura ha colmato con grande facilità e naturalezza enormi vuoti di potere estendendo a di-smisura la forza politica della giurisdizione. Quest’azione è stata molto favorita anche dal profondo substrato culturale che le generazioni di giuristi peninsulari continuano a ereditare senza soluzione di continuità dai loro patriarchi medievali, che non a caso sono acriticamente esaltati, anzi santificati e ipostatizzati (assieme al sistema giuridico del “diritto comune”), nella maggior parte degl’inse-gnamenti di storia del diritto nelle facoltà giuridiche italiane.

, non riuscì a eliminare del tutto (ma solo ad attenuare) la duplice natura della giurisdizione: per i giuristi-magistrati «dire il diritto» continuò a significare tanto decidere su una causa particolare quanto esercitare un’influenza sull’azione politica.

Microfeudalità sociopolitica e ideologia giuridica continuano a essere – da molti secoli – gl’ingredienti principali dell’antropologia asociale italiana e del formalismo fa-risaico per il quale il diritto peninsulare è uno strumento a protezione dei forti e con-tro i deboli – ma quasi tutti i normali cittadini del Paese appartengono a questa sven-turata condizione per superare la quale sono diventati maestri nell’arte di arrangiarsi, di eludere e di frodare – che restano giuridicamente indifesi67. Tutto ciò si riflette nel rapporto ancora irrisolto tra la sfera del diritto e quella del sacro68

63 L.-A. LE PAIGE Lettre apologétique, critique et politique sur l’Affaire du Parlement, s. l. [Paris] 1754 (BPR= Biblio-

thèque de la Société de Port-Royal, Lett. 329), p. 99 (trad.it del brano mio)

.

64 Cfr. J. W. MERRICK, The Desacralization of the Monarchy in the Eighteenth Century, Louisiana State University Press, Baton Rouge and London 1990.

65 Cfr. M.-F. RENOUX-ZAGAMÉ, Du droit de Dieu au droit de l’Homme, PUF (collana «Leviathan»), Paris 2003. 66 Cfr. M. TROPER e L. Jaume (a cura di), 1789 et l’invention de la constitution, «Actes du Colloque de Paris organi-

sé par l’Association Française de Science Politique», 2-4 mar. 1989, LGDJ-Bruylant, Paris 1994. 67 Sui difetti atavici e irrisolti dell’antropologia italiana, cfr. F. FERRAROTTI, L’Italia in bilico. Elettronica e borboni-

ca, Laterza, Roma-Bari 1990; C.-T. Altan, Italia: una nazione senza religione civile. Le ragioni di una democrazia incompiuta, prefaz. di R. Cartocci Istituto editoriale veneto friulano, Udine 1995; Id., La nostra Italia: arretratezza socioculturale, clientelismo, trasformismo e ribellismo dall'unità ad oggi, Feltrinelli, Milano 1986 (riediz. a cura e con prefaz. di R. Cartocci,

F. Di Donato – Il governo diviso dei giudici 321

Come ha scritto in una condivisibile sintesi Jacques Krynen l’«aumento della po-tenza, dell’autorità e della responsabilità» della magistratura nel mondo intero fa sì che la giustizia, nolens volens, sia caricata «di una funzione di natura politica, poiché su di essa si fonda, in ultima analisi, la difesa dello Stato di diritto e, oggi più che mai, la conservazione dei valori»69. La crisi del legicentrismo che «oggi crolla da tutte le parti» aggrava le cose e «il giudice si fa legislatore»70, poiché è e si sente «in prima linea per far fronte alle sfide che i mutamenti sociali, sempre più rapidi, pongono»71. Ecco la ragione per cui oggi come ieri «i giudici si vedono [ancora] volentieri come dicitori del diritto, e in tutti gli ordini giurisdizionali pretendono di giocare un ruolo sempre più attivo e autonomo nella produzione delle norme» con un’aperta «aspirazione a una nuova legittimità funzionale in nome della difesa dell’interesse generale»72

Tutto ciò, bisogna ammetterlo con sobria lucidità, apre «un’epoca in cui il diritto non s’identifica più con la legge», e di conseguenza non bisogna sorprendersi se il po-tere giurisdizionale, a ogni suo livello, acquisisce di nuovo, come accadeva nell’ordo juris dell’Ancien Régime, «delle qualità mediante le quali può rivaleggiare con la legge»

.

73. Nell’epoca della soft-law, dei diritti sussidiari, delle norme-principio, che mai ci si può attendere se non un ampliamento spettacolare della funzione giurisdizionale? Ora, questa ben nota e meravigliosa condizione comporta di per sé «il rischio di una cleri-calizzazione della giustizia»74. Più che un rischio, anzi, è una certezza, poiché è un film già visto e non «una chimera dello storico»75. C’è ancora bisogno di ricordare che o-vunque ci siano dei cherici ci si deve attendere presto o tardi il loro tradimento76

EGEA, Milano 2000); U. CERRONI, L’identità civile degli italiani, Manni, Lecce 1996 (2a ed. ampliata 1997); E. GALLI DELLA LOGGIA, L’identità italiana, Il Mulino, Bologna 1998; S. PATRIARCA, Italianità. La costruzione del carattere nazio-nale, Laterza, Roma-Bari 2010 (titolo che traduce inspiegabilmente distorto in italiano il vol. originale in inglese il cui titolo esatto è: Italian Vices. Nation and Character from the Risorgimento to the Republic, Cambridge University Press, Cambridge-New York 2010); P. A. ROVATTI, Noi i barbari. La sottocultura dominante, Cortina, Milano 2011. Sul terri-bile rapporto peninsulare tra cittadini e servizi giudiziari, resta intramontata la riflessione di F. LEONARDI, Il cittadi-no e la giustizia, Marsilio, Padova 1968.

?

68 Cfr. J.-L. THIREAU (a cura di), Le droit entre laïcisation et néo-sacralisation, PUF, Paris 1997; P. CHIAPPINI, Le droit et le sacré, Dalloz, Paris 2006.

69 J. KRYNEN, Position du problème et actualité de la question, in J. KRYNEN e J. RAIBAUT (a cura di), La légitimité des juges, «Actes du colloque des 29-30 octobre 2003 – Université de Toulouse I», Presses de l’Université des Sciences Sociales de Toulouse, Toulouse s. d. [2004], pp. 19-24: 22.

70 J. POUMARÈDE, Faut-il élire les juges?, in KRYNEN e Raibaut (a cura di), La légitimité des juges, cit. nella nota pre-ced., pp. 213-224: 223.

71 Ivi, p. 224. 72 Ivi, p. 223. 73 J. KRYNEN, Position du problème, cit. supra in nota 69, p. 22. 74 Ibid. 75 Ibid. 76 Occorre anche considerare che la fiducia nella «buona fede» dei giudici (o almeno della grande maggioranza

di essi) può giustificarsi in un contesto, come quello francese, caratterizzato da una struttura statuale solida sostenu-ta da una forte tradizione di fiducia sociale: cfr. A. PEYREFITTE, La société de confiance. Essai sur les origines du dévelop-pement, Odile Jacob, Paris1995; D. GAMBETTA (a cura di), Trust. Making and Breaking Cooperative Relations, Basil Bla-ckwell, Oxford 1988; L. RONIGER, La fiducia nelle società moderne. Un approccio comparativo, Rubbettino, Soveria Man-nelli 1992 (trad. it. di un testo inglese inedito intitolato: Towards a Comparative Sociology of Trust in Modern Societies). Assai più problematico sarebbe trasporre sic et simpliciter questa disposizione psico-sociale in un contesto (come quello italiano ad esempio) nel quale manca quasi completamente il sostrato culturale della socialitas. Nell’«asociale cordialità» italiana (la formula è di R. AJELLO, L’asociale cordialità. Contributo alla storia delle mentalità in Italia, in «Fron-tiera d’Europa», anno XIII, n. 1, 2007, pp. 5-72) la struttura antropologica e la mentalità giuridica e politico-

322 Parte Prima – Teoria dello Stato e del Diritto-Storia

Non è inutile al punto in cui siamo giunti rilanciare i celebri versi (VI, 247) delle Satires di Giovenale nei quali è contenuto uno dei più acuti e profondi paradossi dell’intera storia del diritto: «Quis custodiet ipsos custodes?»77

È dunque conveniente mettere il destino dell’intera società nelle mani di un grup-po ristretto di super-tecnocrati del diritto (o dell’economia, il che non migliora affatto il risultato finale poiché la logica monodisciplinare ed egemonica di fondo non cam-bia) e affidar loro una delega in bianco in virtù di «un ruolo essenziale […] nella pro-duzione di un [nuovo] ius commune per il XXI secolo»?

.

78 Non ci mostra l’esperienza storica occidentale che è meglio accettare «l’armonia delle dissonanze» sociali e gover-nare l’evoluzione socio-culturale attraverso un’azione di governo razionale (sotto il profilo organizzativo) e saggia (sotto il profilo dell’equità politica), ma unitaria nella condivisione dei valori comuni che una vera sovranità si fa carico d’incarnare e di rappresentare79

istituzionale sono fondate su tutt’altri presupposti che il senso della collettività e di conseguenza non vi è posto a nessun livello – né inter-individuale, né sociale, né politico-istituzionale – per fondamenti della statualità come la fiducia. Ora, il problema più attuale che s’impone all’attenzione delle società europee parte proprio da qui: se anche il contesto statuale più granitico, quale è certamente quello francese, inizia a sfaldarsi (e qui la profezia di E.M. Cio-ran, snobbata illo tempore come il volo pindarico di un visionario, inizia a rivelarsi purtroppo esatta), è evidente che si produce una rapida débâcle dei meccanismi della fiducia collettiva e che il crollo di questo fondamentale valore sociale comporterà quasi automaticamente una supplenza politica immediata da parte della giurisdizione. Chi se non i giudici potrà essere chiamato a colmare il vuoto lasciato dal dissolvimento o quanto meno dal ridimensiona-mento del potere politico? La sovranità muta ancora di segno: si torna alla fusione medievale tra gubernaculum e juri-sdictio. La storia, si dice parafrasando Marx, non si ripete due volte nello stesso modo; ma il rischio che la mediazio-ne patriarcale dei «pontefici» del diritto (la bella formula è di Arnaud, Da giureconsulti a tecnocrati, cit. supra in nota 9, p. 81) possa risorgere nelle condizioni che ci si parano innanzi (e che importa se lo facesse sotto la forma di nuovi spettri?) è concreto, a me pare, e sarebbe una grave, imperdonabile cecità nasconderselo.

? Senza contare che la mentalità – o se si preferisce l’ideologia – giuri-dica tradizionale (quella che considera il sapere giuridico come l’unico in grado di go-vernare assennatamente la società) non ha dato in passato una buona prova di gestio-

77 Cfr. TROPER, Le bon usage des spectres, cit. supra in nota 14, p. 239. Sul punto si veda anche il bel volume collet-taneo Juger les juges. Du Moyen Âge au Conseil Supérieur de la magistrature, AFHJ, La Documentation française (collection « Histoire de la Justice »), Paris 2000.

78 POUMARÈDE, Faut-il élire les juges?, cit. supra in nota 70, p. 224. Carlo Amirante ha insistito molto negli ultimi anni, in diversi saggi e monografie, sulla critica al sapere economico come sapere assoluto la cui gnoseologia è di-ventata il punto di riferimento acritico di una sorta di nuova fede: cfr. C. AMIRANTE, Dalla forma Stato alla forma mercato, Giappichelli, Torino 2008; Id., Diritto ed economia alla prova della globalizzazione: variazioni sul tema ragione e ragio-nevolezza, saggio inedito consultato per gentile concessione dell’A. Questa posizione scientifica è molto stimolante nella pars destruens, ma dal mio punto di vista la critica dell’economia politica come scienza egemonica non può im-plicare un ritorno sic et simpliciter all’egemonia del formalismo giuridico e della mediazione patriarcale dei giuristi in ogni sua forma, anche quella più apparentemente soft e naïve magari reintrodotta attraverso il criterio della ragionevo-lezza, che è troppo fluido per fondare una credibile garanzia di non-arbitrio da parte del giurista-interprete-magistrato. La demolizione degli assoluti e dei saperi che M. Foucault chiamava «assoggettanti» (cfr. M. Foucault, “Il faut défendre la société”, Seuil-Gallimard, Paris 1997, trad. it. a cura di M. BERTANI e A. FONTANA, “Bisogna difendere la società”, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 11 ss. e 147 ss.) deve implicare l’apertura interdisciplinare e non la sostitu-zione di una fede gnoseologica all’altra. Va pur sottolineato che il mondo del diritto e della scienza giuridica è stato finora il più refrattario al problematicismo critico e all’anarchismo epistemologico (cfr. AJELLO, Epistemologia moder-na, cit. supra in nota 19). E ciò a dispetto dell’apparente alluvionale confronto continuo che i giuristi continuano a produrre soprattutto in merito alla nuova giurisprudenza. L’effetto di questo silenzio-rifiuto è visibile nell’alterigia e nel culto della personalità che continua a caratterizzare una gran parte dei giuristi italiani (soprattutto quando sono insigniti dei gradi universitari). Carlo Amirante costituisce una lodevole eccezione a questo borioso contegno che pone i professori e non i problemi della ricerca e gli oggetti dell’interesse scientifico al centro dell’attenzione.

79 Cfr. S. MAFFETTONE, Valori comuni, Il Saggiatore, Milano 1989.

F. Di Donato – Il governo diviso dei giudici 323 ne efficace di un’organizzazione strutturale complessa come lo Stato moderno e con-temporaneo80

E se ne comprende anche il perché: il potere del giurista-interprete si nutre dello sbriciolamento normativo e della dispersione delle fonti di produzione e di legittima-zione del diritto. Più queste fonti sono numerose e più aumenta la necessità di un loro coordinamento mediante l’attività interpretativa del giurista. Il pluralismo normativo, lungi dall’essere un vantaggio per la certezza giuridica e per l’efficienza e l’efficacia dell’organizzazione funzionale di un sistema sociale, favorisce la polverizzazione dei livelli generativi della legislazione e aumenta a dismisura la discrezionalità cioè l’arbitrio dei giudici. Questa tendenza alla dispersione è catastrofica in quei contesti, come l’Italia microfeudale, nei quali gran parte dei problemi della vita giuridica sono generati proprio da questi fenomeni di cumulazione e d’ibridazione. Una situazione del genere ingenera conflitti a ripetizione e senza fine a ogni livello dell’agire sociale. Questa elevatissima conflittualità sociale, insinuata nell’essenza più profonda dell’i-dentità italiana, alimenta a sua volta, come una sorta di motore permanente, la giuri-sdizione gonfiandola a dismisura e finendo con il riferire a essa speranze salvifiche che sarebbero impensabili in un contesto europeo normale. Crescono così senza limi-ti i poteri degl’interpreti autorizzati. Ci troviamo di fronte al più classico dei circoli vi-ziosi…

.

81

Tanto nel diritto di Antico Regime quanto nel nuovo contesto giuspositivistico – e per certi versi persino grazie a esso – i giuristi-magistrati-interpreti trovano i buoni e sottili argomenti per giustificare e legittimare la loro disinvolta libertà nella manipola-zione dei testi di legge. In tal modo essi sono ormai riusciti a far diventare pacifica l’idea secondo la quale «l’interpretazione delle norme non può limitarsi a un’applica-zione puramente passiva delle regole generali e astratte ai casi particolari. L’interpre-

.

80 Se ne osservino i disastrosi risultati nel (disperato) caso italiano: cfr. P. PELLIZZETTI e G. VETRITTO, Italia

disorganizzata. Incapaci cronici in un mondo complesso, Dedalo, Bari 2006. 81 È questa la ragione di fondo per cui dal mio punto di vista vi è una forte perplessità a seguire interamente

l’idea secondo la quale sarebbe la stessa «ideologia condivisa dalla maggioranza dei giudici negli Stati occidentali» a spingere i medesimi a esercitare «con grande moderazione» il loro potere discrezionale: cfr. M. TROPER, Funzione giurisdizionale o potere giudiziario?, in Id., Per una teoria giuridica dello Stato, cit. supra in nota 6, p. 119. Sarò anche condi-zionato in questo giudizio dalla mia visione di storico di nazionalità italiana, ma resto diffidente verso l’idea che esistano dei vincoli capaci d’imporre ai magistrati una reale moderazione nell’uso del loro potere (con ciò non in-tendo naturalmente affermare che non esistano magistrati che uti singuli non lo facciano e non lo sappiano fare). Che l’ideologia giuridica sia essa stessa il baluardo che impedirebbe ai giudici di «utilizzare ‘a fondo’ il loro potere» e che sia proprio questa forma mentis del magistrato idealtipico che impedisce di far prevalere nei giudizi i valori per-sonali e la soggettiva visione del mondo del giudice mi sembra in tutta franchezza molto difficile da credere. In ogni caso gli esempi fattuali contrari abbondano nella vita quotidiana dei tribunali (basta parlare con gli operatori del diritto per constatarlo). Il positivismo giuridico dei giudici mi sembra in effetti uno pseudo-positivismo che assume la funzione di uno schermo che serve a mascherare e a blindare la loro ybris tendenzialmente sfrenata. Lo stesso Troper afferma con grande chiarezza, che i giudici «dissimulano il loro potere» di modo che ogni loro deci-sione «sembri imputabile non a se stessi e alla loro volontà, ma alla volontà di un’autorità superiore cristallizzata in un diritto oggettivo» (ivi, p. 117). Da questo punto di vista allora bisogna osservare che anche nel sistema positivi-stico la libertà dell’interprete è rimasta pressoché totale o comunque amplissima malgrado dei vincoli esistano nelle astratte previsioni normative: cfr. M. TROPER, La liberté de l’interprète, in AA.VV., L’office du juge, « Actes du Colloque organisé par le Professeur Gilles Darcy, le Doyen Véronique Labrot et Mathieu Doat », Paris 29 e 30 set. 2006, Sénat, Palais du Luxembourg, Paris s.d. [ISBN: 978-2-11-126648-3; ISSN 1249-4356]; questo vol. contiene diversi altri contributi molto interessanti per il tema qui affrontato.

324 Parte Prima – Teoria dello Stato e del Diritto-Storia

tazione presuppone sempre [almeno] una parte d’innovazione, non solo per trovare delle soluzioni puntuali [ai casi concreti], ma anche perché spesso interpretare dei testi conduce comunque a formulare regole nuove, regole che a forza di ripetersi, attraver-so l’autorità dei precedenti, divengono progressivamente delle vere e proprie norme. Il giudice si erge allora in qualche modo a rivale del legislatore»82

Così la reinsorgenza della mediazione patriarcale nello Stato contemporaneo rende senz’alternativa la risposta alla domanda posta da Krynen: «Divenuti [di nuovo] inter-preti autonomi di un diritto sempre più proteiforme, e creatori di norme individuali e collettive, non rischiano i magistrati di presentarsi o di essere percepiti nel XXI secolo come preti della giustizia, come essi stessi si consideravano nell’Ancien Régime?»

.

83

Questa situazione si è ulteriormente complicata con l’avvento e l’espansione delle democrazie. Nel contesto democratico la formazione della regola di diritto non è più solo un atto di volontà, ma all’evidenza è in primo luogo un atto di responsabilità

.

84. Si potrebbe osservare che anche questa svolta deriva dalla Rivoluzione. Il 1789, infatti, segna uno spartiacque a questo riguardo, poiché, al contrario di quanto si ritiene in quello che è divenuto uno stereotipo storiografico indiscutibile, la filosofia politica di fondo dei costituenti rivoluzionari fu imperniata sul principio della trasparenza nell’esercizio del potere e del controllo da parte di ciascun cittadino sugli atti politici ancor più che sul principio di eguaglianza. La Rivoluzione francese fu prima di tutto l’affermazione del principio di responsabilità e quindi della trasparenza e del controllo in rapporto all’esercizio della funzione pubblica85

La controprova è data da quelle società – come quella italiana – nelle quali l’as-senza di veri fermenti rivoluzionari, non favorendo l’affermazione della responsabilità e del controllo sull’agire politico hanno finito con il compromettere anche l’attuazione del valore dell’eguaglianza. E anche nella nostra dottrina giuridica e politologica non si è mai ben compreso il profondo legame che unisce queste due dimensioni del vivere civile in un contesto ben organizzato. Senza la trasparenza del potere garantita da ri-gorose procedure di controllo effettivo sui suoi atti e da sanzioni incisive (questo è il fondamento degli Stati democratici), il principio di eguaglianza è destinato a restare lettera morta, flatus vocis dei queruli e spedati araldi di quell’idealismo di matrice cro-ciano-gramsciana spesso integrato con i valori propugnati da un cattolicesimo d’as-salto e movimentista. Niente di più italiano – come notano spesso gli studiosi degli altri Paesi che si avvicinano all’osservazione dell’antropologia politica peninsulare – che questa commistione tra esaltazione formalistica dei valori e feroce cinismo mani-polatore e camaleontico. Il risultato è disastrosamente chiaro: siamo il Paese (che si

. Senza l’affer-mazione di questi va-lori politici di fondo lo stesso principio egualitario sarebbe rimasto lettera morta.

82 J.-L. BERGEL, Introduction générale à L’office du juge, cit. nella nota precedente, p. 12. 83 KRYNEN, Position du problème, cit. supra in nota 69, p. 22. 84 Per la teoria della decisione giurisdizionale come atto di volontà e non di conoscenza, cfr. le opp. citt. di

M. TROPER supra in nota 6 e spec. il saggio intitolato: Fonction juridictionnelle ou pouvoir judiciaire? in Id., Per una teoria giuridica dello Stato, p. 114.

85 Rinvio, per lo sviluppo di questa idea, critica delle tesi egualitariste (come quella sostenuta, ad esempio, da Maurizio Fioravanti, uno degli allievi più conosciuti di Paolo Grossi), ai miei lavori: DI DONATO, La rinascita dello Stato, cit. supra in nota 4, pp. 401-13; Id., La costituzione fuori del suo tempo, cit. supra in nota 5, pp. 902-20.

F. Di Donato – Il governo diviso dei giudici 325 presume) occidentale in cui all’assenza assoluta di controlli, e conseguentemente di responsabilità nell’esercizio del potere (in qualsiasi grado e àmbito di amministrazio-ne), corrisponde il minor livello di eguaglianza sostanziale, con squilibri incolmabili tra i cittadini, tra le famiglie e perfino tra i differenti gruppi sociali.

5.2. Il rilancio democratico del potere politico. Nello Stato democratico, invece, l’importanza dei consolidati meccanismi di con-

trollo è ritenuta da una vastissima letteratura politologica mondiale l’elemento decisi-vo. A partire dalla procedura più importante di tutte che è il giudizio elettorale. In ef-fetti, la modalità elettorale determina una sorta di rilancio naturale dei poteri politici in rapporto alla giurisdizione. Non essendo i giudici eletti nei sistemi europei, i poteri governamentali hanno buon gioco in questo tipo di regimi a prendere il sopravvento nella gestione del potere decisionale, sottolineando la mancanza di legittimazione con-sensuale riguardo all’attività della magistratura. Con la conseguenza che i giudici sono di regola messi nella condizione di non poter invadere la sfera nomotetica proprio a causa del serrato controllo al quale la funzione d’indirizzo politico è sottoposta.

Ma in Italia questo elementare e semplice meccanismo garantistico non funziona affatto. In primo luogo perché il potere politico è sostanzialmente privo di adeguati controlli (in primis quello elettorale, non essendosi mai formata nel Paese una vera e propria opinione pubblica attenta agli interessi generali). Con la conseguenza che esso è portato, in una dimensione di bassa moralità pubblica, a debordare e straripare dai suoi limiti legali, per favorire interessi pressanti, tanto organizzati (in gruppi di pres-sione) quanto minuti e individuali. Gli effetti di questa plurima distorsione sono deva-stanti sull’organizzazione dei servizi. E in primo luogo riguardo alla corretta divisione delle funzioni: la magistratura è spinta così ad assumere un ruolo di controllo perma-nente della moralità e dei comportamenti pubblici, incuneandosi nella vita politica e persino nelle scelte economiche concernenti il sistema bancario, assicurativo e delle (altre) imprese. In quest’opera, che nell’apparenza dell’immedia-tezza sembra bene-merita e salubre, i giudici conquistano un consenso diffuso e, attraverso i media, rag-giungono le vette di una popolarità che snatura completamente la loro originaria fun-zione che li vorrebbe sobri applicatori del diritto, conferendo loro un protagonismo che presto o tardi finisce con lo sfociare in aperta competizione politica.

In ciò la loro posizione strategica non sembra molto diversa dai robins, i loro ante-nati di Ancien Régime, che per conquistare il favore popolare nel momento cruciale del combat contro il governo regio diventarono committenti di gravures satiriche nelle quali si metteva in ridicolo l’entourage ministeriale e, da un certo punto in poi (con un’acme toccata durante gli anni della riforma-Maupeou), persino lo stesso re86

86 Cfr. P. WACHENHEIM, L’image de Louis XV à travers l’estampe séditieuse et satirique, in «Annales du Centre Le-

doux», t. II: Imaginaire et métier artistique à Paris sous l’Ancien Régime, a cura di D. RABREAU, Paris-Bordeaux 1998, pp. 87-102; Id., L’iconographie polémique des parlementaires sous le règne de Louis XV, in «Revue d’Histoire des Facultés de Droit et de la Science juridique», nn. 25-26, 2005-2006, pp. 7-70. La gran thèse di questo A., intitolata Art et politique, langage pictural et sédition dans l’estampe sous le règne de Louis XV, « Thèse en 2 volumes soutenue sous la direction de Daniel Rabreau », Université de Paris I Panthéon-Sorbonne, UFR d’Histoire de l’art et d’archéologie, 2004, pur-troppo attende ancora la sua pubblicazione. Secondo Robert Darnton fu proprio questa delegittimazione della sa-

. La tecnica usa-

326 Parte Prima – Teoria dello Stato e del Diritto-Storia

ta dalla magistratura di oggi per colmare il deficit di consenso popolare non ha una logica di fondo molto diversa: i magistrati, soprattutto quelli inquirenti, stabiliscono un corto circuito con la (video-)stampa e per questa via instaurano un contatto popu-lista, diretto e a senso unico con una pseudo-opinione pubblica forsennata e claman-te, galvanizzata da giudizi morali molto spesso sommari e ispirati da sussulti emotivi che nulla hanno di realmente politico. Ed è appena il caso di far notare, en passant, che siamo qui ancora una volta di fronte a una forma di legame ‘mediatico’ riperpetuato87

Certo è importante non fare di tutta l’erba un fascio ed evitare i giudizi sommari: si può vedere una linea di demarcazione all’interno della magistratura tra coloro che si tengono alla larga dal protagonismo politico-giudiziario dei giudici mediatici e che si esprimono solo attraverso le sentenze e i provvedimenti legittimi attinenti alla loro funzione e coloro che al contrario utilizzano la funzione giurisdizionale per montare sulla scena mediatica per poi – come accade sempre di più – fare il “gran salto” nella competizione politica elettorale, traendo profitto dalla notorietà acquisita durante il ‘lavoro’ di giudice d’assalto

.

88

Ma, oltre queste distinzioni, nel loro complesso i giudici resistono (è rimasta cele-bre la frase di Francesco Saverio Borrelli, procuratore-capo delle Repubblica a Milano all’epoca di Mani pulite, «resistere, resistere, resistere!») nella difesa a oltranza della loro identità e della loro ‘ideologia’ giuridica, che significa un trionfo dell’am-biguità. Mani pulite ha significato soprattutto mani libere: i magistrati non vogliono avere vincoli

.

89

cra persona del monarca a corrodere alla radice il sistema della monarchia assoluta rendendo così possibile la svolta rivoluzionaria: cfr. R. DARNTON, The Forbidden Best-Sellers of Pre-Revolutionary France, Norton, New York 1995, trad. it. a cura di V. BEONIO BROCCHIERI, Libri proibiti. Pornografia, satira e utopia all’origine della Rivoluzione francese, Monda-dori, Milano 1997. Sul punto anche Merrick, The Desacralization of the Monarchy, cit. supra in nota 64.

.

87 Cfr. ARNAUD, Le médium, cit. supra in nota 9. 88 La vicenda del giudice Antonio Di Pietro (e di altri suoi colleghi del pool milanese “Mani pulite”) è troppo

nota per essere ricordata qui assieme ad altri casi più recenti, come quello dell’attuale sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, ex pubblico ministero in Calabria e titolare di inchieste che hanno occupato a lungo la scena mediatica. Queste ‘azioni’ giudiziarie hanno contribuito in modo determinante a creare i giudici-personaggi e a favorire il lan-cio di quei protagonisti della vita giudiziaria nella vita politica propriamente detta. Il giudice Gherardo Colombo, altro notissimo protagonista di “Mani Pulite”, è stato recentemente nominato (è lecito domandarsi in base a quali specifiche competenze?) membro del CdA della Rai. Vi sono, tuttavia, dei casi meno conosciuti ma ancor più gravi di commistione tra funzione giurisdizionale e funzione politica: ad esempio nel 2010 un magistrato di una impor-tante procura della repubblica ha lasciato di punto in bianco le sue funzioni di pubblico ministero, dando le dimis-sioni dalla magistratura mentre conduceva delicate inchieste su reati di corruzione politica, per candidarsi alle ele-zioni regionali nello stesso territorio in cui aveva operato come sostituto procuratore e utilizzando le informazioni riservate che conosceva in virtù del suo ufficio contro i suoi avversari politici.

89 Quest’analisi, storicamente provata, mi fa nutrire qualche perplessità verso gli argomenti, per altro verso as-sai sottili e raffinati, elaborati da M. TROPER, Le bon usage des spectres, cit. supra in nota 14, p. 245, il quale sottolinea il peso dei vincoli obiettivi – in primo luogo «la gerarchia delle giurisdizioni» e «la necessità della motivazione» – sull’attività dei magistrati; queste contromisure garantite dagli ordinamenti positivistici basterebbero a suo avviso a scongiurare o quanto meno a limitare il rischio del governo dei giudici. A tal proposito non va dimenticata la limpi-da e persuasiva dimostrazione di LEONARDI, Il cittadino e la giustizia, cit. supra in nota 67, tra i primi a studiare il fe-nomeno dell’inversione dell’argomentazione giuridica nella redazione delle sentenze (in pratica il giudice decide preventivamente sulla base delle sue personali convinzioni e solo dopo aver concepito questa decisione si adopera a reperire nel corpo del diritto in vigore la motivazione che gli appaia la più adeguata a legittimare quella decisione stessa). Bisogna aggiungere che in un momento come quello della nostra attualità, caratterizzata dalla polisemia normativa e dalla pluralità sempre più frammentata delle fonti del diritto e degli ordinamenti giuridici sovrapposti e ibridati, questa pratica fa riprendere vigore, per quanto ciò possa sembrare inverosimile in un contesto giuspositivi-sta, al brocardo di Azzone che, con la tipica alterigia spaccona del giureconsulto che si sentiva sicuro di sé e padro-

F. Di Donato – Il governo diviso dei giudici 327 Essi pensano sempre la loro legittimazione in funzione del loro sapere tecnico-patriarcale e non in funzione del servizio (rendere la giustizia ai cittadini) che sono chiamati a svolgere. Si sentono meno funzionari dello Stato che corpo, gran corpo, ispirato da una forza superiore, la forza del diritto e delle tecniche per crearlo inter-pretandolo. La loro struttura psicologica profonda e inconfessata resta ancora il fon-damento metafisico, e in una certa misura religioso, della tecnica giuridica, che tutto sommato significa ancora della Scientia Juris. Molto più che una semplice applicazione normativa, determinata dalla comparazione tra un fatto e un valore, il loro giudizio è ancora percepito e vissuto – da essi stessi per primi – come un arbitrio sapienziale fondato su «una benedizione divina»90

Si può allora concludere che la magistratura è ancora divisa – come ha scritto mol-to acutamente Alain Bancaud – «tra politica e sacerdozio»

.

91. L’analisi delle strutture mentali e culturali dei magistrati contemporanei conferma che essi sono gli eredi per-fetti dei loro antenati e che – come ha dimostrato la monumentale ricerca prosopo-grafica di Pierre Bourdieu, in un libro un po’ troppo spesso snobbato dai giuristi – sono in larga misura la semplice perpetuazione seriale, familiare e onomastica dei loro padri, nonni e trisavoli secondo un meccanismo di autoriproduzione ben collaudato da secoli92

Ambiguità, si è detto. La capacità dei magistrati di ritirarsi al momento opportuno nella «prudenza tecnica», di realizzare l’«elasticità nel rigore», di pervenire a determina-re la «diversità nell’unità», o più in generale di conciliare gli opposti attraverso un «contegno sacerdotale» e ieratico, permette alla magistratura di adattarsi a tutte le sta-gioni politiche con una sorprendente «adesione lealistica a tutti i regimi»

.

93. Così essa sopravvive sempre alle tempeste di ogni cambiamento politico, conservando ogni vol-ta la sua capacità di rilanciare i suoi atouts con una sistematica opera di recupero delle prerogative perdute94. Tutta quest’attrezzatura culturale e assiologica fa sì che la magi-stratura sia assimilabile – fin dal Medio Evo – nella sua essenza bio-antropologica alla struttura mentale della Chiesa, il che permette così all’una come all’altra di gestire sa-pientemente «il mutamento nella continuità»95

ne del mondo, affermava senza vergogna che «omnia in corpore iuris inveniuntur» («tutto si trova nel corpo del diritto»). In altri termini rischiamo di riprodurre un’ideologia del giurista fondata sull’idea che il diritto è talmente sterminato (e caotico) che dal mare magnum dell’ordine (o piuttosto del disordine) giuridico si possa sempre trovare la norma che serve contingentemente per giustificare e motivare la decisione – qualsiasi essa sia – che il giudice ha intenzione di assumere e trasfondere nella sentenza. Mi pare allora di poter concludere che ci troviamo di fronte a condizioni che sono tutto tranne che il risultato che il sistema del diritto positivo auspicava!

.

90 BANCAUD, La haute magistrature judiciaire, cit. supra in nota 13, p. 285. 91 Ibid. 92 BOURDIEU, La noblesse d’État, cit. supra in nota 13; secondo Bancaud, La haute magistrature judiciaire, cit. supra

in nota 13, p. 21, la «predisposizione all’eredità professionale» dei magistrati «si spiega meno con il nepotismo che con il fatto che il corpo giudiziario abbia fondato la propria autonomia sulla specificità di un saper-fare, di un’arte, che sfugge all’oggettivazione e alla quale si è iniziati in modo privilegiato con l’esempio [e l’abbrivo] familiale».

93 Cito queste appropriate espressioni dallo stesso BANCAUD, La haute magistrature judiciaire, cit. supra in nota 13, pp. 180, 189, 225, 268, 274.

94 Cf. supra, testo corrispondente a nota 40. 95 BANCAUD, La haute magistrature judiciaire, cit. supra in nota 13, pp. 111-9. Vi è una frase molto significativa di

Portalis al riguardo – cit. da BANCAUD, ivi, p. 111 –, che anticipa il nostro celebre Gattopardo e che illustra alla perfezione quest’ossimoro concettuale: «Bisogna cambiare – affermò il padre del codice civile francese –, quando la

328 Parte Prima – Teoria dello Stato e del Diritto-Storia

5.3. Gli strascichi del pensiero magico nella giurisdizione positivistica. Possiamo trovare una delle prove più evidenti della permanenza di questo caratte-

re metafisico sottostante alla superficie positivistica del diritto contemporaneo dove non si sospetterebbe mai di trovarla. Ecco quel che Michel Dobkine, direttore dell’E.N.M. (École Nationale de la Magistrature) la Scuola di formazione degli uditori giudiziari francesi, ha affermato parlando a 250 nuovi candidati nel suo discorso d’inaugurazione dell’anno di studio, il 30 gennaio 2006: «La tecnica dovete senz’altro padroneggiarla [… Ma] l’essenza del giudice è nel foro interiore» e nella funzione giu-risdizionale c’è ancora «un residuo del pensiero magico»96

Che la funzione giudiziaria sia, da sempre, “blindata” ossia protetta dal segreto strettamente mantenuto dai sacerdoti del giure è ben noto agli storici del diritto che non intendano essere degli agiografi degli idola fori. L’imposizione del segreto su tutti gli atti della giurisdizione è sempre stata – fin dall’epoca di Filippo il Bello – una delle rivendicazioni più sentite e forti dei giuristi togati

. Gli ha fatto eco un respon-sabile della Scuola (che ha sede a Bordeaux): «Non fatevi illusioni, portare la toga non vi proteggerà. Semmai vi esporrà. Bisogna che impariate a essere un po’ blindati».

97. La forza politica della magistratu-ra come «gran corpo dello Stato» (per riprendere l’espressione di Françoise Autrand98) prese consistenza proprio quando il Parlamento ottenne dal re questo privilegio di opporre il segreto a chiunque. Da quel momento inizierà un cammino che terminerà molti secoli dopo, alla vigilia della Rivoluzione, con un paradosso supremo: l’opposi-zione del segreto di Stato allo stesso re. A metà del Settecento un grande magistrato italiano, Niccolò Fraggianni, uno dei togati più in vista e influenti del regno di Napoli, poteva scrivere senza imbarazzo: «Arduum nimis est Principes meruisse secretum»99

Da allora la magistratura, a dispetto della cesura rivoluzionaria e dei portati giu-spositivistici che ne seguirono, non ha cessato di accumulare potere fondato sugli strumenti tecnici dell’interpretazione che sono la più aggiornata versione dei vecchi arcana juris. Per quanto ciò possa sembrare superato dalla realtà giuridica, la cui com-plessità rispecchia quella socioeconomica del mondo attuale, le tecniche sapienziali fondate sulla forma mentis tradizionale continuano a essere il fondamento teorico e pra-tico dell’azione della magistratura contemporanea. Che si tratti della giurisprudenza di un singolo giudice o della linea politica condotta dall’istituzione giudiziaria nel suo complesso, la difesa delle prerogative esclusive e delle tecniche d’intervento sui testi per trasformare con surrettizia e sottile abilità la giurisdizione in comando politico re-sta un punto centrale e intangibile nell’azione della magistratura.

.

più funesta di tutte le innovazioni sarebbe, per così dire, di non innovare».

96 Resoconto in «Le Monde», 2 feb. 2006, p. 3. 97 Cfr. T. SAUVEL, Histoire du jugement motivé, in «Revue du droit publique et de la science politique en France et

à l’étranger», année LXI, LGDJ, Paris 1955, pp. 5-53, trad. it. a cura di F. LOSITO, La motivazione delle sentenze in Francia. Lineamenti storici, in «Frontiera d’Europa», a. I, n. 1/1995, pp. 69-120.

98 F. AUTRAND, Naissance d’un grand corps de l’État. Les gens du Parlement de Paris 1345-1454, Publications de la Sorbonne, Paris 1981.

99 Biblioteca Nazionale di Napoli, Promptuarium excerptorum, ms. I.D.58, c. 139r; cfr. DI DONATO, Esperienza e i-deologia ministeriale, cit. supra in nota 32, t. I, p. 482.

F. Di Donato – Il governo diviso dei giudici 329

È impressionante constatare come da almeno due secoli a questa parte il linguag-gio rivendicativo e ‘protestatario’ dei togati non sia cambiato affatto, al punto che se si mettono a confronto, l’una al fianco dell’altra, le dichiarazioni provenienti dai magi-strati protagonisti della lotte contro il potere politico all’epoca di Luigi XV in Francia e quelle diffuse ai giorni nostri, avremmo difficoltà a distinguere le une dalle altre in assenza delle firme apposte in calce rispettivamente a ciascuno dei due testi. Un e-sempio? Eccolo: «I magistrati rivendicano il diritto di discutere le leggi» e specialmen-te quelle che sono in via di approvazione e che riguardano l’assetto della magistratura stessa. La cattiva qualità delle leggi non arriva a produrre gli «effetti negativi» attesi e certi solo grazie alle «interpretazioni dei giudici». Chi parla così? Un La Rocheflavin? Un Bertaut de Fréauville? Un abate Pucelle? Un Carré de Montgeron? O un Louis-Adrien Le Paige? Non sarebbe perfettamente credibile che fossero loro a esprimersi in questo modo? Senz’alcun dubbio! Nessuno si meraviglierebbe di fronte a una cita-zione di questo tenore qualora fosse attribuita in un libro di storia del diritto a uno di quei celebri protagonisti del combat parlamentare nel corso del Seicento o del Settecen-to. Ebbene non è così, perché quella citazione è uscita dalla bocca del presidente dell’A.N.M. (Associazione Nazionale dei Magistrati italiani) il 4 gennaio 2003100

Certo, non si può negare che la questione si è fatta oggi molto più complessa. Non bisogna né trascurare né sottostimare l’argomento di coloro – in genere i teorici del positivismo e del realismo giuridico – che sottolineano la profonda differenza che corre tra il sistema giuspolitico attuale e quello dell’Antico Regime in cui la mediazio-ne patriarcale della magistratura aveva campo libero. È un argomento questo che punta a mettere sotto scacco critico il metodo storiografico in quanto tale e special-mente quello che si fonda sul criterio della Lunga durata. È evidente che sarebbe un grave errore ignorare o non tenere in debito conto tutte le numerose differenze che vi sono tra il nostro sistema e quello nel quale operavano Montesquieu e Le Paige. Né sarebbe realistico cancellare l’incontestabile fatto che l’ordinamento del diritto positi-vo pone all’attività dei giudici dei limiti e dei vincoli che erano persino impensabili nell’antico Ordo juris.

!

Anche i pubblicisti e i teorici del diritto più aperti ai contributi del metodo storico, dei quali Michel Troper è l’esempio maggiormente rappresentativo, insistono molto su questa distanza tra i due mondi, distanza che è necessario mantenere se non si vuol rischiare di appiattire tutto il percorso storico e il cammino della civilizzazione statuale in un continuum fittizio e senza rotture politiche, istituzionali ed epistemologico-culturali. In tal modo, effettivamente, si metterebbe tutto sullo stesso piano, passato e presente annullando tutto quel patrimonio di conquiste, di garanzie e controlli che costituiscono invece i preziosi risultati di uno sforzo enorme che la cultura giuridica e politica dell’Occidente ha costruito e che devono continuare a essere valorizzati, stu-diati, conosciuti e difesi101

100 Resoconto in «Corriere della Sera», 5 gen. 2003, p. 4.

. Non operare una corretta e obiettiva distinzione tra diver-se realtà storiche non ci aiuta a chiarire le cose e anzi, al contrario, ce le complica,

101 Si veda al riguardo M. TROPER, La storia delle istituzioni e la teoria del diritto, saggio prefatorio al mio vol. La ri-nascita dello Stato, cit. supra in nota 4, pp. 11-19.

330 Parte Prima – Teoria dello Stato e del Diritto-Storia

confondendo le idee e rendendo opaco l’oggetto della riflessione. È un tipico difetto dell’idealismo filosofico e storiografico italiano quello di ritenere che non vi siano mai novità sostanziali nel corso storico poiché tutto sarebbe già stato detto o scritto e nul-la vi e di veramente nuovo sotto il sole se non le mere forme che rivestono concetti eterni, immutabili e insostituibili. Senza nulla togliere ai classici del pensiero che spes-so conservano spunti di riflessione di grande profondità e utilità, è tuttavia questo un difetto che ha rallentato moltissimo lo sviluppo dello spirito di ricerca in Italia, ritar-dando la competitività del Paese in tutti i settori vitali della sua cultura e della sua (in senso lato) impresa. Il compito principale delle discipline storiche, l’apporto che esse possono e debbono dare all’analisi delle scienze sociali – come affermava Pasquale Villari, il nostro maggiore storico dell’Ottocento – è di chiarire il passato per farci co-noscere meglio il presente e per orientarci meglio nelle scelte per il futuro, perché alla storia noi non chiediamo altro che di spiegarci la vita102

Questa posizione metodologica, che traccia uno spartiacque molto netto tra il si-stema ontologico dell’Antico Regime e il sistema giuspositivistico vigente nell’Occi-dente contemporaneo, porta, tuttavia, nel nostro caso specifico, a stimare debole o pressoché inesistente il rischio di un «governo dei giudici» negli Stati costituzionali e democratici contemporanei. Nel contempo la posizione dei positivisti teme l’elezione dei magistrati poiché ritiene che questa sarebbe la legittimazione formale e aperta (quindi incontrastabile) dello sconfinamento politico della giurisdizione

. Ed è evidente che questa o-perazione intellettuale richiede preventivamente l’attenta distinzione tra il piano del passato e quello dell’attualità, per evitare ogni rischio di anacronismo.

103

. Dare ai giudici oltre alla legittimazione testuale anche quella consensuale-elettiva significhe-rebbe dare il via libera allo scatenamento di nuovi arcana juris che a quel punto sareb-bero molto più pericolosi e letali dei vecchi. Privi di qualsiasi vincolo esterno, i giudici si vedrebbero spalancata la porta alla costruzione della tirannia assoluta dell’apparato giudiziario senz’alcuna possibilità di erigere un contropotere efficace.

6. Conclusione. Una scelta decisiva per la nostra epoca: perfezionamento della democrazia giuridica o ritorno alla mediazione tecnico-patriarcale dei giuristi?

Siamo, così, conclusivamente giunti al bivio fatale della nostra epoca. Lo storico non è un indovino e il suo compito si arresta – deve arrestarsi – alla ricostruzione del passato. A ciascuno poi la responsabilità di compiere le sue valutazioni deontologiche e le sue scelte proiettive. Nessuno – per fortuna – darebbe più credito al vetusto dogma idealistico secondo il quale historia magistra vitae; ma una cultura politica ragio-nevole e saggia che avesse a cuore le sorti del processo di civilizzazione non saprebbe fare a meno della prospettiva che una storiografia analitica e critica le può dare.

102 Citato da AJELLO, Eredità medievali, cit. supra in nota 27, p. 69. Gli fece eco Gaetano Salvemini, secondo il

quale «ogni ricerca storica mira a risolvere il problema fondamentale di sapere in quale modo una data situazione presente è arrivata ad essere qual è»; solo attraverso questo percorso si perviene all’«integrità morale della mente» (ivi, p. XI).

103 TROPER, Existe-t-il un danger de gouvernement des juges?, cit. supra in nota 6, pp. 329-346; Id., Le bon usage des spec-tres, cit. supra in nota 14. In senso contrario, cfr. J. KRYNEN (a cura di), L’élection des juges. Étude historique française et contemporaine, Puf, Paris 1999.

F. Di Donato – Il governo diviso dei giudici 331

In questo senso non abbiamo alibi poiché possediamo gli strumenti per conoscere molto da vicino gli effetti e le conseguenze di una società dominata dall’apparato giu-diziario, ovvero di un sistema nel quale il peso politico dei giudici sugli affari politici sociali, istituzionali, economici e lato sensu culturali è superiore a quello di ogni altro potere democratico. Sappiamo a menadito ciò che accade in un contesto dominato dagli arcana juris e dalla mediazione patriarcale. Se non ostacoleremo la soluzione che vede i giuristi interpreti come perno dell’ordine sociopolitico sappiamo bene a che cosa stiamo consegnando il nostro destino. Nulla, se non la nostra diagnosi informata e la nostra responsabilità, impedisce di compiere quella scelta. Allo storico spetta solo il compito di avvertire che la mediazione patriarcale – sotto qualsiasi forma – è in-compatibile con la democrazia – sotto qualsiasi forma – e anche con la razionalità e-conomica che mira alla produzione e all’allocazione delle risorse fondate sul principio di accumulazione preventiva (non si può spendere più di quel che si ha). Il fatto che questi valori non siano ancora pienamente realizzati non ci autorizza a interrompere il nostro cammino verso la realizzazione della democrazia giuridica. Al contrario, la constatazione dell’aumento dei pericoli ci serve per poter reagire meglio contro di es-si.

Diversi autori provenienti da differenti contesti sociopolitici – americani104, italia-ni105, francesi106 – hanno preso ormai coscienza che il potere dei giudici è in piena e-spansione e che vi è – segnatamente, ancorché non unicamente, nelle prerogative straordinariamente ampie dei giudici costituzionali – un rischio che questo potere fi-nisca con il sostituire di fatto quello degli eletti, insinuandosi nei vuoti e tra i blocchi dell’attività di governo, spesso paralizzata, rallentata o continuamente modificata a causa dei veti delle forze politiche o delle fazioni e sotto-fazioni all’interno dei partiti. Il problema che le nuove forme della mediazione patriarcale e degli arcana juris pon-gono qui è quindi quello della democrazia giuridica o, se si preferisce, per converso, di un potere giudiziario sottratto a ogni controllo. Solide procedure di trasparenza sono indispensabili all’esistenza e allo sviluppo della democrazia107. Detto altrimenti: non è attuabile una democrazia al di fuori del processo di civilizzazione statuale. Se si vuole realizzare la prima occorre salvaguardare il secondo. Da qui occorre partire. Per farlo è fondamentale realizzare un circolo virtuoso tra diritto e fatti sociali che è impensabi-le fin tanto che ci si trastullerà con le formule magiche della scienza giuridica nutrite da un asfissiante idealpositivismo formalistico e farisaico108

L’esperienza storica dello scontro tra magistratura e potere sovrano.

109

104 Ad esempio quelli citati supra in nota 23.

ci ha mo-strato che l’aspirazione politica dei giudici è intrinseca alla natura della giurisdizione.

105 PIZZORNO Il potere dei giudici, cit. supra in nota 23; M. Cappelletti, Le pouvoir des juges, Economica-PUAM, Pa-ris-Aix-en-Provence 1990.

106 S. BRONDEL, N. FOULQUIER, L. HEUSCHLING (eds.), Gouvernement des juges et démocratie, «Actes du Séminaire international», Université de Paris I, 13 nov.1998-28 mag. 1999, Publications de la Sorbonne, Paris 2001.

107 Diversi autori manifestano, ad esempio, la tendenza a pensare che la più perniciosa tra queste forme di po-tere politico-giuridico senza controllo sia la tecnocrazia brussellese, ossia i funzionari dell’Unione Europea.

108 L’espressione riprende il titolo di un volume di R. WIETHOLTER, Le formule magiche della scienza giuridica, La-terza, Bari 1975.

109 Per un excursus storico di questo fenomeno, centrale non solo nella storia del diritto e delle istituzioni ma

332 Parte Prima – Teoria dello Stato e del Diritto-Storia

Non è questione di contingenze storiche particolari. Il problema è strutturale e con-cerne l’essenza organizzativa dello Stato di diritto così com’è venuto formandosi in Europa occidentale fin dal Medio Evo110

Il caso dell’improvvisa resurrezione del Parlamento di Parigi dopo il lungo regno parentetico di Luigi XIV che aveva ridotto al silenzio i robins, ci suggerisce che la fun-zione giurisdizionale resiste a ogni vicissitudine, anche la più avversa

. Il problema attiene dunque alla civiltà sta-tuale e allo spirito delle istituzioni. Sappiamo che il potere politico insito nella giuri-sdizione non muore mai, anche quando è sembrato che fosse stato definitivamente messo fuori gioco. Come un vulcano, che può restare anche per lunghi periodi inatti-vo ma che resta poi pronto a riesplodere non appena si ripresentino condizioni favo-revoli alla fuoriuscita della lava. Da buoni chierici, i togati sanno attendere.

111. E infatti resi-sté anche all’attacco mortale di Robespierre che, in un discorso pronunciato alla Co-stituente il 10 novembre 1790, lanciò un vero e proprio grido di guerra: «La parola giurisprudenza dev’essere cancellata dal vocabolario di un popolo libero»112

Sarà forse un azzardo pensarlo, ma a me pare che un po’ più di due secoli dopo, un giudice importante – lo stesso che, con le sue confidenze, ha aperto questo saggio – abbia involontariamente replicato a quelle pesanti parole del terribile avvocato gia-cobino: «La maggior parte delle persone crede che noi facciamo una giurisdizione. Ma noi non facciamo una semplice giurisdizione. Noi facciamo una giurisprudenza!».

.

Resta allora, in conclusione, ma decisamente a margine della ricostruzione storio-grafica, il problema di fondo e di sempre. Che fare? Schiacciati tra uomini politici non si sa bene se più disonesti o più incapaci di far fronte alla complessità delle sfide che abbiamo davanti e la prospettiva di un ritorno verso il baratro della mediazione patri-arcale incontrollata e incontrollabile dell’oligarchia tecno-giuridica, quale via d’uscita possiamo intravedere? La questione resta aperta, poiché non è dato rintracciare una risposta univoca a problemi di questa complessità.

Lo storico potrebbe trovare facilmente la sua uscita di sicurezza nel momento in cui il discorso flette verso l’avvenire. Non volendo però sfuggire a questa responsabi-lità intellettuale la conclusione, necessariamente provvisoria come si conviene a un discorso che si pretende scientifico, verterà su due punti-chiave. anche nella storia della società nel suo complesso, cfr. il mio recente saggio: F. DI DONATO, Le conflit entre magistra-ture et pouvoir politique dans la France moderne, in MARIA ELENA DA CRUZ COELHO e MARIA MANUELA TAVARES RI-BEIRO (a cura di), Parliaments: The Law, the Practice and the Representations. From the Middle Ages to the Present Day – Par-lamentos: a lei, a prática e as representações. De ldade Média à Actualidade, «Texts presented in the 60th Congress of I-CHRPI International Commission for the History of Representative and Parliamentary Institutions», Lisboa-Coimbra 1-5 set. 2009, edito dall’Assembleia da Republica, Lisboa 2010, pp. 259-92.

110 Cfr. J. KRYNEN, L’empire du roi. Idées et croyances politiques en France. XIIIe-XVe siècle, Gallimard, Paris 1993; A. RIGAUDIÈRE, Penser et construire l’État dans la France du Moyen Age. XIIIe-XVe siècle, Comité pour l’Histoire écono-mique et financière de la France, Paris 2003; J.-Ph. GENET, La genèse de l’État moderne. Culture et société politique en An-gleterre, Puf, Paris 2003.

111 Cfr. H. EL ANNABI, Le Parlement de Paris sous le règne personnel de Louis XIV. L’Institution, le Pouvoir et la Société, Publications de l’Université de Tunis, Tunis 1989; J. J. HURT, Louis XIV and the Parlements. The Assertion of Royal Authority, Manchester University Press, New York 2002. Per l’inopinata ‘resurrezione’ del Parlamento all’indomani della morte del re-sole, rinvio al mio libro DI DONATO, L’ideologia dei robins, cit. supra in nota 7, cap. I, spec. pp. 55-9 e alle opere citate ivi, pp. 697-702 (note da 19 a 65).

112 Cit. da M. TROPER, La forza dei precedenti, cit. supra in nota 11, p. 68, e nella vers. fr. in Id., La théorie du droit, le droit, l’État, cit. supra in nota 6, p. 166.

F. Di Donato – Il governo diviso dei giudici 333

1) In primo luogo si può applicare al tema del rapporto tra giurisdizione e sovrani-tà ossia tra magistratura e poteri legislativo-governamentali la classica soluzione del male minore: dal mio punto di vista, fissato il punto di riferimento individuato nella libertà democratica, quando si passa poi alla concreta declinatio dei valori politici nella concretezza storica è tuttavia sempre meglio fare i conti con un dispotismo palese che con una tirannia occulta. Il primo si può (per quanto con difficoltà) combattere, il se-condo no. Ci si può dilettare a tendere fino al paradosso il concetto e chiedersi se sia meglio vivere in un sistema dove governano politici corrotti e spregiudicati o in un sistema nel quale tutto il potere è concentrato nelle mani di magistrati onesti e infles-sibili. En lecteurs dévots del presidente bordolese non avremmo dubbi su quale delle due soluzioni preferire. Non vi è, naturalmente, una risposta univoca che possa pretende-re l’attribuzione di un’assoluta scientificità. La mia idea – certo corroborata da lunghi studi e riflessioni sull’argomento, ma che non per questo pretende di essere l’unica vera – è che la corruzione politica, devastante in termini di coesione sociale e di effi-cienza del sistema nel suo complesso, produce tuttavia effetti, ancorché gravissimi, meno negativi della virtuosa tirannia politica degli apparati giudiziari. Quest’ultima di-sintegra alla radice tutti i germi anche residuali di libertà e mette l’intero corpo sociale e ciascun individuo che lo compone nella peggiore delle condizioni possibili in cui può trovarsi un essere umano: l’asservimento completo e indiscutibile a un’oligarchia di tecnocrati – poco importa se giuristi, economisti o entrambe le cose – la cui ‘peri-zia’ si considera in grado di pervenire a qualsiasi verità definitiva.

2) La seconda considerazione trae spunto dal confronto tra il piano della teoria giuspolitica e il piano dell’osservazione storica dei fatti. L’esasperazione del conflitto tra potere politico e funzione giurisdizionale, come ci mostra l’esperienza italiana degli ultimi vent’anni, ha rinforzato il legame ideologico-corporativo della magistratura, at-tutendo di molto fino a far quasi scomparire le tensioni e i conflitti, numerosi e pro-fondi, che ne solcavano le fila e l’identità113

113 Lo dimostrò, in un’importante ricerca, G. FREDDI, Tensioni e conflitto nella magistratura. Un’analisi istituzionale

dal dopoguerra al 1968, Laterza, Roma-Bari 1978, che definiva le «tensioni sistemiche» presenti «all’interno di quella organizzazione complessa che è la magistratura» le basi e le «condizioni di [un] conflitto potenziale» pronto a e-splodere (ivi, p. 255).

. Questo conflitto, di là dai fuochi d’artifi-cio pressoché quotidiani che sono serviti solo a riempire le pagine dei giornali, non ha prodotto alcuna riforma sistemica dell’apparato giudiziario e ha ottenuto solo l’effetto perverso di consolidare ancor più i fondamenti dell’ideologia giuridica e la difesa cor-porativa dei giudici. Ciò dovrebbe dar luogo a una riflessione di saggezza: le probabili-tà di una riforma del sistema giudiziario si riducono nel momento in cui il potere poli-tico si pone apertamente come nemico del corpo magistratuale, mentre al contrario aumentano nel momento in cui il conflitto cede il passo alla distensione e alla collabo-razione tra i poteri. In quei frangenti, infatti, riemergono le posizioni dialettiche inter-ne alla magistratura, dalle quali ci si può aspettare un maggior risultato che dalla chiu-sura corporativa a riccio attuata per difendersi dagli ‘attacchi’ (che invero nel recente caso specifico italiano sono state più scaramucce polemiche verbali che veri e propri disegni ragionati e organici di riforma) da parte del potere politico. Come spiegava già

334 Parte Prima – Teoria dello Stato e del Diritto-Storia

negli anni Settanta del secolo scorso Giorgio Freddi, lo studioso che meglio ha colto questo aspetto,

il conflitto nella magistratura ha assunto una speciale qualità perché attacca i valori istituzionali mentre elabora una ideologia di opposizione da contrapporre a quella [politica] che si vuole soppiantare, ciò che rende necessaria un’impostazione teorica in grado di spiegare il passaggio del conflitto, originariamente limitato ai mezzi e agli strumenti dell’organizzazione, al sistema dei valori istituzionali che svolgono la fun-zione primaria di legittimare l’organizzazione stessa114

Ciò implica in primo luogo che la riforma della magistratura, parallelamente a quella del sistema giudiziario e dell’organizzazione strutturale del servizio-giustizia (la cui efficienza secondo un recente e ben documentato studio della Banca mondiale costituisce circa il 50% della ricchezza di una nazione

.

115

Non resta allora che sperare in uno scherzo del destino. Chissà che in fin dei conti la catarsi rinnovatrice non possa venire dall’interno del corpo stesso finora divorato dalla malattia. La Serendipity, per fortuna, non abbandona mai le azioni (e, avrebbe for-se detto il poeta dei Sepolcri, le sciagure) umane. E se è vero che Dio non gioca a dadi, il garbuglio della storia dell’uomo sì. Del resto dove è impossibile far prevalere la ra-zionalità non resta che sperare o nei miracoli o, più laicamente, negl’imprevisti dell’eterogenesi dei fini. E chi può dire se, per ventura, non sarà un giorno proprio l’io diviso del grand corps, ossia il conflitto all’interno della magistratura, a salvarci dal ri-schio di una nuova dittatura, costruita sotto le mentite e suadenti spoglie della legitti-mazione giurisprudenziale, degli arcana juris?

), sia da considerare non come una riforma di settore, bensì come una riforma dell’intero sistema giuspolitico e socia-le, il che comporta, tanto a monte quanto a valle, un mutamento profondo della men-talità a cominciare dalle élites che hanno il compito di guidare il paese. Come ciò possa però avvenire nello stato in cui versano gli studi giuridici, sempre più arroccati nella difesa del normativistismo tecnocratico e nella riproduzione quasi meccanica di una (de)formazione sempre più chiusa ai fenomeni sociali e ai mutamenti storici e cultura-li, non è dato comprendere.

114 Ivi, p. 23. 115 Where is the Wealth of Nations? Measuring Capital for the 21st Century, The International Bank for Reconstruction

and Development/The World Bank, Washington, DC 2006 (ISBN-10: 0-8213-6354-9; ISBN-13: 978-0-8213-6354-6; e ISBN: 0-8213-6355-7; DOI: 10.1596/978-0-8213-6354-6), spec. pp. XVIII e 13 e passim. Le conclusioni di que-sto studio sono rivoluzionarie: gli autori hanno verificato, elaborando una mole impressionante di dati, che della ricchezza di una nazione solo il 5% è dato dal possesso e dallo sfruttamento delle risorse naturali, il 20% dalla pro-duzione di beni e servizi (industria, turismo ecc…), il 25% dai sistemi formativi e il 50% dalla qualità ed efficienza dei sistemi giudiziari. Queste due ultime voci sono considerati «intagible assets» (cfr. ivi, pp. 87 ss.).