Il database bibliografico: un prototipo per la ricerca tematica

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a cura di RENATA SALVARANI Tecnologie digitali e catalogazione del patrimonio culturale Metodologie, buone prassi e casi di studio per la valorizzazione del territorio TRATTATI E MANUALI STORIA

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a cura diRENATA SALVARANI

Tecnologie digitali e catalogazione del patrimonio culturaleMetodologie, buone prassi e casi di studioper la valorizzazione del territorio

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© 2013 Vita e Pensiero - Largo A. Gemelli, 1 - 20123 MilanoISBN 978-88-343-2619-0

Collaborazione editoriale: Maria Del Giudice e Emanuele Rossi

Il presente volume è realizzato dall’Università Europea di Roma - Centro Studi Heritage e Territorio per il Distretto Culturale “Le Regge dei Gonzaga” nell’ambito del più ampio progetto Distretti culturali di Fondazione Cariplo.

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Nel suo insieme, la piattaforma on line Catalogo dei beni culturali e bibliografici Regge dei Gonzaga, collegata, in forma autonoma, al progetto (e sito web) del Distretto culturale “Le Regge dei Gonzaga” (www.reggedeigonzaga.it), gestisce, entro un unico contesto integrato, due macro-sezioni, ovvero due differenti ti-pologie di catalogazione: la catalogazione di complessi architettonici, museali e archivistici e quella bibliografica tematica.

Il Catalogo bibliografico, in particolare, è il frutto (ancora in fase di perfe-zionamento, ma nella struttura ormai definitivo) di un processo di elaborazione, iniziato nella primavera dello scorso anno. Obiettivo principale di questo data-base era (ed è) quello di consentire l’accesso alla molteplicità di informazioni bi-bliografiche o di pubblicazioni che possono in qualche modo riferirsi ai numerosi temi che, nelle diverse discipline, hanno interessato la storia della famiglia dei Gonzaga, la quale, come è noto, fu la più longeva tra le famiglie che dominarono sugli antichi stati italiani, avendo governato sul territorio mantovano per quasi quattro secoli. E davvero parecchie sono le pubblicazioni che hanno riguardato la famiglia Gonzaga, sia quella dominante in Mantova, sia i rami minori che nel tempo si sono formati, andando a costituire le cosiddette dinastie collaterali che hanno dominato sulle piccole realtà gonzaghesche periferiche fino al 1746, quan-do cessò di esistere l’ultimo piccolo stato di Guastalla.

La maggior parte delle opere catalogate si riferisce a testi (o materiali) conser-vati presso la Biblioteca Comunale di Mantova, istituto che rappresenta tuttora uno dei più validi punti di riferimento per chi si occupi di storiografia gonzaghe-sca1. I titoli sono stati reperiti attraverso la consultazione per soggetto (sotto la voce Gonzaga) dei cataloghi di diverse biblioteche, nonché per mezzo di quell’in-sostituibile risorsa che è costituita dal volume di Raffaele Tamalio, La memoria dei Gonzaga. Repertorio bibliografico gonzaghesco (1473-1999), Olschki, Fi-renze 1999 e della sua continuazione, a cura del medesimo, Primo aggiorna-mento della bibliografia gonzaghesca, “Civiltà mantovana”, 35/111 (2000), pp. 7-35. Sono stati altresì esaminati gli indici di “Civiltà mantovana”, degli “Atti e

* Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Brescia.1 Valga, al riguardo, il rinvio al sito Internet istituzionale della Biblioteca: http://www.bibliotecateresiana.it/.

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Memorie dell’Accademia Nazionale Virgiliana”, dell’“Archivio Storico Italiano”, dell’“Archivio Storico Lombardo” e del “Bollettino Storico Mantovano”, delle ri-viste “Quaderni di Palazzo Te” e “Postumia”, nonché le note bibliografiche (pe-raltro già oggetto di attenzione da parte di Tamalio) connesse ai più significativi contributi monografici degli ultimi decenni2. A questi (e ad altri) si aggiungono una serie di studiosi locali che spesso hanno rivolto le proprie ricerche verso la storia delle piccole realtà della provincia di Mantova: opere che, in diversi casi, manten-gono ancora intatto il loro valore storico-scientifico3. Si è infine provveduto a “sca-ricare” e inserire direttamente nel database quei titoli ricavati dalla consultazione dei cataloghi in linea, pur correndo il rischio (consapevole) che, non avendo potuto visionare la copia originale, possano riportare alcuni errori (perlopiù ortografici).

Un insieme di elementi decisamente vasto (e potenzialmente dispersivo) che, in quanto tale, abbracciando un ampio arco temporale dal 18304 ad oggi, ha ri-chiesto un’importante fase di modellazione e di riflessione per delineare i confini di ricerca, pur piuttosto sfuocati e non sempre di facile definizione.

L’elaborazione del database (e della relativa piattaforma) ha – come ovvio – coinvolto diversi professionisti, dagli addetti all’individuazione e catalogazione dei materiali bibliografici ai tecnici informatici della ditta Global Informatica; un utile supporto è giunto poi, su taluni aspetti specifici, da consulenti esterni, che, a vario titolo, hanno offerto il proprio contributo al fine di meglio inquadrare e governare la complessità del progetto, senza rinunciare allo spessore scientifico e culturale. In particolare, nelle prime fasi, questo composito gruppo di lavoro è stato chiamato a valutare quale tra le alternative possibili, alla luce dello stato

2 Si pensi ad esempio, solo per citarne alcuni, ai lavori di M. vaini, Ricerche gonzaghesche (1189 - inizi sec. XV), Firenze 1994; di L. ventuRa, Lorenzo Leonbruno. Un pittore a corte nella Mantova di primo Cinquecento, Roma 1995; di M. Romani, Una città in forma di palazzo. Potere signorile e forma urbana nella Mantova medievale e moderna, Brescia 1995 (Quaderni di Cheiron, 1); di I. LazzaRini, Fra un principe e altri stati. Relazioni di potere e forme di servizio a Mantova nell’età di Ludovico Gonzaga, Roma 1996; di D. BodaRt, Tiziano e Federico II Gonzaga. Storia di un rapporto di committenza, Roma 1998; di P. caRpeGGiani - a.m. LoRenzoni, Carteggio di Luca Fancelli con Ludovico, Federico e Francesco Gonzaga marchesi di Mantova, Mantova 1998; di S. L’occaso, Fonti archivistiche per le arti a Mantova tra Medioevo e Rinascimento (1382-1459), Mantova 2005; e ancora di I. LazzaRini, Il linguaggio del territorio fra principe e comunità. Il giuramento di fedeltà a Federico Gonzaga (Mantova 1479), Firenze 2009. Un compendio storico della storiografia dei Gonzaga è già stato affrontato in passato, peraltro con grande maestria e capacità di sintesi, da C. mozzaReLLi, Mantova e i Gonzaga, Torino 1987. Altresì interessante per argomento e contenuti trattati risulta I. paGLiaRi, La biblioteca della corte Gonzaga. Un itinerario di ricerca storica e un progetto multimediale per ricostruire la collezione di codici dei signori di Mantova, “Civiltà mantovana”, 105 (1997), pp. 33-44.3 Si vedano, ad esempio, i vari contributi di Bartolomeo Arrighi e Agostino Agostini su Castiglione delle Stiviere, quelli di Domenico Bergamaschi sui Gonzaga dell’oltre Oglio, quello di Luigi Lucchini su Bozzolo, quello di Ugo Ruberti su Quistello e soprattutto quello di Antonio Palazzi su Viadana e il suo distretto, peraltro già ricordati in tamaLio, La memoria dei Gonzaga, p. 29.4 È lo stesso termine di riferimento post quem utilizzato dall’Istituto Centrale per il Catalogo Unico (ICCU), che circoscrive l’estensione del libro antico alle opere con data di pubblicazione dalle origini della stampa al 1830, data dell’introduzione dei torchi meccanici. Su questo dettaglio si rinvia a: Biblioteconomia. Guida classificata, diretta da M. Guerrini, a cura di S. Gambari, Milano 2008 (I manuali della biblioteca, 1), pp. 15-16.

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dell’arte dei software e dell’ampiezza raggiunta dai cataloghi collettivi e dagli archivi dei progetti digitali, oltre che dei costi (ripartiti in costi di sviluppo e costi gestionali), costituisse sia la strategia più appropriata per gli obiettivi fissati, sia il miglior rendimento.

Nello strutturare il database si è anzitutto tenuto conto della (nota) definizione di Antonella De Robbio, secondo cui una banca dati è

un insieme digitale strutturato e organizzato di descrizioni standard su un determinato argomento, disciplina o evento, in forma testuale o multimediale, con link anche iperte-stuali, accessibile all’utenza pure attraverso interfacce che ne permettano l’interrogazione e il recupero di dati con modalità di colloquio tali da consentirne la crescita5,

a cui si aggiunge, in termini concreti, il suggerimento di Mauro Guerrini che “per essere efficace, il catalogo – o database – si modella sulle necessità concrete di ogni istituto, è funzionale al pubblico a cui si rivolge, rifugge da ogni astrattezza o chiusura in se stesso”6. In altre parole, un database bibliografico non fornisce l’accesso diretto al documento, ma a una sua descrizione strutturata (il record) che contiene tutte le informazioni per il recupero del record (ovvero l’estrazione dalla memoria di quei record che soddisfano i criteri della ricerca), la selezione del record, l’identificazione e la rintracciabilità del documento (fornendo infor-mazioni sulla sua pubblicazione e collocazione per consentire il reperimento di un suo esemplare). Non solo, la struttura interna di un database è altresì una diretta conseguenza del modo in cui i record in esso contenuti vadano utilizzati.

Sull’esempio di altre realizzazioni si è quindi avviata una serie di valutazioni volte a definire (o ipotizzare): quanti record avrebbe potuto contenere la banca dati; quali persone fossero responsabili della loro creazione e del controllo dei record; a quale standard bibliografico attenersi; quali e quante operazioni fosse-ro necessarie per adeguare i record agli standard comunemente in uso; se fosse possibile inserire nei record delle note e indicare le collocazioni delle opere cata-logate; se fosse possibile immettere nel database dati da altri cataloghi (OPAC) o trasferire quelli presenti in altri cataloghi7.

Passando ora dal piano teorico a quello pratico, fin dalle prime riflessioni co-muni si è evidenziata l’opportunità di concepire un sistema aperto (e con software

5 La citazione è ripresa da: Manuale di biblioteconomia e bibliografia. Aggiornato al nuovo Regolamento in materia di deposito legale dei documenti di interesse culturale destinati all’uso pubblico (D.P.R. 30 maggio 2006, n. 252), a cura di N. Silvestro, Napoli 20078 (Manuali, 90), p. 225; si veda anche: A. de RoBBio, Forme di tutela giuridica per le banche dati fra diritto d’autore e diritto sui generis: il Decreto Legislativo n. 169/99 del 15 giugno 1999 e la Legge n. 248 del 18 agosto 2000, “AIDA Informazioni”, 18/3-4 (2000); disponibile all’indirizzo: http://eprints.rclis.org/4425/. 6 M. GueRRini, Catalogazione, Roma 2005 (Enciclopedia tascabile, 16), p. 6.7 Suggerimenti operativi sono ripresi da P.G. Weston - a. peRniGotti, La biblioteca nel computer: come automatizzare? In appendice: il sistema informatico della Vaticana, Città del Vaticano 1990, pp. 124-125; come pure in P.G. Weston, Il catalogo elettronico. Dalla biblioteca cartacea alla biblioteca digitale, Roma 2002 (Beni culturali, 26), p. 30.

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cosiddetto open source) per favorire lo svolgimento di tutte le procedure richie-ste, nonché per garantire ai record una struttura più flessibile di quella richie-sta da un sistema prettamente bibliotecario (e quindi più adeguata a permettere quell’interoperabilità che costituisce uno dei requisiti del progetto)8. È stato del resto a più riprese dimostrato come l’adozione di software libero presenti una se-rie di opportunità: in primo luogo, favorisce una più ampia flessibilità e aderenza ai formati e ai protocolli standard e documentati, determinando la possibilità di realizzare moduli in grado di garantire accessibilità e interoperabilità, nonché di consentire un alto grado di affidabilità in ordine alla preservazione dei dati e alla loro fruibilità nel tempo; in secondo luogo, la portabilità delle applicazioni così realizzate consente di sviluppare un sistema su misura (in ordine al numero dei dati, servizi e fruitori), senza doversi impegnare nell’acquisizione di un prodot-to eventualmente sovradimensionato rispetto alle effettive esigenze, mentre al contempo viene abbattuto il costo per le licenze d’uso del software, che costitui-sce in genere una delle voci più pesanti in caso di acquisizione di un software proprietario. Vantaggi che, per contro, richiedono (e dunque hanno richiesto) un significativo investimento nella fase iniziale, dovuto al reperimento delle risorse umane a cui affidare la progettazione, lo sviluppo e la verifica delle diverse com-ponenti. Ad ogni modo, se è vero che il lavoro richiesto per l’impostazione del data base può essere risultato talvolta complesso, ritenere che l’alternativa più efficace fosse quella di affidarsi a una soluzione proprietaria si sarebbe rivelata, a lungo andare, una scelta controproducente, in quanto avrebbe confinato il proget-to nel suo complesso in un universo circoscritto9.

Una volta definitivamente avviato, il database potrà essere alimentato attra-verso immissioni manuali, anche se nulla vieta tuttavia che, in una fase iniziale – come di fatto è avvenuto10 – o in qualunque altro momento11, possa essere de-

8 Nello specifico, sul piano tecnico, il sistema catalografico è stato realizzato su piattaforma web-based con l’impiego di strumenti open source (codice sorgente aperto) ad esecuzione indipendente dal sistema operativo (Windows, Linux, MacOs ecc.), visualizzabile sui più comuni browser (Internet Explorer ver. 8+, Mozilla Firefox ver. 12+, Google Chrome, Safari, Opera). Non è, in ogni caso, questa la sede per entrare in dettaglio sulle tecnologie adottate per cui si rinvia alla relazione conclusiva del progetto Catalogazione on line di beni culturali e bibliografici realizzata dalla Global Informatica. Quanto invece ai (ricorrenti) dubbi o oscillazioni tra adesione a uno standard o creazione di un sistema autonomo, ricordo, a titolo di esempio, seppure riferita a un altro contesto, l’ampia riflessione teorica sviluppata da Michele Ansani per il progetto Codice diplomatico digitale della Lombardia medievale, illustrata in M. ansani, Il Codice diplomatico digitale della Lombardia medievale, in Comuni e memoria storica: alle origini del comune di Genova, Atti del Convegno di studi (Genova, 24-26 settembre 2001), a cura di D. Puncuh, Genova 2002 (“Atti della Società Ligure di Storia Patria”, 116/1, 2002), pp. 23-49; ma anche id., Edizione digitale di fonti diplomatiche: esperienze, modelli testuali, priorità, “Reti Medievali - Rivista”, 7/2 (2006), disponibile all’indirizzo: http://www.storia.unifi.it/_RM/rivista/forum/Ansani.htm.9 Si rinvia in merito alle riflessioni offerte da P.G. Weston, Caratteristiche degli OPAC e strategie delle biblioteche, “Bibliotime”, 11/1 (2008), disponibile all’indirizzo: http://didattica.spbo.unibo.it/bibliotime/num-xi-1/weston.htm; altresì a: p.G. Weston - a. GaLeffi, Il controllo d’autorità come raccordo fra sistemi descrittivi dei beni culturali: prospettive e progetti in ambito bibliotecario, “Archivi & Computer”, 14/2 (2004), pp. 85-116.10 Inserimento dei dati dall’OPAC regionale.11 Una certa importanza riveste, in questo senso, il protocollo d’intesa siglato dal Distretto culturale “Le

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cisa l’immissione intensiva di blocchi di dati, ricavati da altri cataloghi (OPAC) di adeguata autorevolezza. Pertanto è stato previsto, fin dall’inizio, lo scambio di dati come una delle attività principali del sistema, in primo luogo tra i blocchi interni (tra il catalogo bibliografico e il catalogo dei beni culturali), ma anche con altri sistemi (o database)12. Non vi è dubbio, in effetti, che raggiungere un ade-guato livello di omogeneità, perlomeno nell’ambito di applicazioni pensate per il trattamento di informazioni relative a documenti della medesima natura (o quasi) da parte di realtà affini, costituisca un risultato da non sottovalutare e si propon-ga come un significativo passo nella direzione di una più estesa integrazione tra sistemi eterogenei13.

In siffatta prospettiva è parsa pertanto del tutto ragionevole la scelta di confor-marsi ai più diffusi standard descrittivi attualmente in uso nelle biblioteche pub-bliche italiane e straniere, sia per le modalità di interrogazione che per i formati di scambio, anche nel caso in cui di uno standard vengano percepiti limiti e rigidità. È questo, in particolare, il caso di UNIMARC (Universal Machine Readeble Ca-talogue): pur nella consapevolezza che il formato di codifica per l’input/output dei dati, promosso dall’IFLA (International Federation of Library Association) e ricalcato sulla struttura logica definita dalle ISBD, non risolve tutte le esigenze, abbiamo comunque ritenuto opportuna la sua adozione per mantenere quella coe-renza con gli standard nazionali (fatti propri dall’Istituto Centrale per il Catalogo Unico – ICCU) e internazionali, che ritenevamo uno dei requisiti fondamentali del progetto14.

Per permettere altresì che le informazioni rilevanti potessero arrivare a qualsia si utente, compresi quelli dotati di mezzi relativamente poveri, si è scelta un’inter-faccia web del database piuttosto semplice: nella pagina principale compare in effetti un solo box nel quale inserire i termini da ricercare in tutti i campi, ac-compagnato da poche indicazioni in forma testuale15; d’altra parte la ricerca per

Regge dei Gonzaga” con ICCU-SBN nella prospettiva di un dialogo e di un’intercomunicabilità tra i due cataloghi (o database), realizzando ad esempio quella cooperazione che, tra l’altro, potrebbe servire come strumento per ridurre i costi della catalogazione.12 Si pensi, ad esempio, in ambito mantovano all’opportunità di far dialogare, mediante un formato condiviso o procedure collaudate di esportazione, i dati della piattaforma “Le Regge dei Gonzaga” con il portale Banche Dati Gonzaga realizzato dal Centro Internazionale d’Arte e Cultura di Palazzo Te, in collaborazione con l’Archivio di Stato di Mantova, la Scuola Normale Superiore di Pisa e il Comune di Mantova (http://banchedatigonzaga.centropalazzote.it/portale/), con l’Archivio Herla promosso dalla Fondazione Umberto Artioli – Centro Studi Mantova Capitale Europea dello Spettacolo (http://www.capitalespettacolo.it/ita/ric_gen.asp) o gli eventuali materiali della Fondazione Centro Studi Leon Battista Alberti, nonché a livello nazionale con il progetto Internet Culturale. Cataloghi e collezioni digitali delle biblioteche italiane (http://www.internetculturale.it/opencms/opencms/it/). 13 Un auspicio già proposto da Weston, Il catalogo elettronico, pp. 141-142.14 Per una breve descrizione dello standard UNIMARC si rinvia, ad esempio, al già citato Weston - peRniGotti, La biblioteca nel computer, pp. 110-116.15 I problemi di comunicazione con gli utenti si trovano in vari gradi e combinazioni nelle centinaia di OPAC locali o specializzati che popolano la porzione italiana della rete; si vedano al riguardo le osservazioni e la casistica proposta da C. GnoLi, Informazioni o rumore? Gli utenti di fronte alla complessità dei servizi in rete, “Biblioteche oggi”, 1 (2000), pp. 24-29.

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parole chiave, ovvero per un qualsiasi termine presente in alcune aree (se non in tutte) della notizia, è quella più utilizzata da chi ricordi una o più parole del titolo e può essere molto utile per i nomi degli enti di cui non si conosca l’esatta de-nominazione16. È altrettanto vero che l’immissione di un termine non qualificato nella maschera di ricerca, come ovvio, dà avvio a una ricerca in tutti i campi, con il rischio di ottenere una risposta quantitativamente eccessiva oppure piena di “rumore” (ovvero contenente molti record non pertinenti).

I risultati propongono per ogni record un’anteprima contenente i dati “Defi-nizione”, “Autore”, “Tipologia bibliografica” e “Anno di pubblicazione” (fig. 1).

Figura 1 - Ricerca base

Viceversa, nella pagina “Ricerca avanzata” le possibilità di ricerca sono più articolate, collegando (ad esempio) più termini mediante gli operatori boolea-ni, secondo la logica degli insiemi, ma la grafica è analoga. All’utente viene dunque data la possibilità di stabilire dei criteri generali di selezione che fac-ciano da filtro alla ricerca; in particolare, i campi della “ricerca avanzata” sono: “Titolo”, “Autore”, “Soggetto”17 e “Pubblicazione” (da anno ad anno, estremi compresi), che andranno a filtrare i risultati cercando nei relativi campi dei singoli record (fig. 2).

16 Un aspetto sottolineato pure da Weston, Il catalogo elettronico, p. 63.17 Va precisato che riguardo al “soggetto” si è scelto di non utilizzare la classificazione Dewey, bensì di ricorrere al catalogo alfabetico per soggetto, individuando i termini che meglio descrivono il contenuto del documento.

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Il risultato della ricerca, oltre alle schede bibliografiche dettagliate relative ai documenti rintracciati, fornisce altresì l’elenco delle biblioteche che li pos-siedono.

Figura 2 - Ricerca avanzata

Vale inoltre la pena ricordare che semplicità di funzionamento e immediatez-za della ricerca sono due tra le caratteristiche che ricorrono più di frequente a marcare la differenza tra Google e gli altri strumenti di ricerca proposti, tra i quali (appunto) gli OPAC; d’altra parte, come suggerito da Paul Weston, “la struttura dell’OPAC tradizionale, i servizi che esso mette a disposizione del lettore e il modo in cui esso si lascia interrogare sono stati ripetutamente oggetto di confronto con la nuova generazione di strumenti di ricerca”, la cui superiorità diventa spesso schiacciante quale mezzo iniziale per la ricerca di dati elettronici su specifici argomenti18. In tale contesto, i cataloghi elettroni-ci e i database hanno tuttavia ancora un ruolo fondamentale da svolgere nel garantire l’accesso alle raccolte librarie, nel mantenere una forma coerente e autorevole di controllo bibliografico e nel fornire insiemi di informazioni mirate a comunità di utenti ben definite19.

18 p.G. Weston - s. vassaLLo, “...e il navigar m’è dolce in questo mare”: linee di sviluppo e personalizzazione dei cataloghi, in La biblioteca su misura. Verso la personalizzazione del servizio, a cura di C. Gamba e M.L. Trapletti, Milano 2007, p. 131.19 Il rinvio, tra gli altri, è ancora a Weston, Caratteristiche degli OPAC e Weston - vassaLLo, “...e il navigar m’è dolce in questo mare”, pp. 130-167; ma si veda anche To Google or not to Google? Biblioteche digitali e ricerca bibliografica al tempo di Internet, 5° Workshop di informatica umanistica

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Alla luce dunque degli obiettivi di semplicità e di interconnessione del data-base, stabiliti durante la fase di elaborazione teorica, si è deciso di seguire per le schede l’impostazione delle ISBD20, scandendo la descrizione in aree, secondo una sequenza prestabilita, dove per ciascuna di esse vengono definiti gli elementi, cioè le unità elementari di informazione; un database – si potrebbe dire – tagliato sull’obiettivo fissato: meno neutrale e comunque utilizzabile, pur con le neces-sarie correzioni e i dovuti aggiornamenti, in altre iniziative simili o quantomeno con finalità assimilabili.

I record così strutturati e di lunghezza definita (poiché ciascuno di essi ha la medesima dimensione) presentano quindi i seguenti campi (o blocchi logi-ci): area del titolo e delle formulazioni di responsabilità (titolo, complemento del titolo, prima formulazione di responsabilità, successive formulazioni di responsabilità); area del tipo di pubblicazione (ad indicare volume e anno per articoli di riviste ed estratti di monografie o miscellanee); area della descri-zione fisica (dettagli, dimensioni, materiali); area della pubblicazione (luogo, nome, anno); area del numero standard e delle informazioni di catalogazio-ne21; informazioni aggiuntive (collegamento con le schede SIRBeC) e collo-cazioni. Si è inoltre introdotto un campo a tendina per indicare i differenti livelli o tipologie documentarie: monografia, periodico, contributo, articolo e materiale multimediale (fig. 3).

(23 gennaio 2006), coordinato da R. Minuti, A. Zorzi e G. Roncaglia, in collaborazione con la Scuola di Dottorato in Storia dell’Università di Firenze, materiali reperibili all’indirizzo: http://www.dssg.unifi.it/_storinforma/Ws/ws-editoria06.htm; oppure A.M. tammaRo, Il caso di Google Book e il futuro della biblioteca digitale, “Biblioteche oggi”, 6 (2009), pp. 28-34. 20 È noto come le ISBD non si basano su una riflessione teorica approfondita, ma sono piuttosto il risultato di una prassi consolidata (ed esplicitamente formalizzata nella loro struttura), che si è poi diffusa ampiamente. La creazione e la diffusione delle ISBD vanno difatti inquadrate nell’ottica degli sforzi compiuti dall’IFLA per la realizzazione di una catalogazione universale. In tal senso “l’obiettivo primario delle ISBD è fornire criteri universali di descrizione per favorire lo scambio internazionale di informazioni bibliografiche tra le agenzie nazionali e nell’ambito della comunità bibliotecaria in genere. Specificando gli elementi che costituiscono la descrizione bibliografica, l’ordine nel quale essi debbono essere presentati e la punteggiatura che li contraddistingue, le ISBD mirano a i) rendere possibile lo scambio di registrazioni provenienti da fonti diverse, in modo che le registrazioni prodotte in un Paese possono essere inserite facilmente in cataloghi di biblioteche o altri elenchi bibliografici di un altro Paese; ii) favorire l’interpretazione delle registrazioni a prescindere dalle barriere linguistiche, cosicché le registrazioni prodotte per gli utenti di una lingua possano essere interpretate dagli utenti di altre lingue; iii) facilitare la conversione delle registrazioni bibliografiche in una forma leggibile dalla macchina”: Weston - peRniGotti, La biblioteca nel computer, p. 117; utile anche C. BiancHini - G. Genetasio - m. GueRRini - m.e. vadaLà, La traduzione italiana dell’ISBD edizione consolidata. Un lungo e impegnativo lavoro destinato a favorire la diffusione dello standard e la partecipazione della comunità professionale italiana al dibattito internazionale, “Biblioteche oggi”, 11 (2009), pp. 7-17 e il già citato Biblioteconomia, pp. 99-107, 452-465.21 Sul valore e sulla funzione di questi elementi si veda, tra gli altri, Weston, Il catalogo elettronico, pp. 106-115.

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Figura 3 - Scheda record

Ogni record corrisponde a un documento fisico e, secondo necessità, può essere collegato ad altri record: ad esempio un periodico può essere collegato alle sue annate (o fascicoli) e la singola annata ai diversi contributi in essa contenuti, o, viceversa, una monografia in più volumi può essere collegata alle parti fisiche che la compongono e all’insieme dei contributi presenti in ciascuna di esse; è

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noto, infatti, come lo scopo della descrizione catalografica sia duplice, ovvero individuare una pubblicazione tra le altre, caratterizzarne il contenuto, l’oggetto e le relazioni di natura bibliografica e presentarne i dati.

Il database ha quindi una struttura molto semplice e, di conseguenza, tempi di accesso piuttosto ridotti, nella consapevolezza che per sfruttare pienamente le possibilità offerte dalle tecnologie di rete, non sia sufficiente fornire agli utenti strumenti molto potenti, bensì occorra tener presente il probabile punto di vista degli utenti, per metterli in condizione di dialogare con le risorse informative in rete in modo efficace: in caso contrario, la tecnologia da sola, paradossalmente, può finire per ridurre la fiducia degli utenti nel progetto.

Ciò non toglie che in un prossimo futuro i record catalografici possano essere arricchiti di contenuti digitali, quali copertine, frontespizi, indici, saggi di lettura, recensioni, così che (perlomeno a livello locale e in riferimento al tema) il data-base agisca anche da dispositivo promozionale autorevole nei confronti delle pubblicazioni che ospita, ed eventualmente di quei soggetti che tali pubblicazioni hanno prodotto e messo in commercio22; ovviamente, si tratta anche di una que-stione di scelte, oltre che di risorse, ma questo discorso ci condurrebbe lontano, anche perché tutto, e tutto in una volta, non si poteva davvero fare. Non solo, la “sfida” così posta pare piuttosto interessante, ma la questione è estremamente complessa e ha implicazioni che, solo in minima parte, possono essere definite tecnologiche.

In sostanza, il database rappresenta (o meglio aspira a rappresentare) un pro-getto di rilievo, nonché un autorevole punto di riferimento23, tanto che le notevoli potenzialità connesse con la struttura informatizzata ne fanno uno strumento assai funzionale per l’individuazione di opere utili ad avviare un’analisi critica storio-grafica che sia in grado di mettere a confronto la storia della città di Mantova e del suo territorio con la storiografia dei suoi antichi dominanti24.

22 È altrettanto vero che, in tal caso, il catalogo si trasformerebbe da database bibliografico a vero e proprio portale, richiedendo di disporre al suo interno di dispositivi in grado di consentire, su sollecitazione dell’utente, di estendere la ricerca dal patrimonio documentale ivi rappresentato a universi documentali più estesi o di combinare differenti funzionalità che potrebbero anche richiedere lo sviluppo di applicativi gestionali separati. 23 Al riguardo, un esempio è stato e, in termini generali, ancora è, perlomeno per la critica documentaria, quello messo a punto dai Monumenta Germaniae Historica (www.dmgh.de) o per altri aspetti l’esperienza dei Regesta Imperii e dell’OPAC ad essi connesso (www.regesta-imperii.de/startseite.html). Due progetti presentati dalle recensioni di T. LazzaRi, Recensione a Digital MGH <http://www.dmgh.de/>, “Reti Medievali - Rivista”, 6/2 (2005), disponibile all’indirizzo <http://www.dssg.unifi.it/_RM/rivista/recensio/lazzari_Dmgh.htm> e di A. GHiGnoLi, Regesta Imperii. Urkundenverzeichnis zu den deutschen Königen und Kaisern (760-1516) – Prototyp Bayerische Staatsbibliothek Digitale Bibliothek - Sammlungen <http://mdz.bib-bvb.de/digbib/urkunden/ri>, s.i.d., “Reti Medievali - Rivista”, 3/2 (2002), disponibile all’indirizzo <http://www.retimedievali.it>.24 Come auspicava anche tamaLio, La memoria dei Gonzaga, p. 46.

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